Opinione scritta da Vincenzo313
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Attenti a non diventare scarafaggi....
Se con "Il castello" Kafka approfondisce il disagio dell'uomo di fronte alla burocrazia asfissiante e poco costruttiva di una società destinata a farne annegare i buoni propositi, conducendolo in una frustrazione senza fine, con "La metamorfosi" lo scrittore ceco restringe il suo campo visivo, soffermandosi sul disagio e l'alienazione che un uomo può arrivare a vivere nella ristretta cerchia familiare, tematica questa a lui molto cara, in quanto autobiografica.
Per rappresentare al meglio la sua idea l'autore ricorre alla astuta e forte immagine dell'insetto, destinato a suscitare scalpore e ribrezzo tra i suoi simili, perfino tra i suoi familiari che, per un semplice difetto di forma del loro amato Gregor, non riescono più ad amarlo.
La tematica della metamorfosi, ampiamente sviscerata e considerata (giustamente) geniale per esprimere un concetto di tale portata, per me rappresenta soltanto la naturale prosecuzione di uno stato di alienazione e disagio che il protagonista già viveva, oppresso com'era da un lavoro frustrante e da una famiglia amorevole ma assolutamente opprimente. Il disagio di Gregor è infatti palpabile già prima che le sue sembianze cambino, per cui la trasformazione fisica non è altro che il passo successivo e conclusivo verso la totale indifferenza e l'abbandono.
Racconto assolutamente imperdibile, per la sua capacità di dipingere con estrema cura la condizione dell'uomo moderno, sempre più incapace di relazionarsi alla vita.
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Un piacevole racconto
Col titolo che ho dato alla mia recensione non voglio sminuire quest'opera, considerando l'importanza di Puskin nel panorama letterario russo e il suo ruolo di "padre artistico" dei futuri mostri sacri Tolstoij, Dostoevskij e Gogol.
Certo è che nell'opera non ho trovato grandi spunti di riflessione. Con riferimento alla trama, questa è assimilabile alla classica storia d'amore tra due giovani ostacolata dal cattivo di turno(Svabrin) e destinata a trovare fortuna soltanto grazie all'intercessione dell'imperatrice, che conferisce al romanzo un impronta fiabesca. Per quanto riguarda i personaggi, considerando anche la brevità dell'opera, essi non sono delineati in maniera decisa e forte. In fondo sono due ragazzi comuni, il cui unico elemento di caratterizzazione è il loro amore reciproco. L'unico personaggio che a mio parere merita una particolare citazione è l'antagonista, il ribelle Pugacev. L'autore con maestria ce lo presenta prima che il suo ruolo di "cattivo" venga svelato con l'assalto alla fortezza, conferendogli qualità umane che ci permettono di apprezzarlo per come effettivamente è, senza condizionamenti dovuti alla sua posizione di ribelle.
Continuando nel racconto, Puskin continua a delineare Pugacev come un personaggio che, nonostante le barbarie commesse, mantiene la sua dimensione umana, la sua capacità di capire il prossimo, mostrandosi riconoscente al protagonista.
Ecco dunque che Pugacev diviene lo strumento attraverso il quale l'autore lancia il suo messaggio criptato.La benevolenza dell'antagonista non fa altro che mostrare la debolezza di una società, quella russa del tempo, ormai sul viale del tramonto: il potere attribuito a un ordine sovraimposto è destinato a cadere, a lasciare spazio al nuovo. Messaggio forte, questo, che delinea la grandezza di un autore che, attraverso una lieta storia d'amore a tratti fantastica, riesce a veicolare un'idea di così grande portata.
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La forza dei Karamazov
La forza dei Karamazov è la forza che guida la storia, il motore che permette agli eventi di verificarsi e ai personaggi di manifestarsi in tutta la loro intensità. Intensità è il termine giusto dal momento che i tre fratelli, seppur completamente diversi l'uno dall'altro, tendono allo stesso modo in maniera assolutamente forte e decisa verso le verità di cui si fanno portavoce.
Ciascuno nel romanzo rimane fedele fino in fondo al suo spirito, alla sua individualità. Dimitrij il passionale, Ivan il razionale e Alesa l'ascetico. Questi gli aggettivi che meglio qualificano i tre fratelli. A differire è la natura dei tre, non certo l'intensità con la quale esprimono la loro indole. Il maggiore dei tre, Dimitrij, è un fiume in piena, pronto a gettarsi a capofitto nella vita e a viverla nella sua pienezza. Considerato da tutti come dissoluto e amorale, sarà il solo a raggiungere la pace, a salvarsi nel finale della storia, insieme al fratello minore Alesa. Alesa è il buono, rappresenta la purezza e la misericordia. Sempre pronto ad aiutare il prossimo, appartiene a quella schiera di personaggi dostoevskijani espressione del bene, come l'idiota Mishkin e Sonja di "Delitto e castigo". Il terzo fratello, Ivan, è invece guidato da una fede incrollabile nella ragione. Assolutamente incorruttibile, porterà avanti sino alla fine il suo punto di vista, pagandone però le conseguenze a caro prezzo, dal momento che entrerà in un'irreversibile follia, incapace come si dimostrerà di spiegare ciò che si è svolto sotto i suoi occhi stupefatti. Destino migliore toccherà invece ai suoi due fratelli. Alesa continuerà a professare il suo amore verso il prossimo, memorabile a tal proposito la scena finale del funerale del povero Iljusa, nella quale viene fuori tutta la sua grandezza. Il tanto bistrattato Dimitrij, da parte sua, troverà nella pena inflittagli ingiustamente un'occasione di redenzione, un modo per ricominciare una nuova vita. Accetterà la pena in maniera serena e consapevole, dal momento che "tutti sono colpevoli per tutti", quindi dimostrandosi ben propenso a pagare per riscattare l'umanità intera. Finale dunque, quello di Dimitrij Karamazov, molto vicino a quello di Raskolnikov di "Delitto e castigo", nel quale Dostoevskij lancia un messaggio di speranza molto intenso e di estrema attualità.
Personalmente, ritengo "I fratelli Karamazov" il romanzo più rappresentativo di Dostoevskij, dal momento che nelle sue pagine è possibile ritrovare l'intero suo pensiero. Il tema della lotta tra bene e male trova ampio spazio nel libro, così come quello della questione religiosa, magistralmente affrontata dall'autore attraverso le parole di Ivan.
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Sonja al di sopra di tutto
Tappa imperdibile della produzione di Dostoevskij, nel quale l'autore russo affronta una delle tematiche a lui più care: il contrasto tra bene e male. In "Delitto e castigo" il male e il bene si susseguono, permettendo al protagonista di giungere alla pace solo dopo aver assaporato tutti i tormenti del proprio animo malato.
Il delitto dell'usuraia non ha nulla di ordinario, è frutto di un'idea elaborata e studiata a fondo dal protagonista, che decide di posizionarsi al di sopra di tutto elevandosi a giudice supremo dell'umanità. Compiuto il delitto, in uno stato di completa lucidità e convincimento, il castello di sicurezze di Raskol'nikov crolla quando nella sua vita appare la sfortunata Sonja, la vera eroina del romanzo, una ragazza che, a dispetto della tragica situazione in cui si trova, continua a professare l'amore per la vita, per le persone. Lei, che tra tutti i personaggi descritti, sarebbe l'unico in diritto di ripudiare il mondo per tutta la sofferenza procuratele, si mantiene candida, serena nell'affrontare un destino già segnato. Personaggio tra i più limpidi e casti della produzione dostoevskijana, probabilmente anche al di sopra del principe Mishkin, considerando le prove che la vita le ha riserbato, aprirà la seconda parte del romanzo, quella relativa al castigo.
Di fronte a tanta lucidità e perseveranza nell'affrontare in maniera coraggiosa la vita, Raskol'nikov compirà la sua maturazione, arrivando a capire che l'unica, possibile via di redenzione e di salvezza, sta nell'amore del prossimo e della vita.
Importante il messaggio di cui Dostoevskij si fa portavoce attraverso Sonja, un messaggio di speranza, di trionfo dell'amore e della compassione sulla meschinità e l'impoverimento morale, tematica ampiamente descritta dall'autore attraverso la descrizione di personaggi tragici nella loro bassezza morale, prerogativa, questa, di tutta la sua produzione letteraria.
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L'assoluto disprezzo della bontà
Ad innalzarsi su tutto, nella storia, è senza dubbio la purezza, la bontà, la perfezione morale oserei dire, del protagonista, un vecchio pastaio che neanche in pensione smette di sacrificarsi in maniera maniacale per le sue figliole, assolutamente irriconoscenti verso il loro papà, al punto tale da provare vergogna di lui, evitando di riceverlo in casa.
Immancabili le critiche verso un personaggio di questo tipo, nel quale è facile, aggiungerei scontato, trovare un'estrema debolezza di carattere, un'incapacità di confrontarsi e di adeguarsi ad una realtà spietata, che non lascia troppo spazio a sentimenti di bontà e totale abnegazione, nemmeno se riferiti alla famiglia, che evidentemente non sfugge al tragico destino di un mondo corrotto. Ecco dunque che Papà Goriot si trasforma nello zimbello della pensione Vaquer, subendo il continuo scherno da parte degli altri inquilini della stessa, triste affresco di una società miserabile e meschina, capitanata dalla vedova Vaquer, la proprietaria, la cui pochezza morale raggiunge livelli altissimi. in mezzo alla pochezza imperante descritta da Balzac, e che avvolge tutti i personaggi della storia, ad elevarsi è la figura di Eugene de Rastignac, un giovane di provincia trapiantato a Parigi per poter frequentare l'università.
Eugene è l'unico ad accorgersi dell'immensità di papà Goriot, il solo a rimanergli vicino sino alla fine quando, ormai sul letto di morte, papà Goriot si ritrova abbandonato da tutti, in una disperazione tale che lo porta a pentirsi e ad accusarsi per l'educazione errata impartita alle due ingenerose figlie. Ma la grandezza di questo personaggio va oltre la sua bontà d'animo. Eugene infatti è un personaggio dalle mille sfaccettature che, da semplice studente di provincia, si trasforma gradualmente in profondo conoscitore della società. La sua ambizione è forte; in lui il desiderio di affrancarsi dalla condizione di giovane sprovveduto lo porta ad immergersi totalmente nella realtà che lo circonda. Toccherà con mano la pochezza della gente, esponente del mondo scintillante che aveva tanto sognato di raggiungere. Ben presto imparerà, vivendola, che dietro al lusso e alle feste si nasconde una realtà di un'estrema miseria e pochezza morale, corrotta in ogni suo aspetto. Eugene dunque cresce con lo scorrere della storia, matura e si evolve. Diventa infine l'uomo che aveva sempre agognato di essere, rimanendone sicuramente deluso, ma allo stesso tempo ne esce rafforzato quando, dall'alto di una collina nel cimitero, osservando una Parigi illuminata al crepuscolo, in una memorabile scena finale, pronuncia una frase densa di significato: "A noi due adesso", dichiarandosi ormai pronto ad affrontare a piena forza quella pochezza da lui tanto sognata, a gettare il guanto di sfida a una società per la quale Balzac non lascia alcuna speranza di redenzione.
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Un'inguaribile romantica nell'arida provincia
Su Emma Bovary se ne sono dette di ogni. Dalle pagine del capolavoro Flaubertiano non emerge alcun giudizio sulla protagonista. L'autore ne descrive minuziosamente la vita e i sentimenti, tralasciando però di esprimere un suo personale parere, preferendo lasciare l'incombenza ai lettori.
Personalmente Emma è un personaggio che mi è rimasto nel cuore, che ho amato e anche compatito per la sua difficile ricerca della felicità e della bellezza legata ad un ideale romantico, da lei inseguito con forza e coraggio fino alla rovina finale. Cresciuta in collegio leggendo romanzi d'amore, in lei matura sin da subito l'idea di fare della sua vita un romanzo. Deve però far fronte alla realtà di provincia, opprimente per quelli che sono i suoi propositi. Una parentesi doverosa mi sento di aprirla con riferimento a questo ultimo punto. Flaubert, tramite le aspirazioni e le gesta delle sua eroina, dipinge un quadro disastroso della borghesia dominante dell'epoca. A farne le spese sono i personaggi che rappresenta. Il più immediato è il modesto ufficiale sanitario Charles Bovary che, oltre ad essere un uomo totalmente privo di qualsiasi spunto interiore, si dimostra incapace anche nel lavoro che svolge quando, cimentandosi in una operazione al piede torto di un suo paziente, sbaglia miseramente, costringendo il malcapitato all'amputazione dello stesso. Un altro personaggio, emblematico dell'insoddisfazione di Flaubert, è il farmacista Monsieur Homais, letteralmente ossessionato dalla carica di Legion d'onore che vorrebbe vedersi attribuita, triste esponente di una ricerca del progresso ottusa e fine a se stessa, dal momento che sarà proprio la sua noncuranza a permettere alla protagonista di accedere indisturbata al veleno custodito nella sua farmacia.
Oppressa da tutto ciò, è normale che la romantica Emma decida di rifugiarsi altrove, cercando porti di felicità talvolta plausibili, quale il giovane Leon Dupuis, un personaggio accomunato alla protagonista da una forte sensibilità, altre volte improbabili; è il caso del bell'imbusto Rodolphe Boulanger, un uomo superficiale sempre a caccia di nuove conquiste. Il fallimento di entrambe le storie d'amore spingerà Emma in un abisso senza fine, spingendola a una fine tragica, sulla scia delle storie d'amore da lei tanto amate.
Come già detto, Emma mi ha colpito molto, in primis per la sua grande sensibiità; in secondo luogo per la sua grande modernità, che la spinge a compiere, a dispetto del giudizio di una società falsamente perbenista, scelte in piena autonomia. Con riferimento poi al suo fallimento finale, lo vedo come logica conseguenza di un mondo maschilista e arretrato, ancora non pronto ad accogliere donne di tale spessore umano ed ideologico. In ogni relazione in cui lei si verrà a trovare, infatti, sarà sempre lei la malcapitata a dover recitare il difficile ruolo di amante indegna, solo perchè donna e, in quanto tale, sottoposta al martirio mediatico.
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La grandezza di Levin
Definire Anna Karenina un romanzo d'amore è senza alcun dubbio riduttivo, per i numerosi spunti e riflessioni che Tolstoj ci offre nella narrazione, riguardanti la società, che viene indagata (e spesso maltrattata) sotto molteplici punti di vista. Mettendo da parte tutto questo, voglio incentrare la mia recensione sulla tematica principale, che fa da sfondo a tutto il resto: l'amore.
Personalmente ritengo "Anna Karenina" il migliore romanzo d'amore di tutti i tempi, considerando l'intensità espressiva con cui l'autore ce lo descrive, permettendoci di capire, attraverso questo, la natura dei vari personaggi rappresentati. Dei principali, descritti nel romanzo, ciascuno vive una propria storia d'amore e, dall'analisi di ognuna di esse, ecco delineati i rispettivi profili. Dall'ingenua e sprovveduta Dolly all'introspettivo Levin, passando per l'intrepido ufficiale Vronskij e la sempre insoddisfatta Anna. il personaggio di Anna, a dispetto dei numerosi elogi che continuamente la critica le tributa, legati essenzialmente alla sua modernità e al suo coraggio, che mi sento assolutamente di condividere, mi ha deluso. E' una donna (giustamente) insoddisfatta, per via della sua infelice relazione con l'arido marito, un freddo funzionario dal quale non riesce a cavare un pizzico di sentimento. Frustrata da questa situazione, decide di trovare conforto tra la braccia di Aleksej Vronskij, un giovane ufficiale assolutamente frivolo e privo di qualsiasi spunto interiore, insomma un cialtrone tutto fronzoli e buone maniere, classico esponente dell'aristocrazia russa dell'epoca, vuota e fine a se stessa. La mia critica verso Anna è assolutamente personale, dettata dal disprezzo che nutro nei confronti di personaggi di questo tipo, verso i quali, evidentemente, la protagonista nutre un forte interesse. La mia delusione nei suoi confronti viene poi rinforzata dal confronto, che Tolstoj ci propone, tra la sua storia d'amore col "brillante" ufficiale, e quella tra Levin e Kitty.
Su Levin mi sento di esprimere il mio massimo apprezzamento. Insieme al principe Mishkin de "L'idiota", rimane il mio personaggio maschile preferito (tra tutti quelli finora incontrati durante la mia carriera di lettore). E' un personaggio introspettivo, in lotta perenne con le sue incertezze e le sue debolezze che, paradossalmente, lo proiettano al di sopra di tutto il resto. E' l'inconsapevole portatore di una verità universale, che va al di là di ciò che dice la gente e dei vincoli imposti, basata sulla ricerca del bello e del bene a tutti i costi. Il suo amore per la natura, i suoi sentimenti verso l'amata Kitty, denotano un grande spessore morale, che per me rappresenta la vera vetta di un grande romanzo.
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Siamo lupi o persone?
Ne "Il lupo della Steppa" Hesse affronta uno dei temi a lui più cari, ovvero l'eterno e insoluto dissidio interiore che attanaglia ogni anima, quello cioè tra la spiritualità e l'istintività, tra la metà animale e la metà umana, presenti in ciascun individuo. A farne le spese è Harry Haller, un uomo di mezza età che vive in una condizione di permanente disagio. E' un outsider; in lui la parte istintiva e selvaggia ha da tempo preso il sopravvento su quella umana, trasformandolo di fatto in un lupo, incapace di immergersi nella società che lo circonda. Vive da emarginato in una condizione che, in apparenza, lo soddisfa, dal momento che si sente orgoglioso della sua superiorità rispetto alla borghesia dominante, da lui considerata vuota e portatrice di ideali vacui, scadenti. L'isolamento nel quale per forza di cose si rinchiude, incapace com'è di sentire la realtà allo stesso modo dei suoi simili, lo condurrà però a un'estrema sofferenza, sino alla decisione del suicidio, da lui visto come l'unica via di uscita da un mondo che gli sta troppo stretto. Proprio quando Harry pare aver preso la decisione di porre fine alle sue sofferenze, ecco spuntare l'ambigua Erminia, una donna all'apparenza spensierata e felice, ma in realtà dotata di un'intelligenza fuori dal comune. Si mostra subito capace di comprendere alla perfezione lo stato d'animo del protagonista, sino a diventare la sua intima confidente. In lei le due metà, l'uomo e l'animale, si sono perfettamente fuse, creando un essere capace allo stesso tempo di comprendere in profondità le vicende umane, e di rimanerne ferita, a differenza dello sventurato protagonista. Erminia gli farà da maestra nell'insegnargli tutte le gioie che la vita è in grado di offrire, fino a fargli apprezzare la realtà che fino a quel momento aveva allontanato con forza. Alla fine della vicenda, in un finale di storia altamente simbolico, ad Harry verrà svelato il segreto per vivere libero dai tormenti: ridere in faccia alla vita, agli avvenimenti, prendendo con leggerezza qualsiasi vicissitudine essa ci riservi.
Il messaggio finale va a concludere un romanzo che affronta, a mio modo di vedere con maestria, un argomento ostico, in seguito ripreso dallo stesso Hesse in "Narciso e Boccadoro". Dal punto di vista del contenuto, mi sento pertanto sicuro nell'attribuire il massimo punteggio all'opera. Con riferimento alla forma e alla scorrevolezza della storia, devo dire che questa procede molto bene, eccezion fatta per la parte finale, quella ambientata nel teatro, che non ho apprezzato molto in quanto troppo simbolica e avulsa dalla storia. In definitiva comunque il romanzo merita assolutamente di essere letto.
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"La bellezza salverà il mondo"
"La bellezza salverà il mondo": è questa la verità da idiota, l'idea con la quale il giovane principe Mishkin entra in società, dopo aver passato molto tempo in una clinica Svizzera a curare la sua epilessia. Nel romanzo l'azione si riduce a poco; l'attenzione è rivolta esclusivamente all'analisi interiore del protagonista e gli eventi servono solo a mettere in luce le sue idee. Con questa opera Dostoevskij continua la sua analisi del bene e del male, filo conduttore di tutta la sua bibliografia: se con "i demoni" si proporrà di rappresentare il male, con "l'idiota" a venire a galla è il buono, incarnato appunto dal giovane Mishkin. La verità che il principe si propone di portare alla gente è quella della semplicità, della "ricerca del bello" intesa come amore per le piccole cose e, principalmente, amore del prossimo: E' su quest'ultimo punto, l'amore incondizionato verso chiunque, che il povero protagonista troverà grandi difficoltà, dal momento che tutti tenteranno di raggirarlo e verrà considerato, appunto, alla stregua di un povero idiota. La sua bontà e la purezza d'animo risalterà soprattutto dal suo amore verso la "signora delle camelie" russa Nastas'ja Filippovna, una donna ingiustamente etichettata da tutti come corrotta e perduta. A capire la sua profondità e purezza d'animo è solo Mishkin, che scorgerà in lei una bellezza sincera, reale. Questa passione tormentata, respinta dalla bella e fatale Nastas'ja, e che condurrà il principe alla sua rovina, è soltanto l'apice di una fine lenta, inesorabile, a cui il protagonista è fatalmente destinato, in virtù delle sue idee, della sua concezione delle cose, che potremmo definire rivoluzionarie, e pertanto osteggiate da chiunque incontri nel suo cammino.
Trovandomi ad esprimere un giudizio sull'opera, non posso che attrubuirle il massimo dei voti, dal momento che per me rappresenta la vetta artistica di uno dei miei autori preferiti. La lucidità con cui Dostoevskij traccia il profilo del protagonista, permettendoci di scorgere, via via che si prosegue nella lettura, la sua "verità da idiota", mi ha notevolmente impressionato, facendomi apprezzare questo romanzo più di tutti i suoi altri grandi capolavori, magari più conosciuti e apprezzati, quali "delitto e castigo" e " I fratelli Karamazov". Da un punto di vista stilistico e di forma, inutile dire che il libro incarna perfettamente lo stile dell'autore: la narrazione è tetra, claustrofobica, a tratti asfissiante. Dietro questa scorza rude ma al tempo stesso piacevole si trova un messaggio di estrema attualità e potenza, un rimedio per risollevare le sorti di un mondo ormai dato per spacciato: La bellezza salverà il mondo.
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uomo e natura in perfetto stile sturm und drang
L'aspetto principale del libro, che fa da sfondo alla vicenda e a tutto il resto, è senza dubbio la visione delle cose del protagonista, il suo modo di essere. E' un personaggio nobile d'animo, un amante delle piccole cose, della "vera bellezza", quella per intenderci legata alla natura, agli aspetti reali e sinceri della vita. Werther disdegna la mondanità, la banalità della vita e per questo decide di rifugiarsi nella campagna tedesca. E' sicuramente un disadattato; non riesce a comprendere la società che lo circonda, tutta fronzoli e apparenza. E', come detto, una persona che vive di sensazioni, di momenti, che gli permettano di "costruire mondi intorno a se" , ma è proprio questo aspetto che lo porterà alla rovina finale. Un animo nobile come il suo vive le cose in maniera troppo profonda per poter reggere all'amore non corrisposto verso Lotte. Ecco così che si assiste a un cambiamento in Werther che si riflette sulla natura che lo circonda. Da buona madre di tutte le creature diviene strumento di sofferenza e morte. In perfetto stile Sturm und Drang, Werther, con l'evolversi della situazione in cui viene a trovarsi, che si fa via via sempre più critica, si fa portavoce della natura, della sua forza, dapprima benevola poi distruttiva.
Personalmente il libro mi è piaciuto in quanto capace di esprimere bene la sofferenza e la visione del protagonista nonostante non sia un amante dei romanzi epistolari. Abbastanza scorrevole, fatta eccezione per qualche passo. Nel complesso mi sento pertanto di consigliarlo a tutti quelli che amano le storie introspettive, indagatrici dell'animo umano.
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