Opinione scritta da giov85
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La crudeltà dell'uomo
Teresa, Lorenzo, Camillo, la vecchia zia: i quattro personaggi di questo capolavoro di Emile Zola.
Un romanzo breve, ma caratterizzato da tinte fosche, scure come le vie di una Parigi sporca, polverosa, inebetita dalla vacuità dei tempi, nere come le coscienze dei due amanti, Teresa e Lorenzo, che pur di accondiscendere alla loro bestiale passione non esitano ad ammazzare il gracile Camillo, marito della donna.
Teresa e Lorenzo riescono nel loro intento, compiendo il delitto perfetto. Del tutto insospettati, possono sposarsi per coronare quello che avrebbero creduto il loro sogno.
Ma qualcosa va storto: il rimorso prende piede nelle loro vite, corrodendo le loro certezze, facendo vacillare la loro tranquillità. Emergono quindi i difetti di entrambi: Lorenzo è un gaudente, uno spietato uomo votato all’ozio ed al vizio, mentre Teresa, donna di una passività disarmante, accetta l’imposizione del matrimonio con Camillo da parte della zia, così come asseconda con complicità l’istinto omicida dell’amante.
I due, dalla morte di Camillo, non godranno mai più della loro felicità. La loro fisicità bestiale, che li aveva spinti al grande passo, li trascinerà in un vortice di paura, terrore, sospetti: un vero climax che non potrà che culminare nella tragica morte.
Man mano che i nodi vengono al pettine, a fare da spettatrice è la zia, che dapprima, del tutto inconsapevole, favorisce il matrimonio fra i due amanti accogliendoli in casa, salvo poi scoprire, ormai vecchia e afasica per un colpo apoplettico, la verità: i due sono gli assassini del suo amato Camillo. Soltanto i suoi occhi potranno gridare al mondo, sebbene invano, l’odio che solo chi ha amato tanto può provare.
Zola, con il suo naturalismo spietato, fotografa i personaggi, soffermandosi minuziosamente sui loro incubi, paure, sul degradarsi delle loro anime, creando un capolavoro che non ha uguali. Non un giudizio viene espresso dall’autore, che esegue la descrizione di un “insolito caso fisiologico”, fredda e tecnica, capace di lasciare il lettore spiazzato da quanto possa essere crudele l’uomo.
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Una lezione per il futuro
Cosa succederebbe se il mondo fosse governato esclusivamente da un’idea positiva di utilitarismo? La risposta è nella distopia di Aldous Huxley, intitolata “Il nuovo mondo”.
Il nuovo mondo, fotografato dall’autore nell’anno 632 dell’era di Ford (circa il 2540 secondo il nostro calendario e calcolato a partire dalla invenzione da parte di Ford, della catena di montaggio), sarebbe improntato ad un bieco controllo delle masse, ad una produttività industriale fine a se stessa, a soddisfare bisogni creati ad hoc per garantire un’effimera felicità. Il tutto però, ottenuto rinunciando ai sentimenti, alle passioni, alla vita. In questo futuristico e futuribile mondo, gli esseri umani vengono generati in provetta, in tante caste, ognuna delle quali creata con una propria ricetta: la casta degli alfa, tarata su un livello massimale di intelligenza, destinata a ricoprire incarichi di alto rango, e poi a seguire i beta, i gamma, i delta ed infine gli epsilon, la bassa manovalanza, la carne da macello per le catene di montaggio, caratterizzati da una scarsa intelligenza ed addestrati a svolgere meccanicamente un solo lavoro: quello che li accompagnerà per tutta la vita. Ogni individuo è tarato per avere un certo livello di comprensione del mondo, una certa capacità lavorativa e vive un’esistenza felice dove gli viene fornito ciò di cui ha bisogno. Per arrivare a questo il governo si serve di un fine meccanismo di indottrinamento passivo, di stampo pavloviano, che inizia dal concepimento e si porta avanti fino alla morte.
In questo mondo non esistono malattie e si muore per raggiunti limiti di età, quando non si è più in grado di lavorare, in strutture protette per overdose di una droga di stato, il soma, che viene utilizzata per surrogare la felicità e l’adrenalina delle emozioni.
Ma a che prezzo tutto ciò? Al prezzo dei sentimenti, della religione, dell’amore, dei rapporti di parentela, della poesia che rende ogni vita degna di essere vissuta.
Personaggi cardinali di questo romanzo sono Bernardo Marx ed il Selvaggio. Il primo è il classico uomo del nuovo mondo, nato in provetta, addestrato fin dalla nascita, ma nel cui comportamento si nota qualche crepa: dicono che qualcosa sia andato male nel corso della sua embriogenesi. Il secondo, nato in una riserva, una delle aree del mondo tenute ancora conservate per finalità scientifiche cosi come il vecchio mondo, dove si nasce ancora in maniera naturale e non si vive secondo i novelli dettami dell’ordine mondiale. Quest’ultimo portato da Bernardo Marx nel mondo civile, non riesce ad adattarvisi: si innamora, ricambiato, di una giovane donna di nome Linda. Ma un muro di incomunicabilità si erge fra le due parti, portando ad un tragico finale.
Un romanzo potente, evocativo, che fa pensare molto su alcuni possibili sviluppi di una società, la nostra, che sempre più vede nelle ideologie propugnate tout court, nel capitalismo sfrenato e nella ricerca del profitto i nuovi cardini. Una lezione per il futuro, proprio come nel solco dei più famosi romanzi distopici
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Odi et amo
Ambientato nella fredda e desolata brughiera dello Yorkshire, Cime tempestose di Emily Bronte è il romanzo dell’amore come forza totalizzante, che sfugge al razionale, trasforma le persone e le porta ai limiti estremi delle proprie azioni.
Heathcliff, un trovatello dalle origini ignote, condotto sin da giovane in una casa della piccola nobiltà della periferia inglese, ama, ricambiato Catherine, la figlia del suo padre “adottivo”. Terzo incomodo è il fratello di lei, Hindley che lo disprezza così profondamente da ridurlo, alla morte del padre, a bracciante agricolo, curandosi di abbrutirlo sempre di più.
La rozzezza del giovane Heathcliff, finisce con il far vacillare la simpatia della bella Catherine, che nonostante confessi alla sua domestica con una delle più belle dichiarazioni della letteratura, il suo amore per Heathcliff, deciderà di sposare il rampollo dei vicini, il malaticcio e bizzoso Linton.
Queste le sue parole: “Il mio amore per Linton è come il fogliame nei boschi: il tempo lo cambierà, ne sono consapevole, come l'inverno cambia gli alberi. Il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce eterne che stanno sotto quegli alberi: una fonte di piacere ben poco visibile, ma necessaria. Nelly, io sono Heathcliff! Lui è sempre sempre, sempre nella mia mente: non come una gioia, non più di quanto io lo sia per me stessa, ma come il mio stesso essere. Quindi non parlare più di separazione: non è possibile.”
Da questo momento Heathcliff si lancerà in una spirale di odio, che lo porterà alle più abiette azioni con il solo fine di vendicare i torti subiti, senza tralasciare Catherine, per la quale l’amore, anche se ricoperto dall’odio, è sempre presente. Il tutto in un climax di passioni, che raggiunge il suo apice nel momento in cui Heathcliff e Catherine, ormai i punto di morte, si confessano il loro amore.
“Ora dimmi come hai potuto essere così crudele con me, crudele e falsa. Perché mi disprezzasti? Perché ingannasti il tuo stesso cuore, Cathy? Non mi viene una sola parola di conforto. Tu meriti questo. Ti sei uccisa da sola. Sì, puoi baciarmi, e piangere; e strapparmi baci e lacrime; essi saranno la tua rovina... la tua dannazione. Tu mi amavi; che diritto avevi di lasciarmi? Che diritto? Rispondimi. Lasciarmi per quel misero capriccio che ti prese per Linton? Giacché né la miseria, né la degradazione, o la morte, né qualunque pena che Dio o Satana potessero infliggere, avrebbero potuto separarci, tu lo facesti di tua volontà. Non ho infranto il tuo cuore, tu l'hai infranto; e nell'infrangerlo, hai spezzato il mio. Tanto peggio per me che sono forte. Se voglio vivere? Che vita sarà quando tu... oh, Dio! Piacerebbe a te vivere con la tua anima nella tomba?”
La storia prosegue con un Heathcliff, ancora assetato di vendetta, che prosegue il suo intento catartico, nell’ossessione della ormai persa Catherine.
“Oh dicesti che non ti importava delle mie sofferenze! E io elevo una sola preghiera, la ripeterò fino a che la lingua non si sia seccata – Catherine, possa tu non trovare pace finché io avrò vita; dicesti che io ti avevo uccisa; perseguitami allora! Gli assassinati perseguitano i loro assassini, credo. So che dei fantasmi hanno vagato sulla terra. Sii sempre con me, assumi qualsiasi forma, fammi impazzire! Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti! [...] Non posso vivere senza la mia vita! Non posso vivere senza la mia anima!”
Perché Catherine non ha voluto coronareil proprio sogno d’amore con Heathclff? Perché Heathcliff ha deciso di sfogare tutto il proprio odio e la propria vendetta distruggendo la famiglia che lo aveva cresciuto ed impossessandosi delle vecchie proprietà della stessa con ogi sotterfugio? Sono domande che a prima vista rimangono irrisolte, ma che trovano forse risposta i quell’irrazionalità che in fondo in fondo domina le nostre azioni e la nostra vita.
Questo irrazionale trasforma l’amore in ossessione, in odio, piega le anime spingendole al limite estremo delle proprie azioni.
Sembrano quasi echeggiare lontanamente i versi di Catullo:
"Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior"
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La forza dell'amore
Il romanzo La signora delle Camelie, narra la storia di un amore impossibile: quella fra Marguerite e Armand. Marguerite è la più famosa cortigiana di Parigi: la sua bellezza è leggendaria e si sa che è disposta a concedersi a tutti coloro che riusciranno a soddisfare il suo desiderio di lusso. Armand Duval, che vive a Parigi per iniziare la propria carriera di avvocato, è il rampollo di una benestante famiglia di provincia.
L’incontro avviene una sera a teatro e subito scocca la scintilla da parte di Armand che si innamora di Marguerite, nonostante lei lo avesse maltrattato. Il novello amore per la donna è così forte da superare quel primo negativo impatto, tanto che Armand, durante una delle frequenti assenze dalla “Dolce Vita” parigina di Marguerite, malata gravemente di tisi polmonare, si recherà tutti i giorni a casa della donna per chiedere alla servitù, senza presentarsi, notizie sul suo stato di salute.
Dopo molto tempo i due hanno modo di rivedersi ed Armand confessa i propri sentimenti a Marguerite che, avendo scoperto chi fosse l’uomo che tutti i giorni chiedeva di lei, di fronte a tali dedizione ed abnegazione, si innamora del giovane concedendo ciò che non era mai riuscita a provare per nessun altro uomo: l’Amore.
Inizia qui la nuova vita di Marguerite che abbandonerà i suoi vecchi amanti per dedicarsi ad un rapporto stabile con il proprio innamorato Armand. L’idillio tuttavia durerà pochissimo: la giovane cortigiana è oberata di debiti, gli strascichi della sua vecchia vita ancora si affacciano sul presente e, venendo meno le rendite dei suoi amanti, non sa come evitare di soccombere. Di fronte a queste difficoltà e decisa a non chiedere denaro ad Armand, per far sì che il loro puro legame non venga sporcato dal vile denaro, Marguerite riprende segretamente la frequentazione con un vecchio duca, già suo patrono in precedenza.
Armand, scoperta la verità insiste per donare alla donna il denaro di cui necessita: è addirittura disposto a donarle tutte le sue rendite familiari pur di riuscire a risollevarla. A questo punto, tuttavia, interviene i padre di Armand che impone a Marguerite di lasciare il giovane per evitargli un tracollo finanziario. Inaspettatamente Marguerite, eroina del romanzo, con fare stoico accetta le preghiere dell’anziano uomo, in nome dell’amore che lo lega ad Armand e lascia per sempre il suo amante come prova di amore estrema.
Storia straziante, commuovente, dalla quale emerge la figura di Marguerite, donna da facili costumi, complessa, eppure capace, in nome dell’amore, di scelte che vanno oltre il limite della comprensione: lei sa che vivrà poco, sa che nulla cancellerà il suo passato e che non ci sarà redenzione nel mondo dei vivi per una “mantenuta”, se non quella personale che passa attraverso l’amore, quello vero, spirituale, che non si sporca con il vile denaro e che porta a rinunciare a ciò che si ha di più caro.
Perfetta la tessitura del romanzo, che si dipana fra frequenti flash-back ed intermezzi epistolari, commuovente la storia ed encomiabile nel suo senso ultimo che si evince sin dalle prime pagine di cui riporto uno stralcio: “ [...] mi vergogno a raccontarlo, tuttavia non parlo di cose immorali per il gusto di farlo, ma per presentare un fatto vero, che forse farei meglio a tacere, se non fossi convinto che bisogna, ogni tanto, rivelare i patimenti di quegli esseri che condanniamo senza averli ascoltati, che disprezziamo senza averli giudicati”.
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Come si diventa uomini
La Figlia del Capitano, scritto da Puskin, racconta la storia del giovane Pëtr Andréevic Grinëv, rampollo di una famiglia di militari, che vede la sua vita segnata sin dall’infanzia: servirà la patria nell’esercito russo. L’infanzia scorre tranquilla per il protagonista finché il padre decide finalmente di arruolarlo, ma non in una grande città, bensì in un piccolo avamposto di frontiera, al fine di porre il ragazzo di fronte alle vere difficoltà della vita. Si tratta di un fulmine a ciel sereno per lo spensierato Pëtr, che a malincuore si dirige verso la fortezza a cui era stato destinato, senza immaginare tuttavia che in quel luogo così lontano dal mondo “civile”, diventerà Uomo: conoscerà la vita militare, l’obbedienza ai superiori, la delusione del tradimento, la disillusione nei confronti delle amicizie, ma soprattutto troverà l’amore che lo renderà coraggioso oltre il limite dell’immaginazione tanto da sfidare il temuto Pugacëv e i tribunali militari.
Il romanzo dipinge in maniera perfetta la crescita umana e spirituale del protagonista e rappresenta sicuramente uno dei capisaldi della cosiddetta letteratura di formazione. Quel che colpisce è la versatilità della prosa che, per quanto sottoposta alla mano del traduttore, rende onore al romanzo, risultando di una leggerezza che lascia stupefatti, soprattutto in considerazione del fatto che l’opera è datata 1836.
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Un capolavoro
Canne al Vento, capolavoro della scrittrice Premio Nobel, Grazia Deledda, è il romanzo del rimorso, dell’espiazione suprema. Il protagonista, il servo Efix, lavora per le sorelle Pintor, nobili decadute, con un’abnegazione ed un amore che sembrano innaturali: egli sta pagando lo scotto di un vecchio peccato, conducendo una vita santa, con l’unico obiettivo di proteggere le tre sorelle. Le giornate passano uguali per Efix e per le sorelle, finché non giunge al paese Giacintino loro nipote, che porterà la famiglia sull’orlo del tracollo finanziario. Dalle pagine del romanzo svetta la figura del servo, che combatterà strenuamente per evitare il disastro e, intraprendendo un cammino interiore vedrà, beffato dal destino, realizzati i propri sforzi ed i propri desideri solo in punto di morte. Questo processo di crescita, questa capacità di accettare il peccato e soprattutto il conseguente castigo come unica via di purificazione, rende Efix uno dei monumenti della letteratura moderna.
“Siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.” Le nostre vite sono in balia del vento del destino, possono ondeggiare a destra, a sinistra, talvolta spezzarsi. Ma non si tratta di un messaggio di passività. Dalla lettura del romanzo scaturisce un significato ancora più profondo: il vento, la sorte, non sempre spezza le canne, molto più spesso queste resistono, si piegano e continuano a vivere. Gli unici nerbi, che possono permetterci di reagire alle folate del vento, il nostro destino, sono l’amore per il prossimo e la comprensione, che dovrebbero sempre guidare tutte le nostre azioni.
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Lo specchio di un'epoca storica
In questo romanzo Tomasi di Lampedusa, narra la storia del principe Fabrizio, capostipite del casato siciliano dei Salina, il cui stemma è un Gattopardo, nel periodo dell’Unità d’Italia. Il crocevia storico non era di certo proprizio per il ceto nobiliare che viene minato dalla graduale ma inesorabile ascesa della borghesia. La decadenza della famiglia Salina in questo romanzo è specchio della decadenza di tutta la nobiltà sotto i colpi della Storia.
Il vero punto di forza dell’intero romanzo è il personaggio del Principe Salina. Una personalità complessa: aristocratico di razza, legato al proprio stemma, di grande cultura, amante della scienza, unico modo per riuscire a sentirsi dominatore di un mondo che sempre più sfugge al controllo, ed allo stesso tempo consapevole che il nuovo corso che gli eventi storici avevano preso, con la fondazione del Regno d’Italia e con la spinta innovatrice tanto declamata dai “conquistatori” piemontesi, si sarebbe ben presto risolta in un nulla di fatto. La disillusione del principe fa sì che possa acconsentire al matrimonio del nipote Tancredi, da lui fortemente ammirato, con la bella Angelica, figlia dei Sedara, appartenenti al nuovo ceto di arrampicatori sociali.
Memorabili due passi del romanzo: il colloquio del Principe con il Cavaliere piemontese Chevalley che era venuto ad offrirgli un seggio di Senatore d'Italia, rifiutato dal Salina in quanto si considera troppo colluso con quell’aristocrazia che nel corso dei secoli è stata la responsabile dell’immutabilità della situazione siciliana (“Vengono per insegnarci le buone maniere, ma non lo potranno fare perché noi siamo dei”); e, negli ultimi capitoli, l’agonia del principe, che esegue un bilancio della propria esistenza fra l'orgoglio della propria nascita, le piccole soddisfazioni e la consapevolezza della vacuità delle cose (“Ho settantatrè anni, all'ingrosso ne avrò vissuto, veramente vissuto, un totale di due tre al massimo. E i dolori, la noia quanti erano stati?...Tutto il resto:settant'anni”).
Un libro fantastico che è utile, inoltre per comprendere come alcune dinamiche storiche in atto nel corso dell'Unità di Italia, siano ancora oggi responsabili dell'attuale stato di cose.
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Avvincente
Il romanzo narra le vicende della famiglia Uzeda, appartenente alla vecchia aristocrazia siciliana di origine spagnola, alle prese con un importante crocevia storico: il disfacimento del Regno di Napoli e la nascita del Regno d'Italia. Fra vecchi privilegi accumulati dalle famiglie nobiliari e nuovi obblighi nei confronti del neonato stato unitario, i componenti della famiglia si barcamenano ciecamente alla ricerca di profitti, vantaggi personali e del mantenimento di quella vecchia supremazia di cui sono depositari in quanto eredi dei Viceré di Sicilia. La storia si basa su innumerevoli personaggi, tutti ben delineati, alcuni addirittura grotteschi nel loro realismo, che formano una galleria che non ha uguali nella letteratura italiana. Spiccano di sicuro in questo corteo di caratteri la principessa Teresa Uzeda, vendicativa, dispotica, arrogante, che fa di tutto pur di assecondare i capricci del terzogenito Raimondo, mortificando tutti gli altri figli; l'erede del titolo, Giacomo, accaparratore seriale di ricchezze, il cui unico obiettivo è quello di riconcentrare nelle sue mani quel patrimonio che la madre gli aveva negato; lo zio Don Blasco, blasfemo ed arrogante monaco benedettino, che "reagisce" alla dissoluzione del convento di cui faceva parte, imposta dal Regno di Italia, con l'acquisizione di numerose proprietà e che, dimentico dei dettami dell'ordine di cui fa parte finirà col condurre una vita quasi laicale. A questi personaggi, se ne associano molti altri, tutti ondeggianti fra due vizi estremi: il relativismo morale ed etico da un lato e il gretto conservatorismo dall'altro. Tutti insieme, i membri della famigla Uzeda, forniscono uno spaccato estremamente realistico del disfacimento morale dell'aristocrazia all'affacciarsi della modernità: la nobiltà non è più tale per sangue, per famiglia, ma rimane tale alla luce dei privilegi e delle proprietà acquisite.
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