Opinione scritta da JoeGreen
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La storia di un ragazzo compulsivo
Mi chiamo Chuck è un libro divertente, scorrevole, pragmatico ed esaustivo. E' la storia di un ragazzo che, effettuando varie ricerche su Wikipedia, scopre di essere affetto dal disturbo ossessivo-compulsivo. Dalla consapevolezza del problema si passa ai tentativi per risolverlo che coroneranno una gioventù forse troppo tardiva, un'identità precoce.
Lo stile di scrittura è alquanto semplice, coronato da un lessico prevalentemente giovanile, qui vi è riposta la bravura narrativa di Karo che, nonostante non sia nel fiore dell'età, riesce ad immedesimarsi nel personaggio regalandoci un ottimo libro, senza troppe pretese.
Il contenuto l'ho trovato abbastanza blando, la storia è semplice: Chuck apparentemente sembrerebbe un diciassettenne qualunque, se non fosse che segue una serie di rituali che hanno parvenze totalmente compulsive (controllare le piastre dei fornelli, chiudere l'armadietto quattordici volte, contare le - a detta sua - pippe ecc.).
Il suo nome è Chuck Taylor e, come si potrebbe esattamente supporre, è un fan accanito delle converse. Ma per lui le converse hanno una valenza diversa dal "normale", le scarpe rappresentano il suo stato d'animo, ed ogni giorno seleziona un colore differente, nel disperato tentativo di fuggire, in una ricerca contro se stesso, il tanto agognato nero, il colore neutro, il colore dei colori.
Intraprenderà un programma psichiatrico con la Dottoressa S., che farà da tappeto ad un'esistenza fuori dal normale ma che forse di tanto inusuale non ha nulla.
Il nostro Chuck dovrà fronteggiare l'amore per Amy, ragazza nuova a scuola, e questa sarà per lui una grande sfida.
Dunque come si può denotare la storia è abbastanza ovvia, una storia tipica americana, questa non è assolutamente una critica per Karo, anzi, riesce ad integrare un tema così complesso e così temuto in una vita comune, una vita qualunque.
Un libro che si legge tutto d'un fiato, un libro che non arricchisce, ma che rapisce; le pagine si sfogliano velocemente ed ogni pagina restituisce il piacere, coronato dallo sfogliarne un'altra.
La piacevolezza è dunque indubbia, un libro da leggere per sperimentare un piacevole momento di pausa, un libro edulcorato.
"Mi chiamo Chuck, ho diciassette anni e, stando a Wikipedia, soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo."
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Non sono infatti i difetti a renderci umani?
Phobia è un viaggio nella paura, un'esplorazione del lato oscuro delle persone, un incontro con un super-ego angosciante ed ingombrante.
La storia che fa da medium ha una location totalmente diversa da quelle che Dorn ci aveva precedentemente mostrato, ora ci troviamo in Inghilterra, più precisamente a Forest Hill.
Sarah Bridgewater è una donna comune, con una vita comune, almeno fino a quando non incappa in una problematica che darà il titolo a questo libro: la paura.
La paura di fallire, di sbagliare, di non credere più in se stessa, quella paura che l'aveva fermata e l'aveva resa un'ulteriore pedina di una dama mortale.
Dovrà misurarsi con essa, affrontarla e, eventualmente, superarla.
Tutto inizia quando suo figlio Harvey, una notte, sostiene di aver visto un uomo alla finestra, Sarah ritenendola una rappresentazione mentale infantile non ci fa molto caso, ma ciò che troverà in cucina avrà dell'inverosimile: un uomo, con gli stessi abiti del marito, si sta preparando un panino.
Sostiene di essere Stephen ma contro di lui giocano le innumerevoli cicatrici sul viso, e caratterizzazioni totalmente diverse dal reale Stephen, che sarebbe dovuto essere via per lavoro.
Così per Sarah ed Harvey iniziano una slavina interminabile di problemi, di giochi, di terrore, che il caro Mark Behrendt (chi ha letto la Psichiatrà comprenderà) sarà in grado di sbrogliare.
Dico con estrema cognizione di causa che Phobia è un libro alquanto particolare, l'inizio è esplosivo, il lettore, sin dalle prime pagine, si trova catapultato in una storia molto avvincente, della quale riuscirà ad apprezzare cambiamenti ed inversioni nel corso della lettura.
Devo ammettere di essere rimasto alquanto deluso dal finale, credo con fermezza che Dorn dovrà scrivere un seguito, se non altro per non lasciare tutti noi sulle spine.
Phobia è davvero un libro eccezionale, scritto in modo sublime da Wulf Dorn, riesce ad impaurirti, interessarti e ti rende schiavo di quelle pagine.
La lettura è scorrevole, molto ben schematizzata, con un intreccio altresì complesso, e dunque molto spesso occorre fare appello alla propria memoria per non perdere il filo della storia.
In sostanza un libro indubbiamente da leggere, un ennesimo capolavoro di questo autore che, purtroppo, permane ancora poco conosciuto, ma che meriterebbe maggiore visibilità.
"Non era mia intenzione muoverti rimproveri o giudicarti per il tuo comportamento. Volevo solo spingerti a riflettere, spero sinceramente di esserci riuscito."
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Un saggio dei nostri tempi
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è la storia di una ragazza, la storia di un amore, la storia di milioni di teenagers, la storia dei nostri tempi.
E' un saggio d'orrore, nudo e crudo, su argomenti che sono sempre stati caldi.
Certo, stilisticamente non è il massimo, ma è un libro di denuncia, denuncia dei soprusi, dei problemi, delle difficoltà.
Denuncia di una ragazza che passa dal vivere in campagna al frequentare la discoteca "Sound" girovagando in un nauseante tunnel dell'orrore che migra dal fumo, dalle pasticche, fino ad arrivare alla droga della morte: l'eroina.
E così inizi il tuo viaggio con Christiane, sembri la sua anima gemella, arrivi a piangere e disperarti per qualsivoglia sua perdizione, per la sua caduta nel tunnel, la sostieni nella ripresa, e ti senti giù alla ricaduta.
Il tunnel della droga è davvero un buco nero che ti risucchia la vita, e questo libro si pone come obbiettivo quello di istruire i giovani e di mostrare la letalità di queste sostanze, non di certo ad interessarli o ad affascinarli.
E' pur vero che vieni coinvolto così emotivamente lontano che arrivi a porti a Berlino.
Quello di visitare lo zoo di Berlino è un mio grande sogno, che spero di poter realizzare un giorno.
Romanzo brutale, da leggere e far leggere, a qualsiasi età, romanzo di un'era, romanzo intramontabile, romanzo di vita.
"Non sapevo più perché avevo paura di morire. Di morire da sola. I bucomani muoiono da soli. La maggior parte in un cesso puzzolente. Ed io volevo morire. In realtà non aspettavo niente altro che quello. Non sapevo perché ero al mondo. Anche prima non lo avevo mai saputo con esattezza."
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Eureka
Quello che provo nell'essere il primo a scrivere un commento per questo libro è strano, rappresenta per me una responsabilità, come se le prime parole lasciate nel vento di un dolce tornado debbano essere spese in modo sagace e degno.
Ma, ad ogni modo, riporterò ciò che credo.
Teorema Catherine è, forse, l'opera più sottovalutata di John Green, o meno conosciuta, che dir si voglia.
La cosa emozionante è che ho appena terminato il libro ed ho detto a me stesso che non sarei riuscito a definirmi un lettore se non avessi scritto una recensione a riguardo.
Teorema Catherine è un intriso di genialità, formazione, coraggio e avventura, un connubio di idee, uno sposalizio di medioevo e rinascimento.
Il romanzo è incentrato sulla figura di Colin Singleton, un mezzo-genio, o, come sostiene lui, un ex-prodigio, che vive la sua vita nell'esasperata ricerca di quel momento eureka, che, come molti sanno, trova radice nel verbo greco eurisko, che significa trovare.
Vuole trovare la sua vita, la sua genialità, quel momento che non gli permetterà di cadere nell'oblio e sprofondare nella miscredenza di se stesso.
Intanto la sua vita scorre, e per quanto possa scorrere nel verso giusto ha una particolarità: tutte le sue ex ragazze si chiamano Catherine, ed è stato un Mollato per ben 19 volte; così, intraprendendo un viaggio on the road con il suo fedele amico Hassan, ed incappando a lavorare a Gutshot, tra varie peripezie, tenterà di stipulare un Teorema che preveda l'esito delle relazioni amorose.
Riuscirà Colin a scovare questo Teorema? Avrà esso riscontro nella vita reale? Sono domande che possono trovare risposta solo in 319 pagine di puro divertimento e compartecipazione vitale tra il lettore ed il referente, in tal caso, John Green.
"Voleva piangere, ma invece sentiva solo un dolore dietro il plesso solare. Piangere è aggiungere qualcosa: piangere è tu-più-le-lacrime. Ma la sensazione che Colin provava era l'esatto - e orribile - contrario del pianto. Era tu-meno-qualcosa. Continuava a pensare a una sola parola, sempre, e sentiva quel dolore bruciante proprio sotto la cassa toracica."
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"Immaginare il futuro sa di rimpianto"
Il capolavoro di John Green, dico con estrema fermezza che, a mio parere, Cercando Alaska è la sua opera più bella, appassionante, romanticamente tragida.
Un misto di azione, controllo e stravolgimento.
Leggendo il personaggio di Alaska, figurandoti nella mente un tale soggetto, vieni travolto, davvero, è come se fossi una barchetta in mezzo alle onde, in una tempesta.
Alaska è un personaggio così dolcemente complicato, un rebus vivente, avrei voluto conoscerla per il semplice fatto di poter apprezzare il suo essere a tutto tondo.
Miles Halter è un ragazzo comune, forse con qualche passione un po' meno comune degli altri, è un genuino ammiratore delle Ultime Parole Famose, e parte per la Culver Creek in cerca del suo grande forse; e chissà se questo ha un nome, ma se ce l'ha, non può che essere Alaska Young.
Le peripezie di Miles e Colonnello fanno di tutto il libro un'opera avvincente, e la costante presenza di Alaska fa quasi rabbrividire, potrei paragonarla ad un gigante che si estende sul mondo con il suo sguardo forte.
Ma in realtà Alaska non è ciò che vuol apparire, è molto debole, e la sua debolezza le costerà molto; il suo passato ha segnato in lei delle bruciature irrimediabili, e leggere di lei, del suo passato e del suo futuro, ti fa sentire parte di un animo forte e debole, di un'amara cioccolata che non puoi fare a meno di gustare.
Cercando Alaska è il perfetto mix di movimento e calma, è un dramma moderno, il mio libro preferito di John Green perché mi ha segnato completamente, e, a distanza di mesi, sento ancora la voce figuratami di Alaska che dice "Voialtri fumate per il gusto. Io fumo per morire."
Potrei scegliere qualsiasi modo per terminare la mia recensione, ma credo che far parlare Miles sarebbe lo stesso, perché mi sento parte di quella mandria di ragazzi della Culver Creek.
“L'uomo vuole avere delle certezze. Non riesce a sopportare l'idea che la morte sia un nero e immenso nulla, il pensiero che i suoi cari non esistano più, e tanto meno può immaginare se stesso come non esistente. Conclusi affermando che l'uomo crede nell'aldilà perchè non ha la forza di non crederci."
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"E' una metafora"
"Sono innamorato di te, e so che l'amore è solo un grido nel vuoto, e che l'oblio è inevitabile, e che siamo tutti condannati,e che verrà un giorno in cui tutto il nostro lavoro sarà restituito alla polvere , e so che il sole inghiottirà solo la terra che non avremo mai, e io sono innamorato di te"
Trovarmi a recensire un libro letto qualche mesetto fa, ma che per me rappresenta un vero e proprio evergreen, è una gioia. Colpa delle stelle è un libro davvero fantastico. Semplice nella stesura del testo, ottima capacità stilistica, critica arguta e descrizioni ampiamente espresse fanno da capolinea ad un romanzo davvero bello. Mi sono innamorato di questo libro, parola dopo parola, quando lo lessi non volevo staccarmi da esso, perché sì, è questo che ha destato in me Colpa delle stelle. Leggere questo libro è come essere travolto da una scarica di emozioni incontrollabili, che ti mangiano, ti rendono un essere piccolo in mano a lettere con una potenza nettamente superiore alla tua.
La tematica della morte, trattata sotto la narrazione di un amore giovanile, per certi versi verosimile e per altri versi totalmente inusuale; è celata perfettamente. Quasi non si avverte come l'argomento più forte, ossia quello del cancro, della malattia, sia preponderante. Il viaggio di Hazel è avvincente e ti senti sittanto parte viva della storia che arrivi a condividere i sentimenti della protagonista, perfino ad odiare con tutto te stesso una persona che prima, insieme alla Lancaster stessa, amavi; e sì, mi sto riferendo all'amatamente odiato Peter Van Houten.
Dopo aver terminato il libro le naturali riserve idriche di cui disponeva il mio corpo si sono eliminate completamente, per non parlare della dolce tristezza e malinconia avuta nei giorni a seguire.
Un libro davvero eccezionale, consigliato a chiunque, perché con semplicità riesce a prenderti ed a renderti schiavo senza mai dirti cosa fare.
"A me piacciono le mie scelte, spero che a lei piacciono le sue.
Mi piacciono, Augustus, Mi piacciono".
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