Opinione scritta da Vanellope Von Schweetz

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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    13 Febbraio, 2015
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…di libri perfetti...

Ecco "Il Romanzo", ovvero quel libro che avrei voluto leggere da tantissimi anni e che mi ha tenuto impegnata per settimane, anzi posso dire, citando il titolo, mi ha davvero "posseduto".
"Possessione" è un'opera monumentale, difficile, colta, corposa, che risucchia il lettore nelle sue pagine e chiede da lui un grande sforzo di concentrazione e comprensione; allo stesso tempo è un capolavoro, un romanzo così bello che appena chiuso viene voglia di riaprirlo e ripartire dall'inizio per cogliere tutte le sue mille sfaccettature.

Qualche cenno alla trama:
Lo studioso Roland Mitchell scopre fortunosamente un carteggio sconosciuto appartenuto al poeta vittoriano Randolph Henry Ash. Nel tentativo di scoprire il destinatario della missiva chiede aiuto alla studiosa femminista Maud Bailey. I due scoprono insieme la relazione segreta intercorsa un secolo prima tra il poeta e la poetessa Christabel La Motte, in una corsa contro il tempo per trovare tutti gli indizi e ricostruire questo intreccio inedito prima di altri studiosi, ossessionati anch'essi dai due poeti. Le vicende vittoriano si legano a doppio filo con il presente, Roland e Maud finiranno per essere al tempo stesso investigatori e innamorati in un magistrale gioco di rimandi tra presente e passato.

Questo il plot in poche righe, comunque inadeguate a descrivere appieno un romanzo tanto complesso e sfaccettato.
"Possessione" (1990) è un perfetto romanzo postmoderno, tanto è vero che Wikipedia dice fu scritto in "risposta" a "La moglie del tenente francese" di John Fowles, altro caposaldo del movimento (opera da recuperare assolutamente come il relativo film con Meryl Steep).
L'autrice è immensamente brava ad infarcire la sua opera con tutte le caratteristiche tipiche della corrente, infatti ciò che rende il romanzo tanto speciale e allo stesso tempo tanto corposo, è il suo essere costituito da frammenti di lettere, diari, trattati, poesie, favole, interi poemi appartenuti ai due poeti vittoriani Ash e La Motte, così che la romantica e celata storia del passato si dispiega davanti ai nostri occhi e diventa attuale, moderna, il rovescio della medaglia della relazione tra Roland e Maud.
Viene proprio da chiedersi se i due poeti vittoriani siano realmente esistiti, dal momento che essi appaiono al lettore così veri, vivi, pieni di vitalità. Invece la Byatt è riuscita a creare un mondo che è tutto interno alla sua fantasia. Ash e La Motte sono il frutto della sua incredibile creatività, ma prendono vita dalle pagine del suo romanzo, tanto da sembrare a più riprese, quasi più vivi di alcuni studiosi che liindagano da anni, che ne hanno fatto la loro unica e sola ragione di vita, e sono diventati più ammuffiti e stantii dei documenti che cercano ossessivamente di catalogare.

Questo ci porta a parlare di un'altra tematica del romanzo, ovvero la dura critica della Byatt nei confronti degli studi accademici. Il libro è pieno di ricercatori ossessionati, "posseduti", dagli autori che studiano e di cui curano il lascito. Essi considerano gli autori del passato come una loro proprietà, ne collezionano ossessivamente gli oggetti più insignificanti, in una gara anche sleale per avere ogni cimelio. Nessuno è immune da questo innamoramento malsano per l'oggetto delle proprie ricerche e il primo ad esserne posseduto è proprio il protagonista, Roland. Egli trova per primo le lettere inedite di Ash e invece di metterle a disposizione del dipartimento per cui lavora, le cela al pubblico nel tentativo di ricostruire autonomamente l'intreccio inedito e romantico tra il suo autore di culto e la sua misteriosa amante, sperando in cuor suo di riuscire a dare una svolta alla sua vita accademica scialba e senza apparenti possibilità di miglioramento.
La parola chiave del romanzo fin dal titolo è appunto possedere: possedere oggetti del passato e farne la proprio ragione di vita. Trovare il senso della propria esistenza attraverso cimeli del passato, vivendo quindi in quel passato anziché nel presente. Questo è quello che fanno tutti i personaggi delle pagine della Byatt, vivono rinchiusi nei loro polverosi uffici, topi di biblioteca senza più nessun contatto con il presente, uomini e donne di oggi completamente risucchiati dal secolo precedente.

"Possessione" è come un diamante, stupendo, prezioso e dalle mille sfaccettature. A seconda di come lo si guarda assume un aspetto diverso.
È una doppia storia romantica che intreccia passato e presente, è una critica al mondo accademico e universitario, è una perfetta (e insieme fittizia) ricostruzione storica di due poeti vittoriani, è perfino un thriller farcito di colpi di scena, corse contro il tempo e rocambolesco finale con disvelamento della verità.
Tutto ciò lo rende il capolavoro che è.
Vi consiglio di leggerlo e soprattutto di non lasciarvi intimorire dalle digressioni che lo possono far apparire prolisso e noioso. Se saprete insistere e riuscirete a scalfirne la superficie scoprirete che oggetto prezioso sia.

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Ha voglia di mettersi in gioco con un libro che è una sfida.
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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    15 Gennaio, 2015
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#classicidarileggere

Dopo aver chiuso questo romanzo di Hugo, la parola che mi viene in mente per definirlo è iperbolico. Hugo è esagerato in ogni suo elemento, è eccessivo, nella lunghezza delle sue opere, nel gusto della parola, del racconto barocco ed esagerato, nelle passioni travolgenti e sempre sopra le righe. Tanto per darvi un esempio: l'uomo che ride entra nel vivo ben dopo la metà, per tutta la prima parte il lettore anela a conoscere i protagonisti ma questi gli appaiono sempre in episodi sparsi, inframmezzati da lunghissime digressioni che, se da un lato sono perfino snervanti, dall'altro creano una sorta di "sete" di sapere cosa accadrà loro; ed è questa "sete" che ti spinge ad andare avanti affrontando diversi ostacoli come l'enumerazione di tutti i principi e signori d'Inghilterra (!!!), la minuziosa conformazione morgologica della penisola di Portland o un'intera sezione dedicata alla Matutina, una nave in balia della tempesta che, nonostante serva all'economia del romanzo, mette a dura prova la pazienza del lettore medio.

Come si fa però a non innamorarsi del protagonista Gwynplaine?
Come non infatuarsi dell'eterea Dea? Del burbero Ursus e di Homo, il lupo che veglia su di loro?

E così arrivo a tratteggiare un po' la trama:
In una notte d'inverno sulla costa inglese spazzata da una terribile tempesta di neve, un bambino, Gwynplaine, viene abbandonato da una banda di comprachicos, delinquenti dediti al commercio di esseri umani. Egli è sfigurato in volto da una orribile cicatrice che lo costringe ad un ghigno perenne e lo deforma rendendolo un fenomeno da baraccone. Grazie alla sua tenacia e all'incoscienza della sua giovane età riuscirà a salvarsi. Lungo il cammino verso un villaggio salverà da morte certa anche una neonata cieca, Dea. I due troveranno rifugio nella carovana di un filosofo e artista girovago, Ursus, che vive di espedienti in giro per l'Inghilterra insieme ad un lupo addomesticato di nome Homo. Il ghigno di Gwynplaine faranno la fortuna del piccolo gruppo che riuscirà a diventare famoso e ad avere un posto fisso a Londra. Ma Gwynplaine scoprirà anche il vero volto della capitale inglese e verrà scaraventato dalla semplicità del suo carrozzone, alla crudeltà della nobiltà inglese in seguito ad una serie di avventure e coincidenze rocambolesche e avventurose al limite del possibile.

Nei personaggi del romanzo si mescolano bene e male, alto e basso, miseria e nobiltà in un susseguirsi di eventi. L'alto e il basso però non si mescoleranno mai, nemmeno in modo accidentale, i personaggi hanno ruoli ben definiti e chi è malvagio non si riscatta, rimane perennemente chiuso nel suo guscio di malvagità, così come i buoni restano tali fino alla conclusione.
Hugo veicola il messaggio che la vera felicità, l'amore, i sentimenti positivi risiedano tra coloro che vivono più umilmente, esemplificati dall'universo del carrozzone degli artisti, la Green-Box, a cui appartengono appunto Gwynplaine e Dea.
La corte, opulenta e ricca, è invece il luogo della depravazione e dell'inganno, dove non esistono valori ma solo doppi giochi, sopprusi, voltafaccia, malvagità. L'empità investe tutti, da uno dei personaggi più negativi che abbia mai incontrato, l'infido cortigiano Barkilphedro che gode nel fare il male con un gusto fine a se stesso, fino alle più alte cariche, fino alla stessa regina Anna.

Come non amare invece tutti gli abitanti della Green-box?
Ursus, da burbero e solitario filosofo girovago si trasforma in amorevole padre dei due orfanelli. Volendo solo il bene per loro arriva perfino ad inscenare un finto spettacolo per salvaguardare la delicata Dea e non farle sapere che Gwynplaine non è più con loro nella scena piu commovente e tragica dell'intera opera.

"Il vecchio è una rovina che pensa; Ursus era quella rovina. La loquacità del ciarlatano, la magrezza del profeta, l'irascibilità di una mina carica, questo era Ursus."

Dea è la purezza, la donna angelicata e intoccabile, la quintessenza della bontà, dell'innocenza. I suoi occhi ciechi sono il simbolo di come un occhio che non vede sia l'unico capace di scrutare oltre le apparenze e amare colui che tutti definiscono "mostro", ma che è tale solo esteticamente.

Gwynplaine è uno dei personaggi più straordinari che io abbia mai incontrato in tanti anni da lettrice. Costretto ad un ghigno perenne e a far ridere gli altri con la sua faccia, è un'anima tormentata e tragica, dilaniata dalle sue emozioni. È l'esempio di come un'anima bella si nasconda dietro una maschera di dolore, dietro un freak di cui il pubblico vede solo l'esteriorità.
Egli è immenso, in ogni gesto o parola e la sua parabola è quella dell'uomo che sale tutti i gradini sociali per scoprire infine che la vera felicità consiste nell'avere poche cose materiali ma possedere l'amore vero, quello che lega lui e Dea.
Non dimentichiamo poi che, proprio Gwynplaine ha ispirato personaggi del nostri attuale immaginario, come il Joker di Batman o il Corvo dei fumetti e del famoso film!

"La natura era stata prodigalmente benefica con Gwynplaine. Gli aveva fornito una bocca che si apriva fino agli orecchi, orecchi che si ripiegavano sugli occhi, un naso deforme fatto apposta per sostenere le oscillazioni degli occhiali di chi fa smorfie, e un viso che non si poteva guardare senza ridere.
[...] Ma era stata proprio la natura?
Non era stata anche aiutata?
[...] Ma il riso è poi sinonimo di gioia?"

"Egli era l'Uomo che Ride, la cariatide di un mondo in lacrime. Egli era l'angoscia pietrificata in ilarità, sosteneva il peso di un universo di disgrazie, ma era murato per sempre nella giovialità, nell'ironia, nel divertimento altrui; egli condivideva con tutti gli oppressi, di cui era l'incarnazione, l'atroce destino di una desolazione non presa sul serio; si scherzava con la sua miseria; era una specie di grande pagliaccio generato da uno spaventoso concentrato di sventure, un evaso dal bagno penale, divenuto Dio, salito alle profondità del popolino fino ai piedi del trono"

L'uomo che ride è un libro d'altro tempi, che richiede al lettore un immenso sforzo e tanta pazienza per farsi strada tra i suoi infiniti monologhi, tra digressioni che sembrano non portare da nessuna parte; nonostante questo, dategli una possibilità, tenete duro e non ve ne pentirete. Arriverete in fondo sfiniti, squassati nell'animo, in balia delle onde proprio come la Matutina nella tempesta di neve, ma avrete letto un grande classico ottocentesco che porterete per sempre nel vostro cuore!

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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    03 Ottobre, 2014
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Un consiglio? Non perdere tempo a leggerlo!

Per prima cosa devo dar atto alla Roth che 'finalmente' ha dato risposta a molte delle domande che avevo continuato a pormi nel corso dei due libri precedenti! Yeahhhhh!!! (urla di gioia e giubilo!!!) Era ora!
Ma… ora mi chiedo: ha senso rimandare così tanto le spiegazioni riguardanti un intero universo distopico che avrebbe bisogno di più chiarimenti per essere capito fino in fondo?
Devo dar atto all'autrice che, almeno l'inizio di questo libro, con le sue rivelazioni tardive, è un pochino (ino-ino) meglio del disastro che lo ha preceduto. Peccato che la parte intelligente del mio cervello continui a dirmi che tutta la trilogia è una cagata pazzesca!!!
Inoltre, che senso ha costruire un universo distopico per poi stravolgerlo completamento sul finale per poterlo spiegare?
Non amo gli spoiler, anche nel caso di stroncature come questa, quindi eviterò ogni accenno alla trama per non dare anticipazioni agli "Intrepidi" che con coraggio decidessero di affrontarne la lettura…

Qui finalmente la Roth esaudisce il mio desiderio di avere una narrazione con più punti di vista, fa uno sforzo e alla voce di Tris aggiunge quella di Quattro. Il problema è che i due stili narrativi, entrambi in prima persona, entrambi che si limitano ad elencare fatti e azioni senza sforzarsi di infondere alla narrazione un minimo di introspezione, non si distinguono, sono esattamente uguali, come se a raccontare fosse lo stesso narratore. Sono piatti, vuoti di contenuti e ho avuto continuamente bisogno di ricordare chi dei due stesse raccontando in quel momento; continuavo a pensare che tutto fosse raccontato da Tris come nei due capitoli precedenti.
Anzi, a pensarci bene, la Roth avrebbe fatto meglio a continuare come nei precedenti volumi perché, facendo parlare anche Quattro si scopre quanto sia insulso, privo di spessore; un eroe "de' noatri" spinto piu che altro dal narcisismo e dall'ego! È stupido e irritante e i suoi siparietti amorosi con Tris nei momenti meno opportuni (mentre è appena scoppiata una bomba, l'attacco del nemico, la fuga) sembrano appiccicati li solo ad uso e consumo del lettore medio adolescente! Che fastidio!!!

Finite le spiegazioni della prima parte si rientra nei ranghi e si ricomincia con gli "spara tutto", gli attentati, le missioni suicide, le azioni infinite che si ripetono tutte uguali in un loop che disorienta, lascia storditi e rende il resto del romanzo una noia totale.
Parlare di questa trilogia ormai è come sparare sulla croce rossa visto che non salvo niente a parte l'idea iniziale del primo libro, sfruttata male, continuata peggio e perfino stravolta.

I personaggi sono quanto di piu banale abbia mai incontrato e qui raggiungono l'apice della loro idiozia continuando ad agire facendo il contrario di quanto dicono di voler fare.
Un esempio? A Tris e Quattro (sic!) viene chiesto di sottoporsi ad un esame del DNA. Entrambi in cuor loro non vorrebbero eseguirlo, ma... indovinate? Alla fine lo fanno, e sono convinti, eh! Non c'è nessuno che li costringa con una pistola puntata alla tempia (una volta tanto!).
E questa cosa si ripete più volte, dicono di non voler fare una cosa e poi puntualmente la fanno, privi del benché minimo senso critico, personaggi banali e sciocchi nelle mani della loro autrice concentrata solo a compiacere i suoi lettori adolescenti che adorano la saga senza un vero motivo valido.
Non vi svelerò il finale. Sappiate solo che è così smieloso e scontato da provocare il diabete!

Dico solo: meno male che sono arrivata in fondo! Ora posso dedicarmi a qualche lettura più intensa e matura!

Bye Bye Veronica Roth! A mai più rileggerci!

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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    22 Settembre, 2014
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A volte capita di leggere brutti libri

Mah, questa lettura mi sta lasciando molto perplessa, perché mi sembra che giri a vuoto senza nessuna idea di dove voglia andare a parare.
Dopo gli avvenimenti accaduti nel finale del primo romanzo, Tris, Quattro (sic!!!) e gli altri transfughi di ciò che rimane della fazione degli Intrepidi vagano senza meta, assillati dai dubbi, dalle paure e da pippe mentali bimbominkiose.
Una rapida capatina presso la fazione dei Pacifici, un altro giretto presso gli Esclusi che non sono poi così sprovveduti (scelta narrativa ovvia e scontatissima) e infine una bella avventura presso la fazione dei Candidi, coloro che non mentono mai e che sottopongono i due malcapitati al siero della verità per provare la loro lealtà e per mettere un po' di sale a questo soporifero inizio.

Gli elementi deboli del primo romanzo restano invariati anche qui.
La trovata del sistema delle fazioni è di per sè affascinante e avrebbe anche potuto diventare uno spunto narrativo molto interessante se fosse stato contestualizzato meglio; invece continuiamo a non sapere nulla, tutto è trattato in modo semplice e banale, sappiamo che la città in cui si svolge il romanzo è Chicago solo perché si parla ancora dell'Hancock Building, ma non viene mai nominata apertamente, ci si continua a chiedere se solo questa città sia divisa in fazioni e come siano organizzate tutte le altre negli Stati Uniti.
Sarò ripetitiva ma durante la lettura mi sono posta sempre le stesse domande del capitolo precedente, alle quali la Roth ancora non dà risposta…attendo (S)fiduciosa e del tutto annoiata…sarà forse che non ho più quindici anni da un bel pezzo e da un romanzo, per quanto YA, pretenderei molto di più...

Per sua fortuna il romanzo è scritto in maniera dignitosa, senza quelle tipiche ripetizioni della stessa frase tipiche di sfumature e vampiri vari che mi rendevano insopportabile la lettura di altri ya.
Credo però che un altro grande limite del romanzo sia la voce narrante, ovvero scegliere sempre di utilizzare il punto di vista di Tris e conoscere la vicenda soltanto dal suo punto di vista. Molto più accattivante sarebbe stato sapere, oltre a quello che fanno lei e i suoi amichetti, anche ciò che succede presso i sovvertitori dell'ordine, ovvero la fazione degli Eruditi, conoscere in anticipo i pensieri del loro capo Jeanine. Avremmo avuto un'anticipazione sull'intreccio, che comunque non avrebbe tolto nulla alla suspence (vogliamo chiamare così quel misto di noia e apatia che ti fa voltare pagina solo per forza d'inerzia?), anzi avrebbe permesso a questo personaggio di non essere più solo un nome, una piatta figura di villain, ma sarebbe stato un tentativo per rendere almeno uno dei personaggi di contorno qualcosa di più di un semplice ologramma piantato lì sono perché Tris e Quattro (sic!!!) possano fare le loro evoluzioni e mostrare il loro coraggio!
Altra nota dolente: l'affastellarsi di nomi di personaggi dal precedente romanzo senza una spiegazione di chi siano. Il povero lettore, ignaro dei meccanismi degli ya e delle trilogie che, sbagliando, iniziasse da questo secondo volume, si troverebbe spiazzato e non capirebbe assolutamente niente; una spiegazione tra due virgole sarebbe bastata per dare chiarimenti a chi non ha letto il primo romanzo e rinfrescare la memoria di chi come me lo ha già letto ma ha anche dimenticato in fretta.

Beatrice Prior, detta Tris, è un'eroina irritante come la Bella della Meyer, che non ascolta nessuno che le dà un buon consiglio, ma si getta in mezzo ai guai tanto facilmente quanto una persona affamata si getterebbe su un piatto di spaghetti, salvo poi voler tornare indietro, piagnucolando per quello che le capita e dicendo che proprio non ce la fa più, come una qualsiasi bimbaminkia insopportabile.

E poi diciamolo pure inorridendo: se uno ci pensa a mente fredda, tutto il libro, con gli Eruditi nel ruolo di cattivissimi e feroci assassini, sovvertitori crudeli dell'ordine prestabilito, si basa su un assurto demente che è semplicistico e profondamente stupido. Ovvero che, l'amore per la conoscenza, la prontezza mentale, il piacere dell'imparare, la curiosità e lo studio siano caratteristiche che portano alla crudeltà, spingano i più intelligenti alla sete di potere e allo sterminio indiscriminato del prossimo!
Non certo un bel l'insegnamento per i giovani lettori al quale questo libro è indirizzato!

Ciliegina finale sulla torta andata a male della Roth: a due terzi del libri c'è una rivelazione su uno dei personaggi che vorrebbe essere shock e che invece ho trovato tanto stupida e fine a sé stessa da avermi fatto proprio venire la voglia di lanciare il libro fuori dalla finestra! Non rivelerò nulla a riguardo ma…
mia cara Veronica Roth, non ci siamo, non ci siamo proprio per niente!
Che i sostenitori della saga mi lincino pure ma trovo che questo secondo capitolo sia proprio un totale buco nell'acqua!

Non ho davvero più l'età per queste letture...

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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    15 Settembre, 2014
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Sopravvalutato

Mi sono avvicinata alla trilogia con curiosità, ben disposta, consapevole di non avere tra le mani un'opera da premio Pulitzer, ma speranzosa che non fosse la super cazzola che invece ho letto...
A favore di questo primo libro devo ammettere che si lascia in qualche modo leggere. L'ho trovato a tratti noioso ma ha parti anche spassose. Insomma, meno peggio di quello che lo segue.
Come era già successo con i vampiri di Stepheny Meyer che avevano generato una serie infinita di cloni, così ora, dopo il successo della saga di "Hunger Games", sembra che ogni serie o saga, chiamatela come volete, debba per forza essere ambientata in un futuro distopico, ovvero in un mondo alternativo, cupo, dominato dalla forza bruta e dal potere di pochi crudeli despoti.
In questo caso il futuro che ci viene presentato è una Chigago post-apocalittica che non viene mai chiamata col suo nome ma che si evince solo da alcuni indizi, in particolare dagli edifici che vengono descritti; un esempio su tutti è l'Hancock Building, protagonista del capitolo in cui la protagonista si cimenta nella "zip-line", sorta di "giostra" che prevede la discesa da un grattacielo appesi ad un cavo d'acciaio.
Una città che una volta si affacciava su un fiume che ora è solo una palude, e dove la maggior parte degli edifici è in rovina dopo una probabile terribile guerra, ma anche questo possiamo solo ipotizzarlo perché nulla viene spiegato con chiarezza.
In questa città, per preservare la pace, gli uomini hanno deciso di dividersi in Fazioni a seconda dell'elemento predominante nel proprio carattere: ci sono così gli Abneganti (gli altruisti che governano la città), gli Intrepidi (i coraggiosi che la difendono), gli Eruditi (coloro che sono dediti allo studio e alla conoscenza), i Candidi (coloro che non mentono mai) e i Pacifici (coloro che ripudiano la violenza in ogni forma). Tutti coloro che non rientrano in una fazione, le persone normali, le definirei io, sono degli Esclusi, dei relitti umani senza cibo e senza casa costretti a mendicare e a vivere di stenti.
Insomma, non certo un bel mondo nel quale vivere...
Questa è lo scenario nel quale agisce la protagonista Beatrice, "Tris" (nome ovviamente cretino perché se non ha un nome del genere non può essere la protagonista di uno YA), che ha sedici anni, è nata nella fazione degli abneganti ma ora deve scegliere a quale fazione essere iniziata. Ella, durante il test che le indica qual è la sua inclinazione, scopre di essere una Divergente, ovvero di essere... una persona normale, in quanto nel suo animo ha un po' di caratteristiche di abneganti, intrepidi, eruditi… detta più semplicemente, è altruista, coraggiosa e le piace scoprire nuove cose... Caratteristiche pericolosissime, vero? Bè, essere divergente è pericoloso per la sua incolumità e quella degli altri, almeno così le viene detto, quindi le viene consigliato di non rivelare a nessuno questa sua peculiarità, che sarebbe poi la normalità... ma vabbè… non stiamo troppo a sottilizzare e andiamo avanti.
Dopo aver scelto di essere iniziata alla fazione degli Intrepidi, affascinata dal vederli ogni giorno saltare dai treni in corsa mentre si reca a scuola (sic! sì, perché questi storditi di Intrepidi non scendono o salgono normalmente dai treni, ma ci si gettano fuori o dentro mentre sono in corsa… soprassediamo...), dovrà ovviamente affrontare diverse prove di coraggio, le proprie paure, numerosi nemici, la nostalgia per i propri cari, oltre a venir coinvolta in un complotto che vuole rovesciare l'ordine attuale. Ovviamente incontrerà l'amore della sua vita, Tobias "Quattro"(altro soprannome cretino che non vuol dire proprio niente!), il suo istruttore, perché altrimenti che YA sarebbe senza la dozzinale storia d'amore tra il bellone e la bruttona?

Il romanzo si lascia leggere in qualche modo, una classica lettura d'evasione senza pensieri, però devo ammettere che dopo Hunger Games che mi aveva tanto appassionato, questo nuovo fenomeno con tanto di pellicola al seguito mi ha decisamente deluso.
Lo spunto narrativo delle fazioni è sicuramente interessante ma la buona idea viene un po' buttata via per mancanza di particolari. Per esempio, non viene spiegato se la divisione in fazione riguarda solo Chicago o anche altre città, non si sa cosa sia accaduto al governo degli Stati uniti e al resto del mondo, quale sia il loro assetto politico.
Lo stile spesso è approssimativo (solo per fare un esempio: in un passaggio la madre urla a Tris "Tu sei mia figlia. Non me ne frega niente delle fazioni." Frase non proprio forbita che proprio non si addice ad una madre e alla situazione e che mi ha fatto tanto ridere!!!! )
I personaggi, soprattutto quelli secondari, hanno poco o nulla spessore, quasi soltanto delle figurine di contorno, dei nomi che si accavallano uno all'altro senza che il lettore sia capace di distinguerli. I buoni sono solo buoni, i cattivi sono cattivi senza possibilità di redenzione. Non ci sono sfumature nei caratteri, nessun tentativo di renderli più interessanti, di creare un "mondo" intorno a loro.
Anche la storia d'amore sembra seguire canali già visti e sentiti, il bellone buono, perfetto, sensibile, inesperto sotto la sua corazza di duro, si innamora della protagonista che, come da moda dilagante, è bruttina, impacciata o almeno si definisce in questo modo.
Il difetto più grande credo che risieda poi nell'intreccio che, a mio avviso, decolla solo quando il libro è quasi verso la conclusione. Per più di 200 pagine assistiamo all'addestramento di Tris per diventare un'Intrepida, senza capire perché il suo essere Divergente sia così pericoloso.
Capisco che la necessità di scrivere gli altri due libri della saga dandole un degno (?) finale spinga l'autrice ad allungare un po' il brodo, peccato che tutta la storia ne risenta mancando di un vero centro e concentrandosi alla fin fine solo sul rapporto romantico tra Tris e Quattro (ma si può chiamare i due protagonisti in un modo tanto stupido???)

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Per i ragazzi che amano gli YA
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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    02 Settembre, 2014
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Per chi ama i classici

Ultima opera dell'amata e acclamata scrittrice francese, oltre che grande lezione di stile.
L'autrice gioca sapientemente con tutti gli elementi tipici del romanzo ottocentesco edificante e di buoni sentimenti, con autrici come Jane Austen o Louisa May Alcott, infarcendo al tempo stesso le sue pagine con una pungente ironia affidata alle parole della sua giovane protagonista.
Miss Charity deve la sua esistenza a molti generi del XIX secolo e ricorda da vicino il romanzo di formazione. Leggiamo infatti della piccola protagonista dalla sua nascita, fino ad arrivare alla maturità e alla realizzazione di se.
Miss Charity nasce in una nobile famiglia inglese dell'Ottocento e cresce in una gabbia dorata, rinchiusa nella sua nursery dalla quale non esce quasi mai, con l'unica compagnia della tata scioccata e dei numerosissimi animali che ella raccoglie e cura con amore sconfinato. I momenti più felici sono quelli delle vacanze estive nella campagna inglese, momenti che le danno l'opportunità di fare nuove conoscenze, scoprire il mondo e raccogliere nuovi amici a quattro zampe. Sono proprio questi animali e la sua attitudine al disegno che le permetteranno di affrancarsi dal giogo genitoriale, diventare economicamente indipendente (fatto assolutamente disdicevole per l'epoca) e trasformarsi in una giovane donna ispirata alla vita della famosa scrittrice e illustratrice Beatrix Potter, che si fece conoscere al grande pubblico inglese grazie ai libri per bambini e alle avventure di animali antropomorfi, il piu famoso dei quali è il celebre Peter Coniglio.

Nella giovane, scaltra e simpatica protagonista convivono la convenzione di un mondo che la vuole svenevole, debole, interessata solo a pizzi, merletti e ricami, e la sua interiorità, l'acuta intelligenza e la ribellione per il mondo nel quale vive. Attitudine, queste, che la spingono a fuggire dalla porta di servizio della sua casa vittoriana per vivere mille avventure, allevare animali, coltivare la passione per la pittura, avere come amico un ragazzo che aspira a fare l'attore e quindi mal visto per questa sua scelta.
Miss Charity è la protagonista di ogni pagine, mentre la maggior parte degli altri personaggi, soprattutto quelli legati al mondo vittoriano delle convenzioni e delle buone maniere, restano delle macchiette, delle maschere: la madre, frequente vittima di attacchi di nervi e mal di testa, che trova "sconveniente" ogni piu piccolo strappo alle sue rigide leggi morali. Il padre, interessato soltanto alla pesca, alla caccia e alle chiacchere con altri gentiluomini del suo stesso rango. La zia e le cugine vanesie e vuote come palloni, il cui unico scopo è impalmare il gentiluomo più facoltoso e danaroso sulla piazza.
I personaggi più interessanti e divertenti sono invece quelli di contorno, di più basso lignaggio, che vivono ai margini della società che conta.

"Le signorine Gardiner, Amy e Winifred, erano due persone molto pulite, golose e pigre come due vecchie gatte. Gentili, nonostante tutto, senza un soldo. Siccome erano di buona famiglia, venivano invitate a tè e cene in cui assorbivano in modo discreto una spaventosa quantità di cibo. Poi, come il boa, digerivano nell'arco di una settimana."

Su tutti, la folle tata che Charity tiene praticamente rinchiusa nella sua nursery per evitare che venga licenziata e internata (un personaggio alla Bertha Mason, per intenderci), la servetta Gladys che si vende facilmente a qualsiasi fattorino o domestico con cui entri in contatto e immagina per la sua padrona mille intrallazzi amorosi. I precettori Herr Schmal e Blanche Legros, protagonisti di una vicenda che mette in luce un altro elemento tipico del romanzo, ovvero il racconto di fatti atroci e violenti trattati in maniera lieve, delicata, così come li vedrebbe una ragazzina quale è Miss Charity. Miss Blanche, l'istitutrice della ragazza Viene infatti licenziata per la sua relazione con il precettore e trova lavora soltanto presso un pensionato per ragazza che appare più come un lager che una vera scuola. Solo la tenacia e l'altruismo di Charity la salveranno e porteranno una svolta felice nella sua esistenza.

Un libro meraviglioso che ogni lettore amante della letteratura classica inglese dovrebbe conoscere!

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Narrativa per ragazzi
 
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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    02 Settembre, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

Mentre leggeva, mi sono innamorata così come ci si

John Green è un grande narratore e questo è il suo capolavoro.
Ecco, potrei chiudere così questi pensieri su "Colpa delle stelle" perché non ci sono molte altre parole per descrivere un libro che fa piangere e ridere insieme, che ti lacera l'animo e diverte al tempo stesso. Un libro che tratta un argomento tabù, doloroso e lacerante con il sorriso sulle labbra e un contagioso buonumore.

"Stringi i denti. Guardi in alto. Ti dici che se ti vedono piangere resteranno feriti e tu non sarai altro che una Tristezza nelle loro vite, e non devi essere solo una tristezza, quindi non piangi, e ti ripeti tutte queste cose mentre guardi in alto, verso il soffitto, e poi mandi giù anche se la gola non vuole,saperne di deglutire e guardi la persona che ti ama e sorridi."

La storia ormai è arcinota a tutti: Hazel e Augustus sono adolescenti malati di cancro, lei è costretta a portarsi sempre dietro la bombola dell'ossigeno che le permette di respirare, lui a causa di un osteosarcoma ha perso una gamba. Si conoscono ad un incontro per ragazzi malati di cancro, uno di quei gruppi tipicamente americani simili agli alcolisti anonimi, e si innamorano.
La storia è semplice e sembrerebbe banale e già vista. Una storiella strappalacrime alla "Love Story" per intenderci. Ma qui c'è molto di più... Ci sono due ragazzi, ammalati, due persone con le quali la vita è crudele, che hanno più vitalità e gioia di stare insieme di tanti altri loro coetanei in salute che danno ogni cosa per scontato. E poi c'è tanta ironia, nel loro modo di vedere la malattia, la morte, la vita: il modo che ha Hazel di parlare della sua bombola dell'ossigeno, che ha perfino un nome, gli scherzi tra loro che prendono a calci il dolore nel quale dovrebbero invece sprofondare.
Questo è un libro che fa piangere e ridere, che fa riflette e che rende indimenticabili questi due ragazzi dal destino già segnato.
E' solo per un caso fortuito che io abbia letto il romanzo solo ora, a pochi giorni dall'uscita del film che ne è stato tratto, perché John Green mi ha affascinato da quando l'ho conosciuto attraverso le pagine di "Cercando Alaska" e da tempo volevo leggere questo suo romanzo, oltre agli altri che ha scritto!
Uno dei miei preferiti dell'anno fino a questo momento!!
Leggetelo e non ve ne pentirete!

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Cercando Alaska, Norwegian Wood, Dio di Illusioni
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Letteratura rosa
 
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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    20 Agosto, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

Fino alla fine del mondo

Al secondo romanzo (tralasciando il divertissement "Luna di miele a Parigi", un racconto che introduce i personaggio di questo secondo romanzo) Jojo Moyes diventa per me un dolce piacere! Una di quelle autrici che regalano emozioni attraverso le loro pagine e di cui mi riprometto di leggere ogni parola che scriverà in futuro.
Come nel caso del precedente romanzo "Io prima di te", inizio la lettura pensando di avere tra le mani uno sdolcinato romanzetto rosa da quattro soldi e invece mi ritrovo con un libro leggero, sì, ma che tratta grandi tematiche, nel primo caso era l'eutanasia, in questo l'occupazione tedesca in Francia durante la Prima Guerra Mondiale e la questione della restituzione delle opere d'arte trafugate durante la seconda guerra mondiale. Il tutto trattato con tale maestria e leggerezza da far divorare le pagine, far correre la mente ai protagonisti anche mentre il libro è chiuso ed emozionare fino alle lacrime.
Qui la storia ruota attorno a due protagoniste che vivono in epoche diverse. La prima è Sophie, giovane ragazza francese dei primi del '900, sposata con il pittore Edouard Lefevre, costretta a separarsi da lui a causa della guerra e a vivere in un paesino stretto dalla fame e dalle privazioni dell'occupazione tedesca.
La seconda è Liv, una donna del nostro tempo, vedova dell'architetto David Halston, che lotta contro il dolore per la perdita del marito e il desiderio di tornare a vivere la propria vita.
Ciò che le lega è un dipinto di Edouard che ritrae Sophie in tutta la sfrontatezza della giovinezza e che è finito in modo fortuito nelle mani di Liv.
Le vite delle due protagoniste, seppur divise da un secolo, sono ovviamente destinate ad incrociarsi.

Il libro appassiona, emoziona, commuove.
Se proprio dobbiamo trovare un difetto si può senza ombra di dubbio dire che la prima parte, interamente dedicata a Sophie, è di sicuro la più bella e accurata, non solo per la presenza della protagonista che ha una forza vitale da rimanere impressa nella mente, ma soprattuto per l'accurata ricostruzione storica di un periodo un po' dimenticato.
La parte dedicata a Liv è più lieve, ha più il sapore del classico chick-lit e la seconda protagonista tende ad impallidire e venir fagocitata ogni volta che Sophie fa la sua ricomparsa in scena.

Ad ogni modo è un gran bel romanzo nel caso si voglia riflettere attraverso una lettura ed uno stile leggeri.

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Io prima di te
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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    19 Agosto, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

La ruggine nel cuore

Che ansia e che tristezza mi hanno infuso queste pagine!!!
Un bel romanzo, certo, una prosa senza sbavature, un grande narratore ma una vicenda difficile da digerire.

Il romanzo mette in scena un sogno americano andato in frantumi, "arrugginito", come recita il titolo. Un'opera dal sapore epico, dallo stile frammentato e caratterizzato dal passaggio repentino dalla terza alla prima persona singolare per entrare nella mente dei protagonisti; saltano tutti i canoni e i cliché del genere come salta anche la sintassi e la punteggiatura.
Di certo un libro per palati forti, dalle tematiche decise, sempre velato dalla tristezza per un presente dominato da una crisi che mette sul lastrico tutti, non solo gli adulti ma soprattutto i più giovani, che non hanno più un futuro che non sia fatto di precarietà e delinquenza.
Questa fase storica è rappresentata dai due protagonisti che potrebbero essere teoricamente dei vincenti, dei self made men se non vivessero nel posto sbagliato. Per loro il sogno americano funziona alla rovescia e si rivolta contro loro stessi.
Isaac English è un ventenne gracile, piccolo, ma dall'acuta intelligenza, un piccolo genio con un alto quoziente intellettivo che però, invece di poter accedere ad una università prestigiosa ed aspirare ad una brillante carriera, si ritrova a dover accudire il padre ridotto su una sedia a rotelle dopo un incidente sul lavoro.
Simile destino per Billy Poe, un gigante buono, non troppo intelligente, ma bravissimo nello sport, che invece di aspirare ad una carriera da giocatore professionista di football ha scelto il suo paesino sonnolento e quasi disabitato, senza più speranze, una vita vissuta in un trailer invece che una vera casa, un destino di delinquenza e prigione.
Proprio questi due ragazzi, amici così diversi tra loro, ma che in un altro scenario avrebbero potuto essere dei vincenti, sono i protagonisti di questo romanzo cupo, destinati a nulla di buono dopo l'incontro con alcuni vagabondi in una notte di pioggia. La fuga per Isaac e il carcere per Poe sono scritti nei loro geni, destinati alla rovina come la ruggine che si posa su ogni cosa nel pese dove vivono, una città industriale ormai in rovina e allo sbando come le persone che ci vivono.

Un filino deprimente e non molto estiva come lettura, però Meyer è di certo un nuovo grande autore americano.
Da conoscere.

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Donna Tartt, Richard Ford
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Vanellope Von Schweetz Opinione inserita da Vanellope Von Schweetz    19 Agosto, 2014
Top 1000 Opinionisti  -  

Un romanzo da leggere!!!

Con Tim Winton ho scoperto un grande romanziere del nostro tempo. Un maestro della pagina che in poche potenti pennellate sa rendere un mondo intero. Egli è uno dei più noti autori australiani, autore di romanzi per adulti, così come per bambini. Ha vissuto in Francia, Irlanda, Grecia e molti dei suoi lavori sono stati opzionati per il grande schermo. Respiro, del 2008 , è la sua opera più recente.
Questo romanzo porta tra le sue pagine il sapore della salsedine e del mare, delle onde fragorose perfette per surfare, dello sconfinato e pericoloso oceano australiano.
La storia ha tratti crudeli, segna il protagonista e lo conduce ad una esistenza diversa da quella che sperava, ma è di una potenza simile a quella dell'oceano. Racconta la vicenda di due giovani adolescenti, Pikelet (voce narrante e protagonista) e Loonie, che vengono introdotti al mondo del surf da Sando, uno spavaldo campione ormai ritiratosi dalle scene. Essi vengono sedotti dalla personalità e dalla forza di carattere dell'uomo in una sfida sempre più pericolosa verso i proprio limiti, fino a mettere a repentaglio la loro stessa vita.
Insieme ai ragazzi anche io, che nella vita reale nuoto come un ferro da stiro, ho assaporato l'adrenalina racchiusa in questo sport, ho cavalcato un'onda, ho nuotato insieme a loro.
I due ragazzi sono uno l'opposto dell'altro. Due amici destinati a diventare rivali nella gara che innescano per avere l'attenzione del campione Sando, che alla resa dei conti è l'unico che vince ed esce indenne dalla vicenda, come sa uscire da un mare particolarmente agitato e pericoloso.
In Loonie tutto è sprezzo del pericolo, spavalderia, boriosità.
Pikelet, protagonista e voce narrante, è un personaggio molto più complesso perché in lui vive una profonda dualità tra il ragazzo che sfida Loonie, vorrebbe essere come lui e lo segue nelle sue imprese spesso pericolose, e il suo lato timido, dolce, studioso mostrato attraverso l'amore per i libri, la biblioteca, la scuola.
Sando è ambiguo. C'è in lui qualcosa che non mi ha creato una sorta di disagio. Da un lato il paternalismo con cui si accolla l'educazione al surf dei due ragazzini, come se si rispecchiasse in loro, dall'altro è come se li volesse sfidare, porli sempre davanti a nuove sfide per dimostrare loro che non potranno mai aspirare alla sua grandezza. Ha in se un chè di pericoloso, ben più di quanto possa sembrare.

Una vicenda tagliente ma per certi versi eccezionale.
Da leggere per scoprire un grande narratore contemporaneo che sa condensare un mondo in poche, straordinarie pagine.

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