Opinione scritta da Niamh76
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Gli spettri reali son sempre i peggiori
Questo libro mi ha tenuto incollata dalla prima all'ultima pagina, tanto che l'ho finito di leggere in un giorno e mezzo.
L'ho scoperto quasi per caso, ma era proprio quello che stavo cercando: un libro che parlasse di psicopatologie ma che non fosse infarcito di trame al limite del fantastico o di super-protagonisti quasi irreali.
La storia di Jade è vera. Torey è stata veramente la sua insegnante e forse è proprio per questo che le sue pagine fanno venire i brividi molto più di un psico-thriller di fantasia. Ovviamente la storia è raccontata dal punto di vista di Torey perciò è inevitabile che in certi punti il lettore potrebbe arrivare a conclusioni o intuizioni diverse, ma lo stile non troppo enfatico ti convince a non mollare la presa e ad arrivare in fondo.
E chissà se in fondo si scoprirà davvero perché Jade vive con i suoi spettri....
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PERDERSI CHE E' UN PIACERE
Ho letto qualche recensione e ho preso in mano questo libro senza comprendere bene il guaio in cui mi stavo cacciando! Eh sì, perché quando inizi a leggere e non riesci a smettere è davvero un bel guaio (soprattutto quando devi andare in ufficio e invece vorresti restare nella Radura insieme agli altri).
Tutto inizia con una scatola scura e mobile: Thomas è lì dentro e tu sei lì con lui. All'improvviso ti trovi addosso gli occhi di tutti quei "CASPIO" di ragazzini della Radura che ti guardano con un misto di compassione e superiorità. Perché Thomas (e tu con lui) è l'ultimo arrivato, il fagiolino, il pivellino.
Lui deve ancora capire come funziona. Qual'è il proprio posto nella rigida comunità della Radura, ad esempio. Oppure cosa fanno quelli che partono la mattina correndo fuori dalle mura e ritornano a sera correndo prima che si chiudano le porte. E perché le porte si chiudono.
Ma soprattutto perché sono finiti lì? E perché sono tutti maschi?
Almeno finché non arriva l'Ultima. Non in ordine di tempo, ma proprio l'Ultima. Colei dopo la quale non arriverà più nessuno. E perché a Thomas sembra di conoscerla?
Un romanzo che ti tiene inchiodato lì, tra i muri del Labirinto a contorcerti le sinapsi nel tentativo di capire tutti i perché!
E va a finire che ti affezioni pure a 'sti caspio di ragazzini sperduti.
Dashner ha scritto davvero un gran bel romanzo, con un giusto mix di mistero e adrenalina, ironia e azione. Certo qualche difetto lo possiamo trovare: il personaggio di Teresa è abbastanza algido e il finale soffre un po' di una certa frettolosità; ma tutto sommato, essendo una trilogia, mi riservo di verificare se siano funzionali al resto della saga.
Per il resto, leggetelo e sperdetevi pure nel labirinto!
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A chi ama i romanzi distopici
ORRIBILE
Posso dire con assoluta certezza che questo è uno dei libri più insignificanti e peggio scritti che io abbia mai letto.
Così come posso dire che, se continuo di questo passo, diventerò una delle peggiori stroncatrici di psico-thriller della storia. Da un po' di tempo in qua, qualsiasi romanzo definito "psico-thriller" mi lascia sempre l'amaro in bocca, ma questo mi ha dato veramente sui nervi. Non vi racconterò la storia perché dovrei riempire la recensione di spoiler.
La trama è assolutamente incresciosa: ingarbugliata fino all'inverosimile ma non per estrema maestria nell'intrecciarne i fili, ma soltanto perché più i fili sono intrecciati più il lettore fatica a vederne gli evidenti punti deboli.
Troppi personaggi di cui l'80% assolutamente inutile e di cui il 95% non caratterizzato. Voci narrative dei personaggi praticamente identiche: che a parlare sia uno psichiatra o un custode o una infermiera punk non cambia assolutamente nulla nel dialogo.
Azione ai livelli dei film d'azione-spazzatura-americani: anche qui, come per la trama, l'eccesso di azioni e pseudo colpi di scena, altro non è che un depistaggio del lettore; ma non dal colpo di scena finale (perché, parliamoci chiaro, il colpevole l'ho capito dopo 10 pagine), nossignori, soltanto dalle troppe scene tirate per i capelli.
La cornice in cui si svolge il racconto (che altro non è se non un lungo flash back attraverso una cartella clinica durante un esperimento psicologico.... tra l'altro il cui scopo viene liquidato in due righe ) è inutile anch'essa e per nulla significativa.
Purtroppo per Fitzek, dopo la prova appena passabile de La terapia, con questo lo getto nel calderone degli esperimenti poco riusciti assieme a Dorn. A meno che per entrambi l'obiettivo non fosse quello di creare personaggi estremamente odiosi, poco credibili e libri molto prevedibili.
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Sconsigliato a chi si ritiene appagato da Uomini che odiano le donne
Fame di Hunger Games
Attenzione questo libro da dipendenza.
Dovevano scrivere questa nota da qualche parte, perché se una ignara e scettica come me poi ci si imbatte e ne resta invischiata, beh...ha diritto di sapere cosa rischia!
Penso che Suzanne Collins sia partita da un'idea atroce (nel senso di crudele) suggeritale da Battle Royale (romanzo giapponese in cui degli studenti vengono portati su un'isola e costretti ad uccidersi finché non ne sopravviverà solo uno), ma ha saputo svolgerla ed evolverla in maniera più completa e avvincente (tralasciando lo splatter asiatico gratuito ). L'ha fatto aggiungendo un ingrediente dei giorni nostri: l'insano voyeurismo dei reality show portato all'eccesso fino ad assumere il ruolo di strumento di democrazia.
Se vuoi salvaguardare la pace di Panem, devi accettare che ogni anno 23 ragazzini si massacrino in un'arena.
Se vuoi che far accettare che ogni anno 23 ragazzini si massacrino in un'arena, fallo sembrare necessario ma soprattutto rendilo così sfavillante e attraente che la gente non solo lo accetterà ma lo adorerà.
E se finisci nell'arena chiediti qual'è il tuo obiettivo e cosa sei disposto a fare. Vuoi vincere e restare vivo a qualsiasi costo come i tributi dei distretti 1 e 2? O vuoi vincere, restare vivo e non rinunciare ad un briciolo di umanità come Katniss Everdeen? O vuoi rimanere te stesso senza diventare strumento di nessuno come Petah?
Il libro di Suzanne Collins lo trovo al di sopra del film, perché è narrato dalla stessa protagonista. Una Katniss Everdeen a 360° che deve scendere a compromessi e cercare di ricordare il suo obiettivo. Si entra nella sua testa e si scopre un'eroina dai lati bui e molto umani.
Ho anche apprezzato il fatto che la Collins non ci abbia buttato dentro una storia d'amore trita e ritrita, ma abbia anzi creato un filo di disperazione che lega Katniss a Peeta e che oscilla fino alla fine della trilogia.
Lo stile è davvero piacevole: frasi ben costruite, dialoghi mai deboli, voce narrante ben definita, descrizioni funzionali alla trama senza lungaggini.
L'hanno definito uno Young Adult Novel, ma pur essendo molto più "adult" che "young" me lo sono divorato in tre giorni. Gli Hunger Games (letteralmente "giochi della fame") creano davvero un appetito straziante e non riuscivo a distogliere gli occhi dalle vicende del libro.
Ovviamente finito questo, non ho potuto fare a meno di leggere anche il secondo e il terzo tutto d'un fiato!
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a chi ha letto Battle Royale ma cerca qualcosa con più spessore e meno splatter
FOLLIA sarebbe dire che questo è un bel libro
Questo libro l'ho letto un po' di tempo fa proprio perché molte persone me lo avevano acclamato con entusiasmo. Mi sono lasciata persuadere un po' proprio dall'entusiasmo e un po' dal tema della malattia mentale.
Ho trovato invece un feuilleton su un'ossessione puramente sessuale facendo leva sul tema della follia per trovare una giustificazione pseudo-valida.
Anche io ho trovato la storia di Stella irritante e i personaggi assolutamente algidi. Oltretutto più il romanzo procedeva, più sapevo esattamente dove sarebbe andato a parare l'autore... una prevedibilità e scontatezza al limite della decenza.
Lei che si innamora di un malato psichiatrico, lei che fugge con lui, il marito assolutamente incapace di ogni reazione degna di uomo, la suocera che la odia, la povertà in nome dell'amore.
Suvvia. Stiamo parlando di follia e sembra di vedere una telenovela.
Se volete leggere un libro vero sulla follia leggete Una stanza piena di gente.
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Viaggio sconvolgente nella mente di Billy
Questo libro è un viaggio. Se lo sia nel senso più psichedelico o nel senso più formativo sta a voi deciderlo. Per me lo è stato nel senso che letto questo libro non si può più essere gli stessi.
E' la biografia di Billy Mulligan arrestato e processato per stupro, del suo calvario legale ma soprattutto del suo calvario riabilitativo tra ignoranza, supponenza, ostilità, incredulità e incompetenza degli staff degli istituti penitenziali e riabilitativi a cui Billy viene affidato e dell'opinione pubblica e politica.
Leggendo non mi sono mai messa a giudicare Billy per quel che aveva fatto, ma mi sono ritrovata a vivere il suo stesso calvario. E all'ultima pagina non ero più io.
La vita di Billy è un paradigma estremo di quel che noi adulti siamo capaci di causare ai nostri bambini: violenze fisiche, verbali, psicologiche o semplice indifferenza. Mostri che i bambini non sanno affrontare. Nella maggior parte dei casi i bambini crescono, più o meno traumatizzati, più o meno scompensati... ma Billy no, lui si spezza, si frantuma. Ogni trauma crea una persona diversa nella sua mente che gli sottrae tempo e coscienza. Quando Billy è fortunato l'altra persona è un meccanismo di difesa, di protezione, di auto-realizzazione, ma quando non lo è, l'altro è il suo lato oscuro senza filtri e senza barriere.
Il vero Billy inizia a dormire a 16 anni. Le sue altre persone lo mettono a nanna per evitare che si suicidi. Ed è sconvolgente pensare che dentro di lui vivano altre 23 persone: ognuna con i propri pensieri, i propri caratteri fisici e dialettici, le proprie relazioni e i propri desideri. Non si conoscono nemmeno tutti, ma si danno delle regole per sopravvivere. Come in ogni comunità ci sono le mele marce e Billy si ritrova nei guai. Come in ogni comunità ci sono le eccellenze.
Se Billy non avesse subito abusi, sarebbe stato un bambino prodigio e un adulto geniale. Ma Billy gli abusi li ha subiti e ha continuato a subirli a causa della sua patologia mentale scarsamente conosciuta e spesso sospettata. E Billy è diventato una sorta di freak a cui solo pochi dal cuore privo di pregiudizi sono riusciti ad avvicinarsi e a fargli del bene.
Lo stile è crudo, giornalistico, essenziale. Lo capisco e lo condivido. Entrare nella mente di Billy è l'unica cosa che conta e Daniel Keyes riesce a portarci dentro.
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AMNESIA
La sindrome del viaggiatore senza bagaglio è questo il motivo prevalente per cui ho iniziato a leggere questo libro, suggerito su vari forum e discussioni in cui si consigliavano libri sulle patologie psichiatriche.
Grangé è un bravo scrittore che riesce a dipingere due personaggi credibili dal punto di vista psicologico: le righe rendono bene le fobie, le insicurezze e le ansie sia di Mathias che di Anais. La trama non è sicuramente banale, anzi è folta e ricca di colpi di scena e tutto sommato originali.
Forse quello che penalizza l'autore è che, andando avanti con il dipanarsi della vicenda, si sia lasciato un po' prendere la mano e abbia confuso troppo le carte in tavola aggiungendo un circa 200 pagine di troppo che hanno penalizzato la sostanza e la credibilità del romanzo.
Diciamo che ci mi sarei evitata volentieri il capitolo su Nono che, personalmente trovo inutile e anche fastidioso. E' proprio in questo capitolo che il personaggio principale si trasforma in una specie di Rambo andando a inficiare la propria "immagine letteraria".
Il finale lo trovo approssimato e approssimativo. Sinceramente ho trovato inutile infarcire un bel thriller con una inverosimile storia d'amore basata praticamente sul nulla visto che i personaggi non interagiscono tra loro per più di 20 pagine su 700 e passa del libro.Perciò ritengo che Grangé avrebbe potuto cavarsela molto più egregiamente dall'alto della sua bravura nel trovare una chiusura all'altezza del thriller psicologico che è stato capace di creare.
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LA TERAPIA
Il libro di Fitzek è consigliato in molti forum come opera fondamentale per chi cerca un romanzo che parli di patologie mentali e questa è stata la motivazione principale per la quale ho approcciato La terapia.
La trama racconta a quattro anni di distanza la tragedia del noto psichiatra Viktor Larenz la cui figlia Josy è sparita nel nulla dopo una lunga e straziante malattia a cui nessuno riusciva a trovare spiegazione.
La vita di Viktor cade un pezzo dopo l'altro: il lavoro, il matrimonio, la propria salute fisica e lui cerca di trovare pace nella casa al mare sull'isola di Parkum.
Qui incontra Anna Spiegel, una paziente schizofrenica che fa di tutto per essere presa in terapia da Viktor, nonostante le sue reticenze. La forma di schizofrenia di cui soffre Anna è particolare e travolgerà Viktor in un vortice di decadenza fino al compimento finale della sua tragedia.
La trama è abbastanza complessa e l'idea di base davvero ottima. Lo stile di Fitzek però risente un po' troppo delle semplificazioni tipiche dei film thriller americani. Anche la scelta di utilizzare il flashback non aiuta, anzi amplifica la frammentazione del libro e distoglie il lettore.
Il finale è banale, non tanto nel contenuto, quanto nello svolgimento sbrigativo e scollegato dal resto del romanzo
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Opinione in controtendenza
La mia sarà un'opinione in controtendenza e non me ne vogliate.
Ho letto questo libro proprio perché le recensioni erano tutte ottime.
Dorn scrive bene, scrive di patologie mentali e il che mi affascina. Ma Dorn crea personaggi femminili detestabili (cfr la mia opinione su La psichiatra). Doro dovrebbe suscitare empatia nel lettore con le sue allucinazioni, le sue sinestesie, la sua sensitività... invece a me è risultata assolutamente insopportabile dall'inizio alla fine. Doveva essere una personalità borderline e invece non è altro che una ragazzina traumatizzata. Doveva essere una visionaria del calibro del Nash di A beautiful mind e invece non è altro che un'adolescente supponente e arrogante che crede di saperne di più del suo psichiatra e soprattutto non vuole essere considerata pazza ma si crogiola nel suo stato.
Personaggi che si innamorano al primo sguardo, amicizie che diventano indistruttibili al primo dialogo, mamme "orfane" di figli che abbozzano l'imperdonabile, una cittadina provinciale e pettegola che è disposta a cambiare idea sulle persone solo sulla base dei bei discorsi.
Insomma... tutto questo buonismo in un libro che dovrebbe parlare di follia ci stona.
Come stonano le associazioni sinestesiche forzate buttate qua e là con assoluta premeditazione e le forzature sulla "voce" narrativa di Doro che invece che parlare come una quindicenne disturbata sembra un'adulta perfettamente razionale.
Peccato... credo di aver perso un paio d'ore di tempo...
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Intriganti intrighi d'altri tempi
Pensare che ci sia un mistery che non sia contemporaneo m'ha fatto tirare un sospiro di sollievo, considerato che molti dei libri in classifica dei nostri tempi sono soltanto casi letterari pompati a vuoto dalle case editrici.
Quello di Wilkie Collins è invece un libro davvero coinvolgente, anzi intrigante. Lo stile ovviamente è quello dell'epoca ma credo sia un punto di forza, giacché ti permette di avanzare non troppo velocemente, di non divorare pagina dopo pagina con il rischio che non rimanga niente.
Più che la donna in bianco del titolo, quella che rimane il personaggio migliore del libro è sicuramente Ms. Halcombe: Marian è una donna tutt'altro che in bianco, il suo carattere ha mille sfumature di colore, tutte ben vivide e sature. Una donna che sfida le convenzioni dei suoi tempi per lottare per ciò a cui tiene, mantenendo gli occhi ben aperti e la furbizia pronta per ogni evenienza.
E poi c'è il conte Fosco che appare solo verso la metà del romanzo ma che lo ingombra fino alla fine con il suo personaggio ambiguo, ambivalente, mellifluo.
Consiglio a tutti di leggere questo romanzo perché è consolante sapere che già nei secoli scorsi c'erano menti geniali capaci di creare trame complesse e tenere il lettore in sospeso fino alla fine.
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CACCIA AL TESORO TRA I MEANDRI DELLA MENTE
(questa recensione contiene spoiler)
Che Chris, il fidanzato della protagonista, non fosse in vacanza con un amico in Australia lo avevo capito dalle prime 10 pagine e questo è stato proprio uno dei fattori che mi ha fatto andare avanti nella lettura!
Personalmente adoro gli psicothriller e sono affascinata dalle aberrazioni che la mente produce con effetti a volte più vividi del reale.
Dorn ha creato uno psicothriller tutto sommato di buona fattura: i colpi di scena non mancano, così come non manca una macabra caccia al tesoro per recuperare tutti i pezzi del puzzle. Lo stile è abbastanza asciutto, senza troppi fronzoli ma forse con qualche forzatura nel ritrarre i personaggi. Per esempio la protagonista, Ellen Roth, Dorn cede alla tentazione di spiegare questa donna, piuttosto che di farcela "annusare" attraverso i suoi gesti, la sua "voce" letteraria, i suoi pensieri. Insomma qualcosa di ben lontano dalla Lizbeth Salander di Millennium che trasuda da ogni riga senza necessità di spiegazioni.
Ed infatti trovo che il punto debole del romanzo sia proprio la protagonista:personalmente non mi fido delle eroine wonder woman, mi puzzano di artefatto. Ed Ellen Roth è una di queste. Forte quanto basta, atletica quanto basta, apprezzata professionalmente quanto basta, amata quanto basta... troppa perfezione che quasi lascia presagire che alla fine qualcosa si sgretolerà.
Vi confesso che alla fine del libro ho quasi tirato un sospiro di sollievo nel vederla rinchiusa in reparto psichiatrico, mi stava cordialmente sulle scatole!
Quanto alla trama si può dire che è credibile, a parte qualche cedimento qua e là, e comunque meno scontata di tanti altri psicothriller che tanto psico non sono e neanche tanto thriller. I dialoghi zoppicano, invece; li trovo sullo stile sceneggiatura... un po' per la serie ti guido passo a passo così arrivi dove ti voglio far arrivare.
Ma come dicevo, tutto sommato è un libro di buona fattura e, se vi piace vagare tra sotterranei di manicomi abbandonati e ruderi di case andate a fuoco, o se vi piacciono le distorsioni che il nostro cervello sa creare così bene, allora leggetelo!
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A chi piacciono le distorsioni che il nostro cervello sa creare così bene
Certezze nord europee
Davvero un peccato che Larsson non ci sia più perché è difficilissimo, se non impossibile, trovare autori di thriller alla sua altezza.
Personalmente ho due certezze riguardo a questo libro:
1) è scritto magnificamente. Una trama credibile complessa, mai scontata né prevedibile. Uno stile di altissimo livello: linguaggio, ambientazione, dialoghi sono perfettamente a fuoco, centrati, messi al servizio della storia senza lasciare spazio a autocelebrazioni o sbavature
2) contiene uno dei personaggi più complessi e intriganti che abbia mai letto. Lisbeth Salander è estrema, in tutto. Dall'aspetto al comportamento, dalle emozioni alle reazioni. E' uno di quei personaggi che hanno una propria "voce" letteraria e non svaniscono ... quasi come un Gollum de Il signore degli anelli
Magari non tutti riescono ad apprezzare la bellezza di questo romanzo perché lo spessore e le scatole cinesi della trama (che preparano a due libri successivi) non sono di facile accesso. Se invece decidete di imbarcarvi nell'avventura, allora godrete di una performance letteraria di livello.
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WINTERGIRLS
Lia è una ragazza d'inverno... cosa vuol dire? Tante cose.
E' congelata in una dimensione di non vita: non è ancora morta, ma ha deciso di non essere viva perché gli esseri viventi si nutrono, mutano il proprio corpo e il proprio cervello, provano emozioni.
E' ibernata, emotivamente parlando: rifiuta qualsiasi sentimento positivo o negativo che non sia il senso di colpa e l'inadeguatezza, rifiuta qualsiasi legame umano (con il padre distratto che non si accorge che è ricaduta nel buco di Alice al contrario, con la madre maniaca del controllo, con la matrigna che vorrebbe aiutarla, con la sorella a cui non risparmia la devastazione del proprio corpo) e disumano (con il fantasma di Cassie che torna a trovarla in continuazione per spronarla ad arrivare fin in fondo)
Muore di freddo: Dentro e fuori. Perennemente relegata nel regno delle coperte di lana, dei maglioni e dei termosifoni accesi. Il suo corpo non brucia, così come non brucia più il suo cuore. Si stordisce a suon di ginnastica nelle nottate insonni, si sottopone alla privazione di tutto ciò che le piacerebbe mangiare e alla ingestione di cose che odia. Si ingozza d'acqua quando la pesano e di lassativi quando si vuole punire. Mente agli altri e a se stessa.
Come si può arrivare a vivere una non vita come questa? Perché due ragazze "normali" (parola assurda) dovrebbero concludere un patto di sangue e buttarsi in una folle rincorsa a chi sarà più magra. Come si diventa anoressiche come Lia o bulimiche come Cassie? Come si diventa schiavi della matematica delle calorie o dell'autolesionismo?
Questo purtroppo il libro non lo spiega. Peccato. Ci lascia solo entrare nella stanza di Lia già bella che piena di ragni, rovi, muffa, lamette e ossa. Ci muoviamo nella mente di Lia e la troviamo già bela che arredata in stile Spleen ma nulla che ci spieghi perché.
Peccato. Perché l'autrice non risparmia nessuna crudeltà e allora tanto valeva spingere fino in fondo la tavoletta dell'acceleratore e non farci sconti.
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Alla fermata di Whistle Stop sapore di storie affa
Ho visto il film decine, centinaia di volte. Praticamente, ogni volta che il palinsesto televisivo lo ripropone, sono incollata allo schermo dalla storia di Idgie e Ruth.
Finalmente mi sono decisa anche a leggere il libro (che non sapevo esistesse finché non sono approdata su Qlibri) e non sapevo bene cosa aspettarmi.
Sono contenta, soddisfatta, appagata; perché, come quasi sempre accade, il libro è quasi meglio del film.
Le pagine di Fannie Flag e i racconti di Nanny mi portano a Whistle Stop con facilità. Whistle Stop non è solo un posto qualsiasi attraversato dai binari. Whistle Stop prende vita tra le pagine e non si fatica affatto ad immaginare i personaggi che la popolano (Artis così nero da avere le gengive blu, Sipsey che sotterra le teste di maiale e gallina in giardino, Smookey che si appunta la foto di Ruth nella giacca, il club dei Cetrioli Sottaceto con le gare di panzanate); né si fatica a comprendere gli equilibri che ne regolano la vita quotidiana (i tiri mancini giocati al Reverendo, le demenziali recite annuali, le storie incredibili di Idgie).
Eppure tra la leggerezza (nel senso più positivo di questo termine) e la nostalgia della vita a Whistle Stop si vivono anche tematiche pesanti come le rivendicazioni del Ku Klux Klan, le angherie sociali e giuridiche a cui erano sottoposte le persone di colore nei primi decenni del '900, la violenza dei mariti sulle proprie mogli.
Credo che il pregio più grande del libro sia approfondire cose sul film non hanno trovato spazio, ridando le giuste prospettive a certe relazioni tra i personaggi. Il sospetto che Idgie e Ruth fossero una coppia aveva sempre aleggiato in me, ma leggerlo nero su bianco con tale candore mi ha fatto affezionare ancora di più alle due donne. O come il coraggio di Sipsey nell'affrontare Frank Bennet per proteggere il figlio della sua signora e attuare l'eutanasia per proteggere la sua signora dalla sofferenza.
Lo stile è delizioso. La storia si snoda piacevolmente alternando presente, passato prossimo e passato remoto, mettendo a confronto quattro modi di essere donna.
Un libro sicuramente da leggere.
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Un inno alla poesia della vita decantato dalla...
Leggo, molto, tanto, troppo. Da quando ho un lettore e-book leggo anche di
più. E più si fa una cosa, più si affinano i gusti in materia e, lo ammetto,
sto diventando davvero snob in materia di libri e pochi riescono davvero ad
ammaliarmi e restare nella mia libreria (vera, intendo, perché i libri che
poi mi piacciono li compro cartacei).
La bambina che salvava i libri (per una volta tanto il cinema ha sfornato un
titolo migliore con Storia di una ladra di libri) è uno di quei libri che
bisogna custodire.
E' un gioiello nato dalla penna di Markus Zusak dove viene narrata la storia
di Liesel, figlia di comunisti in una Germania votata al nazismo, padre non
pervenuto, madre fuggitiva e fratello morto. Liesel verrà cresciuta da Hans
e Rosa in un piccolo paesino tedesco, stringendo un forte legame con
l'amichetto Rudy e con l'ebreo Max, nascosto nella cantina di casa.
E la vita di Liesel nella sua straordinaria quotidianità diventa una poesia
alla vita stessa e all'umanità. Poesia è la sintonia sussurrata tra lei e il
suo papà; poesia sono gli insulti gridati dalla mamma che nascondono invece
un affetto grandissimo; poesia sono le scorribande e le gare con Rudy;
poesia sono le notti passate in cantina a leggere per far sopravvivere Max;
poesia sono i furti dei libri che Liesel attua per "amore" della lettura e
di Max.
Ed è ancora più sconcertante che tale inno alla vita sia narrato dalla Morte
stessa che tante volte ha incrociato e sfiorato Liesel e che altrettante
volte è rimasta commossa da quel piccolo cuore.
Consiglio a tutti questo libro scritto in maniera superba e consiglio a
tutti di vedere anche il film che, per una volta tanto, ha retto il
confronto con le pagine scritte e ha saputo portare in immagini la stessa
poesia che Zusak ci ha fatto leggere.
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