Opinione scritta da lamancinachescrivepoesie
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L'incubo di crescere
“Sognare ad occhi aperti. Quando la realtà è troppo difficile da affrontare, c’è sempre la fantasia. Lì tutto è possibile.”
(…) “Io non posso far tornare indietro i miei genitori. Sono morti.”
“Non lo saranno finché li tieni nel cuore. (…) Finché qualcuno custodisce il nostro ricordo, non siamo davvero morti. I tuoi genitori sono con te. Devi solo immaginarli, e diventeranno una parte della tua vita.”
Il protagonista della storia è Simon, un sedicenne affetto da lievi problemi autistici, che sopravvive a un terribile incidente d’auto che si porta via i suoi genitori. Affetto da allucinazioni, dal senso di colpa e dall’incapacità di accettare i cambiamenti che, inevitabilmente, sopraggiungono con la sua nuova condizione di orfano e dal fatto di dover crescere, ne seguiamo le vicende con un groppo in gola e, anche nel caso avessimo intuito il finale, con la speranza di sbagliarci e che tutto si possa risolvere nel modo migliore possibile per il nostro beniamino.
Il romanzo tratta bene i temi della paura dell’abbandono e dei cambiamenti e ho amato la scrittura di Dorn. Tuttavia, al contrario di ciò che ho letto in altre recensioni, ho trovato il finale abbastanza prevedibile per chi avesse come me letto gli altri libri dell’autore. Molto simile al primo romanzo da lui pubblicato, ‘la psichiatra’, si differenzia da questo perché è molto più facile entrare in empatia con Simon mentre ammetto di aver seguito le vicende di Ellen con molta più freddezza. Ci sono diverse analogie riscontrabili nei due romanzi quali fra tutti le allucinazioni dei protagonisti e i sogni che svolgono un ruolo fondamentale per la trama.
Ho adorato questo libro e ho sofferto nel leggerlo, avendo intuito abbastanza in fretta la fine del romanzo. È uno degli psico-thriller dell’autore in cui è molto più facile empatizzare con il protagonista e di conseguenza farsi trascinare emotivamente nella storia, ma manca forse di quel pizzico di genialità in più che ho riscontrato in altri suoi lavori. Mi hanno fatto sorridere tutti i piccoli riferimenti a Ian Forstner, protagonista di Superstite e Follia Profonda, romanzi anche questi ambientati nella cittadina fantastica di Fahlenberg.
Lo consiglio perché credo sia comunque un bel romanzo, anche se tuttavia credo che lo scrittore potesse fare qualcosa di più originale.
(spoiler)
Riguardo il finale, la Psichiatra e Incubo sono davvero molti simili. La scena finale di Incubo, che vede Simon, all’interno dell’ospedale di psichiatria infantile, che sorride immerso nel proprio mondo fantastico sembra quasi la stessa fine che avevano letto nella psichiatra nella quale Ellen, sempre all’interno della Waldklinik dove anche lei è stata ricoverata, si riscuote e ricorda il proprio vero nome. Anche il personaggio di Caro mi ha ricordato molto la bambina, la sé stessa bambina, che Ellen vedeva nelle proprie allucinazioni ed è stato proprio ciò a farmi presto intuire la fine del romanzo.
“L’ho sempre detto io: nella fantasia tutto è possibile.”
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breve analisi
Spoiler per chi non conoscesse le leggende arturiane.
Pagina 323, 2° capoverso.
< “…essere sommo re dopo la mia morte,” disse Artù, “e per il momento avere delle tue terre…”
(…) Qui si fermò e si guardò intorno come se un rumore lo avesse disturbato. Un’improvvisa corrente d’aria, carica di temporale, aveva agitato la seta della sua tenda e le corde gemettero. Artù alzò le spalle come se volesse difendersi da una ventata fredda e guardò in tralice suo figlio con una strana occhiata (fu il servo che, dopo, raccontò questa parte della storia) un’occhiata che si tradusse in un lampo di dubbio sulla faccia di Mordred come se, con il sorriso e l’offerta di vino, si volesse nascondere qualcosa. Poi, a sua volta, il reggente scollò le spalle, sorrise, e prese la coppa dalle mani di suo padre. >
In questo breve paragrafo si racchiude la bravura dell’autrice. Nonostante la vicenda sia narrata da ‘quelli che vissero tanto da poter parlare”, e la base delle leggende arturiane sia questa, Mary Stewart riesce a farci fantasticare sui dettagli della scena e a farci immaginare dei futuri che, per quanto poco possibili, s’impossessano della nostra testa anche dopo aver finito di leggere non solo la scena ma tutto il romanzo.
La corrente d’aria, carica di temporale, che agita la seta della tenda del Re e fa gemere le corde ci riporta subito con la mente alla discussione avuta da Artù, in sogno, con il fantasma di Gawain. Quest’ultimo lo aveva esortato ad aspettare Bedwyr, ossia Lancillotto, e nel frattempo promettere terre e potere a Mordred per poi, quando fosse stato certo della vittoria, attaccarlo e ucciderlo –“Niente è tradimento se distrugge un traditore”, aveva detto- e il Sommo Re sembra risentire le sue parole. Smette di parlare e, alzando le spalle come a volersi difendere da una ventata fredda, getta una strana occhiata al figlio. Un lampo di dubbio passa sul volto di Mordred: che il Sommo Re, con i suoi gesti gentili, voglia nascondergli qualcosa? Ma riprende subito il controllo e, scrollando le spalle e sorridendo, prende la coppa dalle mani del padre.
Ed ecco che, alla fine, noi impotenti lettori, ci troviamo a chiederci cosa sarebbe successo se il destino avesse permesso loro di stringere un –seppur non duraturo- accordo di pace. Artù voleva veramente, nonostante non avesse nessun motivo per sospettare di Mordred, all’arrivo di Bedwyr, tradirlo e cercare di ucciderlo, o la sua ‘strana occhiata’ era dovuta all’improvviso ricordo della discussione con il nipote defunto e dalla consapevolezza che la profezia avrebbe comunque trovato modo di avverarsi? E suo figlio, Mordred, che aveva eletto reggente in sua assenza, si sarebbe fatto sorprendere, in quel caso, o, capendo le intenzioni del padre, si sarebbe fatto trovare preparato all’arrivo di Bedwyr?
Il destino avrebbe comunque trovato il modo di far avverare la profezia. Ci resta solo da ringraziare la penna unica di questa scrittrice per queste brevi, ma intense, riflessioni e fantasticherie con cui, con il suo stile perfetto, ha reso magica la fine del libro.
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Prima o poi morirai.
Ci sono storie (una manciata, come ho già detto) alle quali consento di distrarmi dalla fatica, come faccio con i colori. Le raccolgo nei luoghi più disparati e improbabili, e mi assicuro di non dimenticarmene mai, mentre lavoro. La ladra di libri è una di queste storie.
I primi capitoli sono spiazzanti per il lettore: a narrare gli eventi, in questo libro, c’è Morte. La Morte che prova compassione per gli ebrei che lasciano la vita nei campi di concentramento, che piange nel dover portare via, per quanto ciò significhi per lei commettere un furto, un ragazzino. La morte che non è malvagia, né se ne va in giro con la falce e il mantello nero: si ritrova solo a fare il suo dovere.
Sì, lo so.
Nella tenebra del mio cuore dal battito cupo, lo so. Gli sarebbe piaciuto di certo.
Visto?
Perfino la morte ha un cuore.
Per quanto tutti i personaggi siano caratterizzati in modo impeccabile, il giovane Rudy Steiner spicca fra tutti. Preferito dallo scrittore e dalla narratrice, con la sua voglia di vivere e con i suoi piccoli gesti di ribellione, conquista fin da subito la simpatia del lettore per poi spezzargli il cuore. Azione che compiono tutti i personaggi. Lui in particolare.
“Quando è nato il nostro Führer?” Ogni parola era pronunciata con cura, e infilata nell’orecchio di Rudy. “Forza, Rudy, quando è nato? Me lo puoi dire, va tutto bene, non avere paura.”
E Rudy?
Come reagì?
Rispose con prudenza, oppure lasciò che la sua idiozia lo facesse sprofondare sempre di più nei guai?
Fissò con aria beata gli occhi azzurro chiaro di Franz Deutscher, e mormorò: “A Pasquetta.”
Una lettura unica che nessuno dovrebbe perdersi. (Non)Lettori italiani: per una volta, invece di dire “Vedrò il film”, leggetevi il libro e innamoratevene.
***LA LADRA DI LIBRI: ULTIMA RIGA***
Ho odiato le parole e le ho amate,
e spero che siano tutte giuste.
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