Opinione scritta da aislinoreilly
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L'amore, la vita, la morte.
Ho iniziato a leggere questo libro in concomitanza con “David Copperfield” di Dickens. Giuro che non l’ho fatto di proposito! Era in lista già da tempo e mi è stato regalato per il mio compleanno, così eccomi qua a scriverne un breve commento. Ho detto quanto sopra, proprio in apertura, perché “Norwegian Wood” (precedentemente intitolato “Tokyo Blues”) assomiglia vagamente al romanzo di Dickens, soprattutto in un paio di aspetti. Innanzitutto, sono romanzi di formazione entrambi: in quello di Dickens il giovanissimo David vive le sue esperienze e matura la sua personalità; in Norwegian Wood è Watanabe a T?ru a farci fare un viaggio nel suo passato e nella sua vita. Anche Watanabe, come David, incontrerà un amico apparentemente speciale che poi si rivelerà un modello sbagliato di vita dal quale prendere le distanze. Entrambi i protagonisti conosceranno l’amore e lo vivranno in modi differenti (visti i tempi e i luoghi nei quali sono ambientati i romanzi), ma sempre in modo passionale e romantico. Le figure femminili sono quasi elevate a divinità ed in loro pare che non ci sia mani niente di sbagliato agli occhi dei protagonisti. Murakami ha comunque dichiarato di aver basato il romanzo sul suo stesso racconto “Hotaru” – “La lucertola”, pubblicato 5 anni prima.
Dentro questo romanzo c’è anche una parte di Murakami, ci sono i suoi interessi musicali, citazioni delle sue letture preferite e la sua moderna visione del Giappone. Watanabe legge autori occidentali, in forte contrasto con la tendenza giapponese di gravitare sempre attorno alla letteratura e alla cultura nazionale, come a volerla conservare gelosamente. Murakami ed il suo Watanabe sono delle mosche bianche nella società, più volte quest’ultimo si sentirà estraneo a ciò che lo circonda e tenderà a discostarsi sempre più dalla comunità. Quello che traspare da questo romanzo è il dramma dei giovani giapponesi che trovano nel suicidio una via di fuga da una realtà opprimente che non gli permette di trovare un posto adatto a loro. Sono fragili, sono spesso soli e incompresi. Anche i migliori, apparentemente, non ce la fanno. Murakami non lo dice espressamente, ma sappiamo quanto la società giapponese sia affascinante e, al tempo stesso, molto rigida e severa. Sono molti i personaggi che optano per il suicidio in questo romanzo, ma il lettore non viene inondato di pareri e critiche verso il gesto o il suo movente. Watanabe soffre, ma non dà la colpa a nessuno. Questo è un romanzo drammatico e romantico, perché l’amore è il filo conduttore di tutto e va a braccetto con il sacrificio, la sofferenza e la morte. È un libro da leggere tutto d’un fiato, è un libro da vivere e da immaginare. Una lettura superficiale non lascerebbe nulla e consiglio di leggere anche la prefazione dell’autore, perché aiuta veramente molto a capire la portata di questa opera.
Consigli di lettura: non adatto a letture frammentate, alcuni capitoli sono lunghi e si potrebbe perdere il filo del discorso. Non è un libro per bambini (scontato forse, ma sempre meglio dirlo).
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Il lato umano della morte
-ATTENZIONE SPOILER-
In una nazione ignota, in un tempo passato a noi sconosciuto, la morte smette di svolgere il suo temuto lavoro. L’unica cosa che sappiamo è che allo scattare della mezzanotte del 1° Gennaio, la gente smette di morire, solo lì. Al confine e nei Paesi circostanti le cose funzionano esattamente come sempre, niente sembra essere cambiato. Questo avvenimento provoca una catena di reazioni, a partire dalla cittadinanza che, euforica, scoppia in moti di patriottismo e festeggia la sua apparente salvezza. I problemi, però, non tardano ad arrivare: chi doveva morire ora si trova in un perenne limbo, gli anziani aumentano sempre di più, le compagnie d’assicurazione chiudono i battenti, le pompe funebri ripiegano sui funerali degli animali domestici. Anche la Chiesa sta attraversando un brutto momento, senza la morte non c’è resurrezione e non c’è salvezza eterna dell’anima. Nei sette mesi che seguiranno si instaurerà un labile equilibrio grazie alla scoperta che, non appena giunte oltre confine, le persone tornano a morire come sarebbe dovuto essere. Un giorno, però, il direttore della televisione riceve una strana lettera viola, la lettere scritta dalla morte stessa. Ella dà comunicazione del fatto che il giorno successivo tornerà ad operare come sempre, prendendosi le anime di tutti quelli che devono trovare la loro strada verso l’aldilà. La notizia devasta la nazione intera, ma non c’è molto da fare. L’unico compromesso che viene raggiunto è che ella dia comunicazione agli sfortunati, attraverso una missiva viola, del prossimo trapasso una settimana prima del triste avvenimento. La morte in cuor suo credeva di aver avuto una buona idea, in quel modo ognuno avrebbe potuto aggiustare le cose per poter morire serenamente. Chiaramente, conoscendo poco l’essere umano, sottovalutò le reazioni che furono tutt’altro che ponderate. Chi riceveva la tanto odiata lettera, non pensava di certo ai doveri! Ma una lettera non riusciva proprio a recapitarla, tornava sempre indietro misteriosamente. Così decise di verificare di persona chi fosse il fortunato che sarebbe già dovuto essere morto, ma continuava a vivere. Era un violinista, modesto, solitario e dedito alla musica. Lo spiò senza farsi vedere, poi decise di consegnargli la lettera personalmente, ma in “veste ufficiale”. Si presentò al violinista sotto forma di una bellissima donna, provocando il suo inevitabile interesse. Ma la vicinanza agli esseri umani la influenza e la rende più umana a sua volta: proverà finalmente cosa sia l’amore e rinuncerà al suo ruolo per restare al fianco del musicista.
José de Sousa Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, dà al Mondo questo splendido romanzo nel 2005. Nel contenuto e nella forma si riconosce perfettamente lo stile narrativo di Saramago. Un esempio è la quasi totale mancanza di punteggiatura, la poca che troviamo viene inserita in modo singolare e anticonvenzionale. I dialoghi non sono “contrassegnati”, si alternano all’interno della narrazione stessa, creando un flusso di coscienza quasi ininterrotto. Si è sempre dichiarato ateo e il suo scarso apprezzamento per la Chiesa si percepisce abbastanza facilmente. La morte serve, soprattutto per incutere timore e ottenere devozione dai fedeli. Senza morte, non c’è nemmeno un giudizio finale, e la distanza fra Dio e l’uomo aumenta inesorabilmente. La Chiesa non è felice per la guadagnata immortalità perché perde l’appoggio dei suoi fedeli. Ma Saramago ci tiene a precisare che il romanzo non vada visto come una riflessione filosofica sulla vita e sulla morte, quello che viene narrato è solo una situazione assurda narrata con tono ironico e sarcastico. Non mancano nemmeno le critiche alla politica che arriva addirittura a patteggiare con la Maphia (chi leggerà capirà). Insomma, in questo libro c’è veramente di tutto. La cosa bella è che non c’è confusione e disorganizzazione, tutto fila liscio dalla prima pagina all’ultima. La morte è la vera protagonista, tutto quello che accade prima della sua entrata in scena è solo un contorno, non ci sono eroi, tutti sbagliano e tutti vengono giudicati dall’autore stesso attraverso la sua voce narrante. La morte di Saramago è una creatura ultraterrena scheletrica, riservata e donna. Ha sempre svolto il suo lavoro uccidendo gli esseri umani, ma solo grazie al violinista si rende conto di non averli mai realmente conosciuti. Non sono solo involucri di carne che hanno una scadenza che lei deve fargli rispettare, sono un Mondo affascinante che non ha ancora esplorato. Così, come un bambino curioso che scopre ciò che lo circonda, la morte scopre la vita. Se non è poesia questa, ditemelo voi.
Inutile dire che è un libro che si legge da solo, a parte il “trauma” iniziale del peculiare stile narrativo di Saramago, si fa presto ad abituarcisi e ad apprezzarlo. La storia, poi, è bella e originale, travolge e stuzzica l’immaginazione. È un romanzo che consiglio un po’ a tutti, ma solo se disposti a leggerlo tutto d’un fiato perché è un po’ complesso da seguire in una lettura frammentaria. Consiglio e straconsiglio.
Buona lettura!
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La voce delle carte
Italo Calvino pubblicò questa opera nel 1969, è un romanzo fantastico definito di “letteratura combinatoria”. Alla base di questa classificazione sta il fatto che al suo interno si possano trovare combinazioni di immagini e parole. Infatti, Calvino, sfruttò i tarocchi per la composizione dei diversi racconti, aggiungendone le immagini relative. Abbiamo così un romanzo illustrato, ma ben diverso dal solito, più complesso. La difficoltà nell’interpretare i tarocchi fu riscontrata, in prima battuta, soprattutto da Calvino in persona, che rischiò di lasciare la sua opera incompiuta. Esiste anche un secondo racconto, “La taverna dei destini incrociati” ed inizialmente ne era stato concepito addirittura un terzo, “il motel dei destini incrociati”. Purtroppo Calvino perse di interesse per la tecnica narrativa ed il terzo romanzo non fu mai scritto.
Breve accenno sulla trama: alcuni viandanti, durante il loro viaggio, attraversano un bosco ed entrano in un castello. Qui perdono tutti la voce, ma non la voglia di narrare le loro storie. L’oste mette a disposizione degli ospiti un mazzo di carte di tarocchi, essi sfrutteranno il potere narrativo ed i significati mutevoli delle carte per poter parlare di loro e delle vicende che li hanno portati lì. Apparentemente sembrano tutti estranei fra loro, ma in ogni storia ci sarà un elemento in comune con qualcuno dei commensali che non si farà sfuggire l’occasione di dare voce alla sua storia. Uno dei viandanti è Calvino stesso che ci fa da interprete delle carte, offrirà spunti e riflessioni.
Questo è forse uno dei libri più particolari che io abbia letto. Ringrazio Calvino per aver separato i racconti di ogni personaggio in diversi capitoli, altrimenti non ci avrei capito nulla. Durante la lettura ci si sente catapultati nel passato medievale nella quale è ambientato il romanzo, si percepiscono i suoni, si immaginano i volti. Chissà perché i protagonisti debbano per forza perdere la voce per usare come mezzo di comunicazione le carte… Sicuramente è un espediente geniale, perché nemmeno nella fantasia avrebbe senso parlare con le figure quando si ha il dono della parola. Quindi ci ritroviamo a dare un senso a figure che potrebbero non appartenere nemmeno alla nostra cultura e i diversi protagonisti in questo ci somigliano. Molti usano le carte per quello che semplicemente rappresentano, altri ne sfruttano il significato simbolico più o meno riconosciuto. Le storie poi, sono pazzesche. Intrighi, amori e passioni, tradimenti e magia, battaglie e tormenti, sembrano cose inenarrabili attraverso figure, semplici o complesse che siano, invece ecco delineate storie che si intrecciano, si perdono e si ritrovano. Calvino deve esserci veramente diventato matto per dare un senso logico alle innumerevoli combinazioni ottenibili con le carte! Sono veramente incrociati i destini dei viandanti, anche quando una storia pare del tutto conclusa, ecco che ne riparte subito un’altra, prendendo spunto da un avvenimento o un personaggio citato dal narratore precedente. La cosa più bella, è che ogni protagonista riconosce se stesso in una carta in particolare, oppure si può dire che siano le carte a somigliare al protagonista. La prima carta, per tutti, è quella che li rappresenta, sia esteticamente che simbolicamente. Funge praticamente da carta d’identità, ogni viandante si presenta con essa e inizia a raccontare la sua storia.
Al solito, lo stile narrativo di Calvino mi fa apprezzare tutto della lettura delle sue opere, nonostante non sia stata sempre semplice per questo romanzo. Parole desuete, periodi lunghi che ricordavano molto un flusso di coscienza, sono alcune codine che mi hanno un po’ rallentato. Ad ogni modo, l’ho trovato comunque piacevole e intrigante, facilmente gestibile. Lo consiglio, infatti, a chi è abituato a leggersi un capitoletto alla volta: ogni personaggio ha il suo, che si conclude al terminare della sua storia personale, alcuni sono più lunghi di altri, ma in media sono piuttosto brevi.
Mi pare ovvio che io consigli questo romanzo, anche solo per la curiosa esperienza visiva del leggere e ricercare, nei tarocchi disegnati, dettagli e significati nascosti.
Concludo citando un piccolo pezzettino che mi ha fatto ridere, lo trovate nel capitolo “Storia dell’Orlando pazzo per amore”:
“La verità si fece largo nella mente d’Orlando: nell’umido fondo del bosco femminile c’è un tempio di Eros dove contano altri valori da quelli che decide la sua Durlindana."
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“Non si può stare attenti su uno skateboard”
IT.
Nella edizione della collana Superbestseller Paperback da me letta sono ben 1238 pagine. Una autentica infinità, a pensarci bene.
In questo caso non mi metterò a fare una breve introduzione dell’autore (l’arcinoto Stephen King) e parlare della trama mi pare superfluo. Anche il più ignorante della Terra ha sentito parlare almeno una volta del pagliaccio IT che vive nelle fogne della città di Derry e divora i bambini, no? Ecco, involontariamente l’ho fatto, questa era la trama.
Detta così sembra una cosina tutto sommato semplice, qualcosa che si potrebbe narrare in quanto, qualche centinaia di pagine? Invece ecco il nostro Stephen King che dal 1981 al 1985 ci costruisce un Mondo intero, un intreccio di vite e di vicende che ci inglobano in questa realtà terrificante ma avvincente. L’unica cosa che ci tengo a fare in questo mio commento, è parlare brevemente dei protagonisti d questa storia.
William “Bill” Denbrough è il leader del Club dei Perdenti costituito da Benjamin “Ben” Hanscom, Beverly "Bev" Marsh, Richard “Richie” Tozier, Edward “Eddie” Kaspbrak, Michael “Mike” Hanlon e Stanley “Stan” Uris. Il romanzo inizia con la morte del suo fratellino, George, che in una piovosa giornata si imbatte in IT che lo va a mutilare brutalmente, lasciandolo esanime sul ciglio della strada. La vita di Bill verrà completamente stravolta, assieme al rapporto con i propri genitori che si incrinerà definitivamente.
Ben è un bambino particolarmente sovrappeso, bullizzato e preso di mira, come anche gli altri del Club, da Henry Bowers. Molto timido e riservato, prima di incontrare gli altri componenti del gruppo non aveva molti amici e trovava conforto nel cibo e nelle costruzioni.
Bev è l’unica ragazza del gruppo, è spigliata e intraprendente e ne sono tutti (più o meno) segretamente innamorati. Proviene da una famiglia dove il padre la picchia per le più svariate motivazioni, giustificandosi che lo fa per il suo bene.
Richie è il più burlone dei 7, rinominato “boccaccia” per la sua inclinazione naturale alle risposte meno adeguate nei momenti meno opportuni. Ha una buona dose di coraggio ed è quello più incosciente di tutti.
Eddie è asmatico ed ha una madre che tende a scaricare su di lui tutti i suoi timori. Super apprensiva e ipocondriaca, Eddie è il risultato delle sue ansie, ma nel rapporto con gli altri ragazzi troverà la forza di rendersi indipendente dal rapporto soffocante con la madre.
Mike è un ragazzo dalla pelle scura in un paesello dove c’è ancora chi odia quelli che hanno un colore della pelle diverso dal bianco. È comunque forte e buono di cuore, probabilmente il personaggio più moderato di tutti dal punto di vista caratteriale.
Stan, infine, è chiamato da tutti “l’uomo”. Troppo maturo fin da piccolo, troppo poco bambino per poter tollerare i soprusi psicologici di IT senza uscirne segnato per sempre. Scettico, eccessivamente sensibile, quello che vivrà in gioventù segnerà la sua vita più profondamente degli altri.
Il destino li porterà ad affrontare IT due volte nella loro vita. La prima volta nel 1958, quando tutti i nostri protagonisti sono ancora dei bambini, la loro immaginazione sarà potente e IT ne uscirà gravemente ferito. Nel 1985 verranno chiamati a rispondere al loro giuramento, se IT avesse ricominciato la sua carneficina sarebbero tornati a Derry, ovunque fossero nel Mondo. Ecco così che comincia la resa dei conti, il capitolo finale. Ognuno di loro era fuggito da Derry appena ne aveva avuto la possibilità, tranne Mike, l’unico ad essere rimasto in città come un guardiano. È lui a richiamarli a rapporto, è lui a risvegliare in loro i loro incubi. Allontanarsi da quella città maledetta non li aveva svincolati dal loro destino e non li aveva resi liberi come credevano.
Se io potessi parlare con Stephen King avrei diverse domande da porgli, non tanto sulla trama e sul messaggio del romanzo in sé, ma sulla gestione del contenuto di quello che ha scritto.
Perché mi interrompi ogni sacrosanto momento epico con flashback, salti temporali vari, scene passate e presenti dei protagonisti in sequenza casuale? Capisco la suspence, ma ti ho odiato spesso e volentieri per questo.
Perché il protagonista quasi assoluto deve essere una sorta di autoritratto? Troppo scontato, uffa.
Scherzi a parte, perché hai fatto durare lo scontro finale per quasi metà libro e poi non mi hai nemmeno tolto la curiosità su come se la stessero passando tutti tranne praticamente Bill e la sua moglie?
Sono domande stupide, ma potete credermi che me lo sono poste davvero. Poi qui non voglio nemmeno fare spoiler e anticipare troppo, non vorrei mai rovinare il gusto della lettura a nessuno. Per scoprire i dettagli basta guardarsi il film (che io non ho ancora visto) o visitare la pagina Wikipedia dedicata.
Nonostante anche io sia stata estremamente prolissa, avrei potuto descrivere il mio gradimento di questo libro con una sola parola: Ok. Non mi ha entusiasmato perché non amo le lunghissime descrizioni minuziose e non mi ha soddisfatto il finale quasi per nulla. La battaglia è stata epica, ma alla fine IT cos’era? Era veramente un alieno? Perché il paranormale mi piace e mi intriga, ma capire che fosse un alieno venuto a Derry per cibarsi senza uno scopo predefinito mi ha lasciato insoddisfatta. Se qualcuno ha capito qualcosa più di me, non esiti a scrivermi che lo apprezzo sempre.
I personaggi sono ok, costruiti magistralmente, nulla da dire. Non mi hanno coinvolto emotivamente come in altri romanzi, forse perché non mi sono identificata in nessuno di loro in particolare, ma questo è un problema solo mio.
Per il resto c’è poco da dire, se è un bestseller ci sono sicuramente diverse motivazioni. Io sono comunque lieta di averlo finito di leggere e credo che non lo rileggerò mai nella vita. Invidio lo Stephen King del tempo perché darei qualsiasi cosa per poter scrivere come lui, ma IT è veramente troppo, troppo, troppo lungo. Questo è il suo grande difetto e non lo dico perché ce l’ho con i romanzi da 1000 pagine e oltre, ne ho letti e ne ho da leggere… È solo che in alcuni punti mi è sembrato un po’ “annacquato”, tutto qua.
Consigliato per chi ha molto tempo per leggere continuativamente, sconsigliassimo per i lettori occasionali, troppo difficile tenere il passo con le vicende. Per chi ama King è un must, per chi non lo ama troppo lo sconsiglio, gli indicherei di iniziare con “Misery” che è un’autentica bomba.
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Biff, l'amico che tutti vorrebbero.
Christopher Moore è uno scrittore americano che attualmente vive fra le Hawaii e San Francisco. Ha iniziato a scrivere a 12 anni e le sue opere spesso hanno come protagonista un “maschio beta”, ossia un uomo qualunque. Egli si ritrova generalmente ad agire in circostanze sovrannaturali o straordinarie ed alcuni dei suoi personaggi si presentano nei diversi romanzi, interagendo fra loro. Nonostante tutti i diritti degli scritti di Moore siano stati acquisiti da parte di produttori cinematografici, al momento non esistono trasposizioni delle sue opere.
“Il vangelo secondo Biff, amico di infanzia di Gesù” è il primo romanzo di Moore che mi sia capitato di leggere, ed ammetto di averlo scelto (come spesso faccio) per il titolo accattivante. La trama è esattamente quello che ci si aspetta: un vangelo che ripercorre gli anni di vita di Gesù fin dalla sua nascita. A scriverlo è Biff, egli ha vissuto tutte le incredibili vicende in compagnia del Messia, accompagnandolo nella sua crescita personale e spirituale. La stesura del Vangelo, però, non avviene dopo la morte di Gesù, bensì in epoca moderna, fra grattacieli, macchine e televisioni. Per fare ciò è servito l’intervento di un angelo che, secondo la volontà divina, ha riportato in vita Biff con lo scopo di dare al Mondo ciò che non è mai stato possibile stabilire. Com’è stata l’infanzia di Gesù? Cosa ha fatto negli anni più importanti della sua vita? Come ha appreso gli insegnamenti che è andato diffondendo fra la gente? Ecco la risposta a tutte le vostre domande… Grazie Biff!
È stato bello immaginare la vita di un personaggio fra i più famosi al Mondo, soprattutto è stato bello farlo guardando attraverso gli occhi di un protagonista tanto divertente. Sarcastico, pungente, senza peli sulla lingua, non mi sarei potuta immaginare un compagno di avventure migliore di questo. Il bello di questo romanzo è che riesce ad essere irriverente senza essere sacrilego, perché la figura di Gesù viene “protetta” dallo scrittore, lasciandolo divino come ci si immagina, ma allo stesso tempo umano. Anche lui scopre il sarcasmo, anche lui si chiede se possa fare o meno l’amore, ma c’è Biff ad aiutarlo a scoprire anche ciò che lui in prima persona non può fare. In questo romanzo Gesù è figlio di un Dio che non risponde alle sue richieste di aiuto e ciò lo fa sentire solo ed abbandonato. Per fortuna al suo fianco c’è Biff (che in realtà si chiamerebbe Levi) che lo sostiene e lo protegge. Questa è una storia di amicizie, amori, fedeltà e sacrifici, non è soltanto un vangelo qualunque. Anche se la prima parte fatica a decollare come ritmo narrativo, una volta preso il via è un romanzo che si legge da solo. Biff è irriverente e sfacciato, un tipo sveglio anche se non eccessivamente intelligente. Probabilmente è il migliore amico che tutti noi vorremmo, la spalla su cui contare nei momenti del bisogno. Mi è piaciuto il fatto che siano stati mescolati episodi “realistici” con altri del tutto improbabili e sono apprezzabili anche i personaggi di contorno, poiché sono stati ben delineati durante tutta la narrazione. Sono complessivamente soddisfatta da questa lettura, ho desiderato per molto tempo di leggere questo libro e le mie aspettative erano molto alte, ma non sono rimasta particolarmente delusa. La storia tende a catturare molto di più dalla metà in poi, soprattutto quando inizia il viaggio di Gesù e Biff alla ricerca dei Magi. Questa parte centrale è particolarmente curiosa e molto divertente in diversi episodi, c’è ben poco di cui annoiarsi.
Una lettura consigliata agli amanti del genere umoristico/fantasy, ai cristiani e non, a chi vuole farsi una lettura impegnata ma non troppo. Lo sconsiglio a chi legge senza continuità perché si tende facilmente a perdere il filo e perché i capitoli sono mediamente molto lunghi.
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Diecimici per dieci Giusti
Questo è il secondo libro di Benni che leggo, avevo già apprezzato Cari Mostri e Prendiluna si è rivelato un libro all’altezza delle mie aspettative.
Tanto per introdurlo, è un romanzo fantastico pubblicato nel 2017 dalla Feltrinelli. La protagonista, fin dalle prime pagine, è proprio lei, Prendiluna. Ella è una amabile vecchietta, una maestra in pensione, che vive nel bosco in solitudine. Stava guardando fuori dalla finestra nel momento in cui le apparve Ariel, il suo gatto preferito morto qualche anno prima. Sarà proprio lui ad affidarle la Missione: dovrà salvare il Mondo donando ad ognuno dei dieci Giusti uno dei Diecimici. Ha solo otto giorni per farlo, dopodiché lei morirà e la Terra verrà distrutta. Fu così che Prendiluna partì dalla sua casa con una pesante valigia contenente ben 10 gatti, alla ricerca dei Giusti. Nel frattempo, però, anche Dolcino e Michele fanno lo stesso sogno e partono a loro volta. Loro sono due pazienti internati in un manicomio, ma sono stati studenti quando Prendiluna ancora esercitava la sua professione di maestra, la conoscono bene e vogliono trovarla per aiutarla a portare a termine l’importante missione. Intrighi, pedinamenti, scene grottesche, i nostri protagonisti vivranno tutto questo, fino ad un epilogo inaspettato e decisamente d’impatto.
Cosa mi è piaciuto di questo racconto? Tutto. L’ho praticamente divorato, non mi ha fermato nemmeno il sonno (ogni tanto) e cercavo sempre di arrivare almeno a fine capitolo. Benni è un abile narratore, inoltre mi ha sorpreso con l’inserimento di un linguaggio colorito usato soprattutto da Dolcino e Michele. Geniale il ribaltamento del ruolo di Dio, soprattutto l’idea di inserire delle imprecazioni camuffate abilmente: Diodue è solo una delle tante che troverete durante la lettura e sono sicura che vi faranno sorridere ogni volta. Come ogni missione che si rispetti, abbiamo anche dei cattivi che cercano di ostacolarne il compimento, ma i nostri protagonisti non sono degli sprovveduti e si riveleranno ricchi di incredibili qualità. Mi è successo rare volte di ridere durante la lettura e Benni è riuscito a farmi divertire davvero. Mi è piaciuto molto il ruolo di Prendiluna: non è solo la potenziale salvatrice del Mondo, è anche una persona dalle ampie vedute, dotata di mente aperta ed ingegno. È sensibile, è comprensiva e sembra incapace di disprezzare e giudicare. Dolcino e Michele sono a loro volta delle anime pure, se pur tormentate dai fantasmi dal passato e dalle loro patologie psichiatriche. Senza dubbio li amerete anche voi come li ho amati anche io, amerete la loro lealtà ed il loro coraggio, nonché le loro buffe elucubrazioni. Non voglio spingermi oltre con il commento perché non vorrei dire troppo, consiglio la lettura a tutti, anche ai lettori occasionali che non cercano niente di impegnativo. È leggero anche il linguaggio, la storia è coinvolgente ed i capitoli sono brevi. Acquistatelo o fatevelo prestare, ne rimarrete sicuramente soddisfatti!
Buona lettura.
Ps:
Ho dato un'occhiata anche alle recensioni già presenti su questo portale ed ho notato che sono tutte mediamente negative. Io non sono un'esperta di Benni e non conosco tutte le sue opere, però ho letto questo libro così com'è ed è proprio il suo essere eccessivo che mi ha fatto divertire di più. Non so se il suo intento fosse quello di far sapere a tutti che è un anticlericale che disprezza gli uomini potenti, io mi sono comunque divertita durante la lettura e spero di aver fornito un punto di vista diverso dai precedenti, per permettere agli indecisi di chiarirsi le idee.
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Il ritratto dell'esperienza.
“Non è poi così difficile interpretare la parte dello scemo se lo si è di natura.”
La trama in breve: Alan Karlsson si trova ospite di una casa di riposo. È il suo compleanno e tutti, infermieri e non, sono pronti per i festeggiamenti: compirà 100 anni. Un secolo di vita è molto, ma Alan non sente il peso degli anni, anzi. Decide così di fuggire dalla finestra di camera sua, dando inizio ad una serie di eventi rocamboleschi e al limite del surreale che, rimanendo in quella triste struttura, non avrebbe mai potuto vivere. Durante la sua “evasione” saprà mettere in atto tutte le sue incredibili capacità, frutto di una vita passata districandosi fra una guerra e l’altra, riuscendo a interagire con personaggi storici temibili e affrontando situazioni estremamente pericolose. Nel suo girovagare incontrerà alcuni personaggi, più o meno raccomandabili, che apporteranno a tutta la storia un tocco in più di originalità.
Ho comprato questo libro non senza sospetto, le recensioni erano troppo buone perché meritasse veramente. Da quando sono incappata in alcuni best seller che mi hanno lasciato più che interdetta, prendo sempre con le pinze quello che mi viene detto suo romanzi molto quotati.
Beh, dopo un’attenta lettura, posso dire di aver fatto bene a comprarlo, perché è veramente un libro adorabile. Esatto, adorabile. Riesce veramente a trascinarti nella lettura e Alan è un personaggio che è impossibile da odiare. Fondamentalmente lui rappresenta quello che tutti noi vorremmo essere veramente: persone libere. Non dimentichiamoci poi, che ha avuto la fortuna di arrivare a 100 anni arzillo, sveglio e in salute! L’ospizio è una prigione per un’anima libera come lui, gli sta stretto e non vuole condividere un traguardo così importante con le infermiere che gli provocano solo scocciature, la fuga è l’unica via. Quanti di noi vorrebbero fuggire da situazioni che ci stanno “strette”? Quanti di noi vorrebbero partire all’avventura autentica, senza una reale direzione? A 100 anni Alan non ha più nulla da perdere e scappa con le sue pantofoline ai piedi, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze delle sue azioni. Incontrerà delle persone che avevano bisogno di dare una svolta alla propria vita e con lui si sentiranno libere di voltare pagina. Alan mi piace perché è come se fosse una sorta di guida spirituale sbadata e genuina, un vecchio saggio che è stato forgiato dalla vita. Durante i numerosi flashback che si alternano ad una comoda narrazione lineare e pulita, si ha modo di scoprire l’incredibile gioventù dell’anziano. Un uomo ricco di risorse fin da subito, capace di sfuggire alla morte e di cambiare sempre il suo destino. Un uomo che non si è mai arreso al fato, ma che ha sempre lottato e si è ingegnato per uscire fuori dai guai.
Questo romanzo è un concentrato di positività, perché ad ogni intoppo Alan ci mostra che c’è sempre una soluzione, un diverso punto di vista per approcciare le difficoltà. La sua forza sarà amplificata anche dalle astuzie dei suoi compagni di viaggio che si riveleranno di fondamentale importanza verso la fine del romanzo.
Dal punto di vista più “pratico” c’è poco da dire: si legge da solo. Adatto a tutti, anche ai lettori non abituali, a chi legge prima di addormentarsi e a chi legge mentre viaggia sul treno. Si presta abbastanza bene ad una lettura poco costante, ma lo sconsiglierei perché la storia si segue bene ma è piuttosto intricata ed il rischio è quello di essersi dimenticati qualcosa fra una pausa e l’altra.
Sono rimasta veramente entusiasta di questa lettura come poche altre volte in vita mia, non mi voglio dilungare oltre nel commento perché la piacevolezza di questo romanzo è veramente troppo difficile da descrivere, va vissuta.
Correte a leggerlo (se non lo avete già fatto), buon divertimento!
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Una caotica indagine hippie
[nota biografica, se non vi interessa passate oltre]
Thomas Ruggles Pynchon Jr. nasce l'8 maggio 1937 a Glen Cove a est di New York City, la famiglia si trasferirà poi nella vicina East Norwich dove frequenterà la Oyster Bay High School. Fin dall'adolescenza dimostra di essere un ragazzo intelligente ma molto riservato, tanto da rifiutare di essere inserito nel registro delle matricole una volta raggiunta l'università. Dopo soli due anni alla Cornell University di Ithaca a studiare Fisica e Ingegneria, decide di arruolarsi nella Marina degli Stati Uniti, ambiente dalla quale trarrà alcuni dei suoi personaggi dei suoi primi romanzi. Dopo essersi congedato, nel 1957, torna alla Cornell University a frequentare Lettere, lasciando incompiuti gli studi precedentemente intrapresi. Il suo primo grande successo bibliografico è "V.", pubblicato per la J.B. Lippincott a soli 26 anni. Esso è un romanzo composito, costituito da una collezione di racconti montati come flashback, ambientati tra la fine del XIX e la metà del XX secolo.
Secondo le testimonianze raccolte dal professor Andrew Gordon (Pynchon non ha mai rilasciato interviste ed ha sempre evitato anche i flash dei fotografi), Thomas avrebbe vissuto per un decennio, nella prima metà degli anni Sessanta, a Berkeley. A contatto con la controcultura che avrebbe dato origine al fenomeno hippie, scrive la sua seconda opera lunga, "L'incanto del lotto 49". A gennaio 1972, consegna alla Viking Press un manoscritto intitolato "Mindless pleasures", la prima stesura della sua opera più famosa: "L'arcobaleno della gravità". Il romanzo parla dell' A4, il razzo-bomba costruito dalla Germania nazista nell'ultimo anno della seconda guerra mondiale e utilizzato soprattutto per colpire Londra.
17 anni dopo il suo grande successo, verrà pubblicato "Vineland" e nel 1997 uscirà, negli Stati Uniti, "Mason & Dixon", il suo primo romanzo storico ambientato a fine Settecento.
Più recentemente abbiamo "Contro il giorno" (del 21 novembre del 2006), "Vizio di forma", (pubblicato nel 2009 negli States e nel 2011 in Italia) e "La cresta dell'onda", ultimo romanzo del 17 settembre 2013.
Veniamo a noi… "Vizio di forma".
Prima di parlare del romanzo, premetto di aver visto il film omonimo di Paul Thomas Anderson nel 2015. Ammetto di non aver capito troppo dalla visione della pellicola, così mi son detta: "perché non leggere il libro? Magari ci capisco qualcosa di più!". Mai cosa fu più sbagliata. Comunque, proverò a tracciare una visione generale della trama e annessi e connessi.
Siamo a Los Angeles nel 1969, il protagonista indiscusso della storia è tale Larry "Doc" Sportello, un investigatore privato hippie. La storia inizia con un incarico da parte della sua ex, Shasta Fei, che gli chiede di sventare il tentativo della moglie del suo amante (il proprietario immobiliare Mickey Wolfmann) di farlo interdire e ricoverare in un manicomio. Allo stesso tempo, accetta un altro lavoro: deve rintracciare Glen Charlock, la guardia del corpo dello stesso Mickey, scomparso nel nulla. Doc verrà aggredito durante un sopralluogo in una delle proprietà di Wolfmann; al suo risveglio, "Bigfoot" Bjornsen (detective del dipartimento di polizia), lo informerà che Glen Charlock è stato assassinato e che Mickey Wolfmann è scomparso. Da qui parte tutta la vicenda che lo porterà a trovarsi invischiato in faccende molto più grandi di lui, rischiando addirittura la pelle.
Mi mantengo più che sintetica su questa trama, un po' per la totale confusione che si crea a metà libro, un po' per non rivelare troppo e rovinare il piacere della lettura agli altri. Dico solo che il numero di personaggi in gioco è alto, è difficile ricordare anche tutti i collegamenti tra le diverse sottotrame che si vanno a creare durante la lettura.
Ad ogni modo, Doc è un personaggio abbastanza "americano: il tipico detective privato squattrinato con 2/3 vizi, un ufficio polveroso e trascurato e capace di ficcarsi nei casini più assurdi uscendone sempre miracolosamente illeso. Bigfoot Bjornsen è il classico piedipiatti che ce l'ha con il detective privato, sempre pronto ad incastrarlo per qualcosa invece di collaborarci; arrogante, prepotente, che pare non essere coinvolto in nessuna vicenda e poi ci serve sempre il colpo di scena. Insomma, fosse per i presupposti, non avrei mai finito di leggere questo romanzo.
Per fortuna/sfortuna, la storia risulta essere piuttosto movimentata. Una miriade di personaggi, tutti coinvolti in qualcosa, ognuno il tassello che occupa il suo spazio nel puzzle finale.
È tutto così assurdo che ad un certo punto vi chiederete come faccia Doc a capirci qualcosa. È tutto normale, ho dovuto rileggere le pagine anche più volte. Alcuni personaggi spariscono per un po' e poi ritornano all'improvviso; intermezzi di vita hippie che smorzano la tensione; Doc e Bigfoot che si lanciano frecciatine per tutto il romanzo… Probabilmente solo Pynchon poteva scrivere un romanzo del genere.
Io, alla fine, ne sono rimasta un po' delusa comunque. Non tanto per i personaggi (che nel film sono praticamente tali e quali), ma per il caos generale. Non capisco se tutte le scene assurde e grottesche che si alternano una dietro l'altra hanno veramente uno scopo. È vero che è un racconto che intrattiene, però pare più un tentativo di "stordire" il lettore che altro. Un libro così lascia solo confusione alla fine della lettura. È impossibile non perdere il filo se si legge saltuariamente e se proprio dovessi consigliare qualcosa, raccomanderei la visione del film che è molto fedele al libro ma almeno è un'ottima esperienza visiva.
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Una bomba di fantascienza!
Come al solito, partiamo dal principio: chi è questo Douglas?
Il suo nome per intero sarebbe Douglas Noël Adams, un nome dal sapore natalizio, non trovate? Scherzi a parte, costui era un inglese nato nel 1952 e morto, ahimè, nel 2001 (a soli 49 anni) a seguito di un attacco cardiaco. Da piccolo non si interessò fin da subito alla letteratura, infatti il suo fascino per la scienza prevalse fino a che un professore lo convinse a dedicarsi alla scrittura a seguito di un ottimo risultato in un compito. Nel 1974 ottenne il Bachelor of Arts, e più tardi la laurea di secondo livello in Letteratura Inglese al St. John’s College. Inizialmente si dedicò alla scrittura e contribuì anche alla stesura del 45º episodio di Monty Python’s Flying Circus. Lavorò per la BBC curando soggetto e copioni per la serie Doctor Who ma la sua carriera non prese il volo: le sue opere non erano in linea con lo stile dell’epoca.
Passato un periodo di depressione si riprese e si dedicò anima e corpo alla scrittura ottenendo, dopo varie vicissitudini, un successo incredibile nel 1979 con la pubblicazione di Guida Galattica per gli autostoppisti. A seguito del grande successo pubblicò quattro sequel: Ristorante al termine dell’Universo, nel 1980; La vita, l’universo e tutto quanto, nel 1982; Addio, e grazie per tutto il pesce, nel 1984; Praticamente innocuo, nel 1992. Tra le altre opere da lui scritte, una in particolare è la serie di due libri sull’investigatore privato olistico Dirk Gently.
Guida galattica per gli autostoppisti è il primo libro di una serie di 6 (uno uscito postumo) che deriva dall’adattamento delle prime quattro puntate della serie radiofonica omonima scritta e prodotta da Douglas in persona. La serie radiofonica ed il romanzo ebbero tanto successo anche grazie ad una loro particolarità: sono state le prime opere ad inaugurare il filone della fantascienza umoristica.
La storia del nostro protagonista Arthur Dent, inizia con la demolizione della sua casa. Essa, infatti, si trova proprio dove dovrà passare la nuova superstrada. L’unica cosa che ancora Arthur non sa, è che anche la Terra stessa si trova proprio dove dovrà passare la nuova superstrada…galattica. Manca poco più di mezz’ora alla distruzione del Pianeta quando appare il suo amico Ford Prefect. Egli non è un semplice umano, in realtà è un alieno originario della stella Betelgeuse e va a trovare l’amico proprio per portarlo in salvo. All’ arrivo della flotta di astronavi dell’Ente Galattico Viabilità Iperspazio, Ford farà imbracciare un asciugamano ad Arthur e scroccherà un passaggio da una delle navicelle giunte per far implodere la Terra. I due si salvano e Ford mostra la Guida Galattica per gli Autostoppisti ad Arthur, in modo da fargli capire cosa stesse succedendo. Questo incredibile manuale di sopravvivenza nello Spazio non è in forma cartacea, bensì un eBook Interattivo che risponde alle domande che gli vengono poste. Oltre ad essere una bussola infallibile, esso ha anche due caratteristiche fondamentali:
- costa poco;
- reca stampate, a grandi lettere amichevoli sulla copertina, le parole “DON’T PANIC”.
Arthur verrà trascinato in incredibili avventure ai confini dell’Universo, accompagnato da personaggi alquanto bizzarri come Zaphod Beeblebrox (vecchio amico d’infanzia di Ford ed ex Presidente della Galassia), la terrestre Tricia McMillan (chiamata Thrillian dal suo fidanzato Zaphod) ed il robot Marvin. Quest’ultimo in particolare è perennemente depresso e catastrofista perché è stato dotato di CPV (ossia Caratteristiche da Persona Vera).
Non mi inoltrerò nella trama perché mi sono già dilungata troppo, spero di avervi stuzzicato almeno un po’ la curiosità!
Secondo il mio modesto parere, questo libro e la serie per intero, è qualcosa di geniale e assolutamente imperdibile anche per coloro i quali non sono amanti del filone fantascientifico. Sarò breve e concisa mettendo in chiaro perché, secondo me, va letto:
La storia è coinvolgente fin dal principio e credetemi, non è la classica storiella dove il Mondo viene distrutto ed è tutto molto triste. Il bello viene proprio dopo la rapida distruzione del pianeta Terra ed è tutt’altro che triste o noioso;
I personaggi sono pazzeschi, ben delineati e con un ruolo ben preciso nella storia.
La fantascienza è qualcosa di astratto già di suo, immaginatevi un romanzo che la rende addirittura comica!
Douglas è un eccellente narratore, supponendo di aver letto una traduzione piuttosto accurata del romanzo originale, non si può negare che esso sia scorrevole e leggibilissimo.
Tutta la storia è arricchita da genialità varie tra cui la stessa Guida Galattica, il Motore ad Improbabilità Infinita e molto altro.
Oltre alla componente di intrattenimento, non mancano i piccoli spunti di riflessione che sono legati alla ricerca della “risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto“. L’uomo si è sempre posto la domanda fondamentale senza trovare una risposta precisa, perché? In fondo è logico: come possiamo trovare La Risposta, se in realtà non sappiamo nemmeno La Domanda? ????
È impossibile non immaginare l’universo con le sue bizzarrie mentre lo si legge. Stimola la fantasia.
È comico e grottesco, un mix micidiale ed irresistibile.
Alla fine del libro vorrete anche voi la vera Guida Galattica per gli Autostoppisti, fidatevi.
Adatto a tutte le età a partire dalla magica adolescenza.
Ottimo libro anche per il lettore “occasionale” che sfrutta il senso della vista generalmente per prendere sonno.
Non credo di aver altro da aggiungere, buona lettura!
Ps: consiglio vivamente di guardare anche l’omonimo film, è divertentissimo e molto fedele ai romanzi!
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MI aspettavo di più da un bestseller.
Jöel è un giovane scrittore svizzero, nato nel 1985 a Ginevra dove è cresciuto e si è laureato nel 2010 in legge. Il suo primo romanzo (“Gli ultimi giorni dei nostri padri”) non è stato considerato inizialmente ma, dopo la vittoria del Prix des Genevois Ecrivains, la casa editrice di Vladimir Dimitrijevi? decise di pubblicarlo addirittura in Francia. Nel 2012 uscirà poi “La verità sul caso Harry Quebert” che riscuoterà un notevole successo e verrà tradotto in 33 lingue.Questo romanzo è stato un bestseller in Europa ed Italia ed ha vinto ben due premi importanti: Goncourt des lycéens e Grand Prix du Roman de l’Académie française.
La trama in breve: la storia è scritta in prima persona da un giovane scrittore, tale Marcus Goldman. Il suo blocco dello scrittore lo porta a contattare nuovamente un vecchio professore dei tempi dell’università, Harry Quebert. Egli è conosciuto non solo per la sua attività di docente ma, soprattutto, per aver scritto uno dei libri più belli della storia della letteratura americana: “Le origini del male”. I due erano diventati molto amici ai tempi in cui Marcus frequentava le sue lezioni e sono rimasti in buoni rapporti anche dopo la laurea. Il ritrovamento dei resti di una ragazza, Nola Kellergan, proprio nel giardino della villa di Harry, porterà Marcus ad Aurora per indagare sul caso e per cercare di scagionare il suo grande amico. Durante le indagini verranno alla luce dettagli nascosti da 30 anni nella memoria dei conoscenti e amici della vittima. Chi era veramente Nola? Perché chi sapeva qualcosa ha taciuto? Dopo 30 anni dalle indagini sulla scomparsa della ragazzina, Goldman, aiutato dal sergente Gahalowood, riuscirà a risolvere il caso?
Qualche piccola curiosità, prima di passare al commento:
– La numerazione dei capitoli è invertita, si parte dal 31 e si va a calare, come nel conto alla rovescia.
– All’inizio di ogni capitolo ci sono le dritte di Harry a Marcus riguardo la scrittura. Complessivamente lo si può quasi definire un manuale per aspiranti scrittori!
Dunque, parliamo di cose serie… La recensione.
Voglio iniziare da cosa mi è piaciuto, non molto a dire il vero e ne sono rimasta molto delusa.
Dopo pagine e pagine e pagine di attesa finalmente qualcosa succede, siamo almeno alla 300esima circa. La cosa pregevole è che almeno succede qualcosa di interessante e che riesce a catturare l’attenzione e a coinvolgere discretamente. Nonostante sia un classico giallo sotto tutti i punti di vista, è tutto molto ben architettato ed è veramente complesso capire chi possa essere l’assassino di Nora fino alla fine. Anche gli aspetti poco rilevanti trovano il loro posto nei vari incastri della vicenda. I personaggi sono molti e tutti piuttosto interessanti, (anche se alcuni sono eccessivamente caricaturati) mi è piaciuto il fatto che ognuno avesse i suoi piccoli e grandi segreti.
Cosa non mi è piaciuto: il libro è lentissimo. Per arrivare a leggere di un po’ di “azione”, passano 300/400 pagine ed è troppo. Soprattutto se fino a quel punto mi parli solo del blocco dello scrittore del protagonista e delle sue varie angosce. Ok, ci sta di temporeggiare un po’ prima di iniziare con la storia vera e propria, ma non così tanto. Inoltre c’è anche qualche pezzo intermedio che non finisce più e alla fine succede di tutto e tutto insieme. Potrebbe anche essere la tecnica dell’autore per far stare il lettore “sulle spine”, però non esageriamo. I personaggi mi sono piaciuti ma ho notato che quasi tutti sono piuttosto “smidollati”, fragili e stereotipati. Per concludere, i colpi di scena finali sono troppo. Non voglio fare spoiler qui però dopo tutte queste pagine infinite non può stravolgermi tutto completamente in fondo nel giro di 5 pagine. No dai.
Direi che, complessivamente, non mi è piaciuto e mi risulta anche abbastanza difficile di capire come possa essere stato un bestseller con una pesantezza del genere. Sarà comunque difficile che io non consigli una lettura, a qualcuno è piaciuto e potrebbe piacere anche a voi che state leggendo ora questo articolo. Per questo motivo darò dei consigli “personalizzati”: se vi piace l’azione, ed i romanzi poco statici, non ve lo consiglio. Vi annoiereste e di solito si legge per divertirsi, no? Se siete lettori pazienti, vi piace la sostanza (peso e volume importanti) ed i gialli con la soluzione alle ultimissime pagine… È tutto vostro!
Grazie dell’attenzione e buona lettura.
L' horror umoristico che vorrei...
“La paura è una grande passione, se è vera deve essere smisurata e crescente. Di paura si deve morire. Il resto sono piccoli turbamenti, spaventi da salotto, schizzi di sangue da pulire con un fazzolettino. L’abisso non ha comodi gradini.”
Stefano Benni è un noto scrittore, umorista, giornalista, sceneggiatore e poeta italiano, nato a Bologna nell’agosto del 1947. È noto soprattutto per alcuni romanzi e racconti come Bar Sport, Elianto, Terra!, Margherita Dolcevita, Spiriti e molti altri. I suoi libri sono stati tradotti in più di 30 lingue ed è noto anche per le collaborazioni con settimanali come L’espresso e Panorama e quotidiani come La Repubblica e Il manifesto.
Come autore televisivo fu “battutista” di Beppe Grillo e sceneggiatore del film Topo Galileo di Francesco Laudadio.
Dobbiamo un enorme ringraziamento a Benni se oggi, e durante la nostra adolescenza, abbiamo avuto il piacere di leggere i libri di Pennac in italiano: fu lui a convincere la casa editrice Feltrinelli e tradurne i primi libri. Pennac, dal canto suo, lo ha ben ringraziato pubblicando un’opera a lui dedicata dal titolo Grazie!
Nel 2015, a dimostrazione del suo impegno sia culturale che sociale, ha rifiutato il premio Vittorio de Sica in protesta contro i tagli alla cultura attuati dal Governo Renzi.
Attivo in quasi tutti i campi artistici, se siete interessati ad approfondire le sue opere, potrete apprezzarlo dalla narrativa alla poesia, dalle raccolte di articoli alle sceneggiature.
Cari mostri è una raccolta di 25 racconti dell’orrore pubblicato la prima volta nel 2015.
Ogni storiella è a sé stante e tra loro non presentano collegamenti, né di trama né di personaggi. La cosa veramente interessante di questo libro è che non abbiamo una raccolta monotematica a tutti gli effetti, bensì un assortimento eterogeneo molto stimolante. Molte storie sono rese grottesche dalle conversazioni stesse tra i personaggi, spesso caricature dei lati oscuri della personalità degli esseri umani.
Hansel@Gretel.com mi è sembrata quasi scritta da un’altra persona: parolacce, volgarità, cattiveria… Benni, sei tu? Sono gli Hansel e Gretel moderni, giovani ragazzini high tech che non si stupiscono più di nulla, sfacciati, aggressivi ed arroganti. Una enfatizzazione della situazione attuale che non è poi così diversa.
Il Mercante, un venditore di armi che si ritrova senza acquirenti perché la popolazione si è quasi autodistrutta a causa dei conflitti armati. Guardiamoci attorno, non ci sentiamo un po’ tutti in pericolo?
Compagni di banco, la tipica ragazzina attraente che sfrutta la cotta del suo compagno di banco secchione (e bruttino) per farsi passare tutti i compiti e per vincere un concorso di scrittura. Siamo sicuri di non aver già visto (o vissuto) qualcosa del genere?
Questi sono solo alcuni dei racconti che troverete in questo libro e soddisferete sicuramente anche la voglia di leggere qualche classico. Non mancano le storie di fantasmi, di mostri, di creature mitologiche, di maghi/streghe e fantascienza.
Un libro senza dubbio interessante, sia per la notevole capacità dell’autore di giostrarsi tra diversi stili di scrittura, sia per la varietà di racconti che non possono lasciarvi insoddisfatti. Lunghezza mai eccessiva, trame scorrevoli e pochi preamboli: la narrazione va dritta al punto, il linguaggio è semplice e alla portata di tutti.
Buon divertimento,
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Può capitare di non apprezzare i grandi classici..
Questa volta, mi sono concessa a Verne, scrittore francese conosciuto per essere il padre della moderna fantascienza, nonché scrittore di romanzi scientifici e per ragazzi. Egli nacque a Nantes nel 1828 e morì nel 1905 ad Amiens dopo aver passato una vita “movimentata” fin da piccolo: ad 11 fuggì di casa imbarcandosi su una nave diretta nelle Indie per regalare una collana di coralli a sua cugina di cui era follemente innamorato. Un bambino dalle idee chiare, direi. Con una padre magistrato, il giovane Verne si dovette dedicare agli studi di giurisprudenza, nonostante il suo interesse per la poesia, la filosofia e la letteratura in generale, fosse molto spiccato. Studiò a Parigi, dove ebbe modo di frequentare circoli letterari (dove conobbe Dumas Junior) e la Biblioteca Nazione. Vivendo una vita divisa tra teatro, scrittura e le leggi, nel 1850 abbandonò la carriera giuridica definitivamente, per dedicarsi alla letteratura. Purtroppo il successo non venne fin da subito, ma ebbe la fortuna di firmare un contratto di 20 anni con l’editore Pierre-Jules Hetzel, riuscendo ad abbandonare l’impiego di agente di cambio per dedicarsi completamente alla produzione letteraria. Il romanzo letto da me, in questi mesi, nacque nel 1870, periodo in cui Verne si dedicò al mare, se così si può dire. Infatti, scrisse questo e “Una città galleggiante” durante il suo viaggio con il fratello Paul, sul piroscafo Great Eastern, la nave più grande del mondo.
Ecco qui una breve trama del romanzo “Ventimila leghe sotto i mari”: tutta la vicenda si svolge in mare, raccontata in prima persona da dal Professor Pierre Arronax, un celebre naturalista parigino. Egli viene chiamato a prendere parte ad una spedizione per svelare quale animale mastodontico potesse esserci dietro l’affondamento di una nave, un essere gigantesco, secondo i vari avvistamenti. Le supposizioni erano molte, il professore stesso, pensava che fosse un narvalo dalle notevoli dimensioni, con un corno perforante e dalla velocità estrema. Parte con il suo fedele cameriere, Conseil e, sulla nave “Abraham Lincoln”, conosce il fiociniere canadese, Ned Land. Passerà molto tempo in navigazione prima di imbattersi nel “mostro” famigerato, scoprendo poi essere un sottomarino all’avanguardia (il Nautilius). I nostri tre protagonisti lo scopriranno a loro malgrado: una volta finiti in mare dopo il conflitto tra il Nautilius e la loro nave, verranno presi come ostaggi dal comandante del sottomarino, dopo aver però nuotato fino allo stremo delle forze. Nel loro viaggio sottomarino, in compagnia del Capitano Nemo e dello strano equipaggio di bordo, faranno incredibili scoperte, rischieranno la vita e condurranno un’esistenza al limite delle leggi della natura, lontano dalla terraferma.
Trama probabilmente scritta male e fin troppo breve, ma non volevo dilungarmi troppo. Che dire, complessivamente sono rimasta delusa da questo libro, pur riconoscendogli una certa importanza letteraria. Sono rimasta delusa perché sono veramente milioni ed interminabili le parti in cui Verne si dilunga nel nominare tutte le cose che vengono viste dal professore, usando la nomenclatura scientifica. Un po’ va bene, ma dopo un centinaio di pagine, non se ne può più. Si vede che c’è della passione in ciò che è stato scritto, si vede che c’è molto dello scrittore stesso, ma è lento, scorre bene solo verso la fine, ma senza esagerare. Mi è piaciuta la caratterizzazione dei personaggi, ognuno aveva il suo bel caratterino, il suo spessore psicologico ed una coerenza dall’inizio alla fine. Senza dubbio, la tematica è tutt’ora affascinante, l’idea di visitare le profondità marine e di vivere isolati dal mondo, è senza dubbio intrigante e dubito che nessuno abbia desiderato, almeno una volta, di trovarsi lontano da tutti. In questo, mi sono immedesimata molto in Arronax, perché comunque ha sempre trovato l’aspetto positivo anche quando la situazione si stava facendo pesante, inoltre è un eremita “moderato”. Stare da soli piace a tutti, chi più, chi meno, ma ci vuole sempre del contatto con l’esterno e con il mondo che ci circonda. Non fosse stato per la pesantezza di questo romanzo, non avrei faticato a valutarlo meglio. Purtroppo è stata dura finirlo, è lungo e lento, sicuramente ne è complice il fatto di essere ambientato in due location per la maggior parte del tempo, il Nautilius ed il mare. Per il resto, se è stato definito come “uno dei libri di maggior successo di Verne”, un motivo ci sarà, forse non l’ho letto con il giusto spirito o con la giusta prospettiva. Non lo consiglio comunque, devo essere coerente con ciò che penso, per chi lo vorrà leggere però, auguro buona fortuna!
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Che amore sia!
Questo è il primo romanzo che leggo di Márquez ed è stato un caso che in questo periodo abbia visto anche il film di Ciro Guerra, “Los viajes del viento”, rimanendo in tema di autori colombiani…
Gabriel García Márquez è stato uno scrittore, giornalista e saggista colombiano, morto da quasi due anni or sono (nell’aprile 2014). Famiglia molto numerosa la sua (primogenito di 16 fratelli), il padre era telegrafista e la madre una sedicente chiaroveggente mentre i nonni materni, con i quali crebbe, erano uno, colonnello liberale, l’altra, una grande conoscitrice di fiabe e leggende locali. Dopo aver tentato di intraprendere gli studi di giurisprudenza e scienze politiche, abbandonò l’università per lo scarso interesse nelle materie di studio. La sua carriera nel giornalismo iniziò con il trasferimento a Cartagena dopo i disordini del 1948 (periodo del “la Violencia”), nel 1949 si trasferì a Barranquilla e nel 1955 si trasferì a Roma per seguire corsi di regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia.
Nella sua vita girò molto, finendo in Messico dopo aver perso, per ragioni politiche, l’autorizzazione alla residenza permanente come cronista negli Stati Uniti. Tra le varie vicissitudini che caratterizzarono la vita di Gabriel, c’è la co-fondazione della Scuola Internazionale di Cinema e TV di Cuba.
La sua attività letteraria inizia nel 1955 con il romanzo “Foglie morte” fino all’ultimo romanzo risalente al 2004, “Memorie delle mie puttane tristi”. Morirà in una clinica di Città del Messico, dopo aver combattuto con un linfoma di Hodgkin .
“L’amore ai tempi del colera” mi è sempre sembrato uno di quei classici della letteratura che andrebbero letti per cultura generale però, leggendo la produzione letteraria di questo autore, mi sono resa conto che non sono partita dal suo romanzo più famoso… Ormai è andata.
La Trama in breve: I personaggi principali sono 3: Florentino Ariza, Fermina Daza e Juvenal Urbino. Il libro è strutturato a flashback, la primissima parte del romanzo non è altro che l’inizio di quello che sarà poi l’epilogo della storia, il resto è un percorso a ritroso nelle vite dei nostri 3 personaggi. Florentino Ariza è il vero protagonista, è un ragazzo schivo, criptico e dall’aspetto indecifrabile; Fermina Daza è una ragazza bella, fresca ma per certi aspetti ribelle per l’epoca, una ragazza posata incline alla “selvatichezza”. I due si innamorano e tra loro si instaura una fitta corrispondenza ricca di promesse e parole d’amore. Il padre di Fermina non è d’accordo e fa allontanare la figlia per un lungo periodo per farle dimenticare lo scomodo pretendente. Ci vorrà un incontro ravvicinato al suo ritorno in città per farle passare l’innamoramento: Florentino non è il ragazzo che fa per lei e rompe bruscamente il loro fidanzamento. Da qui inizieranno le interminabili avventure ed agonie di Florentino che farà di tutto per “rimpiazzare” l’unico vero amore della sua vita, senza successo. Il finale rivela però, delle belle sorprese e non starò a fare spoiler odiosi, vi invito a concedervi alla lettura. :)
Il romanzo è ambientato durante un’epidemia di colera in una città dal nome sconosciuto, vicino al Mar dei Caraibi e al Fiume della Maddalena, tra il 1880 ed il 1930. Apparentemente è una classica storia d’amore condita dalle classiche illusioni, momenti di gioia incontrollabile e agonie dell’abbandono, ma non soffermiamoci su questo aspetto superficiale. L’amore è alla base (secondo me) del romanzo ed è fondamentalmente di 4 tipi: l’amore platonico iniziale che c’è tra Florentino e Fermina, si scambiano lettere, si vedono in lontananza, si immaginano cose fantastiche insieme ma la realtà si abbatte su Florentino come una mannaia, Fermina non lo ama veramente. Amava solo il Florentino che si era creata nel suo immaginario, non quello reale, bruttino e apparentemente freddo e distaccato, bravo solo con le parole. Da qui si dividono due amori che scorrono paralleli nel romanzo: Florentino scopre l’amore carnale, la passione nuda e cruda, con o senza interesse ed allo stesso tempo soffre e arde dell’amore non corrisposto nei confronti di Fermina, un chiodo fisso nella sua testa. Florentino è malato d’amore, è sul confine tra l’essere maniaco ed essere schiavo del sesso e questa sua inclinazione è sempre giustificata dalla devozione nei confronti della sua unica donna del cuore. Nessuna, in tutto il racconto, riuscirà a sostituirla fino in fondo.
Fermina, dal canto suo, vive l’amore (talvolta) come un automatismo, concedendosi quasi malvolentieri alla routine matrimoniale con Juvenal. L’ama o non l’ama? Lei si interrogherà spesso, ma dentro di sé lo scoprirà solo in vecchiaia, quando si renderà conto della necessità di avere qualcuno vicino che le sia di sostegno incondizionatamente.
Infine, abbiamo l’amore maturo, l’amore di chi non ha più niente da perdere ma si concede ancora alla passione con un approccio costruttivo e mirato al benessere comune, alla gioia dello stare insieme. L’amore nella vecchiaia ha un altro sapore ma c’è sempre, non è un sentimento alieno all’anziano ma può rinvigorire anche la mente più sconfitta e rassegnata alla fine.
Chi legge è quindi sballottato continuamente tra le scorribande amorose (talvolta eticamente discutibili) di Florentino e la sensazione di essere in gabbia di Fermina. Vi posso assicurare che ciò ha un vero effetto “benefico” sulla lettura di un simile mattone ( 376 pagine nella mia versione), non si trova mai monotono e scontato, anzi, sorprende continuamente.
Un altro argomento molto trattato verso la fine del racconto è l’invecchiamento. Esso non è rappresentato solo come un decadimento fisico, nell’aspetto esteriore, ma anche dal punto di vista psicologico, sia dei diretti interessati che in coloro che li circonda. Sì, perché se anche in vecchiaia l’amore è sempre vivo, è l’amore maturo di cui ho appena parlato. Però non è semplice per due anziani amarsi senza essere giudicati: i giovani non apprezzano questa intesa, credono che sia sconveniente per due persone ormai vecchie. Ma cosa c’è di sconveniente? Nulla. L’amore è tale anche quando si è prossimi alla morte, senza discriminazioni di alcun genere.
Detto questo, ho fatto anche un’analisi approssimativa di ciò che mi è sembrato fondamentale trattare, magari vi ho anche annoiato ma alla fine queste mie recensioni devono essere un promemoria soprattutto per me, visto che non mi potrò ricordare ciò che leggo per sempre.
Che dire, sono rimasta soddisfatta della lettura e rimango dell’idea che sia un libro da leggere, sia per la piacevolezza della scrittura che per i temi trattati. È una trama bella intricata quindi indico questo romanzo a coloro che possono leggere con continuità senza grosse pause; lo consiglio agli amanti dei romanzi “rosa” ma anche a coloro che non hanno preferenze particolari, tipo me.
Buona lettura a tutti!
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Una... Meraviglia.
“Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie”, è un racconto fantastico scritto da Lewis Carroll, pseudonimo di un reverendo matematico e scrittore inglese di nome Charles Lutwidge Dodgson.
Egli nacque il 27 Gennaio 1832 da una famiglia di ascendenza irlandese di classe borghese medio-alta dedita alla chiesa ed all’esercito. Bambino estremamente intelligente fin da subito, primeggiò sempre in ambiente scolastico nonostante la sua balbuzie gli provocasse problematiche soprattutto nella vita sociale. Gli fu conferita la cattedra di matematica che tenne per 26 anni e ad Oxford gli fu diagnosticata una forma di epilessia, diagnosi probabilmente sbagliata (pare che soffrisse di emicrania con aura, in realtà). Nella sua vita si interessò anche di fotografia diventando noto nell’ambiente per i suoi ritratti di bambine (ci sono molte ipotesi sul fatto che potesse essere pedofilo) e per foto di personaggi noti del tempo. La sua carriera letteraria iniziò fra il 1854 ed il 1856 con pubblicazioni di poesie e racconti. La sua opera più importante la scrisse dopo una gita in barca fatta in compagnia delle figlie della famiglia del rettore Liddell con la quale aveva stretto un’ottima amicizia. La storia fu inventata sul momento per divertire le bambine ed Alice Liddell, una di loro, lo pregò di metterla per iscritto. Dopo la pubblicazione con l’attuale titolo, “Alice in Wonderland”, Carroll divenne un personaggio pubblico amatissimo e famosissimo e produsse anche altre opere sia sotto il nome di Lewis Carroll che sotto il suo vero nome.
Fu anche inventore e morì di bronchite nel 1898.
In brevissimo, scriverò la trama (straconosciuta) di questo amabile racconto:
la protagonista è Alice, una bambina che, addormentatasi, sogna di inseguire un coniglio bianco visto in giardino, nella sua profonda tana scavata nella terra. Da questo inseguimento inizia la sua avventura: cade nella tana e si ritrova in un lungo corridoio dai grandi lampadari e ricco di porte su entrambe le pareti. Individua una porticina che si affaccia su un giardino verde molto invitante. Per riuscire ad entrare in quella piccola porticina, sarà costretta a cambiare le sue dimensioni più e più volte, ingerendo cibi “magici” trovati in diverse occasioni. Incontrerà personaggi bizzarri che vanno dallo Stregatto alla Regina di Cuori e alla fine della sua avventura, si risveglierà di soprassalto, in tempo per l’ora del tè.
Questa storiella nonsense, è ricca di riferimenti anche alla matematica (vedi il secondo capitolo “Un lago di lacrime”), proverbi, allusioni a personaggi e avvenimenti dell’epoca, mimetizzati nella favolosa avventura tra un avvenimento bizzarro e l’altro.
Sarò breve perché, da ennesima lettrice, non ho molto da aggiungere alle innumerevoli recensioni già scritte… A 23 anni mi sono decisa di leggere questo racconto che ormai conoscevo già per film visti e faccende varie, però mi ha lasciato quasi spiazzata nel suo susseguirsi senza riposo, di eventi veramente senza senso. Devo direi che è qualcosa di geniale per come rende nell’assurdità, la “verità” del sogno: quando si dorme non si sognano quasi mai cose sensate e nel sogno stesso troviamo elementi della quotidianità (i proverbi, le filastrocche che recita Alice, ecc.) e ci interroghiamo su ciò che ci accade intorno. Alice è confusa, non sa più chi è, cambia aspetto continuamente e dimentica ciò che ha appreso nel tempo (che sia il processo di crescita?). Sicuramente è un racconto che dà spazio a numerose interpretazioni ed il bello sta anche nella varietà dei personaggi, delle situazioni, delle conversazioni e delle ambientazioni che sono state concepite da una mente ricca di fantasia come quella di Dodgson.
Un classico che, a mio parere, va letto. In tenera età è un racconto fantastico, in età adulta può esser visto come un insieme confuso di spunti di riflessione ed interpretazione, collegati da un filo logico impercettibile…
Mai dare per scontati i racconti “per bambini”. :)
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La vita nella ricerca della morte.
Arto Paasilinna è uno scrittore e poeta finlandese del 1942 tra i più famosi. Figlio di Väinö Paasilinna e di Hilda-Maria Paasilinna, era uno dei 7 figli della coppia, due delle quali femmine. La sua carriera è iniziata come giornalista ma, arrivato ai 33 anni e trovandola “superficiale e senza senso”, cercò di dare una svolta alla sua vita, vendette la sua barca e si finanziò il suo libro “L’anno della lepre”. Fu un successone e si affermò così come scrittore indipendente.
I suoi libri rispecchiano, generalmente, la vita del finlandese medio, generalmente di mezza età e proveniente dalla Finlandia rurale. A livello internazionale, è conosciuto per la sua vena comica e per la sua capacità di creare opere che facciano riflettere, ridere e piangere allo stesso tempo. Affascinata da questo aspetto, mi sono letta “Piccoli suicidi tra amici”.
Come tutti i libri (o quasi) che ho letto nella mia vita, mi sono imbattuta in questa opera per puro caso. Io non conoscevo affatto Paasilinna ed il titolo è stato sicuramente “coinvolgente” fin da subito.
La trama in breve: un direttore fallito di nome Onni Rellonen, decide di porre fine alla sua vita in una bella giornata d’estate, si inoltra nel bosco ed individua la location perfetta: un vecchio granaio. Nessuno potrà sentire lo sparo della sua pistola ed il suo corpo potrebbe anche esser ritrovato dopo un discreto lasso di tempo. “Purtroppo” i suoi piani vengono guastati dalla presenza di un altro suicidando, un colonnello di nome Hermanni Kemppainen, che alla vista improvvisa di Onni, scivola con il cappio al collo. I due si salvano a vicenda e decidono di ritornare a casa di Onni per parlare e confrontarsi. Capiscono subito che in tutta la Finlandia non sono solo loro ad avere dei problemi così gravi da averli portati su l’orlo del suicidio e decidono di mettersi in contatto con altri disperati bisognosi di aiuto. Scrivono quindi un annuncio sul giornale e le risposte che ricevono sono una enormità. Contattano una certa Helena Puusaari, vicepreside pronta a morire come molti altri, le assegnano il ruolo di gestione delle risposte alle lettere ed insieme decidono di indire un seminario a tema, in un ristorante di Helsinki. Da questo seminario parte l’avventura dei nostri protagonisti e di molti altri aspiranti suicidi che, in cerca di un luogo perfetto per un suicidio di massa ben organizzato, finiranno per girare mezza europa.
Trovo che questo romanzo non sia classificabile come gli altri, semplicemente perché è geniale e sempre moderno. Il suicidio è un argomento che continua a ricorrere nelle notizie di cronaca di tutti i paesi del mondo, chi più, chi meno. La Finlandia non ha la fama di essere un luogo particolarmente “felice” e Arto ci presenta quella fetta di popolazione che sceglie la via più breve per non affrontare i problemi. Non è solo un romanzo che ci racconta una storiella tragicomica, è anche una fonte di insegnamenti. Quando la vita sembra aver perso ogni lato positivo, quando pare che non valga più la pena di vivere, ecco che anche un piccolo cambio di routine può risollevarti la giornata. La condivisione del dolore alleggerisce gli animi e lo stare insieme permette di superare le più estreme avversità. Questo racconta questo libro, oltre a farci sorridere nelle scene più grottesche con descrizioni dettagliate ma mai statiche e noiose. Hanno tutti un ruolo in questa storia e anche il personaggio meno nominato si rivela, a suo modo, saggio. A tutti è capitato di sentirsi al perso, di non saper cosa fare della propria vita e sicuramente, quelli più disgraziati e pessimisti, hanno pensato anche al suicidio. Io farei leggere questo libro a tutti, perché fa aprire gli occhi piano piano, sul fatto che l’unica priorità nella vita deve essere la conservazione della vita stessa. Basta cambiare città, amicizie, non serve ricorrere ad atti estremi per risolvere gli scogli nella quale ci troviamo a sbattere contro. Questo è un libro su gente che vuole morire, un libro sulla morte, che parla della vita.
Paasilinna è stato una bella scoperta per me e non mancherò di approfondire la conoscenza di questo autore sorprendente. Leggere un libro così è un piacere, scorre bene, è interessante e non è mai noioso.
Decisamente consigliabile a tutti, non è da lunghe pause perché è facile perdere il segno, però so legge da solo.
Buona lettura. :)
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L'inetto che anticipa Zeno.
Scritto nel 1898, è il secondo romanzo di Svevo e precede “La coscienza di Zeno” che potrebbe essere definito quasi un sequel.
Il protagonista di Senilità è un uomo, Emilio Brentani, che vive la sua vita tra passione e gelosia, in compagnia della sorella Amalia, verso la quale prova sentimenti diversi e contrastanti.
Emilio incontra così una giovane ragazza, Angiolina, bella, fresca ed intrigante e nel giro di poco, perde la testa per lei. Inizialmente sembra che tutto il suo amore venga ripagato ma, nel proseguire della vicenda, scoprirà che lei non è affatto la pura e casta ragazza che egli crede e si troverà più e più volte a cercare di far finire la loro storia, senza riuscirci mai del tutto.
Emilio ha anche un caro amico, Stefano Balli, con carattere e personalità del tutto diversa dalla sua: Emilio è un intellettuale fallito che lavora come impiegato, Stefano è uno scultore energico che piace alle donne. Sono due figure completamente opposte e pare quasi che Stefano sia l’alter ego di Emilio, incarnandone la mancata realizzazione artistica e la sua capacità di vivere la vita con più spensieratezza.
La sorella Amalia, risulta essere una donnina grigia, dedita alle faccende di casa con rassegnazione e poco amichevole con il fratello. Ha un carattere chiuso, tipico di chi non è abituato a molta compagnia. Si innamorerà del Balli ed Emilio farà di tutto per disilluderla, cercando di tenerla lontana da una delusione certa.
Purtroppo, i suoi tentativi di non farla soffrire saranno vani: la fine del romanzo ci rivelerà una sofferenza celata ed una esistenza tormentata da questo amore impossibile.
Emilio è l’inetto che precede Zeno, inetto anch’egli, ma con una coscienza. Il nostro protagonista, infatti, non è spesso cosciente di ciò che sta facendo e ciò lo dimostra nei suoi repentini cambi di umore e di atteggiamento nei confronti della sorella, di Angiolina e del suo amico Stefano. Emilio è “vittima” dell’amore, non riesce a liberarsene, ne soffre ma ne gode in altrettanta misura. Ama fino all’odio e odia fino ad amare e si rende conto della sua inadeguatezza rispetto al Balli, per questo ne è geloso e affascinato allo stesso tempo. Emilio non riesce a smettere di amare Angiolina come Zeno non riesce a smettere di fumare ed entrambi procrastinano il più possibile la loro separazione da un vizio che sono coscienti di dover abbandonare.
Non mi ha entusiasmato molto questo romanzo, forse ho sbagliato a leggere prima “La coscienza di Zeno” che ho trovato molto più semplice e leggibile. È stato pesante finire perché in alcuni punti la narrazione diventa prolissa, rallentandosi eccessivamente. Inoltre, mi innervosiva oltre ogni ragione il continuo cambiare di opinione e atteggiamento di Emilio. L’ho trovato un personaggio veramente “pesante” e poche volte ho approvato il suo comportamento. Il Balli è fatto per piacere al lettore ed io, per l’appunto, l’ho trovato di gran lunga più interessante del protagonista stesso. Purtroppo (ma credo anche volontariamente) non è molto approfondito, forse per non far sfigurare troppo il protagonista; credo che lo scopo fosse anche solo far capire il contrasto tra i due, di modo che fosse più semplice rendersi conto che il vero inetto fosse proprio Emilio.
Per il resto mi piace come è scritto, Svevo è Svevo, però credo anche che non sia il genere di scrittura che possa piacere a tutti. Detto questo, lo consiglio come antipasto a “La coscienza di Zeno”, aiuta ad inquadrare meglio la figura dell’inetto e a digerirla con meno difficoltà.
Non è una lettura leggera leggera, ma non è nemmeno eccessivamente pesante. Resta il fatto che bisogna leggerlo con continuità, le pause prolungate tra una lettura e l’altra non contribuiscono a rendere più chiara la situazione.
Buona lettura. :)
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Nick Belane, l'investigatore più dritto di L.A.
Il signor Bukowski è stato un poeta e scrittore statunitense di origine tedesca, morto nel 1994 dopo 74 anni di vita. Ha prodotto un bel numero di opere: tra romanzi, racconti e poesie, ha raggiunto la quota 60 libri e tutto questo per contenere la sua vita tempestosa. Problemi con l’alcol, rapporti problematici con le persone e frequenti rapporti sessuali (trattati senza troppi filtri), questo ci dice della sua vita, anche nel romanzo che sto per commentare.
Pulp è stata l’ultimissima opera scritta da Charles prima della sua morte, causata da una leucemia fulminante.
Il titolo completo è “Pulp. Una storia del XX secolo” e trae il titolo dal genere letterario “pulp”, proprio dei Pulp magazine degli anni ’20. Essi erano riviste di prezzo economico e scarsa qualità di fattura [Pulp è la polpa dell’albero dalla quale ottenevano la carta di qualità scadente con la quale erano stampati], contenenti storie violente e copertine sexy o raccapriccianti.
La trama è molto intrecciata: il protagonista è il 55enne Nick Belane, l’ investigatore più “dritto” di L.A., sbalzato tra un caso e l’altro senza sosta e senza senso apparente. Non conduce uno stile di vita invidiabile, giocatore d’azzardo sfortunato, amante dell’alcol, in sovrappeso e solo come un cane. Più o meno come il suo creatore Charles. I personaggi che intervengono a complicare la sua vita, sono tutti particolari e simbolici. Abbiamo la Signora Morte, un’aliena di nome Jeannie e altri loschi figuri che cercano di mettergli i bastoni tra le ruote nella sua ricerca di un misterioso “Passero Rosso”. Pur essendo un investigatore ormai in “decadenza” fisica e psicologica, riesce sempre a tirarsi fuori con successo da situazioni pericolose, usando la forza e l’ingegno di un vero detective e stupendo anche il lettore con qualche uscita brillante e inaspettata. Schietto e diretto, usa un linguaggio piuttosto crudo e ricco di parolacce. Nell’intricata rete dei vari casi che si intrecciano, lui si barcamena tra un bar, motel e locali vari, nel vano tentativo di sfuggire agli impegni presi, confuso e deciso sul da farsi allo stesso tempo. Nel frattempo c’è anche spazio per fraintendimenti, supposizioni errate, pedinamenti malriusciti e risse, segni di una ricerca di risposte fatta allo sbaraglio sulla base di intuizioni random che fluttuano nella mente di Nick, talvolta senza connessione. Un’avventura con una conclusione a sorpresa ma non troppo: avvicinandosi verso la fine del romanzo, tutte le vicende iniziano ad avere un senso ed ogni personaggio assume la sua posizione definitiva anche all’interno della vita di Nick stesso. Altro non posso aggiungere. :)
Intanto, ho adorato questo romanzo. Mi piacciono le conversazioni schiette dei personaggi, senza giri di parole e con il linguaggio vero della realtà. Mi piace la sincerità con la quale è stato scritto e mi piace sapere che quello che ho letto è un pezzo di personalità dello scrittore stesso. Nick Belane è Charles Bukowski che si avvicina alla fine della sua vita e ne è consapevole. Appare un vincitore ed un vinto allo stesso tempo, risucchiato dallo scorrere della vita e delle vicende che lui cerca di evitare senza successo. Però alla fine tutti i nodi vengono al pettine e non si può fare altro che guardare in faccia la realtà, inesorabile, come nella vita reale.
Scorrevole, piacevole, dissacrante, rude e accattivante, questo è, secondo me.
Per concludere, leggetelo e assaporate l’ultimo romanzo di uno scrittore senza peli sulla lingua, l’ultima opera di una lunga serie alla quale presto mi interesserò anche io.
“Era in quel momento che capivi di essere diventato vecchio, quando te ne stavi seduto a chiederti dove era finito tutto.”
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Nel pieno dell'avventura.
Arthur Conan Doyle, è uno scrittore, medico e poeta scozzese, nato nel 1859 e morto nel 1930. Assieme a Edgar Allan Poe, è considerato il fondatore del giallo e del fantastico come generi letterari ed è capostipite del sottogenere noto come “giallo deduttivo”, reso famoso dal personaggio dell’investigatore Sherlock Holmes. Studente brillante e uomo dalle forti convinzioni, tanto da intervenire in alcune battaglie (sostenne la riforma per il divorzio, intervenne contro le atrocità in Congo nel 1909 ecc.), spinto da un personale senso dell’onore senza secondi fini. Cercò in tutti i modi di esercitare la professione medica e mettere da parte abbastanza soldi da poter aprire uno studio medico tutto suo, cosa che in realtà avvenne, ma lo scarso successo della sua impresa, lo avvicino ancora di più alla scrittura, portandolo a dare alla luce il primo romanzo sul famoso detective: “Uno studio in rosso”, del 1887. “Il segno dei quattro”, rappresenta il seguito della prima avventura di Sherlock, ma anche l’opera che lanciò l’autore sulla cresta dell’onda. Nonostante tutto, Arthur odiava il suo personaggio più popolare, perché divenuto più famoso di lui.
Detto questo, passiamo alla trama (in breve, come al solito):
Sherlock e Watson, vengono ingaggiati per far luce su un omicidio che ha a che vedere con il soprannaturale: l’anziano sir Charles Baskerville, pare essere stato ucciso da una bestia leggendaria… Sarà reale o frutto di superstizioni popolari e suggestioni psicologiche? I Baskerville sono, infatti, vittime di una maledizione legata ad un loro antenato, sir Hugo, reo di aver cercato di inseguire una ragazza sfuggita al suo corteggiamento e vittima di un misterioso mastino uscito dagli inferi per sbranarlo. L’investigatore ed il suo compare, verranno contattati direttamente dall’erede di Charles, intimorito e bisognoso di rassicurazioni da parte dei due esperti. Toccherà a Watson il compito di essere “l’ombra” di Henry Baskerville, nel tentativo di smascherare l’assassino di Charles e svelare il mistero del Mastino proveniente dagli inferi. Mistero, azione e sotterfugi, saranno il sottofondo di uno dei più famosi episodi del famosissimo investigatore, un mix perfetto per una storia avvincente.
Detto questo, ammetto la mia totale estraneità al genere thriller/poliziesco/giallo o come lo si voglia chiamare. Libro comprato per caso, nemmeno sapevo chi fosse Doyle (eh lo so, sono scandalosa) ma piacevolissima sorpresa. D’altronde cosa mai mi sarei dovuta aspettare? Ho visto che è veramente apprezzato da tutti ma sono sempre scettica perché si sa, i gusti son gusti.
Resta il fatto che la narrazione scorre da 10, un bel racconto lineare ed ho apprezzato veramente molto che fosse scritto in “flashback” da parte proprio di Watson. Nei film e nell’immaginario comune, il vero genio è Sherlock e spesso Watson pare essere un soprammobile. Sì, qualche momento di gloria lo vive anche lui talvolta, però il vero “fenomeno” della situazione sappiamo tutti chi sia. Personalmente, credo che mi sia piaciuto così tanto questo libro, proprio perché Sherlock c’è e non c’è, Watson è così modesto e “umano” ed io nutro molta più simpatia per lui, non lo nego. :)
Mi avvio alla conclusione dicendo che è un classico e anche se il genere può non piacere eccessivamente, risulta essere apprezzabile. I protagonisti sono conosciuti e straconosciuti ma si riesce comunque ad apprezzare varie sfaccettature della loro personalità e ci si sente proprio coinvolti nella vicenda. Spesso ho faticato a interrompere la lettura tanto mi aveva preso.
Buona lettura a tutti!
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Alla ricerca di sé stessi...
Jon Krakauer è l’autore di questo libro che non può essere definito del tutto romanzo (a mio avviso) ma si va decisamente sul genere biografico. Nato nel 1954 ed ancora in vita, è un saggista e alpinista statunitense, dedicatosi dal 2003 al giornalismo investigativo. Dalle sue svariate esperienze nell’alpinismo, prenderanno vita diversi libri come “Aria sottile”, concepito dal fortunato ritorno dalla spedizione commerciale sull’Everest nel 1996 (fu uno dei due soli sopravvissuti). La maggior parte della popolarità come scrittore, è dovuta alla attività di giornalista, alla quale si dedicò a tempo pieno a partire dal 1983. Nel 1996 pubblicò quindi “Nelle terre estreme” che gli garantì la fama di cui gode tutt’ora.
Parliamo dunque di questo libro, partendo dal principio:
Christopher McCandless è il protagonista di questo biografia. Costui è conosciuto ai più grazie al film “Into the wild” ma fondamentalmente è famoso per essersi lanciato in un’avventura al limite dell’estremo, purtroppo senza uscirne vivo. Questo libro ci fornisce un tracciato degli spostamenti di Chris, dal momento in cui decide di abbandonare l’Università e la famiglia (benestante) al momento in cui morirà. Colui che ripercorrerà ogni tappa è proprio l’autore che, pur di fornire un ritratto di Chris quanto più verosimile possibile, incontrerà coloro che hanno interagito con il ragazzo quando ancora era in vita e cercherà di dare un senso e una dignità, alla vita nomade che il giovane aveva deciso di intraprendere. La scoperta del cadavere dopo più di due anni dall’inizio del pellegrinaggio, è stata intatti accompagnata ad polemiche e dibattiti, soprattutto riguardo al fatto che il giovane fosse uno sprovveduto che, sopravvalutando le proprie capacità, ci ha rimesso la pelle. Jon è partito alla ricerca di prove che dessero un senso alla fine del ragazzo senza farlo apparire necessariamente pazzo, cercando di delineare al meglio il suo carattere e approfondendo diversi aspetti di una esistenza che ai più rimaneva incomprensibile.
Ho letto questo libro solo perché mi è stato regalato ed ammetto che a cose normali non lo avrei mai acquistato, non amo i racconti troppo biografici e non li amerò mai. Comunque non sono rimasta del tutto delusa perché alla fine la lettura risulta piacevole e mi ha aiutato ad approfondire alcuni aspetti di questa storia che altrimenti non avrei mai ricercato. Non è solo un racconto biografico ma racchiude anche un’esperienza di vita, se pur diversa, molto significativa e singolare. Ci sono anche informazioni molto dettagliate riguardo all’ambiente stesso, alla fine della lettura ci si sente arricchiti come se si fosse di ritorno da una bella gira nella natura. Tutto sommato Chris è comprensibile sotto diversi aspetti: a chi non è mai venuto in mente di mollare tutto e lasciare il caos della città per i boschi profumati? Chi non vorrebbe prendersi una pausa dal mondo per ritrovare sé stesso? Purtroppo non capirò mai fino in fondo l’atteggiamento filosofico di Chris perché di filosofia non mi interesso, ma sicuramente è stato coraggioso ed ha inseguito un sogno guidato da validi ideali ed io non saprei fare di meglio. In un mondo come questo di oggi, sarebbe bello avere più Chris che folli kamikaze che si immolano ed uccidono per un credo che interpretano a modo loro. Abbiamo perso il contatto con la natura e con noi stessi e non so nemmeno se molti di noi riescono a dare un senso a ciò che fanno nella loro vita.
Resta comunque il fatto che, nonostante la bravura dell'autore, io ho pensato molte volte che Chris forse avrebbe avuto bisogno di parlare con un bravo dottore prima di ricorrere ad un tale gesto estremo. Non apprezzo il fatto che abbia mollato la famiglia senza spiegazioni e mi è assolutamente incomprensibile come abbia potuto non sentirsi in colpa per non aver dato notizie a nessuno per più di due anni. Riesco solo a capire la sua voglia di evadere e un po' invidio la sua determinazione, però non ho stima di lui dal punto di vista umano e l'autore ha peccato in soggettività nel riportare i fatti... È palese fin da subito che lui stesse dalla parte del ragazzo. Comunque, a parte questo, è un bel libro che aiuta a riflettere e la lettura è piacevole per quasi tutta la durata della storia.
Buona lettura. :)
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Una chicca.
Questo libro l’ho letto circa un paio di anni fa ma avevo lasciato un commento su Anobii piuttosto scarno ed ho deciso di rispolverarlo per dirvi qualcosa di più.
Innanzi tutto, piccolo accenno sulla vita dell’autore: Jerome Klapka Jerome.
Questo signore dal nome piuttosto “curioso”, è nato il 2 maggio del 1859 a Walsall, Inghilterra centrale, da Jerome Clapp e Marguerite Jones. Egli fu sempre desideroso di entrare in politica o diventare un uomo di lettere, ma nel 1872 morirono entrambi i genitori e fu costretto ad accantonare questi suoi desideri per trovarsi un lavoro. Non era il solo rimasto della famiglia: delle due sorelle, Paulina e Blandina, una in particolare avvicina il fratello al teatro, che con uno pseudonimo (Harold Crichton) intraprende la strada di attore. Purtroppo la compagnia teatrale era tra le più squattrinate e a 21 anni decide di mollare tutto per dedicarsi alla carriera giornalistica, scrivendo saggi, satire e storielle che ebbero tutt’altro che successo. Provò svariati lavoretti ed un minimo di successo cominciò a riscontrarlo nel 1885 con il libro umoristico intitolato “Sul palco - e sotto”. Nel 1888 sposò Ettie (Georgina Elizabeth Henrietta Stanley Marris) che aveva avuto una figlia dal precedente matrimonio. Dalla luna di miele passata sul Tamigi su una barchetta, Jerome fu colto dalla ispirazione che lo portò a stendere a partire dal loro ritorno dalla luna di miele. Il libro ebbe enorme successo a livello mondiale e i proventi delle vendite permisero a Jerome di dedicarsi alla scrittura producendo successi e non.
Non aggiungo altro, siamo qui per parlare del suo più grande successo e credo di aver dato notizie a sufficienza.
Allora, innanzi tutto, “Tre uomini in barca”, parla delle avventure di 3 amici (Jerome, Harris e George) durante la loro risalita del Tamigi, in compagnia del cane Montmorency. Si susseguiranno svariate gag comiche sui piaceri e i dispiaceri della vita in barca, dal rischio di caduta in acqua, al problema dell’approvvigionamento dei viveri, alla costruzione di una tenda sulla barca stessa. Un tipico romanzo ricco di humor inglese che non manca di essere apprezzato anche dal resto dei lettori.
Secondo il mio punto di vista, il successo che ha avuto ai tempi è più che meritato. Lettura piacevole e scorrevole, adatta a qualsiasi momento della giornata nella quale si abbia voglia di svagarci un po’ e, perché no, farci anche due risate. L’unica pecca sono i periodi talvolta lunghissimi ed interminabili (io non sono un’amante delle 70 subordinate per frase), però si legge che è un piacere comunque.
Personaggi ben caratterizzati, ambientazione descritta a sufficienza senza troppe dilungaggini inutili e storielle molto sfiziose. Purtroppo vorrei aggiungere qualcosa di più ma ne è passato di tempo da quando l’ho letto e non ricordo tutto alla perfezione.
Vi prometterò una rilettura appena possibile, così da aggiungere altro a questa recensione un po’ superficiale. :(
In conclusione: vi consiglio di dargli una lettura, è carino e alla portata di tutti, adatto anche a chi ha poco tempo per leggere.
Buon divertimento!
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Ottimo libro, bravo Ray!
Fahrenheit 451
Ecco un altro romanzo di Bradbury che mi ha lasciato pienamente soddisfatta! Sorvolo sulla biografia perché ne ho già parlato nel commento di “Cronache marziane” e vado dritta alla trama.
Scritto nel 1953, questo racconto è ambientato in un futuro imprecisato dopo il 1960 ed è un buon romanzo di fantascienza come Ray sapeva fare. La situazione è chiara fin da subito: non esistono più i vigili del fuoco che vanno a spegnere incendi, bensì li appiccano e distruggono le case di coloro che possiedono libri. Ebbene, in questo futuro i libri sono vietati e la popolazione vive una realtà distorta dove il sistema ha provveduto ad eliminare qualsiasi tipo di fonte di “caos, incertezze o dubbi” per consentire alle persone una vita felice. Non c’è modo di pensare e non c’è modo di cambiare qualcosa perché tutto funziona in modo che l’individuo non abbia tempo ne modo di pensare. Il protagonista è Guy Montag, un vigile del fuoco, la moglie si chiama Clarisse Mildred e vivono assieme una relazione sterile, senza amore ne dialogo.
Un giorno, preda di un’improvvisa attrazione, commette la sua prima infrazione: decide di leggere un trafiletto di un libro che avrebbe dovuto dare alle fiamme. Inizia così a salvare un libro da ogni rogo e a nasconderlo in casa per poi leggerlo di nascosto. Qualcosa però cambia dentro la mente di Guy dal momento in cui entra in contatto con una ragazzina, Clarisse, sua nuova vicina di casa. Lei è molto curiosa e suo zio le racconta cose che inizialmente lasciano Guy molto scosso e si stupisce del fatto che passino molto tempo a chiacchierare piuttosto che a guardare la tv come fa sempre sua moglie. Improvvisamente lei scompare e viene a sapere dalla moglie che in realtà è morta, investita “casualmente” da un’auto (in realtà di capisce che è stata uccisa perché pericolosa, con le sue idee rivoluzionarie). Inizia così una silenziosa ribellione dentro Guy che lo porterà a rivoluzionare completamente la sua vita. Nel frattempo la guerra fa da sfondo alla vicenda, una guerra che c’è da sempre e che non si sa quando avrà il suo culmine.
Adesso cercherò di dare un senso a tutto questo attingendo alcune informazioni dalla utilissima Wikipedia…
Ray è stato fin da piccolo un amante dei libri ed ha sempre avuto in sé la consapevolezza della loro vulnerabilità. In particolar modo, rimarrà impressionato dal rogo dei libri perpetrato dal regime nazista e dalla campagna di repressione di Stalin, durante la quale molti poeti e scrittori furono imprigionati e giustiziati. Si conclude la Seconda Guerra Mondiale nel 1945, vengono sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e la Commissione per le attività anti-americane comincia a sospettare simpatie socialiste e comuniste nelle produzioni di film a Hollywood. Già restio al governo, la sua avversione si inasprirà con l’ascesa del senatore McCarthy che continuerà con maggior convinzione la sua politica anti-comunismo (siamo nel 1950). Ormai la guerra fredda era al culmine e c’era sempre più paura per una possibile guerriglia atomica ed una presa di potere del comunismo. Ormai Ray aveva “servito” il romanzo su un piatto di argento vivendo egli stesso in questa atmosfera di continua tensione.
Il suo disprezzo verso la televisione si rispecchia in Guy che non si fa mancare occasione di riprendere la moglie che invece non riesce a vivere senza quella tecnologia. Tutto ciò perché l’autore stesso ha vissuto sia l’età dell’oro della radio che il passaggio progressivo alla televisione. Da qui la sua convinzione che esso fosse un mezzo di distrazione sia dalla lettura che dagli altri interessi della vita. Mildred è la personificazione del disprezzo di Ray verso i mass media e cerca di dimostrare quanto possa essere facile diventare dipendenti e farsi influenzare da un mezzo che è capace di controllare le menti e di condizionarne i comportamenti.
Non c’è niente da fare, questo è proprio un bel romanzo e ce ne sarebbero ancora di cose da dire… Quello che ho scritto sopra è solo uno spunto per una lettura un po’ più consapevole degli argomenti che vengono trattati, comunque ci si può documentare anche alla fine, come ho fatto io.
Credo che sia consigliabile dare una lettura ad un “1984” di Orwell, sia prima che dopo di “Fahrenheit 451”, più o meno sono sulla stessa lunghezza d’onda con la differenza nel finale, nel primo molto più catastrofico. Comunque il tema principale è la censura delle informazioni ad opera di governi che fingono di volere il bene dei cittadini quando in realtà vogliono solo avere il controllo sulle loro vite e sulle loro menti, senza lasciare la libertà di scelta e di pensiero. Un tema a mio parere molto interessante e molto gettonato tra gli autori di libri fantascientifici ma visto sempre in maniera diversa e sotto aspetti diversi.
Appena mi è stata chiara la situazione di base, Guy mi ha dato fin da subito la speranza di una svolta positiva ad una situazione a mio parere “soffocante” e improponibile mentre Mildred mi ha suscitato antipatia fin dal primo momento.
Mi incammino verso la conclusione per non dilungarmi ulteriormente:
credo che sia chiaro che mi è piaciuto molto questo libro e mi sembrano chiare anche le tematiche che tratta. Forse l’unica pecca è il finale che proprio nell’ultimissima parte diventa un pochino noioso rispetto a tutto il resto, però ci sta perché di tensione se ne sente abbastanza da metà romanzo in poi quindi… Bei personaggi, scorre molto bene ed è avvincente.
Consigliato assolutamente per chi ama il genere, ma in generale lo consiglio a tutti.
Buona lettura.
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un film che è sullo stesso tema (governo McCarthy) è "Barton Fink" dei fratelli Coen.
Calviniano...
Questo romanzo di Italo Calvino, è stato scritto nel 1959 ed è il terzo capitolo nella trilogia intitolata “I nostri antenati”. I due romanzi precedenti sono “Il visconte dimezzato” (una perla anch’esso) ed “Il barone rampante” (meritevole).
Avendo già fatto un breve riassunto della vita di Calvino (vedi commento a “Il sentiero dei nidi di ragno” ), parlerò brevemente della trama di questo bel romanzetto:
Siamo all’epoca dell’ Imperatore Carlo Magno e tutta la vicenda è narrata da una suora in un convento che ripercorre le diverse avventure di due protagonisti: Agilulfo (il cavaliere inesistente) e Rambaldo (un giovane che vuole vendicare la morte di suo padre uccidendo l’argalif Isoarre). Agilulfo si contraddistingue non tanto per il suo essere immateriale, piuttosto emerge per la sua pedanteria, puntigliosità e freddezza. Rabaldo invece è un giovane dalle passioni turbolente e si innamora di Bradamante, una donna-cavaliere che in battaglia lo salva da morte certa e cerca in tutti i modi di conquistarla, inutilmente. Lei è infatti innamorata di Agilulfo che non ricambia questo amore. Colpo di scena: durante un banchetto, il giovane Torrismondo rivela che di fatto il titolo di “cavaliere” di Agilulfo non è valido perché per essere nominato cavaliere bisognava aver salvato una vergine in pericolo e colei che lui aveva posto in salvo in realtà aveva già avuto un figlio, Torrismondo stesso. Così Agilulfo partirà per ritrovare la donna e Torrismondo per trovare i cavalieri de “Il Sacro Ordine dei Cavalieri del Santo Graal” tra i quali pare esserci il suo vero padre. Bradamante seguirà Agilulfo disperata e a sua volta verrà “pedinata” dal suo spasimante, Rambaldo.
Riusciranno a portare a termine le loro missioni? A voi il piacere della scoperta. :)
Farò una breve analisi, senza annoiarvi troppo…
Rambaldo è proprio un personaggio senza sostanza, in tutti i sensi. Rappresenta l’uomo robotizzato che vive di leggi e atti burocratici senza bisogno di utilizzare una propria coscienza, un automa bello fuori (l’armatura è sempre impeccabile e lucidissima) ma “vuoto” dentro. Da una parte però vorrebbe essere una persona in carne ed ossa e questo pensiero tormentato lo accompagna in tutte le sue notti insonni.
Tutto sommato però è dotato comunque di un’astuzia che lo caverà fuori da possibili pasticci e la sua personalità così distaccata farà impazzire qualche donna… ;)
Rambaldo invece è un giovane incosciente, proprio un ragazzino che si lancia nella guerra aspettandosi chissà quali azioni eroiche e si trova spiazzato dalla burocrazia che sta dietro anche ad un semplice atto di vendetta.
Un personaggio che non ho citato nella trama è Gurdulù, il pazzo di turno, un uomo che non sa cos’è e diventa ciò che cattura la sua attenzione. Il mio personaggio preferito della storia! Crede di essere un animale, un oggetto inanimato, del cibo, tutto, con una facilità spiazzante ma affascinante: si immedesima e vive libero come un bambino, senza pensieri e senza inibizioni.
Detto questo, mi resta poco da aggiungere…
Io l’ho letto molto volentieri ed è scorrevole (ad eccezione di alcuni punti dove ci sono dei soliloqui di Agilulfo un pochino noiosini), lo stile di Calvino si riconosce sempre, soprattutto nei suoi personaggi sempre molto “estremi” secondo me. Piacevole anche per una lettura pre-dormita o in viaggio.
Buon divertimento. ;)
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Il cavaliere rampante
Favoloso!
Un libro così breve ma così divertente, non lo troverò mai più.
Bella la spontaneità nel raccontare anche i più turbolenti rumori intestinali, belli i termini e bello il personaggio. La trama diventa quasi uno sfondo, messa in secondo piano da un protagonista insolito che, nonostante qualche episodio "perverso", ci fa sorridere e ridere. Il nostro Gainsbourg prende un po' in giro il mondo dell'arte post-moderna utilizzando il nostro Sokolov, un uomo che riesce a far carriera con "scarabocchi" che nascono dallo spostamento che le sue flatulenze distribuiscono a tutto il corpo. Diciamo che è un racconto davvero originale, divertente, ironico ed estremamente sfacciato, proprio come piace a me. Si legge in un batter d'occhio e credo che potrebbero leggerlo tutti, da una certa età in su ovviamente. :P
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La storia vista con gli occhi di una bambina.
Questo libro, scritto nel 1995 ma ambientato negli anni '30, ci fornisce una visione storico-sociale di una Italia a cavallo tra l'ascesa di Mussolini e l'entrata in guerra. Presentato così sembra il solito saggio storico che molti, me compresa, farebbero volentieri a meno di leggere.
Invece sono rimasta catturata fin dalla prima pagina da questa splendida narrazione "fanciullesca". Non mi sentivo più la ragazza di 21 anni, ma una bambina che ha tutto da scoprire, con una mamma fredda e ostile e i misteri incomprensibili del mondo degli adulti. Prime pagine e ci ritroviamo già alti un metro e persi tra la folla di una stazione ferroviaria. Il terrore addosso perché abbiamo perso di vista la nostra mamma con il rischio di perdere il treno e di finire chissà dove. Poi il sollievo: la mamma riappare e anche se ci sgrida noi siamo felici comunque. Un libro che inizia così, non può che rivelarsi interessante.
La trama è una cornice: fornisce dettagli sulla situazione della famiglia e su dove si trovi, il resto si sviluppa da sé. Chi legge ha gli occhi di una bambina che vede compagni di scuola che si picchiano tra di loro come animali, una bambina che si pone domande sulla religione, sulla vita, sulla morte e sogna che un principe azzurro la porti via con se. Attorno a lei muoiono ragazzini per tubercolosi, problemi di cuore, epilessia. Ha pensieri sconci e si sente in colpa perché la religione è al primo posto in una società così arretrata e superstiziosa. Sta scoprendo il mondo ma non può farlo liberamente perché lei è donna e ogni suo gesto, per quanto innocente fosse, viene subito interpretato come atto impuro e vergognoso. Leggendo un libro che racconta un pezzo di storia in modo così soggettivo, ho vissuto il tentativo dello Stato di allora di formare una gioventù fascista e ottusa, che altro non doveva pensare che ad essere devota alla patria, a Dio e a Mussolini come se fosse il loro secondo padre.
Non nego di aver avuto dei brividi leggendo, brividi di puro raccapriccio per l'Italia del tempo, che nelle campagne e nei paesi più piccoli viveva nell'arretratezza intellettuale ed economica. Ho provato mille sensazioni diverse e mi sono stupita perché questo libro non lo avrei nemmeno letto se non fosse stato uno dei pochi interessanti che avevo in casa.
Bello e interessante, il resto l'ho già detto.
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Le storie nella storia.
Diane Setterfield è una scrittrice britannica nata nel 1964 e questo è il suo unico romanzo, non a caso ha creato in un colpo solo un best-seller da 1000 copie a settimana vendute. Sulla sua vita non si trova molto quindi passo alla trama del libro che vi metterò qui sotto molto brevemente.
La protagonista è una ragazza, Margaret Lea, una giovane libraia antiquaria che lavora nel negozio del padre ereditando da lui la passione per la letteratura ma, soprattutto, per le biografie. Un giorno viene chiamata per scriverne la biografia dalla leggendaria Vida Winter, una scrittrice famosa quanto misteriosa. Pare che effettivamente non abbia mai detto la verità riguardo alla sua vita ed ogni intervista o dichiarazione contiene sempre fatti diversi, tutti inventati da lei. Margaret accetta un po' titubante e si reca nello Yorkshire dove verrà ospitata dalla stessa Vida. Qui rimarrà come "rapita" dalla complessa storia che interessa la famiglia Angelfield e la sua attenzione verrà catturata, in particolar modo, dal libro che Vida non ha mai voluto pubblicare: La tredicesima storia. Nascerà una profonda amicizia tra le due donne e Margaret scoprirà degli aspetti del suo carattere e della sua vita che senza questa esperienza non avrebbe mai potuto conoscere.
Beh, devo dire che non sapevo cosa aspettarmi da questo libro quando l'ho cominciato a leggere. Non mi pareva un gran che ma appena la storia di Vida Winter ha preso forma, mi sono dovuta ricredere. Trama intrecciata ma non troppo, tutto sommato si rimane confusi per poco poiché le spiegazioni arrivano nel momento giusto senza farti perdere il filo logico che le lega insieme. Scritto con sapienza,anche se ammetto che la nostra Margaret non mi sia risultata particolarmente simpatica. Momenti pieni di emotività si alternano ad attimi di "apatia" e nella ricerca di creare un personaggio più o meno reale, ogni tanto pare che questo intento non ci sia più. Influirà sicuramente il fatto che non mi identifico con lei, quindi tutto ciò che la riguardava ammetto di averlo letto con un certo distacco. Alla fine sì,è un libro così ben scritto e ci si può permettere di provare emozioni per i vari personaggi, tenerezza per Aurelius e un po' di antipatia per Margaret. Ce n'è per tutti.
Detto questo lo consiglio anche ai lettori occasionali ma non troppo, i capitoli sono quasi tutti brevi ma la trama non è delle più semplici e non conviene intervallare troppo le letture. Un linguaggio chiaro e scorrevole, alla portata di tutti.
Buona lettura!
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Mi sono dovuta ricredere.
Avevo già letto qualcosa di Zafon ma a dire la verità non mi piacque molto. Presi questo libro per dargli una seconda possibilità e devo ammettere che mi ha strabiliato. Bella trama dai risvolti piuttosto inaspettati, costruita bene con i colpi di scena al momento giusto e l'incredibile (e non da poco) capacità dell'autore di intrecciare le vicende senza confonderti. Scorre bene e in alcuni punti in particolare è davvero difficile interrompere la lettura. Un bel libro complessivamente che consiglio di leggere un po' a tutti. Mi è piaciuta la varietà dei personaggi, tutti con un carattere ben identificabile ed un ruolo più o meno importante nella vicenda. Inutile dire che Fermìn è il mio personaggio preferito, inizialmente pare che sia un barbone squilibrato mentre durante la lettura si può piacevolmente constatare che è un gentil uomo colto e dai nobili valori, come pochi a questo mondo. Una figura coraggiosa che fa da contrasto alla codardia del protagonista. Ideale per i lunghi viaggi in treno e per una lettura pre-dormita, una lettura che cattura e allo stesso tempo "sazia".
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Futuristico.
Piccola panoramica sul nostro Ray Bradbury: morto di recente (5 giugno 2012), è stato uno scrittore fantascientifico (e non solo) americano. Molti lo conosceranno per Fahrenheit 451 e per Cronache Marziane, io per ora ho letto solo quest'ultimo e credo che mi butterò anche tra le sue opere meno conosciute.
Detto questo, premetto che il fantascientifico mi piace e non mi piace. Questa raccolta di racconti mi è piaciuta e anche molto. Questo è un genere particolare perché a mio avviso è facile "uscire dal seminato" rendendo le cose un po' sdubbiose e prive di significato. Un po' come il fantasy, si corre il rischio di imbatterci in una storia tutta ricca di personaggi allucinanti, identificati da descrizioni chilometriche (e del tutto eccessive), posizionati in un ambiente pazzesco e analizzato in ogni minimo particolare, ma totalmente senza trama. Oppure con trame folli senza capo ne coda che al terzo capitolo ti obbligano a ricominciare a leggere da capo perché non ci capisci già più niente. Ho fatto tutto questo preambolo per arrivare ad ammettere che ero partita piuttosto prevenuta nonostante sapessi della fama di grande scrittore del buon caro Ray.
Ho avuto una piacevolissima sorpresa sin dalle prime pagine, belle parole, bella forma, bella presentazione della situazione iniziale. Favoloso anche il fatto che non ci sia un protagonista indiscusso, ogni capitolo ha i suoi personaggi con la loro psicologia e il loro piccolo ruolo in questa grande storia. Come trama si va sul semplice: la colonizzazione di Marte da parte dell'uomo. Vi ho detto tutto e nulla perché mi sono documentata e ho visto che ci sono anche diverse interpretazioni che riguardano questo libro.
Io posso fornire il mio punto di vista: l'uomo colonizza Marte come ha colonizzato il Mondo in passato. Arriva e si impossessa di tutto, portando alla distruzione un popolo evoluto come quello dei marziani.
Secondo me siamo paragonati ad una sorta di virus che si trasferisce da un posto all'altro quando ormai ha distrutto e preso tutto ciò che poteva. Una volta trasformata la Terra in un pianeta affogato dalle guerre, la scappatoia all'estinzione è stata proprio quella di impadronirsi di un altro pianeta, come se ci spettasse.
La cosa carina di questo libro è che c'è spazio anche per alcune "scene" grottesche e comiche ( ad esempio il capitolo intitolato -(Dicembre 2005) Le città silenti- ) che mi hanno fatto anche ridere come una deficiente.
Non vado oltre perché non voglio rischiare di anticipare troppo, è un libro che va letto e va assaporato con calma. Lo consiglio a tutti, scorre bene ed è di facile comprensione. Inoltre è piuttosto pratico perché essendo una raccolta ogni capitolo ha il suo titolo e, con poche eccezioni, sono generalmente brevi e adatti anche a letture "frettolose".
Buon divertimento. :)
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Scienza e fantasia.
Sono di fronte ad un altro scritto di questo autore e al solito sono rimasta molto soddisfatta. Piccola panoramica su questo caro signore: Michail Afanas'evi? Bulgakov nasce il 15 maggio 1891 a Kiev e muore il 10 marzo 1940 a Mosca. Nel 1916 si laurea in medicina e viene subito spedito a Nikol'skoe nel governatorato di Smolensk, come dirigente medico dell'ospedale del circondariato. In questo periodo scrive "Appunti di un giovane medico" ma pare che sia piuttosto una cosa postuma, visto che tra visite e operazioni (come lui racconta), non dovrebbe aver avuto troppo tempo per dedicarsi alla narrazione. Dopo aver aperto uno studio di dermatosifilopatologia a Kiev (siamo nel 1918), assiste a diversi sovvertimenti politici ed eccoci qui che abbandona la carriera medica [dice che come pubblico ufficiale fosse troppo soggetto al potere politico]. Il resto poco ci interessa (vabè, Stalin lo apprezzava ma non voleva che uscisse la territorio russo nemmeno per andare dai fratelli in Francia), almeno ai fini della comprensione di questo libro.
Questo libro è una sorta di autobiografia in 7 racconti. Per l'appunto, il protagonista è un giovane medico (Bomgard) che viene mandato in un ospedale sperduto a svolgere tutte le mansioni possibili immaginabili, con l'aiuto di pochi infermieri e altri figure professionali. Il celebre racconto che si può facilmente trovare anche pubblicato singolarmente, è "Morfina". Pare che lui stesso sia stato per un periodo un morfinomane ma non ho trovato nulla che confermasse effettivamente questo dato.
Comunque, li ho apprezzati tutti questi "capitoletti", ti catapultano nel mondo ospedaliero caotico e ricco di imprevisti. Quando si arriva a leggere "La tormenta", ci si sente quasi i brividi di gelo sulla schiena e con un po' di fantasia, si potrebbe sentire anche l'ululare del vento al di là delle finestre. Si prova tutto con questo libro: la paura di un medico inesperto faccia a faccia con la cruda realtà dell'ospedale di campagna, il freddo e la solitudine di stare in un posto isolato dal mondo dalla neve gelida, per poi finire con la tranquillità che l'esperienza porta con sé e la terribile storia di una dipendenza senza via d'uscita. Ovviamente non è il protagonista ad essere morfinomane, ma un altro medico suo ex compagno di studi, ma non voglio rovinarvi niente. ;)
Non mi soffermerò a dire altro.
Lettura scorrevole e piacevole, adatta anche a lunghi intervalli (il tempo si sa che è quello che è) e consigliato a tutti, medici e non!
Buona lettura.
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Merita.
Ammetto di essere di parte perché adoro Calvino, non ho letto tutte le sue opere e provvederò a farlo, ma quello che ho letto centra proprio lo stile che piace a me.
Breve biografia: nato a Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 e morto a Siena, 19 settembre 1985, oltre ad essere uno scrittore è stato anche partigiano. Questo è stato il suo primo romanzo e l'esperienza partigiana si rivela in tutte le sue sfaccettature durante tutta la storia.
Ambientato in Liguria, in un piccolo paese chiamato Carrugio Lungo (vicino Sanremo), abbiamo come protagonista un bambino di nome Pin. Sua sorella è la prostituta del piccolo paese e lui è un bambino che non ha amici ma adora stare tra i grandi. Il rapporto che ha con gli adulti è bipolare: da una parte con loro sta bene e si diverte a prenderli in giro comportandosi come un adulto a sua volta, dall'altra li odia perché non riesce a capire cosa intendono quando parlano perché usano un linguaggio che a lui come bambino non è comprensibile. Il sentiero dei nidi di ragno è un posto noto solo a Pin, una sorta di rifugio dove sogna che un giorno ci porterà il suo vero amico, quello che ancora non ha trovato. Questo è lo scenario di apertura del libro.
Cos'ha di speciale questo libro? Non racconterò la trama perché si può trovare ovunque e non credo che sia necessario che la pubblichi anche io qui nel mio commento. Piuttosto vi dirò che è proprio la scorrevolezza della narrazione che trasporta dalla prima pagina all'ultima. Mi è piaciuto l'uso della lingua parlata anche nelle sue sfumature più "crude" con parolacce, imprecazioni e termini dialettali; i personaggi sono ben delineati e hanno tutti la loro piccola parte dentro la storia. Leggendo questo libro si trova uno spaccato di vita partigiana raccontato dalla prospettiva di un bambino che andrebbe anche a combattere con i suoi compagni, ma in fondo sa che non riuscirebbe a farcela.
Molto carino e con una trama che più semplice di così si muore. Adatto a chiunque, anche per brevi letture intervallate ma senza esagerare. :P
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M.i.c.i.d.i.a.l.e.
Probabilmente è uno tra i migliori romanzi thriller che io abbia letto ad oggi e ammetto che le ultime 100 pagine le ho lette in un'ora senza staccare gli occhi dalle pagine da quanto ero curiosa di sapere come sarebbe andata a finire. Inutile dire che vedrò anche il film. Primo libro di Stephen King che leggo, non so se ne leggerò altri (ragazzi, ne ha fatti davvero troppi!) ma sicuramente questo me lo ricorderò fin che campo.
Mettiamo subito in chiaro le cose: scritto nel 1987 e vincitore del premio Bram Stoker. Bene.
Meno male che il nostro amico Stephen scriveva sotto l'effetto di droghe e alcol, non so se da sano avrebbe partorito la stessa storia.
La trama in breve: Paul Sheldon, scrittore di fama internazionale divenuto famoso con la serie "Misery", fa un brutto incidente con la macchina e si risveglia dal coma in una camera da letto. Annie Wilkes è la padrona di casa ed è stata lei a tirarlo fuori dalle lamiere. Da "brava" ex infermiera ha accudito e curato alla meglio lo scrittore che al suo risveglio avrà subito chiaro di avere a che fare con una sua fan sfegatata. Paul Sheldon è ostaggio della donna: incapace di camminare a causa delle fratture, lo costringerà a scrivere il continuo di Misery per sopravvivere.
Credo che possa bastare.
La figura di Annie Wilkes mi ha messo i brividi dal primo momento in cui è entrata in scena. Si capisce fin da subito che non è una semplice fan, già il fatto che lo stia curando personalmente a casa sua invece di averlo portato all'ospedale dà molti indizi sulla sua stabilità psichica.
Durante tutto il libro ci si sente come Paul: all'inizio siamo confusi e si spera che lei non sia veramente pazza, poi si comincia a capire di che pasta è fatta e dentro di noi si fa spazio il terrore e l'inquietudine nei suo confronti, infine eccoci che non ne possiamo più e dalla disperazione diventiamo coraggiosi.
Probabilmente mi immedesimerò troppo quando leggo qualcosa di così avvincente, ma in alcuni punti ho avuto il batticuore e in altri ho provato disgusto come se vedessi con i miei occhi le scene narrate.
La cosa bella di questo romanzo è che è a suo modo "interattivo": noi siamo i fan di Paul e lo sproniamo a ribellarsi a quella squilibrata. Durante i tentativi delle prime fughe dalla stanza, si esulta quando ce la fa ad aprire la porta e si esulta ogni volta che lui si ribella rispondendole per le rime.
Bello bello bello, il suo punto debole è il finale che ovviamente non svelerò, ma a mio parere ci si può anche stare. La cosa importante è che durante tutta la lettura ci siamo ritrovati con il fiato sospeso e gli occhi incollati al libro, una finale un po' esagerato glielo possiamo far passare al nostro caro Stephen.
Va letto. Chi ama i thriller lo DEVE leggere. Consiglio di intraprendere questo "viaggio" tra le pagine quando si ha del tempo a disposizione perché non è un libro da iniziare e mollare lì da una parte, un po' perché cattura veramente e un po' perché sennò si perde il filo del discorso e giuro che c'è da pentirsene.
Buon divertimento! :)
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Speravo meglio...
Chi è Joseph Conrad: è stato uno scrittore polacco naturalizzato britannico, nato nel 1857 e morto nel 1924. All'età di 13 anni rimase orfano di entrambi i genitori e fu affidato allo zio. Scoprì l'amore per il mare e il suo sogno era proprio quello di diventare capitano. Lo zio non assecondò questa sua inclinazione ma appena Joseph disse che voleva arruolarsi nell'esercito zarista, ecco che lo zio lo spedisce a Marsiglia con tanto di raccomandazione. Lì si imbarcherà diretto a Martinica. Inizia la sua vita avventurosa che lo porterà a diverse esperienze significative che si ritrovano in tutti i suoi romanzi.
Perché ho dato tre stelle a questo romanzo? La trama è effettivamente molto bella, questo lo voglio subito chiarire per non essere definita un'eretica pretenziosa. Questa è una storia raccontata da un vecchio marinaio di nome Marlow, che alla sua scialuppa in attesa sul Tamigi, narra di un viaggio che molti anni prima aveva compiuto con la ferrea volontà di scoprire l'Africa nera. Scoprirà che gli occidentali stabilitosi nel continente hanno ridotto in schiavitù i nativi con l'unico scopo di fare razzia di avorio per esportarlo e rivenderlo a caro prezzo. Si troverà di fronte a disorganizzazione e invidia, quella che tutti provano verso un misterioso personaggio: Kurtz. A bordo di un battello a vapore che cade a pezzi, giunge infine alla base di Kurtz che si rivela come un uomo affascinante ma controverso, ormai alla fine dei suoi giorni. Tralascio il finale che non voglio spoilerare a nessuno e vado a dirvi cosa c'è che non mi è piaciuto.
Mi è risultato parecchio pesante da leggere per la narrazione, la mia "disapprovazione" sta proprio nel modo in cui è scritto. Alcuni punti sono davvero pesanti e alcuni momenti di azione hanno una dilatazione temporale davvero eccessiva perché vengono descritti soffermandosi sulle poche cose statiche presenti in quel momento. Non so che dire, mi ha annoiato molto nonostante l'argomento trattato fosse interessantissimo e il fatto che non fosse scorrevole, mi ha rallentato al punto di farmelo durare un mese!
Lo consiglio perché è un libro che ha una certa importanza, è una critica al colonialismo ma è anche una finestra aperta sui misteri dell'Africa nera. Io dico che dovete leggerlo e vi dico anche che potete pure infamarmi se questa recensione vi è sembrata stupida o pretenziosa. :)
Alla prossima!
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Ci si può stare...
Siamo nel 1774 e stiamo leggendo un romanzo epistolare in pieno stile Sturm und Drang. L'autore è il buon vecchio Johann Wolfgang Goethe a cui pare abbiano anche dedicato un cratere sulla superficie di Mercurio. Not bad!
Per capire questo romanzo, è bene fare una piccola panoramica della corrente letteraria sopracitata.
Tradotto "Tempesta e Impeto", già dovrebbe farci intendere con chi abbiamo a che fare. Siamo tra Illuminismo e Romanticismo quindi tra "ragione" e "sentimenti" e da molti è definito come il movimento pre-romanticismo per eccellenza. Ebbene cosa abbiamo? Abbiamo una natura che varia a seconda degli stati d'animo del personaggio, delle passioni travolgenti e sconvolgenti che portano anche a gesti estremi. L'uomo è un "genio", un superuomo e un fanciullo, vive al di sopra dei canoni e delle convenzioni ed è fondamentalmente puro d'animo. [Ovviamente semplifico all'osso per non far venire sonno a chi (?) leggerà poi questo commento]
Cosa c'è in questa opera di "Tempestoso ed Impetuoso"? Innanzitutto, un pochina di trama ci vuole: Werther (come avete potuto dedurre, è il protagonista) si reca a Wahlheim, una cittadina di campagna, per sistemare affari di famiglia e per dedicarsi al cosiddetto "ozio letterario". In occasione di un ballo incontrerà la fantomatica Charlotte, di cui si innamorerà perdutamente. Essa però è già promessa sposa di Albert, al momento assente per lavoro. Come una qualsiasi storia di amore/tragedia che si rispetti, lui patirà le pene dell'inferno nella speranza di essere ricambiato dalla sua amata che infine si sposerà il suo Albertuccio. Ne deriverà uno stato d'animo "comprensibilmente" depresso e rassegnato (ma nemmeno troppo) che porterà il nostro protagonista a... Non ve lo dico ovviamente. Resterà fermamente convinto che Carlotta lo ami perdutamente in segreto ma ahimè, credo che non avesse del tutto ragione.
Credo che la panoramica sulla trama e sulla corrente letteraria siano sufficienti a comprendere anche una figura tormentata dai sentimenti come il nostro protagonista. Credo che non serva altro detto da me che non ho nessuna competenza in particolare, lascio a voi il piacere della scoperta di un buon libro.
Le mie tre stelline sono motivate dal fatto che non amo questo genere di romanzi, inoltre queste passioni sfrenate mi sdubbiano un po'. Per non buttare il libro in un angolo ad ammuffire va capito il contesto in cui è stato scritto e tutto torna ad essere tollerabile. Per come me l'aspettavo sono rimasta piacevolmente stupita, tutto sommato scorrebe bene e un personaggio così disadattato mi ha fatto sentire quasi meglio. :)
Io personalmente apprezzo molto i romanzi epistolari ed apprezzo ancor di più se non lo sono interamente e sono intervallati da parti narrative.
Concludo con un "va letto" e vi dico il perché:
1. Perché sì, fa parte dei romanzi-base che un lettore decente dovrebbe aver almeno sfogliato.
2. Per i romanticoni è sicuramente favoloso.
3. Per i poco romantici come me: a me ha fatto fare un sorriso ogni tanto, anche se la fine del nostro protagonista la disapprovo (quasi) sotto tutti i punti di vista.
Buona lettura!
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Viaggio tra i viaggi.
Questo libro l'ho voluto rileggere perché mi ricordavo che fosse geniale ma volevo avere una riconferma. Infatti l'ho avuta.
Questo libro fu pubblicato nel 1979 e fu subito un grande successo, soprattutto negli Stati Uniti dove fu eletto come esempio di letteratura postmoderna. Detto questo, andiamo brevemente alla trama: Abbiamo una storia d'amore tra il Lettore e Ludmilla che si intreccia tra un incipit e l'altro di 10 libri diversi. Tutto parte con il Lettore che inizia a leggere il nuovo libro di Italo Calvino, " Se una notte d'inverno un viaggiatore " ma non riesce a proseguire nel vivo della storia perché si rende conto che per problemi di rilegatura si ripetono le stesse pagine appena lette per tutto il libro. Parte così la sua ricerca sfrenata del continuo di questo racconto, portandolo così a conoscere e ad innamorarsi della Lettrice, Ludmilla.
La cosa geniale di questo libro è che è tutto un pretesto dell'autore per dimostrare al lettore due cose:
1. Non è possibile conoscere la realtà, per quanto si cerchi di arrivare in fondo ad una cosa (che sia anche un libro), non ne troveremo mai una fine vera e propria, non ne sapremo mai a sufficienza.
2. Farci vedere quanto è bravo a scrivere romanzi.
Alla fine è un viaggio alla scoperta del piacere del leggere, sei tu il Lettore protagonista della storia, non un essere al di fuori della vicenda. Sei lì che leggi ogni nuovo incipit sapendo che la storia non proseguirà oltre ma speri comunque che ciò non accada e che Italo sia stato tanto generoso da concederti qualche altra pagina in più. Invece no. Finisci il capitolo e, come il protagonista, ti trovi spiazzato e di nuovo alla ricerca del continuo di ciò che avevi iniziato a leggere. Questo libro catalizza l'attenzione sull'importanza del leggere con passione, ti cattura perché come sfondo di mille incipit c'è una storia d'amore che pare quasi poliziesca e misteriosa perché Ludmilla è una figura sfuggente che pare quasi un'entità mistica aggiunta alla storia per distrarti continuamente dal tuo unico obiettivo: trovare il continuo di ogni libro iniziato.
Così ho riletto consapevole che avrei sofferto alla fine di ogni capitolo perché sì, ogni storia inventata da Calvino è così bella che vorresti non finisse di lì a poche pagine, ma saresti disposto a supplicare chiunque per averne una copia completa.
Un bel libro che consiglio a chiunque, si legge bene, è avvincente e non annoia.
;)
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Insomma...
Premetto che vado sempre molto cauta sugli scrittori contemporanei ma non sempre ci sono rimasta così male. Piccola parentesi biografica: l'autrice è la giovane Silvia Avallone, nata l'11 aprile 1984 a Biella, costei si è laureata a Bologna in filosofia e si è specializzata in lettere. Nel 2007 ha vinto il premio Alfonso Gatto nella sezione giovani con la raccolta di poesie "Il libro dei vent'anni" e ha scritto, successivamente, per Il Corriere della Sera e per Vanity Fair. Pare che "Acciaio", il suo primo romanzo, abbia vinto quasi tutto quello che c'era da vincere e con una premessa del genere, mi sarei aspettata un "Marina Bellezza" più interessante.
Invece, già molto prima della metà, lo avrei gettato dalla finestra. Vi starete chiedendo perché mai un libro mi dovrebbe fare imbestialire a questa maniera. Ve lo spiegherò a breve, ma prima un po' di trama:
Siamo nel Biellese, per la precisione in Valle Cervo, in un periodo che va dall'estate 2012 alla primavera 2013. I due protagonisti quasi assoluti sono Andrea Caucino (figlio dell'ex sindaco di Biella) e Marina Bellezza (con madre alcolista e padre che gioca d'azzardo), ogni tanto appare Elsa Buratti [possiamo definirla coprotagonista], ex compagna di scuola di Andrea e follemente innamorata di quest'ultimo da una vita. Andrea ha un fratello, Ermanno. Tra di loro c'è sempre stato un rapporto di amore/odio, scatenato dalla spudorata preferenza dei genitori per il figlio maggiore (Ermanno), il più disciplinato e intelligente dei due. Durante il romanzo apprenderemo che è professore in una Università americana e vive a Tucson.
Andrea e Marina sono legati da una forte storia d'amore che sarà tutto un tira e molla per buona parte del romanzo. Intanto Andrea sogna di diventare margaro come suo nonno e di rilevare una vecchia cascina sulle Alpi biellesi per dedicarsi all'allevamento e alla produzione di formaggi. Marina invece, sogna una carriera come cantante internazionale per riscattarsi da una vita di sofferenze familiari. Questo è il quadro complessivo del romanzo e ora ci terrei a giustificare le mie due stelline.
I personaggi:
Marina Bellezza mi risulta odiosa, dipinta come la strafiga di questa Terra, è il personaggio supercostruito per eccellenza. Tragedia familiare strappalacrime: un padre che la tratta da cani chiamandola solo quando ha bisogno, con lei che lo adora come un Dio dopotutto che ha sempre cornificato la su' mamma portandola all'alcolismo. Quest'ultima è la tipica figura della donna debole che si sfonda il fegato di alcool, si devasta anima e corpo e, ovviamente, la figliola la tratta da zerbino per quasi tutto il tempo. Oltretutto, è l'arroganza fatta persona, infantile e subdola ma allo stesso tempo Miss Mondo con una voce da sirena che abbaglia anche chi non ci vede. Assetata di successo, venderebbe anche il suo nonno per fare carriera e, ovviamente, ogni volta che appare è vestita come una prostituta appena uscita da una bettola. Non riesco bene a capire se questo personaggio è nato così come stereotipo oppure se l'autrice ha scelto di sua spontanea volontà di crearlo con queste caratteristiche. Il narratore esterno mi ha lasciato presagire, in alcuni nìmomenti, che Marina fosse un po' troppo "lodata" anche nei suoi difetti, quindi non so come interpretarla.
Ma non è tanto il personaggio in sé che mi ha turbato il sistema nervoso. Più che altro è il fatto che ogni volta che appare lei e si parla di lei, la nostra Silvia, ci ricorda con premura tutte le sue qualità e i suoi difetti sopra citati. Dico io, ma quando ce l'hai descritta una volta, non bastava?! Ragazzi, giuro che all'ennesima descrizione di quanto fosse figa e brava, stavo per mangiarmi le pagine del libro. Ma basta, cazzo! Una roba intollerabile.
Cambiamo personaggio: Andrea Caucino. Anche lui personaggio fatto ad hoc: famiglia riccona, fratello intelligentone e prediletto da tutti, lui il reietto disgraziato che odia il mondo e odia la sua famiglia. Non finisce manco l'università, in compenso dimostra al mondo di essere un duro stabilendosi nel mezzo al niente e mettendo su un'azienda agricola. Very impressive.
Inutile dire che lui muore dietro a Marina che puntualmente lo tratta come l'ultimo degli stronzi con il risultato che alla fine riesce pure a farsi sposare.
C'è da dire che, al di là dei personaggi che non mi sono rimasti troppo simpatici (mancanza mia molto probabilmente), sono apprezzabili le tematiche affrontate dall' autrice, se pur in secondo piano rispetto alla storia d'amore tra i due protagonisti. Questo romanzo tratta appunto del rapporto padri-figli (in due diverse situazioni contrapposte, quella di Andrea che odia il padre e quella di Marina che lo adora) ma soprattutto della crisi economica che stringe l'Italia in una morsa da almeno tre anni. Sono rappresentati due ragazzi che tentano di tutto pur di farsi una vita e una famiglia, se non altro, l'unico filo che lega tutto il romanzo dall'inizio alla fine.
A proposito di fine. Io la eleggo a peggior parte del libro perché condotta male, ti piomba addosso dal nulla e ti lascia col libro aperto in mano e una domanda fissa in testa: "Perché?!"
Non voglio dire molto sulla trama degli ultimi capitoli, dico solo che poco prima Andrea e Marina erano in America ed un capitolo dopo, senza troppe spiegazioni, Marina prende e se ne va, di nuovo. La cosa che mi ha lasciato turbata è stata proprio la maniera in cui siamo arrivati all'epilogo. Ok che Marina è lunatica e pure stronza (concedetemelo), ma senza avvertirmi ne darmi troppe spiegazioni non puoi farmela ripartire all'inseguimento del successo dopo un capitolo infinito sulla sua maturazione interiore. No dai. Mi stai a dire che finalmente si è resa conto che la sua vita è tra le montagne con il suo amato Andrea e alla fine questa mi ritorna alle frivolezze della notorietà senza quasi un perché?! Andrea poi? Che fine ha fatto? Manco una parentesina per dirci che diamine stia facendo mentre lei se la dà a gambe. Via, ci son rimasta male davvero, non me l'aspettavo.
Complessivamente sono queste le ragioni per cui non ho trovato il libro all'altezza delle mie aspettative.
Io non lo consiglio sinceramente, non lo trovo necessario da leggere e nemmeno troppo piacevole. In alcuni punti scorre proprio poco ed è ridondante per quanto riguarda questa necessità continua di rimarcare i caratteri dei due protagonisti. Uno arriva al punto di stufarsi proprio, troppo noioso.
Per qualsiasi critica o commento, chiunque è libero di esprimersi liberamente perché a me potrebbe essermi sfuggito qualcosa oppure potrei essermi semplicemente sbagliata a giudicarlo così pessimo. :)
Alla prossima.
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Inaspettato.
Il nome Lorenza Ghinelli non mi diceva nulla prima di leggere questo romanzo, invece pare proprio che sia una scrittrice capace e da non sottovalutare.
Piccola nota biografica: Lorenza nasce a Cesena nel 1981, si laurea in Scienze della Formazione e, successivamente, prende un master in Tecniche della Narrazione. Autrice di racconti, poesie, opere teatrali e cortometraggi, con il libro intitolato "La colpa", arriva addirittura finalista al Premio Strega 2012.
"Sogni di sangue" è un thriller piuttosto avvincente e dal titolo avrei detto fosse il solito horrorino scarno e scontato.
La trama: Il protagonista è un Forrest Gump dei giorni nostri, un bambino che si chiama Enoch che vive con dei tutori di metallo che lo rendono facile preda delle cattiverie dei compagni di scuola. Abbiamo quindi i soliti bulletti e il solito protagonista sfigato che viene maltrattato, fin qui niente di strano. La particolarità di questa storia sta nella modalità di vendetta di quest'ultimo. Durante la notte, infatti, è protagonista di strani sogni nella quale lui si ritrova sotto forma di coccodrillo e finisce sempre per aggredire uno dei suoi "persecutori". Il mattino successivo, si scopre che effettivamente è successo qualcosa al bullo che è stato sognato da Enoch ed inizialmente lui non riesce a collegare il suo sogno con gli strani avvenimenti a dir poco "casuali". Il piccolo Forrest quindi, si vendica sì, ma inconsciamente e si scoprirà che parte del merito di questo suo strano potere sarà della madre. Ovviamente mi fermo qui e non aggiungo altro, sennò che gusto c'è? :P
Ho trovato il tutto molto carino e coinvolgente, uno inizia a leggere e pensa di essere incappato in una storiuncola ma alla fine è scritto bene, si legge da solo e i risvolti sono molto interessanti. Fa sempre piacere leggere di un protagonista bistrattato che non è sempre la vittima arrendevole che alla fine dei conti ci rimette sempre.
Non ho molto altro da dire, è un libro molto carino e non lascia molti quesiti finali visto che tutto si risolve da sé. Interessante l'introduzione di un po' di simbologia egizia, infatti, vi starete chiedendo perché doveva sognare di essere proprio un coccodrillo e non un altro animale. Una definizione ufficiale l'ho trovata su Egittologia.net, ve la incollo qui a titolo informativo: "Il suo nome significa “che veglia su di te” Quindi, protettore contro le avversità ed i torti ed anche con capacità di guaritore."
Concludo quindi e vi consiglio di leggerlo, è piccolo ed è molto piacevole. :) Alla prossima.
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Profondo ed emozionante.
ATTENZIONE, LA RECENSIONE CONTIENE ANTICIPAZIONI SULLA TRAMA!
La Signora delle Camelie è un romanzo di Alexandre Dumas, figlio dell'omonimo Alexandre Dumas ( che fantasia! ) e come lui è stato un grande scrittore e drammaturgo. Questa opera in particolare pare aver ispirato addirittura Giuseppe Verdi nel "La Traviata", non male, vero?!
Alexandre nasce nel 1824 e viene riconosciuto come figlio da Dumas e Laure Labay solo dopo 6 anni di vita.
Nel 1844, a Parigi, conosce Marie Duplessis con cui avrà una breve relazione di un anno che stroncherà personalmente con una lettera. Questa giovane ragazza che morirà a 23 anni di tisi, sarà la sua ispirazione per scrivere "La Signora delle camelie" : vi consiglio di leggere la pagina a lei dedicata su wikipedia ( http://it.wikipedia.org/wiki/Marie_Duplessis ), è come leggere il romanzo stesso!
I suoi primi anni di vita passati in collegio come "figlio di nessuno" e quest'ultima esperienza, lo porteranno a trattare temi molto delicati della società del tempo come la prostituzione.
Veniamo al romanzo.
Bello, non c'è che dire. Come al solito ho iniziato a leggere senza sapere cosa aspettarmi e sono rimasta molto sorpresa.
La storia è incentrata sulla travagliata relazione amorosa tra Margherita (Marguerite) e Armando Duval. Lei, bellissima cortigiana molto amata e apprezzata a Parigi, con "clienti" nell'altra società e abituata al lusso, non a caso viene appellata anche come "mantenuta". Lui, un giovane ragazzo benestante ma non milionario.
Il romanzo inizia con la visita del narratore ad una casa di una mantenuta deceduta da pochi giorni. Ci sarà infatti un'asta dei beni della cortigiana che è morta lasciando molti debiti e si scoprirà essere Margherita Gautier. Da qui, una serie di flashback ci faranno conoscere la donna in questione: una vita di lusso passata tra amanti e spettacoli teatrali, protetta e finanziata da un ricco duca che rivede in lei la figlia morta e le concede ogni lusso e capriccio. Perché "signora delle camelie"? Margherita portava sempre con sé tre oggetti: l’occhialino, un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie, che per 25 giorni al mese erano bianche e per i restanti 5 giorni rosse.
Il narratore si aggiudica un libro all'asta che porta in prima pagina una dedica di un certo Armando Duval alla defunta. Quest'ultimo viene a sapere della vendita del libro e va a casa del narratore per supplicarlo di riaverlo indietro. Lo ottiene e per ringraziarlo gli fa leggere una lettera che Margherita gli scrisse durante la malattia, al ricordo della sua storia d'amore si dispera e fugge via.
Tra il narratore e Armando si instaurerà un'amicizia a seguito della malattia che colpirà quest'ultimo costringendolo a letto per un po' di tempo. Durante la convalescenza racconterà tutta la sua storia d'amore al narratore e gli farà leggere le ultime lettere che lei gli mandò prima di morire.
Così Armando diventa un secondo narratore che ci guida nel suo progressivo innamorarsi di Margherita che non è una cortigiana qualsiasi, è colta e desiderata da tutti per la sua bellezza. Inizialmente sembra che lei lo accolga tra i suoi amanti senza promettergli un amore autentico ma i due si innamoreranno follemente e Armando diventerà sempre più geloso, a tal punto di chiederle di lasciare la vita da cortigiana per stare con lui in campagna. Lei è molto malata e la città e il suo lavoro peggiorano le sue condizioni di salute così acconsente al trasferimento fuori da Parigi. Passa così un momento di benessere fisico e psicologico ma il conte scopre che frequenta un altro uomo e smette di finanziare i suoi capricci lasciando che sia Armando ad occuparsi delle sue innumerevoli spese.
Margherita non accetta di pesare completamente su di lui, vende ciò che non le serve ma non le basta per pagare tutti i suoi debiti così decide di lasciarlo e di tornare alla sua vecchia vita a Parigi. Armando scopre tutto ma non la perdona perché per lei avrebbe fatto enormi sacrifici e non accetta il fatto che lo abbia lasciato per coprire debiti che avrebbe pagato lui stesso per suo conto.
Inizia così a vendicarsi in maniera spietata e la salute di Margherita ne risente a tal punto da dover andar via da Parigi per curarsi. Scriverà moltissime lettere ad Armando ma morirà comunque da sola.
Qui si parla di una cortigiana che nonostante faccia un lavoro poco rispettabile e privo di sentimenti veri, ha dentro di sé dei sani valori. Si scopre capace di amare veramente qualcuno e questo amore la farà rinascere piano piano cancellando le tracce degli innumerevoli altri uomini che hanno approfittato del suo corpo in precedenza. Non si guarda solo il lato di una medaglia, si scopre l'umano che c'è dietro ad una donna che si concede per lavoro e non ci viene da rimproverarla ma da ammirarla per il suo coraggio nel buttarsi per la prima volta in una storia diversa, senza certezze. Armando è controverso perché la ama ma allo stesso tempo si vendica pesantemente per esser stato lasciato nonostante fosse per un valido motivo. Non si ferma nemmeno di fronte alla sofferenza di Margherita che dimostra essere devota a lui fino alla fine dei suoi giorni. I ruoli si invertono: Armando passa da innamorato premuroso a personaggio geloso e vendicativo perdendo il suo lato umano; Margherita invece pare la solita cortigiana villana e sboccata ma diventa quasi divina sacrificandosi per il suo bene e quello di Armando.
Una figura coraggiosa e da ammirare, ecco cosa risulta essere alla fine del libro.
Probabilmente ho fatto un'analisi un po' caotica questa volta ma la conclusione è semplice: leggetelo.
Potrebbe essere apprezzato da tutti, anche da coloro che non leggono troppo volentieri le storie d'amore perché fornisce anche un'analisi della società del tempo ( 1800 ) e non è la solita storiella scontata e strappalacrime.
Consigli e commenti sempre ben accetti. ^_^
Buona lettura!
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