Opinione scritta da Donnie*Darko

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    04 Mag, 2022
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Chi sei quando nessuno ti guarda?

Dimenticate colpi di scena clamorosi e una caccia all'uomo dal ritmo forsennato, "Girl in snow" è un perpetuo flusso di coscienza che ben poco ha a che fare con la classica struttura narrativa del thriller. Piccoli e grandi segreti della tipica sonnolenta cittadina di provincia vengono portati alla luce, rivelando verità spesso imbarazzanti, crudeli, molte volte commoventi e sempre basate su fragilità disarmanti. Danya Kukafka si avvale di una prosa gentile ed elegante, efficace nell'estrapolare i sentimenti contrastanti che albergano nei suoi personaggi.
C'è Cameron, studente problematico e talentuoso segretamente innamorato di Lucinda, abbiamo quindi Jade, introversa e sensibile con una madre manesca, gelosa ed al tempo stesso ammiratrice della defunta, ed infine Russ, poliziotto immobilizzato in un presente insoddisfacente dal quale evade ricordando un passato dal sapore dolcissimo.
I tre personaggi si svelano per quello che sono ed al tempo stesso mostrano il vero volto di Broomsville e di alcuni dei suoi cittadini, sino ad un finale inatteso in cui l'autrice, dopo aver convogliato tutti gli indizi in una direzione, con bel coupe de theatre spiazza rivelando finalmente identità e movente dell'assassino. Ma "Girl in snow" è soprattutto un dolente viaggio nelle zavorre esistenziali che a volte infestano i cuori delle persone: pesi generati da delusioni, da insicurezze o eventi contro i quali siamo impotenti. Kukafka colpisce per capacità introspettiva e per sensibilità, pur risultando a tratti un poco ridondante, utilizza la morte come pretesto per raggiungere angoli reconditi e delicati delle sue anime, più sante che dannate. 

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    21 Aprile, 2022
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Tetraorrore

Cos'hanno in comune un cellulare dalla batteria inesauribile, uno strano cartellone pubblicitario, una strage all'interno di un istituto scolastico e un bizzarro roditore? Semplice, sono gli elementi chiave di questa antologia di racconti pregni del consueto talento creativo del Re.

-Si parte con "Il telefono del Signor Harrigan" in cui l'amicizia tra il giovane Craig e un attempato magnate, grazie alla tecnologia, sarà destinata a durare anche dopo la morte di quest'ultimo. Un racconto in cui tornano alcuni elementi base della narrativa kinghiana tra cui la perdita dell'innocenza e la presa di coscienza riguardo le proprie responsabilità. Pur essendo il racconto più debole non annoia.
-In " La vita di Chuck" troviamo un King ispiratissimo nel ripercorrere a ritroso la particolare esistenza del protagonista, sin da piccolo alle prese col paranormale ed emblema della famosa frase secondo cui ogni uomo racchiude un universo. Commovente, inquietante, drammatico e malinconico risulta la punta di diamante del libro.
- "Se scorre il sangue" vede protagonista la detective Holly Gibney. Sebbene, a differenza dell'autore, non ami particolarmente Holly (sarà che la trilogia di "Mr. Mercedes" mi ha parecchio annoiato), ho cominciato a rivalutare il personaggio già a partire da "The Outsider" di cui questo lavoro è un sequel. King ha indotto a ravvedermi immaginando lo scontro con un'entità talmente spietata da far deflagrare, senza alcun rimorso, una bomba all'interno di una scuola, mixato con la convincente introspezione intima della protagonista.
-Si chiude con "Ratto" in cui il corredo di numerosi ingredienti orrorifici (la baita isolata, la tempesta, il virus, la cesta di giocattoli) crea un'ambientazione altamente ansiogena in cui è inevitabile percepire qualcosa di autobiografico. Interessante il patto di faustiana memoria, mentre il finale, a mio parere sviluppato in modo non proprio soddisfacente, è un l'unico neo di una storia intrigante.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    10 Marzo, 2022
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Urla che ti passa

Dopo un paio di lavori non proprio esaltanti il buon vecchio Chuck torna a ruggire. E lo fa aderendo al modo che meglio conosce per raccontare i suoi moderni incubi, ovvero creando una storia dai risvolti folli ed allucinati, in cui la memoria -reale o distorta che sia- genera mostri. Col consueto occhio critico sottolinea la mercificazione di quel male occultato dalle ingannevoli luci del sogno Hollywoodiano, lasciando sfogare una sofferenza in cui solo medicinali e alcol in un caso, e la speranza nell'altro, possono acuire gli effetti devastanti di vissuti border-line. L'esasperazione dei concetti, e il caos creato da un mondo in cui la realtà è di continuo modellata dalla menzogna, sono suggellati attraverso l'insolita ma riconoscibilissima cifra stilistica dell'autore, al solito capace di sedurre con ghirigori narrativi di raro talento, in grado di trascinare il lettore al crudele ed eterno cospetto della cristallizzazione della morte. Palahniuk attacca frontalmente l'industria cinematografica salvando "il tempo che fu" (di cui la scream-queen Blush Gentry è anima candida e diabolica allo stesso tempo) rimarcandone le contraddizioni e l'istinto autocannibalico, qui eletto a mezzo purificatorio per la creazione di un nuovo ordine che ovviamente sconvolgerà le vite, o meglio, le ossessioni, dei due personaggi principali (e non solo).  

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    02 Marzo, 2022
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Il mistero morde

Un mondo fermo ed avverso al progresso, in cui i gesti quotidiani sono quelli di tutti i giorni perpetrati da anziani cocciuti nel restare avvinghiati a quella realtà rurale in cui, in fin dei conti, non manca loro nulla. Nessuno però immagina che a Lanzo Torinese l'orrore sia in agguato. Peano, pur perdendosi in qualche digressione descrittiva non necessaria, mette in scena con prosa fluida e affabile un incubo di chiara ispirazione Kinghiana, in cui il passaggio dalla fanciullezza all'età adulta avviene in modo drammatico. È un coming to age scandito da una cronaca ansiogena che tracima nella favola nerissima tra vecchi orrori come le masche (ovvero le streghe del folklore piemontese) e nuove minacce come le epidemie che -inutile sottolinearlo- ricordano tempi ben più recenti. È uno scontro tra tradizione ed innovazione, in cui Peano non si risparmia tra momenti splatter e situazioni piuttosto macabre. Non è solo a livello creepy che il giovane autore convince, lo fa sviluppando in maniera efficace il rapporto tra i due protagonisti, descrivendo con occhio attento e delicato i cambiamenti in corso soprattutto in un momento anagrafico così critico. Molto buoni l'atmosfera invernale altamente respingente e gli interludi epistolari, questi perfetti escamotage per arrivare ad una chiusura del cerchio davvero efficace.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    28 Febbraio, 2022
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La dura legge dell'outback

Spalmato su due piani temporali - poi destinati a confluire in un finale a dir poco adrenalinico- "Prede" è un romanzo in cui la gestione della tensione è a dir poco invidiabile, cesellata con abilità sul vissuto dei personaggi, a loro volta avvolti da una coltre misteriosa destinata a dipanarsi seguendo le giuste tempistiche. Un'introduzione misurata in cui è facilmente percepire la sensazione che qualcosa possa accadere da un momento all'altro (a tal proposito i capitoli ambientati nel villaggio dei redneck sono magistrali) ci immerge in un mondo selvaggio ed ostile, riflesso di un luogo brutale, in cui le regole sociali e le leggi dell'uomo valgono meno di zero. L'asprezza dei posti e la lontananza da occhi umani eleggono l'outback ed il bush ideali terreni di caccia per persone regredite ad uno status primitivo in cui la ferocia di natura tribale non è mezzo per garantirsi la sopravvivenza ma mero sollazzo. La violenza spietata impregna senza troppi filtri le quasi 300 pagine e, al netto di qualche situazione action eccessivamente iperbolica, Bergmoser colpisce nel segno non andando mai troppo per il sottile ed amalgamando a dovere momenti introspettivi -in cui caratterizza senza fronzoli i personaggi in gioco- con un'azione sanguinaria e senza freni. Lo stile dell'autore è sempre molto diretto, facilmente fruibile e poco incline a perdersi in ghirigori descrittivi, capace di immergere con veemenza il lettore nell'inferno rurale da lui ideato.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    25 Febbraio, 2022
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Folklore e superstizioni. O forse realtà?

Marco Marra e Gerardo Spirito fanno il verso a quel gioiellino di Eraldo Baldini intitolato "Gotico Rurale" senza però eguagliarne la forza evocativa ed ansiogena. I sei racconti affondando le loro radici nella nostra cultura e nelle storie tramandate oralmente di generazione in generazione, con atmosfere cupe e decadenti a discapito di una violenza relegata fuori campo. I nostri autori conoscono bene il genere ma si perdono in piccoli particolari mostrando una certa immaturità, a partire da un filo conduttore poco sfaccettato e da elementi perturbanti eccessivamente reiterati. Lo stile forbito e ricercato convince sino ad un certo punto, in bocca ai personaggi autoctoni diventa grottesco, per nulla in linea con le umili origini degli stessi.  
Spirito firma il miglior racconto, ovvero "Il bosco mormora" in cui una zia particolarmente inquietante ha bisogno delle cure del nipote (voto 8), mentre non avvince con "Mattoni sgretolati" (5), dove un uomo, dopo la morte del padre, torna al paese natio trovandolo completamente in rovina ma non del tutto abbandonato. 
"Terra Nera" (6.5) è invece scritto a quattro mani: un gruppo di giovanissimi cercatori di funghi si imbatte in un orribile abitante del bosco. Spirito parte malissimo con "Oltre la collina" (4), storia del laureando Ludovico e dell'ambiguo quanto eccitante incontro cui va incontro, con "Massacro di bestiame" (6) si riscatta indagando riguardo una strage di animali forse collegata ad antichi rituali, infine chiude bene con "La famiglia è la famiglia", il cui culmine giunge durante una strana cena organizzata da una coppia di -apparentemente- innocui vecchietti (voto 7.5).

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    24 Febbraio, 2022
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Un paese in lotta

"Il cercatore di tenebre" non soltanto è un thriller ben scritto, ben costruito, ambientato a latitudini anomale (almeno per il lettore mainstream) e con un mistero tenuto in piedi abilmente sino alla fine, è soprattutto lo specchio di un paese tanto affascinante quanto pericoloso, ricco di contraddizioni in cui distinguere il vero dal falso e il bene dal male non è mai semplice. Per immergerci appieno in una cultura così controversa Femi Kayode immagina un personaggio scisso tra Africa e occidente. Philip Taiwo, nigeriano di nascita ma di stanza per tanti anni negli Stati Uniti, diventa così un novello Virgilio, prendendo per mano il lettore in questa storia così cruda, ispirata ad un fatto realmente accaduto nel 2012 nella città di Aluu.
Il romanzo avvince tra snodi inaspettati e personaggi di ardua definizione, abili nel mascherarsi apparendo ciò che in realtà non sono. Taiwo si trova spiazzato quanto il lettore, investito da continue nuove rivelazioni, dalla frenesia e dalla complessità di un mondo in balia di scontri continui, soprattutto di carattere religioso, in cui la corruzione è accolta con indifferenza ed il malaffare tollerato. Archiviare un caso per quanto shockante possa essere non è certo una missione impossibile con queste premesse, anche se le vittime hanno subito la terribile tortura del necklace.
Per Taiwo diventa una battaglia contro tutto e tutti il raggiungere una verità che con lo scorrere della lettura assume connotati sempre più intricati e torbidi. Kayode firma un romanzo diretto ed avvincente, ammantato dalla persistente presenza di una violenza che non tarderà a deflagrare in tutta la sua follia.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    21 Gennaio, 2022
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Quei bellissimi (ed inquietanti) anni '80

Thriller incisivo dal sapore nostalgico in cui Barbara Baraldi ritorna agli anni '80, periodo di grandi cambiamenti e di importanti avvenimenti socio-culturali. Una colonna sonora perfettamente in linea ci guida alla scoperta di una Torino il cui lato esoterico non può essere ignorato, mentre la rivoluzione in atto investe anche la stesura dei profili criminali. L'autrice affida le indagini ad un magistrato in chiaro ossequio a due mai troppo compianti paladini della giustizia nazionale come Falcone e Borsellino. In generale è palese come tragga ispirazione da personaggi che nel bene o nel male in quel periodo imperversarono. A partire dalla definizione dell'assassino, ispirato alle famigerate gesta del Mostro di Firenze, o alla cronista d'assalto Leda De Almeida capace di suscitare il commosso ricordo di Ilaria Alpi. Il romanzo è ben articolato attorno ad un gruppo di personaggi eterogenei per lo più ben definiti, con una serie di avvenimenti collegati con efficacia tra loro e descritti sfruttando una cifra stilistica diretta, per nulla volgare e mai tediante. Il colpo di scena giunge sempre strutturato con accuratezza, figlio di un'ossatura logica mai forzata. Brillante il collegamento con l'anomalia posta in apertura (ponte Vittorio Emanuele invaso da innumerevoli ragni), mentre il finale, un inno alla speranza, si collega direttamente ad uno dei personaggi più celebri nati dalla penna di Baraldi, tramutando il romanzo in una sorta di prequel.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    12 Gennaio, 2022
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Billy l'infallibile

King torna al thriller (con un paio di graditi riferimenti autoreferenziali al soprannaturale), costruendo una storia stratificata su più livelli. La narrazione è curata nel dettaglio con i vari step intersecati in modo ineccepibile, mirati a creare una forte empatia con il protagonista nonostante questi, per vivere, faccia fuori la gente. L'autore con mestiere invidiabile investe Billy di un valore morale fuori dal comune, dimostrato nella fase "esecutiva" esclusivamente riservata a criminali rei delle peggiori azioni. Non siamo quindi di fronte ad un santo, il protagonista pesa le altrui malefatte ma in fin dei conti a sua volta dispensa dolore. Tuttavia il suo background, tra infanzia negata e orrori iracheni, lo rende quasi eroico agli occhi del lettore, con un feeling destinato ad aumentare con l'entrata in scena della giovane Alice, eletta a mezzo salvifico attraverso cui raggiungere la piena espiazione. Il romanzo è anche un'ode al potere terapeutico della lettura e della scrittura con il protagonista intento nella stesura delle sue memorie, aggiungendo così una storia alla storia. Lo stile del Re è al solito inconfondibile: sempre ordinato, minuzioso e avvincente: svaria tra momenti di riflessione ed altri più action con annessi colpi di scena ben piazzati. Una forzatura sul finale, più l'epilogo scontato, sono magagne perdonabili nell'ambito di un romanzo in cui il confine tra bene e male è difficilmente percettibile. 

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    05 Gennaio, 2022
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Una K di dolore

Tre romanzi scritti in periodi diversi e raccolti in un'unica fantastica opera: "La trilogia della città di K." è uno di quei libri che, a mio modestissimo parere, è peccato mortale non leggere. 
La prosa tagliente, asciutta ed efficace ci immerge in un primo capitolo ("Il grande quaderno") di rara durezza e crudeltà, in cui i giovani protagonisti raccontano il mondo circostante con implacabile distacco, accettando la violenza ed il sopruso come la normalità ed imparando ad usare queste deleterie armi per raggiungere gli obiettivi preposti. Un fardello immane che si porteranno nel futuro, vivendo esistenze distorte come efficacemente esposto nel segmento successivo ("La prova"). A seguire Kristof, con un colpo di classe inaspettato, ribalta ogni percezione e rielabora il punto di vista utilizzando una lente d'ingrandimento adulta, seppur attendibile fino ad un certo punto in quanto forgiata in un contesto corrotto. 
L'assenza di qualsivoglia edulcorazione ed il nulla emotivo in cui Lucas e Claus crescono rende conseguenza logica lo scenario maturo presentato dell'autrice, abile a partire da situazioni vissute sulla propria pelle (l'invasione tedesca in Ungheria, l'esilio in Svizzera) per dare sfogo ad un romanzo in cui la rabbia pronta a deflagrare in modo iperbolico viene celata sotto la coltre obnubilante dell''indifferenza. Il terzo romanzo ("La terza menzogna") si erge quindi a chiave di lettura imprescindibile, in cui la realtà dei fatti viene esposta senza più filtri infantili o fantasie distorte, lasciando ancora una volta il lettore a bocca aperta.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    03 Gennaio, 2022
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Malvagi tutti

A termine della trilogia iniziata con "Io so chi sei" e proseguita con "Zoo", Paola Barbato chiude il cerchio con un romanzo chiamato a far convergere tutti gli elementi caratterizzanti i precedenti scritti. L'autrice milanese è abilissima nel rendere la lettura fruibile anche a chi fossero sfuggiti i libri precedenti. Trattasi di volumi indipendenti l'uno dall'altro: è inoltre mai in affanno nel collegare i vari passaggi narrativi, al servizio di una storia dalle molteplici prospettive, in cui i vari personaggi, mostrando la loro debole e fallace natura umana, cambiano in continuazione di ruolo. 
Da vittime a carnefici e viceversa, in un gioco al massacro al cui interno bene e male diventano concetti indistinguibili, troppo imbastarditi tra loro per darne definizione certa. La trama, molto articolata e mai tediante, sfrutta al meglio la formula del racconto corale -con annessi una serie di azzeccati colpi di scena- sino al raggiungimento di una chiusa più che soddisfacente. Barbato crea un mondo in cui vite in apparenza perfette sono invece martoriate da sofferenza, insicurezza, gelosia, ira, opportunismo: il lavoro fatto dai mass media incensa a prescindere fornendo letture mistificate della realtà, "Vengo a prenderti" invece penetra le difese di facciata e le distrugge, mettendo a nudo personalità spesso deprecabili nel loro modo di agire eppure, per certi versi, degne di comprensione. Non è un caso che la prigionia stessa dello zoo diventi simbolo di un modus operandi discutibile eppure guidato da un fine tutt'altro che deplorevole. Tra atmosfere thriller e sequenze debitrici all'horror, Barbato si conferma scrittrice dalla penna diretta ed ispirata, per un racconto grondante ributtanti umori riconducibili a quel lato oscuro ben nascosto in ognuno di noi.

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Romanzi
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    30 Settembre, 2021
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Aspetta e spera

Romanzo dalla prosa elegante e dall'incedere compassato in cui Dino Buzzati, raccontando la vita del suo personaggio, esorta alla riflessione il lettore. Drogo rappresenta l'impossibilità di sfuggire alla morsa del tempo, del come ogni esistenza sia intrappolata nella ragnatela dello stesso. Drogo è la folle ossessione, l'illusoria speranza del poter riempire le pagine della propria vita (in questo caso la landa desertica è palese metafora, come fosse una pagina tutta da scrivere) rendendosi conto troppo tardi di quanto il tempo passi veloce lasciando spazio solo al rimpianto. Il protagonista si trova ben presto schiavo dei propri ideali, impossibilitato alla fuga, prigioniero di un bastione posto a guardia non di feroci orde, bensì di utopici eroismi. Ormai condannato solo a sperare, Drogo annaspa alla disperata ricerca di un senso, incapace di scorgere come la terribile realtà si avvicini ogni giorno di più. "Il deserto dei tartari" è testo ambientato in una dimensione indefinita, quella in cui precipitano quelle persone sopraffatte da visioni distorte in cui l'attesa assume connotazione quasi divina, quasi fosse una missione salvaguardata dall'immortalità. La resa dei conti è invece purtroppo inesorabile, con la vita ridotta a mero passaggio del quale, probabilmente nessuno, avrà ricordo. Tuttavia Buzzati non chiude in maniera totalmente pessimistica come ci si potrebbe aspettare: ormai anziano e malandato Drogo viene beffato ma al tempo stesso trova, dinnanzi alla morte, le risposte alla sua personale missione, uscendo così vincitore da quella battaglia tanto agognata per decenni.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    21 Settembre, 2021
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Tutti al circo!

FREDDO NELL'ANIMA (1999)
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???? 216 pag.
Trama: una rapina finita male e la polizia alle calcagna. Per Bill trovare rifugio presso un circo itinerante di freaks diventa fondamentale. Accolto dal gruppo di esseri deformi commette un secondo errore madornale, ovvero invaghirsi dell'avvenente compagna del capo.

Lansdale non fa sconti e questa volta si pone dalla parte del brutto per raccontare una storia che è chiaro omaggio al capolavoro cinematografico "Freaks" di Tod Browning ma anche al cartaceo e altrettanto splendido "Il popolo della autunno" di Ray Bradbury. Lo scrittore texano non scade in contrapposizioni elementari elevando la nobiltà d'animo laddove la natura è stata traditrice: ogni personaggio, infatti, è mosso da istinti animaleschi e da un malessere interno sigillato nel titolo.
Il linguaggio utilizzato è ancora più spinto del solito: tra ammiccamenti sessuali, volgarità assortite e le solite similitudini/metafore/freddure folgoranti non manca proprio nulla, il tutto per aderire al meglio ad una realtà hardcore in cui la sopravvivenza è unica ragione di vita. La trama si fonda sul presupposto non proprio innovativo del triangolo amoroso, tuttavia il ritmo indiavolato e l'alternanza tra momenti drammatici, adrenalinici e altri ricchi di black humor forniscono al romanzo molteplici sfaccettature, in quello che sicuramente non è il miglior lavoro del buon J.R. , il quale però, tanto per cambiare, riesce ad intrattenere con invidiabile mestiere. Ovviamente questa volta l'impegno sociale è semplice sottotesto, "Freddo nell'anima" è più un personale divertissement al quale il lettore potrà aderire con entusiasmo, a patto di ricordare che nel Texas orientale le buone maniere sono esseri mitologici. 

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    16 Giugno, 2021
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Come animali in gabbia

Thriller/horror davvero disturbante e claustrofobico "Zoo" si svolge in un'unica location. La cosa non tragga in inganno, Paola Barbato sa come evitare la ripetitività, il suo lavoro è un concentrato di azioni limitate nei movimenti ma psicologicamente caratterizzate da un dinamismo eccellente, in cui il perverso "gioco" di un presunto rapitore seriale rende la situazione a dir poco angosciante. Le interazioni verbali, e più raramente fisiche, vengono gestite con maestria sino ad un finale serratissimo in cui non tutte le ellissi narrative si chiudono perfettamente (come quelle inerenti la vita privata della protagonista), in cui però la cifra stilistica diretta e cruda dell'autrice è in grado di fare la differenza. La riuscita costruzione di una sorta di zoo dove ogni prigioniero è allegoria animalesca, viene basata su di un ordine costituito dominato da consuetudine e paura. Barbato descrive Anna come la potenziale variante impazzita in grado di incrinare determinate regole, questo attraverso un percorso in cui l'inizialmente terrorizzata e schiva protagonista cresce in aggressività sfruttando al meglio la sua indole dominante. È abbastanza intuitivo riconoscere in questo aberrante microcosmo una metafora sociale di natura nichilista, in cui i prigionieri accettano la negazione della libertà e, con essa, della loro dignità, in cambio di infimi "contentini". Anna è l'esemplare prodotto della società attuale: ambiziosa, crudele e arrivista, risulta personaggio da un lato respingente ma impossibile da odiare. Si tifa per Anna nonostante sia estranea a qualsivoglia tipologia di eroe, forse perché in lei Barbato è brava a far scorgere il nostro lato più primordiale: quello recluso in gabbia da convenzioni sociali, pronte ad essere irrise dal più spietato e immorale.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    09 Giugno, 2021
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Vi schiaccio come mosche

"Il giardino delle mosche” ricostruisce la vita di Andrej Romanovi? ?ikatilo, che, fra il 1978 e il 1990, fu responsabile di almeno 56 omicidi (soprattutto di minorenni).

Non siamo di fronte ad un freddo report di cronaca nera, perché Andrea Tarabbia, grazie alla sua ispiratissima penna, si immedesima nel serial killer, riuscendo ad alternare i momenti più crudi con un viaggio incredibilmente dettagliato nella deviata psiche del protagonista . E questo viaggio parte dagli albori con un ?ikatilo bambino, attorniato da una madre severa e anaffettiva, un padre codardo e un fratello deceduto in modo orribile. La sconvolgente narrazione in prima persona permette a Tarabbia di cogliere alla perfezione il punto di non ritorno, il delirio di onnipotenza scatenatosi dopo il primo omicidio: da quel momento, infatti, le frustrazioni e le paure sembrano mitigarsi e le ossessioni si placano. Di ?ikatilo non viene sondato solo il lato più oscuro e perverso, bensì anche quello di padre e marito rispettabile, al tempo stesso, le disfunzioni erettili e il profondo attaccamento ad un partito in decadenza, simbolo di un mondo destinato a cambiare di lì a poco, lo spingeranno a continuare la sua macabra carriera di pluriomicida.
Uccidere sublima l'incapacità di fare sesso, di essere "uomo" vero. Dare la morte lo eleva oltre, praticamente alla stregua di un dio, mentre la sua visione socialmente distorta lo porta ad eliminare chiunque risulti inidoneo o inutile per gli ideali comunisti. La forza del romanzo sta, oltre che nell' ipnotica prosa dell'autore, nel rendere tangibile il fatto compiuto. Tarabbia sferra pugni nello stomaco senza sosta, descrivendo con crudezza e gran senso del realismo le orrende malefatte del suo protagonista senza mai risultare gratuito o compiaciuto. Un libro allucinato e sconvolgente sulla genesi e l'evoluzione del Male puro.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    31 Mag, 2021
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Brancolare nel buio

Trama: Amanda e Clay, insieme ai due figli adolescenti, affittano una splendida villa isolata a Long Island. L'idea è quella di passare qualche giorno di relax immersi nella natura, lontani dalla frenesia cittadina. 
Purtroppo per loro l'idillio finisce in fretta: Ruth e George, coppia anziana evidentemente spaventata e confusa, bussa alla loro porta. Dicono di essere i proprietari del posto: chiedono rifugio mentre una non meglio specificata situazione di pericolo ha causato enormi disagi a New York.

L'ignoto: è questo il punto focale de "Il mondo dietro di te", romanzo in cui l'assenza di informazioni, l'impossibilità di accedere ai mezzi tecnologici con i quali interagiamo quotidianamente per diletto, per lavoro, ma anche per apprendere ciò che capita intorno a noi, creano una situazione di paura crescente. Tv, radio e soprattutto telefonini fuori uso, pongono i protagonisti in una situazione di snervante incertezza, con la veemente sensazione che qualcosa di sbagliato stia succedendo. L' istinto spinge a percepire l'anomalia, gli interrogativi privi di risposta si ammassano, le ipotesi formulate non trovano soluzione nei pochi ed inquietanti segni in apparenza indirizzati verso un  cambiamento radicale. Rumaan Alam mostra come l'uomo abbia l'illusione di avere la propria vita sotto controllo. Ne smonta con facilità ogni sicurezza negando la conoscenza oltre lo sguardo mediante un thriller pre-apocalittico senza clamori. Sembra infatti succedere poco o nulla. In realtà piccole tensioni sottocutanee, indizi inquietanti e impercettibili distorsioni spingono verso uno stato di inquietudine crescente con relativa escalation drammatica. Decisamente soddisfacente l'interazione tra i personaggi, anagraficamente distanti e provenienti da ceti sociali diversi, entrano in conflitto garbato ammansito dal background culturale, senza tuttavia rinnegare il proprio individualismo tramutato in cooperazione forzata solo nel momento in cui il punto di non ritorno appare inevitabile. Punto di non ritorno centrato in un'epifania perfetta, in cui ancora una volta è l'ignoto a farla da padrone.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    21 Mag, 2021
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Anna non molla

Lo scenario di una Sicilia irriconoscibile, un ammasso di rovine retaggio di un'epidemia che ha distrutto il mondo civile fa da sfondo alle peripezie di Anna, ragazzina costretta ad arrangiarsi per sopravvivere. Niccolò Ammaniti, in versione distopica, è un bel leggere, dopo una partenza dignitosa ma non proprio trascinante l'autore romano prende slancio raccontando di un mondo imbarbarito, in cui Anna è suo malgrado la depositaria di una memoria storica destinata all'oblio (i ragazzi infatti, in genere, non vivono più di quattordici anni), mentre il suo lottare quotidiano è un inno alla speranza. Una promessa alla madre morente e l'istinto di sopravvivenza unito alla diceria che in "continente" qualche adulto sia scampato alla morte e abbia pronto un vaccino, sono i motori che azionano muscoli e cervello per non mollare in un panorama in cui la natura rigogliosa fa da impietoso contraltare alle miserie umane. Le regole scompaiono ma i sentimenti resistono, quelli che guideranno Anna in un percorso di formazione ora violento, ora dolcissimo, caratterizzato da prepotenti aperture nostalgiche in cui la scrittura di Ammaniti si fa più toccante che mai. Sicuramente il paragone con pietre miliari del genere tipo "La strada" di McCarthy, "Io sono leggenda" di Matheson o con "Il signore delle mosche" di Goldwin sono pertinenti, ma Ammaniti riesce a far sua una tematica abusata riuscendo a dare credibilità alla sua visione apicalittico/prepuberale, per poi trovare spunti avvincenti e crudi, come nello straordinario e barbarico caos della Festa del Fuoco, o commoventi e introspettivi, come nelle pagine ambientate a Cefalù, in cui il destino più vile sembra dileggiare la bellezza delle spiagge e del mare.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    18 Mag, 2021
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Paura di dormire

Sebastian Fitzek, ancora una volta, mostra di trovarsi perfettamente a suo agio tra i meandri di una mente (forse) disturbata. Lo scrittore tedesco costruisce un thriller dall'esemplare incedere, partendo da un inquietante quesito, cosa accade veramente mentre dormiamo? 
"Il sonnambulo" riesce ad appassionare addizionando agli spunti più squisitamente thriller, il giusto spessore drammatico partorito dallo smarrimento di Leon. L'uomo, vittima sicuramente, forse addirittura carnefice, esprime tutta l'urgenza di dover far chiarezza, mentre i mostri del passato sembrano aver intaccato di nuovo il suo precario equilibrio mentale. La cifra stilistica di Fitzek, asciutta e diretta, è perfetta nel creare suspense, mentre i numerosi cliffhanger posti alla fine di ogni capitolo tengono sulla corda con consumato mestiere. L'autore è abile nel depistare e al tempo stesso fornire succulente anticipazioni o indizi, mediante i quali esorta il lettore a tramutarsi in detective. Tuttavia cercare di far luce in questo psycho-mystery è impresa ardua, Fitzek crea un puzzle assai complesso chiedendo voli di fantasia mai eccessivi seppur, in alcuni passaggi, un poco sopra le righe. La curiosità non cede mai il passo al tedio, fino a raggiungere il sorprendente epilogo, sicuramente non destinato a restare nella storia della narrativa thriller, ma assolutamente degno di nota.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    14 Mag, 2021
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Distopie scolastiche

Elena Fairchild è un'ottima insegnante illusa di aver contribuito con (l'odioso) consorte a creare un sistema migliorativo, in realtà utilizzato per scopi che poco a poco verranno a galla in tutta la loro orrenda franchezza. La protagonista, già poco convinta di questo sistema meritocratico, si mette in discussione quando a finire in una scuola gialla è la figlioletta di 9 anni. La storia che si ripete, la labilità della memoria, l'ideale di una società perfetta tradotto in metodo subdolo per eliminare gli indesiderati: Christina Dalcher firma un romanzo disturbante in cui forti sono gli echi del nazismo. L'autrice estremizza problematiche attuali come l'emarginazione e l'evidente disparità dei diritti, eleggendo le scuole gialle a nuovi lager in cui deportare (termine non usato a caso), non solo i meno brillanti ma anche le persone indesiderate. Buttando fumo negli occhi ad una popolazione sempre più egoista e facilmente raggirabile il gioco è fatto, ma Elena, mossa dalla ferina rabbia di madre straziata, è pronta ad impersonare Davide nella battaglia contro Golia.
"La classe" è un buon romanzo, ben costruito (anche se i personaggi sono poco sfaccettati) e dal buon ritmo. Le fasi finali esibiscono una tensione altalenante pur trovando nelle ultime pagine una commovente ispirazione. Ho notato qualche imperfezione in fase di traduzione, mentre i flashback, inizialmente un po' noiosi, alla fine si dimostrano utili per rendere meno nebuloso il contesto sociale.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    07 Mag, 2021
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Trappola di intrecci

Jim Kelly rispetta la migliore tradizione del giallo regalandoci una storia assai ingarbugliata. A monte di tutto c'è un omicidio inspiegabile, un vero rompicapo per gli inquirenti che vedranno  aumentare il numero dei cadaveri con il dipanarsi della storia in cui l'autore porta in superficie un mondo corrotto, abitato da figure tutte col loro fardello di colpe. I numerosi personaggi aderiscono efficacemente a questo oscuro quadro provinciale trasformato in subdola matrioska, pronta a contrastare ogni passo in avanti con nuovi punti interrogativi. "Trappola bianca" è un mystery complesso, ci vuole concentrazione per non perdersi qualche snodo decisivo o qualche sfumatura importante, al tempo stesso non è un libro impossibile, la scrittura di Kelly è infatti mai complessa, sempre molto diretta e priva di fronzoli o inutili ghirigori grammaticali. L'unica raccomandazione è quella di armarsi della giusta attenzione per riuscire ad assaporare al meglio i vari colpi di scena. La soluzione è invece praticamente impossibile da intuire, Kelly svia con arguzia, trovando il tempo di ricamare una sottotrama risalente al passato, fonte di grande dolore per uno dei protagonisti.
La storia funziona bene ma qualche magagna è ravvisabile: a partire dalle ridondanti e abbastanza inutili descrizioni dei luoghi, per continuare con la blanda caratterizzazione della coppia di poliziotti, prigioniera di stereotipi abbastanza logori. Nel complesso un mistery non privo di difetti ma appassionante.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    05 Mag, 2021
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Dimenticate Sir Alfred

Roger, ex poliziotto dal passato doloroso, viene incaricato da un amico di pedinare la moglie Madeleine. L'uomo instaura con la sorvegliata un rapporto amichevole, almeno fino a quando questa si uccide gettandosi da un campanile. Ma un giorno un incontro casuale sconvolge le certezze di Roger. Madeleine è viva?

Alla base di una delle pietre miliari della filmografia di Hitchcock c'è questo splendido romanzo firmato da due autori francesi, ritenuti all'epoca, a ragione, i principi del noir europeo. Seppur il film di Sir Alfred abbia superato in fama il lavoro di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, "La donna che visse due volte" è un libro imperdibile per gli amanti del genere; è la storia di un amor fou venata da digressioni di natura soprannaturale che solo un finale sorprendente chiarirà se essere frutto di morbose fantasie o di un machiavellico piano destinato a sconvolgere le vite dei protagonisti. Avvincente, forte di una caratterizzazione precisa dei personaggi, ricco di depistaggi e soprattutto di un tema come quello del dualismo esposto in tutta la sua forza mistificatrice, il lavoro di Boileau e Narcejac ammalia con la sua prosa elegante e un gioco d'incastri in grado di alimentare e soddisfare con sapienza la crescente curiosità del lettore. Mi sento di consigliarlo anche ai conoscitori della pellicola, ci sono infatti intriganti differenze tra le due opere che le rendono a loro modo uniche. Se avete in mente la luminosa bellezza di Kim Novak e il fascino dell'aitante James Stewart, ci vorrà poco per resettare tutto, ripartendo dall'eterno binomio amore/morte sviscerato in modo eccellente, attraverso raffinati dualismi intrisi di suggestioni oscure.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    03 Mag, 2021
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Un caso dal passato

Buon thriller transalpino in cui la prosa semplice e diretta dell'autrice permette una lettura veloce, complice anche il gran ritmo approntato con una concatenazione di eventi che non lascia tempo di rifiatare. Sandrine Destombes è abile nel proporre brevi capitoli con in chiusura enigmi e colpi di scena maliziosamente apparecchiati nel sollecitare il lettore a procedere nella lettura. La trama ha infatti il gran merito di incuriosire moltissimo, e, fortunatamente, il continuo accumulare carne al fuoco non crea sgradevoli effetti saturanti. Al netto di qualche piccola forzatura e di un approfondimento abbastanza banale dei personaggi abbiamo un romanzo che punta forte sulla plausibilità degli incastri e sulla volontà di fornire risposte senza aderire a cose lette già troppe volte. Destombes in questo senso non delude, offre una lettura in crescendo che seppur poco disposta a creare empatia riesce a disegnare con buon mestiere un quadro provinciale in cui segreti, angoli bui e non detti si sprecano, sino ad un finale importante e per nulla scontato dove la disamina psicologica offerta riesce a rendere plausibile, oltre che centrato e spiazzante, l'imprevedibile epilogo.

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Romanzi
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    23 Aprile, 2021
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I sogni sono desideri

Trama: dopo aver fatto un terribile sogno Yeongh-hye decide di diventare vegetariana. Una scelta che nulla ha a che fare con motivi animalisti, di tendenza o salutisti: il suo è un primo clamoroso passo verso l'autodistruzione.

Un sogno come punto di rottura, trampolino di lancio per prendere le distanze da una società in cui le costrizioni e gli obblighi diventano fardello insostenibile. Yeongh-hye rinnega le convenzioni attraverso lo svilimento del proprio corpo. Mette in atto una rivalsa verso marito e famigliari i quali, abituati al suo carattere remissivo, anziché interpretare lo strano comportamento come campanello d'allarme riversano su di essa ulteriore rabbia.
Han Kang descrive una negazione radicale con stile facilmente fruibile e dall'incedere ipnotico, crudo e corrosivo, in cui la (presunta) follia è racchiusa in tre capitoli narrati da altrettante differenti voci. Le azioni della protagonista non trovano quindi alcuna spiegazione scientifica in quanto lasciate all'interpretazione soggettiva del lettore, il quale può solo basarsi sulle parole e sulle impressioni del coniuge, del cognato, ed infine della sorella. "La vegetariana" è un romanzo che sfrutta al meglio alcuni simbolismi legati alla cultura orientale (il rapporto con la natura e l'aspirazione alla sintonia con essa) inseriti nel rifiuto dapprima al cibo e poi ai rapporti umani come atto di ribellione nei confronti di un ruolo già scritto e al quale non ci si può sottrarre. La psicosi della protagonista è efficace nel portare a galla un effetto domino di natura pessimista in cui non vi è interpretazione esatta o sbagliata, bensì una deprimente assenza di affetto sostituita con atteggiamenti di convenienza, punti focali di un romanzo in cui l'autrice centra il paradossale estremismo: l'affermazione attraverso l'annullamento.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    21 Aprile, 2021
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Un telefonata allunga la vita

Trama: l'ormai anziana Nives, rimasta vedova e sola, trova bizzarro conforto in Giacomina, una gallina storpia. Quando l'animale pare ammalarsi la donna chiama Loriano, il veterinario del paese, col quale, attraverso una telefonata, tenterà di regolare i conti risalenti ad un lontano passato.

Da uno fatto dal sapore surreale Sacha Naspini prende spunto per parlare di sentimenti, per scavare in modo chirurgico in emozioni sepolte da decenni, per far riaffiorare un livore mai sopito. La morte di Anteo, consorte di Nives, provoca l'apertura di un vaso di Pandora in cui sono stati momentaneamente sepolti segreti indicibili, causa di astio alimentato dal rimpianto e dalla sensazione di aver cestinato la propria vita. Le rivelazioni, da innocuo chiacchiericcio di paese, prendono forma sempre più sconcertante e dolorosa, il tutto compresso in una telefonata fiume in cui il passato torna prepotentemente a galla con una Nives, quasi mefistofelica, pronta a mettere al muro quell'uomo reo di averla ingannata. È un romanzo breve dal ritmo indiavolato, in cui la prosa brillante dell'autore spicca tra parentesi umoristiche e un andazzo generale ben più affine alla tragedia. Scambi verbali rapidi ed incalzanti fanno di questo libro un percorso a ritroso nel tempo in cui il ricordo mostra tutta la sua soggettiva entità, mentre "Le case del Malcontento" (libro sempre di Naspini edito un paio di anni prima di questo) sembra far capolino, richiamato dal sensazionalismo provinciale racchiuso nelle vite dei due protagonisti. Si percepiscono rabbia ed amore, giustizialismo spiccio e voglia di pacificazione: Naspini costruisce con estremo realismo i suoi personaggi mettendone a nudo vizi e virtù. Il beffardo finale sa molto di vendetta compiuta, anche se il tempo ormai sprecato/sfuggito ha vinto ancora una volta la sua battaglia, lasciando sul terreno solo l'illusione dell'effimera rivalsa.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    20 Aprile, 2021
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Perché noi portiamo il fuoco

Trama: Un uomo e un bambino, padre e figlio. Spingono un carrello pieno del poco che è rimasto loro. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un'apocalisse che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni.

Cenere e nebbia, pioggia (quasi) incessante e un grigiore che avviluppa ogni cosa. Città ridotte a cumuli di ruderi marcescenti, gli uomini, ormai liberati dal giogo della legge e dal senso morale, mossi da istinti ferini e primitivi, sono pronti ad uccidere nei modi più brutali per garantirsi la sopravvivenza. Nel futuro credono ancora due emaciate figure, padre e figlio, in viaggio verso il mare, coperti di sporcizia da capo a piedi, sempre all'erta perché il pericolo può celarsi ovunque. McCarthy, con stile ipnotico e minimale ci trascina in luoghi irriconoscibili, dove le persone (prive di nome) abbassandosi ad istinti animaleschi, hanno perso la loro identità umana. Quella dignità perduta è difesa strenuamente da un uomo che vede nel figlio l'ultimo barlume civile da preservare quindi ad ogni costo. La prosa dell'autore tutt'altro che pregna di eventi, è poesia non dichiarata, ammirevole istigazione alla riflessione, elogio luminoso nel buio più pesto.
Apparentemente distaccato eppure amorevole come solo un padre sa essere, l'uomo vede nell'innocenza violentata del figlio il metaforico fuoco (citato più volte), ovvero l'elemento capace di far tornare ad ardere d' amore e altruismo i cuori imbarbariti. Commovente, statico, malinconico con un finale straziante: "La strada" è semplicemente un capolavoro.

-Ce la caveremo, vero, papa'?
-Sì. Ce la caveremo.
-E non ci succederà niente di male.
-Esatto.
-Perché noi portiamo il fuoco.
-Sì. Perché noi portiamo il fuoco.

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Romanzi
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    15 Aprile, 2021
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Ritorno ai vecchi "valori"

Trama: Jim Francis è un artista di successo, le sue macabre creazioni l'hanno reso ricco, mentre la moglie Melanie e le due figliolette lo rendono ogni giorno felice.
Ma Jim non è altri che Frank Begbie, avanzo di galera violento, psicotico, alcolizzato e dal passato oscuro. Trasferitosi in California ha intrapreso un percorso di redenzione che lo ha reso padre e marito esemplare. Ora però deve tornare nella natia Edimburgo per partecipare al funerale del figlio Sean, assassinato brutalmente, col quale non ha praticamente mai avuto rapporti.

Chi conosce i romanzi di Welsh o ha visto il film "Trainspotting" difficilmente non ricorderà le gesta malate di Frank "Franco" Begbie, personaggio pericolosissimo di quel quartetto di Leith più volte (ri)chiamato in causa dall'autore ("Porno", "Skagboys"). Questa volta, come nel caso di Terry Lawson in "Godetevi la corsa", abbiamo un'avventura in solitaria con protagonista il piu' sociopatico parto dell'autore. Frank però sembra cambiato, non beve più e soprattutto si è disintossicato dalla violenza. Il ritorno in patria e la vicinanza con un sottobosco criminale ricco di personaggi a lui ben noti e poco raccomandabili, unito al desiderio di far luce sull'omicidio del figlio, potrebbe far crollare quel castello dorato costruito con immane dedizione. Crudezza e violenza non mancano in un romanzo molto scorrevole in cui la trama, degna di un giallo, con i suoi bravi colpi di scena, sfocia spesso in momenti impregnati di sadismo assai creativo. Lo stile è il solito, grezzo, sboccato e con tocchi umoristici, debitore allo slang scozzese. Un paio di personaggi irrisolti e qualche forzatura non rovinano il ritorno di Frank, con Welsh abile nel demonizzare l'influenza negativa dell'ambiente familiare e di determinate istituzioni, colpevoli di acuire il disagio sociale anziché mitigarlo. Mediante i flashback Welsh entra nell'intimo del suo personaggio dimostrando come la validità degli strumenti di cui si dispone sia fondamentale.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    12 Aprile, 2021
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La creazione di Azoth

Trama: Anni '30, Heichiki Humezawa lavora ad un folle progetto, ovvero creare secondo alcuni insegnamenti alchemici la donna perfetta attraverso un macabro puzzle di membra umane. Architetta quindi di uccidere figlie, nipoti e figliastre per raggiungere il suo scopo. Le donne vengono realmente assassinate ma Humezawa è deceduto da tempo, ammazzato nel suo laboratorio chiuso dall'interno. Chi lo ha sostituito tentando di farne le veci? E perché?

Un giallo praticamente privo di azione, completamente basato sulla forza delle parole seguendo tematiche molteplici con riferimenti esoterici, alchemici ed astrologici. Soji offre una lettura molto dettagliata che sfora nel prolisso in più punti: non è facile seguire la logica di questa storia ripresa in mano a distanza di 40 anni da due detective amatoriali, desiderosi di smascherare il colpevole. Congetture e deduzioni si affastellano di continuo come i numerosi nomi giapponesi di ostica memorizzazione. Serve pazienza ed attenzione per seguire l'indagine nel migliore dei modi, tanto che l'autore ad un certo punto, rivolgendosi direttamente al lettore, lo esorta a risolvere il caso, in quanto munito di tutti gli elementi necessari. L'impresa tuttavia è ardua, come è arduo entrare in empatia con i personaggi. La freddezza di Soji è a tratti respingente, venata da un cronachismo quasi didascalico. Questo perché l'autore cerca la perfezione logica a discapito dell'emozione. La ricerca ossessiva ed inattaccabile viene testimoniata attraverso l'utilizzo di passaggi dilatati e minuziosi, oltre che di dettagliati schemi, mappe geografiche e disegni.
La soluzione dell'enigma è quindi convincente, costruita con accuratezza senza particolari forzature.
Un giallo che guardando a Poirot e a Sherlock Holmes (citato più volte) tiene quel distacco tipico di alcune opere provenienti dal Sol Levante che per molti diventa insormontabile deterrente. Lettura consigliata a chi piacciono i rompicapo in cui la logica domina sul resto.

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Romanzi
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    08 Aprile, 2021
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Mito e rabbia

Trama: da un'anonima cittadina di provincia alle sfavillanti luci della metropoli. Qui Buster "Rant" Casey diventa celebre eccellendo nel party crushing, ovvero un pericoloso gioco in cui ci si sfida a tamponarsi vicendevolmente con le auto. Proprio durante una di queste sfide Rant (forse) muore, ma come un nuovo James Dean entra nel mito grazie alle parole di chi lo ha conosciuto.

Palahniuk costruisce "Rabbia" attraverso una serie di testimonianze orali, riferendo delle gesta di uno strambo ragazzo eletto a simbolico grimardello per scardinare il sistema frustrante ed opprimente.
Rent è un Tyler Durden (vi ricordate "Fight Club"?) meno carismatico ed inconsapevole del proprio ruolo totemico, eppure capace di entrare nel mito fino ad essere tramandato ai posteri. Pilota scavezzacollo ma anche serial killer più spietato della storia, essendo lui portatore sano del virus della rabbia -a causa della quale scatena un'epidemia dai risultati tragicamente prevedibili- diventa, grazie al passaparola, simbolo anarchico della controcultura in un contesto in cui i riferimenti sociali sono debitori alla sci-fi distopica, ovviamente quella meno progressista e liberale possibile. Palahniuk tratta numerosi temi e lascia in sospeso vari interrogativi, atteggiamento che potrebbe spiazzare il lettore neofita e che invece non dovrebbe creare patemi a chi ben conosce il lucido e febbrile caos creativo dello scrittore statunitense. "Rabbia" è un romanzo indigesto, originale, bizzarro, respingente, addirittura quasi ributtante a tratti: incarna ed estremizza la follia dei tempi moderni, analizzando la facilità con cui si può assurgere a nuovi laici messia per un popolo in cerca di fuga dalla brutalità e anestetizzato nell'oblio dell'ignoranza.

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Romanzi storici
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    07 Aprile, 2021
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La palude dei misteri

Trama: nel 1913 il facoltoso e stimato storico Edmund Stearne si rende colpevole di un brutale assassinio. Il movente di quel folle gesto resterà un mistero sino ai primi anni '60, quando la figlia, l'ormai anziana Maude, decidera' di rivelare la terribile verità.

Michelle Paver offre al lettore un'appassionante lettura in cui sono palesi i riferimenti al gotico: la vecchia magione di Wake's End con la sua palude, a quanto pare infestata da poco raccomandabili spiriti, è il luogo ideale dove ambientare questa storia in cui follia ed eventi paranormali vanno a braccetto.
I riferimenti storici e la terribile condizione femminile di quel tempo sono abilmente incastrati in una trama in cui l'escalation tensiva è palpabile, espressa attraverso i pensieri di Maude e negli appunti custoditi nel diario paterno. Proprio il personale scritto rivelerà misteri e sensi di colpa, in cui la superstizione e le credenze religiose si fondono pericolosamente, pronte a spianare la strada a mefistofeliche entità annunciate da un sinistro dipinto (chiamato, guarda caso, "L' Apocalisse"). Sono tanti gli elementi perfettamente disposti a formare un contesto a dir poco tenebroso, tra cui le vicende della mistica medievale Alice Pyett, determinanti nello scatenare gli eventi. Paver mostra di saper gestire in scioltezza le domande che il lettore si pone lasciandolo rosolare a fuoco lento (e ci sta, visto il tema diabolico). L'omicidio, infatti, è rivelato fin da subito, ma l'autrice riesce a creare ugualmente un clima malevolo acuito dai rapporti sempre più ostici tra la protagonista e lo spocchioso padre. Il loro interagire è ben strutturato sulla chiara antitesi con cui interpretano il mondo circostante, mentre i fantasmi di un passato da tenere segreto a tutti i costi tornano a tormentare una mente posseduta dalla follia, o dal diavolo in persona? A voi, se vorrete, il compito di scoprirlo.

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Romanzi storici
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    07 Aprile, 2021
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Tempi oscuri

Trama: anno 1630, presso l'abbazia di Lancimago (piccolo villaggio della Romagna) giunge Monsignor Rodolfo Diotallevi, incaricato di istituire un rigidissimo cordone sanitario al fine di contenere il morbo della peste ormai giunto ai confini di quelle zone paludose.

Eraldo Baldini si dimostra ancora una volta maestro di un genere in cui il mondo rurale sposa quello del soprannaturale, contaminato con la cattiveria e la cupidigia umana. Un mix esplosivo, soprattutto se ambientato in anni contraddistinti da radicate superstizioni e da uno scontro, vecchio come l'umanità, in cui religione, scienza e credenze popolari si danno battaglia senza tregua.
La trama è ricca di eventi ma diretta nella sua elaborazione. Baldini va al sodo perdendo un po' in atmosfere e coerenza, ma non vi è tregua per rimuginare; gli eventi si susseguono a ritmi vertiginosi tra macabri ritrovamenti, giochi di potere, presenze inquietanti, scoperte potenzialmente rivoluzionarie, presunte streghe ed una bizzarra ragazza forse ispirata a Julia "Butterfly" Hill. Sui personaggi Baldini lavora di fino solo in casi isolati, ovvero su quelli indispensabili per dare plausibilità ad una storia in cui l'autore è abilissimo nel trattare col suo linguaggio assai forbito, ma mai spocchioso o di ostica interpretazione, diverse tematiche che al fatto storico combinano sfumature di stampo sociale e antropologico. Un finale meno frettoloso mi avrebbe maggiormente soddisfatto, un centinaio di pagine in più con qualche maggiore approfondimento non avrebbero guastato. Tuttavia Baldini si conferma uno dei più abili scrittori italiani contemporanei, la sua prosa affascinante e la sua capacità di intrappolare su pagina inquietudini e misteri meritano applausi a scena aperta.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    02 Aprile, 2021
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Lontani da tutto. Ma non dal male

Trama: Le Case è un piccolo borgo della Maremma abitato esclusivamente da persone anziane. Un posto in cui le vicende personali si intersecano sino a creare una storia corale fatta di invidie, violenze, vigliaccherie e cattiverie d'ogni tipo.

????Ora, capisco che parlare di capolavoro sia forse eccessivo, tuttavia vorrei spendere questo sostantivo per definire in tal modo il miglior romanzo capitatomi tra le mani negli ultimi anni.
Sacha Naspini sceglie una cifra stilistica debitrice al dialetto toscano perfettamente armonizzato con la lingua italiana, creando un linguaggio crudo, aspro e di facile fruizione, ottimo per riferire dei fatti accaduti nel corso dei decenni in quell'angolo di mondo alieno a qualsiasi modernità, quasi fosse un enclave atavica, rimasta isolata con i suoi segreti inconfessabili e i suoi insostenibili dolori. 
Ogni capitolo (raccontato da un personaggio diverso) ci immerge in una fiaba nera, in un abisso dal quale, nonostante il naturale rigetto, pare impossibile distaccarsi. Naspini procede fluido nella costruzione di un'architettura impensabile, piena zeppa di colpi di scena e di trovate che lasciano a bocca aperta. L'autore ci costringe a osservare le brutture di questo microcosmo stantio, in cui i lati più deprecabili della provincia, e più in generale della società odierna, inducono ad interrogarci. Cosa avremmo fatto noi nei panni di questi grotteschi personaggi? Domande le cui risposte terrorizzano, riuscendo a portare alla luce i nostri antri più oscuri. Le Case è come un essere senziente, nutrito metodicamente dalle storie e dai sentimenti dei suoi abitanti, un non luogo in cui dramma, horror, thriller e (rari) scorci romantici si avvicendano in una lettura punteggiata da continui scheletri negli armadi, simulacri mostruosi in onore della natura orripilante, e quindi così umana, dei suoi abitanti.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    02 Aprile, 2021
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C'è sempre un dopo...

Trama: Jamie Cunklin è un ragazzino con un potere, vede per brevi periodi le persone appena defunte. Può porre loro domande alle quali queste sono obbligate a rispondere in modo sincero. Jamie però non sa che interrogare lo spirito sbagliato potrebbe creargli molto guai.

Si parte da un presupposto inevitabilmente associabile ad un noto film di M. Night Shyamalan, tanto che lo stesso Re, con grande autoironia, non nasconde la sua fonte d'ispirazione.
È un King che poi però procede per la propria strada, riconoscibile ed abile nel rispolverare tematiche estrapolate più volte durante la sua decennale carriera, ma in questo caso tirate a lucido a favore delle vicissitudini del protagonista, che seguiremo dai sei anni sino alle soglie dell'età adulta. Il percorso di crescita è servito, con relativo obbligo alla responsabilità e consapevolezza dell'influenza che certe scelte possono avere in futuro. "Later" è una storia dell'orrore ma è anche un romanzo in cui King mostra, attraverso la solita scrittura precisa e lineare -questa volta avara delle abituali e maniacali descrizioni-, la sua abilità nello sguazzare tra svariati registri narrativi. L'autore rischia poco, riuscendo comunque a delineare dei personaggi decisamente riusciti attraverso una costruzione psicologica inconfondibile, in cui vengono portate in superficie le paure umane più ricorrenti. La storia è ben articolata con incastri precisi ed un finale efficace che potrebbe suggerire un sequel. King si conferma maestro di suspense con le sue attese create magistralmente, inoltre si diverte con riferimenti a precedenti opere ("Il rito di Chud) e conferisce al suo lavoro ritmo mediante ingegnosi snodi. Tensione e colpi di scena quindi non mancano, tutto accompagnato dal solito incedere nostalgico e da parentesi toccanti, rintracciabili soprattutto nel rapporto tra Jamie e la madre Tia.

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Romanzi
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    29 Marzo, 2018
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Necessità di giustizia

Starr abita nel ghetto nero di Garden Heights, posto dominato da gang in cui crearsi un futuro che non sia già scritto nel sangue o destinato al carcere appare utopico. A lei i genitori hanno dato una grande chance, frequenta infatti una scuola prestigiosa che potrebbe offrirle ghiotte opportunità. Vive due mondi separati di netto ma in entrambi è ben inserita seppur tenti di nascondere le sue origini. Al ritorno da una festa il suo amico d’ infanzia Khalil viene freddato sotto i suoi occhi da un poliziotto. Nessun motivo alla base del brutale gesto, solo la paura instillata dal pregiudizio.
Starr, unica testimone, si dovrà convincere a raccontare la sua storia per ottenere giustizia, mentre il quartiere viene messo a ferro e fuoco da una violenta protesta.
Romanzo appassionato e doloroso, dalla scrittura scorrevole ed incisiva, capace di trattare tematiche dure senza scadere in moralismi spicci o ,peggio, in giudizi affrettati di stampo etnoculturale.
Angie Thomas descrive una realtà a lei evidentemente nota accogliendone le contraddizioni e facendo al tempo stesso emergere l'orgoglio e la necessità di urlare il proprio sdegno.
Il suo tuttavia è un approccio cui l'amarezza e la rabbia, pur presenti, non trovano mai cieco e furioso libero sfogo, ma producono una costruzione degli eventi lucida e incalzante, in cui una ragazzina come tante, si trova coinvolta in un fatto dall’ enorme risonanza. Tra l’ altro con immenso timore di rappresaglie non solo da parte di chi la dovrebbe proteggere, ma anche da parte della sua stessa gente, da quella fetta marcia che appesta l'intera zona decretandone la poco lusinghiera fama.
L'ottima definizione dei personaggi e la presa di coscienza della protagonista fanno di “The hate u give” un romanzo equilibrato senza particolari sbavature, capace di raccontare un microcosmo da sempre vessato e stigmatizzato a prescindere. Thomas concede libertà di parola a coloro cui solitamente nulla è concesso, riesce a non scadere in banalità e soprattutto non risulta accomodante, creando inoltre intense deviazioni dall’ argomento principale senza mai perdere di vista il lodevole fine.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    21 Febbraio, 2018
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J.R. versione sbiadita

Un Lansdale minore che pur non deludendo difficilmente esaltera’ il fan di vecchia data o convincerà il novizio delle sue qualità.
La storia della giovane Dot è ambientata nel noto Texas borderline, in cui urge farsi il mazzo anche solo per tirare a campare, soprattutto quando la propria famiglia è rimasta scottata dall’ assenza paterna.
L’ uomo, uscito ad acquistare sigarette, come nel più classico dei copioni non è più tornato lasciando in eredità a Dot e compagnia bella parecchi debiti e soprattutto incertezze e rabbia a stento soffocata.
Quello affrontato è un percorso di crescita venato da un approccio leggero, in cui il male è sempre esorcizzabile. Col filtro edulcorato si affrontano le difficoltà quasi in punta di piedi, eliminando quella capacità tipica del bravo J.R. di sondare la più oscura parte umana.
E se l’ ironia e le battute frizzanti permangono (seppur anch’ esse meno incisive del solito), il climax risulta propedeutico in vista di - probabili- scenari più accoglienti, ma privo di quell’ adrenalinica verve che (quasi) sempre contraddistingue i finali di questo scrittore.
Lettura scorrevole con un personaggio davvero amabile, paga pegno il contesto da una parte depresso ma al tempo stesso fin troppo morbido, e soprattutto alla mancanza di originalità e di quell’ incedere capace di sorprendere. Ai conoscitori di Lansdale sembreranno cose già sentite molte volte, sicuramente gradevoli ma di prassi, agli altri un lavoro simpatico e quasi rassicurante che non rende giustizia alle capacità del suo autore.

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Racconti
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    05 Aprile, 2016
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LO spezzatino di J.R.

Sedici racconti di bontà e lunghezza variabile, per questa raccolta firmata da Joe R. Lansdale. Chi già conosce il simpatico scrittore texano non avrà problemi ad apprezzarne lo stile adrenalinico, per quanto la maggior parte degli scritti risalga all'inizio della sua carriera, quando un po' per passione e un po' per raggranellare spiccioli inviava i suoi racconti a quotidiani e riviste.
Ci si imbatte in una sorta di summa delle tematiche trattate a seguire in alcuni dei suoi libri più riusciti. La scrittura è meno tagliente e più "composta", ma resta forte il richiamo del brivido, del surreale, dell'assurdo e dello humor. Un patchwork di sensazioni e temi sicuramente debitore, per stessa ammissione dell'autore, a scrittori del calibro di Lovecraft, Matheson, Hemingway, Bradbury e tanti altri ancora. Consigliato per una lettura disimpegnata e a tutti i fans dell'autore.

Per chi volesse ecco una più dettagliata e personale impressione.
metto in guardia dalla presenza di PICCOLI SPOILER.

Tra i vari segmenti che animano le pagine spicca "L'uomo pieghevole", in cui tre ragazzi si trovano alle calcagna un gruppo di suore molto particolari coadiuvate da una strana e violenta creatura. Racconto mozzafiato, tesissimo (voto 10).
Altrettanto brillante, anche se più umoristico e delirante, è "Bubba Ho-Teph", in cui si immagina un anziano Elvis Presley chiuso in casa di riposo, costretto a fronteggiare, spalleggiato dal primo presidente nero degli U. S. A.(Obama all'epoca non era minimamente immaginabile), niente meno che una mummia egizia! (voto 9)
"Strappato via" ha come protagonista il classico inquietante straniero nella più sperduta delle cittadine di provincia. In realtà il tizio non rappresenta nessuna minaccia, è ciò che lo insegue con ferocia a rappresentare un grave pericolo (voto 8).
Ottimo anche "Ombre e sangue" (voto 8), in cui si rinverdisce il leggendario mito del Faust. Evidenti gli omaggi a Lovecraft miscelati con una musica abitualmente abbinata all'odor di zolfo, ovvero il blues.
Meno convincenti i brevi noir "Jack sei dita" (voto 7) e "Il vecchio sulla sedia a rotelle" (voto 6.5), stesso dicasi per "Una sera al biliardo" (voto 6), unico racconto in cui i fatti narrati potrebbero essere accaduti realmente.
Originale e fuori di testa, ma soprattutto capace di alimentare un certo malessere è il bizzarro "Mr. Orso" (voto 7), sicuramente spiazzante, tanto quanto "L'isola del terrore" (voto 7), omaggio brillante a Mark Twain e ai suoi personaggi, ovviamente calati in uno scenario da incubo che sarebbe piaciuto al solitario di Providence.
"Caccia all'anatra" (voto 6.5) con i suoi rituali è spunto formidabile per un lungo, peccato Lansdale abbia deciso di limitarsi ad uno striminzito racconto. Ancora dedicato alla pratica venatoria "La caccia prima e dopo" (voto 6), racconto in cui i fucili si dirigono verso prede molto particolari e il sangue riaccende la passione ormai sopita.
In "Vita da soldati" (voto 7.5), nonostante i parecchi siparietti goliardici, J.R. si fa serio, ricordando quei soldati di colore impegnati al fianco dei cosiddetti yankees durante la Guerra di Secessione. Uomini poi dimenticati dalle irriconoscenti pagine della storia.
L'orrore della guerra è un fantasma impossibile da scacciare, ne sa qualcosa Deel, tornato dal fronte, minacciato non solo dai ricordi del passato, ma anche da una presenza maschile abile e subdola nel sostituirlo durante la sua lunga assenza (voto 6.5).
Presenze inquietanti e atmosfere prettamente horror nelle ghost stories "La casa e io" (voto 7), e in particolar modo ne "Il dio del rasoio" (voto 8), in cui una divinità pagana assetata di sangue si fa ricordare per essere uno dei personaggi più inquietanti dell'intera antologia.
La palma dell'elaborato più debole va a "In riva al mare"( voto 5.5), anche se in un certo senso Lansdale si diverte a dare una soluzione soprannaturale ad alcune efferate stragi prive di valido movente.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    04 Marzo, 2016
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Ricordi distorti

Keiko ha appena dieci anni quando viene rapita nella sordida città di K da un ragazzo probabilmente disturbato, tenuta prigioniera in un fatiscente appartamento sopra la fabbrica in cui il suo aguzzino lavora, tornerà libera solo dopo tredici mesi. Alla vita quotidiana non riuscirà più ad adeguarsi, ricostruendosi attraverso la fittizia identità di Koumi Narumi, ora adulta e scrittrice di successo.
Anni dopo, una lettera di Kenji, il sequestratore uscito di prigione, risveglierà i fantasmi di un trauma mai assorbito
"Una storia crudele" si potrebbe definire un "metalibro", in quanto è il manoscritto che il marito di Keiko/Koumi invia all'editore della donna. Natsuo Kirino struttura il suo lavoro attraverso tre voci: quella del rapitore, quella di Keiko/Koumi e quella del suo consorte.
L'oscillare tra realtà e fantasia, tra vero e immaginazione, è il fiore all'occhiello di questo romanzo, in cui la verità viene sbugiardata più volte, in quanto filtrata da prospettive diverse inerenti ricordi ora ammorbiditi più o meno inconsciamente, ora resi ancor più duri per giustificare la misantropia esplosa nella protagonista.
La bambina infatti rifiuta di parlare evitando la collaborazione con polizia e psicologi. Per certi versi si potrebbe pensare all'urgenza di evitare l'ennesima umiliazione, arginando i particolari di un vissuto così morbosamente eclatante da attirare l'attenzione dell'intera opinione pubblica.
In realtà tra le ferite mai rimarginate si nasconde qualcosa che nemmeno la vittima riesce a definire, una negazione estrema resa al lettore con sapienza nel graduale riconoscimento dei sentimenti di Keiko, rimanendo tuttavia sospesi perennemente tra certezze e mistificazioni.
Kirino è molto brava nel dare spazio ad un forte senso di pudicizia e di imbarazzo, tanto potente da poterci addirittura scorgere qualcosa di autobiografico, oltre a fra trapelare una giustificazione per l'autoalienazione scaturita dall'incapacità di un mondo adulto idealizzato in maniera negativa.
L'atmosfera generale è grigia, dimessa, con una bambina già problematica prima del fattaccio. Il romanzo è meno crudo di quanto si possa presumere, soprattutto alla luce dei vari specchi latori di immagini distorte o dai molteplici significati in cui i ruoli si ribaltano o miscelano, con fatti che indubbiamente atroci vengono resi più sopportabili nello svelamento di contatti tra immaginato e reale sorprendentemente intricati.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    25 Febbraio, 2016
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Nell'ora più buia

Christopher Snow è un giovane scrittore, affetto da una rara malattia genetica è confinato in casa durante il giorno. I raggi solari infatti lo ucciderebbero, per questo motivo passeggia esclusivamente durante le ore notturne, muovendosi in un limbo temporale durante il quale tutti (o quasi) sono devoti a Morfeo.
La solitudine è esorcizzata grazie all'amicizia col surfer Bobby e soprattutto alla presenza della bella Sasha, di cui è innamorato, corrisposto, in maniera folle. Impossibile poi dimenticare il fedele e simpatico golden retriever Orson, una sorta di inattaccabile conferma riguardo al cane eletto a miglior amico dell'uomo.
La recente morte della madre e quella imminente del padre inducono Chris in uno stato piuttosto depresso; nulla a che vedere tuttavia con ciò che lo attende al varco, ovvero un'avventura strettamente legata alla base militare di Fort Wyvern, in cui esperimenti non meglio specificati rischiano di mutare profondamente, se non addirittura distruggere, il mondo per come lo conosciamo.
A cavallo tra la fantascienza complottistica e i beast movie anni'70-'80 Dean R. Koontz si rende autore di un romanzo di puro e semplice intrattenimento, occhieggiando ancora una volta al miglior Stephen King, di cui comunque fornisce un'imitazione non proprio esemplare.
Le lunghe digressioni inerenti il background dei personaggi e la minuziosa descrizione degli ambienti fanno perdere spesso di intensità al romanzo, che qualche buon momento lo vanta pure.
Certo, la definizione dei caratteri in gioco è da bigino dello stereotipo e pure la divisione tra bene e male appare troppa avara di sfumature.
La costruzione è tutto sommato accettabile anche se molto resta irrisolto (questo perchè trattasi del primo romanzo di una trilogia, al momento credo ancora orfana dell'ultimo capitolo). A tratti l'inquietudine fa capolino con una certa insistenza, il problema però sta nella penna di Koontz, non sempre in grado di tenere la tensione in pugno, sminuendo spesso il tutto con l'ideazione di situazioni piuttosto illogiche.
A questo romanzo farà seguito "Tracce nel buio", sempre con protagonista Snow e di cui sconsiglio la lettura. "L'uomo che amava le tenebre" è invece legato a "Mostri", scritto una decina d'anni prima dal prolifico autore, che appunto, come il fratello povero di King, sembra voler allestire una dimensione personale in cui personaggi e avvenimenti ritornano intrecciandosi tra loro.
Se si desidera una lettura leggera e "fantastica" raccomanderei questo autore, però punterei su altri titoli.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    17 Febbraio, 2016
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Linee parallele

Matteo Stella è un padre di famiglia permissivo, votato al dialogo e alla comprensione. Ha educato i figli in un clima sereno, senza mai alzare la voce o peggio ancora le mani.
Vede i suoi amati come linee parallele, ognuna la sua vita ed il proprio carattere, ma alla fine, in barba ad ogni logica geometrica, è convinto che queste linee siano destinate ad incontrarsi, fosse anche all’infinito.
Per lui è normale fare da scudo, gestire insoddisfazioni, insicurezze ed ogni malumore. Non si accorge però che il granitico muro eretto con tanto sforzo e costituito da innumerevoli mattonelle armoniche sta cominciando a presentare preoccupanti crepe.
In poche ore l’idillio fatto di solidarietà e rispetto reciproco sembra non stare più in piedi; la ribellione del figlio minore Stefano incrina sempre di più il rapporto a quattro di cui fanno parte anche Anna, la moglie pubblicitaria ben poco presente, e Eleonora, ragazza sveglia alle soglie della maggiore età ed alle prese coi primi amori.
Il sacrificio di Matteo perpetuato attraverso il confronto e mai mediante l’ostentazione dell'autorità non è servito, quella felicità effimera alla fine si è volatilizzata, più debole di una farfalla esposta al gelo dell’inverno.
Convinto di vivere in un nucleo sano, lontano dai perbenismi di facciata, dall'essere estranei a una middle class in cui la felicità è regolata dal potere d’acquisto, Matteo si ritrova disilluso ed incapace di accettare l’amara realtà.
Il suo problema sta nel rifuggire la battaglia, nell’alzare difese senza affrontare con decisione le avversità. Quel pizzico di severità indispensabile gli è sconosciuto, e mentre i figli scivolano via come acqua tra le dita sembra deteriorarsi anche il rapporto con la moglie, già indebolito anni prima da un episodio spiacevole.
La mitezza di Matteo non riesce a trasformarsi in qualcosa di più utile, è vittima e carnefice di se stesso, vuole farsi carico di tutto complice l’assenza della compagna, finendo col perdersi tra le varie esigenze, lasciando ad aleggiare solo l’insoddisfazione.
Simone Giorgi centra l’involuzione di un rapporto in deteriorarsi con incredibile capacità analitica. Lo fa portando a galla le colpe di un uomo convinto di agire a fin di bene, ed invece costretto a perdere di vista il proprio ruolo di educatore, mentore, amico, complice, maestro, proprio per via delle proprie certezze.
In tal senso i dubbi diventano macigni e l’autore elegge gli Stella come simbolo distorto dell’attuale valore famigliare, in cui si dialoga senza aver nulla da dire, in cui si ride perché è importante dare un’immagine positiva, ma in realtà chiacchiere e dentature perfette celano indifferenza nel migliore dei casi, invidia e livore nel peggiore.
Una visione estrema e pessimista, ovviamente da non leggersi come interpretazione universale.
Giorgi demolisce alcune facciate attinenti alcune famiglie, scovando dietro di esse il vuoto.
Solidarietà, affetto, compattezza, comprensione e amore fagocitati, sviliti da un mero, egoistico e primitivo bisogno di sopravvivenza, in cui il branco difende e permette di sussistere, ma all'interno dello stesso vigono leggi spietate impossibili da regolare solo con l’indulgenza.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    11 Febbraio, 2016
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Poker di brividi

Buona antologia di racconti da parte del Re del Brivido. Quattro storie dell’orrore in cui la capacità di inquietare si sposa felicemente con una scrittura diretta, efficace e senza eccessivi fronzoli.

“I Langolieri”:
Durante un volo aereo passeggeri e personale di bordo spariscono, si salvano coloro che dormivano, ovvero uno sparuto gruppo di persone. Tra loro un pilota in grado di riportarli a terra, dove però inizieranno a capire di essere minacciati da qualcosa di sovrannaturale, soprattutto estremamente affamato.
Le atmosfere presenti potrebbero essere paragonate a quelle incontrate ne “La nebbia”, racconto (tra l’altro di ottimo livello) sempre di King e compreso nel volume “Scheletri”.
Torna l’ossessione per l’intersecarsi e il sovrapporsi di presunte dimensioni parallele, oltre che l’affascinante possibilità di manipolare il tempo. Qualche cliché di troppo applicato ai personaggi non inficia la bontà dello scritto.

“Finestra segreta giardino segreto”
Probabilmente in parte autobiografico, vista l’accusa di plagio rivolta al protagonista, ovvero uno scrittore, da parte di un inquietante figuro. King nella sua carriera è stato a sua volta incolpato di riproduzione indebita, per poi riuscire a dimostrarsi totalmente innocente. Un racconto di buon livello, seppur non eccelso, dove la follia aleggia prepotente andando a deformare realtà e fantasia. Discreto il film con Johnny Depp e John Turturro risalente al 2004.

“Il poliziotto della biblioteca”
King sfrutta una paura infantile del figlio per mettere in moto uno scontro – sin troppo manicheo, come spesso gli capiterà nel proseguio della sua carriera- tra Bene e Male. E’ il racconto più debole, anche se la descrizione della biblioteca come luogo inquietante e pericoloso è simpaticamente in contrasto con la figura, non solo simbolica, di uno scrittore di così grande successo.

“Il fotocane”
Racconto surreale in cui un quindicenne riceve in regalo una macchina fotografica. Ad ogni scatto però qualcosa di minaccioso si avvicina sempre di più. Le foto ritraggono un cane dall’ aspetto diabolico invisibile ad occhio nudo. Riflessione riuscita sulla curiosità eccessiva e su quello sprezzo del pericolo a dir poco deleterio. Il migliore scritto del lotto insieme al primo.

“Stagioni diverse” e “Scheletri” sono di ben altro spessore, tuttavia anche “Quattro dopo mezzanotte” risulta un buon intrattenimento.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    05 Febbraio, 2016
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Bentornati ragazzacci!

Cinque anni, troppi davvero ne sono passati per poter tornare a leggere le gesta dell'eterogenea coppia di detective formata da Hap Collins e Leonard Pine.
Un lungo periodo di agonia ed attesa per ogni fans che si rispetti, preoccupato dalla qualità non folgorante degli ultimi libri della saga e dall'impegno di Lansdale apparentemente rivolto ad altri progetti.
Ed invece ecco spuntare "Honky Tonk Samurai", nono romanzo sulle indagini della premiata ditta in cui come da tradizione gli elementi noir ed umoristici si mescolano. Non saremo a livello dei bei tempi (vedi primi libri) ma poco ci manca.
Questa volta i nostri (anti)eroi dal grilletto facile e dalla mano pesante sono impegnati ad indagare sulla misteriosa sparizione di una ragazza, ingaggiati da una vecchina dal facile turpiloquio.
Il solito vaso di Pandora è pronto per essere scoperchiato partendo da un autosalone in cui oltre ai veicoli si vendono benefit in carne ed ossa, sino a raggiungere un universo criminale parallelo, in cui si muove il leggendario e fantomatico Distruttore: forse solo una semplice leggenda, di certo un'ombra inquietante e non solo per i metodi tremendi con cui stermina le sue vittime.
Lansdale carbura con lentezza, pone con attenzione i tasselli per poi esplodere in un feroce scontro sdrammatizzato dall'ormai arcinoto humor poco adatto ad un rispettabile gentleman. Ci sono le immancabili freddure e le consuete metafore volgari, l'ironia serpeggiante con la quale i vari personaggi interagiscono è sempre uno dei fiori all'occhiello dei dialoghi, ben calibrati e spesso fulminanti come il colpo di un calibro 22.
J.R. fornisce chiari punti di riferimento, personaggi e situazioni sono spesso note al lettore di vecchia data. Al tempo stesso qualche novità non manca. La prima incarnata dal personaggio di Chance, la seconda in un finale che sarà difficilmente digeribile per tutti gli affezionati. Ovviamente l'epilogo indica la prosecuzione della saga.
Buon intrattenimento pop con inseguimenti, sparatorie, femme fatale e vecchie conoscenze a rendere la famiglia di Hap e Leonard ancora più pittoresca e pericolosa. E' un piacere ritrovare la splendida Brett, lo spaccone Jim Bob Luke, la letale Vanilla Ride, il piacione Cason e il mitico Marvin Hanson. Ancora una volta questo mondo border line, regolato da giustizialismo spiccio, viene descritto con notevole passione linguistica, mentre spicca come d'abitudine il contrasto profondo tra rudezza e gentilezza dei due personaggi principali. A tal proposito è significativo il primo capitolo, in cui i nostri adottano un povero cagnolino maltrattato dal suo padrone, ovviamente non prima di aver gonfiato a dovere il violento vigliacco.
Lansdale non dimentica il suo grande amore per il western (chiari i riferimenti al genere, più cinematografico che letterario) e per l'horror, l'accampamento dei redneck sembra la casa dei Sawyer di "Non aprite quella porta".
Un ritorno in grande stile, mi ha convinto, e non mancano gli omaggi all'italia con cui l'autore ha ormai da tempo instaurato un rapporto d'amore reciproco.

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Romanzi
 
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    03 Febbraio, 2016
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Quel segreto inconfessabile

Dalle acque del fiume Clyde viene ripescato il cadavere di una giovane donna. Autori del macabro ritrovamento due chiattaioli in perenne viaggio tra i canali della Scozia con il loro carico di carbone. Leslie è il capo, Joe il suo aiutante. Sul natante vivono anche Ella, ovvero la moglie di Leslie, ed il figlio della coppia.
A seguito di questo fatto in Joe sembra risvegliarsi un istinto animale, inizia ad essere morbosamente attratto dalla moglie del suo principale, una donna in realtà piuttosto insignificante che su Joe però agisce come un potente magnete, divenendo richiamo irresistibile con annesso capriccio impossibile da non assecondare.
Leslie è ormai un uomo di mezza età, spesso burbero e dedito al bere, per il seduttore (molto più giovane e piacente) è un gioco da ragazzi infilarsi sotto le sottane di Ella, la quale cede abbastanza facilmente alle avances presentando un'iniziale resistenza più di facciata che altro.
Mentre la relazione assume forti connotati erotici con incontri sempre più frequenti tra gli amanti, si fa strada in flashback la vita di Joe antecedente a quella vissuta sulla chiatta. Ne esce un ritratto di un uomo alienato, egoista, incapace di scindere il bene dal male, un figuro freddo e pericolosamente calcolatore.
La tensione sessuale si fonde con sviluppi ascrivibili al genere thriller, con un'ambientazione sempre più cupa tra nebbie e umidità tipiche delle zone fluviali, mentre un' umanità stanca, capace di trovare forza solo nell'alcol, offusca la propria vita sui banconi di polverosi pub poco illuminati e zeppi di fumo.
Trocchi, scrittore molto discusso per l'accentuato anticonformismo visto negativamente a metà anni '50, regala al lettore una lettura scorrevole, asciutta, allo stesso tempo incisiva ed inquietante, capace di penetrare il cuore nero del protagonista e portarne a galla la vera natura deviata. Un romanzo sicuramente scabroso per l'epoca in cui fu edito, in cui si eleva cristallino il talento dello scrittore italoscozzese, abile nel concretizzare una sgradevole sensazione di corruzione fisica e morale.
Nel 2003 David MacKenzie è stato regista della trasposizione cinematografica omonima. A dispetto del giudizio favorevole della critica e del cast di lusso (Ewan McGregor, Tilda Swinton, Peter Mullan) a mio parere tra romanzo e film -come spesso capita- non c'è gara.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    29 Gennaio, 2016
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Sopravvivere al caos

Facendo i dovuti distinguo si potrebbe considerare "Una ruga sulla terra" la fonte d'ispirazione per "La strada", noto capolavoro apocalittico di Cormac McCarthy. Infatti le similitudini non mancano, a partire dallo scenario catastrofico in cui un uomo e un bambino si muovono alla ricerca di un confortante barlume di umanità tra il generale sfacelo.
L'incipit è preciso nella descrizione della dinamiche inerenti una pacifica tranquillità quotidiana, dove il protagonista è impegnato dapprima in una cena coi vicini di casa, poi preoccupato per le sue coltivazioni poco produttive.
In realtà, seppur in modo blando, il tarlo ansiogeno della paura si è già instillato nelle menti degli uomini: in Nuova Zelanda un terremoto ha devastato città e paesi, e la stessa cosa è avvenuta nel sud-est asiatico. Però in un mondo senza internet e comunicazioni relativamente repentine (il libro è datato 1967) il pericolo sembra più una suggestione pessimista che altro.
Ed invece il peggio accade.
Devastazione totale nel giro di una sola notte, i sopravvissuti vagano spaesati tra macerie e cadaveri. Urge superare lo shock, magari ripristinare i contatti con famigliari e conoscenti e soprattutto capire come sopravvivere in un mondo divenuto di colpo molto pericoloso.
Lo stile dell'autore è al solito essenziale, scarno, il che non è per forza un male. Christopher ha infatti l'incredibile dono di descrivere con invidiabile profondità sia le azioni dei suoi personaggi che i caratteri di cui sono depositari con pochi e sintetici tratti. Nessun orpello, l'autore affronta con facilità l'introspezione intima, affrontando l'utopica speranza dell'adulto e l'impossibile accettazione del ragazzino. Due modi per restare ancorati a ciò che fu, per non impazzire davanti a tale sconvolgimento..
La storia incalza mentre i nostri dalla piccola Isola di Guernsey partono alla volta di Londra attraversando il Canale della Manica, ridotto ad un enorme deserto dagli sconvolgimenti climatici. Incontri di ogni tipo punteggeranno la loro avventura, alcuni piacevoli, altri molto meno. Quadri visionari di grande impatto, come nel caso della nave arenata nel mare di sabbia, insieme a personaggi dal forte carisma, impreziosiscono il lavoro dell'autore britannico.
Christopher sembra banale ma non lo è affatto, parla di imbarbarimento, della piccolezza umana nei confronti della natura, dell'indole distruttiva specifica della nostra razza. Temi forse scontati ma trattati con intelligenza, mediante una cifra stilistica oserei dire (permettete la battuta) molto british, ovvero mai sopra le righe, nell'osservare l'ineluttabile orrore scatenatosi. Vi è tuttavia anche molta speranza, affidata ad un uomo illuso e ad un bimbo febbricitante, nuovi eroi di un mondo che può ancora risorgere

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    27 Gennaio, 2016
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Magheggi capitali

Roma criminale post Libano, Dandi e Freddo. Il potere è finito nella mani del Samurai, uomo di grande cultura, dedito alla cura del corpo e della mente, ma spietato come un serpente a sonagli quando si tratta dei suoi interessi. Assassino e manipolatore guida col piglio del consumato leader la cordata della perfetta collusione tra Stato, Chiesa e criminalità verso il Grande Progetto, ovvero una colata di cemento da realizzarsi tra l'Eur ed Ostia, in teoria occasione di lavoro per molti, più verosimilmente ennesima copertura per traffici a dir poco loschi.
Come in un formicaio in cui il movimento è perpetuo in questa Roma non si dorme mai. Tanti personaggi messi in campo, magari non sempre perfettamente definiti, ma importanti per ogni snodo costruito con lungimiranza da Bonini e De Cataldo.
Ogni pedina trova felice asilo tra le pagine del romanzo, delineando il suo luogo d'appartenenza e dando così vita ad un panorama repellente in contrasto tra lussuosi salotti e periferie malfamate dove il peggio dell'Italia gozzoviglia alle spalle dell'onesto cittadino. Sono luoghi per pochi eletti in cui si decide il destino della Città Eterna e del Paese in generale.
Politici immorali, autorità corrotte, la guida spirituale devota al dio denaro e non a quello posto sulla croce. Stato e Chiesa erette sull' ingordigia umana mentre la subdola influenza dei mass media è feroce quanto persuasiva nei confronti dell'ignaro uomo comune. Il benessere del popolo passa in secondo piano, mentre i giochi di potere si srotolano attorno a storie di soldi facili, droga, puttane ed efferati omicidi. Non ci si ferma davanti a nulla, ingolositi dalla prospettiva di ricchezze inenarrabili si attua lo spietato mors tua vita mea.
Dare scacco matto alla Capitale non è però così semplice come potrebbe sembrare, soprattutto se d'impegno ci si mette il Colonnello Marco Malatesta, carabiniere ed ex testa calda passata dal lato giusto della barricata, punto di riferimento integro in questo mare di vile e violenta corruzione.
E' una lotta contro il tempo: morti ammazzati, narcotrafficanti, intimidazioni, faide tra bande rivali e un piano regolatore rivisto ad hoc sembrano emettere condanna di morte su Roma, suburra moderna in cui chi invoca l'onestà è costretto all'emarginazione, se non addirittura al camposanto.
Finzione modulata sul malessere dell'Italia odierna, per uno spaccato decisamente credibile e soprattutto ben scritto. Grande ritmo, personaggi intriganti e pregevole utilizzo del romanesco unito perfettamente alla lingua italiana.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    22 Gennaio, 2016
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Non si può vivere nel passato

Un ragazzino scomparso nel nulla. Una famiglia ai limiti del crollo emotivo. I giorni, i mesi, quindi gli anni passano nella speranza di un cenno, un indizio anche flebile, per continuare a crederci. Solo una misteriosa cartolina sembra affermare con forza che Justin sta bene, ma resistere all’assenza diventa ogni giorno più dura.
Eric, il padre, si rifugia nell’insegnamento e soprattutto tra le braccia dell’avvenente amante. Laura, la madre, trova nel volontariato presso un acquario la propria valvola di sfogo. Griff, il fratello minore, si svaga con lo skateboard mentre comprende che il mondo conosciuto in precedenza si sgretola ogni giorno di più. Cecil, ormai anziano e padre di Eric, si sente inutile nel suo negozio di pegni.

Finchè Justin, come per miracolo, riappare. Urge ora ricostruire la sua storia, capire dove ha vissuto, chi lo ha rapito e a che scopo, e soprattutto, con massima delicatezza, comprendere la portata degli eventuali abusi subiti cercando di aiutarlo a superare il trauma .
B. A. Johnston lascia sullo sfondo l’indagine poliziesca, allo stesso modo lancia vaghi accenni riguardo i maltrattamenti, non è ciò che gli preme analizzare, non è il fulcro sul quale basare la sua storia.
Ad interessarlo sono le dinamiche famigliari costituitesi a fronte del ritrovamento.
Si passa dal senso di colpa, di impotenza e scoramento a un’ incontenibile gioia. Allo stesso tempo però qualcosa si è inceppato, addirittura infranto per sempre, perduto nei meandri di un solare passato che mai potrà tornare, deturpato e lordato dalle mani di un uomo nero dalla mente deviata.
E qui l'autore si mostra bravissimo, ovvero nel creare un nuovo malessere, modulato su quello precedente ma sfumato sulla vergogna di non riuscire ad essere felici nonostante il peggio sia passato. C’è quasi un rispetto religioso nell’affrontare Justin, nel cercare di esorcizzare il suo periodo di assenza. Ma c’è la difficoltà ad accettare il suo cambiamento, il paragone impietoso con il come era è in perenne agguato, pronto ad azzannare.
E ciò comporta un nuovo scarto verso la paura, l’incomprensione, l’incapacità di gestire una situazione gravosa in cui la normalità sarà per sempre influenzata dal ricordo.
Approfondimento psicologico e caratteri credibili creano la forza del romanzo, magari un po’ ripetitivo in alcuni passaggi ma davvero ben scritto ed incalzante.
Molto buona la creazione del senso incombente di tragedia a permeare ogni pagina fino ad una catarsi apprezzabile e a un nuovo inizio, in cui diventa necessaria l’accettazione totale di un presente inevitabilmente diverso, perché sono gli addendi, in primis, ad esser cambiati.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    20 Gennaio, 2016
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In the middle of sex

La storia parte da lontano, dai primi del '900 e da un piccolo villaggio a cavallo tra Grecia e Turchia. L'orrore della guerra si abbatte su quelle lande da sempre pacifiche e dedite ad esistenze semplici, consacrate all'agricoltura, all'allevamento dei bachi e ad atavici rituali.
Un uomo e una donna scappano, sono fratelli, fuggono verso l'America, in barba ad ogni morale si sposano sulla nave che li porta nel Nuovo Mondo e in quella terra lontana troveranno, non senza difficoltà, l'occasione per ripartire e formare una famiglia.
E' da questo momento che comincia la storia di Calliope Stephanides, ormai poco più che quarantenne in un corpo la cui identità sessuale prescelta è caduta su quella maschile, dopo un'adolescenza passata a vivere, vestirsi e comportarsi come una ragazza. Questo perchè Calliope, ora noto come Cal, è un ermafrodita. Un gene birichino ha determinato la sua "anomalia" eliminando ogni banalità dalla sua vita e aumentando il carico di insofferenze e problemi.
Il narrare di Eugenides, ricco di brio e spesso ironia, non è mai patetico, né volutamente strappalacrime, i momenti duri non mancano, ma questo perchè il romanzo abbraccia quasi un secolo di storia dove inevitabilmente i drammi sono parte integrante di ogni esistenza.
Cal inizialmente è mera voce narrante per poi ergersi a protagonista assoluta nell'incalzante racconto della sua adolescenza, si va delle prime cotte alla trasformazione del corpo che non avviene secondo le classiche leggi della natura, la scoperta del sesso fino al rifiuto della propria condizione.
Eugenides non sposa la causa di alcun freak, anzi, descrive l'essenza di un personaggio che nonostante la presunta inconsuetudine è un'ode al normale. Non ci sono mostri, solo una ragazzina prima e un adulto poi, alla ricerca di un posto nel mondo, col desiderio di non essere compatito elemosinando affetto o compassione.
Nonostante la lunghezza del romanzo l'autore dribbla quasi del tutto i momenti di stanca, scegliendo una cifra narrativa molto scorrevole in cui le enfatizzazioni gratuite sono bandite; lo sguardo sulla vita di Calliope/Cal è di quelli in grado di trasportare con entusiasmo il lettore nell'epopea di tre generazioni, dalla Grecia all'America, alla ricerca di una nuova vita, soprattutto della giusta identità. Prima i suoi avi, ora Cal, la costante è sempre la stessa: la ricerca, mentre gli anni passano e l'albero genealogico perde qualche ramo, altri invece crescono, e la storia del mondo corre in avanti con Cal ormai abile a tenerne il passo.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    15 Gennaio, 2016
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Gioventù sbandata

Meravigliosamente strutturato, pur apparendo poco credibile in alcuni passaggi, "Confessione" è un romanzo di offesa e rivalsa, in cui la vendetta viene servita secondo tempistiche tipicamente orientali. Quindi seguendo un iter dilatato -perfetto per godersi la lenta agonia dei colpevoli- ordito da una professoressa nei confronti di due suoi alunni dopo che questi si sono macchiati dell'orribile omicidio di una bimba di appena quattro anni. La bimba non è altri che la figlia della stessa insegnante, sconvolta dopo il rinvenimento del corpicino esanime nella piscina dell'istituto scolastico.
Viene così imbastito un crudele gioco del gatto col topo, in cui il racconto si fa monologo a sei voci con i vari protagonisti ad avvicendarsi fornendo la loro versione dei fatti, un po' come accadeva (mi si passi il paragone) nel capolavoro di Akira Kurosawa "Rashomon". Ciò permette una visuale a trecentosessanta gradi, mediante la quale le opinioni del lettore riguardo i personaggi cambiano sensibilmente, modulate da informazioni non più filtrate unilateralmente ma apprese da una versione corale.
L'obiettivo di Minato non è solo quello di costruire un thriller in cui i colpi di scena facciano il loro sporco lavoro: l'autrice intende focalizzare l'attenzione sul Giappone odierno, paese all' apparenza accogliente, evoluto ed esente da gravi problemi. In realtà la struttura sociale del Sol Levante è molto rigida, e spinge alla disperazione e all'alienazione molti ragazzi incapaci di resistere alle sollecitazioni subite da disposizioni educative decisamente ferree.
Per gli adolescenti diventa arduo discernere tra bene e male, cresciuti da famiglie spesso disfunzionali (troppo severe, oppure assenti o iperprotettive), finiscono con il perdere la bussola etica, calpestando la propria morale come l'autrice, abile nell'instillare il dubbio esplicitato nel labile confine tra giustizia e vendetta.
La scrittura apatica e distaccata è a mio modesto parere voluta, come a rimarcare uno spaccato sociale in cui i sentimenti sono soffocati dall'allenamento alla dissimulazione, al non mostrare la propria vulnerabilità in una società molto competitiva in cui solo la macchina perfetta eccelle. La dispersione dell' emotività crea mostri: ributtanti, repellenti, allo stesso tempo fragili, come si evince dai momenti concessi ai loro pensieri. Il quadro generale non è mai manicheo, ma interessante perchè risoluto nel condannare ma attento nell'evitare di cascare nella demonizzazione a prescindere.
Ottimo thriller, si legge tutto d'un fiato grazie al notevole connubio tra impegno sociale e intrattenimento.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    13 Gennaio, 2016
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La cacciatrice solitaria

Le Highlands scozzesi, terre suggestive punteggiate da agglomerati urbani più o meno densamente popolati, uniti tra loro da una ramificazione di strade isolate in un panorama inospitale e brullo.
Qui si muove la predatrice Isserley, donna a suo modo attraente, sarà per quei seni sproporzionati che si porta appresso esibiti da sapienti décolleté, o sarà per quel suo modo di fare accattivante, un po’ insicuro magari, ma civettuolo. Costantemente in auto macina e setaccia ogni chilometro di asfalto, pronta a caricare, sedurre e tramortire autostoppisti ignari del tragico destino che li attende.
Questa strana femmina non appartiene alla Terra, proviene da un pianeta lontano ed è qui come procacciatrice di cibo per i suoi simili, confinati in un mondo in cui il benessere è per pochi e utopia per i più.
Per questo lavoro si è dovuta trasformare chirurgicamente, snaturare il fisico, violentarlo a furia di estreme manipolazioni sino ad assomigliare ad un essere umano, del quale è consapevole clone mal riuscito.
Michel Faber racconta della caccia, ma soprattutto della realtà circostante elaborata attraverso il sapere della protagonista, cementando il tutto con una costruzione del personaggio di grande impatto emotivo.
Isserley è maledettamente sola, si strugge per un barlume d’affetto, di considerazione, ma è solo un ingranaggio di un meccanismo immenso dietro cui si potrebbe anche scorgere un attacco al consumismo feroce, senza regole né limiti.
Isserley è un personaggio a specchio, in lei albergano le esigenze umane, ed al tempo stesso nella sua razza i nostri stessi errori, a partire da una classificazione sociale simile alla nostra. Il tutto a sottolineare l’ambiguità di presunte disuguaglianze, come a voler abbattere ogni barriera tra il noi e il loro.
Abbandonata e privata dell’amore, lasciata in balia di un compito che scandisce noiosamente le sue giornate, si eleva a personaggio memorabile, mai odioso, in quanto costretta allo sgradevole ruolo per necessità di sopravvivenza. Cacciatrice atipica, con senso di colpa e insoddisfazione perpetue, cerca tra le maglie di un’esistenza senza scopo qualcosa per il quale valga davvero la pena lottare.
La storia potrebbe risultare ripetitiva nei fatti, ma è nei sentimenti di Isserley che si annida il vero cuore del romanzo, la vera azione, il senso di un’esistenza in apparenza vuota.
E qui la disperazione, la lucida coscienza e la forza della protagonista raggiungono vette di intimismo notevoli, con un arpeggio linguistico avvincente, abile nel portarci a tifare per la ragazza, lasciandoci nudi davanti ai suoi naturali - e così umani- bisogni.

Dal romanzo è stato tratto “Under the skin”, girato da Jonathan Glazer e interpretato da Scarlett Johansson. Detestato da molti, piaciuto invece al sottoscritto nonostante le significative differenze con il testo.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    12 Gennaio, 2016
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Neve, attesa e rivelazione.

Nicolas non è un bambino come gli altri. Il fatto che arrivi allo chalet di montagna -dove passerà la settimana bianca coi suoi coetanei- accompagnato in auto dal padre, anzichè col pulmino preso dagli altri, e che il suo bagaglio resti nella vettura del genitore, è già sintomatico di una differenza significativa tra il piccolo protagonista e il resto del mondo.
Quel mondo a Nicolas non piace, preferirebbe nascondersi da esso. Il ragazzino è timido, introverso, insicuro; Carrère ne spiega i motivi con grande acume affabulatorio, sfruttando ogni parola per comporre un mosaico disperato in cui è palese la presenza del buio nella vita del piccolo, salvato, per il momento, solo dall'innocenza tipica dell'età.
Nemmeno il sodalizio con il simpatico animatore Patrick sembra poter portare sollievo. Nicolas, dopo essersi buscato una brutta influenza, spera di passare a letto tutti quegli interminabili giorni, se non fosse intrigato dalla sparizione di un bimbo del villaggio vicino.
Nicolas è intelligente, ama leggere, affascinato da storie inerenti situazioni spaventose. Mostri e orrori d'ogni genere si fissano nella realtà di tutti i giorni uscendo come per magia dalla pagine, rendendo più sopportabile, e al tempo stesso pericoloso, il suo "scontro" con il quotidiano.
Romanzo toccante e diretto, dalla scrittura essenziale, ma anche ben stratificato nella risoluzione del mistero e nella costruzione di quella che potrebbe essere l'imminente tragedia, "La settimana bianca" è un lavoro scandito dall'interminabile attesa. L'oculato affastellare dei fatti verso la verità permette d'avvertire immediata la distorsione, l'anomalia, il sentore del male senza poterlo individuare.
Carrère furbescamente gioca in sottrazione, offrendo una visione ad altezza bimbo cogliendone con efficacia gli aspetti più intimi tra paure, ingenuità e insicurezze.
A conquistare è la facilità con cui si entra in contatto con la debolezza del giovane protagonista, mai descritto con ricattatoria retorica, semplicemente come individuo incapace - non per sua colpa - di adeguarsi.
La comprensione dei fattori generanti il malessere è liberatoria ma da pagarsi a caro prezzo; la sofferenza del protagonista si fonde con quella dello lettore, finalmente sollevato dall'enigma ma oppresso dall'amara rivelazione.

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    08 Gennaio, 2016
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Una corsa...al limone!

Chi conosce la produzione di Irvine Welsh non avrà difficoltà nel ricordare il mitico Terry "Gas" Lawson. Personaggio principale dell'ultima fatica dello scrittore scozzese, già co-protagonista di "Colla" e "Porno", il buon vecchio cocainomane ed erotomane dagli appetiti sessuali insaziabili, sorretti da dimensioni asinine note in tutta Edimburgo, continua a battere i bassifondi dei ghetti più malfamati alla ricerca di sballo e avventure con signorine poco morigerate.
Le coree vengono attraversate dal suo taxi, escamotage con cui ufficialmente nasconde i suoi mille traffici tra spaccio di droga e altri lavoretti regolarmente poco puliti, che gli permettono di spassarsela senza troppi patemi economici, alla faccia della miriade di cavolate commesse mai espiate a dovere.
Il destino però, com'è noto, può essere infame, e Terry si trova costretto a dover rinunciare a tutti quei vizietti che da sempre punteggiano la sua viziosa esistenza.
Situazione che lo indurrà a (ri)considerare l'esistenza sua e di chi ha intorno sotto altre prospettive, ovviamente sempre filtrate mediante una visione zotica da strada, in cui però a spiccare saranno -sorprendentemente- l'irreprensibile cuore d'oro, una sensibilità inattesa e la saggezza ruspante costruita in anni di sopravvivenza nella jungla urbana; ora questo tesoretto viene investito per risolvere problemi di varia natura, tra cui la sparizione di una lap dancer e il recupero, per un facoltoso cliente americano, di tre rarissime bottiglie di whisky.
Welsh azzecca la risma di personaggi al solito "bruciati", emarginati, talmente dediti ad alcol, droga e sesso come se per loro il domani non ci fosse.
L'autore sguazza nei bassifondi di quella Edimburgo così ben conosciuta adottando un tono mai troppo serioso, ferocemente venato da uno humor nero capace di filtrare le situazioni più gravose. Il linguaggio è sempre fenomenale marchio di fabbrica: colorito a dir poco, spesso sgrammaticato a seconda del personaggio che parla. Le invenzioni linguistiche vengono tradotte all'uopo riportando una furbesca alienazione, in cui la cosiddetta feccia rifiuta il perbenismo ipocrita delle classi più agiate, usando le stesse come grimaldello per alimentare i propri peccati.
Si respira un'aria scanzonata nonostante le tematiche siano spesso dure, ma Welsh sposa la dissacrante vena scozzese (capace di farsi beffe anche di un uragano), traendo una spassionata esortazione burlesca a vivere al meglio, che si sa, menarsela serve a poco e la giostra non dura poi molto.
Per cui allacciatevi le cinture, e godetevi la corsa!

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    25 Giugno, 2015
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Gaetano e lo Smilzo

Napoli benedice l’'amicizia tra un ragazzino rimasto solo e un uomo dalla grande saggezza.
Costui persona umile e gentile, portiere di un palazzo, mai altezzoso o arrogante nell’ergersi a guida, gran conoscitore del mondo e della gente. Leggenda vuole che sia in possesso di prodigiose capacità, come quella di captare gli altrui pensieri.

In realtà Don Gaetano sguazza nel mondo circostante come pochi altri, sa leggere nel cuore delle persone senza aver bisogno di alcuna capacità profetica.
Con fare sornione introduce quel ragazzino sparuto -chiamato lo Smilzo- all'età adulta, ponendosi come amico e padre putativo.
Affamato di sapere e volenteroso, rimasto solo troppo presto, il ragazzo non lancia strali verso il destino infame, bensì ribalta le carte in tavola trasformando la sfortuna in un flusso di speranza sotto l'egida di quell’uomo mosso da un altruismo commovente, appreso durante la guerra, mentre i tedeschi fomentavano il terrore all'ombra del Vesuvio.

Si consuma un percorso di crescita in cui le orme lasciate dal mentore vengono nuovamente solcate da quello che potrebbe essere il suo successore.
Tutt' intorno una Napoli viva e solare, nonostante le ferite riportate durante un conflitto riferito in racconti spesso dolorosi, ma anche eroici e allegri, sopravvissuti all’oblio generato dallo scorrere del tempo, conservati da una memoria storica impressa a fuoco nell'anima di tante, troppe, persone.

La città partenopea si riflette nella prosa di De Luca, che è commistione riuscita tra dialetto autoctono e lingua italiana.
Un ibrido verbale capace di creare passaggi di grande profondità, battute folgoranti e aforismi tutt'altro che banali.
Semmai a latitare un poco è la storia, seppur il bilanciamento tra ironia e tragedia sia sempre adeguatamente composto dall'autore, bravo ad incarnare il carattere dissacrante e al tempo stesso composto della cornice geografica, luogo in cui il ragazzino si fa uomo conoscendo il piacere del sesso, la passione dell’amore e la paura del sangue. Non senza dimenticare gli amati libri, maestri di vita quanto l’uomo che al suo fianco lo instrada con ferma dolcezza.
L’infatuazione per la bella Anna viaggia seguendo coordinate spiazzanti, a dimostrazione che spesso l’amore infantile/adolescenziale è idealizzato sino a diventare chimera. Se non altro ennesimo utile tassello per una presa di coscienza basilare, per una crescita indispensabile in perpetuo divenire.
Fino a raggiungere una nave pronta a solcare l’oceano, il bambino si è fatto uomo.
Ora sarà artefice del suo destino.

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