Opinione scritta da Belmi
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Morire non è nulla; non vivere è spaventoso
“Il libro che il lettore ha sotto gli occhi in questo istante è, dal principio alla fine, nel suo insieme e nei suoi particolari, e quali che ne siano le intermittenze, le eccezioni e le manchevolezze, il cammino dal male al bene, dall'ingiusto al giusto, dal falso al vero, dalla notte al giorno, dall'appetito alla coscienza, dal fermento alla vita, dalla bestialità al dovere, dall'inferno al cielo, dal nulla a Dio. Punto di partenza, la materia; punto d'arrivo, l'anima. L'idra al principio, l'angelo alla fine.”
Victor Hugo con uno stile indimenticabile racconta la Francia di inizio Ottocento. I suoi protagonisti sono i miserabili del tempo, l'autore li rende così veri e tangibile che le loro sofferenze diventano le nostre. Il libro non è solo una denuncia della situazione al tempo, è anche un susseguirsi di vicende, una più drastica dell'altra, ma che comunque lasciano un piccolo spiraglio di speranza per il domani.
Non voglio raccontare niente sulla trama perché io l'ho letto senza sapere nulla e così me lo sono completamente assaporato. La mia versione conta oltre 1200 pagine, quelle dedicate alla narrazione della storia volano una dietro l'altra; quelle che invece Hugo dedica a delle lunghissime digressioni sono meno scorrevoli ma servono a rendere chiaro l'intento dell'autore. Avrei preferito meno digressioni? Si, alcune sono state davvero pesanti, altre hanno allargato i miei orizzonti e aiutato nella comprensione della storia.
“I miserabili” è un libro che va assolutamente letto, quello che posso consigliare è di farlo in un momento tranquillo della vita, la storia è lunga e sofferente ma già durante la lettura si ha la consapevolezza di avere un capolavoro fra le mani.
Hugo ha dato luce ai miserabili, quella parte della popolazione che spesso viene evitata dai grandi scrittori, per lui diventano il fulcro del libro.
“Da molto tempo aveva lasciato la sua celletta del secondo piano per andar a stare in una soffitta sotto il tetto, chiusa da un saliscendi, una di quelle stamberghe in cui il soffitto è inclinato rispetto al pavimento e vi fa battere la testa. Poiché il povero non può andare in fondo alla sua stanza, né in fondo al suo destino, se non curvandosi sempre di più”.
Un libro lungo, intenso e che fa soffrire. Un capolavoro che va letto, il mio quattro alla piacevolezza è solo legato alle lunghe digressioni, alcune sono state davvero infinite.
Buona lettura!
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La sarta che non cuce più
Per me questo non è stato “Il ritorno di Sira”, ma un incontro. Non sapevo che l'autrice avesse già scritto un libro, ma in questo seguito mette talmente tanti dettagli della vita precedente della protagonista, da non essermi sentita spaesata.
Sira è una novella sposa, ex collaboratrice degli inglesi durante la seconda guerra mondiale, con il marito, anche lui agente segreto inglese, partono per Gerusalemme. La città non darà il meglio di se, il periodo non è certo dei migliori e le tensioni si percepiscono ad ogni angolo.
“I muezzin continuavano a chiamare alla preghiera dalle moschee, le campane delle chiese cristiane convocavano i fedeli ogni giorno e dal vicino quartiere ultraortodosso di Mea Shearim, al tramonto di ogni venerdì, sentivo annunciare l'inizio dello shabbath”.
La protagonista si troverà a dover affrontare nuove sfide e nel suo lungo cammino intreccerà il suo percorso con alcuni personaggi noti, fra cui Eva Perón.
Il libro si legge bene e scorre velocemente pur contando quasi settecento pagine. La cosa che però non mi ha mai convinto è stata proprio la protagonista. L'autrice ne esalta la sua bellezza e bravura ma obbiettivamente in lei ho trovato molti più difetti che pregi. Non mi sono sentiva coinvolta da lei, ho letto le sue vicissitudini e pur essendo cose a volte molto dure, sono rimasta estranea ai fatti. Il romanzo, almeno per me non è stato empatico. Scorre velocemente, si fa leggere volentieri ma oltre a questo non va.
Non è uno di quei romanzi che consiglierei a tutti, è adatto ad un pubblico femminile con poche pretese e che abbia la voglia di leggere un romanzo lungo ma non troppo impegnativo. Spesso si può avere voglia di un po' di leggerezza, io l'ho letto in un periodo molto intenso e per questo l'ho trovato piacevole.
Buona lettura!
In attesa di ritornare laggiù
“Poi si trovò nella grande foresta, non solo ma solitario; la solitudine lo circondava da vicino, col verde dell'estate. La foresta non cambiava e, senza tempo com'era, non sarebbe cambiata, non più di quanto avrebbero fatto il verde dell'estate e il fuoco e la pioggia d'autunno e il freddo duro come il ferro e a volte perfino la neve”.
“La grande foresta” è una serie di racconti con però sempre al centro lei, la foresta. I protagonisti non cambiano ma si evolvono, crescono e invecchiano, ma sullo sfondo resta sempre lei e quei quindici giorni all'anno in cui possono tornare a cacciare.
“Non tornò con loro, infatti. Tornò soltanto il ragazzo, tornò solo e solitario alla familiare zona abitata, a occuparsi per undici mesi delle faccende infantili dei conigli e di cose del genere in attesa di ritornare laggiù”.
Faulkner con uno stile intenso, suggestivo e tangibile porta il lettore a caccia con i suoi protagonisti. La caccia e la foresta non sono solo una “palestra”, sono un vero banco di prova che permette di diventare uomini, di lasciarsi dietro la città e la fanciullezza e in quelle due settimane di riscoprire se stessi.
Un viaggio nel tempo, un racconto dopo l'altro cambiano i volti, aumentano i segni, ma la passione resta la stessa. Pur non essendo un'amante della caccia sono comunque riuscita ad apprezzare questo libro. Faulkner va oltre e accompagna il lettore in un viaggio di suoni, odori e ferocia che solo la foresta può trasmettere.
Intenso, profondo e non di cattivo gusto!
Buona lettura
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Mina
Mi sono approcciata alla lettura di questo libro in maniera diffidente perché avendo già letto “Frankstein”, che mi aveva davvero deluso o comunque non era quello che mi aspettavo e sapendo che i due libri sono spesso affiancati, ero un po' preoccupa ma comunque decisa a leggerlo.
L'inizio è curioso e avvincente, siamo con Jonathan Harker in Transilvania e subito facciamo la conoscenza del misterioso Conte Dracula. Le pagine scorrono e le preoccupazioni di Harker diventano anche le mie.
Dracula non è un romanzo come uno si può immaginare, è una serie di diari di vari personaggi che insieme creano la storia mettendo ognuno la propria parte. La prima parte come dicevo è narrata da Harker e scorre velocemente, ma dopo di lui inizia il patimento o almeno per me è iniziato. Ho pensato più volte di abbandonare il libro, stiamo parlando di oltre seicento pagine ed io ero impantanata intorno alle duecento; ma la tenacia mi ha portato a finire ben altri “mattoncini” e per fortuna ho continuato. La parte centrale è un po' lenta, sono circa centocinquanta pagine di agonia ma poi arriva la luce.
Il romanzo torna ad essere avvincente e qui fra tutti spicca lei, la figura di Mina. Ho adorato questo personaggio da subito e soprattutto ho apprezzato la delicatezza con cui l'ha trattata Stoker. Stiamo parlando di un romanzo di fine Ottocento ma lui dà alla sua protagonista femminile uno spirito, un animo e un coraggio che mi hanno davvero colpito. Mina è una donna che quando c'è una difficoltà non volta le spalle ma “si rimbocca le maniche” e soprattutto mette sempre davanti a sé il bene comune.
Anche gli altri protagonisti attraggono, sono così eterogenei e uno completa l'altro; Van Helsenky è strepitoso. Quello a cui è stato dedicato meno tempo e meno dettagli è proprio il Conte Dracula, avrei preferito un approfondimento su lui e su tutto quello che l'ha portato a diventare così.
Un romanzo che mi ha conquistato, mi ha portato al tempo dei non-morti e per una come me che non ama la letteratura horror posso dire che questo libro lo può leggere chiunque.
Buona lettura!!!
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Tragicomico
Michela Murgia, come molti di noi, ha dovuto fare la gavetta e passare per molti lavori prima di riuscire a trovare il suo posto. Questo libro/diario racconta la sua esperienza di un mese come telefonista, ma non una telefonista qualunque, la venditrice di Kirby!
La Murgia al tempo tenne un blog diario in cui raccontò giorno giorno questa sua “particolare” esperienza che però rispecchia molte altre persone e soprattutto denuncia il lavoro precario e tutte le pressioni motivazionali e non solo che gli addetti sono costretti a subire.
Con una grande ironia, che però nasconde tanta tragedia, l'autrice ci racconta diversi siparietti e molti episodi che le sono accaduti. Sono piccoli stralci che però fanno davvero sorridere e mostrano le tecniche con cui quasi ogni giorno veniamo “attaccati” al telefono. Il mondo che sta dietro una vendita telefonica è davvero crudele!
Spensierato, divertente ma anche attuale, pur scherzando l'autrice denuncia una situazione a distanza di tempo dalla pubblicazione del libro, che purtroppo non è ancora cambiata.
Non è letteratura pura ma per chi volesse staccare un po' e farsi diverse risate può essere un ottimo libro.
Critica, ironica, sagace e diretta.
Buona lettura!
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Uguale a chi?
Toni Morrison, premio Nobel per la letteratura nel 1993, è autrice di questo libro che prende spunto da una serie di conferenze tenute da lei a Harvard. Il periodo della pubblicazione è molto caldo e le parole che troviamo in questo saggio sono davvero forti. La Morrison mette con chiarezza davanti al lettore problemi oggettivi, fatti realmente accaduti e cattivi esempi che tuttora persistono.
L'autrice oltre che da fatti storici, argomenta le sue teorie con esempi anche letterari, prendendo spunto da autori di fama internazionale, mettendo davanti ai nostri occhi l'origine degli altri. “La capanna dello zio Tom” e non solo, verranno visti con occhi diversi.
L'introduzione italiana è stata curata da Roberto Saviano e le sue parole colpiscono ancora di più perché oltre ad esprimere la sua opinione sul libro della Morrison, include anche la nostra realtà e questo fa aumentare ancora più gli spunti di riflessione che l'autrice aveva già attivato. Saviano parla della situazione italiana, di quello che noi stiamo trasformando e abbiamo trasformato in altro.
Un saggio interessante, di rapida lettura e molto attuale.
““Che specie di uomo” insisté il signor Head, con voce incolore.
“Un uomo grasso”, precisò Nelson..
“Non sai di che specie?” domandò il signor Head, in tono decisivo.
“Un vecchio”, disse il bambino...
“Quello era un negro”, annunciò il signor Head, appoggiandosi allo schienale...
“Tu hai detto che erano neri...Non hai mai detto ch'erano abbronzati..”
Buona lettura.
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Dar luce a volti sconosciuti
In Italia abbiamo tantissimi personaggi sconosciuti, completamente dimenticati che invece hanno dato un grande contributo “silenzioso” al nostro paese e non solo.
“La tigre di Noto” racconta la storia di Marianna Ciccone, per molti, come del resto lo era per me prima della lettura del libro, una sconosciuta; in realtà è stata una grande scienziata e una delle prime laureate in matematica e fisica in Italia.
“Finsi di non accorgermene e feci attenzione a calare la veletta fino al naso, in modo da nascondere quel mio segno inopportuno.
Il professore entrò, salutò, ci contò velocemente.
Si soffermò su di me e sorrise.
Ero l'unica donna”.
Il suo più grande contributo l'ha dato durante la Seconda Guerra Mondiale, quando cercò di ribellarsi ai tedeschi che avevano capito “Che per uccidere un popolo, bisogna eliminare i suoi libri”.
Il libro scorre velocemente e lo può leggere chiunque, è di facile lettura. La storia forse è stata affrontata con troppa leggerezza, avrei preferito degli approfondimenti o comunque un po' più di contenuto sulla vita di questa grande donna che ha fatto delle scelte molto dure e forti per la sua epoca e soprattutto per il suo essere donna.
Una lettura che comunque consiglio.
Buona lettura.
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Finzione o realtà?
“A pensarci bene, io non so niente di te sai? Be', qualcosina sì. Ho letto i tuoi libri. Ma non è molto. È difficile conoscere una persona stando in una sola stanza. Tanto varrebbe che ce ne stessimo rintanati in una soffitta come la famiglia di Anna Frank”.
Uno scrittore (molto somigliante a Roth) e una donna sono amanti, senza volerlo ci troviamo spettatori dei loro dialoghi durante i loro incontri. Una stanza e due persone, che lì possono sentirsi liberi di dire quello che vogliono e di farsi conoscere come credono.
“Inganno” è un libro difficile da inquadrare non per la comprensione generale del testo ma per la trama. Non siamo davanti a un romanzo ma a frammenti di dialoghi che pezzo dopo pezzo ricostruiscono la storia, ma sono davvero molte le volte che mi sono sentita un po' spaesata.
La somiglianza fra l'autore e il suo protagonista rende il libro ancora più interessante. Da qui nasce anche una domanda..quanto di loro gli autori mettono nei propri libri?
“Non accetto di essere messo in questa posizione! È troppo assurdo! Mi rifiuto! Non puoi impedirmi di scrivere ciò che scrivo per semplici e ridicoli motivi di ordine psicologico, perché io stesso non posso impedirmelo! Io scrivo ciò che scrivo nel modo in cui lo scrivo e, se e quando questo dovesse accadere, pubblicherò quello che pubblicherò nel modo in cui lo vorrò pubblicare, e non ho nessuna intenzione di cominciare adesso a preoccuparmi di cosa la gente potrà travisare o capire male!”.
Non il miglior Roth ma non sono pentita di averlo letto, mi ha fatto riflettere e gli interrogativi finali sono rimasti..chi ha ingannato chi?!?
Buona Lettura!
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Buona la seconda
Marcello Fois pubblica un'opera divisa in tre atti, questi atti sono alcuni dei momenti più salienti dell'autrice Grazia Deledda.
Il titolo della recensione non è un caso, ho dovuto leggere questo libro per ben due volte. La prima lettura mi era arrivata in maniera parziale, troppi dettagli e richiami al passato dell'autrice mi rendevano un po' spaesata, ma avevo già la consapevolezza di avere un piccolo gioiellino fra le mani. Cosa si fa quando ci si rende conto che la colpa non è dell'autore ma del lettore? Semplice, ci si documenta e da qui la lettura dell'autobiografia romanzata dell'autrice “Cosima” e una buona lettura alla sua biografia in generale.
Dopo aver appreso tutte queste nozioni è riniziata la lettura e questa volta il piacere è stato completo.
Si parte con il primo atto, sono diversi gli attori, ma la scena è presa da Grazia e dalla madre, le due devono salutarsi, la figlia sta per lasciare Nuoro e voltare pagina.
Atto secondo, questa volta il clima è diverso..siamo a Stoccolma e l'autrice sta per ricevere il meritato Nobel.
Atto terzo e anche ultimo ci troviamo dal medico, la fine è vicina.
Marcello Fois rende omaggio ad una grande autrice e lo fa mettendo in mostra le sue debolezze e insicurezza ma anche la sua forza e testardaggine.
Un libro che si legge velocemente e lascia una piacevole sensazione al lettore, mi sono sentita più vicina all'autrice e sembrava proprio di stare a teatro.
Buona lettura!
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Amoz Oz e i primi passi nella scrittura
Amos Oz all'età di quindici anni decide di lasciare la sua famiglia, di cui non condivide le idee politiche e di trasferirsi in un Kibbutz. E proprio lì nasce la sua passione per la scrittura tanto da renderlo poi il grande autore che è diventato.
Feltrinelli pubblica questa serie di dieci racconti, finora inediti in Italia, scritti intorno agli anni Sessanta. Questa raccolta sono la prima grande opera dell'autore.
Nove racconti sono ambientati all'interno del Kibbutz, l'ultima è una specie di parabola. La mia conoscenza sull'argomento Kibbutz era praticamente nulla ma grazie ad Oz, oggi ne sono qualcosina in più. I racconti sono brevi, alcuni anche troppo, si riesce appena ad affacciarsi ad una finestra che lo spiraglio viene subito chiuso. Sono storie intense, con sentimenti forti e vita quotidiana. Lavoro comune, mangiare comune ma dolore singolo; il dolore delle persone che si ritrovano all'interno del Kibbutz è straziante, ognuna si porta un bagaglio diverso per poi arrivare tutte alla solita meta.
Ma la vita per gli ebrei non è così semplice:
“Gli ho chiesto che cosa aveva, ha risposto che aveva sentito gli spari e si era spaventato. Gli ho detto che a spaventarsi dovevano essere gli arabi, che sono finiti i giorni in cui gli ebrei devono spaventarsi per degli spari di notte.”
“Un popolo intero sta devastando e sporcando e mandando in fumo tutta la visione. Lo Stato ebraico era destinato a essere un capitolo e una pagina nuova nella storia degli ebrei, mentre ora somiglia a una festa d'addio, un ballo per il lieto fine di una storia tremenda. Ma questa storia tremenda non è ancora al culmine. Le armi si affilano.”
Amos Oz ci porta nella sua terra, ce ne mostra un piccolo spiraglio. Lo stile è ancora un po' acerbo ma mostra tutto il suo potenziale. Racconti diversi fra loro ma tutti con due fili conduttori, il Kibbutz e lo sciacallo, storia dopo storia tornano sempre a raccontarci qualcosa di diverso.
Consiglio questo libri agli amanti di Oz, conoscere i suoi inizi è piacevole; lo consiglio anche a chi volesse sapere un po' più di storia di questo paese, non dal punto di vista politico ma della vita quotidiana in queste comunità, l'autore ci ha vissuto trent'anni. Un libro che si legge velocemente e da diversi spunti di riflessione.
Buona lettura
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Un Modiano meno convincente
Modiano è un grandissimo autore e, almeno per me, la sua peculiarità, che ho riscontrato nei libri letti, non è tanto il tema volta volta trattato nei suoi romanzi, ma il suo stile. Gli altri libri mi hanno sempre soddisfatta; con “Viaggio di nozze” uscito nel 1991, invece le aspettative non hanno retto il confronto con gli altri testi.
Gli “ingredienti Modiano” ci sono ma la storia non mi ha minimamente preso. Jean è il narratore-protagonista e ci troviamo in un afoso agosto a Milano e quello che può sembrare una coincidenza in realtà è molto di più.
“È così che ci muoviamo negli stessi posti in momenti diversi e malgrado la distanza degli anni, finiamo coll'incontrarci”.
In questo libro ho trovato delle somiglianze e dei dettagli che poi ritroveremo in “Dora Bruder” libro invece che ho apprezzato tantissimo, che questo fosse un primo approccio alla caccia al passato?
Lo stile anche questa volta non delude ma la storia pur coinvolgendo il presente e il passato non mi ha convinta.
Buona lettura.
Grazia Deledda
Grazia Maria Cosima Damiana Deledda è un'autrice che purtroppo molti lettori non degnano neanche di una lettura. Si cercano a volte autori così geograficamente lontani da noi quando in casa abbiamo un Premio Nobel. Anche la scuola purtroppo in questo non aiuta, mentre l'autrice andrebbe proprio sponsorizzata con tutta la sua produzione e soprattutto con questo che manda un messaggio di facile comprensione: non fermarti davanti agli ostacoli, se hai un sogno seguilo anche se dovrai combattere contro tutti e tutto.
Grazia Deledda nasce alla fine dell'Ottocento in un ambiente arcaico e stretto per una ragazza moderna come lei. La sua passione viene vista come una perdita di tempo quando invece dovrebbe puntare a trovare un buon partito. Ma lei è diversa:
“pare venuta da un mondo diverso da quello dove vive, e la sua fantasia è piena di ricordi confusi di quel mondo di sogni”.
“Cosima” è l'autobiografia romanzata scritta dall'autrice poco prima della morte, infatti pubblicata postuma. In questo meraviglioso romanzo, la Deledda ci racconta la sua infanzia e come è nato l'amore per la scrittura, le sue sconfitte ma anche la sua forza e tenacia e la partenza da Nuoro.
Riusciamo anche a percepire dove l'autrice abbia trovato le idee per i suoi capolavori:
“Più efficaci furono le lezioni pratiche che il fratello volenteroso le procurò facendole conoscere tipi di vecchi pastori che raccontavano storie più meravigliose di quelle scritte sui libri, e portandola in giro, nei villaggi più caratteristici della contrada, alle feste campestri, agli ovili sparsi nei pascoli solitari e nascosto come midi nelle conche boscose della montagna”.
Rispetto agli altri suoi lavori che spesso non hanno un lieto fine, in questo romanzo ho respirato aria di speranza e sono venuta a conoscenza di tutta la sofferta che la piccola Grazia ha trovato sul suo cammino.
Un romanzo autobiografico che ci avvicina ad un'autrice che merita una lettura. Poche pagine e tanta ammirazione per una donna che si è fatta da sola e da sola ha conquistato il mondo.
Buona lettura!!!
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Never Let Me Go
“Non lasciami” è il terzo libro di Ishiguro che leggo, dopo “Quel che resta del giorno” che per me è un capolavoro, ho letto “Klara e il sole” e infine questo.
“Klara e il sole” e “Non lasciarmi” per me hanno due cose in comune, la prima è il tempo, ho impiegato tantissimi giorni a finire entrambi, poche pagine alla volte per vedere la fine; il secondo punto è il messaggio, entrambi i libri sono forti e lasciano delle sensazioni e degli spunti di riflessione che tuttora mi accompagnano. Capisco perché molti lettori sono stati contenti del suo ultimo lavoro perché chi è riuscito ad apprezzare questo libro amerà anche l'altro.
Posso dire di aver faticato, deciso più volte di abbandonare il testo ma sentivo che dovevo arrivare fino in fondo e so di aver fatto bene. La consapevolezza e la portata del messaggio dell'autore danno davvero da ragionare.
Siamo in Inghilterra e nel collegio di Hailsham vivono diversi bambini fra cui anche Kathy, Ruth e Tommy. Non hanno famiglia ma hanno dei bravissimi tutori che gli ricordano che sono degli “studenti speciali” che un domani diventeranno degli assistenti e dei donatori. La loro vita ruota tutta intorno al collegio e alle relazioni fra loro. La scuola è particolare ed ha un solo obiettivo, ma i bambini saranno pronti ad affrontarlo? Saranno stati adeguatamente preparati per la vita che li aspetta? E soprattutto è giusto quello che hanno fatto a loro?
Il libro è lento, ricco di descrizioni e di scene che sul momento pensi siano inutili, pesanti e fuori tema, ma poi l'autore ti prende per mano e ti porta a vedere oltre, a vedere con i loro occhi.
Ishiguro ha coraggio e non si nasconde. Le sue parole toccano l'anima e ti portano a riflessioni che senza la sua penna non avresti affrontato. Ti fa riflettere, ti fa indignare ma soprattutto ti rende consapevole.
Un libro che non è facile, anche se ho apprezzato di più “Quel che resta del giorno”, non posso negare l'importanza di questa lettura. Lo stile è inconfondibile e il messaggio pure.
“È un lento, musica d'atmosfera, tipicamente americano, e c'è quel verso che si ripete quando Judy canta: “Non lasciarmi...Oh, tesoro,...Non lasciarmi....” Avevo undici anni allora, non avevo molta dimestichezza con la musica, ma quella canzone, be', ne rimasi affascinata. Continuavo a riavvolgere il nastro esattamente nel punto dell'inizio, in modo da poterla ascoltare ogni volta che me se ne offriva l'occasione.”
Buona lettura.
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Gli amici di una vita
“Sono stanca della rabbia. Sono stanca della cattiveria. Sono stanca dell'egoismo. Sono stanca del fatto che non facciamo niente per fermare tutto questo. Sono stanca del fatto anzi che lo incoraggiamo. Sono stanca di tutta la violenza che c'è, sono stanca di quella che ci sarà, di quella che sta arrivando, di quella che non c'è ancora stata”.
Elisabeth è una trentenne inglese e si ritrova a tornare nel suo paese per rivedere il suo amico centenario David ospitato in una casa di riposo, ormai vicino alla fine dei suoi giorni. La loro è una amicizia che viene da lontano, un'amicizia che va oltre le barriere generazionali, un'amicizia che viene dal cuore.
“Certo, disse il vicino. Mi ha fatto piacere conoscervi, tutte e due. Finalmente.
In che senso, finalmente?, chiese Elisabeth. Ci siamo trasferite qui solo da un mese e mezzo.
Gli amici di una vita, disse lui. A volte li aspettiamo per tutta la vita”.
Passato e presente, piccoli frammenti o scorci più lunghi. Ali Smith porta il lettore nella sua terra, una terra che sta vivendo un momento difficile e che sta uscendo dal voto della Brexit. Un paese che ha paura del vicino, un paese un po' sperduto, una burocrazia che per alcuni versi ricorda casa nostra insieme anche a una dolcezza infinita che viene da queste due anime.
“Autunno” è un testo che scorre velocemente ma che non è di facile comprensione, non per la difficoltà di scrittura dell'autrice che anzi ho apprezzato moltissimo, ma per questi continui cambi, questi pezzettini che poi andranno a formare un grosso puzzle che però non sono tutti così facili da trovare.
Un libro diverso e affascinante nel suo genere. Questa è la prima stagione ora vediamo come va con le altre. Ali Smith è stata davvero una piacevole scoperta.
Buona lettura!
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Quando la storia influisce sulla tua vita
Siamo in America, è il 1951 e la guerra di Corea non sembra finire mai. Ormai siamo al secondo anno e per molti ragazzi lo studio e quindi il college non è solo una volontà ma anche una scelta quasi obbligata per potersi sottrarre a questa guerra che sembra non stancarsi mai di porre fine ai giovani.
Marcus Messner è ebreo, la sua famiglia ha una macelleria kosher, ovvero una macelleria che rispetta tutte le regole ebraiche su come si deve trattare la carne. Al banco c'è il padre e Marcus oltre ad essere un eccellente studente non si è mai tirato indietro per aiutare in negozio.
Ma proprio il padre con tutte le sue paure ed apprensioni provoca nel ragazzo un atto di ribellione che lo porterà a decidere di continuare gli studi al Winesburg College, un college decisamente distante dalla famiglia e soprattutto dal padre.
Qui il ragazzo si troverà ad affrontare un sacco di battaglie, alcune dettate dalla sua inesperienza ma altre causate anche dal suo carattere. Tutto quello che può sembrare un normale susseguirsi degli eventi diventa invece una chiara battaglia interiore e non solo.
Philiph Roth crea un romanzo di formazione che va ad innescare nella mente del lettore tanti pensieri. Lui non ci mostra la guerra di Corea ma ne presenta i risultati in patria. Il suo romanzo è un atto di ribellione “camuffato” ma ben percepibile.
E soprattutto Roth ci lascia questo messaggio:
“il terribile, incomprensibile modo in cui le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati”.
Bello, riflessivo e non banale.
Buona lettura!
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Una gabbia dorata
Quando nasci in una gabbia dorata e non ha mai visto altro, la tua vita scorre e anche se a volte alcune domande ti si formano nella testa, vengono subito scacciate perché sei abituato a quelle sbarre e te le fai andare bene. Può succedere però che un giorno, quasi con noncuranza quella gabbia venga aperta e crei un piccolo spiraglio e se prima non avevi mai sentito il bisogno di “stiracchiarti” un po', adesso vedi che tutti quelli intorno a te non hanno sbarre. La loro vita non sarà piena d'oro ma sono altre le cose che inizi a notare. Pensi a tutti quegli anni in quelle sbarre e ti chiedi se la tua vita potrà tornare quella di prima, se riuscirai ancora a sopportare quel freddo metallo anche se dorato.
“L'ibisco Viola” di Chimamanda Ngozi Adiche è un libro potente, ambientato in Nigeria.
“Certe persone, ha scritto una volta, pensano che noi non possiamo autogovernarci perché le rare volte che ci abbiamo provato abbiamo fallito, come se tutti quelli che oggi si autogovernano ci fossero riusciti la prima volta. È come dire a un bambino gattoni che cerca di alzarsi per camminare, ma poi ricade sul sedere, di restare fermo dov'è. Come se gli adulti che camminano accanto a lui non avessero tutti gattonato, una volta”.
La storia viene raccontata dalla giovane Kambili, una ragazzina di quindici anni nata in una famiglia ricca. In casa con lei vivono anche il fratello maggiore Jaja, la madre e Papà.
Papà è un uomo stimato ed amato dalla comunità, ma le sue regole sono dure da seguire per i componenti della sua famiglia.
“La sorella di Papà, zia Ifeoma, una volta aveva detto che Papà era un vero prodotto del colonialismo. Lo aveva detto con tono dolce, indulgente, come se non fosse colpa sua, come si parla di qualcuno che urla delle sciocchezze perché ha un forte attacco di malaria”.
Con le giuste parole l'autrice narra le vicende di Kambili e di come la sua vita verrà sconvolta da un incontro. Una Kambili che cresce all'interno del libro soprattutto quando si rende conto che la sua vita non potrà più essere quella di prima.
“Conoscevo bene la paura, eppure ogni volta che la provavo non era mai uguale alle altre, come se arrivasse sempre con un sapore e un colore diverso”.
Un romanzo intenso, difficile da dimenticare, che quando arrivi all'ultima parola non ti abbandona ma resta con te. Una storia forte, dura da digerire e che fa riflettere.
L'autrice racconta la storia del suo paese, la sua cultura e le sue contraddizioni. Crea un personaggio come Zia Ifeoma che incarna il vero spirito africano.
Chimamanda Adichie mi aveva già conquistato con il saggio “Dovremmo essere tutti femministi”, con questo romanzo, che tra l'altro è stato il suo esordio, diventa una delle mie autrici preferite.
Lo consiglio a tutti, va letto.
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Il respiro del diavolo
Secondo episodio con protagonista il giornalista Carlo Alberto Marchi, questa volta è alle prese con un caldo infernale e con tanti pensieri:
“La figlia che iniziava le procedure di allontanamento emotivo. La solitudine sentimentale che iniziava a farsi sentire. Il lavoro sul quale gravava l'antipatia del mio direttore. Il futuro che sembrava nero a trecentosessanta gradi. E quelle notti di vento appiccicoso che mi rendevano odiosa questa stagione dell'anno”.
All'interno del libro troviamo il giusto mix di elementi che rendono la storia davvero intrigante. C'è la giusta ironia, quel pizzico di divertimento che non guasta, una trama interessante e poi tanti personaggi davvero ben fatti.
Questa volta a Firenze oltre al caldo mortale c'è anche qualcos'altro che rende la città pericolosa:
“”No dottore, non posso aspettare.”
Lo Presti si fermò, e lo incenerì con gli occhi: “Se io le dico che deve aspettare, sovrintendente, lei aspetta. È chiaro?”.
Rindi resse lo sguardo e gli allungò i fogli che aveva in mano: “Io posso anche aspettare, dottore. Ma è questo che non aspetta noi”.
“Questo? Questo cosa?”
“Il respiro del diavolo”.
Scorrevole, avvincente e mai noioso. Un libro che consiglio agli appassionati di gialli ma anche di giornalismo.
“Il passaparola in tribunale era come una love story a scuola: una cosa che partiva alla prima ora come un bacio rubato arrivava a ricreazione come un rapporto sessuale nei bagni e finiva all'ultima campanella come una gravidanza indesiderata e un possibile ritiro in convento per la vergogna”.
Buona lettura!!!
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Quando il film ti porta al libro
Tantissime volte mi è successo di leggere il libro e poi cercare il film, il più delle volte rimanendo delusa, ma questa volta è diverso, devo ringraziare il film che mi ha portato al libro.
Sono cresciuta con le avventure di Salgari e ho molta simpatia per i libri e i film storici legati al mare e mentre guardavo "Master & Commander" ho scoperto che il film era ispirato al libro di O'Brian e subito mi sono procurata "Primo comando".
La nota dell'autore mi aveva già convinta:
"Per questa ragione ho attinto direttamente alla fonte per quanto riguarda le azioni belliche descritte in questo romanzo. Da una grande varietà di battaglie combattute in modo brillante e descritte con semplicità, ne ho tratto alcune che ammiro particolarmente per ogni fatto riferito ho avuto sotto gli occhi giornali di bordo, lettere ufficiali, resoconti del tempo o i ricordi dei partecipanti stessi".
Qui ci troviamo con il Capitano Jack Aubrey della Royal Navy e il dottore Stephen Maturin, due protagonisti eterogenei ma con la passione comune per la musica. Proprio le loro diversità saranno uno dei punti forte della narrazione e poi c'è il mare aperto, il vento e le battaglie.
O'Brian arricchisce il romanzo con molti nomi tecnici che a fine libro sono tutti spiegati, ma quello che racconta e colpisce è la vita di mare, tutti i gradi, la disciplina, l'equipaggio, i bottini di guerra e anche la vita a terra.
Questo libro è il primo di una serie che raccoglie oltre venti titoli e a breve mi farò ancora affascinare da un'altra avventura per mare.
Consigliato agli amanti del mare, delle avventure e chi ha apprezzato Salgari.
""Noi andremo all'arrembaggio, se mai riusciremo ad accostare, e poi, capite, loro potrebbero cercare di abbordare noi, non si sa mai... Queste stramaledette algerine pullulano di uomini. Cani tagliagole dal primo all'ultimo", soggiunse ridendo di cuore e allontanandosi nell'oscurità".
Buona lettura!
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Alma, la donna dei muschi
"lei, la figlia di Henry e di Beatrix Whittaker, non era stata messa al mondo per annegare in un metro e mezzo di acqua. E seppe anche che se avesse dovuto uccidere per salvarsi la vita, lo avrebbe fatto senza esitare. Infine, l'ultima e più importante rivelazione: il mondo si divideva tra coloro che combattono una battaglia instancabile per la vita, e coloro che si arrendono e muoiono".
Alma Whittaker nasce a Filadelfia a inizio Ottocento, in una delle famiglie più agiate della società. Stimolata fin da piccola, si dimostra subito un'appassionata naturalista in cerca di scoperte. Circondata da grandi personalità e con una madre olandese tosta, Alma crescerà priva di affetto ma ricca di conoscenze.
Elisabeth Gilbert ci porta con le sue oltre seicento pagine a respirare un'aria ricca di scienza, natura e scoperte da una parte e dall'altra non evita le difficoltà della vita.
Noi cresciamo con Alma e con lei affrontiamo la vita che non sempre si presenta schietta e sincera.
Per me ogni libro è un viaggio, questo in particolare è stato molto lungo, non sono riuscita ad assaporare il libro tutto d'un fiato ma ho dovuto leggerlo a piccole dosi. Il libro è interessante sia dal punto di vista scientifico che storico, quello che forse manca è un po' di brio. La storia parte bene, siamo subito affascinati dalla vita del padre della protagonista, ma poi ci perdiamo un po' e spesso mi sono sentita smarrita in quella grande tenuta.
La storia di Alma è bella ma non avvincente. Sono contenta di averla letta ma sono sicura che non la rileggerò. Un libro che consiglio a chi vuol assaporare con lentezza una storia, qui non ci sono palpitazioni, si vive di rimpianti e si fanno tantissime riflessioni.
In conclusione lo consiglio a chi cerca una storia che non ti tiene incollato alle pagine ma che neanche ti allontana. Questa è una di quelle storie che non fai le tre di notte per finirla ma che la puoi assaporare in un arco di tempo più lungo. Una storia che non mette fretta, che come il muschio cresce piano piano ma che si fa valere.
"Non c'è niente di così irrinunciabile come la dignità, ragazze mie. Il tempo rivela chi ne è provvisto e chi no".
Buona lettura.
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Un testimone del suo tempo
Senjan è una cittadina che si trova nel cuore della Persia, l'odierno Iran, e proprio lì si trova la casa della moschea con a capo Aga Jan, ricco mercante e leader indiscusso del bazar. La moschea e la casa sono un unico cuore pulsante che va avanti da secoli, sono molti gli imam vissuti nella casa, ognuno mandando il suo messaggio ai fedeli. Ci sono stati imam più docili e imam più forti, ma i tempi stanno cambiando e anche la casa della moschea dovrà affrontare le sue burrasche.
Kader Abdolah, autore del libro, è iraniano, ha dovuto lasciare il suo paese ed è rifugiato politico in Olanda; da qualche anno cerca di far sentire la sua voce per mandare un messaggio al resto del mondo. Quello che l'autore narra per bocca dei suoi protagonisti è uno spaccato di storia recente, così recente che fa male il cuore.
Lo stile è elegante, l'autore racconta il bello e il cattivo tempo della sua gente, come l'occidente è entrato nel suo paese e tutto quello che ne è scaturito. Parla di fanatismo, di donne che combattono una guerra difficile da vincere e di come un amico può diventare un nemico.
“Quando era scomparsa dalla città l'eco delle sure del Corano? Sapeva che la moschea, il bazar e il Corano non erano più in grado di opporre una forte resistenza, ma non pensava che il regime avrebbe conquistato Senjan così rapidamente”.
Tutto questo viene narrato con eleganza e delicatezza che però non nasconde niente. Le figure che si intervallano all'interno del libro sono figure reali e immaginarie che però raccontano la vera storia. La storia di come un paese è cambiato.
“È successa una rivoluzione, Faqri, questo non è solo un rovesciamento del potere politico, qui si è capovolto qualcosa nella testa della gente. Stanno per succedere cose che nessuno di noi avrebbe mai immaginato in una vita normale. La gente commetterà atrocità terribili. Guardati attorno, non vedi come sono tutti cambiati? Le persone sono quasi irriconoscibili. Non si capisce se si sono messi una maschera o l'hanno gettata”.
“La casa della moschea” è un libro che rimane nel cuore e ti fa capire quanto noi sottovalutiamo la nostra libertà, soprattutto per quanto riguarda le donne. Kader in maniera magistrale ci racconta le bellezze della sua terra, ci fa vivere all'interno di una casa e di una moschea come se ne fossimo parte.
Mi ha fatto sorridere e mi ha fatto soffrire, ma grazie a questo libro ho aperto gli occhi su una realtà che non conoscevo bene.
Un libro che consiglio, fatevi avvolgere dalla voce del Muezzin e entrate anche voi nella casa della moschea.
Buona lettura
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Le donne devono diventare visibili
Già il titolo “Invisibili” mi aveva incuriosito; la copertina con una donna e un uomo, dove la donna era invisibile e l'uomo visibile mi aveva doppiamente attirato e poi il colpo di grazia e la nascita dell'amore fra me e questo libro è stato il “sottotitolo”: “Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano”.
Su come il mondo possa o meno ignorare le donne è un fatto che troviamo scritto su tantissimi libri, ma quello che mi ha veramente colpito è il “dati alla mano”. Caroline Criado Perez si è documentata e lo ha fatto veramente bene, coinvolgendo nella sua ricerca sia uomini che donne.
Come dice l'autrice “Invisibili racconta quel che succede quando ci si dimentica di prendere in considerazione metà del genere umano. Denuncia i danni provocati dall'assenza di dati di genere lungo il corso più o meno normale della vita di ogni donna. Pianificazione urbana, politica, lavoro:questi sono alcuni dei settori dove il danno è evidente. Per non parlare della sorte che, in un mondo costruito su dati maschili attende le donne a cui le cose vanno male”.
Questa volta la lettura non può essere soggettiva, tutto quello di cui l'autrice parla è ben documentato, sia con testimonianze personali che con dati trovati nelle più svariate ricerche.
“Invisibili” ha cambiato molto il mio modo di percepire le cose, sono stata illuminata sui farmaci, su come vengono progettate le macchine, su come anche il semplice utilizzo di un bagno può diventare un'esperienza pericolosa, su come una donna forte e ambiziosa è giudicata, su come la maternità in molti stati è un problema e soprattutto l'importanza del lavoro di cura non retribuito.
Anni fa ho letto un bellissimo saggio intitolato “Dovremmo essere tutti femministi”, in cui l'autrice puntava sulla comprensione del valore della donna da parte dell'uomo, da questo il titolo. Dopo la lettura di questo testo, spero che siano proprio gli uomini, oltre alle donne ovviamente, i primi lettori. Ogni giorno, in ogni parte del mondo, le donne devono darsi il doppio da fare per riuscire a sopravvivere e senza il riconoscimento e la cooperazione dell'altro sesso si può andare purtroppo poco lontani.
Come avrete capito questo è un argomento a me molto caro, spero che questo testo possa attirare altri lettori e dia una speranza soprattutto a quelle donne che stanno tuttora combattendo per un briciolo di libertà.
Buona lettura!
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I morti parlano
“Mi rimproverai da solo sul divano. Io ero un giornalista di cronaca giudiziaria, uno che leggeva le carte delle indagini e dei processi per poi scriverne. Tutto qui. Non facevo filosofia né supposizioni. Facevo cronaca.
Bevvi l'ultimo sorso di caffè guardando le piante del mio terrazzo, affogate nella pioggia degli ultimi giorni.
Facevo cronaca, appunto. E infatti ero anche molto curioso.”
Carlo Alberto Marchi è un cronista di cronaca giudiziaria sempre a caccia di scoop per rendere appetibile il giornale per cui lavora. Padre single e toscanaccio doc, Marchi cerca di dividersi fra famiglia e lavoro, ma quando nella sua Firenze un caso insolito di omicidio infiamma la città, la sua curiosità lo porterà a dover rivedere le sue priorità.
Gigi Paoli crea un personaggio che ti rimane nel cuore, oltre ad essere simpatico, ho apprezzato molto il suo relazionarsi con gli altri protagonisti, sia che sia la dolce Donato sia che siano procuratori o colleghi, tutto questo lo rende un personaggio diverso e davvero originale. L'autore ci fa conoscere il mondo della cronaca, suo primo amore, visto tutti gli anni che ha vissuto come cronista di giudiziaria, insomma è uno che il “campo” lo conosce bene e ne fa apprezzare i vari lati.
Oltre a Marchi, anche tutti gli altri personaggi che ruotano intorno alla storia sono davvero interessanti.
Come ulteriore punto di forza va considerato il luogo, siamo a Firenze, sono toscana ma non fiorentina, ma in questa storia ho ritrovato la città dei miei studi e soprattutto il Palazzo di Giustizia, luogo di caccia del nostro giornalista.
In conclusione una storia ben fatta, che parte un po' piano ma che dopo una quarantina di pagine diventa irresistibile. Colpi di scena, battute divertenti e personaggi ben fatti e non ultimo il rumore della pioggia che accompagna il lettore per l'intera storia. Sono stati pubblicati altri libri con questo protagonista e non me li perderò.
Un libro divertente, intrigante e scorrevole.
Buona lettura!
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È la paura, non il dolore, a rendere malleabili
Non avevo mai letto niente di Nesbo e questo primo incontro mi ha più volte sorpreso. Mi aspettavo un giallo/thriller del nord, come altri autori mi avevano già abituato, ma quello che non mi aspettavo è stato l'incontro con Roger Brown, l'uomo che non ti aspetti, un cacciatore di teste ma non solo.
Per lasciarmi il "gusto" della lettura non avevo letto niente sul libro e forse questo ha contribuito al piacere della lettura e all'evoluzione inattesa del libro.
I personaggi sono pochi ma ben caratterizzati e l'elemento sorpresa è sempre dietro l'angolo ma se la suspanse iniziale è alta e avvincente, con il passare delle pagine tutta la situazione diventa forse un pò troppo.
Ho apprezzato il libro, l'ho trovato una lettura piacevole e scorrevole ma la storia almeno per me ad un certo punto ha perso di credibilità. Proverò a leggere altro di questo "prolifico" autore per dare un giudizio più completo, al momento non lo boccio ma non lo passo neanche a pieni voti.
Consiglio il libro a chi cerca una lettura avvincente, non cruda e scorrevole.
Buona lettura
Come cani sciolti
La prima cosa che ho pensato quando ho finito questo libro, è che sono stata davvero fortunata a non essere nata in Messico nel periodo in cui si potevano incontrare Apache o cacciatori di scalpi.
McCarthy ci riporta (almeno nel mio caso perché con altri suoi romanzi ho già “bazzicato” il territorio), sul confine tra Texas e Messico. Siamo a metà dell'Ottocento e alcuni Apache seminano il terrore in Messico. L'unica soluzione è quella di affidarsi a degli esperti, ma spesso “Quando gli agnelli si perdono sulla montagna, disse. Gridano. Qualche volta arriva la madre. Qualche volta il lupo.”
L'autore non tralascia niente, l'orrore è vissuto da chiunque, non si risparmia nessuno, né animali, né vecchi, né bambini, tutti sono carne da macello. In questo libro la bassezza umana raggiunge il suo apice. Un romanzo forte in cui McCarthy racconta un'epoca nera della storia del mondo. In mezzo a queste ombre, sono alcuni i personaggi a cui viene dato maggiore rilievo.
Il protagonista ha quattordici anni quando scappa di casa e si imbatte in una comitiva peggiore dell'altra, ma il fondo lo toccherà quando incontrerà Glanton e il giudice Holden. Un ragazzo le cui scelte molto spesso lasceranno un po' di perplessità ma che a volte sorprenderà “C'è un difetto nella stoffa del tuo cuore. Pensi che non me ne sia accorto?”. Il giudice Holden è una figura enigmatica e complessa, alcune sue azioni mi hanno veramente fatto male al cuore.
Questo non è un libro adatto a tutti, io l'ho scelto perché sono molto affezionata all'autore, John Grady è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto, ma qui il tema, e come è stato trattato, mi ha davvero toccato. Questo libro mi ha fatto soffrire ma resto comunque dell'opinione che McCarthy sia un grande.
Non è un libro leggero, ci sono scene violenti (ci vuole davvero tanta fantasia per potersele anche solo immaginare); consiglio la lettura agli appassionati dell'autore, ai cuori deboli consigli di rivolgersi altrove.
Buona lettura!
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Non c'è libertà senza verità
Può capitare di leggere un romanzo e rendersi conto che il protagonista non è particolarmente simpatico, un po' troppo fuori dalle righe e decisamente menefreghista. Può però anche succedere di ritrovarsi sempre nel solito libro un protagonista cambiato, cresciuto e soprattutto inseguito dai suoi demoni che diventa più umano, meno superficiale e decisamente più vicino alle tue corde.
Primo capitolo della trilogia del male di Roberto Costantini. Siamo nel 1982 e il giovane Balestrieri pensa più alla finale dei mondiali che alla scomparsa della bella Elisa Sordi. Quello che sembra un caso facile diventerà invece la bestia nera del protagonista.
Passano gli anni e noi veniamo catapultati nel 2006, dove troviamo il commissario Balestrieri, un uomo profondamente cambiato che ha messo da parte l'arroganza e la superficialità per diventare un uomo tormentato. E quando sembra che il passato sia dimenticato, torna lui, l'Uomo Invisibile, anche se nasconde bene la mano facendo incolpare altri, Balestrieri riconosce il suo tocco e non sarà facile farlo vedere anche agli altri.
Costantini ci presenta una società razzista, corrotta e manipolatrice, dove vince chi bleffa meglio e dove spesso i soldi e il potere aiutano dove il resto non può. In tutto questo buio però c'è chi lotta per la libertà, per i più deboli e per quelli che anche se provano ad urlare non vengono ascoltati.
Un libro che anche se parte lentamente arrivi ad un punto che non riesci a fermarti. Oltre seicento pagine volate via, dove una pagina chiama l'altra e fermare la lettura non è semplice.
Uno stile accattivante, una trama avvincente e un protagonista che si fa odiare ma anche amare.
Lo consiglio agli appassionati di gialli.
Buona lettura!!!
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Il tempo è sempre in prestito
"Chiamami con il tuo nome" non è, almeno per me, un libro facile da recensire. Ho letto vari commenti, questo è un libro che divide, c'è chi l'ha trovato di una noia mortale e chi l'ha trovato poesia pura.
Elio è un diciassettenne molto colto e amante della musica, grazie anche al padre, un noto professore universitario, e proprio l'attività del padre porta ogni anno alla loro villa al mare un ragazzo americano che soggiornerà con loro per ben 6 settimane.
Ogni anno Elio deve rinunciare alla sua camera per cederla all'altro, ma questo è un anno particolare perché l'arrivo di Oliver scatenerà in lui una reazione che non si era aspettato.
Aciman con uno stile molto elegante, anche se a volte questa eleganza è interrotta con dei termini che non ti aspetteresti, parla dell'omosessualità e di come la passione può scoccare per la prima volta.
Non sono fra gli amanti totalizzanti del libro, la storia l'ho trovata coinvolgente all'inizio ma lungo il percorso l'alchimia che si era creata è andata un pò scemando. Non posso neanche essere fra quelli che odiano il libro, anche perché lo stile dell'autore è il valore aggiunto, è quello che ti fa scorrere le pagine.
L'autore crea un romanzo di formazione, intriso di cultura, malintesi, gelosie, insicurezze e nuove scoperte. Ho apprezzato molto la figura del padre.
In conclusione questo è un libro che non consiglio a tutti, qui si assapora la lentezza e le paturnie di un adolescente.
"Ma avevo colto l'avvertimento e, come una giuria che ha ascoltato una deposizione inammissibile prima che sia cancellata dal verbale, all'improvviso mi resi conto che eravamo in un tempo preso in prestito, che il tempo è sempre in prestito e che la banca che ce l'ha concesso viene a riscuotere la rata proprio quando siamo meno preparati a pagare e, anzi, ce ne servirebbe dell'altro".
Buona lettura!
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Bene ma non benissimo
Alice Basso torna in libreria con il secondo libro dedicato alla serie di Alice Bo ambientata al tempo del fascismo. Alice ha vent'anni, è una bellissima brunetta che fa girare gli uomini per strada e ha deciso di posticipare il matrimonio con Corrado di sei mesi, per prendersi del tempo per lavorare; le sue poche doti da dattilografa l'hanno portata a lavorare per la rivista “Saturnalia” solo che quello che doveva essere un semplice impiego momentaneo è invece diventato qualcosa di più.
Alice ha scoperto l'amore per i gialli, romanzi di cui si occupa la sua rivista e con Sebastiano, figura centrale nonché autore, danno vita ad un nuovo personaggio:
“”Dobbiamo ricordarci per quale ragione abbiamo dato vita a J.D. Smith”, dice Sebastiano. “Doveva essere per poter raccontare le storie escluse dalla giustizia ufficiale e dai giornali, giusto? Per portare alla luce i soprusi che la legge non vuole punire. Perché non passino totalmente sotto silenzio, e le vittime possano ricevere quantomeno un po' di empatia, di riconoscimento e di affetto dai lettori visto che tanto un vero risarcimento ufficiale non arriverà mai.””
Alice Basso, documentandosi, mette in luce la vita delle donne e soprattutto delle ragazze madre e delle prostitute al tempo del fascismo. Con leggerezza parla di argomenti importanti che spesso molti evitano di approfondire ma che purtroppo fanno parte della nostra storia. Il giallo questa volta è più presente, entra subito nel vivo rispetto all'altro romanzo e l'indagine è più approfondita. L'autrice punta sempre sui suoi protagonisti e in questo volume anche Clara e Candida ( le mie preferite) diventano personaggi più presenti.
La Basso parla di amicizia, di amore e della giustizia che purtroppo non sempre fa il suo giusto corso. Mette in luce le difficoltà del tempo e come le apparenze spesso sono l'unica cosa che conta. Dà parola anche a quelle persone che al tempo non ne avevano. Fin qui tutto bene, cosa stona almeno per me in questo libro? Semplicemente lo stile e le ripetizioni. La Basso non si migliora rimane sempre allo stesso livello, non vedo una crescita ma casomai una decrescita. Per me è una scrittrice che va letta a piccole dosi o a dosi singole, in quel caso fa colpo perché lo stile è particolare e valido ma sul lungo andare la monotonia stilistica non aiuta, la simpatia perde di brio, quello che divertiva all'inizio alla fine diverte meno. Vorrei non che stravolgesse il suo modo di scrivere ma apprezzerei dei cambi di registro o comunque qualche novità.
“Il grido della rosa” è un libro leggero, adatto sotto l'ombrellone che farà divertire le meno “fiscali” e che farà apprezzare il contesto storico alle più esigenti. Un libro spensierato, adatto a chi cerca cose del genere, per letture più impegnative rivolgersi altrove!
Buona lettura!
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Nessuno era così solo come lui
“Immobile restò Siddharta, e per un attimo, la durata d'un respiro, un gelo gli strinse il cuore, ed egli lo sentì gelare nel petto come una povera bestiola, un uccello o un leprotto, quando s'accorse quanto fosse solo”.
“Siddharta” è un piccolo libro ma con all'interno tanta sostanza. Hesse utilizza uno stile scorrevole, piacevole e con un messaggio profondo. Sfido chiunque a non essersi sentito almeno una volta nei panni del protagonista.
Siddharta è figlio di un Brahmino e ben presto si rende conto che ormai il padre e gli altri maestri non hanno più niente da insegnargli “gli avevano già versato interamente i loro vasi pieni nel suo recipiente in attesa, ma questo recipiente non s'era riempito”.
Così il giovane parte insieme al fedele amico Govinda per un'avventura. Hesse rappresenta in maniera magistrale l'evoluzione che almeno una volta nella vita colpisce ognuno di noi. L'insoddisfazione, il rendersi conto di non essere nel posto giusto, seguire una strada e poi prenderne una completamente diversa e senza dimenticare gli errori che spesso servono a raggiungere la meta.
Ho particolarmente apprezzato il fatto che l'autore mi abbia presentato un uomo che inizialmente sembra al di sopra degli altri ma che in realtà è fragile, debole e cerca di aiutare gli altri a non fare i soliti errori quando è stato proprio il primo a compierli. Spesso dobbiamo toccare il fondo per poter ritrovare noi stessi.
“Tu sei sapiente Siddharta; ebbene, impara anche questo: l'amore si può mendicare, comprare, regalare, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere”.
Lo consiglio!
Buona lettura!!!
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“Ne manca una, mancano tutte”
“Quando ti muore il marito sei vedova. Quando ti muore il padre, sei orfana. Linee gerarchiche, verticali. Io non sono né l'una né l'altra. Sono qualcosa che non ha nome, perché la mia perdita è orizzontale... Non hanno inventato nessuna parola per una sorella rimasta senza sorella”.
Marcela Serrano si mette a nudo in un momento della sua vita davvero critico. Le è morta la cara sorella Margarita e nel suo periodo di lutto decide di dedicare un libro alla sorella spiegando bene di cosa si tratta:
“Ebbene, questa non è una biografia di Margarita, sono soltanto appunti sull'elaborazione di un lutto, ma è stata lei a evocarli, è lei la protagonista di questo libro”.
Quello che ne viene fuori è proprio “Il mantello” un libro che non ti aspetti dove oltre all'amore per la sorella si scopre anche l'importanza che tutta la sua famiglia ha per l'autrice.
La troviamo bambina, ragazza, viva e felice insieme alle sue sorelle e poi c'è lei la protagonista con cui l'autrice ha un legame speciale e profondo. Sono proprio come nella famiglia di “Piccole donne” solo molto più privilegiate ma anche loro hanno avuto le loro battaglie da combattere e Margarita più delle altre. Il vuoto che si è lasciata dietro fa capire la bella persona che era.
Oltre allo stile della Serrano che avevo già potuto apprezzare in altre opere, qui ho apprezzato molto anche la copertina del libro, spesso ci sentiamo sole quando perdiamo qualche persona cara, ma nel nostro cuore il loro posto è sempre pieno.
Un libro che consiglio per la forza che l'autrice ha trovato nel pubblicarlo, non tutti hanno il coraggio di mettersi a nudo e sono rimasta sorpresa nel trovare una Serrano a volte “sboccata” come si dice, quando ci vuole ci vuole.
Buona lettura!
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Un libro tosto
David Lurie ha cinquantadue anni, è divorziato ed ha una passione che con la sua età e la sua professione non va proprio bene. Questa sua debolezza lo porterà alla disgrazia e soprattutto alla vergogna, con cui non è così semplice vivere.
“Non rifiuto la punizione. Non mi ribello. Anzi, la vivo giorno dopo giorno, cercando di accettare la vergogna come la condizione della mia esistenza. Pensa che a Dio sia sufficiente, se vivrò per sempre nella vergogna?”.
David Lurie ha un pessimo carattere e la sua colpa diventa ancora più grande e lo porta a cercare “asilo” a casa della figlia Lucy, che abita in una fattoria.
Se già l'inizio del romanzo non è semplice, e non per la scrittura, ma per gli argomenti trattati, Coetzee aggiunge anche la situazione che c'è nel Sudafrica post-apartheid, in cui l'integrazione non è ancora stata raggiunta e i bianchi e in particolare le donne sole non sono ben viste.
David mentre sconta la sua pena si troverà davanti un mondo a lui sconosciuto e di difficile comprensione, in cui le dinamiche più ovvie non sono quelle che alla fine sono le più facili da seguire.
Un libro difficile, non piacevole, ma molto istruttivo. L'autore che avevo già conosciuto con “Aspettando i barbari” anche questa volta non sbaglia. Uno stile fluido, ben leggibile ma non facile da digerire.
L'empatia con i personaggi è difficile, se da una parte l'arroganza e la presunzione di David bloccano qualsiasi simpatia, dall'altra c'è Lucy, che fa delle scelte così poco comprensibili da rendere davvero difficile immedesimarsi in lei. In questo romanzo si soffre su più punti di vista, non ultimo il trattamento che viene riservato agli animali.
Un libro che non consiglio a tutti, Coetzee si legge bene ma dopo aver finito il libro la sensazione che mi è rimasta addosso non è stata piacevole.
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- sì
- no
La nostra “russa”!
Dopo “Canne al vento” e una serie di racconti eccomi ad ultimare “L'edera”, un romanzo che ti lascia il segno. Grazia Deledda con le sue storie mi fa sentire tanto “l'aria” dei russi, non solo nelle ambientazioni (qui non ci sarà il freddo russo ma c'è la povertà sarda) ma anche nelle azioni dei protagonisti e soprattutto nel loro lato introspettivo.
La protagonista indiscussa del romanzo è Annesa:
“Ella aveva partecipato a tutte le vicende della famiglia, in quella casa dove il destino l'aveva gettata come il vento di marzo getta il seme sulla roccia accanto all'albero cadente. Ed era cresciuta così, come l'edera, allacciandosi al vecchio tronco, lasciandosi travolgere dalla rovina che lo schiantava.”
Quando faccio un paragone con i russi so che molti lettori vorrebbero storcere il naso al solo pensiero, ma qui non stiamo parlando di un'autrice qualsiasi perché anche lei con le sue doti si è meritata un Nobel per la Letteratura.
In questo romanzo non manca la miseria, la disgrazia che non viene mai sola, l'eroe che in realtà è un antieroe, il deforme, il malvagio, l'allegro, il pio e soprattutto lei, l'edera. La Deledda va nel profondo dell'anima dei suoi protagonisti, li indaga e li fa indagare. Non mancherà, come nei migliori romanzi russi, la coscienza, che prova ad avere la meglio sull'animo umano ma che però viene sopraffatta dalla sua debolezza e da azioni non collegate ai pensieri.
Questo è uno di quei romanzi in cui più volte avrei voluto dare una bella scossa ai protagonisti. Ho assistito impotente alla storia e l'autrice non risparmia nessuno. Una italiana che va riscoperta e approfondita, una donna che si è fatta da sola.
“E pensa, o meglio non pensa, ma sente che la sua vera penitenza, la sua opera di pietà è finalmente cominciata. Domani...: l'edera si riallaccerà all'albero e lo coprirà pietosamente con le sue foglie. Pietosamente, poiché il vecchio tronco, oramai, è morto”.
Un libro che consiglio agli amanti dei russi, della terra sarda e a chi è appassionato di grande letteratura.
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Coloreds
Trevor Noah è un comico americano molto conosciuto e apprezzato nel suo paese ma per diventare quello che è ha dovuto fare tanta strada ed ha deciso di raccontarlo in questo libro.
Trevor Noah scrive la sua storia con lo spirito "del comico" che lo contraddistingue nella vita reale, il libro sembra leggero, divertente, quasi spensierato, ma quello che scrive in realtà racconta la sua dura infanzia in Sudafrica. Noah è nato prima della fine dell'apartheid ed ha provato sulla sua pelle tutte quello che questo significa.
Per lui trovare un posto nella sua patria non è mai stato semplice perché lui è un coloreds:
"A differenza degli Stati Uniti, in cui chiunque avesse una goccia di sangue nero diventava automaticamente "nero", in Sudafrica costoro venivano inseriti in un gruppo a parte: né bianchi né neri, bensì quelli che chiamavamo coloreds".
Mamma nera e babbo bianco, in un periodo in cui non potevano stare insieme, rendono la vita del piccolo Trevor davvero difficile. Sua madre è una vera ribelle ma è anche la regina di questo libro.
Come dicevo il libro è divertente ma quello che l'autore fa passare grazie all'ironia non nasconde la reale portata del suo messaggio. Il renderlo con questo stile l'ha reso accessibile a tutti e tutti devono sapere quello che hanno passato le persone in questa dura fase storica, una fase che spesso viene tralasciata dai libri e che invece meriterebbe molta più attenzione.
Trevor Noah non si nasconde dietro niente e con genuinità e umiltà ci rende partecipi della sua infanzia e di tutte quelle cose che lo hanno reso la persona che è ora.
Avrei preferito uno stile più ricercato? Forse, ma chi sono io per dirlo e lui con tutto quello che ha passato si può davvero permettere di scrivere tutto come vuole.
Ottimo spunto di lettura per chiunque si volesse avvicinare agli usi e costumi della popolazione sudafricana prima e dopo l'apartheid.
Buona lettura!
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Vietnam
“Oh, Guava, un tempo pensavo che il nostro destino fosse nelle nostre mani, ma ho imparato che, quando c'è una guerra, le persone sono solo foglie che cadono a migliaia, a milioni, a causa dell'imperversare della tempesta”.
“Quando le montagne cantano” è il primo romanzo della poetessa vietnamita e in questa storia si sente l'amore e il dolore per il suo paese.
Siamo negli anni '70 e Diêu Lan e la nipote Huong devono correre sulle montagne, la guerra è arrivata anche ad Hà Nôi, nel Nord del Vietnam, per la piccola nipote è la prima volta che la guerra si avvicina così, anche se i suoi genitori sono partiti per combatterla, ma per la nonna questa non è la prima guerra e la prima separazione dai figli e per rendere la nipote più consapevole dell'importanza della famiglia gli racconta la sua storia.
“Comprendi perché ho deciso di raccontarti della nostra famiglia? Se le nostre storie sopravvivono, noi non moriremo, neanche quando i nostri corpi non saranno più su questa Terra”.
Fra passato e presente, fra ritorni e partenze, fra dolori e speranze viviamo gli anni che hanno distrutto una nazione, la sofferenza inflitta alla popolazione e le ingiustizie che in ogni guerra ci sono. Ma la scrittrice ci apre anche gli occhi sulle tradizioni del suo paese, sulla bellezza dei proverbi e l'importanza dei loro significati e anche se si perde la speranza bisogna sempre trovare la forza di andare avanti.
Un libro che ti tiene incollata alle pagine, pagine che provocheranno sdegno, tristezza e un senso di ingiustizia ma poi la forza che queste donne riescono a tirare fuori, di questo popolo che cerca sempre di rialzare la testa davanti a tutto, ti aprono il cuore e la voglia di andare in quei luoghi.
Grazie allo stile molto elegante e ricercato e mai violento ( la storia racconta cose dure e forti ma lo fa senza andare nel dettaglio), anche se in alcuni casi si sente che la “penna” è ancora da rodare, mi sono immersa in queste pagine e ne sono uscita arricchita. Ho approfondito l'aspetto storico e culturale di un paese che mi affascina molto e che troppo spesso ha dovuto subire le decisioni di altri.
Lasciatevi conquistare da queste pagine, non ne rimarrete delusi.
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Le storie uniscono
"Cara lettrice, caro lettore,
la storia che stai per leggere è stata scritta in trenta giorni durante il lockdown. A fine giornata inviavo il capitolo a mia madre e a un gruppo di sette amiche”.
Alessia Gazzola inizia con questa premessa la lettura del suo nuovo romanzo. Per me è stato facile immedesimarmi nelle “riceventi”, con una delicatezza unica l'autrice ha aiutato questo gruppo di otto donne in un momento molto difficile, creando un appuntamento fisso. Quello che ho maggiormente apprezzato è stata l'ambientazione della storia. La Gazzola ci ha fatto prendere l'aereo e ci ha fatto volare in una residenza inglese, con tanta storia e tanto passato.
La storia parte bene, la protagonista Angelica, figlia minore di una famiglia benestante, in cui tutti hanno già trovato il loro posto nel mondo, viene spesso ripresa dalla famiglia perché non ha le idee molto chiare sul suo futuro. Angelica ha ventisette anni, è una sognatrice e ama preparare i lievitati; ma un caso fortuito o anzi la zia Edvige, la riportano sulle tracce del suo bisnonno in Inghilterra.
Stiamo parlando ovviamente di letteratura rosa, il libro conta poco più di 180 pagine e la prima metà è un vero toccasana, ci troviamo catapultanti in questi ambienti bucolici e molto stile “Austen” ; ma proprio quante le cose dovrebbero diventare più interessanti la storia perde, l'autrice inizia a correre, anche troppo e tutto succede in fretta e poco si riesce ad assaporare. Anche la piacevolezza iniziale perde e quel brio con cui la lettura era partita, lungo la strada si è perso.
Lo stile è sempre piacevole anche se questa tendenza a dilungarsi su alcune parti e a saltarne ben altre le ho riscontrate anche in altre opere dell'autrice.
Un libro piacevole e leggero che però non supera le tre stelle di piacevolezza anche se le basi di partenza erano ben diverse.
“In un bilancio tra il dire e il fare e tra il non fare e il tacere, quest'ultima combinazione ha vinto a mani basse. E questo dovrebbe farmi riflettere, perché come dice sempre la zia Edvige, con l'acqua tiepida non si cuoce niente”.
Buona lettura
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Quando l'immagine aiuta
Anni fa lessi “Dovremmo essere tutti femministi” un piccolo libro con un grande messaggio che spiegava come grazie anche all'aiuto proprio degli uomini le donne avrebbero potuto fare dei passi in più. Anche questa volta il messaggio che manda la fumettista Emma è proprio quello, questo è un libro non solo adatto alle donne, ma soprattutto ai loro amici, colleghi, mariti, compagni e sconosciuti.
Con dieci storie che raccontano dieci dinamiche sociali diverse, la protagonista spiega in maniera semplice, utilizzando appunto il fumetto, come noi donne ci sentiamo e come viviamo il nostro quotidiano. Quelle che vengono presentate sono situazioni che prima o dopo ci siamo trovate ad affrontare e a cui l'autrice con ironia, ma anche con decisione, cerca di trovare delle soluzioni per migliore la vita nostra e quella delle persone che ci stanno vicino.
Quello che ho apprezzato di questo libro è la veridicità delle situazioni, è difficile non immedesimarsi in una situazione o in una reazione.
Non facile è anche ritrovarsi in quelle dinamiche e riflettere sui cambiamenti che ognuno dovrebbe fare nella propria vita.
Ironico, pungente, diretto e riflessivo, con questo libro non ci si può annoiare; scorre velocemente e da molti spunti di riflessione e condivisione.
““Che disastro! Ma che hai fatto?”
“In che senso che ho fatto? Ho fatto TUTTO, ecco che ho fatto”
“Ma bastava chiedere! Ti avrei aiutata!””.
(Senza le immagini la frase rende meno, ma con l'immagine è favolosa!)
Buona lettura!
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Ma io sono paziente
“Ho impiegato quattro anni per scoprire la data esatta della sua nascita: 25 febbraio 1926. E sono stati necessari altri due anni per conoscere il luogo di quella nascita: Parigi, 12° Arrondissement. Ma io sono paziente. So aspettare per ore sotto la pioggia”.
Ho voluto iniziare la recensione con questa frase perché la pazienza di Modiano mi ha colpita. Il caso ha voluto che su un giornale di quasi cinquant'anni prima trovasse un annuncio in cui i genitori cercavano la figlia, Dora Bruder; di lei una piccola descrizione, ma Dora non è una ragazzina qualsiasi, è ebrea in un periodo in cui in Francia c'era l'occupazione tedesca.
Dora Bruder innesca nell'autore la volontà di sapere cosa sia effettivamente successo a questa ragazza ribelle. Modiano è paziente, non si ferma davanti ai molti vicoli ciechi e quello che ci presenta è un piccolo capolavoro.
Seguiamo le poche tracce disponibile su Dora e nel frattempo, lungo il percorso incontriamo anche altri che hanno seguito il suo destino. Non solo, l'autore mette anche qualcosa di se, ci presenta quelle strade molti anni dopo, unisce il suo trascorso a quello di Dora e del padre.
“Altri, come lui, proprio prima della mia nascita, avevano patito pene di ogni sorta per consentire a noi di provare soltanto piccoli dispiaceri. Me n'ero già reso conto attorno ai diciott'anni, durante quel tragitto in cellulare con mio padre... tragitto che era soltanto la ripetizione inoffensiva e la parodia di altri percorsi, negli stessi veicoli e verso gli stessi commissariati di polizia, ma da cui non si tornava mai a casa sulle proprie gambe come avevo fatto io quel giorno.”
Un libro che va apprezzato per l'originalità, per le emozione che suscita e per lo stile dell'autore;
per come si è messo a nudo in alcune situazione e come ha cercato di rispondere a quella richiesta in sospeso.
Lo consiglio, dopo aver letto tre libri dell'autore, questo è quello che mi ha convinto di più.
Buona lettura!
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Caterina da Broni
Quella che ci presenta Marina Marazza è la storia romanzata di Caterina da Broni, non è la prima a provarci, sono molti gli autori che nel tempo sono stati affascinati da questa donna, protagonista di uno dei più famosi processi per stregoneria. Sciascia, il Manzoni e il Verri sono solo alcuni dei nomi che hanno speso delle parole per questa donna, l'autrice la presenta in maniera romanzata, in alcuni casi forse anche un po' troppo.
Se quello che il lettore si trova a leggere gli provoca stupore, non potrà fare a meno di rimanere impressionato alla fine, quando scoprirà che la maggior parte dei fatti è dimostrato da dati storici.
La vita di Caterina Medici da Broni racconta molto della vita in generale delle donne del tempo “E poi ricordate, figlio mio: i servi non né uomini né donne. Sono solo servi”.
Il destino di Caterina è segnato fin dalla sua giovane età, la sua vita è tutto un insieme di catastrofi e fughe e molte sue scelte sono state dettate dalla vita che non è stata generosa con lei:
“”Non hai paura del demonio?”
Sostenni il suo sguardo. “A dirvi la sincera verità, non credo che satanasso possa essere molto peggio di certi uomini che ho incontrato”.
Parallela alla storia di Caterina c'è quella di Salem, inventata dall'autrice che però richiama una figura molto particolare e affascinante del tempo, il boia, e tutto i dettagli che riguardavano questa professione:
“Quel che mio padre e io facevamo sul palco dei supplizi era un rito, non meno solenne di quello che si compiva sull'altare”.
Un libro che racconta in maniera superficiale tutti gli accadimenti del tempo e della vita della strega. Uno stile molto leggero e semplice, adatto a tutti e se forse avrei preferito uno scritto un po' meno sempliciotto, dall'altro ho apprezzato il lavoro storico fatto dall'autrice, vengono nominati nomi e personaggi reali (ho adorato la storia della pittrice Fede).
Una storia dura da digerire per gli argomenti trattati. Una donna che pur tutta la vita ha cercato il suo posto nel mondo, solo che è nata in uno dei periodi storico peggiore per essere una donna e soprattutto una serva.
Buona lettura!
Avesta Harum
“Quando sei un cecchino, non devi solo saper sparare. Devi avere stabilità mentale, capacità di concentrazione, tenuta fisica. Devi essere in grado di sentire la natura intorno a te. Di controllare e gestire le emozioni. Uccidere qualcuno che non ti sta minacciando direttamente significa uccidere una parte di te stesso. E devi essere capace di resistere a questo morire”.
Marco Rovelli decide di fare un viaggio in Kurdistan per mettersi sulle tracce di Avesta Harum. Avesta è curda, ma il territorio dove vive è stato diviso tra altre nazione, lei si trova nella parte sotto la dominazione turca e un giorno dice basta, lei si sente curda e vuol avere il diritto di parlare la sua lingua nel suo paese, non sarà l'unica a farlo.
L'autore ci racconta una storia forte, la protagonista indiscussa del romanzo è Aversa, ma intorno a lei sono molte le persone che combattono, ognuno a suo modo. Lei fa parte dei guerriglieri del Pkk e vuole la libertà, ma non sono una libertà politica, Aversa combatte anche per le donne:
“Quando ti accorgi che dove vivi la gente ha un comportamento feudale e patriarcale, e poi dall'altra parte c'è il nemico, quello che non vuole che parli la tua lingua e ti picchia per strada, non puoi aspettare che qualcuno venga ad insegnarti, devi camminare da sola. È orribile sentire che intorno a te la gente pensa che la donna da sola non sia capace di fare niente, non sappia decidere, non possa difendersi, muoversi, lavorare fuori, viaggiare. L'idea che debba avere un uomo per sopravvivere, questa per me era insopportabile”.
Con uno stile non proprio indimenticabile, l'autore ci porta fra i monti del Qandil, dove una donna combatte per dei principi. Una storia raccontata dall'interno, che mette in luce molti fatti dolorosi per una terra che cerca pace. Lo consiglio, non per lo stile dell'autore, ma per il coraggio che ha avuto nel raccontare questa storia, sono queste le testimonianze che ci permettono di aprire gli occhi sul mondo. Se avesse scritto anche qualcosina in più, per meglio contestualizzare il periodo storico e le vicende intorno ad esso, l'avrei preferito.
Buona lettura!
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Un giorno perfetto per ricordarle
“Per la prima volta nella storia del nostro popolo, le gerle che per secoli abbiamo usato per portare i nostri infanti, i corredi delle spose, il cibo che dà sostentamento, la legna che scalda corpi e cuori accolgono strumenti di morte: granate, munizioni, armi”.
Siamo in Friuli, vicino al confine austriaco durante la prima guerra mondiale, l'esercito è allo stremo e anche gli strateghi si sono finalmente resi conto che le vette non posso essere raggiunte senza mulattiere o rotabili, i nostri ragazzi sono lassù e hanno bisogno di rifornimenti. Ma nel fondovalle c'è un bene prezioso sopra ogni cosa e non è un oggetto, sono le donne.
“Anche adesso, siamo uscite dall'oblio solo perché servono le nostre gambe, le braccia, i dorsi irrobustiti dal lavoro”...”Siamo noi i muli oggi”.
E così che entrano in scena le “Portatrici” donne che hanno da perdere tanto sulle vette, dove si trovano i mariti, i figli, i parenti, e hanno tanto da perdere a valle, dove si trovano le loro case e tutto quello che resta della loro famiglia. Quando l'esercito chiama, le donne rispondono e lo fanno con un coraggio e una forza di animo che anche chi all'inizio era diffidente si rende subito conto del valore aggiunto di queste volontarie che rischiano la loro vita e lo fanno con amore.
Il romanzo di Ilaria Tuti riporta molti fatti realmente accaduti, l'autrice si è documentata ed ha dato un volto a queste donne rendendole più vicine a noi. Sono contadine fuori ma soldati dentro.
Con un stile elegante e non pesante la Tuti ci porta su per quelle vette, dove solo la tenacia delle stelle alpine riesce a nascere, detti anche “Fiore di roccia”.
Una storia bella, importante e piacevole, quale giorno migliore se non la festa della donne per ricordare queste vere “Donne” che appena la patria ha avuto bisogno di loro si sono subito rimboccate le maniche pur sapendo i rischi a cui andavano incontro.
Consiglio la lettura alle donne ma anche agli uomini, un romanzo che ci fa riflettere, la Tuti rende merito anche agli alpini, uomini costretti a combattere in luoghi dove “solo le aquile osano”.
Buona lettura e buona festa della donna!
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L'uno il mondo intero dell'altro
"Ti posso chiedere una cosa?
Si, certo che puoi.
Tu cosa faresti se io morissi?
Se tu morissi vorrei morire anch'io.
Per poter stare con me?
Sì. Per poter stare con te.
Ok."
Un padre e un figlio, una strada e un carrello, un passo dopo l'altro, si può pensare solo all'adesso, il dopo è un lusso e loro di lussi non ne hanno.
Dopo aver iniziato la lettura una sensazione di malessere mi ha accompagnata per tutta la serata e non ne capivo il motivo, poi analizzando bene le cose mi sono resa conto che McCarthy lascia il segno e questa storia mi era entrata dentro.
Uno stile asciutto, senza fronzoli ne digressioni per raccontare un mondo morto, un mondo difficile per chi ha visto il prima e difficile anche per chi non sa cosa c'era prima.
Un amore così profondo e intenso che rimanere distaccati è molto difficile.
"Per niente al mondo.
No. Per niente al mondo.
Perché noi siamo i buoni.
Sì.
E portiamo il fuoco."
Potente, riflessivo e non facile da dimenticare, su quella strada li ho accompagnati per tanti km e su quella strada è rimasta una parte del mio cuore. Questo è un autore che libro dopo libro sto apprezzando sempre di più. Il suo stile è così particolare e originale che mi lascia incantata.
Lo consiglio, mi raccomando va affrontato in un momento di serenità altrimenti questo aggiunge il carico.
Buona lettura!!!
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Coronavirus anche qui...
Anna Premoli torna in libreria con il terzo e ultimo capitolo dedicato ai “moschettieri” di Milano e l'ultimo rimasto è Ludovico. La storia parte bene e a tinte molto originali, per la prima volta (anche se conosciuta di sfuggita negli altri libri) torna in scena la ex moglie Ginevra. Scelta insolita per un romanzo rosa ma per questo anche più curiosa.
La storia come dicevo parte bene, anche perché l'autrice sa scrivere, su questo non ci sono dubbi, il problema sono i personaggi e il seguito. Ludovico bene o male l'avevamo un po' conosciuto grazie ai due precedenti romanzi, per quanto riguarda Ginevra, oltre a sapere che è magra non sono proprio riuscita ad immaginarmela, figurarsi ad immedesimarmi in lei. I personaggi non decollano, restano un po' “piattini” ma quello che rovina tutto è l'arrivo del Coronavirus.
Se avessi letto questo libro a distanza di qualche anno probabilmente lo avrei potuto apprezzare di più o comunque avrei riflettuto su un periodo della mia vita che sinceramente vorrei non aver vissuto. Ma qui siamo ancora in piena pandemia e la letteratura rosa dovrebbe avere il dono di farti rilassare, divertire, svagare e soprattutto evadere e non trovarti davanti quello che purtroppo non è stato ancora superato.
Posso apprezzare la storia che voleva essere più matura di altre ma neanche quella si salva visto il contesto. Un libro che si fa leggere ma che gli manca quelle spensieratezza e leggerezza che ti aspetteresti da una lettura del genere..altrimenti avrei scelto altro.
La Premoli ormai è molto lontana dai suoi inizi, quando finivi un libro e avevi subito la voglia di ricominciarlo, questo l'ho finito e chiuso.
Buona lettura.
La voce di Patroclo
La mitologia greca mi ha sempre affascinato fin dalle scuole medie e quando per caso ho sentito parlare di questo libro, in me si è subito accesa la voglia di leggerlo.
Il titolo doveva essere non “La canzone di Achille”, ma “La voce di Patroclo” perché è proprio dalla sua bocca che nasce la narrazione.
Patroclo è sempre stato, almeno per me, una figura di secondo piano e invece grazie a questo testo ne ho apprezzato le qualità e la forza. Questo non è un libro in cui si parla di guerra, di strategie e di tradimenti; questo è un libro che tocca corde più delicate come l'amore, l'amicizia, il sacrifico e l'affidarsi agli altri.
Patroclo per gran parte della sua vita si sente sempre fuori posto e solo accanto ad Achille si sente se stesso, ma si sa che non tutto può filar liscio specialmente se l'oggetto dei tuoi sogni ha una madre con un carattere non semplice e soprattutto è una dea, anche se minore, ma pur sempre una dea.
“Subito, sussurri e mormorii: gli uomini avevano già cominciato a sospettare degli dei. Non era forse vero che tutto il male e tutto il bene venivano elargiti dalle loro mani?”.
Con uno stile raffinato, dolce e molto delicato, l'autrice ci presenta un testo che merita la lettura anche solo per il nuovo punto di vista con cui presenta una storia già conosciuta. Pur sapendo molto bene come sarebbe andata a finire la storia, in un cuor mio speravo ancora nel miracolo perché l'autrice ti rende i protagonisti più umani, con tutti i lori difetti e pregi.
Un esordio che mi ha colpita, che consiglio ricordando che l'approccio è molto diverso dagli altri testi sull'argomento, ma non per questo da sottovalutare.
Buona lettura!
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A me non è piaciuto
Non è facile recensire un libro con così tanti pareri positivi quando a te il libro non è piaciuto.
Cercherò di essere obiettiva, ho già letto altro di Simenon e solitamente i suoi libri mi sono sempre piaciuti; non ho letto solo Maigret, mi sono dedicata anche ad altri testi dove l'investigatore non era presente.
“L'uomo che guardava passare i treni” all'inizio l'ho trovato curioso e interessante, un uomo, Kees Popinga, con una vita regolare e sempre uguale, una notte scopre che il titolare sta per scappare e lasciare l'azienda sul tracollo finanziario.
Chiunque al posto del protagonista sarebbe caduto se non in depressione, almeno un duro colpo l'avrebbe preso, ma Kees Popinga invece stravolge tutto e parte finalmente per l'avventura e una nuova vita, quella a cui aveva sempre rinunciato. Prende un treno e va!
Popinga potrebbe rappresentare la rinascita o una nuova possibilità o comunque far riflettere su quello che a chiunque potrebbe capitare, ma io non ho trovato nessuna empatia con il protagonista.
Se Simenon presenta in maniera dettagliata la psicologia e il carattere di Popinga e la sua continua ricerca di qualcosa che gli era sempre sfuggito, dall'altra secondo me forza troppo con la storia.
Non mi sono sentita in sintonia né con lui né con gli altri protagonisti che interagiscono nel breve racconto. Quello che ho apprezzato è la Parigi sullo sfondo, con i suoi numerosi quartieri, ognuno caratterizzato da qualcosa di unico e diverso.
Probabilmente la colpa sarà mia viste le altre recensioni, a me non è piaciuto e non mi sento neanche di consigliarlo. Il bello della lettura è proprio questo, non tutto può piacere e non tutto arriva al lettore, l'importante è leggere sempre e comunque.
Buona lettura.
Educazione sentimentale a metri quadri
Andrea Bajani con il suo nuovo romanzo decide di raccontare la vita di Io (così verrà chiamato per tutto il libro), attraverso le abitazioni in cui il protagonista è cresciuto ed ha vissuto gli attimi salienti della sua vita.
Il romanzo è innovativo, su questo non ci sono dubbi, l'autore suddivide il libro in capitoli dedicati alle varie case, ogni due o tre pagine ci troviamo in un anno diverso e in una nuova casa.
Partiamo dalla sua nascita, ma i salti temporali sono continui, andiamo avanti e indietro nel tempo e spesso ci ritroviamo dopo molte pagine nelle solite case, ma in anni e situazioni differenti.
Lo stile dell'autore è particolare, forse anche un po' troppo, minimalista nel rappresentare alcune scene ma comunque non superficiale. Non sarà facile mettere tutti i tasselli al posto giusto per avere alla fine un quadro generale, molte volte durante la lettura mi sono sentita un po' spaesata, non è poi semplice leggere un libro in cui i protagonisti sono Io, Nonna, Madre, Padre, Sorella, Moglie, Bambina e Tartaruga.
Bajani mostra il dietro le quinte, quello che succede nelle case e non solo. Un romanzo che si fa leggere ma che non mi ha entusiasmata. Avrei preferito un approccio più empatico, una storia se non più lineare, almeno più coinvolgente. Le basi ci sono tutte, l'idea è interessante, le dinamiche molto forti ma nel complesso non incanta.
Questo è solo un pensiero personale, l'autore a mio avviso “gioca” troppo con l'italiano, cerca di esaltarlo e di utilizzare parole molto ricercate, a volte anche troppo, ma il risultato non è poi così piacevole, che voglia mettere troppo in luce le sue doti?
Non so se consigliarlo e non saprei a chi consigliarlo...posso dire che è un libro diverso e forse adatto a chi vuol apprezzare nuovi stili di scrittura.
“È da qui, nascendo che il mobilio detterà a Io per sempre la sua legge: sarà lui, da oggi in poi, ad avere l'ultima parola su tutti gli spazi che Io vorrà abitare, sulle metrature, sull'altezza dei soffitti, sull'organizzazione degli oggetti, dei vestiti, della pasta e del cibo in scatolette.”
Buona lettura.
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Eccezioni non esistono
“Non è che lui sia militare di mestiere. Ma tutti senza eccezione nella sua città e anche fuori nelle campagne, valli, rive del mare, per quanto è esteso il mondo, tutti in certo modo appartengono a un reggimento e i reggimenti sono innumerevoli, nessuno sa quanti sono, e nessuno sa neanche quale sia il suo reggimento, eppure i reggimenti sono accantonati qui intorno, anche nel cuore della città, benché nessuno se ne accorga e ci pensi. Però quando un reggimento parte, chi gli appartiene, pure lui deve partire.”
In questo breve racconto Dino Buzzati rende in maniera magistrale un'esperienza che prima o poi tocca a tutti:
“L'avviso arriva a tutti, con maggiore o minore anticipo, che talora è di ore, o di giorni, talora è di mesi o addirittura di anni: eccezioni non esistono.”
Quando arriva l'avviso, nessuna eccezione, ma quello che colpisce è come ognuno di noi arriva alla consegna del “foglietto” e soprattutto le reazioni che provoca. Quella che ci presenta l'autore è una carrellata di personaggi ed emozioni, ognuno vive l'annuncio e la partenza in maniera diversa, personale e profonda.
Un racconto di quasi ottanta pagine, che si legge in una manciata di ore ma che ti colpisce per molte di più. Dell'autore ho già letto “Il deserto dei tartari” e se lì ero stata colpita da alcuni suoi elementi, qui sono ben altri quelli che presenta. Nessuna lentezza, ad ogni personaggio solo poche pagine per raccontare e raccontarsi. Fra gli altri, quelli che mi hanno più colpito sono lo scrittore Stefano Caberlot e l'incontro con il diplomatico venuto da Marte.
Un libro che consiglio, è rapido, geniale e soprattutto ben scritto.
Buona lettura!
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L'importante è bere il caffè finché è caldo
Ho iniziato questo libro divisa in due parti: da un lato c'era la mia parte razionale che mi portava a diffidare da queste storie che superano i confini del reale; per fortuna dall'altro, c'era il mio lato sognatore che ha preso il sopravvento e mi ha fatto godere a pieno le bellissime storie raccontate in questo testo.
Il Giappone si sa è un luogo che richiama gli spiriti e ti fa credere a cose anche non reali, ne ho avuto un esempio con la cabina del telefono senza fili di un altro romanzo, qui ci troviamo all'interno di un caffè, dove un solo tavolo permette di tornare nel passato e nel futuro.
Molti di noi vorrebbero avere una possibilità per poter tornare indietro e dire qualcosa a qualcuno, bene in questo caffè si può, ma le regole da seguire sono molte, fra le più importanti c'è quella che non si può modificare il presente, la persona che si vuole incontrare deve essere già stata lì e soprattutto che il caffè va bevuto finché è caldo altrimenti si rischia di rimanere intrappolati.
Ad accoglierci nel caffè c'è la efficiente ma sempre seria Kazu, il tenero papà Nagare e la sua dolcissima bambina Miki che riesce a sdrammatizzare la serietà del romanzo. Un cliente dopo l'altro viviamo le storie e il perché quelle persone hanno bisogno di quel tavolino.
L'atmosfera del Giappone non si vive all'esterno fra ciliegi e palazzi, ma l'autore riesce a portarla all'interno di questo piccolo caffè, una storia che ti aspetti vista la sensibilità e la scelta degli argomenti più adatta ad una scrittrice e invece ti trovi la foto di questo scrittore così sorridente che ti scalda il cuore.
Non ho letto il primo libro dell'autore, con questo non ho avuto difficoltà ad ambientarmi, le storie sono tutte molto forti e la lacrima è scappata. Anch'io avrei voluto gustarmi un bel caffè e farmi sorprendere dalla vita come hanno fatto i vari personaggi.
Un libro veloce, scritto bene e molto profondo ma non pensante. L'autore ha voluto dare un po' di speranza in questo periodo non semplice.
Lo consiglio solo a chi ha voglia di lasciare la realtà e sedersi a bere un buon caffè.
“La sua vita di disperazione era diventata una vita di speranza. Il suo modo di pensare si era radicalmente trasformato.
“Non è il mondo a essere cambiato, sono io...””.
Buona lettura!!!
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Perché la sorte ci stronca così, come canne?
Siamo in Sardegna, in un paesino di campagna, dove troviamo povera gente, arricchiti, caduti in disgrazia, disonesti e soprattutto superstiziosi.
“Era un giovedì sera e l'usuraia non filava per timore della Giobiana, la donna del giovedì, che si mostra appunto alle filatrici notturne e può loro cagionare del male”.
Tra i protagonisti principali troviamo Efix e le sue tre padrone rimaste sole e cadute in disgrazia. L'animo di Efix non è tranquillo, la sua coscienza ha qualcosa da espiare e per questo sopporta tutto e il suo unico scopo è quello di render felici le sue padrone. E quando le sue speranze sembrano ormai perdute, all'orizzonte si affaccia un parente uomo, che sia arrivata la salvezza?
“Egli spendeva e non guadagnava; ed anche il pozzo più profondo, pensava Efix, ad attingervi troppo si secca”.
Grazia Deledda crea un romanzo che per alcuni versi ricorda “Delitto e castigo”, qui troviamo un'anima tormentata che cerca di espiare la sua colpa e nel suo viaggio sono molti gli incontri che farà. L'autrice evidenzia anche la difficile vita del tempo e la dura condizione dei contadini, mette a nudo l'animo umano mostrando quello più nero e quello più puro e mette in luce le debolezze umane, la presenza dell'usura e come spesso la nostra volontà non può andar incontro al destino. Tutte questo però viene fatto con eleganza e con una scrittura ricca di immagini e spunti di riflessione.
La Deledda mi ha veramente conquistato, per me la sua è grande letteratura e il Nobel è proprio meritato. La mia unica colpa è stata quella di non averla conosciuta prima ma dopo questa lettura mi sono già appuntata altri titoli ed approfondirò sicuramente.
Un libro che consiglio.
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“Figlie uniche”
Sono molte le raccolte di biografie che negli ultimi anni hanno affollato gli scaffali delle libreria; si tratta soprattutto di biografie di scrittrici, scienziate e di tutte quelle donne che hanno portato al “riscatto” femminile. Quello che invece ci propongono le due autrici è una raccolta, sempre di biografie, che già il sottotitolo aiuta a capire un po' di più, perché queste sono “Storie di ragazze che tua madre non approverebbe.”
“Sono mistiche guerrafondaie, fantasmi che si aggirano nella brughiera, bambine ciniche, pornostar col cervello, atlete scorrette, regine del circo della vita, stiliste straccione, estremiste della ferita come arte, architette senza compromessi e icone trasgressive contro tutti i canoni.”
Il mondo è pieno di “Morgane”, alcune lasciano il segno altre meno, tutte queste non solo hanno lasciato il loro segno, hanno proprio fatto il botto, ognuna a proprio modo.
Sono donne che non sono diventate importanti all'ombra di altri ma che ognuna, chi con più fatica, chi con meno, hanno brillato anche se spesso la luce non è bastata. Quello che sicuramente hanno in comune tutte queste donne è il poter urlare al mondo che la loro vita l'hanno vissuta al massimo delle loro possibilità. Sono cadute, si sono rialzate, sono stata giudicate, additate e perseguitate, ma loro non hanno mai mollato.
Lo stile è molto diretto e se all'inizio avrei preferito un linguaggio un pochino più “aulico” alla fine mi sono resa conto che probabilmente uno stile diverso avrebbe reso meno l'animo delle protagoniste. Una raccolta che consiglio, ma devo dire non adatta alle giovanissime perché alcuni argomenti è meglio ascoltarli un po' più in là.
“Non seguo gli scandali, io li creo”.
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John Grady, la tua storia è diversa
Siamo nel sud del Texas, John Grady ha sedici anni ed è ad un bivio:
“Figliolo, non tutti sono convinti che vivere in un ranch del profondo Texas e allevare bestiame sia la cosa più sublime dopo il paradiso”.
Ma John Grady non la pensa così e insieme all'amico Rawlins lascia la casa di famiglia e in sella ai loro cavalli partono per il Messico.
Due ragazzi e un'avventura davanti, ma spesso il destino ci mette lo zampino:
“Per tutta la vita ho avuto la sensazione che i guai fossero proprio dietro la porta. Non che io stessi per finirci dentro”.
“Cavalli selvaggi” per me è stato il libro che non mi aspettavo, McCarthy mi ha incantato con i suoi paesaggi, i suoi protagonisti e ha reso così bene l'atmosfera da farmi sentire anche a me in Messico. Spesso dovevo ricordarmi che John Grady ha solo sedici anni, la sua maturità e le sue doti spesso me lo facevano dimenticare, ma la cosa di cui sono sempre rimasta certa è che anch'io, come Rawlins, avrei voluto un amico così.
Non conoscevo l'autore, durante la lettura ho trovato qualche difficoltà a seguire il messicano (nel testo non è tradotto), a volte ho usato l'intuizione, altre l'immaginazione; altra cosa non semplice sono i dialoghi, il discorso diretto non è segnalato (così nell'edizione “La biblioteca di Repubblica”) e spesso un pensiero in realtà è un dialogo. Tralasciando questi dettagli, il libro mi ha conquistato, situazioni e luoghi così diversi da me, mi sono arrivati ugualmente. Non sono un amante dei cavalli (anzi ne ho paura), ma ai miei occhi l'autore ha riabilitato questo stupendo animale e come Grady anch'io me lo immaginavo allo stato brado.
“Quella sera John Grady sdraiato nella branda udì una musica lontana provenire dalla casa, e scivolando nel sonno vide solo cavalli, aperta campagna e ancora cavalli. Cavalli bradi della mesa che non avevano mai visto un uomo a piedi, che non sapevano nulla di lui e della sua vita e che tuttavia l'avrebbero portato impresso per sempre nell'anima”.
Vi lascio con quest'ultima frase e posso dire che non è un libro adatto a tutti, ma per ci apprezzasse il genere direi imperdibile.
“Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore”.
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Quando la parola si incontra con l'immagine
“Piccole storie dal centro” è una raccolta di storie surreali realizzate dall'affermato fumettista Shaun Tau, chi come me lo ha apprezzato nell'Approdo o nell'Albero rosso, non potrà farsi mancare questa raccolta.
Shaun Tan è un autore per tutti, con le sue storie e le sue strepitose immagini riesce a colpire varie tipologie di lettori. Consiglio questa raccolta anche a chi non amasse i fumetti ma volesse ben capire quando l'immagine e la parola sono sulla stessa lunghezza d'onda e l'una non intralcia l'altra ma la completa.
La raccolta è composta da venticinque racconti surreali che hanno come protagonista principale il mondo animale. Coccodrilli, rane, tigri, cani, gatti, pesci e molti altri.
Ogni storia dura una manciata di pagine, anche se sembra di perdersi o di non capire niente, l'immagine e la potenza del testo arrivano comunque.
“Ci sentiamo molto a disagio, ci imbarazziamo facilmente e, proprio come la tigre, di solito vogliamo apparire in ogni momento il più rispettabili possibile, soprattutto in pubblico. Ma a differenza della tigre, che sa nel profondo del suo cuore che le strisce sono la cosa migliore del mondo e non penserebbe mai di mettere in dubbio il proprio aspetto in nessuna circostanza, nemmeno se significasse morire, gli umani non sono così sicuri di queste cose. Molte delle regole che riguardano l'aspetto e il comportamento provengono da un luogo molto distante dai nostri cuori. Siamo eternamente divisi tra quello che vogliamo fare e quello che ci si aspetta da noi, e il più delle volte scegliamo la seconda opzione”.
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