Opinione scritta da Antony
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Ecco un esempio di vera letteratura
Come spesso mi capita, leggo un incipit di Mari e mi allontano infastidito. Il motivo? Ostentatamente “barocco” e “artificioso”, molto simile a un gomitolo di filo narrativo che si attorciglia sempre più, sino al punto che viene voglia di tagliarlo e proseguire. E’ quello che faccio con i romanzi di Mari e che in genere – ovviamente vale per me – funziona. Tagliato l’incipit si precipita letteralmente nella storia e non se ne esce più. Verderame è semplicemente un pezzo di vera letteratura. Partiamo dai protagonisti: Michélin e Felice. Michélin non è altri che l’alter ego di Mari, l’eterno fanciullo... ma che non ha nulla a che vedere con il fanciullino pascoliano… qui l’infanzia è riempita di mostri. Felice, che lavora come contadino presso i nonni di Michélin, è uno di questi mostri. Felice, nel suo incantevole dialetto, sta perdendo pezzi di memoria e Michélin decide di aiutarlo. Una ricerca nel passato che si trasforma in una ricerca nel subconscio. Lo strumento principe è la parola e la sua incredibile forza di rompere gli schemi “razionali” e attraverso un’apparente insensatezza giungere all’essenza delle cose, ma che non appena cerchi di afferrare-rinchiudere-catalogare-definire ecco che ti sfugge ancora.
Il solo aspetto debole è a mio avviso nelle “rivelazioni” dei fatti passati che compaiono nel dialogo tra Michélin e Carmen piazzato verso la fine. Sinceramente come lettore non ne sentivo il bisogno. Per un po’ l’atmosfera favolistica, misteriosa e maledetta di Verderame s’interrompe. Tolto questo “peccato veniale di razionalità narrativa”, il resto è grande letteratura.
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UN ROMANZO DA LEGGERE DUE VOLTE
XY è un romanzo da leggere due volte, meglio a una certa distanza una dall’altra. Sicuramente ne guadagna in qualità, ma da un certo punto di vista evidenzia anche i suoi limiti o, se si vuole, le scorciatoie narrative. XY non è solo un thriller, non è solo un romanzo “introspettivo”, non è solo un romanzo sulla dicotomia scienza-fede e via discorrendo. In questo c’è sicuramente un punto di interesse e certamente l’abilità di Veronesi è tale da riuscire a mettere insieme tutto quanto in modo naturale. Per non parlare di alcuni passi semplicemente geniali come le pagine sulla “ferita”. Eppure qualcosa non quadra. Nei “ringraziamenti” Veronesi ringrazia qualcuno per avergli indicato la strada per uscire dal romanzo. Forse lui ne è uscito ma il lettore ci rimane dentro, e non è detto che sia sempre un bene. Il finale che rifiuta le convenzioni tipiche di un romanzo, ossia fornire un senso o delle risposte o quantomeno una chiave di lettura, può sicuramente irritare alcuni lettori. Come detto, riletto la seconda volta, il finale ti interessa poco. Sai già che alcune domande rimarranno senza risposta e quindi ti concentri su altri aspetti e la lettura ne guadagna in modo significativo, ma a mio avviso Veronesi ha un po’ “barato” con il lettore: utilizza le aspettative tipiche del “thriller” per convincerti a girare a pagina e si ha come l’impressione che lo faccia perché teme di perderti per strada. Per questo non riesco a considerarlo un romanzo completo. XY non puoi non apprezzarlo ma un po’ ti senti fregato.
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Molti ingredienti, qualcuno di troppo
Dopo tanto tempo mi sono deciso a leggere questo romanzo. Sinceramente mi ha lasciato perplesso il "clamore" che ha suscitato. La sensazione è che la Avallone abbia preso un po' di ingredienti - qualcuno di troppo, ma tutti buoni per scrivere un'intrigante quarta di copertina - e li abbia miscelati velocemente, senza amalgamarli perfettamente.
La capacità narrativa c'è. La Avallone scrive bene, ma senza grossa fantasia e certamente limitandosi a una rappresentazione troppe volte raffazzonata del mondo che descrive. Nessuno mette in dubbio che esista, ma quando si calca troppo la mano sui cliché, come in questo romanzo, il risultato è la rottura di quel patto tra autore e lettore che porta quest'ultimo a una sospensione delle credulità che è la base per poter godere nella lettura di un libro. Se il patto non si rompe, Acciaio scorre veloce sino alla fine e si accettano le numerose "furberie". Se, come è accaduto a me, troppe volte si incaglia, ci si ritrova ad annoiarsi o talvolta a irritarsi.
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Un montaggio analogico
Un libro breve ma intenso, in cui sai già come va a finire ma che ti tiene incollato alle pagine. Sintomo, in genere, di buona se non ottima letteratura.
Della storia di Ted Kennedy e dell'incidente si è detto tanto o forse tutto. L'aspetto più interessante si ritrova proprio nel tentativo da parte di Oates di non riscrivere una storia già nota, limitandosi a denunciare la tracotanza del potere di fronte a tutto e tutti. Oates trascende dalla vicenda specifica per spingersi su di un piano diverso, oserei dire universale. Nel mondo ci sono tanti Ted Kennedy che girano per le strade, così come tante Mary
La sua scrittura, grandiosa per equilibrio ed efficacia, costruisce una vicenda ingabbiata nell'abitacolo dell'auto togliendo man mano il respiro. Un momento reiterato senza nessuna pietà per il lettore, che affonda suo malgrado e sa di non poter fare nulla. La conseguenza di questa scelta è un "montaggio" della materia narrativa, che non va avanti secondo una consueta linea cronologica, ma si riavvolge costantemente su se stessa aggiungengo particolari, emozioni, dettagli.
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Un romanzo necessario
Man mano che leggevo Le colpe degli altri mi rendevo conto di essere di fronte a un romanzo necessario, una di quelle storie che vanno raccontate. De Grassi pretende molto da lettore, ma alla fine si viene ricompensati, ritrovandosi immersi in una storia in cui i pezzi del puzzle trovano il loro posto uno dopo l'altro, fornendo una visione ampia di quarant'anni della storia italiana. Un piccolo miracolo ottenuto grazie anche a una cura incessante nella costruzione dei personaggi, che sembrano quasi spuntare fuori dalle pagine.
Lo stile narrativo è sempre asciutto ed efficace, con un utilizzo oculato dell'aggettivazione. Un aspetto per me importante, se non decisivo per valutare la bontà di un autore.
Il finale è come una sberla da cui non è facile riprendersi. Lo si può accettare oppure no, ma è questo il bello della letteratura che fa il proprio mestiere e lo fa al meglio.
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Smitizzare i miti
Galimberti dimostra di avere uno sguardo attento del mondo odierno, e come sempre si dimostra capace di fare divulgazione filosofica senza cadere in generiche approssimazioni. Con semplicità e precisione passa in rassegna i "miti" del moderno e li smonta passo dopo passo. Si sa che una "bugia ripetuta migliaia di volte diventa verità". Ebbene, Galimberti ci invita a non cadere in questo tranello e a mantenere sempre ben vigile la nostra mente. Saggio interessante che fa il paio con I NUOVI VIZI, altro piccolo capolavoro di Galimberti
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Un storia dal fiato corto
Con questo romanzo De Silva non fa altro che confermare il proprio stile e il proprio modo di narrare. De Silva è bravo: stile divertente, spesso brillante, con trovate "narrative" che sorprendono il lettore. Ogni suo lavoro si legge con leggerezza e piacevolezza. Qui si cimenta con tematiche complesse e vischiose per un autore. Il risultato non convince del tutto. Qui non è brillante, ma spesso sembra che "faccia il brillante". L'autocompiacimento per la propria abilità narrativa, che tende a rendere tutto leggero, può produrre tanto piacere quanta irritazione. Altro punto debole, caratteristica di molta narrativa di De Silva, si trova nella trama del romanzo. Per certi versi non è neppure un romanzo, ma una serie di "situazioni" narrative tenute insieme da una trama tanto esile da svanire una pagina su due. De Silva non è un romanziere, ma uno scrittore "situazionista", dal fiato corto o, se si vuole, bravissimo negli sprint e molto meno nelle lunghe distanze
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