Opinione scritta da Aurora_
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L'Uomo e la Morte
“L’ultimo giorno di un condannato a morte” è la prima opera che abbia mai letto di Victor Hugo. Il breve romanzo è straziante, angosciante e crudele. Con grandi abilità, Hugo riesce a trasmettere le sensazioni di un condannato a morte nelle sue ultime settimane di vita. Allora, come in un cinema d’epoca, nella mente del condannato si alternano le più svariate riflessioni, accentuate dal racconto in prima persona, che rende i suoi sentimenti ancora più vividi e percepibili. Non si conosce il nome dell’uomo, non si sa con precisione il delitto che ha commesso e nemmeno si hanno grandi informazioni sulla sua esistenza. Tutto ha inizio in una cella; in questa cella, l’uomo decide di scrivere il resoconto degli ultimi attimi della sua vita, con la speranza che quest’opera venga conservata e trasmessa alla figlia, che se ne possa servire per commuoversi e ricordare l’ultimo giorno di vita del padre, e ai giudici, agli avvocati, ai giuristi che possano riconoscere, leggendo queste pagine, la crudele sofferenza cui sottopongono un uomo condannandolo a morte. “Condannato a morte! Sono cinque settimane che abito con questo pensiero, sempre solo con lui, sempre agghiacciato dalla sua presenza, sempre curvo sotto il suo peso!”, questo l’incipit del romanzo. Perché un uomo condannato a morte non sente altro che il peso della morte stessa sempre premere sulle sue spalle, non vede altro che la morte e la prigionia in ogni figura od essere che lo circondi. Un condannato a morte non sembra altro che aver accettato il suo destino ma così, in realtà, non è. L’uomo, finché non ha la morte di fronte a sé, sembra viverla come un qualcosa di così lontano, un qualcosa che non gli appartiene, localizzato a milioni di anni luce da lui. La morte è il finale comune della vita di tutti gli uomini, la tenera culla cui tutti, chi prima chi poi, siamo destinati. Eppure pare così lontana da noi, come un cattivo pensiero che non fa altro che procurarci noia , che tentiamo di scacciare. Questo è quello che fa il protagonista, fino al momento della sua condanna. Egli vede la sua morte come un qualcosa di terribilmente lontano, quasi come se fosse un’epoca antica che non gli appartiene e osa perfino concludere: “lavori forzati?! Meglio la morte!”. Ovviamente, come si suol dire, “la speranza è l’ultima a morire” ed è proprio questa che accompagna il protagonista fino ai suoi ultimi momenti. La speranza di ottenere la grazia dal Re, la speranza di riuscire a fuggire, la speranza di poter veder crescere la figlia e amare la moglie. Una speranza che diviene pesante, insistente, che si fa sentire e non si può far altro che provare pena, pietà e commiserazione per quest’uomo costretto alla morte che spera, in un barlume di lucida follia, di poter sfuggire al suo destino. A rendere il quadro ancor più terribile e straziante, è l’incapacità di chiunque di comprendere la sua sofferenza, di compatirlo e di consolarlo. Le persone attorno a lui, ormai, non lo concepiscono più come un uomo, bensì come un oggetto e non riescono nemmeno a riconoscere in lui emozioni ed umanità. Che questo forse sia dovuto al fatto che l’umanità tutta, e non solo il nostro protagonista, concepisca la morte come un qualcosa di così lontano, come un’immagine sfocata e irraggiungibile? La morte non ci appartiene, la morte è qualcosa di sfuggente, che non è sotto il nostro controllo, che ci procura ansia e terrore. E come potremo noi, esseri umani abituati ad avere ogni cosa sotto il nostro controllo, fuggire da questa sofferenza? Da un lato, sicuramente, percependola come un qualcosa che non ci appartiene, che non fa parte delle nostre vite e che “si, capita a tutti. Ma a me no!”. Dall’altro lato, il potere di decidere della vita di qualcuno, di poter condannare a morte un essere umano ci fa sentire forti, capaci di controllare questo essere così sfuggente che tanto ci terrorizza. Ci permette, quindi, di recuperare la nostra convinzione di un totale controllo, di un perfetto ordine. Ma è davvero così sbagliato il negare che la morte possa mai portarmi via con sé, il vivere come se potessi vivere per l’eternità? A voi le conclusioni e, come sempre, vi auguro una buona lettura!
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Un dolce e amaro viaggio nell'umanità
“Cime tempestose”, primo nonché unico romanzo della romantica e sensibile Emily Bronte, è un’opera che offre migliaia di spunti di riflessione, che regala moltissimi significati. Un’opera di cui si potrebbe discutere in eterno, tanti sono i significati e le tematiche da essa affrontati. Chiunque potrebbe trarne un significato proprio, chiunque potrebbe leggervi un messaggio diverso e, sono sicura, benché si possa ripetere la lettura di quest’opera magistrale, ogni volta ci si ritroverebbe a discutere di un significato nuovo, dapprima nascosto e, apparentemente, ignorato. Perché questo è “Cime tempestose”: un piccolo mondo nascosto in qualche pagina di libro, una riflessione attenta e precisa sulle molte sfaccettature dell’uomo, dell’umanità tutta. Da ciò deriva la difficoltà nel poter esprimere in qualche parola di una, forse insignificante, recensione il significato dell’intera opera. Chiunque abbia l’intenzione di leggere quest’opera, è invitato a farlo con attenzione, con occhio critico e analitico. Apparentemente, quest’opera potrebbe sembrare una storia d’amore qualsiasi, ricca sì di grandi significati e con una trama complessa, ma niente di più. In realtà, sono convinta, che una piccola riflessione al termine della lettura o anche una rilettura dell’opera stessa, non potrà che offrire al lettore nuovi reconditi significati e, allora, si potrà leggere la passione, l’amore, l’impegno, la dedizione che Bronte ebbe nello scrivere questo romanzo. Cercherò, con tutta la passione e l’impegno che mi sono possibili, di invogliare il lettore a leggere questo romanzo, riflettendo su alcune delle molteplici tematiche che vengono qui affrontate. La natura, la solitudine, la religione e l’amore sono le principali tematiche cui presterò maggiormente attenzione.
Wuthering Heights, Gimmerton e Trushcross Grange sono le principali ambientazioni del romanzo; la brughiera è protagonista di quest’opera. Una natura solitaria, quasi triste e malinconica, con la nebbia che fa da protagonista e sembra immergere l’uomo in un mondo parallelo, in un mondo fiabesco. Figura centrale nell’opera è la borghesia inglese dell’Ottocento: una classe dominata dall’avarizia, dall’ipocrisia, dalla competizione e dall’invidia ma, anche, dalla cultura, dalla passione per le Arti e dall’Amore.
L’opera si apre con l’arrivo a Wuthering Heights del sig. Lockwood che soggiornerà nella casa in affitto del sig. Heathcliff. La storia, infatti, viene principalmente raccontata dalla sig. Ellen Dean, domestica presso la casa del sig. Lockwood. Però, un’iniziale nonché superficiale descrizione dei personaggi protagonisti di questa storia ci viene offerta dall’occhio quasi misantropo e amante della solitudine del sig. Lockwood. Protagoniste iniziali del romanzo sono, infatti, la misantropia e la solitudine che, all’apparenza, accomunano il sig. Lockwood e il sig. Heathcliff. L’odio e il fastidio recato dall’eccessiva compagnia umana che spinge i personaggi ad allontanarsi, ad abbandonare una stanza, alla ricerca della solitudine e dell’esclusiva compagnia della natura e del silenzio. Si tratta, anche, di una noia data da ogni tipica manifestazione emotiva umana, una tendenza, quindi, a rigettare ogni forma di ipocrisia o “diplomatica cortesia”. Questi uomini, quindi, si presentano quasi come degli automi, incapaci di emozioni, di riguardo nei confronti degli altri; questo è quello che vogliono farci credere.
L’autrice, nell’opera, insiste molto su un altro tema cui viene offerta una duplice interpretazione: la religiosità. Il sentimento del sacro viene qui vissuto in due modi completamente diversi: da un lato, troviamo l’ipocrisia e la bigotteria di Giuseppe, dipendente del sig. Heathcliff e, dall’altro, la passione e la fervida fede di Ellen, dipendente del sig. Linton e, successivamente, del sig. Lockwood stesso. In un caso, la religione viene vissuta quasi come un obbligo, come un qualcosa cui appellarsi per salvare la propria coscienza, per ripulirla dei propri peccati. Questa non è che una semplice concezione utilitaristica della fede, in cui la religione diventa un mezzo per raggiungere i propri scopi e un potere da esercitare contro gli altri. Nell’altro caso, la religione viene vissuta con passione e sentimento e diviene una vera e propria legge di vita. L’amore per il prossimo, il porgere l’altra guancia e il rifiutare qualunque genere di vendetta sono insegnamenti profusi da Ellen. L’amore per Dio e per la fede sono centrali nella figura di Ellen che non manca mai di impartire, laddove ne ha l’opportunità, i suoi insegnamenti religiosi.
Centrale, nell’opera, è indubbiamente l’Amore e, in particolar modo, quello nei confronti di Catherine da partire del sig. Linton e del sig. Heathcliff. Amore, anche in questo caso, vissuto in due modi contrapposti, in un binomio irrisolvibile. Da un lato, troviamo l’amore, oserei dire, più razionale ma non meno sentito e forte di Linton. Il suo è, tuttavia, un amore che non si aspetta dimostrazioni, che viene vissuto con pazienza e tolleranza nei confronti dell’altra. Un amore gentile, manifestato in maniera delicata, elegante e con premura. Questo è l’amore del sig. Linton: un amore profondo, ma mai violento, aggressivo o possessivo. Al contrario, l’amore di Heathcliff è un amore aggressivo, appassionato. Un amore che può quasi essere scambiato per desiderio di possessione, di un totale controllo della donna amata. Il suo è un sentimento che non ammette rifiuti, che odia l’intromissione di terzi. Heathcliff è un uomo forte, un uomo coraggioso; l’unica in grado di rompere questa forte corazza è proprio Catherine, la quale è in grado di indurre Heathcliff a sprigionare le sue più recondite emozioni, i suoi sotterrati sentimenti e le sue fervide passioni. Catherine è in grado di spogliare Heathcliff della sua corazza, di mostrarlo al mondo in tutta la sua debolezza e di legarlo a sé per l’eternità. Sembra essere l’unica ad avere questo potere ed, in effetti, è proprio così. Il personaggio di Heathcliff è estremamente particolare: è un uomo rude, crudele, avaro, distante e odioso. E’ un uomo enigmatico, che non lascia trasparire nulla di sé a nessuno, se non a Catherine, la quale sembra possedere la combinazione giusta per aprire il suo cuore. Bronte insiste su questo binomio, su questa duplice personalità presente in Heathcliff, sottolineando la crudeltà di quest’uomo che si lascia conquistare dalla sete di vendetta e dall’odio nei confronti dei suoi nemici, arrivando ad azioni impensabili e disumane. Dall’altro lato, invece, troviamo un Heathcliff amorevole, premuroso, estremamente sensibile e romantico nei confronti di Catherine. Cime tempestose è, quindi, un romanzo il cui reale protagonista, in realtà, è proprio l’Amore, di cui Bronte ci fornisce molte sfaccettature. L’amore infantile di Isabella, la sorella di Linton, nei confronti di Heathcliff è un amore ingenuo, che si lascia conquistare dalla rudezza di quell’uomo e spera in un risvolto fiabesco, ossia in un Heathcliff capace di lasciarsi andare e di amare. L’amore quasi materno, maturo e responsabile di Ellen nei confronti di Cathy, l’amore premuroso, attento e delicato di Cathy nei confronti di Hareton.
E’ evidente che questo romanzo sia, in realtà, un piccolo tesoro pieno di ricchezze, che il lettore deve essere capace di cogliere e di gustare. Si potrebbe, dunque, parlare a lungo di “Cime tempestose” e spendere ore interminabili nel discutere i molteplici significati di quest’opera. Ho preferito una recensione che ponesse l’attenzione sui significati di questo romanzo, piuttosto che sulla trama in sé, sebbene sia indubbiamente una trama ricca di vicende, di sorprese e di dettagli. E’ un romanzo di cui si può gioire sia prestando l’attenzione esclusivamente alla trama, sia prestandola ai suoi molteplici significati. Come già sottolineato, ogni lettore vi troverà una propria personale interpretazione e tenderà a ritenere centrale nel romanzo ciò che io, magari, ho trascurato. Questa è, a mio parere, la bellezza di un libro: la capacità di indurre in ogni lettore sentimenti diversi e diverse riflessioni, a seconda della personale esperienza di ciascuno. Buona lettura!
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Kundera: un capace professore
E' quasi difficile scrivere una recensione di un'opera di questo calibro, tanto è complessa e articolata. "L'insostenibile leggerezza dell'essere" è un libro che alterna riflessioni filosofiche alla narrazione e, personalmente, ritengo che sia proprio in questo elemento che risiede il fascino dell'opera di Kundera. La narrazione è irregolare, all'apparenza un pò caotica e, stupefacentemente, l'autore decide di raccontare il finale della storia a metà opera. Sembra quasi lo faccia per attirare l'attenzione del lettore non tanto sulla trama, bensì sui significati che essa vuole esprimere (questa è, comunque, una mia personale impressione). Si racconta, in maniera parallela, la storia di quattro vite: quella di Tomas, Tereza, Sabina e Franz. Spesso, i soliti avvenimenti, sono raccontati dai punti di vista dei vari personaggi. Personaggi che, personalmente, ritengo siano così reali, così veri, quasi vivi. Tomas è un medico che, a causa del fallimento dell'ultimo matrimonio, ha deciso di rinunciare all'amore e di dedicarsi a quelle che definisce "amicizie erotiche". La sua vita, il suo pensiero cambia quando incontra Tereza di cui si innamora profondamente anche se non riesce a rinunciare alle sue amanti. Da lì nasce un amore doloroso, tra la gelosia di Tereza, i tradimenti di Tomas e il senso di colpa, una sensazione comune ad entrambi. Tomas riconosce di essere la causa delle sofferenze di Tereza e Tereza, d'altro canto, riconosce di aver sempre sottoposto Tomas a delle prove dolorose, che avevano lo scopo di renderla più sicura sul suo amore. Perchè Tereza è insicura, vuole vedere in Tomas l'uomo capace di vedere il suo corpo come "l'unico corpo" di cui possa essere interessato. Ella ha, fin da sempre, cercato di ritrovare nel suo corpo la sua anima e ha sempre rifiutato l'idea che questo fosse un elemento comune a tutti gli uomini, un qualcosa di naturale. Da lì sorge, così, un'inaspettata riflessione sulla dualità anima/corpo che è una delle tante riflessioni che interessano l'opera. La trama, poi, si concentra su Sabina, l'amante di Tomas, e su Franz, l'uomo di cui Sabina è tremendamente innamorata. I due sono diversi, si direbbe "due poli opposti", tant'è che Kundera decide di dedicare loro il "dizionario delle parole fraintese": i due si rivolgono l'uno all'altra nello stesso modo, intendendo, però, dei significati profondamente diversi. Kundera ci accompagna costantemente nella storia, ricordandoci che i suoi personaggi sono inventati, intervenendo con dei commenti personali su ciò che sta narrando o esponendo delle sue personali riflessioni. Sembra quasi di assistere ad una lezione universitaria: noi lettori, gli studenti e Kundera, il professore il quale ci mostra un video che racconta la storia di questi personaggi, cercando di trarre da essi uno spunto per proporci delle riflessioni filosofiche. L'autore riflette sulla guerra, sull'invasione comunista, sull'oppressione e la censura. Sicuramente, però, la tematica principale del libro è quella del titolo: l'insostenibile leggerezza dell'essere. Un'esistenza leggera, irrilevante che si trova a confrontarsi con il forte bisogno dell'uomo di dare un significato a tutto, in special modo alla sua vita: sorge così, nell'uomo, una grande sofferenza, una sofferenza insostenibile. Kundera ritaglia momenti precisi nel romanzo per spiegare questa sua idea e, alla fine, il significato stesso del titolo lo si può cogliere con una sempre più grande precisione man mano che si continua a leggere la storia. E' un libro che richiede, indubbiamente, attenzione, riflessione e, quindi, non di facile lettura. Ma chiunque deciderà di approcciarsi ad una lettura come questa, ne trarrà sicuramente un grande giovamento.
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L'amore, la guerra e la vendetta
Un libro che mi ha coinvolta ed emozionata sin dalle prime pagine. Zafon riesce, con grande abilità, a catturare l'attenzione del lettore che finisce per improvvisarsi un investigatore, cercando di aiutare i due protagonisti nel risolvere un mistero: chi è Julian Carax? Chi è l'uomo che brucia i suoi libri? Il protagonista della storia è Daniel Sempere e Zafon ci permette di seguire la sua crescita tra libri, amori, disavventure e la libreria presso cui lavora insieme al padre. Un romanzo che ci racconta dell'amore ma anche dell'odio che carica e stimola la vendetta. La vendetta è presente in ogni pagina del romanzo ed è il reale motore delle azioni di alcuni dei personaggi e, Daniel, volente o nolente, si troverà a dover fronteggiare il desiderio di vendetta altrui. Daniel, infatti, finisce per trascinarsi involontariamente in un mistero, stimolato dalla lettura appassionata di un libro che, a suo dire, lo aspettava ancor prima che nascesse. Così, pian piano, nella storia vengono coinvolti altri personaggi la cui vita è stata sconvolta, in un modo o nell'altro, da uno scrittore la cui reale storia è avvolta nel mistero: Julian Carax. Zafon, però, non ci risparmia la conoscenza della Spagna della guerra civile e, in seguito, quella del dominio di Franco. Una descrizione crudele, spietata e spregiudicata della realtà è quella che traspare dalle pagine de "L'ombra del vento". L'autore sottolinea con accuratezza la sensazione d'impotenza dei personaggi, trovatisi inermi di fronte ad uno Stato che non è più dalla loro parte, uno Stato che ha il potere di vita e di morte nelle proprie mani. Personaggi i quali, nonostante tutto, continuano a combattere nella speranza di conoscere, prima o poi, la pace e di trovare ciò che desiderano. Il romanzo si svolge a ritmo di colpi di scena tra cui sorprende, indubbiamente, il finale. Altro tema protagonista del romanzo è l'amore per i libri, la possibilità di trovarvi riflessa la propria anima e questa grande passione che, definita come un'arte, supera ogni cosa, persino il bisogno di denaro. "L'ombra del vento" è uno di quei libri che si divora in un attimo.
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Vivere o morire di cancro
"Colpa delle stelle" è, indubbiamente, un bel libro. Racconta la storia di una ragazza affetta da cancro alla tiroide Hazel che s'innamora di un ragazzo che, in passato, è stato colpito dal cancro e adesso si ritrova con una protesi al posto di una gamba: Augustus.. I personaggi, direi, sono affascinanti. E' estremamente interessante la volontà e la capacità di Green di sfatare il mito del malato di cancro che combatte, col sorriso, fino alla morte. No, i personaggi di Green non sono così. I personaggi di Green soffrono, stanno male, odiano la compassione e la pietà altrui, odiano i "Premi Cancro". I personaggi di Green, finchè non muoiono, non desiderano altro che porre fine al loro dolore. Una schiacciante verità che ci fa sentire più vicini a coloro che soffrono di un qualcosa che, rispetto a noi, sembra così lontano. Green, abilmente, ci consente di conoscere la realtà quotidiana di chi, il cancro, lo vive giorno per giorno. E allora la domanda è: sto morendo di cancro o sto vivendo col cancro? Quale delle due condizioni è più terribile e inaccettabile? La sofferenza, la morte, la disperazione, ma anche la speranza, l'amore, la gioia, la condivisione sono tra i temi principali affrontati di Green. L'autore affronta con grande schiettezza e spregiudicatezza l'ipocrisia altrui che vede comparire tanti amici quando, ormai, non si ha più bisogno di loro. Infatti, Green, racconta del gran numero di persone che piangono la morte di uno dei personaggi, le persone che scrivono sul suo profilo su internet, le persone che partecipano al funerale. L'unico aspetto che mi sento di criticare di questo libro è il finale: a mio parere, decisamente troppo prevedibile e scontato. E' troppo ovvio che un libro che racconta la storia di ragazzi affetti da cancro si concluda con una morte. D'altra parte, mi chiedo, in quale altro modo avrebbe potuto concluderlo? Altra scelta che ritengo apprezzabile è quella di far raccontare la storia direttamente alla protagonista. Il che ci fa vivere tutto in prima persona, ci consente di conoscere i pensieri e le emozioni di chi vive una situazione del genere di cui, magari, abbiamo solo sentito parlare a grande linee. Il cancro, purtroppo, non è solo una malattia. Il cancro è sofferenza, paura, speranza. L'unico modo in cui si può veramente vincere il cancro è impedire allo stesso di impossessarsi della tua vita, e questo, John Green, lo spiega bene.
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Toccante e indimenticabile
E’ impossibile non commuoversi sfogliando le ultime pagine di un libro che racconta di un amore scandaloso, un amore così puro e intenso ma, al contempo, schiavo di una società Ottocentesca ipocrita e dedita al pettegolezzo. Marguerite Gautier, una cortigiana francese, è la protagonista del libro “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas. Una donna intelligente, sensibile e, come tutte le cortigiane dell’epoca (le famose “lorettes”, come decise di definirle Nestor Roqueplan), conduce una vita nel lusso e nella spregiudicatezza. Una vita, potremo dire, “peccaminosa”. Una vita che, ovviamente, si distingue rispetto a quella del suo amante: Armand Duval. Armand non è né ricco, né povero. Egli conduce una vita tranquilla, adeguata ai canoni richiesti all’epoca per persone del suo ceto. I due si incontrano, per la prima volta, a teatro grazie all’intervento di un amico caro ad entrambi. Per Armand è subito amore: egli si lascia impressionare, come tutti gli uomini, dalla estrema bellezza di Marguerite. Per lei, invece, Armand costituisce motivo di riso e, infatti, si diverte ad umiliarlo. I due, poi, non si incontreranno per molto tempo e, grazie al caso, riusciranno a ritrovarsi e a dar vita ad una splendida storia d’amore. Marguerite ha molti amanti, ma confessa di aver provato amore solo per il suo piccolo cagnolino, che era l’unico capace di preoccuparsi sinceramente di lei. E’ una donna che cerca di ostentare felicità ma, in realtà, nasconde estrema insicurezza e un opprimente senso di solitudine. Tra le donne che le sono amiche solo per il suo patrimonio o per ricevere in prestito abiti, gioielli o carrozze e gli uomini, invece, che la amano solo quando è bella, quando può donare il suo corpo e la abbandonano quando, invece, incombe la malattia. Marguerite, infatti, è malata di tisi e forse è proprio questa malattia ad avvicinarla a Armand che, al contrario degli altri uomini, prova estrema pena e compassione per la sua condizione. Egli, pur di tenere vicino a sé la sua amante, promette di accettare la sua condizione, i suoi “tradimenti” anche se questo, ad Armand, costerà molto sforzo perché dovrà lottare contro la forza che, più volte, ha minacciato il loro rapporto: la gelosia. E’ difficile amare una cortigiana, questo Dumas lo spiega e sottolinea più volte ed è capace anche di rispondere alla domanda che sorge spontanea in ogni lettore: “perché Marguerite non abbandona questo tipo di vita?”. La risposta è così semplice, così ovvia che ci si vergogna persino di aver posto la domanda: i debiti e la paura. Marguerite è abituata a condurre una vita nel lusso, una vita che comporta ingenti debiti che ella può ripagare solo facendo la cortigiana. Armand non sarebbe mai capace, col suo modesto patrimonio, di ripagare i debiti di Marguerite e di permetterle di condurre una vita così agiata. A ciò si ricollega anche la paura di Marguerite. La paura dell’amore di Armand, così violento ed estremo e, quindi, il timore che si spenga così velocemente com’è sorto. La donna finirebbe per abbandonare una vita cui è abituata, cui è estremamente legata per poi essere, a sua volta, abbandonata dall’uomo che amava. Ciò preoccupa Marguerite sin dai primi momenti del loro amore. Questo, però, non le impedirà poi di cercare di sanare i suoi debiti ed essere finalmente libera di vivere il suo amore con Armand, rispettando il suo sentimento e, quindi, la sua gelosia. E’ sicuramente il momento più intenso della loro storia: i due si rifugiano in una casa in campagna, vivendo l’uno dell’altro e allontanandosi dalla pressante Parigi. Proprio nel momento in cui Armand, finalmente, è felice, il padre si inserisce nel loro amore, preoccupato per la reputazione del figlio che è minacciata dalla relazione con Marguerite. Il padre di Armand convince Marguerite a rompere questa relazione, facendo leva sul futuro di Armand, che è minacciato dall’esistenza di lei. Allora, in un rispettabile e ammirabile sacrificio, Marguerite chiude con Armand, allontanandosi definitivamente (o quasi) da lui. Il ragazzo reagisce con estrema rabbia a questa rottura, incolpa Marguerite, la giudica, la disprezza e prova un’estrema rabbia e un intenso disprezzo. Torna a Parigi, la incontra e decide di “punirla”. Si fa vedere con altre donne, finge di essere innamorato di una sua amica che attira a sé col denaro e coi regali. Umilia e offende Marguerite che, stremata, decide di recarsi da lui e di chiedergli pietà. I due passano una notte insieme e in Armand si risveglia l’amore intenso ed estremo per Marguerite che, al mattino, scompare nuovamente, facendo posto all’odio e al disprezzo. I due, quindi, si allontanano. La malattia di Marguerite la conduce lentamente e dolorosamente alla morte ma ciò non le impedisce di scrivere delle lettere che, in seguito, verranno recapitate ad Armand e gli consentiranno di scoprire che è stato, in realtà, il padre la causa della loro rottura. Questa è la storia di Marguerite e Armand, una storia che emerge dai racconti che Armand fa al narratore, conosciuto così, per caso. Il narratore inizia la storia dichiarando che ciò che racconterà è tutto vero. E’, in effetti, lo è: il personaggio di Marguerite è, in realtà, Marie Duplessis, che condusse una vita simile a quella di Marguerite. Una cortigiana, estremamente bella, viziata, sola ed infelice: questa fu la vita di Marie Duplessis. Dumas ebbe modo di conoscerla perché ella fu la sua amante e, forse, è proprio per questo che l’autore è così capace a descrivere la personalità intricata, all’apparenza incoerente ma, in realtà, estremamente stabile e razionale, di Marguerite. Dumas non si limita a raccontare una storia anche se essa ha sicuramente il merito di essere estremamente originale e toccante. Nella sua opera, infatti, sono presenti numerose riflessioni che, raramente, trovano spazio in un romanzo d’amore. La società meschina, consumistica e superficiale, la pietà e la comprensione nei riguardi della vita di una cortigiana, l’invidia e l’ipocrisia delle donne e degli uomini, l’amore e la razionalità; questi sono solo alcuni dei temi che Dumas affronta nella sua opera che, all’apparenza, sembra così lontana dalla nostra realtà ma, con un po’ di attenzione, possiamo renderci conto della sua attualità e freschezza. Una visione disillusa, razionale e spregiudicata del mondo che non si limita a sottolinearne con disprezzo i lati negativi ma ne esalta anche la positività. Questa positività, indubbiamente, è rappresentata dall’Amore che, sicuramente, si esprime nei suoi massimi livelli in Marguerite e Armand. Un amore che stimola le nostre speranze e allontana i nostri timori e pregiudizi e, indirettamente, rende inevitabile, per il lettore, concludere la lettura del romanzo chiedendosi se mai potrà trovare un amore come quello di Marguerite e Armand.
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