Opinione scritta da Lea

11 risultati - visualizzati 1 - 11
 
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
5.0
Lea Opinione inserita da Lea    27 Ottobre, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Il fondo amaro della tazzina

Una festa a casa del signor Gatsby pare un evento a cui non si possa mancare, nella sua sfavillante villa di West Egg, un diamante incastonato nella East Coast newyorkese: illuminata a giorno, affollata di sconosciuti ridenti, calici di champagne sempre riempiti, canti e balli, baldorie eccelse e leggere, in piena atmosfera Roaring Twenties.
Eppure Nick Carraway cerca il padrone di casa, per salutarlo e ringraziarlo: è lui il narratore del romanzo, un americano medio del Midwest venuto a New York per rincorrere il sogno di Wall Street che si ritrova vicino di casa di un certo Gatsby, un maestro delle cerimonie dalla fama nera.
Dall’altro lato della baia c’è East Egg, limbo dorato ed elegante e regno della cugina di Nick, Daisy, e del suo rozzo marito Tom Buchanan: Daisy è creatura fatua e volubile, passiva di fronte ai tradimenti del marito, di fronte al trascorrere del tempo, di fronte a ciò che la coinvolge.
Tuttavia è lei il fulcro del romanzo, il grande amore di Gatsby, il motivo del suo trasferimento nella villa di fronte alla sua, delle feste pantagrueliche, del suo avvicinarsi a Nick per poter incontrare Daisy di nuovo, dopo gli anni trascorsi separati, e tirare le fila del passato verso un futuro a lungo sognato.
Sembra che la fiaba si sia avverata, che il passato possa diventare futuro, ma non c’è trionfo per nessuno: l’amore di Daisy e Gatsby appassisce rapidamente e un tragico evento li allontana definitivamente, lo sfavillio di West Egg si affievolisce fino a spegnersi assieme al padrone di casa, lasciando dietro di sé una carcassa ancora vestita a festa.
Il finale è amaro, della folla che popolava le feste nessuno ha potuto partecipare all’ultima celebrazione di Gatsby, tutti occupati a partecipare alla Festa della vita, sfrenata e priva di pensieri: rimangono il padre di Gatsby, ombra di un passato così agli antipodi, e Nick Carraway, l’outsider, l’amico, il narratore perfetto perché non si lascia catturare completamente dal turbine furioso.
Grazie a lui possiamo osservare il Grande Gatsby da un punto di vista privilegiato: un uomo che ha raggiunto l’apice, ma che vuole riportare in vita un passato che gli sfugge tra le dita, ripagato con la moneta agra dell’egoismo di Daisy dopo essersi sacrificato definitivamente per lei.
Fitzgerald lo dice in poche righe e rischia di perdersi tra le pagine, ma quando la visione che Gatsby ha di Daisy si scontra con la vera Daisy qualcosa si inceppa, il sogno così a lungo agognato e così perfettamente costruito ha superato la realtà che sembra scolorire e deludere il sognatore, che però invece di sentirsi deluso trasforma il vero in esperienza onirica.
Quel sogno rimane vivo come la luce verde che brilla all’estremità del molo di lei e si spegne solo quando si spegne Jay Gatsby in quella piscina, con un proiettile tra le scapole.
E’ la nota stridente dei meravigliosi anni Venti in cui Fitzgerald permette di tuffarsi, fatui e spumeggianti, che nascondono il dramma sotto lo sfavillio dorato: lo stile del romanzo è fresco e le pagine scorrono veloci, fino alla fine, quando Fitzgerald dà il commiato ai lettori con un’immagine reale e dolorosamente vera, “così continuiamo a remare, barche controcorrente”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
140
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Lea Opinione inserita da Lea    18 Ottobre, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Le Fin?

Irene Nemirovsky non è vissuta per assistere al successo delle proprie opere: deportata ad Auschwitz, vi morì nel 1942.
Una vita incompiuta, così come il romanzo Suite francese, titolo postumo dato alle uniche due parti completate di quello che doveva essere un “Poema sinfonico” sulle tragiche vicende del secondo conflitto mondiale.
In “Tempesta di giugno” l’autrice dispiega un ventaglio delle esistenze più disparate, quelle dei Pericand, famiglia dell’alta borghesia con tutti i crismi e sofismi, del detestabile scrittore Gabriel Corte, degli spauriti coniugi Michaud e di altre migliaia di comparse i cui destini sono uniti dalla comune fuga dai propri territori conquistati dalle rapide armate tedesche.
Non c’è battaglia se non quella della vita quotidiana, degli estenuanti viaggi in auto per i più abbienti e per l’immensa fiumana dei francesi a piedi, che assistono stralunati ai giganteschi ingorghi di mezzi, in un tumulto di bagagli e notizie contrastanti.
La Nemirovsky inquadra le vite di sconosciuti, mostrando un volto meno evidente della guerra, una lotta serrata fatta d’implorazioni e furti, di fame e sbigottimento di fronte ad un fatto così dirompente come un’invasione.
Invece che saltare di vita in vita, in “Dolce” (seconda parte) si scivola in un tranquillo paese della campagna francese, inviolato prima dell’occupazione di soldati tedeschi: il rapporto con gli invasori è complesso, se ci sono persone come la vedova Angellier e la famiglie altolocate che si limitano a scostarsi sdegnati e disgustati dai tentativi di contatto imbastiti dagli invasori, ce ne sono altrettanti come le donne del paese e la giovane Lucile, nuora della Angellier, che guardano alla gioventù e virilità dei tedeschi come a un fiore inaspettato germogliato dalla terra gelida.
Proprio Lucile vedrà nel tenente Bruno von Falk qualcosa che va oltre l’essere nemico, una porta spalancata verso un ignoto luminoso, lontano dalle costrizioni di un matrimonio male assortito, ma una possibilità dolorosa perché avvertita come tradimento alla nazione: l’autrice non vi si addentra, ma mostra un’immagine del popolo francese che lentamente, diffidente, si accorge che il nemico ha le sembianze di un uomo come loro e si lascia quasi intenerire, si abitua allo scalpiccio dei pesanti stivali e delle voci dure e teutoniche.
Ragazzi, uomini come i figli e i mariti in guerra: se nella prima parte, l’umanità in fuga appare gretta e poco solidale con i francesi meno fortunati, questa è un’umanità raccolta e dalla corazza dura, che si piega flessibile alle avversità della vita senza spezzarsi.
La Nemirovsky affronta ogni cosa con la sua scrittura armoniosa: i dolori, l’amore tormentato di Lucile e Bruno, le città distrutte dai bombardamenti, descrive quello che le accade attorno, che la vede purtroppo coinvolta come francese e come ebrea senza indugiare nel patetismo, senza commuovere a tutti i costi.
Del grande “Poema sinfonico” non rimangono che due parti e nel capitolo finale un augurio, una premonizione o anche solo una speranza: “Se ne vanno!”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
200
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
Lea Opinione inserita da Lea    13 Giugno, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Ma vissero felici i contenti?

“Emma, naturalmente, non si lasciò influenzare da questa prospettiva, anche se la sua stima per Elizabeth aumentò, e gli ospiti partirono senza di lei.”

Così finisce il libro “I Watson”, con buona pace dei lettori che sognavano un dolce lieto fine alla “Orgoglio e Pregiudizio”: Jane Austen è stata costretta a lasciare il manoscritto incompiuto dalla morte che l’ha colta nel 1817, con personaggi e intrecci che promettevano sviluppi interessanti in sospeso.
Emma Watson, allevata da ricchi zii fino all’adolescenza, è costretta a fare ritorno a casa alla morte dello zio, a cui è seguito il trasferimento della zia in Irlanda al braccio del nuovo marito: la ragazza dovrà affrontare il duro impatto del reinserimento in una famiglia che ha abbandonato in tenera età e che le è quindi estranea, squattrinata a causa dell’infermità del capofamiglia.
L’arrivo di Emma crea sensazione, anche solo per il suo aspetto grazioso e vagamente esotico, destando le attenzioni del paese e di gentiluomini come il taciturno Lord Osborne e lo scafato Tom Musgrave, attraverso i quali l’autrice riesce a gettare le basi degli intrecci amorosi che dominano anche le sue altre opere.
Della famiglia di Emma si riesce a sapere poco, se già si coglie la bontà e la semplicità della sorella Elizabeth, appena tratteggiate sono le altre due, Margaret, di umore volubile e priva di reale interesse verso la sorella ritrovata, e Penelope, la quale non fa nemmeno in tempo ad entrare in scena che già appare problematica.
Con il suo consueto stile fresco e frizzante, Jane Austen offre l’ennesimo spaccato inglese della sua epoca, con personaggi che possono assomigliarsi ma che non sono mai gli stessi, la solita sfilata carnevalesca di virtù e vizi che attira ogni volta molti spettatori.
L’atmosfera della campagna inglese è il perfetto miscelarsi di allegrie di balli, viaggi in calesse, partite a carte, ma la logica che regna sovrana, sempre a braccetto con il pettegolezzo più salace, è quella del matrimonio vantaggioso al più presto: unica tra le sorelle che non fa in tempo a sospirare per colpa di Cupido è proprio Emma, mentre le restanti sorelle hanno già sperimentato la loro dose di pene d’amore.
La febbre della “caccia al marito” è la malattia preferita nei romanzi della Austen, ogni mossa all’interno delle barriere di perfetta cortesia inglese e sullo sfondo la campagna che sembra cristallizzata, lontana dalla frenesia cittadina, ma animata briosamente dai personaggi che l’autrice mette in scena.
Resta da chiedersi se abbia senso leggere un libro senza finale; almeno per gli appassionati della Austen, la risposta è sicura: anche in un assaggio di romanzo, l’autrice stuzzica a sufficienza il lettore, tanto da fargli considerare preziosa la nota finale nell’ultima pagina, dove, tramite carteggi e diari, si riesce ad intuire qualcosa di più sul seguito.
Per i non appassionati, che facciano un tentativo: almeno avranno la possibilità di decidere come va a finire.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
120
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuti 
 
3.0
Approfondimento 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
Lea Opinione inserita da Lea    10 Giugno, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

"Fra qualche ora io non sarò più"

Lasciando da parte le polemiche sulle figure dei partigiani e sul loro operato durante i burrascoso periodo della Resistenza (1943-1945), le lettere raccolte in questo libro mettono in scena parabole di vita di uomini e donne non disposti a sottomettersi ai comandi del regime mussoliniano e quindi condannati a morte tramite sentenza di un processo-farsa o con un'esecuzione barbara sul luogo di cattura.
Chi si racconta lo fa giorni prima della condanna, ma anche poche ore prima della morte, con toni aspri e malinconici, teneri e causali, quasi per non far pesare ai destinatari la propria scomparsa: sono in molti a dichiararsi tranquilli nell'ora suprema, forse più per rassicurare la famiglia e addolcire la pillola amarissima, molti ad essere fieri delle proprie azioni e fedeli al proprio credo fino alla fine.
Ma vicino a questi leoni combattenti ci sono anche le lettere più commoventi, gli addii ai figli, alle mogli, alle madri, le preoccupazioni di chi lascia famiglie senza sostentamento, le invocazioni ferventi a Dio e ad amici affinché si prendano cura di coloro che sono rimasti, i ricordi struggenti del tempo passato tra i cari che ora si dovranno lasciare indietro.
Per ogni lettera e carteggio c'è una breve introduzione al partigiano, con dettagli storici completi senza troppo scendere nello specifico, e l'età giovane della maggior parte è un ulteriore grido d'accusa alle crudeltà della guerra e dei regimi.
Ci sono lettere che fanno sorridere perché un po' sgrammaticate, ma la maggior parte è limpida e concisa, priva di enfasi ulteriore che non è necessaria.
Sebbene siano i ricordi, gli affetti e le raccomandazioni ad avere il ruolo principale, la scenografia tragica della lotta contro il fascismo incombe sempre minacciosa.
Non è un libro difficile, ma chi non è appassionato di storia forse si troverà meglio diluire la lettura, a tratti un po' greve e ripetitiva.
E' comunque un viaggio dolceamaro tra le anime dei combattenti per la libertà che difficilmente lascerà indifferenti, spettatori delle ultime ore di chi ha aggiunto un tassello alla storia.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
90
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi storici
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Lea Opinione inserita da Lea    30 Mag, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

La luce di Vermeer

Sono rimasta folgorata da questo libro.
L'autrice cede il trono di narratore alla domestica identificata dalla Chevalier come protagonista del quadro, Griet, assunta dalla poliedrica famiglia del pittore Vermeer: la sua anonima esistenza nella Delft del Seicento verrà rovesciata dalla permanenza nella casa del genio olandese, dove la ragazza dovrà barcamenarsi tra l'ostilità latente della moglie e di una delle figlie e il compito segreto di assistente che il pittore le affida, riconoscendo in lei una sensibilità artistica che la eleverà dal ruolo di semplice, graziosa fantesca.
I dolori della vita familiare di Griet, la relazione con un ragazzo del villaggio, i suoi doveri di domestica sfumano inesorabilmente quando la ragazza entra nell'atelier del pittore, prima solo per pulirlo, poi come aiutante e infine, il culmine, come modella di un ritratto tormentato e incredibile.
Quello che cattura il lettore è il rapporto tra Vermeer e Griet, venato da una sensualità latente, da silenzi che sembrano discorsi segreti tra i due, dallo sfiorarsi distratto ma consapevole, dall'innocenza di lei che pure si fa catturare dalla personalità intuibile del pittore, mai spiegata bene dall'autrice e per questo così affascinante.
Sono più le cose non dette che quelle dette in questo libro, a catturare sono le atmosfere immaginate, le luci nell'atelier che sono le stesse, incredibili e protagoniste nei quadri di Vermeer, unici non tanto per i soggetti, quanto per la maestria del pittore.
L'espressione de "La ragazza con turbante" rappresenta alla perfezione la Griet nell'atelier di Jan Vermeer, assuefatta, sorpresa e pura, misteriosa nel suo non scoprire mai i capelli e i pensieri più segreti: “i capelli li avevo lunghi e ribelli. Quando erano scoperti sembravano i capelli di una Griet diversa: una Griet abituata a sostare in un vicolo, sola con un uomo, una Griet non poi così tranquilla, silenziosa e pura. [...] Per questo tenevo i capelli ben nascosti, perché non emergesse alcuna traccia di quella Griet”.
Sullo sfondo, altri personaggi che incuriosiscono, come la benevola matrona Maria Thins o l'amico di lui Van Leeuwenhoek, eppure non c'è nulla di più atteso dei momenti brevi tra domestica e padrone, in bilico sull'orlo di un precipizio che fa apparire il loro rapporto, mai carnale, come proibito.
Il libro è affascinante quanto il quadro, un romanzo storico che getta luce su un pittore che ha dipinto poche opere, non tutte conosciute, ma non per questo di minor valore.
E la luce che getta è la luce dei dipinti di Vermeer, calcolata in ogni suo raggio, limpida, conturbante e meravigliosa.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
210
Segnala questa recensione ad un moderatore
Storia e biografie
 
Voto medio 
 
4.4
Stile 
 
4.0
Contenuti 
 
4.0
Approfondimento 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Lea Opinione inserita da Lea    28 Aprile, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Una realtà sorprendente

Forse, la frase "Gli uomini sono dei maiali!" non è poi tanto un cliché.
O, per lo meno, si arriva a crederlo facendosi condurre da Eva Cantarella per le vie della Roma antica, maestosa e magnificente nella facciata, ma ben più comune e vicina a noi se si va oltre: la virilità maschile romana era imprescindibile e particolarmente pronunciata, determinava il successo dell'individuo in campo sia privato sia pubblico ed era una vera e propria urgenza vantarsi dei propri successi sessuali tramite carmina, satire, ma anche spassosissime iscrizioni nei luoghi della vita pubblica, alcune delle quali riproposte dalla Cantarella.
Attorno a questi superuomini tutti d'un pezzo ci sono altre figure, come giovanetti bellissimi rigorosamente da sottomettere (a patto che non siano romani, obbligati ad essere dominatori) e ovviamente donne, virginali esempi di virtù come la celebre matrona Lucrezia o sfacciate, emancipate, lascive campionesse di vizi come Giulia, figlia di Augusto: dividendo gli amori romani in dovuti, possibili e proibiti l'autrice riporta in vita situazioni e figure ormai dimenticate, cercando di gettare luce sul difficile rapporto tra i sessi, sulle avventure maschili e il loro segreto terrore per le femmine "moderne", e queste donne, non sempre contente di essere subalterne e sballottate dove vogliono gli uomini.
E' un libro estremamente piacevole, utile per apprendere aspetti della cultura romana che non emergono dalle fonti comuni, ricco di intermezzi istruttivi, ma in linea con lo stile del libro, fresco e divertente nonostante le informazioni e i dettagli precisi.
Se le donne oggi si seccano nel ricevere audaci fischi di apprezzamento per la strada, c'è da chiedersi come avrebbero fatto, nell'antichità, a fuggire dai tentativi (riusciti) di fecondazione da parte di divinità particolarmente focose o, chissà, si sarebbero mostrate degne delle spietate satire del poeta Giovenale, che scriveva, da vero portavoce della misoginia romana, "le donne, tutte, senza scampo, sono dissolute".

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
70
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
Lea Opinione inserita da Lea    06 Aprile, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Lettere di disperazione

Sono incappata in questo libretto nella consueta bancarella letteraria a poco prezzo durante le fiere di paese e ho pensato fosse una lettura piacevole: Julie de Lespinasse è stata fulcro di uno dei più importanti salotti parigini del XVIII secolo, corrispondente dei più celebri illuministi, una donna al centro di una cultura rivoluzionaria e stimata dai suoi esponenti.
Figlia illegittima di due nobili, rimase adolescente anonima fino a quando non diventò dama di compagnia di Madame du Deffand, un'altra figura femminile al centro della fiorente cultura dell'epoca: quello fu il suo trampolino di lancio verso il proprio ritrovo di intellettuali, che in effetti confluirono numerosi.
Nel pieno della sua fortuna mondana, conobbe il marchese de Mora, il suo primo amore, corrisposto ma irto di difficoltà: l'ostacolo finale fu la malattia del marchese, che lo porterà via in giovane età; in questo frangente, la Lespinasse incontrò il conte de Guibert, attraente cadetto di cui sarà prima amica, infine amante.
Guibert non la corrisponderà mai del tutto, fino ad abbandonarla per un'altra donna e qui si situa la raccolta di lettere oggetto del libro: l'amore della ragazza è tumultuoso e insistente, ella tenta di coinvolgere in tutti i modi il suo corrispondente, prima accusandolo, poi chiedendogli perdono e richiamandolo piangente ai suoi doveri, infine tentandolo con lusinghe o sperando di muoverlo a pietà.
Le risposte di Guibert non sono presenti, ma si intuisce come siano piuttosto rare e disinteressate e questo strazia il cuore della Lespinasse, la cui vita pare dipendere interamente dal flusso e contenuto di queste lettere.
La tempesta emotiva all'interno della corrispondenza è sicuramente coinvolgente ed è altrettanto certa la pietà suscitata nel lettore, eppure i lamenti e le recriminazioni sono troppi e troppo frequenti e di amore c'è ben poco.
Madame de Lespinasse sarà stata sicuramente una donna colta e piena di risorse, ma, ahimè, quello che comunica in questo epistolario è solo una lunga sequela di guaiti lamentosi e accuse che rimbalzano contro un muro di indifferenza che avrebbe dissuaso dopo dieci lettere persino la crocerossina più accanita.
Lo stile è fluido e senza complicazioni, ma il libro è fin troppo struggente, poco amore e molto, troppo dolore.
Sconsigliato alle femministe: Julie de Lespinasse non è la quintessenza della suffragetta, vi farà storcere il naso.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
no
Trovi utile questa opinione? 
120
Segnala questa recensione ad un moderatore
Gialli, Thriller, Horror
 
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Lea Opinione inserita da Lea    25 Febbraio, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Maigret non si smentisce mai

Le inchieste di Maigret sono come le ciliegie: una tira l'altra.
In questa, gli ingredienti sono come sempre stuzzicanti: un insipido eppure cupo crocevia fuori Parigi, un commerciante di diamanti trovato morto nell'auto nuova di zecca di un insulso assicuratore di provincia, la grande casa dal passato macabro abitata da due schivi danesi, ma nel cui garage è stata ritrovata l'auto, e un'officina con pompa di benzina che lavora fin troppo, di un garagista che chiacchiera fin troppo.
Le pagine scivolano veloci mentre Maigret, placido e imponente, vaga ai tre angoli del Crocevia, cercando di inquadrare soprattutto gli stranieri, l’onesto Carl e la fascinosa Else Andersen.
Il lettore -e questo, a parer mio, è una delle cose che rendono i gialli di Simenon così intriganti- non riceve mezze teorie perchè il commissario si limita a raccogliere indizi, a verificare dettagli senza senso, a seguire una sua segreta linea di pensiero senza che nulla venga rivelato prima del finale: deve districarsi tra gli indizi che sembrano tutti puntare il dito contro Carl Andersen e scavare più a fondo, con il suo solito acume e apparente imperturbabilità.
La realtà misteriosa del Crocevia delle Tre Vedove nasconde una trama ben più gretta ed economica, difficile da intuire fino alle ultime battute piene di tensione prima dell’agognata spiegazione.
La scrittura è semplice, ma non scialba: Simenon ha il dono della descrizione spesso telegrafica, ma che evidenzia dettagli curiosi sufficienti per comunicare l'esatta atmosfera immaginata dallo scrittore.
Vera chicca il finale dal ritmo incalzante, un fulmine rispetto alla quiete sinistra che sembra regnare al Crocevia delle Tre Vedove, dove tutti recitano alla perfezione un ruolo che non è il loro.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
210
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi storici
 
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Lea Opinione inserita da Lea    24 Febbraio, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Memorie eterne

Marguerite Yourcenar riesce a cavalcare alla perfezione la difficile linea tra storia e finzione in questo romanzo davvero incredibile, definito dalla maggior parte dei lettori un vero e proprio "capolavoro".
Attraverso la forma epistolare (scrive a Marco Aurelio, suo nipote tramite il metodo della successione imperiale) l'imperatore Adriano ripercorre la sua vita in tutti i suoi aspetti: si denuda, rivelando i suoi pensieri più segreti, la sua filosofia di vita e pensiero, gioie e dolori.
Sballottato in ogni parte dei domini romani per la continua necessità di portare la pace da lui tanto desiderata dopo le grandi imprese belliche del predecessore Traiano, Adriano è anche viaggiatore appassionato e instancabile, amante della Grecia, filosofo limpido e profondo, uomo passionale eppure estremamente saggio e consapevole di sè e delle ombre degli altri.
Procedendo nella lettura di questa "lettera a cuore aperto" Adriano sembra diventare fulcro immobile e tutto il resto girare attorno a lui, sempre meno toccato dagli affanni terreni, sempre più concentrato sulla sua sconfinata vita interiore.
Particolarmente bella, a mio parere, è la parte che riguarda Antinoo, il giovane proveniente dalla Bitinia dalla leggendaria bellezza, compagno dell'imperatore e destinato a fine tragica.
Lo stile del libro è molto ricco, attenzione a non farsi fermare dalla iniziale complessità (con una punta di verbosità, ahimè) perchè è un libro che va letto, commovente e completo in tutto e per tutto.
La Yourcenar ha contribuito a rendere immortale la figura di Adriano, riuscendo a rappresentare il suo essere poliedrico senza una sbavatura e senza mai calcare la mano: un pezzo di storia romana che arriva ai giorni nostri e diventa attuale, meraviglioso.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
190
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Lea Opinione inserita da Lea    31 Gennaio, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Deux

Quando ho deciso di leggere “Due” sono partita già con cuore greve, sarà per la fine tragica della Nemirovsky (di origine ebraiche, è morta ad Auschwitz) o perché avevo prima letto “Il ballo”, che tutto sommato, mi aveva lasciato con l’amaro in bocca.
Malinconia l’ho provata anche leggendo la storia della vita di Antoine Carmontel e Marianne Segrè, i due protagonisti: all’inizio è facile amarsi, animati dalla passione della gioventù, eppure Marianne già sente Antoine scivolarle tra le dita, quando lui si vede con la più anziana Nicole, la sua amante da tempo, e la ragazza si obbliga a sottostare ai capricci e all’umore variabile di lui.
Tormentata da gelosia e affanni, alla fine abbandona il suo amore da ragazza, eppure Marianne e Antoine, ritrovatisi, finiranno per sposarsi e passare la vita insieme: superano due morti devastanti, quella di Solange, amica di gioventù, che appare veloce e luminosa come una folgore e si spegne infelice da moglie di Gilbert, uno dei due fratelli di Antoine; e quelle di Evelyne, sorella di Marianne, con cui Carmontel ha un’avventura da sposato e che lo lascia stordito per la passione risvegliata.
Quello che più mi ha affascinata del romanzo è l’atmosfera ovattata, sospesa, che sembra pervadere la maggior parte della vita dei due: perfino all’inizio, quando i “roaring twenties” si fanno sentire nelle loro feste e svaghi, la Nemirovsky sembra già farci sentire il peso degli affanni futuri.
In certi punti l’atmosfera è quasi mortuaria e la vita di coppia di Antoine e Marianne si trascina agonizznte: più tremenda dei lutti è l’indifferenza che li separa dopo pochi mesi dall’inizio della loro vita coniugale, sono spenti e pentiti di essere stati così affrettati e così giovani nella loro scelta.
Marianne dice: “Non sono più soddisfatta della mia vita. Ma lo sono mai stata? […] Quello che puoi offrirmi, amicizia o amore, o il piacere di un istante, io lo accetterei, lo prenderei, con tutti i suoi rischi di infelicità futura, per ridare alla mia vita quel sapore aspro e forte che non ha più”.
La scrittura è quasi cullante, ricca di frasi su cui un lettore torna volentieri, che sono più rivelatrici dei dialoghi tra i personaggi che sembrano non volersi mai dire tutta la verità e che non risolvono nessun problema o dolore.
Alla fine, tuttavia, l’ultima immagine è quella di una famiglia normale, con il chiasso dei bambini e una coppia che va a cena fuori: “erano calmi, un po’ ironici e senza gioia, ma, un istante dopo, fu come se per loro ogni difficoltà fosse sparita”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
160
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Lea Opinione inserita da Lea    29 Gennaio, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Ma chi era veramente Clive?

“Ma chi era veramente Clive?”

Una commemorazione funebre per Clive, trentacinquenne massaggiatore del mondo dello spettacolo inglese, morto misteriosamente in Sud America.
Il fior fiore del bel mondo, riunito lì per ricordare ognuno a modo suo una persona che li collega tutti per essere stato amante della maggior parte di loro, uomini e donne.
E infine, il maestro delle cerimonie, il prete Jolliffe, anche lui legato a Clive nella maniera meno consona al suo voto da sacerdote, gioviale e credente a modo suo.
Di Clive si sa ben poco e Alan Bennett non ci pensa nemmeno a dire tutto subito, lascia che ci perdiamo in un vortice di starlette della televisione, presentatori e giornalisti, venuti lì più per dire “Guarda chi c’è seduto lì!” che per compiangere le mani d’oro dell’amato Clive.
La scrittura è fresca, sobria e solo apparentemente salottiera, in pieno humor inglese che non risparmia stoccate ai vari personaggi, neppure a padre Jolliffe, forse più protagonista dello stesso massaggiatore: Bennett fa da cronista, ma ad accompagnarci durante la lettura sono le impressioni e i pensieri del prete, che tenta di barcamenarsi tra la religiosità dell’evento e i ricordi ben più intimi che lui, come tutti quanti, condivide sul defunto.
Unico che vorrebbe distinguersi dalla folla è l’arcidiacono Treacher, lì per giudicare l’operato di padre Jolliffe, ma viene irrimediabilmente trascinato dall’autore nel vortice di ironia pungente che agisce impietosa fino al finale, l’ennesima riprova che Bennet non si fa scrupoli a bistrattare un po’ le autorità religiose, trattando tematiche che tuttora fanno storcere il naso, come l’omosessualità e l’AIDS.
Alla fine “tutti i nodi vengono al pettine”, i dettagli più scabrosi degli incontri intimi di Clive con i presenti riemergono, ma il massaggiatore delle celebrità, anche da morto, continua a creare tanti problemi quanta attrazione nei presenti.
Lo consiglio molto, è breve, senza una sbavatura e assolutamente divertente: Bennett è il maestro della risata senza esagerare e imparziale nel maltrattare con un sorriso tutti i suoi personagg

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
120
Segnala questa recensione ad un moderatore
11 risultati - visualizzati 1 - 11

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
3.0 (2)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (2)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
3.0 (2)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (2)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

L'antico amore
La famiglia
Fatal intrusion
Degna sepoltura
Il grande Bob
Orbital
La catastrofica visita allo zoo
Poveri cristi
Se parli muori
Il successore
Le verità spezzate
Noi due ci apparteniamo
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Delitto in cielo
Long Island
Corteo