Opinione scritta da Queen D
53 risultati - visualizzati 1 - 50 | 1 2 |
Di come i Nephilim affrontino il Dio Amore..
“Ma molto era più forte il nostro amore
che l’amor d’altri di noi più grandi
che l’amor d’altri di noi più savi
e né gli angeli lassù nel cielo
né i demoni dentro al profondo mare
mai potran separare la mia anima dall’anima
della Bella Annabel Lee”.
Una vera poesia di Edgar Allan Poe, del 1894, che Cassandra Clare adatta al suo nuovo romanzo, una poesia che sarà costantemente presente all’interno della trama del libro e che celerà fra le sue righe numerosi misteri da sbrogliare, spesso anche determinanti per la risoluzione dell’enigma.
Chi è Lady Midnight, la signora della mezzanotte a cui fa riferimento il titolo?
Ci si aspetterebbe che la protagonista assoluta della trama sia questa donna misteriosa e per certi versi lo è, ma non nel senso classico del termine: non è mai fisicamente presente, nessuno sa chi è e prima che i veri protagonisti arrivino a capirlo, è solo un’ombra di sfondo che aleggia sulle pareti della vita altrui. Sospetto tuttavia, considerato il finale, che i romanzi seguenti a questo primo capitolo della nuova serie, The Dark Artifices, ne approfondiranno la conoscenza.
La storia si ambienta a Los Angeles, cinque anni dopo le vicende narrate in “Città del fuoco celeste”, ultimo capitolo della serie The Mortal Instruments: i protagonisti, quelli veri, sono Emma Carstairs e Julian Blackthorn, insieme a tutta la sua famiglia di numerosi fratelli e sorelle, ugualmente importanti ai fini delle trama quanto i primi due. Tutta la trama si concentra sulla risoluzione di un mistero e per questo motivo si colora di tinte da romanzo giallo, senza snaturare però la natura fantasy della storia. Ritroveremo quindi gli Shadowhunters, le rune, i parabatai, il Conclave, tutte le sue crudeli regole e una breve comparsa di Clary e Jace.
Lo stile è sempre quello della Clare: diretto, intuitivo, coinvolgente e per questo familiare.
Ci si aspetterebbe un romanzo d’azione e di coraggio, di lealtà e tradimenti e lo è, ma il fil rouge che tocca tutti i personaggi è l’amore: l’amore di Emma per i suoi genitori perduti, l’amore di Julian per la sua famiglia, l’amore non detto, quello nascosto, quello proibito, che ti costringe a fare delle scelte dolorose, talmente forte da non essere sopportabile, perché più è impossibile e più si accende.
E’ stato questo a colpirmi del libro, questa costante presenza di sentimenti forti, durevoli, a lieto fine in alcuni casi, irrealizzabili in altri. Questo e Mark, il personaggio che più ho amato tra quelli presenti nel libro: affascinante, originale, mai banale, il più riuscito tra quelli della Clare (non considerando Magnus Bane).
Da leggere in modo categorico se siete fan della serie e se vi è mancato il mondo dei Nephilim, ma anche nel caso in cui non siate amanti del genere fantasy: il lato umano e l’approfondimento dei sentimenti molto spesso, nei libri della Clare, prende il sopravvento rispetto a tutto il resto.
Indicazioni utili
Il licantropo atipico
Anne Rice, la regina dei vampiri, la fantastica ideatrice di " Intervista col vampiro" (1976), un cult della narrativa horror che ha ispirato centinaia di libri, torna con un nuovo romanzo e con un nuovo essere soprannaturale come protagonista: il licantropo.
Niente vampiri dunque, mi dispiace per i vampirofili come me.
Il protagonista è Reuben Golding, un ragazzo giovane, molto bello, molto ricco, molto intelligente che per un incidente tragico, in cui perde la vita una donna, molto bella, molto ricca, molto intelligente e, a quanto pare, molto disponibile (come tutte le donne di questo libro), eredita il Crisma, ovvero il dono del lupo. Da principio, Reuben, spaesato e spaventato, non capisce quello che gli stia succedendo, ma quando, notte dopo notte, si trasforma in una specie di satiro, alto un metro e ottanta, con i capelli lunghi, le zanne e la pelliccia dappertutto, capisce di essere cambiato.
Una serie di avvenimenti farà via via luce sulla sua natura e il fantasma di Felix Nideck, uomo avvolto nel mistero e che sembra fortemente legato al destino di Reuben, tornerà per fare chiarezza e per un regolamento di conti che sembra durare da millenni.
Nessuno sa della sua nuova vita, solo Jim, suo fratello, e Laura, misteriosa donna dai capelli d’argento incontrata nel bosco: Reuben, da lupo, può sentire l’odore del male e dell’innocenza, viene richiamato dalle voci e dalle urla della gente bisognosa di giustizia e vendetta e non può in nessun modo tirarsi indietro. Diventa una sorta di paladino della notte, mentre durante il giorno interroga se stesso su temi profondi e importanti, quali l’esistenza di Dio, il significato del bene e del male, della vita e della morte.
Due punti fondamentali lo diversificano dal classico licantropo: prima di tutto, la trasformazione non ha nulla a che fare con la luna piena e, in secondo luogo, non è dolorosa e straziante, come siamo abituati a pensare, ma viene accompagnata da ondate di piacere che liberano tutta la forza prorompente del dono.
Non è dunque un licantropo qualsiasi ma un Morphenkinder, un essere giusto e al di sopra delle parti, dotato di una coscienza e di un cervello perfettamente funzionante, anche durante la mutazione, che combatte contro l’odore del male, dell’egoismo e della cattiveria.
Tutta la storia sembra promettere bene, dunque perché l’ho votato in modo mediocre?
Il ritmo della narrazione coinvolge ma, a mio avviso, procede a singhiozzi, alternando parti più scorrevoli a pozzanghere in cui mi sono infangata e, a dirla tutta, annoiata; ho trovato le donne del romanzo, a parte la madre di Reuben, senza spessore, pronte a gettarsi nel letto di Reuben senza una plausibile giustificazione, un mero contorno, nonostante lo sforzo dell’autrice; il personaggio principale non mi ha affascinato per nulla: sì è bello, è ricco, è sveglio, ma non mi ha conquistata, anzi, al contrario, l’ho trovato poco profondo, superficiale, un tentativo non riuscito.
Questo non vuol dire che nel romanzo non si affrontino temi di una certa consistenza ma il modo in cui è stato fatto, in cui i pensieri e le idee dei personaggi sono stati incastrati nella trama, non mi ha convinta: credo che la battaglia tra la razionalità, la volontà di conservarsi umani e civili e la bestialità, l’istinto primordiale di cacciare, combattere, abbandonarsi alla propria natura sia stato mal elaborato e, in alcune parti, spiegato in modo troppo complicato e astruso.
Devo ammettere che mi aspettavo molto di più, probabilmente perché l’aspettativa era molto alta.
Ho apprezzato, tuttavia, l’originalità di alcuni elementi, come le caratteristiche intrinseche del dono di Reuben, diverse da quelle che associamo normalmente ad un licantropo, e il personaggio di Felix Nideck che mi è piaciuto molto, pur comparendo non tanto quanto avrei voluto.
Credo che Anne Rice abbia un dono: quello di scrivere ma, purtroppo per me, non di licantropi. Molto meglio le sue idee geniali sui vampiri, su personaggi indimenticabili come Lestat, Louis, Armand o Pandora. Reuben? Da dimenticare.
Il valore delle piccole cose
Sono sempre stata un'inconsapevole fan di questo libro, pur non avendolo mai letto da bambina. Conoscevo i personaggi principali come Dorothy e i suoi amici di avventura ma non mi era mai venuto in mente di leggere la sua storia, fino a qualche giorno fa. E devo ammettere che pur essendo scritto in modo semplice e ovviamente comprensibile per un pubblico non adulto, io l’ho trovato pieno di spunti per riflettere su tematiche assolutamente non infantili.
L’aggettivo che ho subito associato a questo libro è uno: delizioso.
E’ un racconto dolce ma non stucchevole, scritto per bambini ma tremendamente maturo, assolutamente geniale.
La dolcezza di Dorothy si contrappone al suo coraggio e alla sua schietta determinazione, di cui forse non è neanche consapevole; la goffa delicatezza dello Spaventapasseri che desidera un cervello tutto suo, perché è pur sempre un fantoccio finto ma non può vivere con un cervello di paglia secca; il coraggio e la forza del Taglialegna di Latta e della sua ascia, che invece di un cervello, di cui abbonda, vuole un cuore tenero e affettuoso, per poter tornare dalla sua bella che lo attende; il Leone Vigliacco, re della foresta solo ufficiosamente, che accetta di seguire i suoi compagni di viaggio per poter avere un pizzico di temerarietà e di coraggio per diventare quello per cui è nato; e infine Toto, il piccolo cagnolino di Dorothy, che non vuole nulla, solo stare affianco alla sua padroncina e dare la caccia ai topolini di campo.
Ognuno di loro si mette in viaggio verso la Città di Smeraldo in cerca di qualcosa, ma nessuno di loro si rende conto che ha già dentro di sé quello che desidera: l’intelletto, la bontà del cuore, il coraggio sono già virtù che possiedono ma che non sanno di avere.
Allora la morale del libro qual è? Perché questo libro HA UNA MORALE, come tutti i libri per bambini di un certo calibro: che, a volte, ci affanniamo a rincorrere cose che non ci rendiamo conto di possedere già, mettendo in pericolo le proprie certezze per rincorrere delle chimere.
Alla fine tutti otteranno quello che vogliono ma non in termini reali: è solo un effetto placebo dispensato dal famoso mago di Oz. Solo Dorothy tornerà a casa sua, in Kansas dagli zii, come aveva sempre desiderato.
Avrebbe potuto tornarci in qualsiasi momento, ma lei non lo sapeva, e così facendo, involontariamente, aiuta i suoi amici a realizzare i proprio sogni. Quindi, forse, è un bene che non abbia usato i suoi stivali d’argento.
Tenero, potente nella sua semplicità, commovente: un must per i bambini, ma soprattutto per i grandi che vogliono dar valore alle cose belle che possiedono e a cui non danno valore.
Indicazioni utili
Prima di Elisabeth e Jane c'era...
Di due anni precedente rispetto al famosissimo "Orgoglio e pregiudizio" (1813), questo romanzo della Austen, il suo primo romanzo, inevitabilmente mi porta a fare dei paragoni col fratello successivo. Essendo il suo primo sforzo letterario, e non me ne vogliano i super fan della Austen, ho trovato "Ragione e sentimento" leggermente meno maturo di "Orgoglio e pregiudizio" di cui ho maggiormente amato i protagonisti.
In questo romanzo, la Austen fa girare le vicende intorno a una piccola famiglia tutta al femminile, la famiglia Dashwood: Elinor, la sorella maggiore, Marianne, Margaret e ovviamente la signora Daswood, la madre. Le protagoniste, non assolute in questo caso, sono Elinor e Marianne, la prima spirito razionale, posato, assennato, maturo, la seconda più ribelle, vivace ed estrema in tutte le sue esternazioni emozionali, che siano nel bene o nel male. Tutto il libro si gioca sul contrasto tra il senno di Elinor e l’impulsività di Marianne che, posti su una bilancia immaginaria, cercheranno l’uno di superare l’altra. In alcuni momenti sembra vincere il sentimento, che sfugge a qualsiasi gabbia razionale, in altri la ragionevolezza di Elinor prende il sopravvento, in un’alternanza tale che alla fine non si può giudicare chi sia il vincitore.
Ho letto da qualche parte che il rapporto tra Elinor e Marianne non è altro che una trasposizione di quello reale tra Jane Austen e sua sorella maggiore, Cassandra: quest’ultima ispirò Elinor mentre la Austen prende sembianze nell’uragano Marianne ed è per questo motivo, nel romanzo, c’è quasi un equilibrio fra i diversi caratteri delle due protagoniste.
Un grande affetto le lega l’una all’altra e alla propria madre (Margaret, la sorella più piccola, è solo una comparsa) molto diversa dalla bisbetica e sciocca signora Bennet, mamma impicciona di Elisabeth e Jane in “Orgoglio e pregiudizio”.
Troviamo una madre attenta, abbastanza intelligente e dotata degli stessi identici sentimenti della sua seconda figlia Marianne: Elinor, così, deve combattere per far ragionare non una ma ben due esponenti della sua famiglia, portandovi un pizzico di sale in zucca.
La storia, e in questo punto ci avviciniamo al romanzo successivo, parla delle delusioni amorose delle due sorelle le quali, ovviamente, reagiranno in modi opposti agli eventi. Alla fine, la bilancia si capovolge e l’assennata Elinor cederà al fuoco del suo primo tenero amore, mentre Marianne, dopo varie disgrazie, sembrerà mettere la testa a posto e cederà ad un amore inizialmente respinto dalle sue sciocche e infantili idee romantiche, in un capovolgimento metaforico dei ruoli.
Ho trovato alcuni personaggi, come Edward, poco piacevoli (non me ne vogliano le sue fan): uomo di poco polso, di nessun fascino e, a mio avviso, non meritevole del finale. Ho trovato abbastanza attrattive nel colonnello Brandon ma se paragoniamo i due al signor Darcy, ahimè, il risultato è impietoso.
E’ pur vero che questo è un altro romanzo ma sfortunatamente per me il paragone è stato immediato ed automatico: in questo troviamo l'eterna lotta tra il cuore e la ragione, nell'altro tra il pregiudizio, l'opinione affrettata data solo in base all'apparenza, contro l'orgoglio, sentimento altrettanto prevenuto e tanto distruttivo quanto il primo.
Ciò non toglie che il romanzo sia, in modi diversi, un capolavoro e che chiunque, fan o no della Austen, può solo guadagnarci in senno o sentimento (a voi la scelta) leggendolo.
Indicazioni utili
"Emma"
"Persuasione"
"L'abbazia di Northanger "
"Mansfield Park "
Remake di un classico
Immaginate la ridente campagna inglese dell'Hertfordshire, una singolare famiglia composta da sei donne e uno sfortunato capofamiglia, unico uomo del suo harem, e due storie d'amore ingarbugliate e struggenti. Abbiamo la famiglia Bennet, la famiglia Bingley e la famiglia Darcy, pronte sul fil di lana ad intrecciarsi e mescolarsi, non senza il superamento di ostacoli di diversa natura, quali fraintendimenti, allontanamenti forzati, povertà e caratteri poco malleabili.
Questa è la storia originale, prevista dalla Austen. Aggiungete alla ricetta precedente un pizzico di zombie sparsi qua e là ed ecco che avrete la nuova versione della storia, arricchita, o secondo alcuni impoverita, da un pò di pepe frizzante.
Immaginare Elizabeth Bennet come una cacciatrice di zombie non mi è dispiaciuto, considerato il suo carattere indipendente e la sua lingua sferzante, mentre ho trovato più stonata l'associazione tra la dolce e gentile Jane e il popolo dei non morti.
Voglio premettere di non essere una purista del genere romanzato, specie di quello straniero, ed è per questo che ho dato un voto abbastanza alto per un libro preso di sana pianta, copiato e arricchito di qualche frase e scena splatter. Nonostante l'assenza di qualsiasi originalità da parte del nuovo co-autore, l'ho trovato un libro piacevole, ovviamente per la qualità della storia originale, ma anche per la dose di irriverenza in più che l'ha integrata.
Quante volte ho pensato che Mrs Bennet, con la sua petulanza, la sua completa ignoranza del buon senso e la sua assoluta mancanza di freni avrebbe meritato una bella lezione?
E non meritava forse lo stesso destino la spocchiosa e altera Lady Catherine de Bourgh, zia del nostro caro Darcy, che voleva a tutti i costi impedire il matrimonio di suo nipote con Lizzie?
Certo vederla trasformata da anziana nobildonna, la cui maggiore occupazione era quella di schiacciare i cuscini del suo elegante sofà, a cacciatrice di zombie che dispensa consigli a destra e a manca su quale sia il metodo migliore per abbatterli, mi sembra una trovata un po' estrema.
Ho trovato alcune scene e alcuni passaggi troppo fuori dalle righe, considerato il tipo di romanzo, quasi ridicoli e non ho apprezzato il ritmo della storia, spezzato dalle apparizioni degli "innominabili", come vengono chiamati nel libro.
Nonostante questo, e so che non è merito di Smith, ho adorato di nuovo la storia e, se ben dosate e caratterizzate, mi sarebbero piaciute anche altre variazioni, ad esempio l'inserimento di vampiri oppure altre creature soprannaturali.
La trama è identica a quella originale perché non credo che alcun autore, mai nei secoli, potrebbe sognarsi di cambiarla, ma questo non impedisce di inserire elementi nuovi e moderni, come ha cercato di fare Smith. E' questo che ho apprezzato: il coraggio di sfidare un classico senza tempo e farlo schizzare nella moda moderna. Certo, il tentativo non è riuscito al 100%, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
E credo che scegliere Elizabeth Bennet come "cavia" sia stata una bella idea: chi meglio di lei, coraggiosa e intelligente, bella e perspicace, poteva sfidare meglio le orde di zombie pronte ad invadere l'Inghilterra?
Una bella dimostrazione di coraggio da parte del co-autore che mi son sentita di premiare in parte.
Magari la prossima volta sarà quella buona, magari senza interpellare la Austen: un esempio potrebbe essere "Orgoglio e pregiudizio e zombie, finché morte non vi unisca" di Steve Hockensmith, sequel di questo remake, che vede Elizabeth e Darcy felicemente sposati ma destinati ad andare incontro a terribili sventure. Non ho letto questo sequel, ma sicuramente, essendo una storia inventata dalle radici, non offenderà nessuno.
Indicazioni utili
Phoenix vs. Clois
Alex, Phoenix, giorni nostri, vs. Marc, Clois, Francia 1233.
Sicuramente un bel salto temporale ricco di avventure sulle quali tutti abbiamo fantasticato almeno una volta: come sarebbe la nostra vita in un'epoca diversa? come ci comporteremmo con abitudini, usi e costumi completamente differenti dai nostri? come comunicare senza computer, cellulari e wi-fi perennemente disponibili anche negli ancoli più remoti del pianeta?
Domande ragionevoli che Alex, la co-protagonista di questo libro non ha avuto il tempo di porsi, catapultata com'é direttamente nel Medioevo più profondo, grazie, o per sfortuna, al gioco Hyperversum Next, seguito di quello con cui giocavano vent'anni prima Daniel e Ian, protagonisti dei precedenti volumi.
Li ritroveremo anche in questa storia, sotto spoglie diverse, ma con lo stesso carisma, mentre Alex, giovane e atletica ragazza maschiaccio del XXI secolo si batte per la sua vita e per sopravvivere nel 1233, dove incontra Marc de Ponthieu, aitante nobile a caccia di guai, che sembra condividere il suo stesso destino, nonostante le chiare diversità fra i due.
Piuttosto ovviamente, tra i due nascerà del tenero e insieme andranno incontro a rocambolesche avventure e a un bel finale che conclude il libro in maniera definitiva.
La trama é molto semplice e anche piuttosto poco originale: una ragazza in difficoltà che viene salvata dal cavaliere di turno e di cui poi si innamora.
Il ritmo del racconto é buono, fa venir voglia di continuare a leggere e il volume permette di andare in modo spedito e di finire il libro in poco tempo, soprattutto per scoprire cosa succederà nel momento in cui Daniel, il papà di Alex, tornerà nel Medioevo per riportarla a casa, al proprio posto.
Ho trovato la trama un poco banale e l'approfondimento dei personaggi superficiale, troppo stereotipato; cio' non toglie che sia un libro piacevole e scorrevole, soprattutto per chi ha letto i tre volumi precedenti, che narrano le vicende di Daniel e Ian, quest'ultimo, a mio avviso, il personaggio più interessante di tutti in assoluto.
Il libro puo’ essere letto in maniera autonoma rispetto agli altri tre, in quanto auconclusivo e narrato da punti di vista differenti, ma il mio consiglio é di approfondire meglio il mondo di Hyperversum, leggendo anche la trilogia precedente composta da : « Hyperversum », « Hyperversum, Il falco e il leone » e « Hyperversum, Il cavaliere del tempo ».
In questo modo si capirà meglio il rapporto di Alex con il padre, il carattere carismatico di Ian e come tutti personaggi si incastrano nella storia finale.
Un libro piacevole se si cerca una lettura leggera e poco impagnativa.
Indicazioni utili
Hyperversum, Il falco e il leone
Hyperversum, Il cavaliere del tempo
Lo scambio dei sessi a Forks
Inutile negare che per molti lettori (o meglio, lettrici) il fenomeno di Twilight sia stato uno di quei tormentoni che ti tengono sveglio la notte, fantasticando sul principe azzurro che arriva sul cavallo bianco…o come nel caso di Edward Cullen, a bordo di una fiammeggiante Volvo argentata. E posso dire anche nel caso di Edythe Cullen.
Ebbene si': la protagonista del libro, insieme al suo alter ego in versione maschile di Bella Swan, ovvero Beau Swan, guida la stessa macchina, ha lo stesso colore di capelli, gli stessi occhi cangianti e la stessa famiglia, solo che i lui solo diventati lei e viceversa.
Abbiamo cosi' Edythe invece di Edward, Beau invece di Bella (il suo nome in francese significa "bello", quindi c'é una non molto sottile coerenza), Carlisle che diventa Carine, una dottoressa rubata alle sfilate di Victoria’s Secret, Earnest invece di Esme, Archie invece della bella Alice, Jessamine invece di Jasper, Eleanor invece di Emmett e Royal al posto della scettica Rosalie.
E ovviamente una lupa, Jules, che ruba il posto a Jacob Black e Joss, la segugia vampira, invece di James.
Tutti i personaggi nella nuova versione della storia cambiano sesso, persino Jules non ha più il papà costretto sulla sedia a rotelle, ma una mamma, pur sempre nelle stesse condizioni, che prende il nome di Bonnie e che, ovviamente, é una licantropa.
Gli unici a non cambiare sono i genitori di Beau che restano Charlie e Renée.
Anche la storia di Beau e Edythe, sostanzialmente, non cambia, ma ricalca a linee pressocché identiche quella di Bella e Edward, salvo per il finale, che riserva una sorpresa inedita e che, personalmente, é una delle poche cose che mi hanno sorpresa.
Quando ho iniziato a leggere questo libro, complice forse la storia quasi identica a quella di Twilight (ecco perché ho dato due stelline al contenuto), mi sono ritrovata a provare le stesse emozioni di quando scoprii la storia originale e a farmi le stesse domande : se Edythe, la nostra bellissima vampira dai capelli color del bronzo, fosse stata in grado di leggere i pensieri di Beau le cose sarebbero andate allo stesso modo? o lei l’avrebbe ignorato come tutti gli altri, per i quali non prova alcun interesse, lasciando il nostro impacciatissimo e scoordinato Beau a straziarsi d’amore per lei ?
E se il profumo di lui fosse stato meno delizioso ?
Se, ma, forse…fatto sta che i due si innamorano perdutamente e la storia procede come tutti la conosciamo, salvo per il twist del finale.
Prima di immergermi nella lettura, ho letto che la Meyer ha voluto costruire la storia in questo modo per riscattare la figura di Bella, da sempre tacciata di essere un personaggio troppo debole, la classica e noiosa « pricipessa » che pende dalle labbra del principe e che non fa nulla tranne aspettare che lui la salvi. La Meyer ha voluto dimostrare, invertendo le parti e mettendo un uomo al posto di Bella, che alle stesse identiche condizioni, anche lui, Beau, poteva soffrire in egual modo e forse anche di più, dimostrando in questo modo che anche gli uomini possono innamorarsi follemente tanto da non riuscire a pensare ad altro.
E possono anche sacrificarsi in nome dei loro sentimenti.
Trovo che, a mio avviso, sia una giustificazione un po’ forzata : é stato bello rileggere le avventure di Bella ed Edward in modo speculare, ma credo che riscrivere una nuova versione della storia, con personaggi diversi, ma con le stesse motivazioni, sarebbe stato molto meglio. Magari l’ambientazione poteva essere la stessa, ma si poteva cambiare il periodo temporale, spostando la storia in un’altra epoca, ad esempio.
Il fatto di aver semplicemente invertito i sessi e cambiato il finale mi lascia leggermente infastidita e insoddisfatta. Avrei preferito uno sforzo maggiore : se quello che voleva la Meyer era risollevare la figura troppo passiva di Bella, avrebbe potuto mantenere una protagonista femminile e indurire il suo carattere, rendendola più forte, più sicura di sé, più badass insomma. Credo che a quel punto si’ che la figura della donna in balia delle onde dell’amore sarebbe stata riscattata. Invertendo i sessi, io credo che abbia fatto l’esatto opposto di quelle che erano le sue intenzioni, ovvero confermare che, uomo o donna che sia, il protagonista della storia é un personaggio debole.
Non so se consigliarlo o meno : se siete fan di Twilight non potete non leggerlo, ma io ho trovato la storia dal punto di vista di Beau meno credibile.
Se invece non avete amato Twilight, non vi piacerà neanche questa versione.
Un appello alla Meyer : sarebbe meglio finissi Midnight Sun, quello é l’unico punto di vista maschile della storia che voglio leggere.
La felicità nell'ignoranza?
"I capricci di Cupido": si potrebbe riassumere così la trama di questa splendida commedia shakespeariana, perfetta traduzione in parole di quei sentimenti di vendetta, gelosia, lussuria, frenesia e sofferenza che l'Amore provoca in ognuno di noi quando, per fortuna o sfortuna, ci innamoriamo.
Sottolineo per fortuna o sfortuna per un motivo: perché non sempre innamorarsi eleva il nostro spirito tra le vette più sublimi e celestiali del paradiso, come affermerebbe qualcuno ma, nella maggior parte dei casi, quello che si ottiene è miseria e delusione.
Vedete Titania che finisce per innamorarsi di un asino..certamente, non per sua volontà, ma non è forse questa una metafora? quante volte ci siamo ritrovati a giudicare una persona di nostra conoscenza, ritrovandoci a pensare: "Ma come diavolo fa a stare con uno/a del genere? Sarà forse impazzito/a?".
Non per nulla si dice: "L'amore è cieco".. allora io mi domando, ed è questo il frutto della riflessione dovuta alla lettura di questo libro: cosa importa davvero? essere consapevoli della persona che si ha accanto e per questo avere un potere maggiore, come Oberon su Titania? oppure sarebbe meglio ignorare la nostra condizione, vivere in serenità, accontentandosi della pacifica convivenza e reciproca sopportazione, senza star lì a pretendere troppo, beandosi nella totalizzante sensazione di essere arrivati ad un punto in cui tutto sembra perfetto, come Titania innamorata di un asino, che sì era ridicola, così persa per il muso e le orecchie di un ciuco, ma, cosa da non sottovalutare, felice?
Non è forse questa la sensazione che si prova quando si è innamorati? E cosa importantissima, a prescindere di CHI si è innamorati?
Ecco, secondo me, lo scopo di questa commedia: farci capire che alla fine è tutto un gioco di casualità e all'improvviso non sei più padrone di te stesso, che sia per colpa della viola del pensiero come Lisandro o Demetrio, innamorati prima della stessa donna, poi di un altra, poi di quella che Shakespeare ha assegnato loro allo scopo del lieto fine, in un intreccio stordente, sia per un capriccio volontario, come il tranello di Oberon a Titania, alla fine siamo tutti destinati a cadere.
Allora mi chiedo: chi toccherà a me? Alla viola del pensiero non si comanda. Potrei innamorarmi di un principe, come Lisandro, con la stessa probabilità di come potrei perdere la testa per un asino qualsiasi. E' tutto nelle mani del Puck della situazione, che a me sembra una perfetta metafora del nostro contemporaneo Cupido, che scaglia le sue frecce a destra e a manca senza un ragionevole senso logico.
Quante volte ci è capitata questa situazione: tu-ami-lui-ma-lui-ama-l'altra-che-ama-a-sua-volta-un-altro-che-non-sa-nemmeno-che-esiste? credo che a tutti, almeno una volta nella vita, sia capitato un Puck che ci ha incasinati la vita con le sue magiche ma crudeli pozioni.
E quante volte avremmo voluto, pur di essere a tutti costi felici, essere ignoranti? Non si dice forse: "Chi più sa, più soffre?".
Allora il senso, secondo me, è questo: fare una scelta tra il sapere e il non sapere, tenendo conto che noi possiamo fare tutti i nostri calcoli, ma sarà la viola del pensiero a scegliere per noi.
Indicazioni utili
un jinn per amico...o no?
Ho letto da qualche parte che questo libro è stato definito un testo per ragazzi, quindi quando ho iniziato a leggerlo mi aspettavo uno stile semplice, divertente e leggero, dei personaggi bidimensionali, piatti, ma di facile comprensione e una storia scorrevole e vivace ed effettivamente è proprio quello che ho trovato. Ma c'è dell'altro e con qualche sostanziale differenza.
Innanzitutto il titolo: è un titolo altisonante, maturo, adulto e anche colto, se vogliamo. Richiama alla mente posti misteriosi, avventure d'altri tempi ed eroi dimenticati. E' un titolo forte, d'impatto, che si fa notare.
Seconda riflessione: la trama si concentra intorno alle vicende di Nathaniel, un bambino alle porte dell'adolescenza, che intraprende i primi passi nel mondo della magia e che, per vendetta, rabbia e un infinito orgoglio, finisce per trovarsi invischiato in una situazione molto più grande di lui. E non è da solo, il che non è detto che possa rappresentare una fortuna.
Infatti al suo seguito c'è un jinn, o genio se preferiamo, e non uno qualunque, ma Bartimeus, uno dei più grandi, potenti e contraddittori fra tutti gli infiniti esseri impalpabili che si potessero evocare.
I jinn, del mondo di Nathaniel, sono delle entità soprannaturali dalla moralità incerta, creduti malvagi ed egoisti, che possono essere convocati da un mago, con apposite formule, pentacoli e vari effetti speciali, allo scopo di essere asserviti alla persona che li ha chiamati ed eseguire gli ordini senza battere ciglio, di qualsiasi natura essi si trattino.
Una sorta di Aladino in chiave moderna, con la differenza che Nathaniel combina un disastro dopo l'altro e, guarda un pò, tocca a Bartimeus sistemare tutto.
Certo, fosse per lui il ragazzetto potrebbe anche buttarsi da un ponte ma, sfortunatamente la sua vita è legata a quella di Nathaniel e quindi se vuole sopravvivere, deve aiutarlo nella sua missione folle e, apparentemente, insensata.
Quindi perché secondo me non è un libro esclusivamente per ragazzi?
E' la storia che non è acerba ma, anzi, stratificata, come i personaggi. Ho detto che mi aspettavo dei personaggi piatti e di facile comprensione, ma sia Nathaniel che Bartimeus sono dei protagonisti complessi, ben strutturati, ma non per questo complicati da capire.
E la trama non è un susseguirsi di successi e applausi al protagonista: Nathaniel è un bambino senza guida, quindi ci saranno errori madornali e immaturi, tentativi di riparare al danno ancora più disastrosi, com'è giusto che sia quando uno dei protagonisti ha undici anni. E' una trama coerente, reale, con i piedi per terra.
Nathaniel sarà anche intelligente, dotato e ambizioso, ma rimane pur sempre un bambino.
Storia molto, ma molto diversa per Bartimeus, secondo me il protagonista assoluto del libro: irriverente, acido, spietato, divertente, tronfio e per niente modesto, è una delle colonne portanti dell'intera struttura con le sue battute che fanno sorridere e con le note a piè di pagina (idea geniale dell'autore), che "sua maestà Bartimeus" concede a noi poveri mortali, per chiarire le sue posizioni, sputare velenose sentenze e illuminarci su come funzionano le cose nella sua testa.
Bartimeus mi ha fatta ridere a crepapelle: in certi momenti, mi capitava di prendere il libro, chiuderlo e scoppiare a ridere, scuotendo la testa perché non ci si può far capaci di quanto sia incredibile, assurdo e irresistibile.
Viene voglia di conoscerlo o di avere la capacità di convocarlo nel salotto di casa, tra fumi, lampi e voci dall'aldilà.
Non è un libro solo per ragazzi: lo stile è elegante, i termini ricercati, le note a piè di pagine acute e mature, e la storia non è un successo continuo, intervallato da qualche bastone tra le ruote, ma è tutto l'opposto, un disastro dopo l'altro, con un finale coi fiocchi, in cui sono incastonate le perle di Bartimeus.
Lo consiglierei a degli adolescenti?Sicuramente, ma soprattutto a degli adulti e il motivo è proprio la presenza ingombrante e inevitabile di Bartimeus: un ragazzo che legge questo libro potrebbe essere divertito dalla sua irriverenza e dai suoi poteri strabilianti, pieni di effetti speciali, ma un adulto riuscirebbe a capire la sua filosofia, la sua logica, la maturità dei suoi discorsi e delle sue battute al vetriolo.
Un fantasy originale, che non ha niente a che vedere con Harry Potter & co., perché è completamente un'altra storia, quindi se cercate qualcosa di più potteriano dovete rivolgervi altrove.
Qui troverete Nathaniel e la sua testaccia dura e un jinn che vi farà mettere le mani nei capelli e che non dimenticherete tanto facilmente.
Ecco perché amo le saghe: perché c'è sempre un seguito se lo si desidera.
Indicazioni utili
la decadente bellezza di un sogno
VISIONARIO. E lo scrivo in maiuscolo. E’ questa la parola adatta per questo romanzo, e non mi riferisco alla definizione generale che intende “chi ha delle visioni o delle apparizioni soprannaturali”, ma all’estensione cinematografica del termine che indica “un qualcuno particolarmente dotato della capacità di creare situazioni e immagini fantastiche, irreali e di forte impatto visivo, che elabora disegni inattuabili” (Treccani).
Ora ditemi, un uomo che costruisce la propria vita, la propria carriera, la propria reputazione e la propria magnifica casa, che regala feste grandiose a cui partecipa a stento e che basa ogni singolo battito dei propri occhi e del proprio cuore solo ed esclusivamente nella speranza di rincontrare il suo perduto amore, come lo si potrebbe definire se non visionario?
E’ così, credo che non ci sia personaggio più adatto di Jay Gatsby a cui associare questo aggettivo.
Pare poi che comportamenti del genere siano fuori moda, abituati come siamo ad avere tutto e subito, nella frenesia di ottenere quello che vogliamo senza il piacere dell’attesa e della conquista lenta ma piena di significato. E’ per questo specifico motivo che mi sono innamorata di Gatsby, un uomo che la voce narrante definisce come “un figlio di Dio, frase che vuol dire proprio questo, e doveva continuare l’opera del padre mettendosi al servizio della bellezza vistosa, volgare, da prostituta”.
Che vuole dire bellezza vistosa, volgare, da prostituta e perché usa il temine “doveva”?
E’ un’arma, un mezzo come un altro per arrivare al proprio obiettivo: Jay Gatsby, nato James Gatz, è innamorato da sempre di Daisy Fay ma, povero in canna, non riesce a tenerla per sé e lei preferisce non aspettare (ah!la maledetta attesa) sposando Tom Buchanan, un ricchissimo e famoso giocatore di polo.
Il problema è che Jay torna, più ricco di Re Mida, e tramuta in oro qualsiasi cosa egli tocchi.
Ecco dove sta la bellezza volgare: le feste, lo sfarzo, la grandiosità, l’assoluta indifferenza riguardo lo spreco di denaro, il jazz dei Roaring Twentis, lo champagne a fiumi, tutto solo per riconquistare lei, Daisy. Accecata dal lusso ostentato di proposito, la nostra margherita tornerà tra le braccia di Jay.
Mi devo togliere un sassolino dalla scarpa: più ci penso e più mi rendo conto che Daisy è uno dei personaggi che più odio tra quelli che annovero nella mia lunga storia di lettrice accanita.
Ha ragione Jay quando dice che lei non capisce: ma non potrà mai capire! È un’arrivista, una voltabandiera, una di quelle tipiche donne che sembrano avere un’aria angelica ma che in fondo sono le più terribili portatrici di disgrazie e di insensibilità.
Mi chiedo di cosa si sia innamorato Jay; il libro di certo non la descrive in questo modo, è solo il mio pensiero nato dal fatto che ho tanto amato il personaggio di Gatsby, che qualsiasi cosa gli recasse danno, mi saliva in antipatia.
E’ uno spirito puro lui, candido, alla ricerca perenne del raggiungimento di un sogno, di un’utopia..e la sua grandezza (a cui il titolo allude) sta proprio nel fatto che, nonostante la sua visione sia quasi irraggiungibile, lui non si fermi e doni tutto sé stesso in nome di quell’ideale autentico e incorrotto.
Ma come spesso succede, la fragilità di questo tipo di sogni mal si concilia con la durezza spietata della realtà, e tutto andrà in rovina, indirettamente, proprio a causa dell’oggetto dei suoi desideri.
Uomini come Jay Gatsby non esistono, è per questo che diventano mito.
Sfortunatamente, al contrario, donne come Daisy ce ne sono tante e anche molto più terribili di lei.
Forse è un bene dunque che Gatsby sia solo un personaggio di fantasia perché in questo modo, nonostante il tragico epilogo, il suo sogno e la sua visione delle cose rimangono intatte.
“Vastus animus immoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat”
“Il suo insaziabile animo si volgeva sempre alla ricerca di cose smisurate, fantastiche, troppo grandi”- Sallustio
Indicazioni utili
Il Pinocchio di Michelangelo
Il David di Michelangelo che diventa un uomo in carne ed ossa...ma ve lo immaginate? cinque metri di perfezione anatomica che si riducono fino ad assumere sembianze umane e che vengono a vivere a casa vostra.
Il corpo di un uomo perfetto, privo dei colori naturali che ci circondano, con la mente di un bambino di tre anni..una bellissima tentazione per chi "soffre" della sindrome della crocerossina, poter avere a completa disposizione un figo (diciamocelo, è un figo) come il David da addestrare, educare e iniziare ai piaceri della vita. Nessuna malizia e nessun doppio fine, vero? solo l'altissimo e nobile proposito di fare del bene ad una povera creatura nata nel 1500 e sperduta nel XXI secolo..non può mica andarsene in giro a parlare in fiorentino antico, giusto?
E' questa la situazione in cui si ritrova Vera, ladra professionista, che non volendo risveglia l'anima della statua, e che da quel momento in poi la considererà prima una sorella, poi una mamma e poi una donna, con tutti i risvolti che questo comporta.
Quello con cui la protagonista deve fare i conti è il desiderio del David di diventare a tutti i costi come lei, umano, con le impronte digitali, con gli occhi e i capelli colorati e soprattutto con un cuore..e cosa meglio dell'amore può far nascere dei sentimenti romantici in un animo sterile e vuoto?
Devo dire che in fin dei conti non è stato un romanzo tanto male: il libro è breve, il ritmo è scorrevole, la storia più o meno originale (se non si pensa alla Fata Turchina e a Pinocchio) e alcuni passi sono veramente divertenti; inoltre si capisce che l'autrice è un'esperta di storia dell'arte, date le descrizioni di alcuni opere famose, e che non ha paura di far mostra di sé in questo senso.
Il prologo poi mi ha colpito molto e lo riassumo con una frase sola: "..in un paese dove si vivrebbe solo di turismo culturale, lo storico dell'arte è disoccupato. Perennemente. Anzi, direi che dai più è considerato un peso sociale". Che dire? da laureata in Conservazione e Gestione del Patrimonio culturale e ambientale non posso che essere assolutamente d'accordo.
Comunque..bando alle chiacchiere!
Torniamo al libro: riassumendo le mie impressioni, posso dire che si tratta di una storiella piacevole, molto leggera, per nulla impegnativa, direi un libro da portare sotto l'ombrellone; non troverete di certo personaggi di spessore (ok, il David è fatto di marmo, ma questa sarebbe una pessima battuta), oppure ambientazioni esotiche e particolari, o dialoghi profondi e complessi.
E' uno di quei libri che si leggono velocemente e che alla fine non ti lasciano con alcun dubbio amletico o interrogativo esistenziale.
Indicazioni utili
La regina delle lorettes
Sarà perché le camelie sono i miei fiori preferiti, sarà perché ho amato i romanzi di Dumas padre, sarà perché la trama di questo libro ha subito esercitato su di me una strana attrazione, ho sempre avuto la curiosità di leggere questo libro, ma non l’ho mai fatto per timore di restarne delusa, dopo avervi riposto così tante aspettative.
Devo ammettere, adesso che l’ho letto, di essere al tempo stesso pentita e contenta: pentita di non averlo fatto prima, ma contenta per aver aspettato, perché l’ho affrontato con una maturità diversa e adatta a comprendere la profondità della storia.
Inoltre scoprire che la vita di Marguerite Gautier, la nostra protagonista, è ispirata ad una cortigiana realmente esistita (che lo stesso Dumas aveva frequentato) e che quindi ha delle fondamenta radicate nella verità e non solo nella fantasia dell’autore, la rende ancora più speciale.
Solitamente non impazzisco per le storie d’amore sdolcinate e strappalacrime, ma devo dire che quella tra Marguerite e Armand ha un je-ne-sais-quoi di particolare e di trascinante..sarà perché tutte le storie romantiche velate dalla tragedia vengono accolte con uno spirito più solidale e pietoso? Immaginate l’epilogo straziante della love story tra Romeo e Giulietta, e faccio un esempio davvero altisonante per rendere l’idea: avrebbe avuto lo stesso dolceamaro sapore la loro storia se tutto si fosse concluso con la benedizione delle reciproche famiglie e con un “vissero felici e contenti”? Probabilmente no.
Ma la storia di Marguerite non cade nella tragedia classica, nell’accezione stretta del termine: l’autore ci pone immediatamente davanti ad un flashforward spiazzante, per cui sappiamo fin da subito quale sarà il destino dei protagonisti, e dunque abbiamo il tempo di accettare l’idea e di capire, con una certa curiosità (e nel mio caso anche con disappunto) come si è arrivati a quel punto.
L’autore predispone il racconto come l’espressione in forma scritta dell’evocazione dei ricordi di Armand Duval, amante e grande amore di Marguerite, la cortigiana più bella e in vista di Parigi…Marguerite, la regina delle lorettes, dai capelli neri come l’ebano, dalle ciglia lunghe e dalla bocca come un fiore, capace di incantare e di far cadere ai suoi piedi i migliori uomini della capitale.
E’ capace una donna simile di un amore vero e sincero, ma soprattutto disinteressato? Ed è capace, un uomo benestante, colto e beneducato, di amare una cortigiana di un amore sereno, fiducioso e privo di pregiudizi?
L’autore di fornisce le risposte nelle pagine del libro, tramite le parole e le confessioni di Armand e ci descrive, con una bella maestria, la soluzione a diversi luoghi comuni e situazioni assolutamente attuali: un amore inizialmente deriso, che diventa immediatamente attraente non appena l’altra parte perde interesse, un padre che non approva la relazione di un figlio, il pregiudizio della gente ignara dei fatti, il desiderio di vendetta dopo un bruciante rifiuto, l’odio, il dolore, il sadismo e il masochismo, frutti di un sentimento tanto forte da rasentare la pazzia.
“La signora delle camelie” è tutto questo e molto di più, è un romanzo capace di evocare delle scene quasi pittoriche che restano impresse nella mente, come la prima che catturò me: “un binocolo, un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie”, una scena che riassume perfettamente con poche, ma potenti parole, la natura capricciosa, irriverente e curiosa della protagonista. Non faccio alcuna fatica ad immaginare questa frivola combinazione di oggetti come centro di un dipinto, il cui titolo potrebbe essere..non so..”Dama a teatro”..no?
Che volete? Questa è la magia del libro, far diventare romantica anche un indole che tanto sdolcinata non è..figurarsi che effetto farebbe su un inguaribile sognatrice!
E allora..camelia bianca o rossa per questo romanzo? Ma ovviamente mille e mille camelie bianche.
Indicazioni utili
Il paradiso a buon mercato
“Il tranquillo seduttore” e “Il demone turbolento”: ecco come Baudelaire definisce, riassumendoli, i due creatori dei famosi paradisi artificiali per eccellenza, l’oppio e l’hascisc.
Questo testo, del 1860, è un saggio, una conversazione dell’autore che cerca di erudire il lettore circa la natura, gli effetti e le “voluttà morbose” che provocano queste due droghe, non solo sul corpo umano, ma soprattutto sulla sua psiche.
Dunque, divide la struttura del testo in due parti: una prima, tutta frutto del suo pugno, dedicata all’hascisc, e una seconda, trasposizione analitica di due opere di De Quincey, “The Confessions of an English Opium-Eater” e “Suspiria de profundis”, interamente dedicata all’oppio.
Con un tono sorprendentemente leggiadro, assolutamente diretto e un tantino irriverente (e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di Baudelaire), l’autore ci descrive, nella prima parte, cos’è l’hascisc, da dove proviene, come viene prodotto e come può venir consumato, quindi tutta una serie di informazioni tecniche, per così dire; non dimentichiamo che stiamo leggendo un saggio e non un romanzo, quindi è una parte introduttiva necessaria.
Nonostante ciò, Baudelaire allieta la lettura con una serie di aneddoti che, se non fosse per la serietà del tema trattato, oserei definire esilaranti. Un esempio spicciolo, che arricchisce la descrizione degli effetti dell’hascisc nei primi momenti dell’assunzione: “Anzitutto una certa allegria, innaturale e irresistibile, che ti prende […] Il demone ti ha invaso; è inutile resistere a codesta ilarità. Di tanto in tanto, ridi di te, delle tue scemenze e della tua follia; e i tuoi compagni, se ne hai, rideranno anch’essi del tuo stato, e del loro, e tu non proverai rancore, giacché in loro non c’è malizia.”
Come non riconoscere in questa scena una chiara modernità?
Dopo la fase “teorica”, per così dire, Baudelaire passa alla spiegazione di quale sia l’effetto del veleno, come lo definisce, sulla parte spirituale dell’uomo, ovvero “l’amplificazione, deformazione ed esagerazione dei suoi sentimenti abituali, delle sue percezioni morali..” e lo fa creando un personaggio immaginario e sottoponendolo agli effetti della droga.
Una sorta di viaggio “fantastico” all’interno di un esperimento per ipotesi.
L’idea che l’autore trasmette dell’hascisc è assolutamente negativa, lo definisce un veleno, una stregoneria, un suicidio addirittura, lento ma inesorabile.
La cosa bizzarra però che ho notato è che, se da una parte condanna l’hascisc, dall’altra, con lo stesso fervore, assolve l’oppio, che viene ritenuto meno funesto, meno perturbante e meno nemico. Sarà perché egli stesso ne è assiduo consumatore (di oppio)? Perché, in qualche modo, vuole giustificarsi? Questa la mia impressione.
La seconda parte, come ho anticipato, analizza e traspone le due opere di De Quincey ( per il quale Baudelaire prova un sincero ed empatico affetto) dedicate alla sua vita da oppiomane.
Dunque Baudelaire ci immerge nel mondo dell’autore inglese, portandoci dalla sua tormentata infanzia, attraverso gli anni ad Oxford, alla sua vecchiaia, ormai consumato e schiavo della terribile droga. Anche qui il ritmo è scattante e mai stantio, una vera autobiografia, non creata per autoesaltazione, ma per il bisogno di far comprendere la gravità, ma allo stesso tempo l’unicità, della sua condizione.
Si alternano perciò dei passaggi filtrati e proposti con le parole di Baudelaire a dei passi virgolettati in prima persona tradotti direttamente dall’originale; ne viene fuori quindi un discorso molto intimo e toccante.
Il testo finisce con un epilogo non-epilogo, che lascia il lettore pieno di domande irrisolte, e credo che proprio in questo punto stia la genialità di questo saggio mai banale: Baudelaire si limita a esporre, a descrivere, per le decisioni più importanti lascia a noi il libero arbitrio.
Indicazioni utili
Lo specchio dell'anima
Non sono quello che si potrebbe definire una fanatica della poesia. La maggior parte delle volte non la capisco e per la restante parte non riesco a impararne a memoria nemmeno un rigo, tant'è che non ricordo una singola parola delle classiche poesie che si assegnano a scuola. Ma Baudelaire è un universo a sé..come è possibile non amarlo? Trovo che le sue poesie siano come un prisma, le cui facce corrispondono ad ogni tipo di stato emozionale umano: rabbia, lussuria, tristezza, ottimismo, depressione, passione, entusiasmo, arrendevolezza.
Oppure, se proprio l'immagine del prisma non è così immediata e comprensibile, potrei dire che la lirica di Baudelaire, in questo specifico testo, assomiglia ad uno specchio: a seconda di come guardiamo, osserviamo e interpretiamo le sue poesie, loro rispondono in modo diverso, ma assolutamente aderente allo stato d'animo con cui le abbiamo cercate e abbracciate.
Prima di scadere, e con molto piacere, nell'adulazione più sfacciata, vorrei dare qualche informazione tecnica: il libro in mio possesso è un'edizione di Newton&Compton del 2004, con testo in lingua originale a fronte, particolare che consiglio vivamente di tenere in conto a chi debba acquistare per la prima volta questo testo.
Le poesie sono divise in sezioni, di cui le prime sei sono quelle originarie delle prime edizioni, le quali si intitolano: "Spleen et Idéal" (85 poesie), "Tableaux parisiens"(18), "Le vin" (5), Fleurs du mal"(9), "Révolte"(3) e "La Mort"(6).
Nella seconda parte troviamo: "Projets de préfaces et d'épilogue" (2 poesie), "Les épaves" (7), "Galanteries" (6), "Epigraphes" (3), "Piéces diverses" (4) e "Bouffoneries" (3).
Infine vi è una terza parte che comprende delle poesie aggiunte nella terza edizione, esattamente tredici.
Senza dubbio la mia sezione preferita è "Spleen et Idéal", che è la più piena e la più ricca; qui troviamo alcune delle poesie più belle, a mio avviso, del poeta francese, poesie dedicate a numerose Donne, con la D maiuscola, come Jeanne Duval, la sua attrice mulatta, musa ispiratrice della sensualità più carnale, o come Mme Sabatier, l'angelica o Marie Daubrun, intrigante, infida ma allo stesso tempo da proteggere. La figura della Donna qui è in primo piano, e con lei tutti i sentimenti possibili che essa può scatenare, dai più puri ai più perversi.
Non mi soffermerò tuttavia nel fare una critica letteraria di questo testo, è già noto che fece scandalo, che fu censurato, che l'opera va intesa come un viaggio immaginario del poeta, e che le liriche non sono da considerarsi in ordine cronologico, ma appunto nel senso di un percorso che va dalla consapevolezza di essere superiori alla massa (Baudelaire si paragona ad un albatros per questo), al desiderio di fuga verso piaceri che possano farlo cadere nell'oblio, come il vino, la droga o il piacere carnale.
Non mi soffermerò su questo perché lo scopo della mia recensione non è di essere l'ennesima voce che crede di sapere cosa pensava, cosa credeva e cosa provava Baudelaire. Non ne ho né l'arroganza né il coraggio necessari..dunque, cosa fare?
Mi limiterò a cercare di stuzzicare la vostra curiosità, con un elenco certamente non esauriente, ma solamente esplicativo delle mie poesie preferite e di quello a cui penso quando le leggo..chissà che non proviate le stesse cose, e chissà che leggendo non vi venga voglia di avventurarvi ne Les fleurs du mal, il che sarebbe perfetto, perché è proprio questo il mio scopo.
"Inno alla bellezza" - disquisizione filosofica sull'origine della Bellezza, il cui perno è l'antitesi Inferno/Paradiso
"La chioma" - l'incredibilità del dedicare un'intera poesia ai capelli di una donna
"Sed non satiata" - amore e stregoneria; una nera magica mezzanotte
"La cornice" - breve ed intenso inno alla splendente centralità della Bellezza
"Tutta intera" - sottile e perversa tentazione
"Il veleno" - l'amore come tormento e come terribile malia
"Canzone di pomeriggio" - sensualità, erotismo velato, adorazione
"A una mendicante dai capelli rossi" - l'assoluta ingiustizia della povertà
"A una passante" - una delle mie preferite in assoluto, descrive la felicità fuggevole, ma intensa, fulminea ma amara
"Allegoria" - la supremazia della Bellezza che nulla teme, neanche la Morte
"A colei che è troppo gaia" - prorompente erotismo
"I gioielli" - seduzione ed oscenità
"Le promesse di un volto" - romanticismo seguito da una sfacciataggine che fa arrossire.
Leggete questo libro, anche se non siete degli appassionati di poesia, e non perché si DEVE fare, perché Baudelaire è Baudelaire, perché è un classico che non può mancare nell'elenco dei libri letti entro i 50 anni e così via. Leggetelo perché vi arricchirà, perché è un libro moderno e attuale, pur se scritto sotto forma di lirica.
Potrete scoprire che la poesia non è poi così tanto noiosa come ci si aspetta di solito.
Indicazioni utili
Le origini del mito?
Prequel de "Le cronache del ghiaccio e del fuoco" , il nuovissimo libro del genio George R.R.Martin è un testo che ho atteso per tanto tempo e quando la redazione mi ha proposto di recensirlo, sono stata assolutamente entusiasta di avere questa possibilità.
La prima cosa che devo premettere è che, pur trattandosi di un prequel, sappiate che non ritroverete nessuno dei personaggi resi famosi dalla saga martiniana: niente Tyrion e il suo sarcasmo (ahimè), niente Cersei e Jaime, nè Barriera, nè la mia adorata khaleesi..niente di niente.
In effetti l'unico motivo per cui potrebbe essere considerato un prequel è perchè l'epoca descritta nel libro ci conduce al periodo storico in cui i Targaryen sono ancora nel fiore del potere, pur non essendoci draghi in giro a sputare fuoco. Ovviamente alcuni nomi di lord vi suoneranno familiari (attenti a quell'infame di Frey), e le città che i due protagonisti toccheranno sono quelle che conosciamo.
La storia dunque descrive il viaggio itinerante di Dunk, cavaliere errante un pò bonaccione, e del suo specialissimo scudiero, la cui vera identità (purtroppo svelata troppo presto) riserverà qualche sorpresa. Tra tornei, spacconate, fughe e battute di spirito, i due, così diversi eppure in qualche modo sinceramente legati da una vera amicizia, ci porteranno di nuovo nei Sette Regni, facendoci rivivere quelle ambientazioni tanto care.
Devo dire due parole su questo punto, perché mi aspettavo un romanzo diverso: non dico che, come prequel, il tempo dovesse portarci indietro di dieci o vent'anni prima degli avvenimenti narrati ne "Il trono di spade", ma forse il nastro si è riavvolto troppo nel passato, in quanto la storia di questo volume non tocca alcuno dei personaggi che conosciamo bene.
E' pur vero che vengono chiariti alcuni punti, come le discendenze e la suddivisione del territorio, ma nulla che faccia dire "ah!questo fatto è proprio curioso!", oppure "questo particolare è prezioso per il seguito".
Non saprei, ma mi da l'impressione di un romanzo slegato, a sé stante, quindi non so fino a che punto considerarlo un prequel vero e proprio.
Detto questo, non può non essere letto se siete dei veri fan di Martin, e pur non essendo assolutamente brillante, graffiante e sexy come la saga successiva, deve essere un tassello da aggiungere al puzzle.
Indicazioni utili
Fame di passione
"Hunger games": la traduzione italiana più semplice per queste due parole potrebbe essere "i giochi della fame", considerato che il termine "hunger" vuol dire appunto fame, appetito, ingordigia. Ma questa semplice parola può avere anche un'altra sfumatura di significato, molto più interessante: "hunger" vuol dire anche bramare o desiderare ardentemente. Trovo che entrambe le facce dei possibili significati della parola abbiano un loro perché all'interno della storia, ma soprattutto hanno avuto una ripercussione significativa nel mio modo di giudicare la trama e l’intero libro.
Non mi dilungherò sulla trama perché credo sia davvero una delle storie di genere distopico più conosciute di questi ultimi anni (merito anche del film tratto da questo libro), quindi mi concentrerò su quello che ho provato leggendolo.
La trama presenta tutte le carte in regola per entrare di diritto, come ho anticipato, nel filone della letteratura che abbraccia in concetto di distopìa, ovvero l’evoluzione di una società, in seguito ad una certa catastrofe o una situazione apocalittica, in una sorta di regime ingiusto e dittatoriale, in cui la libertà è un vecchio sogno e la bellezza della diversità è un reato.
Katniss e Peeta si ritrovano schiavi di questo sistema, che costringe due prescelti, i cosiddetti tributi, di tutti i dodici distretti di Panem ad ammazzarsi tra loro in uno pseudo- reality show, nella sciocca convinzione che ciò annulli il loro potere di ribellione e di dissenso. Sciocca fino ad un certo punto, perché finora il regime di Capitol City pare sia riuscito nell’intento.
Ma forse che Katniss sia il primo barlume di speranza, dopo tanti anni, di una rinascita? Potrebbe essere lei la scintilla che farà scoppiare una piccola rivoluzione contro l’oppressione?
Questo primo volume non risponde a questa domanda, ma le premesse, costruite sul carattere forte e determinato della nostra protagonista, fanno ben sperare.
L’impostazione della storia sull’idea dello show televisivo e della gara a chi-morirà-per-primo sarebbe veramente originale..se non si conoscesse un certo libro di Koushun Takami che si chiama Battle Royale. Per chi non sapesse di che parlo, questo libro giapponese del 1999 parla di come il governo, per punire i giovani e le loro sbandate, rapisca ogni anno, dai licei di tutto il paese, quarantadue ragazzi e ragazze e li costringa su un’isola con il compito di uccidersi a vicenda..suona famigliare no? La trama di Battle Royale, come pure il film, è molto più violenta e crudele, ma non potete non notare come le due storie si assomiglino troppo..ma d’altronde Suzanne Collins ha ammesso di aver preso ispirazione dal libro di Takami. Un’ispirazione un po’ troppo marcata per i miei gusti, il che, a mio avviso, rappresenta un punto a sfavore.
Vi parlavo inoltre di fame: è una sensazione spiacevole che ho avvertito anche io durante tutta la durata della lettura. Fame di passione, di movimento, di fuoco: possibile che si parli di omicidi, assassinii, morti cruente, tragedie e ingiustizie e il tono dell’autrice sia così freddo, così distaccato?
L’intero modo di narrare una storia così particolare e forte mi è sembrato troppo sterile, come se si stesse parlando di come condire un piatto di pasta, invece che di giovani adolescenti che si trucidano a vicenda senza pietà. Mi aspettavo più polso, più drammaticità, più splatter, più brividi insomma..sarà che sono stata influenzata da Battle Royale, ma sono rimasta un po’ delusa.
Questo non vuol dire che quest’ultimo sia migliore di “Hunger Games”, ma la storia richiedeva meno freddezza narrativa.
Non posso sconsigliarlo in ogni caso, perché è una storia originale (per chi non conosce il precedente giapponese) e soprattutto racconta una visione diversa del modo di affrontare le ingiustizie che credo avrà un bel seguito nei prossimi due romanzi.
Indicazioni utili
Per i Tolkienaholics
Appassionati di Tolkien accorrete! mi rendo conto che questa premessa potrebbe essere limitante (o anche repellente) per tanti lettori, ma devo proprio ammettere che questo è uno di quei libri di nicchia, che solo dei grandi nerd possono amare: della serie, chi ha letto Il Signore degli Anelli, Il Silmarillion, Lo Hobbit, Racconti incompiuti, The History of Middle-earth, insomma praticamente tutto ma vuole scoprire ancora qualche chicca nascosta che chiarisce un punto in particolare di un personaggio o di un evento, o chi ha semplicemente fame di qualche curiosità in più sul mondo della Terra di Mezzo.
Pubblicato in occasione del centenario della nascita di Tolkien, il libro si divide in quattro sezioni così intitolate: "La creazione della Terra di Mezzo", "Vita di un professore di Oxford", "La Terza Era" e "Gli ultimi anni".
La prima parte, come indica il nome stesso, tratta di vari racconti e saggi che chiariscono e arricchiscono ancora di più il già parecchio particolareggiato racconto della genesi del mondo tolkeniano, con approfondimenti ad esempio su Eärendil, sugli Ainur, su Númenor, su Gondolin; inoltre include un bellissimo capitolo sull'idea di Tokien riguardo la creazione di lingue completamente nuove, pratica in cui lui era maestro, chiarendo: «nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro (Il Signore degli Anelli) è un tentativo di creare un mondo in cui una forma di linguaggio accettabile dal mio personale senso estetico possa sembrare reale. Ma è vero».
IL SDA quindi è stato il terreno fertile su cui lui ha potuto inserire le sue creazione linguistiche.
D'altronde cos'è una nuova lingua senza una salda mitologia ad essa correlata? Questo il pensiero di Tolkien.
La seconda parte racchiude lettere, racconti per bambini, storie per i suoi figli e per i parenti, quindi si entra in una dimensione più intima della vita dell'autore, non strettamente collegata alla scrittura degli altri romanzi.
La sezione successiva entra nel vivo della Terza Era, quindi l'epoca in cui viene ambientato il SDA, e tramite lettere di risposta ai suoi fan e alle loro curiosità, Tokien regala altre perle inedite sul Consiglio di Elrond, su Sam, su Barbalbero, sui Palantìri, su Gondor e così via.
Devo dire che questa parte mi è piaciuta molto, perché da fan sfegatata quale sono, è sempre una soddisfazione scoprire nuovi dettagli mai sentiti.
L'ultima parte presenta quattro capitoli che descrivono lettere e racconti scritti negli ultimi anni di vita di Tokien, chiudendo così la sequenza iniziata con una genesi.
Mi limito a descrivere la struttura del libro senza entrare nel merito di una recensione ragionata perchè non si tratta di un romanzo, ma di una raccolta di saggi e racconti, quindi descriverli equivarrebbe a svelare una sorpresa.
Non consiglio assolutamente di iniziare da questo libro se si vuole entrare nel mondo di Tokien perchè, come ho specificato all'inizio, non è un libro per "profani", ma per appassionati che già conoscono bene tutto quello che c'è dietro a questi saggi e racconti, che non sono altro che degli arricchimenti di fatti e personaggi delineati molto meglio nei romanzi più importanti.
Da leggere invece se siete dei veri Tolkienaholics.
Indicazioni utili
Frida Frida Frida
La storia di come sono arrivata a conoscere questo libro è un romanzo a sé e devo assolutamente raccontarla per far capire quanto esso sia speciale.
Ero in libreria e gironzolavo tra gli scaffali in cerca di qualcosa da leggere, quando mi fermo davanti ai libri di narrativa italiana, allungando l’occhio a destra e sinistra senza essere catturata da niente in particolare. Ad un certo punto mi si avvicina un signore distinto, prende un sottilissimo libro dallo scaffale di fronte a me e mi dice: “Devi assolutamente leggere questo libro, è bellissimo!”. Io lo guardo, un po’ seccata per l’interruzione, credendo che fosse l’ennesimo trucco del finto-colto-che-vuole-fare-il-figo, e lo ringrazio, dicendogli che non mi interessava perché stavo cercando dei libri di un altro genere. Risposta diplomatica con cui credevo di essermelo tolto dai piedi.
Errore. Lui riparte all’attacco insistendo sul fatto che quello che ha in mano è un libro stupendo e che non posso assolutamente lasciarlo lì. Io per l’ennesima volta rifiuto il consiglio.
La cosa finisce lì, io continuo a girare per la libreria, fin quando non trovo quello che stavo cercando, così mi dirigo alla cassa.
Sto per pagare quando sento una voce dietro di me che dice: “La signorina prende anche questo, ma lo offro io” e il signore di prima allunga la mano davanti a me, posando sul bancone il suddetto libro tanto speciale. Io resto a dir poco senza parole, lui se ne accorge e mi dice: “ E’ un piacere per me regalartelo..devi leggerlo per forza, quindi se non lo prendi tu, lo faccio io per te”. Inutile dire che i miei tentativi di rifiutare un simile dono vengono beatamente ignorati, tant’è che lui paga il libro e me lo infila nella busta, facendomi promettere che gli avrei fatto sapere cosa ne pensavo una volta finito di leggerlo. Mi lascia il suo biglietto da visita e mi dice che, semmai non ci fosse stata più occasione di incontrarci, potevo lasciare delle lettere per lui al ragazzo della cassa, perché gliele avrebbe recapitate personalmente.
Io mi dirigo verso casa mia, perplessa ma al tempo stesso euforica: se una persona sconosciuta si era presa la briga di comprarmi un libro perché lo ritiene tanto speciale, forse un po’ di vero ci doveva essere. Così prendo queste settantasette pagine e le leggo tutte di un fiato.
Vorrei aver incontrato di nuovo quell’uomo, avrei voluto dirgli che il suo regalo è stato uno dei più belli che ho mai ricevuto in vita mia, vorrei aver avuto la possibilità di ringraziarlo per la sua sensibilità e per la sua lungimiranza, perché guardandomi solo per dieci minuti ha capito che avrei adorato questo libro, e con me tutte le ragazze che abitavano in casa mia.
Vorrei dirgli che la storia di Frida mi ha commosso e mi ha fatta piangere, che la sua forza mi ha ispirata e che il suo senso artistico mi ha elettrizzata.
Vorrei dirgli di comprare questo libro per tutte le ragazze prevenute e arroganti che incontrerà in libreria, perché la storia di Frida è un inno alla vita, all’amore e alla gioia di vivere, anche se si è feriti, se si è distrutti, anche se veniamo traditi e se ci fanno del male. E’ bello vivere perché la vita è un miracolo e Frida è stata e sarà sempre il fiore di loto che emerge dal fango per splendere in purezza. E’ un libro magico, profondo, crudo, che ti scava dentro.
E’ la storia di una Donna, con la d maiuscola, che sfida tutto e tutti, in nome della fierezza e dell’indipendenza, della libertà che se ne frega delle convenzioni e delle regole della società.
Vorrei dire grazie a quel signore perché mi ha messo un tesoro tra le mani.
“La sensualità di Frida è leggendaria in mille testimonianze di uomini e donne, una sensualità impulsiva e mai studiata, fatta di puro istinto e immune da pose e finzioni calcolate, ma ad affascinare chi la frequentava era anche la sua ironia solare, propria di una carattere temprato che non conosce la meschinità. Ironia che poteva essere caustica, a volte spietata come la natura messicana: meravigliosa quanto aspra, struggente, unica, e capace di fare molto male a chi non la rispetta”.
La Pelona ti ha preso Frida, ma nessuno ti ha dimenticata.
Indicazioni utili
"Diego e Frida" di Jean-Marie G. Le Clézio;
altri libri sulla vita di Frida
Una visione originale della fede
“Essere naufrago significa essere un punto perennemente al centro di un cerchio. Anche quando sembra che intorno a te le cose mutino – il mare che passa dalla quiete alla furia, il cielo che da azzurro diventa bianco e poi nero – la geometria rimane sempre la stessa. Il tuo sguardo è il raggio di un’immensa circonferenza. Sei stretto nel mezzo di un estenuante balletto di cerchi. Tu sei il fulcro di un cerchio, e sopra il tuo capo piroettano altri due cerchi. Il sole è spossante come una folla, come una moltitudine rumorosa e invadente che ti costringe a tapparti le orecchie, facendoti venire la voglia di nasconderti. La luna ti distrugge rammentandoti silenziosa la tua solitudine, che provi a scacciare spalancando gli occhi. Quando alzi lo sguardo, a volte ti chiedi se al centro di una tempesta solare, se nel bel mezzo del Mare della Tranquillità, non ci sia un altro come te, prigioniero della geometria, che volgendo gli occhi al cielo lotta contro la paura, la rabbia, la follia, la disperazione, l’apatia”.
Ecco il riassunto del tenace perdurare della speranza, anche quando una speranza non esiste più, persa com’è in fondo al baratro più profondo.
Piscine Molitor Patel, segnato fin dalla nascita dal fantasma dell’elemento Acqua, a partire dal suo stesso nome, è un ragazzo indiano sveglio e brillante che, dalle caldissime strade polverose dell’India, si ritrova naufrago nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, unico sopravvissuto di un tragico incidente in mare.
Immaginate di intraprendere un viaggio verso una nuova vita, pieni di entusiasmo e di voglia di riscattarsi, ma che strada facendo perdiate tutte le cose più care: quale sarebbe la reazione naturale? Lo sconforto probabilmente, la rabbia, l’angoscia.
Ma l’istinto di sopravvivenza è più forte della disperazione?
Evidentemente per Piscine, detto semplicemente Pi, è così: il suo incubo, lungo duecentoventisette giorni, inizia con una tempesta carica di sventure, che lo strappa dalla delicatezza e dalla sicurezza della sua adolescenza, per tirargli dritto in faccia il pugno amaro della tragedia. E si prende pure beffe di questo: gli lascia solo una scialuppa e la compagnia, parecchio ingombrante, di Richard Parker, che non è suo fratello, né il suo miglior amico, né il comandante della nave, ma una tigre adulta del Bengala. Ora, figuratevi la scena: un ragazzo giovanissimo, disperso in un oceano che tanto pacifico non si rivelerà, su una bagnarola di legno, con una tigre affamata…quanto sarebbero alte le probabilità di sopravvivenza? A pensarci razionalmente, meno di zero.
Nonostante questo, il fulcro della storia di Pi è che essa non può essere giudicata con la ragione, ma col cuore e con la consapevolezza che per lui tutto si riduce ad una questione di fede: non importa se in Dio, in Allah o in Vishnu, è fede nella bellezza e nel miracolo della vita che sconfigge la morte.
E così, con uno stile di scrittura delizioso, molto poetico ed evocativo, l’autore ci trascina nelle vicende delle lotte di Pi: lotta per procurarsi cibo e acqua, lotta per tenere la mente lucida, lotta per non soccombere nella disperazione. Ma la più bella e toccante è forse quella che vede la costruzione del rapporto tra Pi e Richard Parker.
Nel libro il protagonista dice che “il naufrago è vittima di contrasti estenuanti e crudeli” ed è proprio questa frase che racchiude tutto il senso della bizzarra amicizia tra uomo e tigre: quella che poteva inizialmente rivelarsi una condanna a morte, si traduce in un’ancora di salvezza. Ma nonostante l’eccezionalità della situazione, l’autore resta con i piedi per terra, e se pure ci porta in mezzo a pesci volanti, placide balene, squali minacciosi e isole inquietanti, sa che la tigre non ringrazierà mai l’uomo con un ultimo gratificante sguardo d’addio.
E’ la storia della fede contro la natura selvaggia, della speranza contro lo schiacciante peso dell’arrendevolezza, della tenacia della vita contro l’amara dolcezza della morte.
Da leggere se si ha voglia di un po’ di poesia.
Indicazioni utili
L'opera massima di Tolkien
Da cosa veniamo attratti quando scegliamo di leggere un libro di cui non sappiamo niente? Cos'è che fa cadere la nostra scelta su uno piuttosto che su un altro? La trama? La copertina? La lunghezza? A volte sì, la copertina di un libro è uno dei fattori determinanti, perché se essa è particolarmente attraente, capita anche di mettere la trama al secondo piano. Come pure è importante la lunghezza, perché alcuni preferiscono romanzi brevi, mentre altri, come me, i cosiddetti "mattoni". Tuttavia, de Il Silmarillion non mi ha colpita nessuna di queste cose, né la trama, né la lunghezza, né la copertina, ma il titolo, il nome Silmarillion: trovo che sia di una musicalità e di un'eleganza senza paragoni, e se anche potrebbe risultare uno scioglilingua, non ho mai smesso di esserne ammaliata. È stato questo nome, insieme alla grande fama del libro stesso, nonché alla sua storia, che mi ha convinta a leggerlo (anche se non avrei avuto bisogno di chissà che incentivi, essendo un'appassionata de Il Signore degli Anelli).
Il Silmarillion non è un romanzo nel senso stretto del termine, essendo una raccolta di diversi racconti divisa, nella struttura del libro, in cinque parti, di cui le prime tre legate tra loro, mentre le ultime due, come ha precisato Christopher Tolkien, figlio di J.R.R., sono completamente indipendenti, inserite nel libro solo per esplicita volontà del padre.
Troviamo quindi Ainulindalë, Valaquenta, Quenta Silmarillion, Akallabêth e Gli Anelli di Potere e la Terza Età.
Ainulindalë è una sorta di Genesi, che descrive come Eru abbia dato vita a tutte le cose tramite melodia, compresi gli Ainur, gli esseri perfetti, e ci spiega come sono nati i Primogeniti, ovvero gli Elfi, e i Secondogeniti, gli Uomini. Inoltre introduce la figura di Melkor, il ribelle, il futuro padrone di Sauron.
Valaquenta approfondisce le figure dei Valar e dei Maiar, i migliori tra gli Ainur. Sauron stesso era uno dei Maiar, interessantissimo quindi dedurre che da principio fosse un essere buono e di grande bellezza, corrotto poi da Melkor e passato sotto le spoglie a noi famigliari dell' Occhio di Fuoco. In questa sezione troviamo anche la storia dell'origine dei Balrog, degli orchi e degli Istari, gli stregoni, come Gandalf e Saruman.
La terza parte rappresenta il cuore del libro: Quenta Silmarillion racconta gli avvenimenti più importanti della Prima Era, tra cui quello della forgiatura dei Silmaril, le tre gemme sacre, e della loro riconquista. Assolutamente meraviglioso il racconto di Beren e Lúthien e del loro amore. Vorrei sottolineare l'importanza di questi due personaggi perché sulla propria sepoltura e su quella di sua moglie, Tolkien fece scolpire i nomi di questi due innamorati affianco ai propri, gesto significativo di quanto fossero importanti per lui.
Con Akallabêth il racconto diventa un pó piu concreto, in quanto l'attenzione si sposta dagli eterei Elfi alla stirpe di Númenor, gli Uomini, e alla fondazione, da parte di Elendil e dei suoi figli, dei regni di Gondor e Arnor. Ci avviciniamo quindi ad un territorio di cui sappiamo delineare i confini.
L'ultima parte, Gli Anelli di Potere e la Terza Età, ci porta poco indietro rispetto all'epoca in cui viene ambientato ISDA. Ci racconta come Sauron abbia creato gli Anelli del Potere, ma soprattutto l'Unico Anello, e ci descrive la sua creazione e la sua distruzione da parte di Frodo. Come potrete immaginare, in queste ultime pagine fanno la loro comparsa gli Hobbit e altri personaggi che conosciamo bene.
È un libro complicato, profondo, scritto con un linguaggio colto e raffinato, pieno di rimandi filosofici e letterari, ispirati alla Bibbia, a Omero, a Platone, ai miti e alle antiche lingue, come l'inglese arcaico o il finnico. A volte è prolisso, eccessivamente preciso nelle descrizioni, ma questo non toglie nulla alla genialità della storia e dell'autore. È assolutamente indispensabile leggerlo per capire a fondo il mondo antecedente a ISDA: ritroverete le origini dei personaggi di cui ci siamo innamorati nella famosa trilogia, ad esempio Galadriel e Gandalf, saprete perché Sauron è diventato quello che è, conoscerete la creazione degli Orchi e dei Nani, dei regni e dei luoghi a noi cari. Conoscerete le genealogie, tutti i nomi dei re e dei grandi personaggi di cui non avevate mai sentito prima, scoprirete delle vere perle nascoste che vi faranno apprezzare ancora di più la Trilogia dell'Anello.
Non saprei se consigliare di leggere prima Il Silmarillion e poi ISDA o viceversa; l'unica cosa certa è che, se davvero amate Tolkien e vi siete innamorati della Terra di Mezzo, non potete non leggerlo; prima o dopo, non ha importanza, fatelo.
Indicazioni utili
La mitologia greca contro l'antica Roma
I figli di Argo contro i Pretoriani dell'Ordine della Croce d'Argento, altrimenti conosciuti come licantropi e cacciatori: la storia si svolge nel giro di dieci giorni e ci racconta della battaglia tra due mondi profondamente diversi, eternamente in lotta tra loro. Verona è uno dei pochi luoghi al mondo in cui, grazie ad un patto che ha stabilito una tregua, i primi non cedono alla loro bramosia animale e i secondi non uccidono in nome della conservazione e della salvezza della propria umanità.
Ma il patto è stato spezzato e l’antico odio si è riacceso.
In mezzo a omicidi e morti insensate, due anime appartenenti a quei mondi così diversi si incontreranno per non lasciarsi più: Etienne e Sara, lupo di nobili natali lui, umana lei, si troveranno al centro di una battaglia che non possono evitare, ma questo non impedirà al loro amore di sbocciare.
La trama mi è subito sembrata molto intrigante e incuriosita dalla terminologia usata dall’autore per descrivere i licantropi e i cacciatori (ho apprezzato il particolare la trovata de “i figli di Argo”, ma io sono di parte perché sono un’appassionata di mitologia) ho voluto leggere questo libro e approfondire la motivazione che ha spinto l’autore a scegliere proprio il nome di Argo.
Nel libro, Argo viene presentato come il creatore di tutta la razza dei licantropi e viene definito come l’Alfa e l’Omega, quindi come una specie di dio arcano; ora il nome Argo, nella mitologia classica, è attribuito a diverse figure: il cane di Ulisse, la nave che portò Giasone e i suoi Argonauti alla ricerca del vello d’oro, il gigante dai cento occhi e la città di Argo. Ma quello che può aver ispirato l’autore deve essere stata la storia di Zeus che, sotto il falso di nome di Liceo, si trasformò in lupo e venne da allora adorato sotto quelle spoglie proprio nella città di Argo.
La ricerca che l’autore deve aver effettuato mi è piaciuta, ma la mia soddisfazione purtroppo si ferma qui. In generale, tutto il libro presenta la storia in modo troppo semplicistico: la nascita dell’amore tra i protagonisti, l’accettazione di Sara nei confronti della natura di Etienne, il superamento delle prove, gli esiti delle battaglie, lo scontro finale, tutto è stato sviluppato come se gli attimi più importanti e decisivi si potessero risolvere in una riga o due. Di solito la cosa che apprezzo di più in un libro è la strutturazione delle vicende chiave e la profondità dei personaggi, cosa che non ho riscontrato in questo libro.
E’ pur vero che la trama non risparmia la dipartita di diversi personaggi, ma non mi sento proprio di chiamare in causa George Martin per questo.
I personaggi non hanno spessore e le scene più importanti dovevano essere maggiormente approfondite; il finale poi basa la voglia del lettore a proseguire nella lettura dei prossimi libri (“Rebirth” è il primo capitolo di una saga) su elementi troppo blandi e poco consistenti.
Inoltre vorrei segnalare, e non so se si tratti di una coincidenza o di una svista, che la copertina del libro è pressoché identica alla copertina di un altro libro, precisamente di “Shiver” di Maggie Stiefvater, nell'edizione italiana. E non solo: anche questa storia parla di amore e di lupi. Non so, ma questa cosa mi ha un po’ indispettita.
In conclusione l’ho trovato un libro leggero, poco impegnativo, adatto a chi ama le storie d’amore semplici, che si sa fin dall’inizio che finiranno con un happy ending, ma che hanno un tocco di sovrannaturale.
Indicazioni utili
- sì
- no
L'idea di giustizia della Contessa Dracula
Aprite Google e digitate “Incubo” di Johann Heinrich Füssli: è il titolo di un dipinto risalente al 1781. Non riesco a descriverlo adeguatamente, quindi se ne avrete voglia, potreste perdere un minuto per guardare con i vostri occhi. Tutto questo per dirvi che il mio primo pensiero leggendo questo libro è andato a questo quadro.
Di solito, ad ogni lettura, nella mia mente, faccio corrispondere un’opera d’arte che possa racchiudere, nello spazio di un’immagine, tutte le peculiarità della trama; ho associato perciò “La contessa nera” a “Incubo” perché gli aggettivi che mi sono venuti in mente leggendo, sono gli stessi che ricordo di aver pensato quando ho studiato per la prima volta il dipinto: inquietante, cupo, contortamente sensuale, orripilante ma allo stesso modo ammaliante.
Se però nel quadro l’attenzione dell’osservatore viene catturata dalla luminosa figura della fanciulla, il libro invece trascina la mente del lettore verso le pieghe oscure della visione mostruosa, che nel nostro caso è la figura di Erzsébet Báthory, la protagonista e la voce narrante del libro.
Vorrei provare a raccontare la trama in un modo diverso, associando ad ogni aggettivo che ho trovato adatto al libro una citazione estrapolata direttamente dal testo (senza esagerare, così da non svelare troppo), cosicché ognuno di voi possa decidere cosa pensare, e se leggere o meno questa pseudo autobiografia.
Inquietante: “Ma sempre, e ripeto sempre, per mantenere la pace dentro casa, ero costretta a punire qualche domestica che era diventata più incontrollabile. Quell’anno passai molte ore nelle segrete a battere le più sfaticate o insolenti con la frusta e il bastone. Poco prima che arrivassero gli ospiti, per una settimana intera trascorsi tutte le sere nei sotterranei, le braccia doloranti a furia di dare bastonate, i vestiti tutti insanguinati.”
Cupo: “Quasi tutte tolleravano bene le punizioni, guarivano in pochi giorni e tornavano al lavoro con rinnovata umiltà, ma ogni tanto capitava qualche ragazza cagionevole che si ammalava dopo il mio trattamento e finiva al cimitero. Non mi facevano per niente pena, perché almeno così mi risparmiavano il tempo e le spese per farle tornare in salute.”
Contortamente sensuale: “Dissi a Darvulia di portare un vaso di miele e glielo feci versare addosso mentre le guardie la tenevano ferma. Il miele le finì sulla testa, sulle spalle, sul seno, gocciolava alla luce del sole, ricoprendola d’oro. Prim’ancora che le guardie la lasciassero libera, il miele aveva attirato tutti gli insetti di Sárvár. Mosche, api e moscerini si accanirono contro di lei, mordendola e pizzicandola ovunque.”
Orripilante ma ammaliante: “Non ho fatto nulla che non mi spettasse per diritto di sangue e di titolo, né al conte palatino né a nessun altro. Erzsébet Báthory, vedova di Ferenc Nádasdy, figlia della più antica e nobile casata d’Ungheria, non è una strega, una pazza, un’assassina o una criminale. E non ha nessuna intenzione di accettare supinamente il suo destino.”
La maggior parte del fascino e dell’indignazione che ho provato nei confronti della contessa sta tutto in quest’inghippo: lei era davvero convinta di essere nel giusto, che quelle svergognate delle sue servette fossero delle ingrate, delle pettegole, e che meritassero tutto quello che lei faceva.
Nonostante il tono esplicito del racconto, l’autrice attenua di parecchio la vena folle della protagonista, forse giustificandola perché nata da un padre violento, sposata ad un marito violento e vissuta in una terra violenta. Tutto questo, unito al fatto che soffrisse di disturbi della personalità, di scatti d’ira e di un’innata propensione al sadismo, ha creato quella che oggi viene ricordata come La Contessa Sanguinaria.
Trovo splendida la copertina che, con quell’aria un po’ onirica, dà la giusta dose di mistero e inquietudine alla figura della contessa e che, non so perché, mi ha fatto pensare ad una vedova nera.
A voi l’ardua decisione se leggere o meno il libro. Io l’ho adorato.
Soprattutto perché Erzsébet è realmente vissuta.
Una curiosità: nello stemma della famiglia Bathory compare un drago, come pure in quello della famiglia Dracula....
Indicazioni utili
La stramba mente di Dodgson
Un libricino piccolo, di quelli che si infilano tra i tomi doppi e pesanti, per riempire lo spazio: ecco come potrebbe apparire questo libro, una favola per bambini ultra eccitati dal pieno di zuccheri, che non riescono a dormire. Ora, voi adulti provate a leggerlo (se non l’avete ancora fatto) e poi ad avere il coraggio di metterlo in mano ad un bambino: prima di tutto non ci capirebbe granché, senza offesa per le menti infantili; in secondo luogo, come per la trilogia di Philip Pullman, dovrebbe essere d’obbligo scomporlo prima in parti più semplici, comprenderlo e solo dopo rimetterlo insieme, per poterlo narrare adeguatamente.
Nessuno esclude il fatto che un bambino possa leggerlo così, senza che glielo si spieghi, ma forse il gusto e la genialità della storia di Alice e anche dell’autore stesso verrebbero perse.
Già, perché credo fermamente che Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson) sia stato un genio, a volte incompreso nella sua epoca: oltre ad essere scrittore, era anche un inventore, un matematico, un fotografo e un esperto di logica; quello che nella sua mente brillava, nel corpo risultava mancante: soffriva di problemi di emicrania (scambiata per epilessia), di udito, di vista, di balbuzie e fu accusato di pedofilia.
E nonostante tutto, e forse a maggior ragione a causa di questi suoi disagi, ebbe sempre un rapporto particolare con i bambini.
E una bambina è la protagonista del suo capolavoro: Alice, forse ispirata alla sua piccola amica Alice Liddell, che cade in una tana del coniglio e da quel momento in poi, in una narrazione tra sogno e realtà, vive delle rocambolesche avventure, a partire da quella fantastica boccetta con sù scritto “bevimi”.
Ovviamente non credo di avere la presunzione di poter analizzare correttamente un testo così ambiguo, contorto e onirico, ma vorrei solo sottolineare l’arguzia e la fantasia illimitata di Caroll: chi potrebbe mai dimenticare il Brucaliffo che fuma appollaiato sul suo fungo? A chi verrebbe mai in mente di mettere un personaggio del genere in un libro per bambini?
E il Bianconiglio? E l’inquietante sorriso dello Stregatto? Per non parlare del Cappellaio Matto e della Regina di cuori. Tutti questi personaggi potrebbero sembrare delle bizzarre parodie delle persone reali, ma il libro è pieno di allusioni, citazioni, proverbi, figure retoriche e giochi di parole, quindi non si dovrebbe dare niente per scontato.
Non so che pagherei per avere la capacità di leggere questo libro in lingua originale e capire tutti i suoi sottintesi e i riferimenti agli avvenimenti accaduti nella sua epoca.
E’ come se ogni pagina nascondesse dei segreti a cui non si riesce ad accedere e, per una persona che ama svelarli, è un tormento. E’ come se lui avesse scritto il libro non per noi lettori, ma solo per dar sfogo alla sua fantasia.
E in effetti, in una sua lettera inviata ad un amico nel 1891, che verrà battuta all’asta a marzo, lui spiega di aver odiato la celebrità e la fama che il libro gli aveva portato; odiava la pubblicità, il fatto che tutti sapessero del suo vero nome e che la gente, riconoscendolo, lo additasse per strada. Odiava a tal punto la notorietà da essersi quasi pentito di aver scritto la storia di Alice.
Ora, ammesso e non concesso che lui fosse asociale, psicopatico e un po’ matto, detto proprio sinceramente, preferirei che più persone fossero così, se la loro mente partorisse opere fantastiche come “Alice nel paese delle meraviglie”.
Leggetelo, leggetelo, leggetelo. E’ un obbligo. E poi raccontatelo ai bambini.
Indicazioni utili
Vanilla vs. Kinky
Quando ho deciso di leggere questo libro l'ho fatto con la volontà di intraprendere una lettura leggera, di quelle che si fanno tra un libro “pesante” e l'altro, un intermezzo senza impegno, volendo semplificare. Mai errore fu più grossolano: la storia di Nora, di Zach e di Wes non potrebbe essere più lontana dall’essere frivola, e se pur mi ero ripromessa di leggere qualcosa di rilassante, devo dire che sono contenta di essermi sbagliata.
Apro una piccola parentesi: la maggior parte del mio errore di valutazione la imputo alle copertine della versione italiana. Ora, una ragazza con una piuma in mano, in diverse declinazioni, vestita delicatamente, non credo che possa essere l’ideale per far immaginare al lettore il contenuto, tutt’altro che delicato, del libro. Sono molto più aderenti alla trama le copertine originali edite da Mills&Boon, che quantomeno rispecchiano, in modo migliore, la trama dei libri.
Ma comunque bando alle ciance.
L’autrice ci presenta una manciata di personaggi forti, ben strutturati, che bucano la carta per entrare direttamente nel nostro immaginario: Nora, scrittrice di romanzi erotici, è una forza della natura,uno spirito libero, una donna spudorata, divertente, senza freni e senza regole; Zach è il suo editor, un uomo soprannominato “La nebbia di Londra”, tutto l’opposto della protagonista femminile; e Wes è l’angelo della situazione, la roccia sicura, il faro luminoso che guida l’oscura esistenza di Nora. E poi c’è Søren…che personaggio! Non voglio anticiparvi niente, ma sappiate che tremerete quando comparirà nelle pagine del libro.
Le loro vite si intrecceranno in una serie di rapporti decisi: tra Nora e Zach si scatenerà una forte attrazione, ma il finale tra loro, se da una parte risulterà scontato, dall’altra rappresenterà una catarsi e una liberazione; tra Nora e Wes invece si instaura uno strano miscuglio di attrazione, senso di protezione, gelosia e tenerezza, in un connubio veramente ben riuscito (secondo me il migliore di tutti); e Nora e Søren…beh vi dico solo che la loro storia farebbe cadere gli angeli dal cielo.
Oltre ad aver apprezzato molto la costruzione dell’interazione tra i personaggi, una cosa che mi è rimasta impressa è il modo in cui l’autrice mi ha trascinata nell’universo BDSM, ovvero nel mondo del sadomasochismo, del bondage, della dominazione e della sottomissione: non vi aspettate, come ho fatto io, una fotocopia di “50 sfumature”, dove si vede solo la punta dell’iceberg, per di più in via di scongelamento, del BDSM. In questo libro vi è una vera e propria immersione in questa sorta di Gotham del sesso contorto, con tanto di terminologie (anche piuttosto forti) e ideologie: chi diavolo sapeva cosa volesse dire “kinky”?? Beh, ora lo so, e so anche come ragionano, seppur in modo marginale, le persone adepte di queste pratiche.
Allo stesso modo, la trama non percorre solo il binario del mondo sadomaso, ma anche, e soprattutto, il viaggio introspettivo dei suoi personaggi. Chi volontariamente, chi no, ciascuno di loro entrerà in quell’universo e ne uscirà con una nuova storia da raccontare. Per due di loro sarà però diverso, perché l’incontro sarebbe troppo doloroso: uno manterrà la sua purezza, l’altro la sua natura.
Proprio per la complessità dei sentimenti ho apprezzato che, una volta tanto, i personaggi non fossero adolescenti, o quantomeno troppo giovani per essere credibili: questa volta abbiamo a che fare con donne e uomini maturi e consapevoli. Molto bello inoltre il trucco di costruire la trama in uno schema “libro-dentro-il-libro”.
E’ un’opera forte, esplicita, senza filtri, quindi bisogna affrontarla con una certa scioltezza mentale.
Chiarito questo punto, potrete godere appieno della lettura.
Indicazioni utili
La porta dei nostri sogni
Che fareste se aveste la capacità di entrare nei sogni altrui? E’ probabile che l’idea non vi suoni tanto allettante, a pensarci di sfuggita, ma si dice che i sogni indichino le pieghe nascoste del nostro animo, quindi conoscerli equivarrebbe ad avere un grande potere. Ecco il fulcro di questo romanzo che inaugura la nuova trilogia di Kerstin Gier, "La trilogia dei sogni": la conoscenza dei sogni può svelare le paure e i desideri più profondi di una persona, i segreti che non rivelerebbe mai ad anima viva, i dubbi, le incertezze, le fantasie, le aspirazioni di tutta una vita. Immaginate di sapere tutto questo di una persona, specie di una che conoscete o meglio, di una che vorreste conquistare. E’ una sensazione inquietante, ma al tempo stesso esaltante.
Quello che noi possiamo provare ad immaginare, Liv Silver, quindicenne protagonista del libro, lo vivrà sulla propria pelle, o meglio nelle proprie sinapsi: figlia di genitori separati, con sua madre, svampita professoressa universitaria, la sua vivace sorella Mia e la sua bambinaia bavarese di nome Lottie, si ritroverà a Londra nel bel mezzo di un passaggio da vita-da-girovaghe a otto-sotto-un-tetto. Sua madre e il suo nuovo compagno abbracciano l’idea della famiglia allargata e così Mia e Liv, in un batter d’occhio, acquisiscono una sorellastra e un fratellastro gemelli, Grayson e Florence.
Proprio la conoscenza di Grayson sarà il preludio della svolta che prenderà la vita di Liv: una notte, il suo sogno la conduce in un corridoio pieno di porte, tutte diverse tra loro, e in mezzo a queste lei riconosce la sua, quella bizzarra porta verde con la graziosa maniglia a forma di lucertola. Varcarla è un attimo e all’improvviso si ritrova in un cimitero, in cui quattro ragazzi stanno compiendo degli strani rituali in mezzo a pentacoli e simboli inquietanti. E sembra che lei non si trovi lì casualmente, ma per un motivo ben preciso.
Ma il suo è davvero solo un sogno? E se è così, allora perché sogna cose che non sa e che poi scopre di essere reali? E cosa vogliono quei quattro dai lei?
Liv non crede a quelle strane visioni, né all’esistenza di entità superiori, né al fatto che lei sia una pedina fondamentale in quel gioco onirico che Grayson e i suoi amici stanno portando avanti, un gioco pericoloso, con tanto di sigilli e promesse infrante, ma nonostante questo, non esiterà ad accettare di farne parte.
Da quella prima notte e dal quel primo sogno, Liv imparerà a conoscere il suo nuovo mondo fatto di porte, a scoprire cosa c’è al di là di esse e a interpretare il ruolo che le si richiede.
E imparerà anche che la solidarietà femminile fa acqua da tutte le parti (scusate la speculazione, ma ci sta tutta).
Ho trovato l’idea delle porte dei sogni veramente intrigante ed è esattamente questo particolare della trama che mi ha affascinata tanto; peccato però che questa visione non sia stata tanto approfondita nel corso della narrazione, rimanendo in forma troppo embrionale. Posso capire che questo sia il primo volume della trilogia, quindi un libro introduttivo, ma la costruzione della storia e la caratterizzazione del suo punto focale, i viaggi onirici dei protagonisti, dovevano essere meno inconsistenti. La prima metà del libro è blanda e piena di stereotipi, e mentre la seconda metà comincia ad acquisire un po’ di corpo, il tutto rimane sempre piuttosto fiacco.
Se dovessi giudicare questo libro, evocando nella mia mente dei termini di paragone che io ritengo capolavori fantasy, dovrei dare una stella a questo volume; se, al contrario, dovessi valutare il libro considerandolo una storia leggera, adatta ad un pubblico adolescente, simpatica e fresca al punto giusto, allora gliene darei quattro. Non volendo far pendere la bilancia verso l’uno o l’altro degli estremi, ho preso la strada della mezza via. Per lo stesso motivo non mi sento mai di sconsigliare un libro, perché i gusti sono troppo soggettivi e quello che per me potrebbe risultare fiacco, per altri potrebbe essere super eccitante.
D’altra parte Shakespeare diceva che “siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. Ecco, speriamo allora che il secondo volume rispecchi un po’ di più questa teoria.
Indicazioni utili
L'amore, la fede e il coraggio
Dieci anni di pace: è questo che l'oracolo aveva predetto a Phèdre ed è questo che lei e Joscelin hanno avuto. Ma il decennio di grazia è destinato a finire con un incubo: Hyacinthe, disperato, che urla il suo nome, dalla sua isola della prigionia. E allora Phèdre sa che è arrivato il momento di rimettersi in viaggio.
Il suo spietato signore, Kushiel, le pone davanti un bivio, sotto forma di simboli: sceglierà di prendere la chiave e così liberare il suo amico, o il diamante e quindi mettere davanti a tutto i desideri di Mélisande?
Sì, perché ancora una volta l'ombra della regina degli inganni ghermirà il cuore di Phèdre e, facendo leva sul suo senso del dovere e sulla sua vocazione, le strapperà la promessa di ritrovare Imriel, il suo bambino scomparso. Ma proprio quando si prepara ad affrontare l'ennesimo gioco degli intrighi, Phèdre scopre che dietro il rapimento non ci sono nobili signori e oscuri inganni, ma il semplice e puro caso, un crimine insensato e crudele.
Ed è così che, per la prima volta nella sua vita, la nostra eroina metterà in dubbio la giustizia del suo padrone Kushiel, che fa ricadere i peccati della madre su un innocente; questo è quello che crede, non sapendo che la mano del suo Angelo Castigatore la spingerà verso un destino che non ha niente a che vedere con Imriel, il quale sarà solo il tramite attraverso cui Phèdre compirà un disegno molto più grande. Ma non sarà sola, al suo fianco, come sempre, ci sarà Joscelin, il suo Compagno Perfetto, la sua roccia, il suo faro di speranza.
E allora ecco che per loro due inizierà un viaggio che li segnerà in modo indelebile non solo nel fisico, ma soprattutto nell'animo: la ricerca di Imriel si rivelerà una discesa in un inferno che mai avrebbero pensato di dover vivere e sopportare; ma se per Phèdre la scelta di abbracciarlo non è difficile, da anguisette qual'è, forse il sacrificio chiesto a Joscelin questa volta è troppo grande e oscuro.
Nel Drujan, il regno che è morto e vive, Phèdre e Joscelin conosceranno la pura follia, perpetuata senza pietà nel luogo in cui la perversione e la crudeltà aleggiano sui vivi come la lama di una ghigliottina, nel luogo in cui la morte è la più dolce delle liberazioni.
Lì, conosceranno la profondità delle proprie perversioni e la capacità di sopportare il dolore fisico e interiore: Phèdre scenderà nelle tenebre del suo animo, in una consapevolezza del proprio contorto e perverso desiderio, che le sconvolgerà la mente; Joscelin metterà, per l'ennesima volta, alla prova il suo spirito di fedeltà, in un sacrificio che richiederà una parte della sua sanità mentale e fisica.
Lì, Phèdre incontrerà il suo alter ego, il mahrkagir, il patrono più severo, il più crudele, il più perverso, quello che solo lei potrebbe sopportare, quello che scatena la sua vocazione masochista con una violenza e una forza devastanti.
Lì, diventerà la Puttana della morte, il sacrificio finale di una pazzia senza senso, pronta a sporcare il mondo intero. E allora così si sveleranno i veri disegni dei suoi dei.
Phèdre abbraccerà il suo destino, fedele e coraggiosa come sempre: verrà toccata dall'ombra dei Mangiatori di Tenebre e non ne morirà; diventerà la favorita del suo carceriere e sopravviverà; solleverà una rivolta nella zenana e tutti la seguiranno; soffocherà il culto del dio oscuro Angra Mainyu, facendo avvampare a nuova vita la Terra dei Fuochi e libererà Imriel, segnando così il suo destino e quello di un intero regno.
Dalla melma dell'oscurità nascerà un fiore: il legame, inatteso e commovente, tra Phèdre, Joscelin e Imriel, diventerà talmente forte da non poter essere più spezzato; loro tre, forgiati da folli eventi, sono i tre pezzi di un piccolo mosaico che neanche gli dei prevedevano di creare. Il loro sarà un amore profondo, un amore così forte da cancellare l'orrore, un amore tormentato ma dolcissimo. E pur essendo il figlio della sua peggiore nemica, Phèdre conoscerà la gioia dell'affetto materno, per quel figlio mai avuto.
Imriel, così simile a sua madre, eppure così diverso, diventerà un elemento di vitale importanza nella seconda parte del viaggio di Phèdre, che condurrà tutti loro nella magica terra di Saba, alla ricerca del vero nome di Dio, quel nome che costringerà Rahab, il Signore degli Abissi, a spezzare la maledizione di Hyacinthe.
E se il primo viaggio verso il Drujan è stato una discesa verso l'inferno, il viaggio verso Saba rappresenterà una faticosa ma inesorabile risalita verso il perdono e l'amore perpetuo, nascosto, ma mai scomparso.
Una storia iniziata con la frivolezza di una strana bambina destinata alle Case del piacere, svela un disegno molto più grande e complicato, un disegno al cui centro c'è un'anguisette: Phèdre, diventata la mano degli dei, che sconfiggerà l'orrore e le tenebre, che conoscerà il dolce sapore del perdono e dell'accettazione di sé, che troverà, guidata dall'amore, la forza di bandire un angelo, e che, in un perfetto cerchio narrativo, chiuderà le sue avventure laddove tutto ebbe inizio, a Soglia della Notte, il luogo in cui per la prima volta incontrò Hyacinthe.
Una trilogia iniziata in punta di piedi, che è diventata per me, piano piano, con lo scorrere delle pagine, una fragorosa e devastante storia d'amore, di fede e di coraggio, che ha creato dei personaggi che rimarranno indelebili nella mia memoria. Un libro densissimo, pieno di avvenimenti, di colpi di scena e di episodi indimenticabili.
Indicazioni utili
e così il cerchio si chiude
"Il cerchio di sangue giunge a conclusione, la pietra è dell'eterno realizzazione. La veste della gioventù si accresce di nuova energia, che dà potere immortale a colui che porta la magia.
Ma, attenzione, quando la dodicesima stella sorgerà il destino di quanto è terreno si compirà.
La gioventù si scioglie, la quercia è condannata a decomporsi in quest'epoca buia e odiata.
Soltanto quando impallidisce la dodicesima stella, l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta più bella.
Sappi dunque, una stella si consuma per amore, se sceglie liberamente di struggersi il cuore".
La chiave di tutti i misteri della Trilogia delle Gemme, sembra essere racchiusa negli enigmatici versi composti dai Guardiani e dal loro mentore, il conte Saint Germain: nel primo libro avevamo scoperto che Gwen era la preziosa dodicesima viaggiatrice, il fulcro di tutto il cerchio profetico; nel secondo, al rubino veniva affiancato un diamante, Gideon, e si scopriva che lui avrebbe avuto una grossa influenza sul destino della sua compagna; in questo terzo e ultimo volume, i versi rimandano ad un finale che sembra essere conveniente solo per un elemento del gioco, e che Gwen sia il catalizzatore intorno al quale si verificherà lo svelamento dell'enigma. Un'enigma che pare coinvolgerà i sentimenti della coppia Gwen-Gideon.
Certo, il percorso che porterà i due protagonisti ad avvicinarsi non sarà semplice, reso ancora piu tortuoso dai guai cominciati da Paul e Lucy, dalle macchinazioni del conte e dalle domande a cui Gwen non trova risposta. Percorso, tuttavia, anche piacevole grazie al mitico, inimitabile, brillante Xemerius, il demone doccione che segue Gwen dappertutto, con le sue battute geniali e le sue citazioni ai Queen, alla fedele e perspicace Leslie, l'amica che tutte vorremmo, e a lord Lucas, il nonno riconquistato che dona una bella spinta alle indagini della protagonista.
Nonostante tutto l'aiuto, Gwen si ritroverà a doversela cavare con le proprie forze, in un finale molto concentrato e ricco di colpi di scena, in cui i cattivi non sono poi così cattivi e i buoni neanche tanto buoni, in cui si sveleranno le risposte a tutte le domande galleggianti sul mare della trama e i cui risvolti porteranno a delle inattese, quanto gradite, conseguenze per i due protagonisti.
Ho trovato molto valido l'inganno avvolto intorno al conte, che ormai abbiamo capito tutti, non è questo gran pezzo di pane; non mi sarei mai immaginata quale sarebbe stato il mistero intorno alla sua figura, quindi la sorpresa mi ha piacevolmente colpita; lo stesso non posso dire riguardo a Gwen e Gideon, che sono rimasti troppo ancorati a vecchi cliché: la solita ragazza normale che scopre di aver un grande potere, che si innamora del cosiddetto "stronzo", che fa finta di non volerla ma che sotto sotto prova teneri sentimenti per lei; la cugina che si svela essere ancora più perfida del previsto e, posso dirlo, uno scontato, e un pó forzato happy ending. Xemerius, d'altro canto, credo sia il personaggio più riuscito e di cui sentirò la mancanza.
Originale è però l'idea di ricamare la trama intorno a dodici viaggiatori del tempo e che le loro storie convergano in un oggetto, il cronografo, che nasconde degli inquietanti risvolti se votato al male, che diventano mielosamente romantici, se votati al bene.
Una lettura comunque gradevole, vivace e fresca adatta, a mio avviso, più ad un pubblico giovane, senza per questo escludere che dei lettori più maturi possano apprezzarla ugualmente.
Indicazioni utili
Il diamante e il rubino
“Era stato il conte di Saint Germain a inventare i viaggi nel tempo controllati con l'aiuto del cronografo e sempre lui aveva dato l'ordine bislacco di inserire assolutamente tutti i dodici viaggiatori nel tempo nel cronografo. La domanda cruciale era questa: che cosa sarebbe accaduto quando i dodici viaggiatori nel tempo fossero stati inseriti e il cerchio si fosse chiuso? Nessuno sembrava saperlo con precisione.”
Gwendolyn, novella Viaggiatrice nel tempo, suo malgrado, ha imparato a controllare il suo potere e, con l’aiuto di Gideon, cerca di dare una risposta a questa domanda chiave.
Non sa però che lei è una pedina importantissima al fine della risoluzione dell’enigma e che sia il conte che Lucy e Paul saranno i burattinai che muoveranno i suoi passi sulla scacchiera. Ma chi è dalla parte giusta? E chi vuole farle del male?
In questo secondo capitolo Gwen riesce a prendere in mano, almeno in parte, la situazione, sottraendosi al gioco in cui tutti le dicono cosa fare: in un viaggio all’indietro nel tempo, incontra per caso suo nonno, da giovane, che le darà una mano nella sua ricerca della verità.
Per il resto la sua vita gira intorno a delle costanti: l’odiosa e spocchiosa Charlotte, che non perde occasione per metterla in imbarazzo, l’apprensiva madre, che vorrebbe sottrarla a quel mondo che sembra odiare, la fedele Leslie e, ultimo ma non ultimo, Gideon, il suo dolce tormento, che un giorno la bacia e l’altro la disprezza. Insomma, routine.
Però in questa apparente calma piatta, salta fuori una perla di vivacità: il simpaticissimo e dolcissimo Xemerius, il doccione di Belgravia, col musetto da gatto, un piccolo demone che solo Gwen riesce a vedere e che darà una nota allegramente ironica al libro. Oso dire che è il personaggio che mi è piaciuto di più in assoluto dell’intera trilogia.
Tra trasmigrazioni, lezioni di ballo e baci rubati, il mistero intorno a Gwen si infittisce: tutti affermano che Paul e Lucy, la cui identità sembra non essere più tanto certa, siano dei traditori, colpevoli di aver rubato il cronografo e di voler impedire che il cerchio si chiuda..ma è davvero così? E se loro volessero solo svelare un inganno ben orchestrato da qualcun'altro nell’ombra? Il vero traditore?
Quando la profezia sarà compiuta “l'aquila sorgerà, l'umanità vincerà la malattia e la morte e ci sarà l'alba di una nuova era.” Ma se questa fosse una bugia?
Il finale ci lascia con una bella dose di dubbi che sembrano racchiusi in pochi semplici, ma importantissimi versi:
“Il corvo, nel suo rubino volteggiare,
tra i mondi sente i morti cantare,
non conosce la forza, il prezzo ignora,
si leva il potere, chiuso il cerchio è allora.
Il leone, fiero volto di diamante,
incantesimo che offusca la luce folgorante,
al calar del sole arreca mutamento,
la morte del corvo palesa il compimento.”
A differenza del primo libro, un po’ lento, questo secondo volume è più vivace, non solo per l’introduzione del personaggio di Xemerius, a mio avviso impagabile, ma anche perché l’avventura si fa, finalmente, più movimentata. Inoltre il finale lascia tante domande insolute, quindi si ha voglia di continuare a leggere il seguito.
Indicazioni utili
La gemma più importante del cerchio
“Opale e ambra, la prima coppia, s’avanza, canta agata, che del lupo ha sembianza, con acquamarina in si bemolle, solutio! Seguono smeraldo e citrino, coagulatio!, le due corniole gemelle in scorpione, e giada, numero otto, digestione. In mi maggiore: tormalina nera, zaffiro in fa, rischiara la sera. E subito appresso ecco diamante, undici e sette, leone rampante. Projectio! Scorre il tempo così lento, rubino è principio e fine del movimento.”
Dodici cifre, dodici viaggiatori nel tempo, dodici pietre preziose, dodici tonalità musicali, dodici ascendenti, dodici passi per creare la pietra filosofale: ecco il mistero di cui Gwendolyn, adolescente ragazza londinese, resta all’oscuro per tutta la sua vita, perché tutte le donne della sua famiglia credono che il gene meraviglioso dei Viaggiatori del tempo non spetti a lei, ma a Charlotte, la sua sprezzante e boriosa cugina, addestrata alle arti del decoro, del buongusto e del galateo dei secoli passati, in previsione del suo imminente primo “salto” all’indietro nel tempo. Peccato che i suoi sogni di gloria e quelli di sua madre, Glenda, vengano decisamente rovinati da Gwen, che eredita il gene al posto di Charlotte. Disastro! Charlotte è distrutta, i suoi meravigliosi piani andati in fumo! In realtà non è che Gwen sia tanto entusiasta del nuovo fardello che ha sulle spalle: sì, perché per lei questo talento non è qualcosa di cui vantarsi, ma un peso che non vuole portare. Fin quando non incontra Gideon, il suo alter ego maschile, l’altra metà perfetta della coppia di Viaggiatori di questo secolo. Il loro rapporto non sarà idilliaco: lui la disprezza, ritenendola lenta di comprendonio e non all’altezza del dono di cui è portatrice, non addestrata alla storia, alle lingue, alle danze e senza il minimo controllo sul proprio potere.
Ora, apro una piccola parentesi: se voi foste Charlotte, o Gideon, non sareste leggermente arrabbiati se una tipa sbuca fuori all’improvviso e vi porta via quello che avete di più caro nella vostra vita? Io posso comprendere che generalmente la protagonista accenda le simpatie del pubblico, ma si deve pur ammettere che Charlotte non ha tutti i torti. Specialmente perché, oltre al suo prezioso dono, Gwen le ruba anche il fidanzato, Gideon. Insomma, io sarei decisamente seccata, e questo è un eufemismo.
In qualsiasi caso, Gwen non è responsabile del fatto di aver ereditato il gene della sua famiglia e quindi deve recuperare tutto il tempo perso: lezioni di ballo, di storia, di educazione, ma soprattutto (la parte più divertente) di moda, insieme alla simpatica Madame Rossini, la sua sarta personale (di certo non può andare in giro nella Londra vittoriana con le Converse).
Pian piano Gwen riuscirà a padroneggiare il suo dono, grazie anche all’aiuto, non più tanto stentato, di Gideon, che si ammorbidisce e diventa più gentile. Insieme viaggeranno nel tempo, per compiere una pericolosa missione che rivelerà degli inattesi risvolti: chi è Lucy? È davvero sua cugina? E perché ha rubato il prezioso cronografo? Tutte queste domande resteranno senza risposta e all’ombra del misterioso conte di Saint Germain, in attesa di essere risolte.
Il ruolo di Gwen, da marginale che era, sembra essere invece decisivo perché lei è Rubino, l’ultima delle gemme e “rosso rubino, che ha la magia del corvo nel cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore.”
Avendo letto tutte e tre i libri della trilogia, posso certamente affermare, in base al mio gusto, che questo primo volume è il più lento dei tre: è un volume introduttivo, quindi meno vibrante, con una parte iniziale un po’ banale forse, la solita ragazza adolescente che eredita un potere che la rende speciale, la zia odiosa, la cugina invidiosa, l’amica del cuore solidale. Se queste idee non sono originali, lo è però il fatto che il suo dono riguardi i viaggi nel tempo. Niente vampiri, licantropi e compagnia bella quindi.
Altro punto a favore: la narrazione è scorrevole, veloce e molto piacevole; inoltre la parte finale, con i suoi dubbi irrisolti, spinge il lettore a voler leggere il seguito.
I personaggi non mi sono rimasti particolarmente impressi ma la storia è invitante e si ha voglia di scoprire quali nuove avventure aspettano Gwen e Gideon.
Indicazioni utili
Il granello di polvere che diventa una stella
Quando ho finito il primo volume della trilogia di Phèdre, "Il dardo e la rosa”, mi ero ripromessa di far passare un po’ di tempo prima di continuare con questo secondo volume. Eppure non ce l'ho fatta a starci lontano: Phèdre mi mancava terribilmente, come se fosse una mia cara amica partita via e non ancora tornata. Ed è così che mi sono rituffata, con gioia e inaspettata impazienza, nella storia delle avventure di Phèdre nò Delaunay, contessa di Montrève.
L’ombra che agguanta il finale del primo capitolo di questa serie allunga i suoi oscuri tentacoli in tutta la trama del secondo: Mélisande, la regina degli inganni, scappata misteriosamente dalla sua prigionia, sfida Phèdre a trovarla, facendo leva sul suo senso del dovere e su quel dardo di Kushiel che chiede di essere scagliato ancora una volta. Ed è per questo che la nostra eroina decide di rimettersi in gioco, tornando al servizio di Namaah: sfortunatamente la sua decisione allargherà la crepa nel suo rapporto con Joscelin, che proprio non riesce ad accettare la sua natura di anguisette, una crepa già presente per aver infranto i suoi giuramenti a Cassiel a causa di lei. Per questo motivo e per altri, al di sopra delle loro volontà, lui e Phèdre rimarranno separati per la maggior parte della narrazione.
Ma chi è il complice di Mélisande?Perché l’ha aiutata ad evadere? E cosa c’è in ballo? Queste sono le risposte che lei cerca: ogni nome sarà vagliato, ogni personaggio può essere il colpevole e nessuno è esente dall’essere in dubbio, in un gioco in cui tutti sospettano di tutti.
La sua ricerca della verità la porta alla Serenissima, in mezzo ad altri intrighi di corte, lotte per il seggio del doge e oracoli che si riveleranno profetici: “troverà quel che cerca nell’ultimo posto in cui guarderà”. Il filo di questa matassa porterà la narrazione al più grande colpo di scena della storia: il tradimento è al di sopra di ogni ragionevolezza, ancor più perverso di quello che ci si poteva aspettare; un tradimento che riguarda le sorti di un regno.
Dopo in infruttuoso gioco dei se, Phèdre si ritroverà prigioniera, ma è in queste difficoltà che si trova la sua forza e la sua grandezza: apparentemente accondiscendente e debole, riesce invece a ribaltare le sorti della sua vita e a mantenere fede alla promessa di scoprire i traditori.
La mancanza di Joscelin si sentirà, ma non tanto quanto previsto: al suo fianco troveremo nuovi amici, espliciti e non, come il pirata Kazan, Glaukos, la signora di Marsilikos, il capitano Rousse, la kore di Minosse Pasifae, l’arconte di Phaistos, il principe Severio Stregazza e i suoi zii, Ricciardo e Allegra; lei ammalierà tutti loro e in virtù di questo sentimento la affiancheranno nelle dure prove che dovrà sostenere.
La risoluzione degli enigmi è brillante e tiene col fiato sospeso e, cosa che ho apprezzato tantissimo, le spire dell’ombra che macchiavano il finale del primo libro, si allungheranno così tanto da invadere anche il finale del secondo: pur non essendo presente “fisicamente” durante quasi tutta la narrazione, Mélisande è una protagonista tanto quanto Phèdre; la amerete, la odierete, la maledirete e alla fine non potrete che meravigliarvi della sua astuzia e della sottigliezza della sua malvagità.
Un personaggio potente, complesso, dalle mille sfaccettature.
Il miglior pregio della Carey, a mio avviso, sta proprio nella stratificazione dei personaggi: Mélisande è una spina nel fianco, Joscelin è davvero combattuto tra l’amore e il dovere, e Phèdre, è il personaggio più raffinato, elegante e delizioso di sempre.
Nel primo capitolo della serie, ho avuto qualche perplessità riguardo le ampie parti dedicate alle discendenze, ai tanti nomi, alla descrizione delle parentele nobili e sono felice di dire che tutto ciò, in questo secondo volume, viene contestualizzato e per questo non risulta più tanto ostico. Eliminata quest’unica pecca che avevo riscontrato, il racconto diventa davvero piacevolissimo: questo non esclude il fatto che sia un libro impegnativo, in cui bisogna riflettere e sui cui tanti personaggi bisogna ritornare spesso per ricordarsi dove e quando sono stati già nominati. Ma una volta sciolta questa fitta rete di intrecci, posizionando al loro posto tutti i nomi, tutto diventa più semplice.
La scorrevolezza della narrazione perciò risulta migliore; inoltre, alcune scene del libro sono talmente potenti che sembrano cinematografiche: non ho avuto nessuna difficoltà a costruire con esse delle sequenze “da film”. E Phèdre? Bé, lei entra di diritto, con delicatezza e in punta di piedi, nella mia lista immaginaria dei personaggi letterari preferiti di sempre.
Indicazioni utili
Un personaggio che non si dimentica
La prima domanda che mi sono fatta leggendo la prefazione del libro è stata: “Come ha fatto l'autore ad acquisire la conoscenza e l'abilità necessarie per descrivere il mondo etereo e inafferrabile degli odori?”; un conto è far immaginare al lettore la bellezza di una donna, ripercorrendo con le parole le forme del suo corpo, il colore dei suoi occhi, l’affabilità o la malvagità del suo carattere, o l’eccezionalità di un oggetto particolare, descrivendone le fattezze o l’uso, o ancora un paesaggio, un animale, il sole stesso. Tutto ciò può essere individuato, scomposto in parti e analizzato, ricomposto e descritto al lettore per far capire quello che la fantasia partorisce.
Ma un odore? Come si può esprimere a parole l’odore delle rose? O di un frutto? O di un pezzo di carne marcia? O, peggio, di una persona? Una cosa simile sembra inconcepibile. Non ci sono termini di paragone, possiamo solo affibbiare a ciascun odore, che noi crediamo gradevole o sgradevole, un aggettivo: acido, dolce, fresco, pungente, disgustoso e così via. Ma si dà forse un’idea esauriente dell’essenza di una cosa, solo con un misero attributo? Sicuramente no.
Ed è in questo esatto nodo pulsante che sta l’eccezionalità di Süskind: con le parole è riuscito nel compito impossibile, innanzitutto di trovare il modo di descrivere gli odori, con delle associazioni e delle metafore assolutamente geniali, e poi di farli salire al nostro naso direttamente dalle pagine del libro.
Un’altra domanda che mi sono posta: “Perché chiamare il protagonista proprio Grenouille?”. In francese “grenouille” significa rana; ora la rana, per diventare tale, deve attraversare, come ben sapete, diversi stadi evolutivi: da girino alla forma definitiva finale. Per questo motivo ho scoperto che la rana, in varie culture, rappresenta la metamorfosi, l’adattabilità, la transizione e, piuttosto ovviamente, la trasformazione. Ed è per questo che credo non sia un caso che l’autore abbia dato questo nomignolo al personaggio principale.
Nato senza alcun odore, Jean-Baptiste, brutto,deforme e inquietante, ha una sola e decisiva qualità che lo farà emergere dal fango in cui è nato: un senso dell’olfatto eccezionalmente sviluppato, tanto che, cito testualmente, “a sei anni aveva già una percezione totale del suo ambiente dal punto di vista olfattivo…presto riconobbe all'odore non soltanto il legno, bensì diverse specie di legno, legno d'acero, legno di quercia, legno di pino, legno d'olmo, legno di pero, legno vecchio, giovane, putrido, marcio, muscoso, persino singoli ceppi di legno, frammenti e schegge di legno; e all'odore ne percepiva le diversità con una chiarezza che altri non sarebbero mai riusciti ad avere con gli occhi. Similmente avveniva con altre cose. Che quella bevanda bianca che Madame Gaillard somministrava ogni mattina ai suoi pupilli venisse comunque chiamata latte, quando per la sensibilità di Grenouille ogni mattina aveva un odore e un sapore del tutto diversi, a seconda che fosse più o meno calda, a seconda della mucca da cui proveniva, di quello che la mucca aveva mangiato, della crema che vi era stata lasciata e così via... che il fumo, una struttura olfattiva in cui si riflettevano centinaia di singoli aromi, che di minuto in minuto, anzi di secondo in secondo si trasformava in un miscuglio nuovo, come il fumo del fuoco, possedesse appunto soltanto quell'unico nome «fumo»... che la terra, il paese, l'aria, che a ogni passo e a ogni respiro erano colmi di un odore diverso e quindi animati da un'identità diversa, potessero essere definiti soltanto da quelle tre grossolane parole... tutte queste disparità grottesche tra la ricchezza del mondo percepito con l'olfatto e la povertà del linguaggio facevano sì che il ragazzo Grenouille dubitasse del senso del linguaggio in genere, e si rassegnasse a farne uso soltanto quando i rapporti con altri esseri umani lo rendevano indispensabile” .
Tutta la sua straordinarietà lo porterà, a suo giudizio insindacabile, a immaginarsi come il Grande Grenouille, capace di catturare l’essenza delle cose, ma soprattutto l'anima delle persone. E’ così che la sua “fame” di conoscenza e di riscatto lo porterà a compiere efferati omicidi, senza il minimo rimorso o consapevolezza. Importa solo che la sua mente trattenga quei meravigliosi effluvi e che li faccia suoi per sempre, con lo scopo di riutilizzarli quando arriverà il momento: il momento della trasformazione, appunto, da essere repellente, capace di adattarsi alle peggiori situazioni, a creatura adorata e venerata da quegli umani che lo disgustano con i lori odori mediocri, quegli umani che lui, da sempre odiato e scartato dalla società, vuole sottomettere sotto una forma di amore perverso. E saranno proprio quegli umani che segneranno poi alla fine il suo destino, in una beffarda conclusione che forse merita, o forse no.
Potente, visionario, assolutamente geniale, “Il profumo” è un’allegoria della malvagità, della pazzia e del genio dell’umanità, alla ricerca costante di un modo per essere riconosciuti, amati e accettati, e non per quello che si è, ma come esseri speciali, al di sopra degli altri, migliori degli altri e per questo, più degni. Una metafora dell’uomo che vuole essere a tutti i costi il più bravo, il più bello, il più intelligente e per questo, il più adorato.
Indicazioni utili
La Svezia incontra il gusto vittoriano
Ho un vero debole per le donzelle dai capelli rossi e ultimamente sto sviluppando una seria mania nei confronti dei paesi freddi della Scandinavia, quindi è con uno spirito decisamente curioso che mi sono avvicinata alla lettura di questo libro.
Il romanzo inizia con un prologo che in apparenza potrebbe sembrare convenzionale e semplicemente introduttivo, invece è crudo e incisivo, per cui le parole iniziali diventeranno il fulcro intorno a cui si svilupperà tutta la trama e la scoperta dell’identità del narratore diventerà di vitale importanza.
Siamo in Svezia, fine del 1800, la nostra lei è Beatrice Löwenström e il nostro lui Seth Hammerstaal e il luogo galeotto, l’Opera della capitale. Lei, orfana, allevata dagli zii crudeli e spietati, è una ragazza vivace, esplosiva e piena di vita, assolutamente degna della sua chioma straordinariamente fulva; lui, ricchissimo borghese norvegese, è cupo, cinico e in apparenza superficiale. La scintilla fra loro scocca potente alla prima occhiata e la passione sembra divampare in occasione dei loro futuri incontri. Mentre per la cugina Sofia e il suo innamorato Johan tutto sembra andare per il verso giusto, Beatrice ben presto saprà di non poter condividere lo stesso felice destino della cugina: lo zio ha in serbo un malvagio ricatto che la costringerà ad allontanare Seth e a sposare, contro la sua volontà, un viscido, perverso e violento conte. E’ in questo momento che la trama, finora abbastanza lineare, si ingarbuglierà in un groviglio di malintesi, fraintendimenti e incomprensioni, sfociando nella commedia degli equivoci tanto cara alla Austen. Più che commedia però io trovo che qui sia più una tragedia: tutte le vicende successive saranno esasperate, tese e talmente amare da digerire che non credo si possano paragonare alla delicatezza e all’eleganza della Austen. Con questo non voglio dire che questo romanzo sia volgare o scortese, ma lo stile e alcuni temi trattati non rispecchiano l’autrice inglese. Quindi se vi aspettate dei protagonisti sì in difficoltà, ma immuni alla sofferenza più truce, rimarrete delusi.
Al contrario Beatrice dovrà attraversare tutti gli strati del dolore, da quello psicologico a quello fisico, e solo l’amicizia e la verve di Vivienne de Beaumarchais, spumeggiante dama francese, la riporteranno indietro dall’abisso in cui era caduta. Nonostante la sua rinascita, gli equivoci continueranno e il tormento, sia suo che di Seth, non sembra dare segni di voler terminare. Ci sarà un happy ending? Lascio a voi l’onore di scoprirlo.
La sezione che mi è piaciuta maggiormente del libro è stata quella centrale, in quanto l’inizio mi è sembrato un po’ troppo ordinario e la fine un po’ forzata; in secondo luogo le difficoltà descritte in questa parte fanno brillare la protagonista che, se da principio ha rivestito i panni della martire, più in là svela un bel carattere deciso e focoso, molto più degno di lei.
I personaggi cosiddetti “buoni” mi sono piaciuti, soprattutto l’affascinante Vivienne e ovviamente la protagonista, ma sono quelli “cattivi” che hanno suscitato in me i sentimenti più forti: sono assolutamente meschini, folli e distorti. Avrei voluto introdurmi nella storia solo per poter avere l’occasione di strozzarli.
Invece ho particolarmente apprezzato le ambientazioni, sicuramente meno convenzionali rispetto alla solita Londra vittoriana o alla lussuosa Parigi, quindi più originali: merito della nazionalità dell’autrice è infatti la descrizione di un’affascinante Stoccolma, Göteborg, delle adorabili tenute di campagna dei nobili locali e dei castelli immersi nei ghiacci.
Un consiglio: se vi accostate al libro con l’idea di un romanzo alla Jane Austen in salsa svedese non potrete godere appieno della storia, perché inevitabilmente vi ritroverete e a fare dei paragoni inutili; al contrario prendetelo come un bel racconto, di innegabile matrice vittoriana, ma con tocchi disciplinati verso un gusto più moderno.
Indicazioni utili
Vorfelan Rhinata Morie
Conoscete quella sensazione esasperante di dover fare qualcosa di fondamentale ma di non ricordarsi cosa?Ecco come mi sento essendo giunta alla fine di questo meraviglioso libro: frustrata perché l'ho finito troppo in fretta, irritata perché non avrei voluto e inquieta per il paragone che mi troverò inevitabilmente a fare tra questo e i prossimi libri fantasy che leggerò. La sensazione è la stessa: so che dopo aver conosciuto Kvothe, il mio giudizio verso le prossime letture sarà più impietoso, come quando si promette a sé stessi di avere una migliore memoria in occasioni future: si è consapevoli di una mancanza e di cosa fare per rimediare.
Se il primo volume era un bracciale d’oro pieno di diamanti, questo secondo è più un’unica perla splendente che ci racconta una storia diversa ad ogni sua cangiante sfumatura. E proprio in onore di questa eccezionalità dovete perdonare la mia recensione un po’ prolissa, perché non si può descrivere una perla dicendo semplicemente che è bianca e che viene dal mare.
La narrazione si divide in quattro momenti ben definiti, che corrispondono a quattro esperienze avventurose vissute da Kvothe: all’Accademia, a Vintas, nell’Eld e in Ademre.
Per iniziare ritroviamo Kvothe dove l’avevamo lasciato: la sua istruzione e la sua ricerca continuano, il suo successo all’Eolian è saldo come sempre, i suoi amici fedeli, i nemici sempre più insidiosi e Denna sempre più sfuggente; il candore fanciullesco di Auri lo conforta, la goffa e schietta simpatia di Sim lo fa gioire e Wil si conferma essere il suo grillo parlante; magister Elodin si rivela più pazzo di prima, Ambrose più audace nei suoi tentativi di nuocere e Devi più tremenda di quanto ci si aspettasse. Tutti i personaggi fanno brillare la storia in modo diverso ma è Kvothe che plasma il tutto tramite il suo modo di agire e di fronteggiare ciascun evento.
Questo filo conduttore ci porta alla seconda tappa del viaggio: Vintas, regno ricco e raffinato, in cui Kvothe sarà ospite del Maer, personaggio molto importante ai fini della trama: sotto il suo servizio Kvothe conoscerà per la prima volta il lusso e la ricchezza, ma insieme a loro, come sempre, verranno gli intrighi e gli enigmi; imparerà a destreggiarsi tra la rete dei pettegolezzi e a scegliere i suoi alleati, ma lo farà a modo suo: la sua musica e la sua arguzia saranno la maschera da indossare per sventare tentativi di omicidio ben celati, per conquistare cuori nobili e per sciogliere il groviglio dei misteri intorno a Denna, la sua musa.
Il successo in queste imprese lo condurrà alla terza tappa: l’Eld, luogo colmo di foreste e boschi, in cui si nasconde una grande minaccia, che Kvothe è chiamato a soffocare; ma non sarà da solo questa volta, perché gli saranno affiancati quattro personaggi, che insieme a lui formeranno un quintetto tanto improbabile quanto valido ed efficiente. Uno di loro, Tempi, varrà da solo tutte le fatiche, le ferite e le paure che lo aspettano. Tra lui e Kvothe si instaurerà un’amicizia all’inizio bizzarra e imbarazzante, ma che col passare del tempo diventerà salda come l’acciaio.
Per tutta la durata del primo libro e di parte del secondo, l’autore è stato abilissimo nel lasciarci tanti piccoli indizi e nomi buttati tra le righe in modo apparentemente casuale, proprio per stuzzicare la nostra curiosità: uno di questi è Ferulian. Ricordatelo perché la parte relativa a questo personaggio misterioso ed etereo sarà una delle più belle di tutto il racconto e contribuirà ad accrescere la fama della neonata leggenda di Kvothe.
Il suo legame con Tempi ci porta all’ultimo quadratino della scacchiera: Ademre, la patria dei mercenari di rosso vestiti. Imparerà a combattere, a riflettere, a superare le sue paure e a catturare il vento; il suo nome diventerà fiamma, tuono e albero spezzato; la sua leggenda prenderà forma.
Tornerà all’Accademia, alla fine del suo rocambolesco itinerario, temprato dall’esperienza: più forte, più sicuro, più consapevole del proprio valore e del proprio potenziale, con una vivida fiamma nell’anima che riverbera nei suoi occhi color delle foglie. I misteri non saranno svelati, le minacce non verranno stroncate, il finale butta sul cuore un’ombra che è difficile da dissipare, ma proprio per questo e ancor di più, Kvothe promette di lasciare un’impronta che chiederà di essere seguita molto a lungo, al fine di scoprire la risoluzione di tutti gli enigmi e di trattenere per sempre la sua storia come fosse un tesoro in un baule impenetrabile.
Il racconto è veloce, il ritmo incalzante, i personaggi strutturati magnificamente; pur avendo notato tratti somiglianti con Harry Potter (l'Accademia e Hogwarts), con Il Signore degli Anelli (il cammino itinerante e la parte relativa agli anelli) e La spada della verità (le mord-sith e i mercenari) il libro è originale, mai banale, mai scontato. Ci si ritrova a ridere, a piangere, a sperare, a maledire, a fare il tifo e a disperarsi.
Un racconto lungo, ma mai abbastanza; stupendo, ma mai stucchevole; divertente ma mai comico; un must per gli amanti del genere, ma soprattutto per chi non ne è un fan, perché sebbene la storia includa magie e creature fantastiche, è fondamentalmente la storia di un uomo e della sua sete di conoscenza, la storia della costruzione di un mito. Non fate l'errore di scartarlo "solo" perché compare sotto la voce "fantasy", perché perderete qualcosa di imperdibile.
E' entrato di diritto a far parte della mia top ten di sempre, una vera PIETRA MILIARE.
Indicazioni utili
Le avventure di Luciana e Sarah
Venezia 1753 e Venezia oggi. Due ragazze, rispettivamente Luciana Giordano e Sarah Thomson, legate attraverso i secoli da un fascio di delicate lettere color dell'ambra, ci portano nella romantica città lagunare attraverso le loro storie. Sarah, moderna donna londinese, dopo una dolorosa delusione d'amore, arriva a Venezia per la sua tesi di laurea, che include la ricerca accademica dell'autrice (o dell'autore) di uno scandaloso libro conosciuto come "Il manuale dell'eros" pubblicato nel XVIII secolo; lei è convinta che l'attribuzione esatta vada a Luciana, adolescente ragazza di quel secolo, il cui risveglio sessuale, operato da un mentore d’eccezione, verrebbe documentato da lei stessa sul suo diario, poi diventato il libro su cui Sarah crea la sua teoria. E' così che la moderna eroina si ritrova ospite dell'impenetrabile biblioteca del misterioso Marco Donato, ex playboy, ora ritiratosi a vita casta, la cui collezione letteraria include le lettere di Luciana. Oltre al piacere per la conferma delle sue teorie, Sarah, trascinata dalla colorita passionalità delle lettere, sperimenterà anche altri tipi di soddisfazioni ben più carnali: le sue notti sono accese da sogni bollenti e i suoi giorni dal tormento di incontrare lo sfuggente Marco, che si nega volta dopo volta, accampando scuse sempre più improbabili. Sarah intuisce che c’è un qualche tipo di segreto oscuro che avvolge l’uomo ma, nonostante tutto, arriva a provare forti sentimenti per lui, pur non avendolo mai incontrato, né sentito la sua voce.
La trama del libro si divide in due nastri narrativi: uno legato alle vicende di Luciana, che si svela essere una ragazza vivace, intelligente, ribelle, segregata dal padre in una prigionia fatta di letture bibliche e di una governante (falsamente) bigotta; l’altra ci porta alla storia di Sarah, al suo amore fallito, ai suoi sogni e alla sua conquista apparentemente senza speranza. Ho trovato molto più interessante la parte relativa alla storia di Luciana con le sue divertenti scappatelle notturne, travestita da uomo per raggiungere il suo “maestro” ( e che maestro!), con la sua irriverenza, la sua audacia, il suo essere contro le regole e le rispettabili consuetudini del decoro.
Il suo è stato l’unico personaggio che mi sia realmente piaciuto: Sarah mi è sembrata una senza spina dorsale, troppo succube e “moscia” per essere una vera protagonista; Marco Donato invece mi ha fatto l’impressione di un pervertito un po’ frustrato; e Steven, l’ex ragazzo di Sarah, un vero cafone.
Sarà che l’atmosfera della Venezia del 1700 è ineguagliabile, ma le avventure di Luciana sono molto, molto più affascinanti: c’è più verve, più ironia, più carattere; lo scorrere della storia di Sarah invece è molto banale e prevedibile, infatti dopo una trentina di pagine avevo già intuito tutto il seguito. Inoltre la vocazione “perversa” (di Sarah), a cui in parte fa riferimento il titolo del libro, non è nulla di più che un paio di sogni indotti da un bel letto a baldacchino con tanto di pedigree (a questo punto lo vorrei anche io, se queste sono le conseguenze), reminiscenze del passato e fantasie sul futuro.
Un libro piacevole comunque, una lettura molto leggera, che si legge anche in un giorno avendo un ritmo serrato, ma niente di più.
Indicazioni utili
"La vendetta è una scienza o un'arte?"
Era una notte buia e tempestosa...no, un attimo, questa non è una fiaba in cui il principe corre a salvare la sua bella sotto la pioggia. Sì, lo so, è notte e imperversa una terribile tempesta, e c'è anche un principe sulla scena, ma questa non è una fiaba. Ci dovrebbe essere un termine apposta per storie come questa: antifiaba? controfiaba? Antifiaba potrebbe andare.
Mi appresto quindi a raccontarvi questa insolita storia: principe Honorius Jorg Ancrath, 10 anni, impalato nelle spine di una macchia di rovi, impossibilitato a muoversi, assiste ad un terribile ed efferato assassinio, senza poter alzare un dito per intervenire. Quella notte diventerà il suo incubo e il suo tormento: il trauma subìto lo lascerà a pezzi nel corpo e nello spirito.
Ma qui non stiamo parlando del classico eroe che, in barba a tutta la ragionevolezza, si salva e ne esce illeso, assolutamente no: qui abbiamo un bambino che fino a poche ore prima era cullato dalla dolcezza dell’infanzia e che all’improvviso, sotto una scarica di fulmini, diventa un guscio vuoto senza più alcuna umanità, senza sentimenti, senza rimorso, senza coscienza. Il piccolo principe Jorg si trasforma in un incubo nero, più nero dei suoi tormenti, più nero della notte, più nero della morte.
Sopravvissuto per miracolo, abbandonerà il castello di cui è legittimo erede, e si unirà ai criminali della strada: ruberà, ucciderà, stuprerà e si divertirà a farlo. L’unico barlume di contorta umanità che gli rimane è uno: la terribile vendetta contro l’assassino.
Per quattro anni percorrerà le strade polverose del regno, a capo dei Fratelli, una banda di mostri senza scrupoli, fin quando non sentirà che è arrivato il momento di tornare dal suo caro padre, il re, per rivendicare ciò che è suo. Ma non vi aspettate un padre amorevole: forse è proprio lui il più bastardo di tutti (mi perdonerete il termine, ma ci sta tutto), pronto ad inviarlo in una missione suicida, per toglierselo dai piedi, suoi e di quelli della sua nuova regina. E così che vedremo Jorg affrontare strane creature, negromanti, fantasmi e profetesse. E contro tutti i pronostici ne uscirà vincitore. Ma di nuovo: non aspettatevi squilli di tromba e standing ovations per lui.
Jorg si prende quello che vuole e basta, senza cerimonie e senza fronzoli.
Che dire di questo libro allora? Credo fermamente che sia un libro molto “maschio”, cioè adatto più ad un pubblico maschile che femminile, pur non escludendo che una donna possa apprezzarlo ugualmente. Il protagonista è brutale, crudo, folle, cinico, a tratti psicopatico; non c’è spazio per le smancerie e gli occhi a cuoricino; il suo unico credo è : il fine giustifica i mezzi, qualunque tipo di mezzo, che sia l’omicidio, lo stupro, il furto non importa. Nessun rimorso, nessuna coscienza da bruciare, nessuna redenzione finale.
Il protagonista mi è piaciuto proprio per questo: non è un eroe, anzi, è tutto ciò che un eroe non è e questo è sicuramente una bella nota originale in un mare di personaggi letterari tutti uguali. Nonostante lui mi piaccia molto però, ho trovato inverosimile che un ragazzino di 14 anni, pur essendo principe, guidi una banda di assassini, che sia alto 1.80 cm, che possa andare a donne e che, pur essendo mentalmente contorto, sia così lucido nelle sue decisioni.
Secondo punto a sfavore: il racconto procede a scatti, con alcuni passi morti che mi hanno fatto perdere il filo del discorso e altri che invece ho dovuto riprendere perché non avevo capito la transizione da una parte all’altra.
Nonostante queste due sbavature, mi sento comunque di consigliare il libro, perché il protagonista va capito, va interpretato e solo dopo, si può dare un giudizio obiettivo su di lui. Quindi lascio a voi la decisione di elevarlo ad antieroe per eccellenza o sotterrarlo come un oscuro baule pieno di terribili segreti.
Indicazioni utili
Il silenzio e il grido di Kvothe
Mi sento di paragonare questo libro ad un bracciale d'oro pieno di pietre preziose, poste ad intervalli regolari una dall'altra, dove per oro intendo la trama e per gemme intendo i colpi di scena e i punti salienti che brillano grazie al nostro protagonista Kvothe, altrimenti conosciuto come Edema Ruh, Maedre, El'lir, Dulator, Shadicar, Ditoleggero, Seicorde, Kvothe il Senzasangue, Kvothe l'Arcano e Kvothe il Regicida.
Ogni gemma incastrata nella trama della sua vita e della storia ci chiarirà il motivo dell’assegnazione di ogni nomignolo e di come e perché è arrivato a conquistarlo. Da ciò potete dedurre che ne ha combinate veramente delle belle!
Ma chi è il nostro Kvothe? Di sicuro non il triste locandiere che si spaccia di essere, proprietario di una taverna in uno sperduto villaggio di una sperduta regione di uno sperduto regno di fattezze pseudo medievali. La sua monotonia e quella del suo aiutante Bast (anch'egli sotto "falsa copertura") viene spezzata dall'arrivo di Cronista, famoso scriba, che vuole raccogliere le memorie del grande, grandissimo, mitico, leggendario Kvothe, il quale, riluttante da principio, accetta poi di collaborare. Si dipana così, a partire dall’originale trovata di far raccontare al protagonista i propri ricordi, la storia della vita di Kvothe, straordinario artista di strada, la cui vita viene sconvolta da una tragedia che gli segnerà l’anima in modo irreversibile. Nell’ovattato dolore autoimposto alla sua mente, Kvothe, poco più che bambino, imparerà a combattere, a sopravvivere, ad arrangiarsi per non soccombere. E quando deciderà di far riaffiorare i ricordi tenuti sopiti per tanti anni, la sorda sofferenza verrà sostituita con un sentimento più bruciante: la rabbia e quindi la ferma volontà di vendicarsi, di uccidere chi gli ha portato via la sua infanzia e la sua dolce ingenuità.
Già arrivata a questo punto ho incontrato, nel mio cammino immaginario, tante piccole pietre preziose che definiscono il carattere di Kvothe, ma è il suo esame di ammissione all’Accademia, tempio della cultura e delle arti magiche, che ci pone davanti il primo vero diamante: fantastico, indimenticabile e assolutamente brillante.
Da questo punto in poi sarà tutto un crescendo: la sua musa Denna, il suo acerrimo e odioso nemico Ambrose, la prima lezione di Kvothe ai danni del Magister Hemme, il luminoso successo come artista, le canne del talento conquistate, i tentativi di ucciderlo sventati, la misteriosa bestia del fuoco blu e, ultima ma non ultima, l’acquisizione di un grande potere.
Il fatto poi che il racconto danzi tra passato e presente non fa altro che accentuare ulteriormente la voglia del lettore di saperne di più, soprattutto per merito di uno schema fisso che ho notato ripetersi costantemente: alla fine di ogni capitolo riguardante il passato, il racconto ( e da qui ne deduco l’abilità dell’autore) ci lascia con un punto interrogativo che ci spinge a leggere più in fretta, perché l’attrazione del lettore nei confronti della risoluzione del mistero diventa assolutamente irresistibile.
Inoltre il finale del libro si ricongiunge al suo inizio in un cerchio che si chiude così com’è iniziato: due liuti, due prepotenti, due reazioni diverse alla violenza. Non ci lascia con un colpo di scena sconvolgente, ma con tanti piccoli assaggi su quella che sarà la continuazione della storia.
Ho trovato incredibilmente affascinante il protagonista, con la sua arguzia, la sua lingua tagliente e il suo talento fuori dal comune: nonostante le difficoltà non perde la sua inventiva e anche quando sembra nei guai fino al collo non si arrende; ma soprattutto quando vince, e vince da vero eroe, non si gonfia d’orgoglio per gli applausi e la fama, ma rimane con i piedi ben piantati a terra, perché conosce il sapore della miseria e di quanto velocemente può tornare a farsi viva.
Ottimo il ritmo del racconto, le sue quasi 900 pagine scivolano via facilmente e personalmente non vedo l’ora di affrontare le altre 1000 pagine che mi aspettano sul comodino, perché già mi manca terribilmente il racconto delle avventure di Kvothe dai capelli rossi come il fuoco e dalla volontà ferrea che riesce a piegare al suo volere il vento.
Indicazioni utili
"Sono un ragazzo cattivo. Molto cattivo"
Trascinata dalle recensioni lette qualche giorno fa su questo libro, mi sono convinta a leggerlo, nonostante abbia per le mani un altro volume ben più impegnativo. Mai pomeriggio passò in modo più divertente ("librescamente" parlando)! Divorato tutto d'un fiato (è un volume corto, poco meno di 200 pagine) il libro di Emma Chase è l'allegro e irriverente racconto di Drew, un impenitente giovane manager che incontra, nel bel mezzo del suo cammino disseminato di festini e ragazze-da-una-botta-e-via, la donna della sua vita, Kate.
L'originalità non sta tanto nella storia, donnaiolo sfacciato e ricco da far schifo che finalmente incontra la donna che gli darà la botta in testa che merita, ma nel modo di esporla: il racconto è in prima persona, fatto di battute e confidenze dirette, come se il protagonista stesse parlando con noi faccia a faccia, con domande e risposte talmente schiette, che non faccio fatica ad immaginare due amici che parlano allo stesso modo nella realtà. E di cosa? Ma ovviamente di sesso, di donne e di affari.
Drew è il sogno che tutte le bad girls vorrebbero nel letto e tutte le brave ragazze all'altare: è incorregibile ma non irritante, odioso ma adorabile, presuntuoso ma in fin dei conti romanticissimo. È il tipico stronzo di cui tutte le donne prima o poi si innamorano, che maledicono per tutta la vita, ma che non si può smettere di adorare. Un enfant terrible, insomma.
Tuttavia non è uno sciocco, perché quando capisce che vale la pena abbandonare la via del peccato, lo fa e oh!con che stile lo fa! Impagabile.
Libro divertentissimo, spassoso, spiritoso, che vi strapperà ben più di una grassa risata..e vi farà fare 2 o 3 voli mentali sulle ali della fantasia in direzione "sognosessodafavola". Già, perché nel racconto c'è spazio anche per una bella dose di scene ad alto tasso erotico.
Da leggere se si vuole una lettura leggera e simpatica, con un protagonista senza peli sulla lingua.
Indicazioni utili
"Non sempre chi accondiscende è debole"
Terre d'Ange, città di Elua. Phèdre è destinata fin da bambina a una delle Case del piacere del paese, destinata a diventare un Fiore Notturno al servizio di Naamah. Peccato che la sua bellezza sia corrotta dal raro e inquietante dardo di Kushiel, una piccola macchia scarlatta all'interno dell'occhio sinistro, che la designa come prescelta di Kushiel, l'angelo castigatore, e come anguisette, ovvero una creatura quasi mitica, capace di dare piacere con dolore e dolore con piacere. La Priora della Casa a cui è affidata, sfruttando la rarità della sua protetta, la vende a Anafiel Delaunay, misterioso e affascinante nobile che diventerà il suo mentore.
Insieme al suo pupillo, Alcuin, bellissimo ragazzo dai capelli argentei, Delaunay farà di Phèdre uno strumento micidiale al servizio della ricerca della verità: le insegnerà a vedere, ad ascoltare, a osservare, a riflettere su tutto quello che vede. Lui le fornirà il cibo per l'anima, lei darà a sé stessa e ai suoi patroni quello per il corpo: diventare una serva di Naamah, adepta di Casa Valeriana, una concubina d'eccellenza al servizio del piacere masochista che, con le sue particolari doti, otterrà quello per cui il suo mentore l'ha presa con sé.
Tutte le macchinazioni di Delaunay vertono verso il mantenimento di una promessa legata ai discendenti della corona e saranno proprio questi i patroni a cui Phèdre verrà donata: re, principi, conti e personaggi carismatici come Mélisande Shahrizai, che diventerà la nemesi di Phèdre.
La sua vocazione la condurrà lontano dalla sua amata città, in un viaggio che rivelerà tutte le maschere che Phèdre può indossare: schiava degli skaldi, fuggiasca tra i ghiacci, ambasciatrice della regina, mediatrice di guerra, salvatrice di flotte reali, scaltra cortigiana, ammaliatrice, boia e voce del regno, martire volontaria ed eroina, riuscirà a fare da collante alla trama, grazie al suo cuore d'acciaio rivestito di apparente accondiscendenza e arrendevolezza.
Collante creato anche grazie ai personaggi che girano intorno a Phèdre: Hyacinthe e Joscelin sopra di tutti, il primo dolce amico d'infanzia, principe dei Viaggiatori, il secondo fedelissima guardia del corpo, ombra costante dei passi di Phèdre.
Ho trovato questo libro molto stimolante dal punto di vista della psicologia dei personaggi, soprattutto della protagonista: Phèdre potrà apparire, ad un occhio superficiale, lenta, docile, eccessivamente conciliante, sconfitta da un destino che sembra marchiare la sua vita come la marque sulla sua schiena, ma non vi ingannate! è un fiore delicato e prezioso, raro e seducente, ma dall'animo duro e forte come la pietra. Non vi lasciate sviare dal fatto che lei non decanti le sue doti e i suoi successi ai quattro venti: la sua modestia non sminuisce il suo valore e la portata del suo coraggio. E' un'eroina silente, solo in apparenza condiscendente, ma non per questo meno amabile. E lo stesso vale per i suoi amici di avventura.
Il ritmo della narrazione è buono, rallentato solo di tanto in tanto dalla parti relative alle discendenze e dai tanti nomi che poi acquisiranno un volto. Di certo potrà risultare un tantino pesante a chi non ama gli intrighi di corte, l'araldica e tutte quelle storie di matrice medievale.
La vocazione masochista della protagonista non mi ha affatto disturbato, anzi credevo che l'accento su questo particolare sarebbe stato più forte, invece è assolutamente accettabile, a mio avviso.
Per il momento non leggerò il seguito ( il libro fa parte della trilogia di Phèdre), ma sicuramente lo farò più in là, perché il finale lascia un'ombra sulla trama che voglio assolutamente sapere come verrà dissipata.
Indicazioni utili
Bella conclusione della serie su Tessa
Ed eccoci alla fine della trilogia "Shadowhunters.Le origini" che ci ha raccontato le vicende di Tessa Gray, speciale mutaforma dagli straordinari poteri e dei suoi amati nephilim. In quest'ultimo volume finalmente tutti i nodi verranno al pettine: le origini di Tessa, i piani di Mortmain, lo svelamento dei traditori, e, ultimo ma non ultimo, la chiusura del triangolo amoroso Will-Tessa-Jem. Direi che il modo in cui l'autrice ha trattato questo nodo centrale della storia mi è piaciuto molto: di certo non risulta granché originale contrapporre un personaggio femminile a due maschili, tra cui lei deve scegliere, e difatto non lo è neanche in questo libro, ma è come questo si risolve che è sicuramente non convenzionale. Se da una parte possiamo immaginare da che parte perderà l'ago della bilancia di Tessa, non date tutto per scontato, perché le ultimissime pagine del libro vi riserveranno una bella sorpresa.
La trama si arricchisce, non solo per merito della storia che va avanti, ma soprattutto per lo spessore che acquisiscono i personaggi: Gideon e Gabriel Lightwood ad esempio, che si riveleranno alleati inaspettati; Cecily, sorella di Will, forte e determinata a mostrare le sue capacità; Sophie, domestica dell'Istituto che emergerà dall'anonimato; nonché Charlotte ed Henry, protettori dei Cacciatori di Londra. Non aspettatevi niente di meno che un intreccio tra tutti loro, che potrà sembrare banale e forzato, ma se siete gli unici Cacciatori della città diventa quasi inevitabile ai fini dell'economia della trama.
Jem rimane il mio personaggio preferito, così come lo è stato nei libri precedenti, in questo più che negli altri, perché se ormai ho imparato ad amare la gentilezza e la tenacia di Tessa e il cupo fascino di Will, non mi stancherò mai della galanteria e dello spirito di sacrificio di Jem, disposto ad un atto estremo di cui non vi svelo nulla, che non solo dona una bella sferzata alla trama, ma la accende con un poco di originalità.
Belli anche i personaggi "malvagi" perché sono ben strutturati e credibili: Mortmain infatti risulta certamente odioso, ma dotato anche lui di un certo charme.
Lettura piacevole, scorrevole e molto tenera, specialmente nelle ultime pagine, che piacerà non solo agli amanti dell'hurban fantasy, ma anche ai nostalgici della Londra vittoriana, come me.
Indicazioni utili
Per diventare donna-dei-sogni.
Mi rivolgo alle donne di tutto il mondo: dovete leggere questo libro! Ragazze, che ridere!
Il mio idillio con questo libro è iniziato proprio così, con una risata, sfortunatamente però non da parte mia: sono andata in libreria e ho chiesto al commesso se avessero disponibile "Falli soffrire" di Sherry Argov, al che lui mi guarda e scoppia a ridere. Io mi guardo in giro perplessa, e mentre mi chiedevo se il tizio avesse tutte le rotelle a posto, lui si allontana per andare a prendere il libro. Ora, col senno del poi, io mi domando e dico: ma il tizio aveva letto il libro e per questo mi stava sfottendo oppure avere davanti una ragazza di anni 20-21 che gli chiedesse QUEL libro lo ha fatto scoppiare dalle risate? Ad oggi ancora non mi capacito.
Comunque bando alle ciance: perché adoro questo libro? E' semplice: lo conoscete il detto "in amor vince chi fugge?". Benissimo perché l'autrice ci spiega come, dove e perché questo luogo comune sia in realtà la tattica giusta per far cadere gli uomini ai nostri piedi.
Fondamentalmente il libro è un'ode alla cosiddetta "stronza", di cui l'autrice ci spiega le caratteristiche: qui non si sta parlando dell'amica "stronza" che ti soffia il fidanzato, oppure della collega "stronza" che ti mette in cattiva luce col capo, o della tipica "stronza" che gode nel vedere soffrire gli uomini..no ladies, qui si parla di una donna forte, indipendente, sicura di sé, che sa quel che vale ed è in conseguenza a questa consapevolezza che agisce e si relaziona con gli uomini.
E' questa donna che l'autrice vuole risvegliare dal letargo in cui è caduta dentro ognuna di noi.
Non vi è mai capitato di volere a tutti i costi un uomo e di far di tutto per averlo? anche umiliandosi, magari scattando sull'attenti appena lui chiama, oppure cucinando per una cena di 1756 portate che lui ha annullato all'ultimo minuto? E viceversa, non vi è mai capitato di non volerne assolutamente sapere di quel vostro amico che sbava per voi fin dal liceo e più voi lo rifiutate, più lui vi adora come una dea scesa in terra? Fuori il rospo, è capitato a tutte.
E’ proprio questo il fulcro di tutto il libro: smettete di sentirvi e di agire come degli zerbini e cominciate a comportarvi come se voi foste la donna dei sogni. Di chiunque. Perché una donna sicura di sé, della proprio valore e del rispetto che merita di ricevere può conquistare qualunque uomo.
Un esempio del tono su cui è strutturato il libro: la donna "Non-sono-abbastanza" telefona spesso al suo lui e dice "per favore richiamami, ti aspetto"; la donna "Sono-abbastanza-prendere-o-lasciare" lo chiama quando è libera; la prima gli chiede delle sue ex, la seconda, quando lui tira fuori l'argomento, guarda l'orologio; la prima parla di avere bambini, la seconda non riesce (per finta) a ricordarsi il cognome di lui.
E’ un manuale su come trasformarsi da brutto anatroccolo a cigno splendente, sotto il punto di vista della conquista e della propria dignità.
Ragazze, è un libro divertente, ironico, spassoso e a volte si possono prendere degli spunti veramente interessanti; certo non è la strada lastricata per il paradiso, ma un consiglio o due di Sherry potrebbero risultare veramente utili.
Di sicuro è un libro che, semmai ne avrò una, farò leggere a mia figlia!
Indicazioni utili
Un'allegoria della condizione umana
Ho letto per la prima volta questo libro tanti anni fa e mi ricordo, come se fosse ieri, quello che ho provato quando l'ho finito: Ossessione. Con la “O” maiuscola. Ossessione per averlo terminato troppo presto, ossessione per non averlo scoperto prima, ossessione per non essere io Lyra; lo sognavo di notte,di giorno e anche quando mangiavo.
Di solito il metro di giudizio che uso quando valuto un libro è chiedermi se avrei voluto essere io l'autore del libro: con "La bussola d'oro" mi sono letteralmente dannata.
Perchè diavolo le idee geniali sembrano sempre così semplici? In questo sta la bravura di un autore: far apparire una montagna come una briciola. E questo libro (credo di sminuirlo definendolo così semplicemente) ne è l'esempio perfetto.
Prendete Lyra Belacqua, la nostra protagonista: bambina sveglia, coraggiosa e tenace, pur essendo orfana non potrà mai soffrire la solitudine, perché accanto a sé, da quando è nata fino alla fine della sua vita, avrà il suo daimon, ovvero la trasposizione fisica della sua anima, plasmata sotto forma di animale. Ora ditemi come questo possa non suonare geniale: un animale, che è la rappresentazione di quello che siete nel vostro profondo, che non vi abbandona mai, perché è una parte di voi stessi, del vostro io. Ebbene la prima cosa che mi sono chiesta io è stata: "chissà che animale rappresenterebbe il mio daimon, semmai ne avessi uno..una tigre? o magari un serpente? o peggio, una mosca?". Ecco cosa fa questo libro: scompone la mente in mille domande, costringendola a mettere in dubbio un sacco di certezze date per scontate.
Brevemente la trama: Lyra, 12 anni, vive in un college di Oxford (Pullman è lui stesso oxfordiano), ribelle ai suoi insegnanti e felice delle sue scarrozzate clandestine in giro con i suoi amici monelli, assolutamente ignara del mondo in cui vive, un mondo governato dal Magisterium, tirannica organizzazione religiosa mondiale, e delle avventure pericolose a cui è destinata. In seguito a diverse circostanze, Lyra diventerà custode di una bussola preziosa, chiamata nel libro aletiometro, che è capace, se interpellata, di mostrare la verità. Tale dono sarà solo l’inizio delle avventure di Lyra: filo conduttore di tutta la trama, la bussola la porterà prima sotto l’ala protettiva della misteriosa signora Coulter, poi sotto quella degli Gyziani e infine sotto la zampa possente dell’orso Iorek Byrnison. Il suo non sarà un viaggio di piacere, ma un viaggio per la speranza, la libertà e la conoscenza.
Riassunto così potrebbe sembrare un libro simpatico e piacevole per ragazzi, sollazzo da estate sotto l’ombrellone: niente di più sbagliato. A mio avviso non è un libro per ragazzi, anzi correggo il tiro: è sì un libro per ragazzi, ma letto, interpretato e spiegato per loro da un adulto. Mi spiego: se un ragazzo di 11-12 anni leggesse “La bussola d’oro” da solo ne dedurrebbe che è una bellissima storia d’amicizia e d’avventura. Ok. Va benissimo, niente di sbagliato. Ma se lo stesso ragazzo sentisse la storia di Lyra narrata da un adulto che ha capito i suoi rimandi letterari, le sue perle nascoste, i suoi insegnamenti morali? allora quella non sarebbe solo una storia da leggere e dimenticare subito dopo, ma diventerebbe una lezione più profonda, da ricordare molto più a lungo. Io stessa ho letto il libro da adolescente e poi l’ho ripreso poco tempo fa per rileggerlo con nuovi occhi e vi assicuro che mi sembrava di leggere un libro completamente diverso.
Pullman non è un autore facile: la sua penna rimanda al “Paradiso perduto” di Milton, ai filosofi del passato, a mio avviso anche a Shakespeare, spaziando da argomenti quali la religione, la filosofia, la politica a temi come la vita, la morte, il libero arbitrio.
Non per questo però la lettura è pesante, lenta, drammatica. E’ proprio questo quello di cui parlavo all’inizio: una montagna che scende giù con la facilità di una briciola.
Indicazioni utili
Il Vampiro Dimitri
Alla la fine del primo volume "Patto col Diavolo", avevamo lasciato Angelica e Voss felici e contenti come due piccioncini e, mentre la loro storia nasceva e si evolveva, Cupido scoccava le sue frecce a destra e a manca mettendo a segno i suoi colpi anche tra i personaggi secondari. Che poi, a mio avviso, tanto secondari non sono: Maia Woodmore, rigida sorella di Angelica, e Dimitri, conte di Corvindale, sono due personaggi che ho trovato molto più incisivi e affascinanti rispetto alla coppietta sotto i riflettori. Dalle prime battute del primo libro e per quasi tutto il secondo, Maia avrà un rapporto complicato con il conte, a causa del carattere autoritario di lei e di quello ancora più spigoloso di lui: i due mal si sopportano, si punzecchiano, litigano e si scambiano continuamente battute velenose, ma si sa, gli opposti si attraggono, anche se sarebbe meglio dire in questo caso che sono talmente uguali che non possono non scontrarsi. La storia si riallaccia al finale del primo libro e prosegue tra complotti, vampiri malvagi e rapimenti, il tutto condito con una massiccia dose di scene super piccanti (con questo nuovo protagonista maschile sono inevitabili, ma assolutamente ben accette).
Molto gradevole anche il trucco di descrivere le stesse scene vissute nel primo libro con i punti di vista dei protagonisti e degli altri personaggi del secondo, quindi con diverse prospettive e modi di valutare la realtà; in questo modo i particolari, specie quelli relativi ai pensieri non espressi dai dialoghi, si fanno più chiari e danno al racconto un tocco più profondo e particolareggiato. Soprattutto grazie allo spessore dei nuovi protagonisti: Maia sembra rappresentare il classico stereotipo della sorella maggiore, acida e iperprotettiva, ma scopriremo che dietro alla sua maschera cucita di buone maniere e rigida etichetta, si trova un animo focoso e pieno di ardore. E Dimitri? se Voss sembrava ricalcare le orme di Sebastian Vioget , allora il nostro conte di Corvindale è il gemello separato alla nascita di Max Pesaro, grande amore di Victoria Gardella (serie "L'Eredità dei Gardella" della stessa autrice). Entrambi cupi, solitari, tormentati e, diciamolo, anche un pò stronzi.
La struttura narrativa è molto interessante poichè fondamentalmente la storia si concentra su una coppia sola, ma i personaggi corollari lanciano le basi per costruire le storie successive, così com'è successo nel primo libro: Angelica e Voss sono i protagonisti da cui si sviluppa la trama principale, ma si avverte già il preludio di un possibile intreccio tra Maia e Dimitri. Succederà anche in questo secondo libro, i cui personaggi secondari getteranno i loro tentacoli nella trama del terzo. Occhi aperti quindi su di loro, anche su quelli che rimangono nascosti nell'ombra, poichè, a mio avviso, si sono rivelati i più complessi e interessanti.
Indicazioni utili
La Vampira Narcise
Dopo aver vissuto nei primi libri le storie di due coppie, il terzo libro della serie Regency Draculia, vivacizza un pò la staticità dei precedenti, convertendo il duo in un trio che include alcuni dei personaggi, a mio avviso, più riusciti della serie.
Introdotti dai libri precedenti, Narcise Moldavi, sorella di Cezar, il cattivo della situazione, e Giordan Cale, ricchissimo vampiro e draculiano, sono i miei due personaggi preferiti dell'intera serie. Di paradisiaca bellezza, costretta dal fratello a convertirsi alle tenebre, Narcise è una dea scesa in terra: pelle di alabastro, occhi violetti e una cascata di capelli neri come l'ebano, assolutamente irresistibile. Talmente tanto che il fratello ha avuto una geniale idea per torturarla: per proteggere la sua dignità femminile, è costretta a duellare contro avversari che vogliono abusare di lei; se vince, si conquista la libertà di dormire da sola, se perde, sarà vittima di uno stupro a cui deve sottostare. Per decenni viene tormentata da questo incubo, fin quando, impegnata nell'ennesimo scontro contro un bruto, non incrocia lo sguardo di Giordan Cale e capisce che lui è diverso: la desidera, la vuole, ma non come tutti gli altri, perchè nel suo sguardo brilla il rispetto e l'ammirazione, oltre che il desiderio. Dal canto suo, Giordan non appena posa gli occhi su di lei trova una scopo per la propria immortale esistenza: liberare Narcise e portarla via con sè. Il loro è un colpo di fulmine, sembrano fatti l'uno per l'altra e dalla sera del loro incontro inizierà una danza fatta di corteggiamento, di tenerezza e di passione irrefrenabile che li avvicinerà sempre di più. Al culmine della felicità però la storia si spezza, si incrina per un tradimento da parte del suo amato a cui Narcise assiste, un tradimento inconcepibile, senza spiegazioni, che le trasforma il cuore in ghiaccio. Da qui inizierà una curva discendente che scaraventa la bella vampira tra le braccia di un improbabile salvatore: Chas Woodmore, famigerato sterminatore di vampiri, involontariamente le dona la libertà. E sarà proprio questo il sentimento che la legherà a lui: la gratitudine per averla sottratta ai suoi tormenti. Chas prende il posto di Giordan, il quale però rimane sempre un ombra sulle spalle di Narcise, afflitta dall'assurdità del suo tradimento.
Tra la nuova coppia esplode la passione, trattenuta inizialmente dal conflitto interiore che si svolge nella mente di Chas: è un cacciatore di vampiri, li odia, lo disgustano, eppure ama una di loro e non le sa resistere. Ed ecco che lo schema donna-vampiro dei primi due libri si arricchisce e si evolve in un trio vampira-uomo-vampiro, uno schema molto più interessante che vede la pericolosa rivalità tra i due uomini arricchire ulteriormente la trama, la quale proseguirà tra scontri, colpi di scena e il risolvimento di tutti gli enigmi.
Ho trovato il personaggio di Giordan Cale veramente attraente, non solo per la sua prestanza fisica (ovviamente è uno schianto), ma soprattutto per gli intrichi della sua anima: un passato oscuro e macchiato di dolore nonostante tutto non gli impedisce di diventare sensibile e dolce, anche nella sua forma di vampiro. Mi è piaciuta la sua risolutezza, la sua forza e il suo spirito di sacrificio in nome dei sentimenti più puri, apparentemente estranei alla sua razza corrotta.
E come si può non innamorarsi di Narcise? A me ha ricordato, con gioia e dolore, Victoria Gardella, con i suoi lunghi capelli e la sua tempra d'acciaio. I confronti sono inevitabili, ma il suo rapporto con Giordan, e in parte anche con Chas, la caratterizzano di tinte diverse da quelle della nostra precedente paladina, senza togliere alcun fascino al personaggio di Narcise.
Il finale del libro è romantico e abbastanza toccante, quindi, se siete particolarmente sensibili, oltre ai ventagli per raffreddare i bollenti spiriti, preparate anche i fazzolettini.
Indicazioni utili
Il Vampiro Voss
Londra, XIX secolo, il non plus ultra delle atmosfere cupe e seducenti, teatro perfetto per chi ha bisogno di clandestinità e della protezione delle ombre. E chi meglio dei vampiri può apprezzarne il valore? Una società segreta di non-morti, la Draculia, tiene in pugno la città con i suoi esponenti scandalosamente ricchi e infinitamente potenti. Scelti e ingannati dal demonio per il loro cuore oscuro, i vampiri portano sul proprio corpo la testimonianza della loro natura corrotta: il Marchio. Uno di loro, il Visconte Voss Dewhurst, sembra essere il più furbo, costantemente in bilico tra gli scontri dei suoi simili e alla ricerca del suo appagamento personale, egoista e insensibile a tutto ciò che lo circonda. La sua vita è un'esplosione di lussuria e desiserio, che puntualmente si accende ogni qual volta individua una preda di suo gusto, ma in modo più violento quando, ad un ballo, incontra Angelica Woodmore, una deliziosa ed esotica ragazza che gli rapisce l'anima. Lei non è come le altre: possiede la Vista, una facoltà che le permette di vedere la morte di una persona, semplicemente toccando un oggetto di sua proprietà, facoltà che potrebbe rivelarsi un'arma preziosa nelle lotte e negli scontri di potere tra vampiri. Ovviamente Voss, il nostro inguaribile dongiovanni, cercherà fin da subito di conquistarla e sedurla, per sfruttare i suoi poteri a suo vantaggio. Tutto programmato. Piano perfetto nei minimi dettagli, come sempre. Peccato che Voss non abbia preso in considerazione lo zampino di Cupido..eh già, perchè fin da subito ci si chiede: sarà lei a cedere al suo fascino irresistibile o lui a rimanere impigliato nella tela della sensualità di Angelica? I due affronteranno un percorso lungo e periglioso, ma pieno di passione, che cambierà entrambi, uno dei due in modo irreversibile.
Collenn Gleason è sicuramente una maestra nel mescolare atmosfere dark a tinte di cremisi accesso della tensione sessuale fra i protagonisti, ampiamente assaporate nella serie di Victoria Gardella e riprese in questa trilogia. Le scene hot non mancano e sono abbastanza esplicite, ma senza essere in alcun modo volgari. Il bel Voss assomiglia pericolosamente al nostro Sebastian Vioget, uno dei corteggiatori di Victoria, nei colori del corpo e dell'anima, con la sua sensualità prorompente e il suo irresistibile savoir-faire, ma la cosa non mi ha disturbato (forse perchè sento nostalgia del suo personaggio). Molto interessanti i personaggi corollari, forse ancora più carismatici dei protagonisti stessi. Il libro è autoconclusivo, ma non per questo si perde la voglia di leggere i seguiti, perchè le storie sono legate e vengono rivissute da diversi punti di vista, trucco che ho apprezzato particolarmente. Quante volte in effetti ci chiediamo: chissà com'è la stessa scena vista dagli occhi di un altro?
Trovo i due libri successivi migliori e più complessi di questo primo volume, in special modo l'ultimo, sia nella trama che nella caratterizzazione dei personaggi. In generale l'ho trovata una serie piacevole e poco impegnativa, perfetta per le inguaribili romantiche che vogliono accendersi con un pò di scene di sesso extra.
Indicazioni utili
I nephilim ai tempi della Regina Vittoria
Trilogia prequel della serie conosciuta come Shadowhunters, che racconta le vicende di Jace e Clary, questi nuovi libri di Cassandra Clare ci catapultano nel mondo degli nephilim del XIX secolo, in una tenebrosa e affascinante Londra dell'anno 1878. In questo primo libro, in città arriva Tessa Gray, giovanissima ragazza americana, sbarcata nella capitale a seguito di un messaggio da parte di suo fratello Nate, che la esortava a raggiungerlo a Londra. Orfana e senza nessun appoggio in società, la città non le riserva un caloroso benvenuto: viene infatti rapita da due sinistre donne che, durante tutta la sua prigionia, la tortureranno per estorcerle uno strano potere di cui sarebbe dotata, ma di cui Tessa non sa nulla.
Inoltre scoprirà che il mondo non è quello che crede: ci sono stregoni, vampiri, mannari e cacciatori lì fuori e molto probabilmente lei stessa ne fa parte. La teoria viene confermata quando William, un misterioso ragazzo, la salva dalla grinfie delle due donne e la porta con sé all'Istituto. Qui Tessa scoprirà che non è una semplice ragazza come tante, ma una Nascosta, ovvero una creatura soprannaturale, dotata di un particolare potere che nessun'altro possiede: riesce a prendere le sembianze di chiunque, stringendo in mano qualcosa che appartiene al suo proprietario.
Se lei è una Nascosta, Will si rivela essere uno shadowhunter, un cacciatore, ma non uno qualunque: lui è William Herondale per la precisione, quindi un antenato di Jace; e in effetti la somiglianza tra il nostro eroe moderno e Will è notevole: entrambi scontrosi, testardi e determinati.
Will non sarà il solo a catturare le attenzioni di Tessa, perché all'Istituto, mecca dei cacciatori, lei incontra James Carstairs, detto Jem, dolce e sensibile shadowhunter che si inserisce nella trama fin da subito e rimane protagonista per tutta la durata del racconto.
Tutti hanno un obiettivo comune: sconfiggere il Magister, oscuro personaggio dedito all'occulto e alla stregoneria, che perseguita gli shadowhunters in nome della vendetta.
A braccetto con Jem e Will, Tessa dovrà scoprire chi è, dovrà schierarsi e combattere, non solo contro il nemico, ma anche contro le persone di cui credeva di fidarsi; in una Londra vittoriana ci sarà spazio per carrozze, balze e gentiluomini ma anche un tocco, ben marcato, di modernità ed embrionale tecnologia moderna. Tocco molto originale che sicuramente differenzia il libro da altri simili ambientati nello stesso periodo e nello stesso luogo.
Nonostante Tessa e Will siano due personaggi molto interessanti (con un accento in più su Will, col suo fascino da bel tenebroso) il mio preferito rimane Jem, che mi ha colpita con la sua delicatezza, la sua educazione e la sua dolcezza, tutta una sorta di comportamenti sicuramente più consoni al periodo storico in cui sono inseriti i personaggi. Il triangolo che si verrà a creare tra lui, Will e Tessa non è sicuramente una perla di originalità, ma non per questo risulta meno intenso ed emozionante.
Libro assolutamente consigliato a chi ha letto la serie "The mortal instruments", ma anche a chi non l'ha fatto, in quanto questa nuova trilogia, pur avendo elementi che introducono la serie successiva, risulta indipendente e ugualmente piacevole anche a chi non conosce le vicende dei moderni shadowhunters.
Indicazioni utili
La matassa dei misteri si scioglie
Quinto e ultimo volume della serie Fever, "La rivelazione dell'antica carta" tira tutte le fila ingarbugliate dei misteri di Mac e della sua ricerca del Sinsar Dubh, malefico libro che insegue dall'inizio del primo libro. Il finale del quarto, come quello del terzo, mi aveva pietrificata per lo shock e lasciata ad arrovellarmi il cervello. Le circostanze costringeranno Mac ad affrontare i suoi demoni e i suoi sentimenti e proprio questa analisi interiore la plasmerà in una nuova creatura, totalmente diversa dalla Mac-Barbie che avevamo conosciuto in principio: la rabbia diventerà la sua fede, la sua legge, il suo essere; diventerà una macchina di morte, forgiata nel metallo indistruttibile della disperazione; spegnerà tutti i sentimenti e si sintonizzerà su una sola frequenza, la vendetta; spietata, fredda e risoluta non si fermerà fin quando non sazierà la sua sete, a costo di distruggere il mondo.
In questo turbinio di sentimenti, le domande irrisolte rimangono ancora tali: chi è Mac? e Barrons? e chi è davvero il cattivo? La prima parte non risolverà nessuno di questi enigmi, ma in compenso ci sarà un colpo di scena tale che ho dovuto rileggere gli stessi passi tre volte per essere sicura di quello che stavo leggendo. Con il fiato in gola finisce la prima parte e inizia la seconda: in questa, assisteremo a delle scene molto intense, in cui non sarà chiaro se tutto ciò che ci viene descritto è la realtà o un'illusione, in cui finalmente si faranno confessioni importanti, in cui saranno sbrogliati dei misteri, ma per ognuno di questi che si scioglie se ne annoderanno altri tre.
Proprio sulla matassa intricata di queste domande, che si rincorrono per trovare risposta, si basa la seconda parte del libro: come nella realtà in ogni oscurità c'è un pò di luce e in ogni luce c'è un pò di buio, così sarà per i nostri protagonisti; non sapremo da che parte posizionare i buoni e i cattivi, perchè le loro identità verranno strappate, incollate, mescolate, distrutte e ricomposte in un puzzle che non conferma le nostre convinzioni. E proprio questo è il fulcro di tutto: le nostre convinzioni saranno sbattute da una parte all'altra e saremo talmente confusi da non riuscire più a posizionare le pedine sulla scacchiera della dicotomia bene/male.
La parte terza ci bombarda ancora: un altro shock, un'altra tremenda verità. Ma sarà la verità? O l'ennesimo inganno che l'autrice ci piazza nella mente?
Nella quarta parte Mac non farà in tempo ad accettare la sua identità, che le sue sicurezze vengono sconvolte per l'ennesima volta, rischiando di fare impazzire lei e di far impazzire anche noi. Ci chiederemo: quand'è che sarà la volta buona? Vivremo sulle montagne russe delle emozioni: la realtà e l'inganno si morderanno la coda, e noi saremo su quei vagoni a seguirli e a scontarci con esse.
La fine arriverà, ma non sarà la fine di tutto: scopriremo chi ha tradito chi, chi ama chi, e assisteremo ad un bel colpo di scena finale, in cui ancora una volta le carte verranno mescolate e il buono si rivelerà non tanto buono e il cattivo non sarà poi così tanto cattivo.
Indicazioni utili
Azrael: finalmente un pò di rock'n'roll
4 arcangeli, Uriel, Gabriele, Azrael e Michele, i prediletti del Vecchio, scendono tra noi mortali per cercare e trovare le loro anime gemelle, le persone più preziose della loro esistenza immortale. Ognuno dei libri racconta la storia e il cammino verso l'amore di una coppia, Uriel ed Eleanor per il primo volume, Gabriele e Juliette per il secondo. Se, per me, il valore dei personaggi è cresciuto di libro in libro, intuirete che la terza coppia è stata in assoluto la migliore (finora). Avevo sperato che Azrael, questa volta protagonista, avrebbe scosso la trama un pò statica dei volumi precedenti, e non sono rimasta delusa, soprattutto perchè non è lui direttamente che mi accontenta, ma la sua cherubina, Sophie.
Amica di Juliette, Sophie è la metà perfetta del nostro arcangelo tenebroso: dolce ma forte, luminosa come il sole, ma piena di oscuri segreti e un passato doloroso da cui fuggire. Nonostante la comparsa di nuovi nemici, l'invadenza di Samael e i suoi timori nei confronti di Azrael, Sophie si dimostrerà una donna con gli attributi e FINALMENTE darà un pò di filo da torcere al suo bell'arcangelo. Era ora che un personaggio femminile mostrasse un pò di carattere e di polso, scuotendo un pò il prototipo che si era venuto a creare nei libri precedenti, della bella principessa creata ad immagine e somiglianza del suo principe, solo per soddisfare i suoi desideri.
D'altronde è Azrael, angelo della morte e primo vampiro della storia dell'umanità, che lo richiede, che lo pretende, che non potrebbe mai avere un'anima gemella scialba e ottusa. Sophie si dimostrerà infatti all'altezza delle sfide che l'autrice le pone impietosamente sul cammino e Azrael sarà lì a sostenerla, com'è giusto che sia, con dolcezza e con passione ( e con passione intendo notti di sesso sfrenato e morsi libidinosi da principe delle tenebre).
Ho trovato questo terzo volume molto più vivo e vibrante rispetto ai primi due: Azrael è un fenomeno e la trama, che diventa più interessante, si arricchisce di nuovi misteri, nuovi personaggi e nuove promesse. Sì, perchè nel finale, la trama anticipa gustosamente i primi passi di Michele verso il compimento del suo destino, alla ricerca dell'ultima cherubina....ma...siamo sicuri che quella di Michele sia davvero l'ultima?
Tocca a Gabriele, l'angelo messaggero
Dopo aver assistito ai drammi di Uriel e della sua cherubina Ellie, dopo averli visti incontrarsi, scontrarsi, fare sesso selvaggio e innamorarsi, il secondo volume, intuitivamente anche grazie al titolo, ci racconta le pene di Gabriele, l'angelo messaggero, alla ricerca della sua anima gemella. Tanto pene poi non sono: rispetto al suo carattere bellicoso e passionale, Gabriele mi è sembrato il più "hey, take it easy!" quando si trattava di cercare la sua bella sperduta. Sì, certo, fin quando non la incontra.
Esperta di storia scozzese e malapena consapevole delle sue potenzialità, Julienne Anderson, raggiunge le sponde dell'affascinante Caledonia, in Scozia, per eseguire una ricerca sul folklore locale, finanziata da un potente e affascinante magnate...non vi dice niente? non vi suona strano? Ebbene sì, c'è di nuovo lo zampino di Samael, che te possino. Però che vi devo dire, a me piace..ok, è un mascalzone, è un farabutto, è un guastafeste, ma me gusta, perchè è uno dei personaggi più interessanti dell'intera serie, a mio avviso.
Comunque la sua intrusione non permetterà a due predestinati di non incontrarsi: non appena Gabriele vede Juliette, paaaf, colpo di fulmine, è lei, la sua cherubina! Superfluo dire che lei resta folgorata a sua volta e inutili saranno i suoi tentativi di restargli lontana, perchè lui fugherà col tempo i suoi dubbi.
Non sarà un cammino dolce e lineare perchè un'ombra li segue pronta a colpire senza pietà, la stessa ombra che tanto facilmente avevamo attribuito a Samael, ma che appartiene a qualcun'altro.
Se la trama nel primo libro mi è sembrata originale, qui scade un pò nella banalità, perchè grosso modo il rapporto tra i due nuovi protagonisti ricalca quello della coppia Uriel-Ellie, senza tanto sforzo da parte dell'autrice di mescolare un pò le carte. Inoltre per quanto possano essere piacevoli (molto) le scene di sesso e amore tra i due, sarebbero state ancora più apprezzate se costruite in modo da non essere date per scontate, arrivati ad un certo punto del libro. Non mi dispiace il contenuto ma la disposizione delle scene stesse, come se dovessero incastrarsi obbligatoriamente in quel momento della trama, per aderire alla struttura del primo libro. Cioè voglio dire: 4 arcangeli, 4 cherubine..tutti che fanno sesso fantastico, tutti super dotati e tutti contenti? Sarebbe bastata un pò più di elasticità o di fantasia.
In qualsiasi caso la lettura non è compromessa, anzi risulta, forse proprio per questo motivo, l'estrema somiglianza delle storie, scorrevole e piacevolmente rassicurante. La scossa che aspetto è scoprire se Azrael (il prossimo libro è dedicato a lui) porterà un pò di rock alla trama..tra l'altro, chi meglio di lui può farlo?
Indicazioni utili
Eros e Caos a Dublino
Ok, la parte finale del terzo libro, "La maledizione della luna nera", mi ha fatto sudare freddo. E caldo. Insomma mi ha scombussolata, mi ha tramortita, mi ha fatto urlare "nooo" e non ci volevo credere, tanto che ho dovuto rileggere quei passi più volte. Come cavolo avrebbe fatto Mac a tirarsi fuori da questo pasticcio? Mi direte voi:
"MA OVVIAMENTE CI PENSA V'LANE A SALVARLA!". Acqua.
"ALLORA DEVE ESSERE PER FORZA BARRONS?". Acquissima.
"ROWENA?". Super acqua.
Lo farà la persona a cui non avevamo pensato, che i bookmakers davano a 10 contro 1,25, una persona sola contro tutti, che si affeziona a Mac senza avere secondi fini, con sentimenti sinceri e cristallini. Ma la domanda sorge spontanea: dove diavolo è Barrons quando più ce n'è bisogno?
Ahhhh! Barrons, diletto e tormento, uomo delle mezze risposte, riappare all'improvviso con la sua solita nonchalance e userà il sesso, per l'ennesima volta, come moneta di scambio per trattare con Mac (ok, so che era nessario, ma dopo tutta l'attesa avevo immaginato che questo momento clou arrivasse in modo più diluito, non come un mattone sbattuto in faccia all'improvviso).
La prima parte del libro, comunque, è molto piacevole, soprattutto per il percorso a ritroso di Mac, nella sua lotta per ritrovare se stessa. A partire dalla seconda, ci saranno nuove domande a tormentare il lettore, nuovi misteri, nuovi shock: il mondo è sull'orlo della catastrofe o vi è già caduto dentro?, chi sceglierà Mac, Barrons o V'lane?, chi è veramente il cattivo?, e Barrons, cos'è in realtà? e Mac, chi è e come mai il Libro sembra legato a lei?. Domande intrecciate, ingarbugliate, irrisolte, che aleggeranno sulla trama per tutta la durata della lettura. Alcune cose però sono più chiare: il personaggio di Dani si fa più profondo e acquista maggiore peso all'interno della storia; in parte verrà spiegato il motivo dell'ostilità fra Barrons e V'lane, sempre più gelosi l'uno dell'altro; Rowena si conferma la più grande stronza della storia dei tempi (questa è una costante); si captano sprazzi del passato di Barrons, che ci aiutano a penetrare le ombre del suo mistero, e sprazzi di quello di Mac, che rivelano in parte le sue origini.
Nella parte terza invece si condensa il viaggio di Mac nei mondi paralleli attraverso gli Argenti, viaggio in cui succederà di tutto, che terminerà portandoci verso un finale ancora più scioccante del precedente libro..e se sapete di cosa parlo, dovreste tremare.
Se non lo sapete, correte a leggere il terzo volume e mi darete ragione.
Ps: troverete nelle ultimissime pagine delle chicche veramente originali, non perdetele.
Indicazioni utili
Anche gli angeli sanno fare l'amore
Primo volume della serie Lost Angels, dell'autrice americana Heather Killough-Walden, "La notte degli angeli caduti" farà leccare i baffi ai golosi di storie d'amore che hanno gli angeli per protagonisti.
Ma qui non si parla di banali angioletti che si possono incontrare al supermercato, nossignore, ma nientepopodimeno che dei quattro arcangeli favoriti dal Vecchio, come lo chiama l'autrice: Uriel, il vendicatore, Gabriele, il messaggero alato, Azrael, l'angelo della morte e Michele, il comandante delle legioni celesti. Ebbene per non farli morire di solitudine, essendo ovviamente immortali, il Vecchio fa a ciascun fratello un dono prezioso: una cherubina, alias l'anima gemella. Purtroppo i nostri arcangeli non fanno in tempo a godersi il meritato regalo che un quinto arcangelo,Samael, invidioso della fortuna dei quattro, scatena una rivolta in cielo e le cherubine vengono perdute, disperse sul pianeta Terra. Inizia così per gli arcangeli una disperata ricerca che dura più di duemila anni..che poi tanto disperata non è, perchè in tutti questi anni i nostri, ovviamente bellissimi e super sexy, arcangeli hanno avuto il tempo di evolversi e ammazzare il tempo: Uriel è diventato un vip, Gabriele un pompiere (ragazze soffermatevi un attimo ad immaginare un angelo-pompiere.....), Michele un poliziotto e Azrael, primo vampiro di tutti i tempi, a causa del suo precedente "impiego", un cantante rock di fama internazionale. Diciamo che a due fratelli non è tanto chiaro il concetto di "lavorare sotto copertura", ma che volete, sono arcangeli, possono fare miracoli. In qualsiasi caso, l'interminabile ricerca dell'amore si interrompe quando Eleanor Granger fa la sua comparsa: è lei, la prima cherubina, il corrispettivo femminile di Uriel. Per intuizione si capisce che ogni libro sarà dedicato ad una coppia e in questo primo volume la storia parte dall'incontro tra Uriel e la sua Ellie, ragazza semplice e dolce, che rimane folgorata dal nostro bell' angelo vendicatore. Non è solamente il fatto di trovarsi di fronte ad un personaggio famoso che la stordisce, ma sente che c'è qualcosa di ancestrale, di antico e profondo, che la lega a quell'uomo meraviglioso. Eh già, perchè le belle sperdute non sanno di essere delle cherubine, degli angeli a loro volta, dotate di poteri immensi, e sarà su questa scoperta che si incentrerà la trama di tutti i libri. A sua volta Uriel cerca di portarla a fidarsi di lui, di farsi amare, di convincerla che sono fatti per stare insieme fin dalla notte dei tempi. Ovviamente non sarà facile, anche a causa di un certo Samael che, sotto le mentite spoglie di un magnate dei media, metterà i bastoni tra le ruote alla coppietta. Questo non impedirà però che i due si diano alla pazza gioia tra le lenzuola: le scene di sesso angelico sono ben descritte e molto accese, quindi se vi piace il genere, rimarrete molto soddisfatte.
Ho trovato questo primo libro una lettura molto piacevole, scorrevole e intrigante, specialmente per la scelta abbastanza originale dei quattro arcangeli; non all'altezza però le controparti femminili, un pò scialbe, specie per i primi due volumi della serie. In generale non amo la creazione di personaggi totalmente buoni e totalmente cattivi, per questo ho particolarmente apprezzato le controverse figure di Samael (è lui il cattivo oppure ha solo uno strano senso dell'ironia?) e di Azrael, apparentemente personaggio secondario, ma dal fortissimo carisma. Il pregio del libro è che ti fa venir voglia di scoprire come se la caveranno gli altri arcangeli, immaginando come potrebbe essere le rispettive cherubine e cercando di scoprire chi è veramente il male da sconfiggere.
La serie Lost Angels prevede cinque volumi:
1) "La guerra degli angeli caduti", 2012
2) "Il messaggero dell'angelo", 2012
3) "L'angelo della morte", 2013
4) "Warrior's Angel", a seguire
5) "Samael", a seguire
+ un prequel in formato digitale: "Always Angels", 2011.
Indicazioni utili
Serie "Regency Draculia", Colleen Gleason
53 risultati - visualizzati 1 - 50 | 1 2 |