Opinione scritta da mia77
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Genesi 22
Da Genesi 22 la parola più disturbante di tutta la Bibbia:” Eccomi”, detta da Abramo (nome il cui significato è ”Padre Grande”) a Dio, quando gli chiede la prima volta di sacrificare il suo unico figlio e la seconda di salvarlo. Per l’autore questa parola sembra significare il desiderio di essere una persona sola, integra. Un tutt’uno da offrire al mondo, non un soggetto diverso, in base alle circostanze della vita o alle persone con cui si interfaccia. Perché le nostre molteplici identità le viviamo in un equilibrio precario, che in ogni momento può saltare.
In tutto il romanzo si trova un'incompatibilità tra l’ideale, i valori, la ricerca di libertà e la prassi quotidiana. Di sottofondo il tendere a qualcosa che non c’è: trattare la vita domestica, quotidiana, fatta di piccole cose, come se fosse solo una distrazione o un ostacolo rispetto alla felicità. Sempre presente il dibattito tra la felicità personale e la propria realizzazione (ideale a cui tendevano i nostri padri) e la felicità dei figli e della famiglia, per i quali molti di noi sono disposti a sacrificare quasi tutto (nel futuro dei nostri figli vediamo e cerchiamo la nostra redenzione). Mai come oggi i figli sono considerati dei "pari" e sono presi in considerazione per molte delle decisioni famigliari, anche quelle importanti.
Foer (Abramo), in questo libro, da buon ebreo, insegna ai propri figli che bisogna essere coinvolti nelle cose del mondo e che affari di famiglia e questioni globali si intrecciano irrimediabilmente. Per questo alla crisi famigliare di Jacob e Julia si intreccia la crisi politica e sociale di Israele e dello Stato ebraico.
“Eccomi” è un romanzo in cui ogni argomento allude a un altro, in un intrecciarsi continuo che ci porta a riflettere su singole parole o frasi intere, ad annotare, sottolineare, pensare. Ha molta politica al suo interno, ma non esprime una specifica idea politica. Questo romanzo è quello che io considero un vero e proprio arricchimento culturale, personale e spirituale.
In questi ultimi anni sono irrimediabilmente attratta da libri e romanzi di scrittori ebrei: Yehoshua, Oz, Grossman, Roth e ora Foer (sarà un caso che gli ebrei costituiscano lo 0,2% della popolazione mondiale e abbiano ricevuto il 22% dei Nobel al mondo?)
In ogni caso, l’argomento principale, al di là del sottofondo politico e religioso è la famiglia, caposaldo di molteplici religioni (tra le quali anche quella cristiana ed ebraica) e nello specifico il disgregarsi di un matrimonio quasi ventennale. Il processo di disgregazione viene chiamato “unlearning”, disimpararsi. Accade quando il corpo dell’altro, che prima è un territorio sconosciuto da esplorare con emozione, diventa indifferente, solo la copia sbiadita di qualcosa che in passato ci aveva fatto vibrare. Questo probabilmente, pensandoci a ritroso, quando ormai tutto è finito, avviene perché non abbiamo saputo apprezzare le cose semplici, di tutti i giorni e probabilmente erano quelle la vera essenza delle felicità. Forse non le abbiamo sapute trattenere e a un certo punto le abbiamo lasciate andare, per sempre, senza via di ritorno.
“Come aveva fatto la somma di tutta la presenza a trasformarsi in assenza?», scrive Foer. E in quel disimpararsi c’è tutto lo strazio di un amore che finisce, quando si pensava fosse per sempre. Ma forse è proprio il “per sempre” il problema: è la monogamia a essere una perversione.
Jacob, come Abramo, alla fine riesce a dire "eccomi" anche alla sua coscienza, quando gli chiede di lasciare andare Argo per non vederlo soffrire. Pensa a lui e al suo bene, ad alleviargli la sofferenza, prima di pensare alla propria di sofferenza, che sicuramente vivrà a causa della mancanza del suo amato cane, l'unico essere umano che gli è rimasto vicino.
Un romanzo da non perdere, per chi ha voglia di affrontare temi importanti, senza superficialità.
"Il genere umano si salva non perché meriti di essere salvato, ma perché la rettitudine di pochi giustifica l'esistenza di altri";
"L'infanzia va bene. Il resto è tutto un trascinare le cose";
"Baratti l'ambizione emotiva con la compagnia";
"Più i genitori vogliono che i figli vedano, più è difficile che ce la facciano, perché l'amore si mette in mezzo";
"È' troppo amore per essere felici..."
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Cosa pensano le ragazze di Concita de Gregorio
L'ultimo libro-intervista della De Gregorio é interessante, ma rispetto agli altri suoi libri già letti mi è piaciuto meno. La scrittura è semplice, diretta, scarna ed efficace, come in tutti i precedenti. Da brava giornalista quale è si nota la sua capacità di fotografare e pennellare la realtà delle donne intervistate e di lasciare credere al lettore di poterla liberamente interpretare. A mio avviso, e per fortuna, di sottofondo si percepisce un po' del suo sano "femminismo" (non avrebbe potuto fare altrimenti, avendo a cuore la causa delle sue "simili"). Le intervistate dicono molto delle difficoltà infinite nelle quali le donne italiane o immigrate si dibattono, tra pregiudizi, violenze, incomprensioni, ignoranza, falsi miti, riso e pianto. Storie di nonne e di nipoti, di madri e figlie, di ragazze che guardano il porno, di migliori amiche, di ragazze che si baciano sulla bocca senza malizia, della paura di avere figli, di malattie gravissime, storie di bambine e di donne vecchie, di maschi e femmine, del desiderio di studiare, di trovare un lavoro, di fuggire di casa, di innamorarsi. Insomma: uno spaccato della realtà odierna, raccolto dalla scrittrice e da dieci collaboratrici in due anni di interviste a donne "normali". Lo consiglio a chi vuole approfondire e riflettere, senza aspettarsi un capolavoro.
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Ogni tuo respiro di Irene Cao
Sto leggendo ogni libro di questa scrittrice, di cui apprezzo la capacità descrittiva dei luoghi e di far vivere le sensazioni che i luoghi descritti suscitano nel lettore. Ma, per quanto riguarda questo romanzo, non ho apprezzato altro. Devo dire che, stavolta, sono rimasta a bocca asciutta. Mi ha fatto sorridere l'idea della rinascita della protagonista, che a trentasei anni si reinventa facendo qualcosa di diverso da quello che aveva fatto fino a quel momento (da insegnante di danza classica diventa la Reina delle notti brave di Ibiza, diventando una "performer" - termine alternativo per una cubista-). Io non sono stata nelle discoteche di Ibiza, ma ho qualche dubbio sul fatto che la migliore e più osannata cubista di una discoteca possa avere trentasei anni suonati... Non mi è piaciuto nemmeno che la stessa, fino al momento in cui c'è stato il patatrack, fosse completamente soggiogata da un compagno-padrone, che le aveva impedito di realizzarsi nella carriera e l'aveva tenuta "segregata" nella sua tenuta come compagna- oggetto. È triste che dalla penna di una scrittrice poco più che trentenne, che parla a masse di giovani donne, possa uscire un esempio di donna vittima del cliché più antico di Matusalemme. È vero che Bianca (la protagonista) in seguito prende in mano la sua vita e ne fa ciò che vuole, ma se il fidanzato non l'avesse tradita, avrebbe continuato a fare la brava e mansueta "mogliettina" del ricco imprenditore veneto (che tristezza, per una che ama Margaret Mazzantini e Oriana Fallaci, ma anche per tutte le altre donne, anche quelle meno rivoluzionarie).
Ho trovato meno elegante anche il linguaggio e le atmosfere utilizzate, un uso esagerato di cliché, la scontatezza di alcune situazioni e l'impressione di leggere qualcosa di già letto altrove (come se avesse preso spunto da altri romanzi sentimentali-erotici). Stavolta Irene Cao non mi è piaciuta: l'ho trovata più artefatta e molto meno ispirata rispetto alla sua prima trilogia (che invece avevo apprezzato). La scrittrice, a mio avviso, strada facendo sta perdendo parte del suo smalto. Questo romanzo mi è sembrata una operazione commerciale, una sorta di romanzo su commissione.
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La tristezza ha il sonno leggero di Lorenzo Marone
Dopo aver letto la storia di Cesare Annunziata ne "La tentazione di essere felici" mi sono cimentata nella lettura di questo nuovo e interessante romanzo di Marone, autore che mi piace, perché disincantato e cinico. Coinvolgente anche la storia di Erri Gargiulo, sfigato quarantenne troppo sensibile, troppo normale, troppo brutto e troppo "bastonato" dai fatti della vita.
Mi piace la napoletanità di questo autore, sempre verace e spontaneo e con una sensibilità solitamente femminile.
Mi piace che i suoi libri non debbano per forza finire bene, anzi: il contrario.
Questo, in particolare, mi ha lasciato con l'amaro in bocca, ma la vita è così.
Spesso le cose non vanno come noi vorremmo o come dovrebbero andare, ma sono il nostro adattamento a ciò che ci succede. La vita di ognuno di noi è un adattarsi continuo alle esigenze altrui, altrimenti faremmo meglio a vivere soli, l'unica soluzione per fare sì che le cose vadano a nostro piacimento.
Belli anche personaggi di Marone: gente che vive, che si emoziona, che ama e che odia.
"Se ti prendi la briga di essere amato, capisci presto che hai bisogno di una nutrita scorta di bugie da elargire al momento giusto";
"Il problema, ho poi capito, é che i desideri più segreti col passare del tempo diventano segreti anche a noi stessi";
"Avrei potuto costruirmela meglio la vita, senza stare lì a menarmela con la storia del buco allo stomaco da riempire. Il fatto è che tutto ciò che non fai quando è il momento di farlo, te lo porti dietro come una zavorra per il resto dei tuoi giorni";
"Da più parti sento spesso dire che non bisogna avere rimpianti, che chi vive ancorato al passato non ha speranza nel futuro. In realtà credo che chi non ha rimpianti non ha mai avuto sogni. Ed è la mancanza di sogni a precludere un bel futuro. Io mi porto dietro la mia zavorra di rimpianti, le tante speranze accumulate e mai avverate... La verità é che tra la speranza e il rimpianto passa un soffio. E in quel soffio trascorriamo gran parte della nostra vita";
"... L'amore, quello vero, nonostante le ripetute crisi e qualche sporadico tradimento, non deve resistere al tempo, ma alle ferite...";
"... Alla fine ti accorgi di avere tutto ciò che avevi sempre desiderato a un passo da te. Trascorriamo la vita a rincorrere una mancanza e a stento ci accorgiamo di tutto il resto che è ai nostri piedi..."
Consiglio la lettura dei romanzi di Lorenzo Marone, perché è un autore degno di nota e ciò che scrive è interessante e arricchente. Per quanto mi riguarda continuerò a farlo, perché non è facile trovare qualcuno sulla propria lunghezza d'onda. Lui lo è.
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La femmina nuda di Elena Stancanelli
Forte, anzi fortissimo, a tratti angosciante. Questo non è un libro per per moralisti, per benpensanti, né per puritani.
E' la storia di un’ossessione che non lascia tregua, che porta dentro un amore malato, dove si distrugge per non sentire il silenzio assordante che fa una storia mentre si disintegra.
Anna è lucida e la sua ossessione spaventosa: non si lamenta, non rivendica nessuna dimensione sacra del dolore, riconosce anche la propria ottusità e lo illumina senza nessuna indulgenza se non quella del sarcasmo.
La femmina é nuda perché è spogliata di tutto, per l'impossibilità di opporsi alla pazzia amorosa. Nuda perché Anna, la protagonista, non riesce a mantenere la propria dignità: le è scivolata via, nell’ostinazione di restare aggrappata a un amore finito, malato, esaurito.
Se l’è tolta per inseguire l’altra donna e attribuirle una potenza che nemmeno ha: è solo una proiezione di ciò che lei teme e di cui ha paura. Ma l’altra donna, pur essendo "inferiore" alla protagonista, è potente perché vince senza combattere, senza essere migliore, vince fregandosene di vincere. Vince il cuore dell'uomo di cui Anna crede di essere ancora innamorata e lo fa in modo quasi inconsapevole. "Rovina" il rapporto quinquennale della protagonista, lasciandole in mano un pugno di mosche.
Non serve essere vittime per lasciarsi dominare dall’ossessione e infilarsi in un buco nero fatto di comportamenti miseri e discutibili, sapendo benissimo che stiamo precipitando senza paracadute, ma con il bisogno estremo di farlo ancora e ancora.
Noi siamo gli unici responsabili della nostra discesa agli inferi e scopriamo di non essere in grado nemmeno di scegliere una sofferenza adeguata al senso alto che abbiamo di noi stessi.
La protagonista è pienamente consapevole del comportamento isterico, compulsivo, idiota, umiliante, morboso e ossessivo che sta attuando, ma non riesce ad opporvisi, anzi: lo asseconda.
Forte, in alcuni punti troppo, è un romanzo che ti tiene aggrappata a sé, ma nel contempo ti respinge, per la brutalità di alcune parole, gesti e comportamenti.
Un libro come questo mi fa pensare un po' a Philip Roth ne "L'animale morente", quindi lo consiglio a persone forti e difficilmente impressionabili.
Una lettura, comunque, molto interessante.
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Terapia di coppia per amanti di Diego de Silva
Questo è il mio primo romanzo di Diego de Silva e sicuramente ora andrò a ritroso, per conoscerlo in toto, con tutti i suoi precedenti.
Simpatico, ironico, sicuramente non è un libro che fa annoiare.
Caratterizzato da uno stile semplice, dove i personaggi principali parlano a capitoli alternati, spiegando il loro punto di vista sul rapporto con l'altro e sull'amore in genere.
Più leggero e scanzonato lui, Modesto Fracasso, musicista, rispetto a Viviana, seriosa è un po' paranoica. Entrambi,comunque, hanno in comune il pensare tanto, il pensare troppo. Un pensare che a volte li porta a non avere filtri in quello che fanno e in quello che dicono, sebbene si rendano conto di essere un po’ assurdi.
Mi piace, in questo autore, il fatto che non giudichi nessuno dei suoi personaggi, nemmeno il più strambo. Sono umani, proprio come tutti noi, con i loro punti di forza, ma soprattutto le loro innumerevoli debolezze.
Quello che viene fuori dal rapporto fra Viviana e Modesto, che dovrebbe essere vissuto in modo molto diverso rispetto a quello della coppia sposata, è che le differenze tra le due relazioni con il tempo si annullano. Anziché prendersi una vacanza dai loro matrimoni, vivendo un rapporto libero e leggero, con il tempo lo trasformano in un rapporto pesante e pretenzioso. Come se fossero incatenati da un doppio matrimonio. E quando si rendono conto di questo cambiamento, decidono (soprattutto Viviana) di trasformarlo in un rapporto vero, che vada a sostituire pian piano quello ufficiale. Tentano di recuperarlo, nelle sue mancanze, e di rafforzarne i punti deboli andando in analisi di coppia da un terapista (a livello sentimentale più incasinato di loro), a mio avviso per iniziare a costruire qualcosa di serio (anche se già dall'inizio del libro mi è sembrato che entrambi lo vivessero in modo coinvolgente).
Insomma: un romanzo interessante, simpatico, ironico e divertente, che consiglio a coloro che hanno voglia di qualcosa di non troppo pesante o impegnativo.
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La vedova di Fiona Barton
Non sono un'amante dei generi giallo e thriller, ma questo romanzo non mi è dispiaciuto, anche se sicuramente non lo considero il thriller dell'anno (forse lo hanno osannato troppo). Sicuramente ne trarranno un film interessante e coinvolgente.
A scriverlo è una cinquantanovenne scrittrice in pensione, ex reporter di cronaca nera, quindi di casi da cui prendere spunto ne ha visti molti durante la sua carriera lavorativa.
La scrittura è semplice, chiara e scorrevole e interessante l'uso di diversi punti di vista, anche se quello che prevale è quello della protagonista: la vedova. Donna che lavora senza grandi profitti e riconoscimenti, donna fragile che dipende affettivamente dal marito.
Jean, la vedova, perdona tutto al marito, per salvare un matrimonio che le conferisce un ruolo ben preciso (situazione ancora oggi diffusa in tutti i ranghi della società).
Quello che le manca, però, e le lascia nel cuore un vuoto incolmabile è un bambino, perché il marito non può averne. Jean cerca di convincerlo per l'adozione, ma Glen non ne vuole sapere: Il suo interesse verso i bambini è di tutt'altro genere.
E così, lungo il romanzo, assistiamo alla vita di Jean e Glen: ai loro problemi, incomprensioni, desideri espliciti e nascosti. Vediamo una donna che tenta quasi fino in fondo di salvare "l'assassino", perché non vuole e non può credere di avere condiviso e "sprecato" la sua vita con un mostro di tal fatta. Finché trova la sua magra vendetta in una "spintarella occasionale" che la libera, finalmente, dalla dipendenza che l'ha intrappolata per troppi anni.
Alla fine riesce anche a raggiungere la tomba della "sua" bambina, per restarle vicina, ora che è libera di farlo.
Se amate il genere e volete il consiglio per un romanzo da leggere in vacanza, secondo me questo potrebbe essere uno dei papabili. Non se cercate qualcosa di più impegnato.
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La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone
Un altro bellissimo romanzo, che ha per protagonista un vecchio e cinico rompiscatole, il cui tema centrale è il “non fatto”, i rimpianti, la solitudine, gli acciacchi fisici, la fine sempre più vicina. Cesare (il settantasettenne protagonista) finge molto con se stesso: ha bisogno di sentirsi diverso dai suoi coetanei e vive fregandosene del giudizio altrui, finché una faccenda di violenza domestica irrompe nella sua vita e lui, stavolta, non può sottrarsi dal partecipare e dall’intervenire in difesa della malcapitata Emma. A fare da contorno a questa vicenda i figli di Cesare, i suoi vicini, la sua “pseudo-compagna”. Insomma: un bellissimo romanzo, ben scritto, che ti incolla alle sue pagine fino alla fine. Trovo che Lorenzo Marone abbia fatto benissimo a cambiare professione e a buttarsi nella scrittura, perché è proprio il caso di dire che “è nato per scrivere”. Leggerò sicuramente i suoi due libri precedenti e anche tutti i successivi. Lo promuovo quasi a pieni voti (quasi, perché tutti 5 non li ho dati nemmeno all’impareggiabile Mazzantini). Bellissima anche la dedica inziale del libro:”Alle anime fragili, che amano senza amarsi”.
A chi non leggerà questo libro (pazzo!), scrivo alcune bellissime frasi, che mi hanno fatta innamorare pazzamente del vecchio Cesare:
“Diego non mi è molto simpatico, un brav’uomo, intendiamoci, ma quelli troppo buoni annoiano, c’è poco da fare”;
“Ho impiegato più di settantanni per capire che io sono lì, nel non fatto. La mia vera essenza, i desideri, l’energia e l’istinto sono conservati in tutto ciò che avrei voluto fare”;
“Nessuno può essere salvato se non lo vuole”;
“…Invece mia moglie è morta e se n’è lavata le mani. E meno male che l’egoista ero io”;
“Allora vuol dire che mi conosci poco. Tutto ciò che è surreale a me piace. E’ la realtà ad annoiarmi”;
“Poche volte ho saputo davvero ciò che desideravo e come raggiungerlo, per il resto ho navigato sempre a vista”;
“Quando il dolore altrui si avvicina troppo, cominci anche tu ad avvertire una fitta”;
“Crediamo che la vita non finisca mai e dietro l’angolo ci sia sempre la novità che cambierà tutto. E’ una specie di raggiro che facciamo a noi stessi, così da non prendercela troppo per un fallimento, un’opportunità svanita, un treno perso”;
“Si crede di non avere bisogno di nessuno, finché ci si accorge di non avere più nessuno”;
“E ora lasciami vivere quel che mi resta da vivere in modo bizzarro. Ho trascorso un’intera vita nella normalità e solo a sentirne il tanfo mi viene in voltastomaco”;
“Semplice, fin troppo. Tra un figlio e un marito si protegge il primo. Sempre”;
“Sai qual è la più grande stravaganza? Vivere d’istinti. Finirla di mettere inutili paletti mentali. Se segui il tuo istinto non sbagli mai”;
“Chissà perché è proprio quando non potremmo ridere che perdiamo ogni freno. Il riso incontrollato assomiglia al pianto, come questo si serve delle lacrime per liberare l’energia accumulata”;
“Non sono i legami di sangue a creare l’intimità, è la convivenza”;
“Il sospetto è l’ultimo tassello della lacerazione di un rapporto; quando giunge, molto è già stato perso”;
“C’è una grande differenza tra l’amore per una donna che non potrai mai avere e quello per una che hai. Il primo risplenderà in eterno, il secondo tenderà, invece, a spegnersi”;
“La voglia di gioventù è contagiosa, se ti circuisce non puoi più farne a meno”;
“…per vivere una vita davvero degna bisognerebbe prendere decisioni importanti ogni mattina. Purtroppo per me scegliere è logorante, e non l’ho mai fatto, è per questo che sono stato un incompiuto”;
“Non mi sembra giusto ma, in fondo, la giustizia è un concetto inventato dall’uomo, non esiste in natura”;
“Mi piace chi ama per primo. Mi piace chi sa chiedere. Mi piace chi sa amarsi. Mi piace chi combatte ogni giorno per essere felice”.
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Un calcio in bocca fa miracoli di Marco Presta
Già il titolo mi aveva attratta, ma è stato il consiglio della Littizzetto alla lettura di questo romanzo che mi ha convinta. Il protagonista è strepitoso: un vecchio burbero, cinico, ma anche capace di grandi slanci emotivi. Semplicemente uno spasso. Un personaggio capace di spiazzare chiunque con le battute avvelenate che tutti noi pensiamo, ma quasi nessuno ha il coraggio di dire. Un uomo ormai libero di essere (vista la sua veneranda età), che non si nasconde dietro alla forma e alle ipocrisie, ma ha il coraggio di dire e di fare esattamente ciò che pensa. Bella l'alternanza di scene esilaranti, dove si sorride e si ride senza contegno e i momenti nostalgici e malinconici, che ci fanno riflettere sulla solitudine in cui vive ognuno di noi. È un tipo di romanzo che mi piace: vivo, divertente, allegro, malinconico e cinico, capace di allertare i tuoi sensi e darti un sacco di emozioni diverse fra loro. Oltretutto, l'idea di poter restare perfidi anche in vecchiaia mi eccita assai. Peccato non sapere come si chiami il vecchio protagonista: nel libro non è mai accennato il suo nome.
Le frasi o espressioni che mi sono piaciute di più:
-"purtroppo, mi è sempre mancato il coraggio di apparire ridicolo, la sola vera forma di coraggio";
-"un giorno sei abbracciato a una donna, la baci con tanta passione da succhiarle via il cuore e trent'anni dopo al supermercato ti tratta come fossi il suo gommista";
-"io non ho mai saputo muovermi. Nel ballo bisogna tracciare delle curve, a me sono sempre venuti fuori solo spigoli";
-"il silenzio è la cosa più straordinaria che c'è in natura";
-" bisogna dire "ti amo" solo in caso di estrema necessità. L'uso incondizionato di questa frase l'ha banalizzata fino a privarla di significato".
Bello, lo consiglio!
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Chi ama torna sempre indietro di Guillaume Musso
Carino questo romanzo di Musso ma, a mio avviso, niente di strepitoso. Scritto con un linguaggio semplice e scorrevole, si lascia leggere facilmente e velocemente, permettendoci di entrare nella vita del protagonista senza difficoltà. Sapendo che lo scrittore è un romanziere, mi sono affacciata a questo suo primo romanzo (nel senso che è il primo che io leggo) con il giusto approccio, senza aspettarmi un'opera d'arte. E visto in quest'ottica va bene: ha soddisfatto le mie aspettative di svago e leggerezza. Il tema dell'effetto "sliding doors" è interessante e di sicuro effetto: la possibilità di vivere vite diverse, in base alle decisioni che prendiamo nelle varie situazioni di vita che ci troviamo ad affrontare. L'autore ci descrive e mostra la possibilità di cambiare il corso dell'esistenza del protagonista, per salvare la sua amata, senza però rinunciare alla nascita della figlia, nata successivamente da una notte di sesso con un'altra donna. Quindi l'amore visto dal punto di vista di padre (in primis) e di amante. Sono trattati anche anche i temi dell'amicizia e quello del tempo che, a quanto ho capito, è un argomento caro a questo autore. Lo stile del romanzo è abbastanza descrittivo e, secondo la mia opinione, l'autore non è troppo empatico: non sono mai riuscita ad immedesimarmi in nessuno dei protagonisti della storia, né a provare i sentimenti che loro hanno vissuto. Mi sento di fare un paragone con un altro romanzo leggero che ho appena letto: l'ultimo di Fabio Volo. Che sicuramente è un autore più semplice, ma riesce ogni volta a farmi pensare: "È vero, lo credo anche io" o "Questa cosa è successa anche a me". Penso che un romanziere debba saperti fare immedesimare e fare sentire le emozioni che vivono i protagonisti, altrimenti anziché un romanzo preferisco leggere un altro tipo di libro. Se un romanzo non mi "smuove dentro" non mi convince fino in fondo. Comunque carino, lo consiglio.
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Sabotaggio d'amore di Amélie Nothomb
Un altro imperdibile romanzo di questa dissacrante scrittrice belga-giapponese (belga di origine, giapponese di nascita). È il terzo che leggo e non li sto leggendo in ordine di scrittura e in questo, che precede gli altri due, noto una leggera immaturità creativa (anche se, a mio avviso, è un altro piccolo capolavoro). La cultura giapponese, che le ha dato i natali, ha permeato la sua personalità, essendo quasi un fantasma che giace dentro di lei e fuoriesce all'occorrenza, arricchendola e donandole uno stile scarno e asciutto, ma efficace. Anche questo, come molti romanzi dell'autrice, é autobiografico e, nello specifico, parla della Nothomb settenne, che a differenza di ciò che pensavo, è un un piccolo maschiaccio scapestrato e indisciplinato. Immaginavo fosse stata una bambina pungente e fuori dalle regole, ma la credevo più borghese e "in". Invece era perfettamente integrata con il gruppo degli scapestrati del ghetto di Pechino dove viveva durante il triennio del padre ambasciatore in Cina (dai quattro ai sette anni della bambina), giocando alla guerra con i figli degli altri ambasciatori viventi nel ghetto. Una vita completamente diversa da quella che la bambina aveva vissuto in Giappone in precedenza e da quella che avrebbe vissuto subito dopo a New York: più rude, più povera, senza fronzoli. Una bambina lasciata un po' a sé stessa e alla cattiveria presente in quasi tutti i bambini, se lasciati liberi di agire come gli pare ("la libertà non si misurava in metri quadrati a disposizione. La libertà era trovarci finalmente abbandonati a noi stessi. Gli adulti non possono fare ai bambini regalo più bello che dimenticarli"). Infatti Amélie amava giocare alla guerra, picchiando e punendo i "nemici", non solo con le parole, ma anche con i gesti e le azioni ("la guerra era il più nobile dei giochi" e ancora "senza nemico l'essere umano è poca cosa. La sua vita è un tormento, un'oppressione di vuoto e di noia"). Una bambina che "odia i nemici", ma ama disperatamente Elena, la bambina italiana più bella del ghetto. Un angelo di cui Amélie si innamora al primo sguardo e per la quale fa pazzie, pericolose anche per la propria salute. Un piccolo diavolo che le insegna cos'è il vero amore, cosa significhi soffrire per amore e che, indirettamente, la istruisce sui modi per fare innamorare perdutamente di sé le persone (insegnamenti che saranno per lei preziosi da adolescente, quando al liceo americano farà innamorare decine di ragazzi e ragazze e li farà soffrire). Bello, lo consiglio a tutti gli amanti della scrittrice.
Io, di mio, continuerò a leggere libri della Nothomb, perché sono come le ciliegie.
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Tuo figlio e il sesso di Anna Oliverio Ferraris
Avendo un figlio preadolescente mi interesso di indagare tutti gli aspetti della vita che sta per affrontare, non di meno quello sessuale, che diventerà uno degli aspetti principali della sua vita di adulto. Visto che non voglio crescere un figlio con dei tabù, ma nemmeno con delle gravi perversioni, sono curiosa di sapere se in qualche modo posso aiutarlo ad affrontare questo aspetto della sua vita in modo libero, ma equilibrato. Il sesso è per ogni adulto fonte di piacere o di malessere, anche a causa del modo in cui i propri genitori glie ne (o non glie ne) hanno parlato, il modo in cui lo ha percepito o gli è stato presentato. Io non vorrei essere una madre che gli tarpa le ali, ma nemmeno una madre che lo lancia a mani libere nel pazzo mondo del sesso. Questo manuale è carino, anche se a mio avviso non completamente esaustivo, ma comunque una buona base di partenza per l'argomento in questione. Molto utile a genitori un po' timidi e chiusi, timorosi di dire "troppo", un po' meno a quelli con la mente libera e aperta, che hanno iniziato a parlare di sesso ai figli da quando sono nati.
Bombardati da internet e dalle immagini esplicite che i nostri figli si trovano a guardare e ad affrontare, prima di avere avuto una solida educazione sessuale, ma soprattutto sentimentale, mi interesso che non diventi un uomo preoccupato più dalle prestazioni, che dai sentimenti o dalla sensibilità necessaria anche, e soprattutto, in questo campo. Vorrei che considerasse le donne che incontrerà e con cui avrà dei rapporti sessuali non alla stregua di semplici "macchine del sesso" o oggetti da utilizzare, ma soprattutto di "persone" con i loro sentimenti e le loro complessità. Il rispetto altrui è secondo me un aspetto fondamentale da insegnare a ogni figlio, soprattutto a un figlio maschio, perché tutti sappiamo che oggi i giovani riescono ad affrontare il sesso in modo più leggero di quanto lo abbiano affrontato i nostri genitori e anche molti di noi, però non va dimenticato il rispetto dell'altra persona e dei suoi sentimenti. Un po' di tatto non guasta mai.
Il manuale parla del corpo maschile e femminile, di come parlare di sesso a ogni bambino in base all'età, dell'autoerotismo, della pornografia, delle molestie e degli abusi sessuali, di AIDS e maternità precoci e anche di omosessualità (argomento che mi sta molto a cuore e che ritengo fondamentale spiegare ai nostri figli). Siamo finalmente in un mondo libero (o quasi), quindi è fondamentale che loro siano preparati ad affrontarlo nel migliore e più libero dei modi.
La frase che ho annotato:
"ll piacere è una forza vitale presente un ognuno di noi fin dalla nascita. Insieme alla sorpresa, alla gioia, alla paura, alla rabbia e al dolore è una delle emozioni primarie alla base della vita iscritte nel nostro patrimonio genetico".
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Il segreto della resistenza psichica di Christina
In psicologia, la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre. Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. La resilienza è la capacità di andare avanti, nonostante le crisi e permette la ricostruzione di un percorso di vita. Si tratta, quindi, di un dono inestimabile.
Questo è un manuale completo che ci mostra quanto neurobiologi, genetisti e psicologi abbiano appreso in questo campo e i trucchi per aumentare la nostra resilienza (che in alcuni è presente quasi dalla nascita, in altri va cercata e coltivata).
IO HO , IO SONO, IO POSSO, sono i tre pilastri della resilienza: io HO persone che mi stanno a cuore e che mi aiutano, io SONO una persona gradevole e rispettosa nei confronti di me stesso e degli altri, io POSSO trovare dei modi per risolvere i problemi e gestire me stesso.
La persona resiliente tiene lontani da sé i ricordi, le notizie o le preoccupazioni che lo tormentano, prima che lo distruggano. La Berndt ci mostra anche come aiutare i nostri figli ad aumentare la loro resistenza, per permettere loro di diventare adulti più forti e resilienti.
Insomma, il detto: “Quello che non ti uccide ti rende più forte” risulta essere vero.
Dobbiamo imparare a far fronte alla sfide e riuscire, pian piano, a superarle. Accettando, però, di non poter essere forti in tutte le situazioni. Non dobbiamo, infatti, farci mettere sotto pressione dal nostro perfezionismo e dobbiamo assolutamente imparare a dire di no (anche e soprattutto a noi stessi).
Libro interessante, che consiglio a tutti quelli che hanno voglia di migliorarsi e imparare ad essere più forti.
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come trovare l'armonia in se stessi di Raffalele M
Questo manuale mi ha convinta meno del precedente. L’obiettivo è la conquista della felicità: mantenendo giovane il cervello, rimanendo in buona forma fisica e psichica e cercando di stemperare le tensioni sul posto di lavoro (dove trascorriamo circa un terzo delle nostre giornate).
Morelli insiste nel cercare di eliminare i pensieri spazzatura (gli amori finiti, l’ipocondria, le piccole manie quotidiane, le superstizioni), per lasciare fluire liberamente l’energia dell’universo. Quando restiamo ancorati a qualcosa di finito, per fortuna spesso un disagio si affaccia, per farci ritrovare la strada del benessere. La crisi arriva a spezzare la catena del pensieri infiniti e per farci ritrovare la nostra libertà. Se facciamo spazio al nuovo, liberando la mente da ciò che è vecchio e inutile, saremo sempre in buona forma.
Dovremmo imparare dagli antichi e dai bambini a vivere nel “qui e ora” e rifugiarci sempre più spesso nella solitudine e nel silenzio, in modo da dare la possibilità al nostro organismo di rigenerarsi. Non dobbiamo dare definizioni né di noi, né degli altri, comunicando in modo spontaneo, senza preoccuparci di non piacere a qualcuno. Dobbiamo imparare a ridere di più, a scegliere la cedevolezza, lasciando che le cose accadano. Dovremmo buttare gli psicofarmaci (se non strettamente necessari) e imparare a fare di più l’amore, dovremmo stancarci fino in fondo, per poter riposare bene la notte e svegliarci pieni di energia il giorno successivo. Dovremmo fare cose creative e sfidare l’ignoto, cercare la magia dentro di noi e fare quello che ci suggerisce il nostro istinto, per trovare i nostri talenti. Oltre a ben nutrire il nostro cervello, dovremmo nutrire bene il nostro corpo, con cibi sani e corroboranti.
E’ presente il solito capitolo sul dimagrimento e sui disagi che ci fanno abbuffare e ingrassare (interessante per chi non l’ha ancora letto su uno dei manuali di Morelli) e un capitolo sui disagi nell’ambiente lavorativo e il modo di risolverli (anche questo capitolo è interessante).
Lo consiglio a coloro che vorrebbero cercare di trovare l’armonia e coltivarla.
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È tutta vita di Fabio Volo
Ecco l'ultimo romanzo di Fabio Volo: il primo da padre.
Già dalla copertina (un triciclo di legno rosso) si intuisce quale sarà il file rouge di questo nuovo libro del poliedrico scrittore bresciano. Schernito da alcuni, perché non sufficientemente "istruito", perché tratta temi futili e leggeri, perché usa un linguaggio semplice e non forbito.
È vero: Fabio Volo non è uno scrittore erudito, ma pochi come lui sanno farti immedesimare nella vita di tutti i giorni, rappresentata egregiamente in ogni suo romanzo. La vita delle persone normali, semplici, che vivono, però, una vita piena e intensa, come quella di ciascuno di noi.
In questo ultimo libro Nicola-Fabio è alla prese con la paternità: una cosa nuova, strabiliante, ma destabilizzante, che cambia completamente la prospettiva di ciascuno. Soprattutto delle madri, che da quel momento lo saranno per sempre, ma anche dei padri, che iniziano a vedere davanti a sé una "sconosciuta", perché il nucleo centrale della vita della donna da quel momento non è più il compagno, ma il figlio. La donna, appena diventata madre e almeno per i primi due-tre anni diventa figliocentrica e l'uomo, che pure se lo aspettava (ma non fino a quel punto) inizia a sentirsi escluso, quasi fosse un estraneo nella nuova coppia madre-figlio. All'inizio, quindi, una grande difficoltà di accettare questa nuova vita, di inserirvisi, di esservi partecipe. Un momento di grande crisi nella vita di quasi ogni padre, ma poi, con il tempo e con mille dubbi e riflessioni, si fa strada una nuova possibilità che gli permette di diventare un nuova persona. Di accettare l'inevitabile e di iniziare, pian piano, anche ad amarlo.
Non voglio dilungarmi, né esprimere la mia opinione, perché amando questo scrittore sarei di parte. Lascio a quelli che non hanno intenzione di leggere questo romanzo, alcune frasi rappresentative, anche se "scontate" che fanno capire il Volo-pensiero:
"Perché uscire, quando quello che desideravamo di più era già lì con noi? Non ci serviva altro, bastavamo a noi stessi";
"E se tu fossi innamorato di un'idea di me e non di quella che realmente sono?"
"Si dice che quando ti nasce un figlio una parte di te in quell'istante muore. E così è stato. Da quel momento io e Sofia non siamo più stati gli stessi, né come individui, né come coppia";
"Qualcosa se n'è andato con la conoscenza, con la confidenza, l'intimità. È svanito un po' di mistero. Il desiderio nasce da una mancanza, da un'assenza. Da qualcosa che non si ha e che si vuole avere. Se un'assenza diventa presenza, il desiderio svanisce";
"Dove ci siamo persi?" Ho pensato. La nostra vita era diventata una continua insoddisfazione, una quotidiana frustrazione";
"Ho pensato a come avevo usato male la mia libertà prima, mi sembrava di aver capito molte cose quando ormai era troppo tardi";
"Quando vivi con un'altra persona ci sono giorni in cui la sua presenza ti infastidisce. Non è necessario che ti abbia fatto qualcosa, solo il fatto di averla sotto gli occhi ti irrita. È come se tutto ciò che non va nella tua vita fosse colpa sua, e una parola di troppo o un piccolo gesto sono sufficienti per litigare";
"Ho avuto desiderio di abbracciarla, avevo bisogno di un rifugio, qualcosa di concreto come il suo corpo a cui aggrapparmi per scacciare quei pensieri";
"Leo (il figlio) ha cambiato i confini di ciò che si può chiamare presenza, lui è una costante anche quando non è con me. È impossibile essere veramente soli, sfuggire, è come se una parte del cervello fosse sempre dedicata a quel legame e non fosse concesso liberarsene";
"L'amore per i figli porta con sé una vulnerabilità infinita";
"Non vogliamo la libertà, ma l'idea della libertà, l'illusione di essere liberi";
"Quello che eri non esiste più, è un'illusione, un trucco della mente";
"Mi chiedevo se io amassi Sofia o l'idea della famiglia";
"Si potrebbe dire che l'amore non è che la gioia di perdersi e dissolversi nell'altro";
"... Ci sarà sempre una parte di lei che mi sfugge e forse è questo che ci tiene insieme, non tanto quello che sappiamo di noi ma quello che ancora dobbiamo scoprire";
"In momenti come questi, in cui non accade nulla di speciale, sento che ne vale la pena";
"Più proteggo la mia famiglia, più proteggo me stesso. Più mi occupo di loro, più mi sento al sicuro, dalle mie paure e da infiniti dubbi";
"Sentivo che lei era la destinazione giusta. Lei da subito è stata il mio angolo di senso";
"Da quando Sofia è arrivata le cose importanti hanno iniziato ad accadere. Ha reso reali le attese";
"L'amore di cui tutti mi avevano parlato mi ha invaso totalmente e ho capito che è la droga più potente e più pura del mondo".
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Guida astrologica per cuori infranti di Silvia Zuc
Mi piace, a volte, darmi alle letture disimpegnate e leggere e questo prometteva essere il bestseller dell'anno. In corso di traduzione in quindici paesi, vuole essere un romanzo scanzonato, romantico e un po' rocambolesco.
Sinceramente l'ho trovato solo carino, niente di più.
La scrittura è fluida e scorrevole, il mood allo stesso tempo allegro e malinconico, il modo di scrivere quello di una trentenne urbana, realizzata e moderna. Qui ci racconta della vita di una sua coetanea un po' combina guai, appassionata (come me) di astrologia. Non quella degli oroscopi, ma quella reale: delle effemeridi e dei quadri astrologici.
Questo mi ha attratta e mi ha convinta a iniziare questa lettura e in questo non sono rimasta delusa. L'astrologia fa da sfondo all'intera vicenda, colorandola e dandole quel po' di "friccicarello", però per il resto sono rimasta a bocca asciutta.
Alice mi sembra quel tantino superficiale e svolazzante. Pur essendo moderna e di mentalità molto aperta, mi sembra un po' irreale una trentacinquenne che si innamora di ogni uomo con cui viene in contatto, che cerca ogni giorno della sua vita l'amore vero. Che si dice innamorata e fidanzata dopo due giorni, anche con il tanghero argentino tutto muscoli e niente cervello.
Se noi donne veniamo rappresentate così da nostre coetanee, allora è un disastro: è finita e gli uomini non possono fare altro che distruggerci e attaccarci.
Avrei preferito il coraggio di creare una Alice di mentalità così aperta da "darsi" a chiunque (che comunque è quello che faceva), senza però darci a bere che lei volesse innamorarsi di ogni uomo che frequentava. Non posso credere che una donna intelligente e moderna si voglia innamorare dei Carlo, dei Giorgio e degli Alejandro che incontra sul suo cammino: questo sarebbe quel che si suol dire accontentarsi. Va bene del buon sesso, allegro e disimpegnato, ma l'amore è argomento serio.
Fortunatamente, poi, si innamora realmente di quello giusto: l'uomo che non deve chiede mai e questo salva la frittata.
È il classico libro da ombrellone (e ci sta), ma è la rappresentazione della donna che non mi é piaciuta. Affatto.
Donna felicemente sposata cerca uomo felicemente s
Dall'autrice di "Paura di volare" sinceramente mi aspettavo di più.
Ma, giustamente, una signora di settantatre anni non può trattare i medesimi argomenti di quando era una giovane donna (fermo restando il suo femminismo e l'apertura mentale in argomenti sessuali).
La vediamo immedesimarsi in Vanessa, la protagonista, e in Isadora, la sua migliore amica - che già avevamo trovato nel suo famoso best seller - con i tipici problemi di donna sopra i sessant'anni: genitori anziani da accudire, vecchiaia incipiente propria e del marito ( che nel romanzo ha anche 15 anni più di lei), l'essere in procinto di diventare nonna, le passate dipendenze da sesso e alcol, il filo indissolubile che la lega alla propria madre sull'orlo del trapasso e leggiamo come Vanessa-Erica tenti di risolvere le problematiche quotidiane e di vita.
L'argomento principale resta, però, la paura di morire e la voglia di fuggirle, cercando sollievo in un sito di incontri sessuali senza impegno (zipless.com); quindi ancora il sesso come tentativo di fuga dalla realtà. Inutile dire che Vanessa si renderà conto che niente potrà aiutarla a sfuggire al destino di chiunque. Ho ritrovato in questo romanzo la spregiudicatezza e la libertà mentale dell'autrice, il suo umorismo disincantato e l'atteggiamento di affrontare la vita tipico di molti scrittori ebrei (che mi ha sempre affascinata). Libro, quindi, intelligente e ben scritto, ne consiglio la lettura, ma il mio giudizio non è esaltante.
Le frasi o espressioni che ho sottolineato:
"La vita è passione. Solo che ormai so quanto costa la passione, quindi è difficile prenderla ancora alla leggera";
"Ci vuole un certo ottimismo per cominciare una storia. Devi essere convinta che un altro uomo potrà fare di meglio. È questo diventa sempre più difficile mano mano invecchi";
"Spesso conoscersi rovina le fantasie";
"Mi ci sono voluti anni per trovare un matrimonio da cui non volessi scappare, eppure continuavo ad avere fantasie di fuga. Forse erano le fantasie di fuga a far sì che non scappassi. Forse la fantasia è l'unico sistema per far durare il matrimonio, o la vita";
"Per quanto possa essere politicamente scorretto, la verità è che rinunciare alla nostra volontà ci eccita. Quando non dipende dalla nostra volontà, non ci sono più né sensi di colpa, né incertezze. Ci consegnamo totalmente all'altro";
"Ma adesso, vedendo mia madre prossima all'estinguersi della coscienza, comincio a vedere il futuro. Forse il segreto è diventare parte del tutto";
"Nella morte c'è un'irrevocabilità che elude qualsiasi paura e qualsiasi preghiera";
"Ora devi cogliere la vita, non avere paura. La paura è uno spreco di vita".
L'unica cosa che conta di Raffaele Morelli
Scrittura scorrevole e chiara, come tutti i libri di questo noto psichiatra e psicoterapeuta.
In questo testo l'uomo si trova a lottare contro il proprio sé, che improvvisamente inizia a cambiare, a germogliare, a fiorire. La metafora è quella di una pianta, che tutti ammirano e apprezzano, ma che forse sta lottando contro la propria vera natura. Per questo, ad un certo punto, questa pianta inizia a germogliare, a profumare, a diventare ciò per cui è nata. All'inizio la stessa inizia a combattere questo cambiamento, poi impara a lasciarsi trasportare dall'interno, a diventare ciò che deve, per natura.
La strada per la felicità passa dal coraggio di mettere in discussione i nostri convincimenti, i luoghi comuni della morale, che ci appesantiscono inutilmente.
Pensieri, giudizi, ideali: spesso gli ostacoli maggiori si nascondono proprio in quello che la nostra cultura ci ha insegnato come positivo, importante, necessario.
Come ci accorgiamo che stiamo cambiando? Quando iniziamo a sentire dentro di noi un senso di vuoto siamo sulla strada giusta, quando ci sentiamo inadeguati, sta iniziando il viaggio dell'anima. Nessuno di noi assomiglia minimamente a ciò che pensa di essere, anche se ciascuno crede di conoscersi. E' l'attaccamento a un'idea che si ha di sé, quello che spesso ci fa ammalare e ci fa stare male. Più ragioniamo, più ci allontaniamo da noi stessi. Il credere di sapere chi siamo ci allontana dalla nostra autenticità.
Al nostro nucleo interiore interessa fiorire, non vivere di illusioni su ciò che non siamo e non potremo mai essere. Sarà il nostro mondo interno a farci fare la cosa giusta, al momento giusto. Noi dobbiamo solo restare in ascolto e, al momento opportuno, assecondarlo. Dobbiamo entrare nel Senza Tempo, che si muove con i ritmi dell'anima e che fa accadere le cose al momento giusto, senza che neanche ce ne accorgiamo.
Abbiamo perduto la magia di quando eravamo bambini, quindi la vita non ci appartiene più, perché stiamo diventando troppo razionali. Viviamo in un'epoca ricca di stress, di ragionamenti, di razionalità. Noi sappiamo e parliamo troppo, per stare bene invece bisogna parlare poco di sé stessi, accettare di non avere cose da dire, in modo che il nostro lato misterioso si faccia sentire.
Un' altra cosa importante che ci vuole insegnare Morelli è accettare anche il nostro lato malvagio, perché fa parte di noi. L'incontro e l'accettazione della nostra malvagità ci rende unici e speciali ed essere contraddittori è una qualità fondamentale di ciascuno.
Uno dei segreti per stare bene è smettere di credere di doversi migliorare e di combattere i pensieri che non ci piacciono. Il personaggio che cerchiamo di essere non siamo noi, è un'illusione e non esiste, ci fa perdere la nostra vera essenza. Qualsiasi desiderio si può realizzare solo se viene dal nostro lato oscuro, l'unico vero e reale.
La cura per le nostre sofferenze non sono i ragionamenti sulle cause che le hanno provocate, ma le fantasie a occhi aperti, i sogni e le immagini. Si tratta di lasciarsi invadere dalle emozioni, dagli affetti e dalle fantasie. Non dobbiamo rimpiangere nulla, né fare progetti, né cambiare vita. Dobbiamo semplicemente lasciarci invadere dalle sensazioni piacevoli quando arrivano e lasciare spazio alle immagini. Il nostro sé, quando smettiamo di fare progetti ci porta verso il nostro destino.
Carino il capitolo sul cibo e sul perché ingrassiamo: la fame non nasce dal corpo, ma dalla mente. Mangiamo troppo perché dalla vita non abbiamo abbastanza piacere. Quindi, se qualcuno vuole dimagrire, non deve mettersi a dieta, ma cercare dentro sé le passioni che ha rimosso. Solo se l'anima é soddisfatta, rinuncia a cercare piacere nel cibo (facilissimo a dirsi, molto meno a farsi!)
Il più bello è il capitolo sulla vecchiaia, la più importante stagione dell'anima, perché si progetta sempre meno il futuro e ci si abbandona con semplicità alla vita.
Bel saggio, lo consiglio.
Anche se in alcune parti sembra scontato, come spesso succede con ciò che dicono psicologi e psicoterapeuti, è importante riflettere su quello che ci vogliono comunicare, perché sono piccole cose che ci aiutano a stare bene e ritrovare un po' di serenità e di benessere.
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Ogni bambino ha un grande talento
“Esiste una sola scuola: quella del talento” diceva lo scrittore russo Vladimir Nabokov, ed è quella delle passioni che tutti i bambini hanno dentro. Il segreto per renderli felici è lasciarli liberi di coltivarle, senza forzature o aspettative eccessive.
Spesso i genitori proiettano sui figli le proprie aspirazioni, perché almeno lui possa eccellere là dove loro hanno fallito. Ma ogni bambino ha il proprio talento: è un individuo con un bagaglio di sogni e aspettative personali, diverse da quelle di ogni altro. Il nostro compito è quello di capire quali sono le sue vere inclinazioni e valorizzarle.
Il talento è un punto di forza, un ambito in cui un piccolo se la cava bene, ma non sempre è un’eccellenza. Può diventarlo con la pratica, ma di base la sua non è genialità, è solo una propensione naturale (lo rivela la parola talento, che deriva dal greco tàlanton: “bilancia”). Quello che noi possiamo fare è insegnargli l’impegno, la tenacia e la voglia di riuscire, di non mollare al primo ostacolo.
Thomas Edison, l’inventore della lampadina, diceva che il genio è fatto per l’1% di ispirazione e per il 99% di traspirazione, quindi per sviluppare il proprio talento l’impegno è fondamentale.
Dobbiamo lasciare a nostro figlio la libertà di dirci e di farci capire quali sono le attività che lui ama, senza costringerlo a fare ciò che vorremmo noi.
Di fronte alle forzature e alle imposizioni di un genitore un figlio si ribella, scappa o finisce per odiare quello che fa. Dobbiamo anche cercare di non ossessionarlo a collezionare traguardi: più è piccolo, più va protetto, senza pretenderne la perfezione (che non è una dote di questo mondo).
Nei bambini la soglia di tolleranza alla frustrazione è più bassa rispetto a quella degli adulti e gli sbagli per lui non sono mai piccoli: ogni errore rischia di trasformarsi in un fallimento.
E quando si impegna con tutte le sue forze dobbiamo dirgli “Hai lavorato bene” e non “Bravo”, in modo che impari a valorizzare l’impegno e non a legare l’errore alla sua persona, ma all’attività che ha svolto. Nostro figlio, come ognuno di noi, vuole essere visto e amato per ciò che è, non per quello che dovrebbe essere.
I geni erano perlopiù scolari frustrati, disadattati, anticonformisti e sono riusciti proprio perché non si sono accontentati di seguire la massa: sono stati se stessi e hanno soddisfatto le proprie esigenze. Al contrario, gli “high performers”, si rivelano molto spesso delle schiappe, fallendo sul piano professionale. Spesso non sanno improvvisare, né immedesimarsi, non sono empatici e restano solo imitatori pedissequi. Meglio, quindi, un figlio non perfettamente integrato, ma libero di seguire il proprio io, la propria identità e le proprie aspirazioni reali, uniche e diverse da quelle altrui. Anche la scuola dovrebbe fare un passo avanti, cercando di non uniformare i nostri figli, come se fossero pecore di un gregge; ma aiutando ognuno di loro ad esprimere la propria interiorità, lasciandoli liberi di dire e di fare.
Libro carino, scorrevole e utile per riflettere.
Alcune frasi o espressioni che mi hanno colpita:
“Dovremmo dire a ciascuno di loro: Sai chi sei? Sei un miracolo. Sei unico. In tutti gli anni che sono passati non è mai esistito un bambino come te. Hai la capacità di fare ciò che vuoi”,
“Sono proprio loro, i bastian contrari ciò di cui ogni comunità ha bisogno se non vuole correre il rischio di restare prigioniera delle strutture mentali consolidatesi attraverso l’abitudine”;
“Un’oncia di esperienza vale quanto una tonnellata di teoria, affermava Benjamin Franklin”;
“Cosa potrebbero diventare se non fossero più imprigionati nelle gabbie delle nostre valutazioni ed etichette, vittime della nostra concezione di talento, un’idea superata che risale al secolo scorso e che è immotivata e ingiustificata, un’idea a causa della quale le scuole funzionano come setacci. E’ ora che noi genitori apriamo gli occhi e ci domandiamo per quanto tempo ancora intendiamo sopportare che i nostri figli crescano in un mondo in cui vengono trattati come macchine, in cui vengono programmati come vogliono gli adulti. Questo libro è solo l’inizio. Sarete voi, con le vostre azioni, a decidere come continuare”.
E, per finire, una bellissima frase di John Lennon che compare all’inizio del libro: “Quando avevo cinque anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità era la cosa più importante della vita. Quando ho iniziato ad andare a scuola, mi hanno chiesto cosa volessi diventare da grande. Ho scritto che volevo “essere felice”. Mi hanno detto che non avevo capito il compito e io ho risposto che loro non avevano capito la vita”.
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La filosofia del gatto di Salvatore Patriarca
Filosofia, nel senso platonico, significa sorpresa, meraviglia e nulla più del gatto è sorpresa quotidiana.
Questo manuale si propone di indagare la relazione del gatto con l'essere umano, i luoghi della sua quotidianità, il suo concetto di spazio e di tempo, la sua etica, l'estetica, i suoi vizi e le sue virtù. Il tentativo di fare luce sul felino forse ci mostra anche l'esigenza di comprendere noi stessi e ciò che il gatto rappresenta per noi.
Fin dall'antichità, questo sinuoso e affascinante erede di leopardi e giaguari, ha soggiogato, con i suoi occhi iridescenti, proprio l'animo dei più sensibili: i filosofi e i poeti e anche quello delle donne (che si dice siano le maggiori ammiratrici di questo amatissimo animale domestico).
Ciò che stupisce è l'attrazione del gatto per l'esterno: il gatto si affaccia alla finestra, che è uno schermo sull'ignoto, su ciò che non è in suo potere e quindi non può essere controllato. È un filtro che può permettergli di osservare ciò che avviene all'esterno, senza per questo esserne coinvolto. La sua voglia di affrontare una sfida, ma nello stesso tempo di stare al sicuro della propria casa, non è questa, forse, anche una nostra caratteristica? Chi ama il gatto è affascinato dal suo pudore nel momento dell'igiene personale, ma anche nel momento del dolore, la sua capacità di distacco dal tempo, il suo essere sempre "nell'attesa", mentre il tempo scorre. Del gatto si ammira l'indipendenza, l'eleganza, la sinuosità, la sua presenza (ma solo quando decide di concedersi a noi), la discrezione, la curiosità e la grazia.
Amare un cane è semplice, perché è sempre fedele e gioioso. Per amare un gatto, invece, bisogna essere in grado di non fermarsi alle apparenze, bisogna sapere che dietro degli occhi chiusi esiste un mondo onirico, la capacità di spiccare il volo verso mondi paralleli e misteriosi.
Per questo sono e continuerò ad essere un'estrema sostenitrice del gatto ed ho adottato da poco una bellissima cucciolina di certosino, che ha portato un sacco di gioia nelle mie giornate.
Libro semplice, scorrevole, che consiglio ai numerosi gattofili presenti anche in questo contesto.
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Amore, ecc... di Julian Barnes
Questo romanzo è una tragicommedia a più voci sui 'casi' della vita. L’argomento è abbastanza banale:
Lui, il marito.
Lei, la donna contesa.
L’altro, lo pseudo-amante e migliore amico del marito.
Per cui oggetto trito e ritrito, ma trattato da Barnes con un’originale scrittura finto-facile, colta, ironica e a tratti perfino sublime.
La storia viene narrata direttamente dalle voci dei protagonisti, che alternano il loro punto di vista in ciascun capitolo, cercando in qualche modo di portare il lettore dalla propria parte. A volte intervengono anche voci esterne, che danno uno sguardo e un'opinione alla situazione che Oliver, Stuart e Gillian stanno vivendo. I tre personaggi intrattengono il pubblico, che ascolta la loro versione dei fatti da tre punti di vista differenti, come su un palco, consci che con le loro parole possono condizionare l’opinione di chi legge e possono rappresentare una storia diversa da quella che potrebbero raccontare gli altri due.
In tutto il romanzo si percepisce un umorismo molto british, che in realtà di comico non ha assolutamente nulla e lo stile narrativo è geniale (“’l’amore non è che un sistema per ottenere che qualcuno vi dica Tesoro dopo un rapporto sessuale”).
È la storia dell’anima delle persone, che nella vita si mostrano con una facciata di circostanza, che non è altro che una maschera pronta a essere tolta al momento giusto. È un romanzo che racconta i disagi, le frustrazioni ma anche l’idiozia delle persone che convivono con la parte peggiore del loro carattere e anziché cercare di levigarla, la assecondano con negligenza. Ed è anche il racconto di bugie e sentimenti fragili, di rapporti troppo deboli che volano al primo soffio di vento.
Ho preferito Julian Barnes in “Livelli di vita”, ma sicuramente leggerò di questo raffinato autore anche “Il senso di una fine”, che sembra essere un piccolo gioiello. Tutto sommato ne consiglio la lettura a chi ama leggere una scrittura colta e non banale.
“Non possiamo sentire il dolore degli altri, questo è il problema. E’ sempre questo il problema, il problema di tutto il mondo”
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Una madre lo sa di Concita De Gregorio
Amanda Sandrelli è a teatro con uno spettacolo tratto da questo libro della De Gregorio. Un libro interessante, composto da 22 novelle che raccontano stralci di vita di madri imperfette. Giornalista e scrittrice che ammiro e vorrei leggere in toto per la sua schiettezza e il suo senso della realtà (sarà un caso che le due mie scrittrici preferite, La Mazzantini e la De Gregorio, siano madri di molti figli, ma hanno saputo mantenere anche la loro carriera, senza rinunciare all’una e l’altra cosa?) Concita De Gregorio compie un viaggio in una realtà circondata da moltissimi luoghi comuni, per cercare di dare voce a una verità silenziosa: la fatica di essere madri in un mondo in cui per le madri non c'è posto. Il fatto è che non esistono sentimenti giusti, né amori senza sfumature: ci sono persone che collezionano errori, perché l’amore senza ombre è quello per chi non c’è.
Quando nel cuore di una donna nasce l’idea di avere un figlio, sente di essere pronta a morire, perché in lui rivivrà. Dare la vita è credere nel futuro del mondo, è lasciare una traccia di sé che la morte non cancellerà, perché la vita si perpetua.
La scrittrice, da madre, è onesta quando afferma che i figli non sono tutti uguali nel cuore dei genitori. “Non è vero che i figli sono tutti uguali, è una menzogna perpetuata dalla secolare litania della “gente perbene”, una bugia che ogni genitore conosce, che reprime e occulta insieme al senso di colpa di saperla. I figli sono diversi, ciascuno di loro lo è. Ci sono figli che alleggeriscono la vita, figli che la appesantiscono”, ma comunque restano figli, per sempre.
Un libro che spoglia da ogni idealismo perbenista - che ti propina la figura della mamma come angelo del focolare sempre pronta ad affrontare adeguatamente le difficoltà, perfetta in ogni situazione a mai stanca - e ti mette semplicemente di fronte alla realtà, così com’è.
Concita de Gregorio rompe finalmente il muro di luoghi comuni che da sempre circonda la maternità e lo fa con svariate frasi che vi voglio riportare, per lasciare parlare lei. Altre non le scrivo, perché voglio lasciarvi il piacere della loro lettura:
“Una madre è quella che ti è data, va bene com’è”;
“Le madri, se sopraffatte da un’onda con due bambini in braccio lasciano andare il più grande. Se sopraffatte dalla vita cercano comunque un posto dove mettersi in salvo con loro…”;
“Bisogna liberarsi dall’incubo del coro attorno. La gente non aspetta altro che il momento di metterti in ginocchio, di ridurti in un angolo, di renderti inoffensiva e ristabilire i ruoli di sei secoli fa”;
“Capita a molte donne di sentirsi inadeguate di fronte ai figli che nascono… di non avere più voglia di niente se non di tornare indietro, ma indietro non si può”;
“Una mamma è come un albero che si rassegna nella sua vita a perdere fiori, foglie e frutti durante il susseguirsi delle stagioni, tanto sa che prima o poi li riavrà con sé. Un figlio è un figlio, per sempre”;
“Il segreto delle madri, anche quelle che non sanno o non vogliono esserlo: la capacità misteriosa di diventare un posto che accoglie tutto quello che succede nel cammino, tutto quello che viene e che c’è. La capacità di tenere insieme quel che insieme non sta. Di ricordare daccapo, ogni volta, da dove passa la vita e perché”.
Bel libro, a tratti commovente, in altri ci fa arrabbiare. Un bel dono da fare alla propria madre per la sua festa o per il suo compleanno!
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Il principio passione di Vito Mancuso
Questo non è il primo saggio che leggo di questo eccezionale teologo e filosofo, pero' è stato il più impegnativo (quindi lo consiglio a chi è veramente interessato all'argomento e/o a chi ha nozioni in ambito teologico e filosofico). Vito Mancuso attua un’ampia riflessione in ambito teologico in modo comprensibile anche a inesperti e laici e con questo libro ha fatto molto discutere.
ll principio su cui si regge il mondo, secondo lui, è il risultato della sintesi tra il concetto di Lógos, l’ordine delle cose e la razionalità del disegno divino, (secondo la religione cristiana "in principio era il Lógos", al principio c'era il nulla e tutto è stato creato da Dio, a partire dal nulla - creatio ex nihilo-) e il Caos, la casualità materiale della realtà che ci circonda (un abisso oscuro, un burrone primordiale da cui emergono e a cui ritornano tutte le cose). Elementi fondamentali che danno vita allo spirito vitale, che è Dio ( il quale evolve, in quanto creatore).
Mancuso si rammarica di come i devoti della teologia dogmatica finiscano per rendere sempre più insostenibile l’idea di Dio all’uomo contemporaneo, perché oggi la coscienza umana avverte spesso come insostenibile la visione tradizionale dell'assolutismo teologico.
Lo scopo di questo saggio è quello di proporre un credo semplice, capace di avvicinare fede e ragione e Mancuso lo sintetizza nella formula: Logos + Caos = Pathos. Per Mancuso il compito di una teologia responsabile è la composizione di creazione ed evoluzione.
Il principio passione, come amalgama dell’eterno conflitto tra la razionalità di un disegno superiore e la casualità materiale. Ecco cos’è il Pathos: è lo spirito vitale dell’amore divino/umano, da cui scaturisce l’energia della vita in continua evoluzione (evoluzione inarrestabile, costantemente in progress) in un impasto di caós e lógos, di necessitas e libertas, che si chiama e genera passione. Il principio è la passione nel duplice senso di entusiasmo e di sofferenza, di emozione e di patimento. Ogni essere creato esce dalle mani di Dio impastato di lógos e di caós, di ordine e di possibilità di infrangere l’ordine. Altrimenti, con la libertà, ci sarebbe precluso anche lo spirito capace di amore. Si ha perfezione morale quando si ha una libertà che liberamente sceglie il bene e la giustizia. Il caós che pervade il mondo è la condizione sine qua non della libertà.
La parola passione, in tutte le sue sfumature, indica qualcosa da cui si viene conquistati e che ci fa sperimentare il mondo al passivo, facendoci trovare ispirazione ed energia fuori da noi.
Secondo Mancuso la forza che ci spinge ad amare non è solo nostra, ma l'espressione di una primordiale logica cosmica all'opera da sempre nell'ammasso di energia che è il mondo. L'amore, secondo lui, è la forza più intensa che c'è e riprodurla dentro e fuori a noi significa entrare in comunione con il fondamento dell'essere. L'amore tra esseri umani è il principio della loro unione, perché ne è la causa iniziale, ma è anche la forza che li sorregge nel tempo e la meta verso cui camminano. Vito Mancuso individua il desiderio del piacere e della vita di continuare se stessa (vita attraversata da uno slancio vitale che la porta ad espandersi ed effondersi) e compito del pensiero umano è l'elaborazione di una propria Weltanschauung: una personale visione del mondo.
La logica della storia dell'universo, a suo avviso, è la costruzione della Mente, dell'uomo in quanto sapiens. L'evoluzione è irreversibile e spinge l'intelligenza dell'uomo a crescere fino alla sapienza, raggiungendo la "bontà dell'intelligenza".
La vita, nell'essere umano, è quindi anche noûs: vita dell'intelletto, creatività, ricerca di un senso tramite il pensiero, l'arte e la spiritualità, ma anche capacità di trasgressione. Anche la natura, come l'uomo, è libera - anche se orientata - perché si evolve verso la complessità.
Insomma: passando per biologia, meccanica, fisica, teologia, filosofia, epica, Vito Mancuso ci fa un'interessante esplicatio del suo pensiero e della sua filosofia. Libro molto interessante!
La voce delle onde di Yukio Mishima
Libro essenziale, scorrevole e poetico, che consiglierei come lettura per adolescenti. Una storia d'amore semplice, ambientata in un villaggio di pescatori di un'isola giapponese, sulla quale vivono persone semplici, che hanno per ideali il lavoro e la famiglia.
Il mare e onde sono coprotagonisti della storia, visto che fanno da sottofondo a tutte le vicende, soprattutto alla storia d'amore fra Hatsue e Shinji. Le onde, anche se tempestose, sono la voce assidua dello spirito dei protagonisti e il mare è il canto che serve per celebrare i giovani e ingenui amanti. In questo libro vediamo un mondo simbolico, dove uomo e natura si fondono. Mondo anelato dal protagonista, quanto il suo amore per le tradizioni, visto il suo disagio esistenziale rispetto alla società industriale in cui viveva.
Bimbo cresciuto da una nonna troppo presente e assillante, che l'ha instradato alla tradizione giapponese. Ragazzo con una debole e fragile costituzione fisica: cosa inaccettabile per un giapponese nato nel culto dei samurai. Per questo si dedica alla cura del corpo, attraverso arti marziali e rafforzamento dello stesso con body building ed allenamenti di ogni tipo.
Nonostante il suo masochismo, il sadismo e la sua omosessualità si sposa e fa due figli: un modo come un altro di tuffarsi nella tradizione e perpetuare la specie.
La sua solitudine e il suo edonismo ci permettono di tracciare similitudini con il nostro Gabriele D'Annunzio e anche con Oscar Wilde.
In Mishima batte un cuore da samurai, pronto come i nobili guerrieri dell’antico Giappone a dare la vita per il proprio Signore. E come i samurai, in diretta televisiva, si auto infligge il seppuku, che non equivale in nessun modo al suicidio da noi concepito in Occidente. Per noi è una sconfitta, un sintomo di debolezza e volubilità, un crimine. In Giappone l’harakiri è l’ultima vittoria, il solo modo di salvare la propria integrità in caso di insuccesso, era la vivificazione incessante di un Giappone protettore di valori più alti e nobili della vita, rispettabili a costo della vita stessa che rimane, senza di essi, vuota ed incompiuta. La tradizione giapponese lo vedeva come unico modo per recuperare l'onore perduto.
Ho dovuto informarmi sulla vita dell'autore per apprezzare questo primo libro, che altrimenti mi sarebbe sembrato un po' banale e semplice. Comunque è una lettura carina, a mio avviso niente di più.
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Due di Irène Némirovsky
Cinica, crudele, capace di descrivere i sentimenti con eleganza e perfezione ( "un uomo, in fondo, concede solo quello che gli viene chiesto. Mai di più..." e ancora "...uniti senza una parola, senza neppure baciarsi, ma aggrappati l'uno all'altro, come trascinati da un torrente impetuoso" e infine "Quello che tu vuoi è di essere liberato dal desiderio che hai di me..."), con una scrittura che disegna perfettamente i personaggi. Questa è la Irene Nemyrowsky che ho conosciuto grazie al suo romanzo "Due". Romanzo in cui descrive l’anima passionale della gioventù borghese degli anni venti, a cui lei appartiene, con un frenetico impulso a vivere e quel desiderio ardente e sensuale di bruciarsi nel piacere, che hanno vissuto i sopravvissuti alla prima guerra mondiale (che vogliono vivere appieno la vita, senza farsi mancare nulla).
La spudorata e spietata facilità con cui i suoi personaggi mostrano sentimenti di odio nei confronti di persone a cui sono uniti da legami di sangue, probabilmente è il riflesso dei sentimenti provati per i genitori (figlia unica di genitori ricchi e borghesi, troppo presi dal lavoro e dal denaro - il padre - e dal lusso, dagli amanti e dalla bella vita - la madre-) che l'hanno lasciata nelle mani di governanti e non le hanno dato affetto e attenzione. L'odio per loro viene sublimato nella sua scrittura e questa schiettezza la dimostra anche nelle sue scelte linguistiche. Probabilmente questa marginalità ed appartenenza per esclusione (dovuta anche al sentirsi rifiutata dalla sua patria, la Russia, perché ebrea e non accettata dalla Francia, sua patria di adozione, perché non originaria di quel territorio) sono la cifra segreta del suo successo. Mi ha molto colpita, essendo l'autrice vissuta all'inizio del secolo scorso, quando lo scopo di quasi tutte le donne era quello di sistemarsi tramite il matrimonio, il suo pensiero disincantato nei confronti dello stesso, esposto senza ironia, né volgarità ("Ho avuto Antoine ma non lo amo più... Gli voglio bene, è un buon compagno, la sua morte mi getterebbe nella disperazione, ma non ha più alcun potere su di me... Non ha più il potere di farmi soffrire, né di darmi la felicità... La sua presenza mi rasserena, ma non ho più curiosità nei suoi confronti, né desiderio" e ancora "Ogni coppia tende a creare ai propri occhi e a quelli degli altri una leggenda di fedeltà, di comprensione e di unione" ). In questo romanzo, ma anche in altri (ho letto sinossi e recensioni di alcuni dei suoi romanzi più importanti) è presente una dicotomia tra amore e denaro, spirituale e materiale, che in realtà si fondono, trattandosi di due diverse declinazioni di quella stessa radice, che è la passione. Passione a cui la scrittrice, a mio avviso, dà importanza e a cui anela, ma probabilmente si smorza in lei poco dopo il suo matrimonio (come succede anche ai due protagonisti del romanzo).
La precedente recensione mi ha convinta a leggere questo libro e sono soddisfatta della scelta fatta, perché ho trovato questa scrittrice molto talentuosa e il suo romanzo interessante, tanto da convincermi a leggere presto altro della stessa autrice.
Non faccio parte della schiera che critica il romanzo per il pensiero disincantato della scrittrice sul matrimonio ("Come avveniva, nell'unione coniugale, il passaggio dall'amore all'amicizia? Quando si cessava di tormentarsi l'un l'altro per volersi finalmente bene?" e ancora "Di qui a alche tempo non sarà più innamorata di me, ma non mi abbandonerà mai" e infine "sotto le coperte c'era un caldo delizioso, e quel calore del letto condiviso, quel silenzio, quella pace precaria li intorpidiva, li faceva sentire uniti come mai lo erano stati nel tumulto della giornata o dell'amore"), perché ritengo che ognuno abbia il diritto di dire la sua, senza venire criticato per questo. Mi limito ad applaudire il talento della scrittrice, la sua scrittura e il suo romanzo per il suo valore intrinseco e non per il punto di vista dell'autrice sull'argomento trattato.
Avevo annotato altre frasi, oltre a quelle già citate, ma le ho lette già in recensioni precedenti, quindi non le ripeto, anche se mi avevano colpita.
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Eros e amore di Igor Sibaldi
Saggio veramente interessante ed esaustivo su un argomento che soddisfa le nostre curiosità più remote sull'origine dell'eros e sulle diverse tipologie di amore.
Integrando diverse discipline: storia, filosofia, filologia, teologia, arte e letteratura Igor Sibaldi mette un accento su un argomento da sempre fra i più dibattuti, trattandolo, però, in modo diverso da altri manuali che ho letto finora. Mi è servito per chiarirmi le idee su questo argomento, nelle parti mancanti che non avevo ancora affrontato e per perfezionare la mia conoscenza (che andrà continuamente aggiornata e approfondita) su questo mistero.
All'inizio affronta i vari significati della parola amore, quali amor o kama (il desiderio sessuale, ovvero un sentimento in cui si brucia), contrapposto all'inglese love o al tedesco liebe, che indicano l'amore non sensuale (significando avere caro, pensare al piacere e al bene dell'altra persona). Manca in occidente, a causa soprattutto del cristianesimo, il termine eros (che era anche una realtà della psiche), quindi Sibaldi ci parla della sua origine.
Eros è stato trattato da Socrate, Platone, discusso da Aristofane e Aristotele, dibattuto nella Divina Commedia da parte di Dante e Beatrice e discusso anche nel Vangelo.
Secondo i greci Eros spinge a cercare la conoscenza assoluta, intermediario fra dimensione divina e dimensione umana, come forza che agisce nell'animo e nella mente degli individui.
Un campo energetico superiore, capace di scorgere nella bellezza di chiunque o di qualsiasi cosa un aspetto sacro. Oltre ad essere facoltà connessa al piacere dei sensi, può essere sollecitata da moltissime cose, tangibili e non, proprio perché è insaziabile. È iperattività dell'intelletto e per questo esplosione di energie e non svuotamento.
Bollato dalle tirannie e dalle società più razionali come peccato o perversione, perché spinge l'uomo a chiedersi "Perché" e ad indagare (il potere, al contrario, esige obbedienza ed efficienza, non interlocutori che si fermino a pensare). Additato dai cristiani, che hanno sempre spinto gli uomini alla coppia tradizionale, per santificare il peccaminoso rapporto sessuale.
Dio senza genitori, che appartiene ai bambini fino ai quattro anni (sempre alla ricerca di conoscenza e di piacere) e si perde durante l'adolescenza (la sua colpevolizzazione fa ammutolire i desideri). I suoi impulsi, durante l'adolescenza, vengono razionalizzati a causa dei criteri che ci hanno tramandato la nostra civiltà e le generazioni a noi precedenti, per colpa dei concetti di orgoglio, lotta, conquista, gara, prestazione, che determinano un rapporto inquieto con i propri attributi sessuali e ci spingono a conformarci alla società, per non mandarla in crisi.
Società che ci parla dell'esistenza di due sole identità sessuali, quella maschile e quella femminile (una che prende e l'altra che da') e non accetta tutte le sfumature e le identità della moltitudine degli esseri umani, limitandoci e soffocandoci.
I risultati sono gli adulti occidentali che nella sessualità, come in ogni altra cosa, continuano a obbedire alle autorità (stato o chiesa che siano), ed il formarsi della mentalità del bravo suddito, che si adegua a regole stabilite da altri e che mantiene lo stesso ruolo sociale, facendo permanere ceti e gerarchie.
La paura dell'eros è una paura di conoscere e di conoscersi, di pensare liberamente e con la propria testa, di essere liberi, di scoprirsi più prigionieri di quanto si pensasse e più grandi di quanto si credesse. Chi ha molto Eros soffrirà molto, ma in compenso sarà in armonia con la specie umana e starà dalla parte di questa, contro la civiltà che l'ha sempre voluta domare.
Da qui la necessità di costruire una propria etica erotica, che impone il distacco da consuetudini acquisite e assunzione di responsabilità personale.
Bello, interessante, lo consiglio a tutti.
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Malamore di Concita de Gregorio
Questo interessante libro di Concita de Gregorio propone molteplici testi, che offrono una ricostruzione del genere femminile sotto la lente d'ingrandimento del "dolore"e della capacità di sopportazione, che entrano sempre in gioco nel legame tra donna e uomo, qualunque esso sia. Esiste una consapevolezza della debolezza maschile e una presunta forza femminile che si esercita nel tollerare la sopraffazione. Un eccesso di considerazione di sé: sarò capace di aspettare, di gestire la tua ira perché ne conosco l'origine. Concita de Gregorio ha indagato questa rischiosa illusione attraverso storie vere di donne che cercano di resistere ad abusi quotidiani. Il sopruso quotidiano subìto da molte donne, vittime delle circostanze e di uomini indegni, ma spesso anche di se stesse, abbandonate al proprio insano desiderio di dimostrarsi forti, invincibili, di mettersi alla prova anche a costo di sprecare la propria vita, deprezzarla e spesso perderla. Infatti, se la forza bruta e le sue esibizioni più esteriori sono appannaggio del sesso maschile, la millenaria arte della resistenza sottile e costante a un dolore continuo è cosa femminile. Il malamore è una pianta maligna la cui devota cura ha esiti catastrofici, e che deve essere sradicata senza esitazioni. Dargli acqua ogni giorno, alzare l'asticella della resistenza al dolore è una folle tentazione che può costare la vita.
Sempre efficiente questa scrittrice e giornalista, che avevo già apprezzato nel suo ultimo libro e che continuerò ad approfondire per il suo stile, il suo pensiero, la sua fermezza e la sua efficacia. In questo libro ho sottolineato svariate frasi che mi hanno colpita, tra queste ne ho selezionate due per chi non avrà la possibilità di leggerlo:
"Vince chi sa aprire la porta e guardare "con occhi più grandi". Non chi rifiuta di vedere, non chi per paura o soggezione non apre neppure, non vuol sapere né sentire. Vince chi apre, chi guarda, chi resta fermo e guarda meglio, poi richiude, torna su per le scale. Vince chi va all'inferno e ritorna" e ancora "I gatti mangiano i topi ed è inutile cucinare loro carciofi. La più grande prova di forza è affrancarsene, liberarsi di loro, imparare a evitarli, lasciarli soli. Questo sì è uno straordinario successo: non dover dimostrare più niente, non mettersi alla prova. Non affezionarsi all'errore. Non difendere la cattiva scelta... Non si indossano uomini che ci fanno stare peggio. Non ci si mette addosso qualcosa, qualcuno che ci sciupa. Sappiatelo, bambine, e ora andate sole".
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Insieme e basta di Anna Gavalda
“Ciò che impedisce alle persone di vivere insieme è la loro stupidità, non le loro differenze.”
Questa, a mio avviso, la frase più interessante di questo romanzo della sobria e schiva scrittrice francese.
La Gavalda, che avevo già letto in “Io l’amavo” (che ho preferito, rispetto a questo romanzo) ha una scrittura semplice e scorrevole, ma capace di mostrare la quotidianità dei suoi personaggi, di catturare le loro fragilità e di mettere a nudo i loro sentimenti. In questo romanzo, dove i protagonisti sono quattro sgangherati soli e dalle esistenze ammaccate, lei mostra la loro capacità di accettare le proprie fragilità e di “mettersi insieme” per aiutarsi a superarle. Essendo il secondo romanzo che leggo dell’autrice, noto la sua propensione a raccontare storie semplici ma coinvolgenti, storie di gente bizzarra e non inquadrabile nei canoni odierni di estetica e forza. Anna Gavalda racconta il disagio di personaggi autentici in cerca di felicità, ma alle prese con i problemi inevitabili che la vita mette sul nostro cammino. Storie in cui ciascuno di noi non ha difficoltà ad immedesimarsi, per questo credo che nel suo paese (ma anche fuori patria) sia così apprezzata. Non ci pone modelli perfetti e insuperabili, ma anzi: gente problematica, strana, fragile e debole. In entrambi i romanzi c’è la presenza della vecchiaia (incarnata dal suocero in “Io l’amavo” e da Paulette in “Insieme e basta”). L’anziano della scrittrice, però, non è visto come un personaggio passivo, da assistere, ma come un soggetto che dà forza e aiuta gli altri personaggi nelle loro scelte e nelle loro decisioni. E’ una vecchiaia vista in modo sano e positivo. Dal suo modo di scrivere si nota l’inclinazione dell’autrice per la vita semplice, di periferia. Anna Gavalda è una scrittrice leggera, non complicata, da leggere quando abbiamo voglia di trascorrere delle ore tranquille con qualcosa di non troppo impegnativo o pesante. Un romanzo della Gavalda può servire a inframezzare letture impegnate o grevi, perché in lei si nota una semplice, ma trionfante normalità.
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La ragazza delle arance di Jostein Gaarder
Questo romanzo è una storia d’amore, ma anche una riflessione sulla vita e sulla morte, sul destino che attende tutti noi e che non possiamo scegliere.
Quando Jan scrive questa lunga ed accorata lettera sa che la sua lotta contro il tempo è iniziata: è un medico e le malattie per lui non hanno segreti. Questa consapevolezza non rende, però, meno doloroso l’approccio con la morte.
E’ una bella riflessione sul senso dell’esistenza, sul motivo per cui veniamo al mondo, se alla fine perdiamo tutto quello che siamo riusciti a conquistare.
La storia è commovente: un uomo consapevole della sua fine imminente comunica con un figlio ipoteticamente già grande, che lui però tiene in braccio piccolo mentre scrive. Un figlio a cui cerca di trasmettere la sua serenità e che induce a riflettere sui misteri della vita, ponendogli domande a cui lui si sentirà in dovere di rispondere. Un figlio che tramite la lettera riuscirà a conoscere bene un padre che gli è stato strappato via quando lui aveva solo quattro anni.
È un libro scritto a quattro mani, in cui la narrazione di Georg si alterna alla lunga lettera del padre, che diventa per lui una lezione di vita, oltre che il racconto del suo passato.
Jostein Gaarder riflette sul significato più profondo dell’esistenza, costruendo un dialogo impossibile tra un padre consapevole di non poter vedere il proprio figlio crescere (che in punto di morte decide di scrivergli per lasciargli ricordi e insegnamenti, che altrimenti non gli avrebbe mai potuto dare) e un ragazzino, che non avrebbe mai creduto di conoscere il papà, dopo la sua prematura scomparsa. A distanza di anni, Jan Olaf riesce a comunicare al figlio i suoi interessi, le sue paure, le sue convinzioni. E con questa sorta di testamento che lascia a Georg, gli pone un importantissimo interrogativo: "Cosa avresti scelto se ne avessi avuta l’occasione? Avresti scelto di vivere per un breve momento sulla terra, per poi, dopo pochi anni, venire strappato da tutto quanto e non tornare mai più? Avresti rifiutato?"
Una domanda difficile cui Georg troverà, seppur con difficoltà, una risposta.
Un intreccio temporale e spaziale che rappresenta la metafora della vita, con le sue sorprese, le sue incognite, ciò che dà e ciò che toglie in quell’ineluttabile trascorrere del tempo che si chiama esistenza. Un inno alla vita, il “carpe diem” che cerchiamo con coraggio di afferrare, una mano che vuole sorreggere Georg, conducendolo lungo un percorso, spiegandogli quanto sia importante scegliere, non accontentarsi, non temere le difficoltà.
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Il complesso di Telemaco di Massimo Recalcati
In un tempo in cui l'autorità del padre si è eclissata, a causa di padri che latitano o sono divenuti compagni di giochi dei loro figli - dei Peter Pan che si rifiutano di crescere - Recalcati propone una nuova generazione: quella dei figli Telemaco. Il complesso di Telemaco è il rovesciamento di quello di Edipo: Telemaco cerca il padre, non come un rivale con cui battersi a morte, ma come la possibilità di riportare la Legge della parola nella propria terra. Le nuove generazioni, come Telemaco, sono impegnate a realizzare il movimento di riconquista del proprio avvenire e della propria eredità (non una eredità materiale, ma l'eredità della parola).
Il padre che Telemaco invoca non è un padre-padrone, ma un padre testimone, che gli insegni il senso della vita, attraverso il desiderio. In un tempo in cui la legge che conta è quella del godimento, un imperativo che anziché liberare la vita la opprime rendendola schiava, dobbiamo re-imparare a desiderare un desiderio sano. Perché, al contrario, il desiderio insaziabile genera schiavitù: mentre consuma i suoi oggetti, consuma anche chi li consuma. Per questo Telemaco invoca il ritorno della legge. I giovani di oggi, pur avendo più libertà di qualsiasi generazione precedente sono depressi, perché la loro libertà è un circo di godimento senza avvenire, senza possibilità di lavoro, né di realizzazione. Recalcati nel suo saggio ci parla di quattro tipi diversi di figli: il figlio-Edipo, che sfida le vecchie generazioni per affermare il suo desiderio, quindi sperimenta il padre come un ostacolo alla realizzazione del suo soddisfacimento e nega sia lui che la sua eredità. Al contrario, il figlio anti-Edipo fugge dalla legge, la rifiuta, in nome del proprio Es, che è l'espressione della potenza anarchica del corpo che gode ovunque. Il figlio Narciso, invece, nasce dal padre che gli evita qualsiasi frustrazione e non gli pone nessun limite, trasmettendo nel figlio l'assenza totale del senso di colpa. Il figlio Narciso è senza desiderio, è apatico, perso nel mondo, è un erede che vivacchia. A questi tre tipi di figli Recalcati oppone il figlio Telemaco: colui che guarda l'orizzonte e aspetta il ritorno del padre, della legge, del rispetto. Egli non vive il padre come ostacolo ed è il giusto erede. Egli è alla ricerca del senso umano della legge, non solo di quello giuridico. L'eredità di Telemaco non è un'eredità passiva, ma una riconquista: lui non aspetta che il padre ritorni, ma va alla sua ricerca. Il suo ereditare è la conquista della propria soggettività: lui entra in contatto con il proprio passato, lo accetta e lo supera. Eredita dal padre la possibilità del desiderio e questo perché anche il padre crede nei desideri del proprio figlio e li appoggia, sostenendolo. Il compito del genitore, che è chiamato ad accettare la vita di ognuno dei suoi figli come unica e insostituibile, è quello di saper lasciare andare il proprio figlio al momento giusto e la sua eredità è quella di trasmettere ai figli il desiderio è la testimonianza che che c'è una vita capace di soddisfazione umana.
Mi è piaciuto, come del resto tutti i saggi di Massimo Recalcati, che consiglio a chiunque è che io stessa seguiterò ad approfondire.
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L'arte di correre di Haruki Murakami
Un libro sull’autodisciplina, la resistenza alla fatica e sull'importanza della motivazione, nel quale la corsa diventa metafora della scrittura e del lavoro dell'autore.
La corsa vista come esercizio, meditazione e rafforzamento del corpo e dello spirito, racchiude in sé una dimensione ascetica (dal greco askesis, parola che in origine significava proprio esercizio, allenamento di un atleta in vista di una prova). Così in Murakami l’askesis si fonda su pratiche che mirano a sviluppare e a controllare le capacità fisiche e questa ascesi del corpo ha effetti positivi sull'efficienza della mente e sulla capacità di scrittura ("L'azione di correre mi aveva portato in un territorio quasi metafisico. Prima di tutto esisteva la corsa, e in funzione della corsa esistevo io. Corro, dunque sono").
Murakami, che di mestiere fa lo scrittore e si applica con metodo al proprio lavoro per diverse ore al giorno, considera lo scrivere un'attività faticosa e difficile, che obbliga ad esplorare zone buie della psiche. Per questo ha bisogno di compensazione, tramite un esercizio altrettanto regolare e rigoroso che aiuti a ripulire la mente e che lui ha trovato nella corsa (interessante non tanto come attività in sé, ma come esercizio di disciplina). Lo scrittore, vero esempio del motto "no pain no gain", pensa che la maratona sia una grande scuola di sopportazione, che si fa prima con la testa e poi con il fisico. I risultati si vedono nel lungo periodo e si deve avere ben chiaro il punto di arrivo. La maratona si corre in mezzo a tantissime persone, ma è un esercizio individuale, è una lotta per superare il sé stesso del giorno prima.
Se all’inizio del libro Murakami cerca di dare una risposta al motivo che lo spinge a correre almeno un’ora al giorno, dopo poche pagine si accorge che durante quell’ora non pensa a qualcosa di particolare, anzi non pensa del tutto: è sé stesso, nudo di fronte al lettore ed è anche possibile che la corsa sia per lui un esercizio per poter raggiungere il vuoto.
Da quando ha iniziato con la corsa di solito scrive quattro ore al mattino, poi il pomeriggio corre dieci o più chilometri. Qualche anno fa si è recato in Grecia, dove per la prima volta ha percorso, sotto il sole cocente di Luglio, tutto il tragitto classico della maratona (i 42 km e 195 mt) e da allora ha partecipato a ventiquattro di queste competizioni. Il suo libro ha ispirato ed è molto diffuso fra i runners e anche il nostro attuale presidente del consiglio Renzi, appassionato di running, il giorno della fiducia alla Camera e al Senato si è presentato in aula con il romanzo di Haruki Murakami. Non per questo motivo lo consiglio, ma perché è un manuale interessante, scritto in modo semplice e fluido (totalmente diverso dai romanzi onirici di Murakami ai quali siamo abituati, ma comunque interessante). Lo consiglio.
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Autobiografia erotica di Aristide Gambia
Questo romanzo sorprendente e fuori dalle righe (per questo mi è piaciuto) propone di raccontare la vita di un uomo attraverso le tappe della sua vita sessuale e lo fa utilizzando un linguaggio vivo, carnale, diretto, depravato. Ma, come afferma Starnone in un'intervista sul romanzo stesso, l'oscenità è data dall'effetto pruriginoso che l'argomento ci rimanda. Se, invece, noi affrontassimo questo linguaggio solo come lingua, considerando le parole oscene alla stregua di tutte le altre, toglieremmo loro quest'aura di lascivia. Le parole che ci sembrano così volgari, sono solo parole alle quali capita la sfortuna di dover portare pesi che noi siamo in grado solo di pensare, ma non di "parlare". Il sesso ha una sua lingua, che fin da piccoli ci insegnano a pensare e a non parlare e, dopo una vita in cui ci imponiamo di imparare questa lezione, non è cosa da poco vedere lo sforzo di un altro che usa le parole appropriate, talvolta volgari, per descrivere l’incontro di due corpi. Poiché il sesso talvolta sembra volgare, gli odori non li racconta mai nessuno; nessuno tranne Aristide Gambia, che utilizza le parole più crude del proprio dialetto (fessa, pucchiacchia, pesce, sfaccimm, ...) per renderle vive, carnali, vere.
Starnone non trascende, non usa volontariamente un linguaggio triviale al solo scopo di destare un interesse morboso. Usa il dizionario dei corpi e dell’esperienza, attingendo dalla vita reale di chiunque, compiendo in questo modo un gesto rivoluzionario.
Il romanzo è diviso in quattro parti: le prime due, che sono il romanzo stesso (quelle che ho preferito e che mi hanno maggiormente coinvolta), le altre due sono delle parti a sé, che sinceramente mi hanno interessata meno (soprattutto l'ultima, che spiega la genesi del romanzo).
Nella prima parte è descritto l’incontro con Mariella Ruiz, che costringere il protagonista a un percorso a ritroso attraverso le memorie della propria vita erotica.
La seconda parte del romanzo vede l’ormai settantenne editore compilare dei quaderni destinati alla donna incontrata più di dieci anni prima, nei quali appunta le sue memorie, dal linguaggio dialettale osceno imparato nell’infanzia, all’adolescenza con i suoi riti di iniziazione, al passaggio all’età adulta, con due matrimoni, tre figli, e una libertà sessuale conquistata dopo una prima fase di castrazione borghese, durante la quale le parole del sesso erano parte di un linguaggio impronunciabile.
Starnone, nelle prime due parti, attraverso descrizioni prepotenti e sboccate, ci fa vedere il tentativo di mostrare gli uomini e le donne nella loro nudità - non soltanto fisica - costeggiando, senza mai oltrepassarlo, il limite dell’osceno.
Mentre nella la terza e nella quarta parte «Mia madre» e «Le irrintracciabili» parla di sé e della creazione del suo romanzo, ma anche del nostro presente (con pagine indignate e ironiche su «questo Silvio Berlusconi», il grande seduttore), che districano molti nodi ma ne creano magicamente altri. Segni di un’opera mai chiusa, come l’irrinunciabile speranza di vita della vita.
Autobiografia erotica di Aristide Gambía è la storia della dimensione più intima della nostra esistenza (quella sessuale, che tutti tendiamo pudicamente a nascondere) e insieme quella di un’Italia che cambia nei sentimenti e nei costumi (dagli anni cinquanta ad oggi).
Mi piace integrare questo con altri romanzi "erotici" scritti da uomini da me precedentemente letti, quali "La separazione del maschio" di Francesco Piccolo, "Atti osceni in luogo privato" di Marco Missiroli, "Vacche amiche" di Busi e anche "Pene d"amore" scritto da sette scrittori uomini conosciuti. Mi interessa l'argomento sessuale-erotico, visto dall'altra metà del mondo e vorrei approfondirlo con qualsiasi lettura che lo rimandi (accetto suggerimenti).
Anche se a questo romanzo ho preferito il suo romanzo successivo "Lacci", riconosco le doti letterarie di questo profondo e acuto scrittore napoletano, che sicuramente continuerò ad approfondire.
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il senso del l'elefante di Marco Missiroli
Attenzione: leggero spoiler
Gli elefanti si occupano del branco senza badare alla parentela», si legge a metà del romanzo. «Tutti per tutti», come una grande famiglia che non bada ai legami di sangue.
Bello questo romanzo di Marco Missiroli, autore conosciuto di recente e che ho intenzione di leggere in toto. Libro che tratta temi profondi: amore, tradimento, sacrificio, abnegazione, volontà di fare di tutto per proteggere i propri legami. Coraggioso l'autore, che tratta argomenti particolari parlandone liberamente, ma delicatamente, con frasi corte ma d'effetto.
Sullo sfondo una Rimini invernale, con atmosfere felliniane e un condominio di Milano, dove il protagonista principale, Pietro, fa da portinaio (in questo mi ricorda un po' il condominio de "L'eleganza del riccio" e i condomini romani dei film e dell'ultimo romanzo di Ferzan Ozpetek) . Questi palazzi sono dei microcosmi abitati da estranei, con i quali intessere relazioni vere e profonde, come se fossero dei famigliari, e nei quali troviamo un senso di solidarietà e di protezione di ognuno verso l'altro. E questo senso di solidarietà e di protezione degli umili, unito ad una "religione laica" sono due temi che ho trovato in entrambi i libri che ho letto di questo interessante giovane autore.
Il romanzo è fondamentalmente la storia di ogni padre, che desidera proteggere il proprio figlio dai dolori della vita, anche se questo figlio non l’aveva mai conosciuto prima, anche se potrebbe non essere carne della sua carne, anche se figlio di una bugia nata dall’amore. Tutto nel nome di un amore incondizionato verso di lui, che lo porta a sacrificare se stesso e gli altri, a ricongiungersi per sempre con il suo unico Padre. È la storia di altro padre che fa "visite a domicilio” che pongono fine a situazioni disperate, placate da un bicchiere di sedativo e da una puntura. Un terzo, l'amministratore condominiale, che si sente un po' il padre di tutti i suoi condomini e vuole proteggerli dalle brutture della vita. Un quarto che, per gran parte del romanzo, per proteggere la figlia, le tace il fatto di esserne il padre biologico.
Pur non scendendo mai in dettagli da melodramma, i temi riguardanti il valore della dignità della vita e quello della scelta della morte,vengono di continuo sfiorate e con esse l’autore riesce sempre a intrecciare la sofferenza di un genitore. Amori grandi, amori immensi che sopravvivono a tutti e che danno una ragione per vivere. O per morire.
" ...perché quello era il senso dell'elefante e di ognuno di loro, padri, la devozione verso tutti i figli".
Molto bello e profondo: ne consiglio la lettura soprattutto a chi ama i libri veri e toccanti.
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Pene d'amore a cura di Gianni Biondillo
Sette racconti erotici scritti e firmati, finalmente, da uomini. Gianni Biondillo è riuscito nell'impresa di radunare ben sette scrittori conosciuti e di convincerli a scrivere ognuno un racconto, nato dal proprio immaginario erotico, ma pensato per un pubblico femminile. Biondillo, ritenendo che i racconti erotici femminili siano in apparenza scritti per donne, ma abbiano come target di riferimento il pubblico maschile, pensa di far parlare gli uomini delle loro fantasie e delle loro perversioni. Ritiene che l'uomo debba iniziare a spogliarsi delle proprie debolezze, mettendosi in mostra in toto, esibendo agli sguardi pubblici le proprie ferite. Biondillo ha proposto la sua idea a molti scrittori, alcuni dei quali hanno ritenuto sconveniente partecipare a questo esperimento, forse per pudicizia, forse perché lo ritenevano poco opportuno. Troviamo in questa raccolta sette storie totalmente diverse l'una dall'altra, per vissuto, per scrittura e per logica degli scrittori che le hanno pensate. Abbiamo i racconti, a mio avviso, più intriganti e più in linea con il mio gusto (quello di Biondillo stesso e quello di Raoul Montanari), un racconto grottesco (quello di Gianluca Morozzi), quello di testa (di Tiziano Scarpa), quello poliziesco di uno sbirro in cerca di redenzione (di Marcello Fois), quello pudico ed educato (di Andrea Bajani) e infine quello rivoluzionario di Valerio Evangelisti. Ce n'è veramente per tutti i gusti e io ho trovato l'idea di questa raccolta interessante ed azzeccata. Bravo a Gianni Biondillo e a tutti gli scrittori che non hanno temuto di mostrarci il loro lato più nascosto e privato. Un esperimento da ripetere!
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L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Ku
È uno dei libri dei quali ho sempre rimandato la lettura, perché pensavo ostico, pesante o difficile. Invece l'ho trovato interessante, completo e coinvolgente. È un romanzo d'amore, ma al contempo storico e filosofico. Parla del l'eterno ritorno nietzchiano e della sua pesantezza, della ciclicità del tempo, della leggerezza e, nel contempo, pesantezza dell'amore e dei sentimenti. In primo piano la coppia Tomás - Tereza, con la forza dell'uno e la debolezza dell'altra, l'infedeltà del corpo dell'uno contro la fedeltà dell'altra (almeno per buona parte del romanzo), che diventa fedeltà di sentimenti da parte di entrambi. Tomás che aveva sempre voluto solo amicizie erotiche, capitola di fronte alla "debole" Tereza, che trascorre la vita rosa dalla gelosia per i rapporti sessuali del marito con un'infinità di donne, che frequenta al di fuori del loro matrimonio (questa gelosia della moglie è il fardello più pesante che Tomás deve sopportare per tutta la vita). Ma questo suo restare conforme al suo modo di essere (libero e infedele) è una delle cose per le quali Tereza si innamora di Tomás, anziché di chiunque altro. Una Tereza resa tale dalla madre che l'ha cresciuta e dalle condizioni in cui è stata messa al mondo. Tereza è andata da Tomas per fuggire dal mondo della madre, dove tutti i corpi erano uguali, affinché il suo corpo diventasse unico e insostituibile ed invece ha trovato un uomo che ha bisogno del corpo di molte per vivere una vita soddisfacente, un uomo al quale il corpo della moglie non basta. Questo causa in lei una sensazione di impotenza, dalla quale nasce la vertigine ( "Chi tende continuamente verso l'alto deve aspettarsi prima o poi di essere colto dalla vertigine. La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. È la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura" e ancora " l'ottenebrante irresistibile desiderio di cadere. La potremmo anche chiamare ebbrezza della debolezza"). Una moglie così debole, da costringerlo a emigrare e a trasferirsi più di una volta, per allontanarlo dalle ipotetiche amanti e che, verso alla fine del romanzo, riflettendo fra sé e sé capisce di aver approfittato per tutta la vita della propria debolezza ai danni del marito. Mentre tutti siamo portati a vedere nella forza il carnefice e nella debolezza la vittima innocente, Tereza si rende conto che nel loro caso è stato tutto il contrario.
Oltre alla storia d'amore di Tomás e Tereza vediamo anche la piccola storia fra Sabina e Franz, che però ritengo molto meno importante e significativa. A fare da sfondo La Boemia, la Svizzera, la città e i paesi rurali.
È un libro profondo e interessante, del quale consiglio la lettura a tutti.
Alcune frasi rappresentative:
"... Ma il letto comune rimaneva il simbolo del matrimonio, e i simboli, come sappiamo, sono intoccabili"
" tradire significa uscire dai ranghi e partire verso l'ignoto";
"Il fiume scorre da sempre e le vicende degli uomini si svolgono sulla riva. Si svolgono per essere dimenticate il giorno dopo è perché il fiume scorra oltre";
"Tomás non è ossessionato dalle donne, ma da quello che in ciascuna di esse c'è di inimmaginabile, in altre parole, è ossessionato da quel milionesimo di diversità che distingue una donna dalle altre donne" e ancora "solo nella sessualità il milionesimo di diversità si presenta come qualcosa di prezioso perché è inaccessibile pubblicamente e bisogna conquistarlo" e infine " non era il desiderio del piacere sessuale (il piacere era un'aggiunta, una sorta di premio), bensì il desiderio di impadronirsi del mondo, ciò che lo spingeva a inseguire le donne";
"Einmal ist keinmal": quello che avviene una volta sola, è come se non fosse mai accaduto. La storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come qualcosa che domani non ci sarà più.
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L'animale morente di Philip Roth
Mi chiedo spesso con che criterio si possa dire se uno scrittore sia un fuoriclasse o meno e la risposta che, ad ora, mi sono data è: se lo scrittore che ho di fronte mi fa "contorcere le budella" o mi prende dentro, secondo me è un fuoriclasse ed in questo specifico caso lo è. È il primo libro di Roth che leggo e mi ha colpita: mi colpiscono sempre le persone complicate, realiste, disilluse, sincere, che non hanno paura di parlare delle loro paure, delle loro angosce, dei loro sentimenti, ma anche, e soprattutto, di sesso e di morte. In questo breve romanzo c'è tutto questo: un uomo a metà (è un americano di derivazione ebrea), ateo ma influenzato dalla religione dei suoi padri, segnato dalla morte precoce della madre, che nessuna donna della sua vita, evidentemente, ha mai potuto eguagliare. Un uomo dei suoi tempi, che vive la rivoluzione sessuale degli anni 60 e anela, in primis, alla libertà: la propria e quella altrui. Per questo ha avuto il coraggio di non restare sposato e di non fare figli, in modo che non limitassero la sua libertà. Scelta opinabile, per alcuni egoistica, secondo me molto coraggiosa. Coraggiosa perché qualsiasi decisione noi possiamo prendere per la nostra vita, se è quello che vogliamo veramente e di cui noi abbiamo bisogno, è la decisione più giusta possibile (anche se, a mio avviso, il suo ateismo e il fatto di non avere figli, hanno aumentato l'angoscia verso la morte, che lui vede come la fine definitiva di tutto). Ho amato questo vecchio che non vuole invecchiare, che rincorre la giovinezza e la ricerca nei corpi delle sue studentesse, per nutrirsi di gioventù e non farsi "mangiare" dalla vecchiaia. Che sfugge ai sentimenti, ma che adora i corpi, soprattutto quello di Consuela Castillo, giovane ventiquattrenne (quando lui, di anni, ne ha già sessantadue) che con i suoi fianchi rotondi, i suoi seni pieni e morbidi e i suoi modi garbati e di classe, ma liberi, lo manda in estasi. Donna che lo cattura nella sua rete e lo segna fino alla fine dei suoi giorni. Troviamo in questo romanzo, scritto da Roth in età già adulta, quando l'ombra della morte ha iniziato ad avvicinarsi a lui, la contrapposizione e fusione tra Eros e Tanathos: l'essenza della vita. E alla fine la sua vecchiaia vince sulla gioventù di Consuela, mangiata dalla malattia, che la porta più vicina alla fine, di quanto lui non sia mai stato. Angosciante, per questo bello e soddisfacente, un libro che ti smuove dentro, dandoti quello che cerchi da un romanzo, ogni volta che ne inizi la lettura. La scrittura è schietta, diretta e l'ammirazione che Kepesch (Roth) ha del corpo della donna è ammirevole, intrigante, sensuale ed erotica. Sicuramente leggerò altro di questo scrittore e ne consiglio la lettura a chiunque. Non voglio riportare singole frasi per farvi capire un po' di lui, perché penso che di lui si debba prendere tutto quanto.
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Vacche amiche di Aldo Busi
Esilarante è la prima parola che penso, dopo aver letto il libro di Busi e ogni volta che vedo una sua intervista o un suo intervento (sempre più raro) in TV. È un personaggio unico e particolare, di cui non approvo in toto la filosofia, ma che ogni volta mi stupisce, in senso positivo. E poi quel suo modo unico di parlare e scrivere, vera letteratura, mi lascia senza parole.
Le vacche degli anni Novanta, sono raccontate da Aldo Busi con il senno di poi: dopo la sbornia, a volte post mortem. E senza moralismi, ma con la spietata lucidità che gli è propria.
Eccoci, cosi, alla critica più potente dello scientismo contemporaneo. Cosa può, nel mondo, un'umanità che non conosce né controlla sé stessa? L'universo della mente è l'unica via di fuga residua. Morte le vacche amiche, con loro se n'è andata anche l'ubriacatura, lasciando alle nuove generazioni un panorama depresso, dove il conformismo rituale non è più un vezzo, ma una forma di sopravvivenza per uomini che nascono "dalla cintola in giù".
Vacche amiche è una dissertazione sulle relazioni umane e sull’etica, quindi è anche un attraversamento della contemporaneità, completamente antireligioso ed anticlericale e feroce nei confronti dell'oligarchia politica e sociale.
Questo è un grande libro sulla solitudine, sulla malinconia di una vecchiaia da trascorrere da solo, senza una persona alla propria altezza che si possa chiamare amica. È un romanzo sulla propria ricercata, patita e continuamente messa in discussione diversità antropologica e politica: Busi è in polemica con tutti e su tutto, da sempre. I suoi testi sono complessi e vanno affrontati con mente aperta e libera da pregiudizi e leggere qualcosa di suo è sempre un esercizio di intelligenza e libertà: la propria e quella altrui, che lo scrittore invoca per sé e per gli altri.
Ora, però, preferisco lasciar parlare alcune delle sue frasi (scusandomi con chi, al contrario di me, si scandalizza se uno scrittore usa parolacce o espressioni volgari - anche se, avendovi avvisati, potete smettere di leggere in questo punto):
"Non lasciare alcuna traccia di niente in questo niente è pur sempre una consolazione";
"... che peccato per me che non so stare con gli unici amici possibili, i finti amici!";
"L'omofobo è un omosessuale represso o latente o occulto o socialmente pericoloso: capace dei peggiori crimini";
"Come c'è ben poco di carnale in un amore carnale, c'è ben poco di platonico in uno platonico";
"Chi non parla della propria sessualità, non può parlare che a vanvera e in piena malafede di politica, sia da governato che da governatore... Chi non parla della propria sessualità non parla di niente, parla per parlare per l'appunto delle topiche dei demagoghi più rispettati: di politica, di economia, di religione, di Dio e di altri tiramolla del genere di cui è a libro paga, spesso neppure sospettandolo, perché, senza inserirvi l'etica civile e l'improrogabilità di uno stato aconfessionale, di cui il primo esempio mirabile è inattaccabile devi essere tu che ne parli, costui può dire tutto e il contrario di tutto e resterà nella zona franca dell'ininfluente e dell'inconcludente pettegolezzo tra comari prescelte affinché non vengano al dunque: come l'hanno usata loro. La benzina non si abbasserà mai e nessuna corsa agli armamenti subirà un alt finché anche le cittadine e i cittadini meno anali non ammetteranno che anche loro si mettono un dito o un dildo nel culo per annusarselo in santa pace. Non ci sarà mai nessuna democrazia finché un Presidente degli Stati a uniti o un Visir degli Emirati Arabi non aprirà il suo discorso di fine anno dicendo che il suo sogno per il nuovo anno è di arrivare a farsi un pompino da sé senza farsi dovere togliere due costole e che è da quando è stato eletto che non pensa ad altro, sorry";
"Se riesci a sputtanare te in modo tale da favorire un autosputtanamento di massa via via sempre più universale, uniti potremo sputtanare chiunque al mondo e snidare e ammazzare il Leviatano della politica e delle religioni fatte non per noi ma sulla nostra pelle";
"Fino a che non sarà la sessualità umana a sterminare la politica e non la politica a determinare la sessualità umana, nessuna democrazia sarà mai possibile";
E infine: "Ognuno sarà orizzontale a chiunque altro e meglio ancora se diagonale a chiunque altro, basta vertici e scranni del Dio Cazzo dei cazzoni al potere, e stare sopra sarà una mera variante dello stare sotto e viceversa, nessun attivo, nessun passivo, nessuna vittima necessaria designata da nessuno: chi dà prende e chi prende dà, cominciando dalle risorse a disposizione. La rivoluzione sessuale o è una rivoluzione olistica permanente o non è - e mai è stata".
Che altro si può dire di Aldo Busi, se non esilarante?
Lasciando perdere queste parti, che a livello di linguaggio sono le più forti, è un libro che consiglio a tutti, soprattutto a quelli un po' "fuori dalle righe", come me.
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Grey di E.L James
Avendo letto, a suo tempo, i tre libri della trilogia, ero molto curiosa di conoscere il punto di vista di Cristian Grey (anche se già sapevo che i dialoghi e il romanzo sarebbero stati la ripetizione esatta di un deja lu). Inizio dicendo che il romanzo è veramente troppo lungo e ripetitivo, che se avessi una figlia adolescente le proibirei tassativamente di leggere un libro "giurassico" che parla della donna vista solo come oggetto e di un uomo che decide di lei e del suo destino. Non tanto per le parti relative al sesso, perché ritengo che fra due adulti consenzienti a livello sessuale si possa fare tutto ciò che si sente giusto e adatto a sé (anche se, in questo caso, i due adulti non sono proprio consenzienti). Infatti vediamo Anastasia, che all'inizio del libro, a 21 anni era ancora vergine e che tutto a un tratto diventa la dea del BDSM, disposta ad avere svariati rapporti sessuali "particolari", pur di compiacere l'amato miliardario psicopatico. Lui, che dal momento che Anastasia esce dal suo ufficio, inizia a indagare su di lei, sulla sua vita privata e sui suoi spostamenti (con la mente malata degna di un perfetto stalker). I suoi dipendenti che, va bene che saranno pagati fior di quattrini, ma non fanno una piega alla vista dei comportamenti malati del capo, anzi li assecondano (compresa la governante di mezza età che si prende cura, con nonchalance, della "stanza dei giochi" e di tutto quello che contiene senza battere ciglio). In Grey vediamo un uomo d'affari che, secondo me, passa più tempo a fare jogging (quante corse si fa Cristian Grey durante le 582 pagine?) e allenamenti sfiancanti, che quelle trascorse a lavorare. E poi, dopo tutti quegli allenamenti, riesce ad avere tre-quattro rapporti sessuali di fila, senza morire stramazzato al suolo (non mi sembra di avere letto, nel romanzo, che ricorra ad aiutini...) In Anastasia troviamo la tipica rappresentante del "io ti salverò", che si fa abbordare dal pazzo scatenato e farà di tutto per cercare di redimerlo (anche se, assecondarlo nelle sue innumerevoli pazzie, non penso sia il metodo giusto), una ragazza che ha seri problemi di alimentazione, al limite dell'anoressia (in alcune parti non mangia da più di 24 ore), che accetta qualsiasi comportamento di lui senza pensare di scappare a gambe levate (pur essendo una ragazza moderna, che si laurea con i massimi voti). Insomma: un romanzo un po' fantaerotico, dove le uniche scene interessanti sono quelle in cui Grey suona il pianoforte e lei arriva semi-nuda in piena notte a sentirlo suonare, lui che la porta a fare un giro in elicottero e sul suo aliante, facendole provare emozioni nuove ed eccitanti (molto più eccitanti di quando la prende a cinghiate), o quando le fa svariati e costosi regali, viste le infinite possibilità economiche (un po' alla "Pretty Woman"). In tutto questo, l'unica cosa che mi ha stupita, è l'amore che lui prova per lei fin dal primo incontro (che invece nella trilogia non si era capito), lui che la pensa in continuazione sperando che Anastasia resti e non se ne vada, lui che ha un bisogno fisico di questa donna che vorrebbe redimerlo. Insomma: lo consiglio a chi ha letto la trilogia per vedere anche il punto di vista di Cristian Grey, avvisando che state per leggere un romanzo per niente eccezionale.
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Mi sa che fuori è primavera di Concita De Gregorio
"Le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più"
Questa è la frase che Mathias Schepp lascia alla moglie Irina, prima di scomparire insieme alle loro gemelle di sei anni, per non tornare mai più.
E da allora Irina è sola e cerca di superare il proprio straziante lutto.
Inizialmente, completamente smarrita, va in Asia, senza una meta; poi apre un'associazione che possa aiutare i bambini smarriti e le loro famiglie (www.missingchildren.ch), perché aiutando gli altri riusciamo un po' a sanare anche le nostre ferite e a sentirci meglio.
Ora, a distanza di quattro anni, Irina cerca di superare il proprio lutto anche attraverso la parola. La parola scritta è l'unica terapia che non aveva ancora provato e Concita de Gregorio, in questo toccante romanzo, la vuole aiutare a ricomporre i cocci. La terapia della parola, come unica forza capace di ricostruire, rigenerare e ridare senso alle cose (la funzione rigenerante della scrittura). Concita de Gregorio, all'inizio, non è convinta di scrivere questo romanzo; poi, dopo aver parlato per ben cinque giorni con Irina, capisce di voler affrontare il tema di come si superano le situazioni che sembrano disperate, siano queste un fallimento sul lavoro, la perdita di un amore o un lutto, partendo dalla tragedia di Irina e considerandola l'emblema massimo della sopraffazione, al cospetto del quale tutti gli altri problemi si ridimensionano.
La vita della madre delle due gemelline scomparse era tutta in frantumi (e anche il libro è composto da tante tessere diverse, come in un puzzle), ma Irina riesce a uscirne, perché non si chiude dentro il suo dolore. Così quando incontra un uomo che non sa niente di lei, è pronta ad accoglierlo. Perché di dolore non muori. Ed è proprio l’amore, l’oro liquido, la colla che non nasconde le fratture, che tiene insieme i pezzi di quel vaso: così ti rimetti al mondo ("ogni minuto della vita gira attorno a qualcosa che non c' è più, perché qualcos altro possa accadere"). Irina ha trovato in Luis (mani lunghe, un mazzo di chiavi del suo appartamento come primo regalo e tutto quello che si vorrebbe da un uomo) un amore nuovo, un altro amore, che non toglie niente a tutto il resto, ma «Mi distrae, mi porta fuori, mi fa ridere moltissimo. Mi lascia piangere quando arriva il pianto: sta lì in silenzio, fermo, tranquillo. Poi passa, mi prende la mano e mi dice: ora andiamo" e ancora "Non mi mette mai alla prova. È quel che è, c'è sempre. Anche quando manca", infine "Ti sente, ti tiene, ti accompagna, ti toglie lo zaino dalle spalle quando pesa troppo, nella marcia».
Il messaggio è chiaro: quando si perde qualcuno non si smette di vivere con esso, ma si continua a vivere per lui, perché il suo ricordo è il nostro.
Quando le cose non vanno, tutti ci sentiamo soli perché la solitudine rispetto al dolore è una condizione esistenziale che non fa distinzioni di alcun genere ("sei in pericolo ovunque, quando le persone attorno non ti vedono, non ti credono"), ma bisogna evitare di chiudersi nel proprio dolore e lasciare un'apertura che permetta all'amore degli altri nei nostri confronti di farsi largo e dare nuova linfa alla nostra vita ("c'è bisogno di essere felici per tenere testa a questo dolore inconcepibile").
Il romanzo tratta molti temi, tutti diversi fra loro (parla di solitudine, di freddezza, di burocrazia, di razzismo, di incomprensione, di gioia, di felicità e anche d'Amore) ed è il consiglio della coraggiosa Irina che voglio fare mio: l'Amore tutto può e tutto cura.
Mi ha colpita molto anche il fatto che esista una parola per chi rimane senza marito o moglie (vedovo), per chi uccide la moglie (uxoricida), chi resta senza genitori (orfano), ma non esiste una parola per chi perde i figli ("La parola mancante. Genitore che perde un figlio. Non che lo uccide: che lo perde"). Non c’è in tedesco, francese, spagnolo, italiano. C’è invece in ebraico (Av Shakul, maschile o Em shakula, femminile), forse perché è una lingua atavica, fatta di sostanza e materia anche quando parla di assenza.
Bellissimo e toccante romanzo, che consiglio di leggere a tutti.
Le frasi o espressioni che mi hanno colpita:
"Non ho la forza di sopportare il dolore degli altri"
"La memoria fa certi scherzi: lavora. È una specie di salvavita: quando deve cancella. Delete";
"Non torneranno, lo so. Ma non potrei vivere senza sapere che nella mia casa non c'è un posto per loro";
"Un amico è quella persona per cui anche se è cambiato tutto non è cambiato nulla";
"Il tempo non esiste. Siamo tutti al mondo allo stesso momento, nel passato nel presente e nel futuro"
"Quando Mathias ha portato via le bambine e poi si è ucciso, papà è venuto da me, un giorno, nella mia stanza mi ha presa per la maglia scuotendomi all'altezza delle spalle. Mi ha detto: tu non morire, non permetterti di farti e farmi una cosa così. Tu non devi morire, lui voleva ucciderti e tu non lo farai, non morirai.... È stato in quel momento, proprio in quello - guardandomi negli occhi di mio padre -, che ho capito che no, non sarei morta. Non potevo fargli quello, aveva ragione, non potevo farlo a me. Alle mie figlie. Ha sempre avuto ragione";
"Non sento la necessità di avere nuovi figli... Non mi mancano i figli: mi mancano loro... La nostalgia è fisica... È proprio impossibile colmare la mancanza di un corpo vivo... Non c'è niente, nessuno che possa sostituire l'assenza di qualcuno. Solo il sogno... Sono felice quando le sogno. Mi sveglio felice";
"Sono una madre, lo sarò sempre. Senza figli ma madre. Non servono figli per essere madri";
"Gli attributi di possesso dovrebbero essere vietati alle persone. Quando sento dire "mia moglie", "mio figlio" sono sempre a disagio. Anche Mathias lo faceva. C' è qualcosa di bugiardo e di leggermente violento in quel "è mio". Come una impercettibile sopraffazione. Un furto di identità. Nessuno è di nessuno, penso. Tutti, volendo, invece, di ciascuno";
"Dimenticare è impossibile, ma vivere si deve, perché la natura ha deciso così: il dolore da solo non uccide. L'assenza di un amore si ripara con altro amore"
"...solo l'amore di un figlio è amore, quello vero";
"Più doloroso di non avere accanto chi si ama c' è solo non sapere dov'è chi si ama. Non avere neppure il suo corpo da immaginare che cammina altrove"
"Sono lì in ogni istante. Dell'assenza non ti puoi mai liberare... La perdita di un figlio è la pietra di paragone, la misura aurea del dolore, il metro. Ogni altra difficoltà della vita è contenuta in quel perimetro".
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Sei la mia vita di Ferzan Ozpetek
Ho iniziato a leggere questo romanzo con grandi aspettative, visto che ogni singolo film di questo regista mi è piaciuto molto. Invece, se devo essere sincera, amo Ferzan Ozpetek come regista, ma non mi ha entusiasmata in questa performance. Ritengo che anche in questa avventura sia stato capace di coinvolgere il lettore parlando di sentimenti e facendolo in modo semplice, scorrevole e coinvolgente (soprattutto perché è efficace a descrivere le atmosfere e i luoghi). Come in tutti i suoi film parla di Amore, di amicizia e solidarietà e il romanzo è ricco di personaggi stravaganti, come lo sono i personaggi dei suoi film. Mi piace il suo amore per la condivisione, per l'amicizia, il suo desiderio di farci partecipi della sua vita e delle avventure che ha vissuto. Apprezzo e condivido l'importanza che l'autore da ai temi: omosessualità, malattia, assistenza di persone in difficoltà economica o di salute e della necessità assoluta di eguagliare i diritti di ciascun cittadino, eterosessuale e omosessuale. Però, se devo parlare di ciò che penso di questo romanzo, ritengo sia fin troppo sentimentale, melenso (quasi mi si è cariato un dente...) A mio avviso ha ripetuto allo sfinimento l'amore che prova per il suo compagno, rimarcandolo in continuazione, come se il lettore non riuscisse a identificarsi e avesse bisogno di una continua conferma dello stesso. Chiunque ami o abbia amato, riesce facilmente a identificarsi con i sentimenti dell'autore, quindi non penso ci sia bisogno di continuare a rimarcarli (non ho mai letto romanzi d'amore scritti da donne, con la ridondanza eccessiva e sfinente di questo romanzo). Quando è troppo, è troppo. Inoltre penso che Ozpetek abbia messo in questo libro troppi personaggi già visti nei suoi film, togliendo un po' di mistero e di novità alla narrazione. Ritengo che questo soggetto, riadattato, possa essere efficace per una pellicola di intrattenimento, ma è un po' banale come romanzo. Secondo me il lettore di un libro deve poter immaginare, interpretare, chiedersi e riflettere. In questo io non ho avuto la possibilità di farlo, quindi il mio giudizio finale è carino, ma niente di più. Al contrario di altri romanzi non mi ha lasciato molto, è facilmente dimenticabile.
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il cuore inesperto di francesca Scotti
Bello questo romanzo, che ho divorato in qualche ora, non riuscendo ad abbandonarne la lettura. E’ la storia di formazione erotica ed emotiva di Anita, diciottenne milanese che frequenta il liceo, ma soprattutto il conservatorio studiando viola. La musica permea ogni pagina e offre ritmo e melodia alla storia, ai sentimenti, al senso di solitudine che aleggia tra i personaggi. Infatti Anita (come quasi tutti i personaggi del romanzo) è una persona sola e la musica non solo è la sua vita, ma l'unico punto fermo di un'esistenza un po' frammentata: lei suona cercando la perfezione, guardando e sentendo le sue dita scorrere sulle corde, rifugiandosi in questo mondo magico, ma solitario. Mentre le sue coetanee sognano un seno perfetto, Anita sogna l’”orecchio assoluto”.
Il cuore inesperto, in realtà, non è solo quello della giovane protagonista, perché tutti i personaggi sembrano mostrare un certo impaccio nella gestione dei sentimenti: la madre che non riesce ad esserlo completamente, il padre pensa per lo più a rifarsi una vita con la sua nuova compagna, Ludovico sembra innamorato di Anita ma non riesce a dirglielo e Gabriele prova un sentimento forte, ma malsano per la protagonista.
Gabriele, quarantenne maestro di viola di Anita, è un uomo che ha fascino e soprattutto un grande ascendente su di lei. E’ un uomo molto solo, che vive in una sorta di eterno rimpianto, dal momento che l'insegnamento al conservatorio si rivela quasi il ripiego per il fallimento della sua carriera di concertista. Entrambi vorrebbero guarire la loro solitudine nello scambio con l’altro, ma il rapporto si rivelerà presto inadeguato e malato. Sia Anita che Gabriele hanno l'illusione che la musica e la loro ambigua relazione segreta possano sanare e colmare le delusioni di lui e riempire il vuoto affettivo di lei, ma non sarà così. Il cuore inesperto di Anita, che desidera crescere ed avere una sua dimensione di musicista e di donna, arriverà a scontrarsi con la delusione di quello che credeva un amore in grado di darle questo potere e invece si rivela una delusione.
Uno dei temi portanti del libro è il contrasto tra la volontà di esercitare un controllo totale sulla propria vita e il lasciarsi andare completamente ai sentimenti e alle passioni. Interessante anche l’attenzione al cibo, soprattutto nel suo aspetto estetico, dato dagli anni vissuti dall’autrice in Giappone.
Insomma: ritengo Francesca Scotti una scrittrice talentuosa per il suo stile pulito, la sua padronanza di scrittura, per il modo in cui “passa” anche a noi più inesperti la sua passione per la musica e soprattutto per la velata melanconia che permea il romanzo (odio i romanzi che parlano d’amore in modo melenso e scontato, mentre amo l’amore un po’ sofferto, perché l’amore è pathos, è eros ma anche tanathos). E’ veramente un romanzo che merita di essere letto.
Dal romanzo:
“Nella vita sono eventi fortuiti, imprevisti che mutano il corso degli avvenimenti”;
“Anch’io mi sentivo così: avevo tanto spazio, ma non sapevo come riempirlo”;
“Fidati, che il corpo sa tutto”;
“…Perché dopo quell’imprevista mezz’ora di una sera di dicembre, in cui tutto era rimasto accennato, era lecito immaginare come possibile qualsiasi cosa”.
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Sottomissione di Michel Houellebecq
Primo libro di questo arguto scrittore, che mi ha colpita e coinvolta. Non voglio prendere parte a polemiche politiche o disquisizioni destra-sinistra: mi voglio limitare a dire la mia su questo, secondo me, intelligentissimo romanzo. Troppo spesso siamo circondati da politici e intellettuali "tutto fumo e niente arrosto", qui invece, a mio avviso, l'arrosto è proprio succulento (a prescindere dall'appartenenza politica di ciascun lettore). L'autore ha il grande pregio di costringere il lettore a "pensare" e secondo me il lettore che affronta attentamente fino alla fine un testo come questo, ha anche l'intelligenza e la profondità di andare a vedere "cosa c'è dietro". Non riesco a pensare a un popolo talmente becero da non saper valutare: non posso e non voglio. Questo romanzo di Houellebecq ha il merito di costringerci a fare i conti con la profondità della degenerazione della borghesia laica e l'autore intende farci percepire quanta angoscia e quanto disagio l’essere umano provi di fronte al peso della libertà, dove la variabile politica è solo una delle sfaccettature, e forse neanche quella più importante.
Il fallimento è quello del laicismo: senza regole, senza morale, senza principi. La laicità, secondo l'autore, non può competere con il cattolico che è capace di avere fede o con il musulmano che è disposto a sottomettersi alla volontà divina. In questo romanzo si parla di "sottomissione" e non di "sconfitta" proprio perché essa avviene volontariamente: è l'esito di una scelta perfino democratica. L'uomo europeo baratta una parte della sua libertà in cambio di un'idolatrata tranquillità. La scelta di conversione non è religiosa, ma si riferisce all’incapacità di gestire il proprio libero arbitrio e di conseguenza la scelta di abbandonarsi a un sistema sociale che si farà carico di tutti i cittadini e che provvederà al benessere e alla serenità dei propri sudditi.
Uno dei motivi che lo hanno spinto il pessimista Houellebecq a scrivere questo romanzo è il fatto che inizia a essergli insopportabile essere ateo. L'autore sembra molto attratto dalla potenza della fede, qualunque fede, che attraversa l'Uomo e lo spinge a convertirsi, o meglio a "sottomettersi" per ritrovare un po' di felicità e un senso alla propria esistenza, che altrimenti sarebbe vuota, come una società allo sbando. Egli non crede in Dio ma afferma che nessuna società possa sopravvivere senza la religione, pena il suo stesso suicidio perché, con la famiglia, la religione risponde a una necessità sociologica essenziale che è di legare tra loro gli uomini e di dare senso alla loro esistenza.
In questo romanzo c'è la constatazione che ogni vero desiderio è scomparso. L'uomo colto, l'europeo dei nostri giorni, è intossicato dalla sazietà: non desidera più. E in assenza di desiderio, ogni sottomissione è già instradata. E poiché nella cultura dell’edonismo materialistico e nichilista l’unico piacere rimasto è solo quello dei sensi e della carne, l’unica possibilità di amare è quella legata al corpo. Ma qui l'autore ci mostra anche un corpo che non risponde, decade e si ammala, man mano la vecchiaia si avvicina.
In questo romanzo fanta-politico la civiltà occidentale lascia il campo alla nuova Europa islamico-liberista perché non ha nulla da offrire se non solitudine e aridità, persino a cittadini una volta privilegiati, come dei docenti universitari. Nel romanzo la svolta politica è accolta nell’indifferenza, perfino dal ceto intellettuale progressista, che accantona il proprio feroce laicismo per conformarsi o per farsi da parte silenziosamente. "Niente da rimpiangere", dice l'ultima frase. Non c'è niente da rimpiangere, quando non c'è mai stato niente che valesse la pena di tradire. In tutto questo la polemica anti-islamista, secondo me passa in secondo piano e non è assolutamente la parte più importante del romanzo.
L’intelligenza di questo scrittore è affilata e la scrittura profonda e mai banale. È un testo profondo e intelligente e lo consiglio a tutti!
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Genitrix di Francois Mauriac
È il primo romanzo che leggo di questo scrittore francese di fine '800 e non mi è piaciuto, quindi penso che non ne leggerò altri. Devo ammettere che questo tipo di romanzi non è assolutamente nelle mie corde. Di sottofondo un cattolicesimo frustrante, che accompagna l'opera dall'inizio alla fine, la presenza di una madre troppo opprimente e castrante: quasi un triangolo amoroso quello fra lui, la moglie e la madre, che anela quasi a un rapporto incestuoso con il figlio. La rappresentazione di una classe media molto moralista, per la quale ogni trasgressione è considerata a-morale e deviante. Una casa chiusa e soffocante, quasi fosse un carcere da cui voler scappare. La madre di Mauriac è rimasta vedova a ventinove anni e ha dovuto crescere sola i suoi figli che, probabilmente, come molte madri sole, ha schiacciato con la sua presenza asfissiante, con il pericolo di essere talmente opprimente da indurli all'omosessualità (?) Il dramma di un uomo totalmente dipendente dalla madre, che nello stesso tempo vorrebbe eliminare, anche se adora. Una sessualità vissuta solo al fine procreativo, la sublimazione di una moglie inutile e non amata, solo nel momento della sua morte. Totale assenza di femminilità e sensualità nell'intero romanzo: la donna è vista solo come essere diverso dall'uomo, come madre, ma assolutamente non come amante. Anche lo stile, a mio avviso, non è particolarmente degno di nota. Quindi, se qualcuno è indeciso sulla lettura o meno di questa opera, io non la consiglio, a meno non si sia degli amanti del genere.
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Io prima di te di Jojo Moyes
Romanzo molto interessante, ricco di spunti per riflettere e utile per calarsi nei panni, che non vorremmo mai indossare, di coloro che chiedono di morire dignitosamente.
L'eutanasia, letteralmente buona morte, è il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica. Il dolore e la sofferenza che si sperimentano durante una malattia per taluni possono risultare incomprensibili ed insostenibili, anche se viene messa in atto una terapia contro il dolore. Chi non lo ha provato non può capire e la decisione pertanto non può spettare a un terzo. Oltre al dolore fisico può risultare insostenibile far fronte alla sofferenza psichica conseguente alla perdita della propria indipendenza (che, in certi casi, può apparire anche peggiore). Per questo una società civile non dovrebbe forzare nessuno a sopportare questa condizione. Sicuramente con questa mia presa di posizione attirerò su di me le critiche dei sostenitori della vita a tutti i costi, ma io mi sento di dire quello che penso, cercando solo di far capire il mio punto di vista, senza cercare di convincere alcuno dello stesso. Ogni essere umano, a mio avviso, è libero di avere un suo punto di vista a riguardo, senza che nessun altro si permetta di giudicarlo. Come me, anche l'autrice di questo romanzo ha parlato di questo importantissimo argomento dall'esterno, senza schierarsi apertamente da nessuna delle due parti, per non influenzare il lettore e lasciare che ognuno ragioni con la propria testa. Coerente con la sua posizione, però, la fine del romanzo. Bello l'insegnamento sulla vita di Will a Lou: mentre lei non riesce a salvare l'uomo che ama da un destino funesto, lui riesce a salvare la donna che ama da una vita scialba e insignificante, lanciandola verso il futuro a piene mani. Pur amandola con tutto il cuore, anzi: proprio per questo, decide di lasciarla libera di vivere una vita "normale", senza i problemi di una malattia che pian piano li avrebbe portati entrambi a spegnersi ogni giorno di più, fino a trascinarla con sé in un inferno senza ritorno. Mi sento di dire che apprezzo moltissimo coloro i quali, pur avendo disabilità gravi, riescono a trovare uno scopo alla loro vita e a viverla pienamente e con soddisfazione e ritengo che il loro punto di vista sia da augurare a tutti i disabili dell'universo. Purtroppo, però, so che non è così, quindi voglio difendere anche coloro che la pensano diversamente e, pienamente capaci di intendere e di volere, decidono di porre fine a una vita secondo loro non dignitosa e non degna di essere vissuta. Alle persone che li amano, spero che il Dio in cui credono doni loro la forza di restare vicini ai propri cari fino alla fine (come ha fatto Lou con Will), anche se non condividono la loro scelta. Questo è dimostrare che ciò che provano per loro è vero Amore, perché amare è volere il bene dell'Altro!
E' un bel libro, scritto in modo fluido e scorrevole e l'autrice è stata coraggiosa: lo consiglio a tutti.
"Non ti sto dicendo di buttarti da un grattacielo o di nuotare con le balene o cose di questo genere, ma di sfidare la vita. Metticela tutta, non adagiarti..."
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Atti osceni in luogo Privato di Marco Missiroli
Ho appena letto due libri di giovani scrittori: una donna e un uomo under 40 italiani e devo dire di essere molto soddisfatta di entrambe le letture. Molto bravi gli scrittori e molto belli i loro libri, soprattutto quest'ultimo di Marco Missiroli, scrittore del quale non avevo ancora letto nulla.
Belli i classici, bravi coloro che li hanno scritti, ma ormai sono trascorsi 2-300 anni dalla loro stesura, anni che si sentono. Questi giovani scrittori invece sono freschi, attuali, miei contemporanei, vivono il mondo e la vita che ho vissuto io e provano i sentimenti e le sensazioni che posso vivere anch'io; impossibile, quindi, non immedesimarsi.
Dalla loro, inoltre, hanno il fatto di aver imparato ed essersi arricchiti leggendo i classici, cosa che i classici stessi, ai loro tempi, non hanno potuto fare. Quindi doppio complimenti a loro e alle loro opere e con questo mio incipit spezzo una lancia a favore dei "nuovi" rispetto ai "vecchi" (il mondo chiede di evolversi e di andare avanti).
Dopo l'incipit sono pronta ad affermare che il romanzo di Marco Missiroli mi ha letteralmente stregata. L'ho adorato e ho deciso di leggere la sua opera omnia (anche se, come lui ha detto, gli altri suoi libri sono più "di testa" e non sono spontanei e "di pancia" come questo, quindi immagino che mi piaceranno un po' meno). Ma, come succede da anni, uno scrittore del segno dell'Acquario non poteva non coinvolgermi, non emozionarmi, non stregarmi. Ha scritto di sé in modo magistrale, libero, coinvolgente, ma anche elegante e se io fossi uomo penserei e agirei esattamente come Libero (quindi come Missiroli).
Libero, il protagonista di questo affascinante romanzo è uno di noi, perché i suoi sono i nostri passi nel mondo, i nostri sentimenti, i nostri adii e le nostre sofferenze.
Libero lotta ogni giorno per togliersi di dosso l'invisibilità e per essere "qualcuno" e, segnato dalla separazione dei suoi genitori, scoprirà che il divorzio "è spesso è un capriccio contro la vecchiaia". Dopo il divorzio dei suoi genitori si prenderà cura di lui la bibliotecaria Marie, il suo primo desiderio segreto, "l'appuntamento dei sogni", la sua confidente e la sua coscienza, colei che gli farà scoprire l'affascinante mondo dei libri e della lettura consigliandogli di cominciare proprio con Lo Straniero di Camus e continuando con decine di capolavori, che formeranno il suo carattere e la sua vita sentimentale. Speciale anche il personaggio del padre, Monsieur Marsell, che resta sempre al margine, essendo invece molto presente nella vita e nelle scelte del figlio.
In questo romanzo Missiroli ci svela il significato più nascosto che si cela dietro ad un gesto, semplice e inconsapevole come quello che facciamo quotidianamente: la dignità di scegliere.
Più che un romanzo italiano contemporaneo sembra un film francese, per la capacità dello scrittore di rarefare il presente e creare atmosfere sospese, dove non si sa bene che epoca si stia vivendo (questo è uno degli aspetti che mi ma maggiormente intrigata).
Lo scrittore ha cercato di dare a questo protagonista la missione di essere il suo nome, quindi di essere libero. E l’unico modo che ha per essere libero è quello di proiettare e vivere le proprie fragilità. Quindi la liberazione di questo personaggio passa dalle fragilità quotidiane; se non le vivesse non sarebbe mai libero.
A dispetto della copertina, che sembrerebbe promettere qualcosa di scabroso, questo è più un romanzo di sentimenti che di sesso, è un libro sull'eros, ma da un punto di vista spirituale: inizia con un ragazzino di 12 anni che cerca di "allineare l'anima con gli ormoni" e continua con un uomo che, crescendo, capisce che il corpo non deve essere più consumato, ma vissuto. Nel frattempo viviamo la vita privata e lavorativa di Libero nel suo evolversi. Direi, quindi, di essere di fronte ad un vero e proprio romanzo di formazione.
Scrivere un libro così: dolce e malinconico, erotico e carnale non era certo facile, soprattutto il volerlo scrivere senza essere volgare. Eppure Missiroli è riuscito nel suo intento e, a mio avviso, in modo eccelso. Spero che lo scrittore decida di proseguire le avventure di Libero in un prosieguo, che sarò felicissima di leggere. Lo consiglio a tutti!
Frasi o espressioni che ho annotato:
"Mi ero accanito con la mano un'ultima volta, la decisiva, e solo allora avevo saputo come andava il mondo e come sarebbe andata la mia vita";
"La chimica non era attrazione, nemmeno complicità, nemmeno legame: consisteva nel ribollimento ormonale senza spiegazione. La chiave di tutto era: senza spiegazione. Al di là del viso, del corpo, dell'odore, da qualche parte in qualcuno resisteva un campo energetico che manipolava le scintille cerebrali. Quelle del finire a letto";
"Gli ebrei avevano conquistato il mondo a glande liberato, era solo una coincidenza? Anche la migliore letteratura apparteneva ai circoncisi: Singer, Primo Levi, Kafka";
"Rimasi a guardarlo per mezz'ora senza dire niente, il mio papà gelido e calmo. Poi gli dissi: Volià, je suis seul. Tu seras avec moi. E lo baciai sulla punta dell'orecchio, piano, come aveva fatto lui con il suo bambino";
"Il vero amplesso è il non fatto, il mai avuto, lo sfioramento eterno...";
"Lunette era la depositaria della mia purezza";
"Ognuno di noi, disse, accetta di superarsi per appartenere a qualcosa di altro da sé";
"La fragilità truccata da forza, era questa sua sostanza a ribollirmi";
"L'osceno è il tumulto privato che ognuno ha, e che i liberi vivono. Si chiama esistere, e a volte diventa sentimento";
"Ci sono notti che non accadono mai";
"Pianse di colpo, e piansi anche io. Non per nostalgia, non per desiderio, ma perché le cose finiscono";
"Elemosinavo legami camuffati da seduzioni, collezionavo carne per avere cuori";
"Anna era la mia rivelazione. Il sentimento per lei custodiva i miei atti osceni"
Ed infine: "eravamo insieme, tutto il resto l'ho dimenticato".
Le mani della madre di Massimo Recalcati
Questo libro è un viaggio nella maternità, quindi in un’esperienza sconosciuta e inconoscibile per l’uomo, inteso come maschio. Questo incipit per ricordare a tutti gli esseri umani di sesso maschile (fra i quali includo anche Recalcati, anche se esimio psicanalista) che solo una donna, anzi solo una “Madre”, può provare dentro di sé tutto quell’insieme di sensazioni (prima e dopo la nascita del proprio figlio) impossibili da spiegare a parole. Per questo mi è sembrato che Recalcati abbia affrontato in punta di piedi questo delicato argomento nel suo saggio che, comunque, è una lettura interessante, scorrevole e ricca di esempi e di spunti nei diversi ambiti dell’arte, del cinema, della poesia, della letteratura e della psicanalisi.
”Madre è il nome dell’Altro che tende le sue nude mani alla vita che viene al mondo, alla vita che, venendo al mondo, invoca il senso”, ci dice, all’inizio del libro.
La maternità è un’attesa, ma l’attesa di una Madre è attesa di qualcosa di unico e irripetibile e non importa se quello che attende è il terzo o quarto figlio, poiché ogni figlio è unico e «destinato a modificare il volto del mondo». Inoltre l’amore materno, se è amore per il figlio reale, non è mai amore per una rappresentazione ideale, ma piuttosto amore per la sua irregolarità, per la sua stortura, per le sue particolarità e imperfezioni.
Una delle lezioni dell’essere Madre è quella di “andare verso”, aprirsi all’Altro, dicendogli: “Eccomi!”. Eccomi significa: “Sono qui per te, ti ho voluto, tu sei mio figlio” (la maternità nasce, infatti, già con il desiderio del figlio). Dove c’è presenza e contenimento la vita si umanizza. La genitorialità è innanzitutto presenza e parola e i genitori devono far sentire i propri figli non abbandonati, non soli. E’ una responsabilità illimitata senza proprietà, è per sempre e non chiede niente in cambio, è quell’Amore incondizionato di cui ognuno di noi ha bisogno per crescere e diventare “umano” e vitale. Secondo Lacan, la definizione più alta dell’Amore è: dare all’Altro ciò che non si ha, ciò che manca a noi stessi ed è questo l’Amore auspicabile.
Altrettanto importante per la genitorialità, però, è saper dire: ”Vai!” , quando necessario. La sfida della genitorialità è riuscire a tenere insieme l’”Eccomi” e il “Vai”, perché solo chi sa perdere chi ha generato può essere una madre autentica. Saper abbandonare un figlio, lasciare che lui possa fare esperienza della nostra assenza è importante quanto garantirgli la nostra amorevole presenza, perché rende possibile la sua alterità, la sua separazione da noi, visto che una Madre genera la vita, ma non la possiede.
Uno dei compiti fondamentali dei genitori è quello di lasciare andare i figli senza avere progetti su di loro che diventano destini, spesso con esiti infelici. Quella dei genitori è una responsabilità illimitata senza proprietà. Per cercare di svolgere il nostro “compito impossibile” la cosa migliore che possiamo fare è essere al servizio dei talenti e delle inclinazioni dei nostri figli, dando loro fiducia e facendo loro una promessa, che è l’eredità che possono raccogliere, che dice che se seguiranno i loro desideri, avranno soddisfazione nella vita, ed è una promessa che dobbiamo testimoniare con i nostri atti.
Un’altra cosa importante è che la madre non sia solo Madre, ma anche Donna, con i propri desideri e le proprie aspirazioni, perché solo esistendo come Donna può continuare a fornire ai figli l’ossigeno necessario per la vita. E’ fondamentale che la Donna non si auto-annulli nel ruolo di genitrice e in questo la può aiutare il Padre, nel senso di una terza persona, che intervenga a spezzare il legame esclusivo tra la Madre e il proprio figlio, affinché entrambi imparino e riescano a fare a meno l’uno dell’altra.
La maternità, però, oltre a grandi soddisfazioni porta con sé anche fantasmi d'onnipotenza, perché il bambino offre spontaneamente «quello che nessun soggetto maschile è in grado di offrire alla propria compagna», ossia «la sua stessa esistenza, senza riserva», per questo è molto importante che la Madre, ad un certo punto, capisca di doversi staccare dalla creatura che ha generato, donandogli la cosa più importante e necessaria per la riuscita della sua vita: la Libertà!
E sempre emerge, prepotente, anche il fantasma della Madre della madre: recidere simbolicamente questo legame è la condizione per un accesso positivo alla maternità (molto importante, infatti, nella vita di ogni donna, il rapporto che ha avuto con la propria Madre).
Recalcati condanna, nel suo saggio, in egual misura la Madre che sopprime la Donna (come accadeva nella versione patriarcale della maternità), sia la Donna che nega la Madre (atteggiamento che notiamo spesso negli ultimi anni), entrambe declinazioni patologiche dell’essere femmina.
A conti fatti possiamo affermare che il compito della Madre è un “tantino” impegnativo ed esserlo in modo giusto ed equilibrato è un’impresa difficile, al limite dell’impossibile.
Ma tutti i nostri sforzi sono ripagati nel momento in cui nostro figlio, a qualsiasi età, ci guarda con i suoi occhi grandi e luminosi, dicendo: ”Ti voglio bene, Mamma. Sei la Madre migliore che un figlio possa desiderare”. In quel momento andiamo in brodo di giuggiole e siamo disposte a “zerbinarci” per lui… Per quale altro uomo saremmo disposte a fare una cosa del genere?!?
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La felicità - un viaggio filosofico di Frédéric Le
Interessante saggio sulla ricerca della felicità, scritto da Frédéric Lenoir (filosofo, sociologo e uno dei maggiori esperti in storia delle religioni). Il libro è un viaggio filosofico nel quale lo scrittore percorre nel tempo l’idea-concetto della felicità, da Aristotele ad Epicuro (che ne fecero il tema centrale della loro filosofia, convinti che la ricerca del piacere fosse innata nell’essere umano), Kant e Schopenhauer (i più autorevoli pessimisti), passando per Buddha, Chuang-tzu, Epitteto, Montaigne e Spinoza, attraverso un percorso che ci consenta di dare un senso alla nostra vita, divenendo maestri nell’arte più eccelsa: quella di divenire se stessi, tentando di soddisfare al meglio le nostre vocazioni.
Il pensiero sulla felicità cambia nella storia dell’uomo, ma leggendo questo saggio possiamo notare che le convinzioni dei grandi sulla felicità non sono del tutto dissimili e non esiste una ricetta valida per tutti. Secondo l’autore sarebbe più facile rispondere alla sola domanda: “Cosa mi rende felice?”, piuttosto che all’eterna interrogazione: “Cos’è la felicità?”, perché molto dipende dalla nostra Weltanschauung (cioè dalla visione del mondo, dall’ottica con cui guardiamo alle cose e noi stessi). La tendenza, comune un po’ a tutti, è quella di essere poco centrati sul presente, venendo distratti dal continuo rimuginare sul passato o dalle preoccupazioni rivolte al futuro e questo atteggiamento non aiuta la serenità. Da qui l’invito dell’autore a non perderci in pensieri vani, ma a vivere in piena consapevolezza ogni esperienza quotidiana. Secondo i maestri spirituali di ogni epoca una tale disposizione d’animo può far sì che ogni nostra attività, si trasformi in una - sia pur piccola- fonte di felicità. L’idea della felicità, secondo l’autore, è una norma morale, filosofica, costituente la felicità individuale ma che diviene fondamento della felicità collettiva, perché crea i doveri del vivere civile. La ragione quindi, conduce alla felicità del singolo (imparare a conoscersi per condurre un’esistenza il più conforme possibile alla nostra natura), senza eludere la felicità sociale di cui tanto discutevano i saggi dell’antichità. Per i greci il bene comune era superiore alla felicità individuale e i fondatori delle nostre prime repubbliche condividevano questo punto di vista. Oggi è ancora così? L’egocentrismo e l’indifferenza verso gli altri hanno generato disuguaglianze economiche così profonde da spaccare l’Occidente tra l’ideologia consumistica e la coscienza solidale. Inoltre viviamo in un’epoca in cui essere felici è quasi un dovere: siamo “condannati” ad essere uomini e donne di successo, in perfetta forma e sempre giovani. Concezione misera di felicità, che si riduce a puro edonismo e consumismo, col risultato di dare solo piacere immediato e superficiale. Di contro, dice Lenoir, “la felicità del saggio non dipende dagli eventi sempre aleatori che derivano dal mondo a lui esterno (salute, ricchezza, onori, riconoscimenti ecc.), ma dall’armonia del suo mondo interiore” all’insegna dell’accettazione e della magnanimità.
Questo saggio è un lungo cammino - punteggiato di interrogativi - nella filosofia e nella storia del pensiero, che ci conduce alla considerazione che essere felici è dare senso alla propria vita. Ma una felicità profonda e duratura diventa possibile quando cambiamo il nostro sguardo sul mondo: fuori e dentro di noi.
“Mentre si aspetta di vivere la vita passa” Seneca;
“La nostra felicità dipende da ciò che siamo” Arthur Schopenhauer;
“Il nostro grande e glorioso capolavoro è vivere come si deve” Michel de Montaigne.
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Pétronille di Amélie Nothomb
È il secondo libro che leggo di quest'autrice particolare e affascinante; due libri di generi diversi, ma altrettanto interessanti. Questo è la storia di una strana amicizia tra due donne, due scrittrici di provenienza opposta: l'una è Amélie, aristocratica figlia di un diplomatico, la quale trascorre la sua vita fino ai ventun anni fra ambasciate, ambasciatori e cene di rappresentanza. L'altra, Pétronille, una proletaria figlia di gente di sinistra, con tutte le implicazioni del caso.
Cosa può accomunare due donne così diverse? L'amore per la scrittura ( "Al riparo dietro la carta, riesco a liberarmi dal mio eccesso di emozione") e quello per lo champagne ("... La felicità mi riempì la bocca...") consentono loro di incontrarsi svariate volte, in diversi periodi della loro vita, per condividere dei momenti di svago, cultura e bevute.
Interessanti il fascino e l'ammirazione che ciascuna delle due ha sull'altra per le doti intellettuali che la contraddistinguono, che tentano di superare la barriera sociale che le vorrebbe divise. Soprattutto Amélie, dall'alto della sua aristocrazia, che non vorrebbe dimostrare ma suo malgrado ostenta in ogni atteggiamento, è affascinata dall'amore per la cultura di Pétronille, nonostante la sua provenienza proletaria, che la vorrebbe trascinata in giù, verso una vita "bassa" e scialba ("la guardavo con la stupida ammirazione che hanno quelli della mia specie quando incontrano un autentico proletario"). Soprattutto Amélie, in alcune occasioni, mi ha fatto sorridere per il tentativo malriuscito di avvicinarsi alla vita plebea. Notiamo la loro diversità, però, nell'atteggiamento che ognuna ha con la scrittura: Amélie per tutta la vita può permettersi di vivere di scrittura, perché non ha problemi economici; Pétronille, invece, fra un libro e l'altro vive quasi di stenti (arriva a fare la tester di medicinali e dimostrazioni di roulette russa a pagamento per guadagnarsi il pane). Anche se, verso la fine del romanzo, capiamo che ciò che la spinge a fare queste cose, oltre al bisogno, è l'amore per il rischio ( "E se Pétronille si metteva in pericolo fino a quel punto, era per conoscere quell'esaltazione suprema, quella dilatazione estatica del sentimento dell'esistenza"). Alla fine della lettura ho trovato questo secondo romanzo della Nothomb interessante (mi hanno sempre affascinata le persone che riescono ad affiancare al loro lato "alto" e intellettuale, delle caratteristiche "basse" che le avvicinino anche alla carne, alla loro natura umana e terrena) e ho intenzione di approfondire la conoscenza di questa scrittrice molto particolare, quindi lo consiglio.
Alcune frasi o espressioni che mi sono piaciute, oltre a quelle già citate:
"L'ascesi è un mezzo istintivo per creare in sé stessi il vuoto indispensabile alla scoperta scientifica"; "Mi piaceva che rivolgessero al mio bicchiere uno sguardo di cupidigia, a patto che non fosse troppo insistente"
"Passare da un incontro sulla carta a un incontro in carne e ossa significa cambiare dimensione... Spesso vuol dire operare una regressione, scadere nella banalità"; "In fondo, aveva ragione. Bisognava forzare il destino. Se fosse dipeso dal mio spirito d'iniziativa, non sarebbe successo mai niente, nella vita".
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Stoner di John Williams
Attenzione: contiene spoiler.
Ho deciso di leggere questo romanzo per le ottime recensioni di tutti coloro che hanno intrapreso prima di me questa bellissima avventura. Ho cercato di approcciarmi allo stesso cercando di non farmi influenzare dalle critiche entusiastiche altrui, ma alla fine non posso fare altro che convenire con tutti i lettori che mi hanno preceduta: ho letteralmente amato questo libro. Per l'ineluttabilità della nostra condizione umana, la leggerezza e la brevità del nostro passaggio su questa Terra in questa vita, che - seppur breve - ci è dato di attraversare, per la fortuna di poter conoscere e incontrare le persone con le quali condividerla, che ci amano e che amiamo. John Williams descrive la vita normale e quasi "piatta" di quest'uomo in modo profondo e molto coinvolgente, tirando fuori tutta la nostra empatia per quest'individuo sfortunato, che spesso non sa o - peggio - non vuole reagire a tutto ciò che di negativo gli accade, quasi a volerlo salvare da sé stesso. Come se potessimo aiutare lui, non sapendo, o non potendo, aiutare e salvare noi stessi. Vediamo William Stoner attraversare la propria vita in modo inetto e passivo, senza poter fare molto per scuoterlo, per destarlo e convincerlo a salvarsi da sé, per cui restiamo delusi e amareggiati, ogni volta, per la nostra corrispondente passività. Una vita deludente sia dal punto di vista sentimentale (una moglie che non lo ama e un'amante che lo fa, ma non lo può salvare), un collega - Lomax (deforme nell'aspetto fisico, ma ancor di più nel cuore e nella morale) - che rende anche la sua vita lavorativa deludente, una figlia - Grace - che come il genitore vive una vita catastrofica e insensata (peggiore anche di quella del padre) e l'incapacità di Stoner di aiutarla e di salvare almeno lei.
Solo nel punto del romanzo in cui trova in Katherine l'amore, lo vediamo gioire, vivere, godere delle cose belle della vita, ma purtroppo non gli è dato di essere felice per troppo tempo (come nemmeno a noi) e, quando l'amante se ne va, Stoner sente che la parte più bella della sua vita è finita e a soli quarantatré anni inizia piano piano a spegnersi.
Bellissima, però, la scena finale, in cui alzandosi e guardando fuori dalla finestra, prima di morire, vede dei giovani studenti camminare felici nel campus, perché la loro vita - al contrario della sua che sta per finire - continuerà (anche se il loro incedere è così leggero, da ricordarci la lievità del nostro passaggio su questa Terra).
Bellissimo romanzo, molto profondo e toccante, che consiglio a chiunque voglia intraprendere una lettura leggera, pulita e fluida nella forma, ma molto profonda e toccante nel contenuto.
Alcune frasi, o espressioni, che mi sono piaciute:
- riguardo al suo rapporto con l'amante : "Passavano dalla passione alla lussuria, fino a una profonda sensualità che si rinnovava di momento in momento" e ancora, prima di lasciarsi :"Si accoppiarono con la tenerezza e la sensualità di sempre, date dalla conoscenza reciproca, e con una nuova, intensa, passione, legata alla consapevolezza della perdita". Dopo molti anni, quando riceve il romanzo scritto dall'ex amante:" Il senso di quella perdita, che aveva rinchiuso così a lungo dentro di sé, straripò sommergendolo mentre lui si lasciava portare alla deriva, oltre il controllo della sua volontà, perché ormai non voleva più salvarsi";
- quando Stoner parla con la moglie di Katherine, la sua amante che se ne è andata, e la consorte gli dice che la loro è stata solo un'avventura insignificante, Williams descrive questa bellissima scena: "Lui annuì con aria assente. Fuori, sul vecchio olmo che occupava quasi tutto il recinto sul retro, un grande uccello nero e bianco, una gazza, aveva cominciato a gracchiare. Stoner ascoltò il suo richiamo, contemplando con remoto incanto il suo becco aperto, da cui lanciava quel grido solitario";
- parlando della disperazione della figlia, Grace: "E alla fine Stoner capì che Grace, come gli aveva detto, era quasi felice nella sua disperazione. Avrebbe vissuto serenamente, bevendo sempre un po' di più, anno dopo anno, per stordirsi e non pensare al nulla con cui si era ridotta la sua vita";
- infine, quando la morte si avvicina : "I moribondi sono egoisti, pensò. Vogliono il momento tutto per sé, come dei bambini", e, per finire, "Vaghe presenze si affollavano ai bordi della sua coscienza. Non riusciva a vederle, ma sapeva che erano lì, a raccogliere le forze in cerca di una palpabilità che non era in grado di vedere né di sentire. Si stava avvicinando a loro, lo sapeva. Ma non c'era alcun bisogno di correre. Poteva ignorarle, se voleva. Aveva tutto il tempo del mondo".
Pronto soccorso per l'anima offesa
Un manuale che vorrebbe insegnarci a comprendere i meccanismi dell'offesa e dell'umiliazione, per evitare discussioni accese o aggressioni che ci aspettano dietro l'angolo nella nostra vita quotidiana. Il libro è diviso in due parti: nella prima sono descritti i punti di vista dell'offeso e dell'offensore, nella seconda vorrebbe aiutarci ad adottare un atteggiamento più pacato nei confronti delle offese.
Visto che l'azione di offesa non è oggettiva, ma soggettiva (ciascuno di noi si sente offeso o mortificato per motivi diversi rispetto a quelli di un altro), ogni cosa potrebbe essere giudicata un'offesa. Siamo noi, quindi, a decidere cosa ci offende o meno e siamo liberi di decidere se accettare la svalorizzazione o se rispedirla al mittente.
Sicuramente è provato che le mortificazioni colpiscono i nostri punti deboli e indeboliscono la considerazione di noi stessi: le persone che, quindi, hanno già una bassa autostima, sono soggetti predisposti a sentirsi più offesi di altri (infatti un soggetto molto sicuro di sé non si offende facilmente). Molto spesso il problema, nei soggetti insicuri, è la continua ricerca di approvazione e conferme all'esterno e, se queste non arrivano, la loro visione negativa di sé stessi e di conseguenza anche la loro autostima, peggiorano ulteriormente.
Tutti dovremmo imparare a sganciare il nostro benessere dalle figure esterne a noi e cercare il benessere al nostro interno. Dovremmo cercare di essere comprensivi con gli altri e non avere pregiudizi, rispettandoli, per poter avere da loro, a nostra volta, rispetto.
Ricordiamoci anche di essere importanti almeno quanto l'altro, quindi non adeguiamoci sempre, per paura di far finire le nostre relazioni. Facciamo valere il nostro punto di vista, cercando parole giuste e non offensive.
Di solito gli individui offensivi sono persone insoddisfatte e amareggiate, che si sentono rifiutate dagli altri e che devono sminuire in continuazione il prossimo per fare bella figura.
Cerchiamo di non cadere nella loro trappola, non enfatizziamo le loro provocazioni, ma cerchiamo di smorzarle: la provocazione funziona solo se qualcuno la raccoglie, altrimenti cade nel vuoto e perde forza.
Dobbiamo imparare a prendere le offese con filosofia, ammettendole (in modo, poi, da poterle superare), senza però farci sopraffare.
Cerchiamo di consolidarci sul piano interiore, per divenire più forti, più sicuri di noi, per riuscire a non farci mortificare.
Siamo noi a decidere se e perché offenderci e impariamo ad avere il controllo sulla nostra vita, perché siamo noi a determinare la nostra fortuna.
Alla fine del libro è citata una frase di Christoph Oetinger, che già conoscevo e apprezzavo, che recita:
"Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza si comprenderne la differenza".
Tra la moltitudine di manuali di auto-aiuto letti questo non è il migliore, ma è comunque utile, se riusciamo a metterne in pratica i suggerimenti.
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