Opinione scritta da Ettore
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Meglio il secondo piatto
Questa non è di per sé una recensione, ma l'indirizzamento a una lettura successiva, ovvero il libro seguente di Koch: Villetta con piscina.
Perché dico così? Perché in Villetta con piscina troviamo praticamente le stesse tematiche della Cena: personaggi ambigui, a volte crudeli nell'intimo, trama frammentaria e colpi di scena sul finale.
Ma la Cena l'ho trovato un libro poco maturo, inesplorato. Koch fa ampio uso della quotidianità come arma narrativa, ma nella Cena i capitoli dove questa quotidianità dovrebbe essere accattivante, o comunque incisiva per la trama, risulta abbastanza vana, riempitiva. Già a metà libro il "mistero" per cui queste coppie si radunano al ristorante viene svelato, assieme alle motivazioni, e dunque il resto appare più scialbo. Qualche caratterizzazione in più, ma nulla di che.
Lo stile di Koch è cinico, freddo e il protagonista analizza le persone come se conoscesse tutte le piccole regole della psicologia, al contrario di quello di Villetta con piscina, dove il personaggio ha una motivazione maggiore per essere arrogante e a volte retorico.
Quindi, a mio avviso, La Cena è un romanzo discreto ma incompleto, inesplorato, dove poteva esserci molto da dire. Lo trovo quasi immaturo, nonostante l'età dell'autore.
Comunque niente paura. Con Villetta con piscina tutto viene sistemato. E si potrà anche dire di aver trovato una perfezione stilistica.
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Ancora una volta, per il pubblico
Visto lo strepitoso successo riscosso dopo l'adattamento cinematografico, mi sono deciso a leggere questo Hunger Games, partendo dal sadico e gustoso proposito di stroncarlo... ma mi sono dovuto ricredere, almeno in parte.
Sono troppe ormai le saghe pseudo-fantasy adolescenziali da cui poi vengono tratti dei film. Amori impossibili, sdolcinati e mal realizzati. Racconti che non fanno altro che entusiasmare una mandria di ragazzine (e mi dispiace, ma purtroppo è il sesso femminile a risentirne di più) e che caratterizzano gli adolescenti come bamboccioni dal cuore palpitante.
Hunger Games è tutto questo ma fatto in maniera decorosa. Gli elementi per il successo ci sono tutti; non possiamo parlare di "alta letteratura" ma la morale finale è importante: un prodotto commerciale non deve per forza essere brutto.
Inoltre va sottolineato che questo è un libro per ragazzi, e che finalmente vengono poste delle tematiche e delle morali che possono soltanto fare bene ai lettori: il capitalismo cannibale, la povertà, il mondo materialista in genere.
Sono rimasto colpito dalla storia d'amore, indispensabile solo per portare questa tipologia di romanzi nelle librerie. Non è per nulla banale, e se lo sembra il tutto viene giustificato dall'obbligo impellente di dare al pubblico di Capitol City quello che vuole vedere... un po' come gli scrittori di questi generi fanno per i lettori.
I sentimenti di Katniss si fanno sempre più confusi; innamorata in realtà dell'amico d'infanzia, si trova a dover fingere una relazione con il compagno di gioco, ma quanto potrà durare questa finzione? Cosa succederà una volta che i giochi saranno finiti e lei si troverà immischiata in un ménage à trois? E' una love story per nulla banale, soprattutto se proposta a un pubblico di ragazzi.
Per il resto, il libro è fluido, si legge velocemente, il gioco mortale è edulcorato apposta per il target mirato ma le riflessioni sulla sopravvivenza e le sue difficoltà non mancano.
Non possiamo parlare di un prodotto originale; al di là del più-che-citato Battle Royale, L'Uomo in Fuga di Stephen King analizzava praticamente le stesse cose di Hunger Games.
Il risultato finale è un buon libro che invoglia a proseguire la storia.
E soprattutto, se un'opera nata per fare soldi riesce nel suo intento mettendo in piedi qualcosa di godibile, con dei valori che possono insegnare qualcosa ai giovani, ben venga.
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Puzzle rosso sangue
In una stazione di polizia, due poliziotti trovano il video-messaggio di un assassino, che desidera raccontare la sua storia. Sembrerebbe un poliziesco, e sembrerebbe che le pagine successive siano il classico flash back, ma ci troviamo invece immersi in 3 storie che corrono su binari differenti per poi arrivare tutti alla stessa fermata.
Ispirato allo stile del vecchio Tarantino, l'autore sceglie di frammentare il suo romanzo in scene apparentemente discostanti per narrazione e atmosfera. Il primo capitolo inizia con una imbarazzante cena tra amici, il secondo mostra un uomo con il volto coperto da una maschera di Paperino, che accompagna una pornostar dentro un camper abbandonato nel bosco, e il terzo un ragazzo che si sveglia per cominciare l'ennesimo giorno di scuola.
Cosa hanno in comune questi tre capitoli? Solo la lettura può spiegarlo.
Un incastro perfetto, che non lascia buchi narrativi. Un romanzo di formazione, si potrebbe dire, se non fosse che questa formazione è assolutamente nichilista, negativa, e porta i personaggi a scegliere lucidamente la strada del male.
La scrittura è arricchita da un costante humor nero di cui i protagonisti sono consapevoli, perché sanno di trovarsi in delle situazioni paradossali e folli. La follia, infatti, è la parola chiave di questo romanzo.
Sangue, tanto sangue che potrebbe allarmare i più delicati, ma che non è mai gratuito e serve per lasciare l'impronta stilistica dell'autore, che fa l'occhiolino a gran parte del cinema horror, ma anche alla cultura pop in generale, tra fumetti e cartoni animati.
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Cercano l'uomo che si nasconde
Non sono un fan di King. Potrei dilungarmi molto sulle motivazioni che non mi fanno apprezzare lo scrittore, ma la domanda a cui mi sento di rispondere (soprattutto per correttezza ai lettori di questo commento) è questa: se non mi piace King, perché allora leggo i suoi romanzi?
Perché, che mi piaccia o meno, King è un grande inventore di trame, ed è per questo che mi sono trovato molte volte a leggerlo come se soggiogato da un incantesimo, che infine però si infrange.
Le sue trame sono sempre intriganti, ma "L'uomo in fuga" è riuscito anche a sorprendermi per la sua piacevolezza. Forse perché ha dalla sua la brevità, mentre i must di King, da "It" a "Shining", sono dei mattoni che, a mio dire, sono privi di ritmo e di contenuti che giustificano così tante pagine.
"L'uomo in fuga" è un lavoro sia semplice che ambizioso. Un mondo dispotico in cui le persone sono ipnotizzate dalla televisione onnipresente, che trasmette programmi dove i più poveri e malmessi si giocano la vita per denaro, e che vengono spinte a ignorare il degrado sociale e ambientale in cui vivono.
Nel romanzo, Richards, protagonista indiscusso, a causa del suo dramma personale prova a partecipare in uno dei giochi, ritrovandosi però nel più pericoloso: l'uomo in fuga.
Il romanzo è scorrevole, intelligente, e non osa mai troppo, riuscendo probabilmente a piacere a chiunque. Forse però proprio questa particolarità non me l'ha fatto godere appieno, perché il protagonista (voce del romanzo) non riesce a essere né un eroe né un anti-eroe, e tutti i suoi dialoghi sono pieni di morale posticcia - eroica - condita da un linguaggio scurrile per poter sporcare un po' il personaggio - anti eroe -.
Inoltre un'altra mia critica va ad alcuni commenti che ho letto nel web: trovo inutile paragonare questo romanzo a quello di Orwell. King non riesce minimamente ad avvicinarsi al dramma sociale e psicologico, alla terribile intelligenza politica di 1984.
Per me "L'uomo in fuga" è stata una piacevole lettura, da week-end, con un finale non troppo scontato, anche se a tratti comico.
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Mal bianco
[Contiene spoiler]
Quale sarebbe il primo punto che farei notare se dovessi consigliare "Cecità"?
Lo stile, sicuramente. Forse "cieco" è la parola esatta. Non so se l'autore ne fosse consapevole, ma credo sia difficile non trovare delle analogie con lo stile di Joyce espresso nell'Ulisse. Uno stile personalizzato, però, questo, che di certo non plagia né imita: lo scorrere della narrazione e dei dialoghi è interrotto solo da una sottile punteggiatura, e non ci sono nomi propri a identificare i personaggi.
Uno stile particolare e unico, che di certo è il motivo per cui questo libro non può essere ignorato.
I contenuti, poi, sono senz'altro elevati. Partendo dall'inizio dell'epidemia chiamata "mal bianco", ci si ritrova a viaggiare attraverso una (dis)avventura che analizza le sfaccettature umane, tra l'amore e le crudeltà.
Oggettivamente, quindi, il tentativo dell'autore è lodevole, ma purtroppo non mi sono ritrovato emotivamente coinvolto nel romanzo. Forse appunto a causa di questo stile originale che, dopo la piacevole scoperta, alla lunga mi ha un po' stancato.
Il tutto mi è sembrato troppo asettico, il che, visti gli eventi narrati, mi è sembrato strano, come se dovessi prendermela con le mie capacità di lettore.
Inoltre, riassumendo il libro, ho trovato la narrazione troppo didascalica, quasi illustrativa: inizio malattia - conseguenze - fine della malattia; e il finale, anche se con un'ultima frase commovente, mi ha lasciato abbastanza deluso.
E' comunque una mia analisi soggettiva, di chi forse cercava qualche emozione diversa.
Di sicuro è un libro che merita di essere letto, e apprezzato.
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Il giallo che non sbiadisce mai
[contiene spoiler]
Non sono un lettore abituale di gialli, e ho iniziato "10 piccoli indiani" perché spinto dalla popolarità del Classico Capolavoro. Credevo che mi sarei annoiato: i gialli classici invecchiano male, le loro originalità vengono estrapolate e usate in altri mille titoli, e tutta l'atmosfera viene rovinata per colpa di quelli che, ora, sono chiamati cliché.
Ma i cliché hanno una matrice, e quella matrice è rivoluzionaria, e la rivoluzione, purtroppo, come spesso accade, funge da tappeto per i posteri, che sanno solo tirare i fili del suo tessuto.
Quindi, se dovessi fare una critica, criticherei tutti i giallisti che dal 1939 non hanno saputo rivoluzionare il giallo; e pensare che il film "Saw, l'enigmista", del 2004, è in sé un riadattamento di tutta la vicenda finale del romanzo.
Ho messo l'avvertenza spoiler, quindi attento a chi legge: il killer che tutti pensano essere morto come una normale vittima, le persone che sono lì per essere giudicate... dopo 64 anni rivediamo tutti questi aspetti riportati su una pellicola del 2004. E questo significa appunto che "Dieci piccoli indiani" è uno di quei romanzi che non invecchia e che continua a fare scuola.
Il romanzo, inoltre, non si ferma al mero caso "investigativo". Dieci persone con le loro colpe, con i loro pentimenti, con il loro passato da scoprire. Non c'è respiro per il lettore: quando il racconto si prende una pausa dagli omicidi, il passato di un tale personaggio viene sempre più a galla, e l'idea che ci si è fatti di questi piccoli indiani è in continuo mutamento.
Oltre ad avere dei grandi personaggi, il giallo è in sé molto intrigante. Durante la lettura ho sempre tenuto d'occhio la poesia sui dieci negretti per scoprire il modo in cui sarebbe morta la prossima vittima.
Certo, da "uomo moderno", scoprire l'identità del killer in maniera epistolare non mi ha soddisfatto del tutto. Alcuni omicidi li ho trovati forzati, specie quello dell'orso di marmo, e anche la messa in scena della morte del killer non mi ha convinto senza riserve.
Ma leggendolo con gli occhi del tempo (cosa essenziale, secondo me, per qualsiasi lettura classica) devo dire che questo romanzo è perfetto.
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Non tutte le ciambelle...
La recensione che avevo letto su un quotidiano mi ha affascinato più del romanzo.
L'ho preso subito, pensando di gustarmelo in un momento di bisogno, perché la Nothomb mi piace, mi piace molto sia per il modo di narrare sia per la fantasia con cui crea situazioni al limite del reale.
Ma questa prova mi lascia davvero perplesso. A partire dai personaggi, dai loro dialoghi assurdi e non sempre acuti come vorrebbero sembrare, per passare alla situazione, che non si giustifica neppure appellandosi alla tipologia fiabesca, per finire con il contrasto tra il realismo della Parigi all'esterno della casa e l'assoluta mancanza di credibilità di ciò che avviene all'interno del palazzo, che non riesce ad affascinare il lettore, tranne che per pochi particolari (le ricette di don Elemirio, la gonna che cuce per lei, che non può non ricordare i fantastici vestiti indossati da Cenerentola per i balli a corte, almeno come raccontava la mia nonna).
Don Elemirio usa l'arma della perfezione, per sedurre Saturnine, e lei, suo malgrado, finisce col rimanerne stregata. Qualche tocco macabro porta la firma elegante dell'autrice, che però ha saputo fare di meglio.
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Un libro come pochi
Alcuni non lo capiscono, altri credono di capirlo e altri ancora vogliono capirlo, rileggendolo e rileggendolo. A mio dire, comunque, Ubik è la migliora opera di Philip Dick, e al di là di tutti gli enigmi che a molti possono sembrare irrisoluti, Ubik è la perfetta combinazione tra fantascienza, fantasy, thriller e chi più ne ha più ne metta. Un libro che non invecchierà mai e che, oltre a offrire un ottimo intrattenimento (è scorrevole e breve), è riccamente adornato di filosofia.
Sul significato del finale, io ho le mie certezze, voi avete le vostre; ma quella che conta è una sola: Ubik va letto.
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Fresco inferno
Si era un po' perso Palahniuk. Perso nella ripetitività del proprio stile, nelle situazioni descritte... forse perché obbligato a mantenere un tenore "grottesco" per compiacere i suoi fan, o forse perché non aveva più molto da dire.
Tanto sta che con "Dannazione" Palahniuk ritorna rinfrescato, con finalmente qualcosa di diverso, pur non abbandonando lo stile asciutto e nichilista che l'ha reso famoso.
Dannazione è una fiaba nera, divertente, che non pretende di voler essere presa troppo sul serio. Una lettura godibile, soprattutto per chi ha apprezzato l'autore.
L'unica pecca è che, ho saputo, si tratta del primo romanzo di una trilogia... e temo che la freschezza di questo primo libro possa perdersi velocemente, perché mi sembra che la scelta di fare una trilogia possa essere stata innescata da un puro scopo commerciale atto a "emulare" le saghe che tanto stanno andando di moda.
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Alla ricerca della perfezione
Romanzo grandioso, vasto affresco di un'epoca che non c'è mai stata, eppure ha la consistenza del reale, biografia di un uomo eccezionale, che a tratti dà a chi legge la sensazione di aver trovato l'anello che non tiene, di aver capito ciò che tutti vorrebbero capire.
Per questo l'ho letto più volte, a distanza di qualche anno, e ogni volta ho trovato temi e livelli di lettura differenti nelle varie parti e spesso nelle stesse pagine: la storia, del protagonista e di tanti altri, la meditazione, sul senso dell'esistenza, sulla ricerca del bello, l'aspirazione alla perfezione, il valore della scienza.
E soprattutto l'enigma del gioco. Il gioco affascinante di cui ogni lettore può dare un'interpretazione personale, legata alle proprie conoscenze, alle propria capacità di trovare relazioni tra argomenti differenti, ambiti lontani, fino a costruire un proprio quadro, o qualcosa di simile a una sinfonia, dove voci di strumenti diversi confluiscono a formare il tessuto musicale, che l'abilità del compositore può rendere splendido.
Difficile descriverlo, impossibile riassumerlo, bisogna provare.
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