Opinione scritta da ClaudiaM

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    06 Giugno, 2022
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La montagna come metafora di vita

Le montagne come metafora di vita. Le montagne come luogo di incontri. Le montagne come entità che racchiudono segreti e ricordi. Le montagne che donano tanto, ma prendono altrettanto in cambio.
Il libro di Cognetti racconta di sentimenti, principalmente di nostalgia, rimpianti, scelte di vita.
La storia è narrata magistralmente in prima persona (stile che di solito non mi entusiasma e che invece qui ha dato sicuramente più profondità ai personaggi) da Pietro, un bambino e poi un uomo che dalla caotica Milano ha conosciuto la montagna. E con essa Bruno.
Pietro e Bruno non potrebbero essere più diversi, eppure tra loro si instaura un’amicizia che va al di là della lontananza geografica e temporale. L’uno viaggia, si sposta da Milano a Torino, dai monti valdostani all’Himalaya. L’altro non si schioda da Grana e dal monte Grenon, è attaccato a quel posto e non ha alcuna curiosità di vedere altro nella vita.
Pietro visita le otto montagne, Bruno resta nel monte primordiale.
Chi dei due sta meglio? Chi dei due ha ottenuto di più dalla vita?
Cognetti descrive le loro vite e quelle dei loro familiari così bene da renderli reali. Sono persone complesse (come tutti noi, d’altronde) che cercano ognuno a loro modo di relazionarsi con gli altri. Pietro, di cui conosciamo i pensieri, racconta il suo rapporto con la madre, quello più complicato col padre, le difficoltà che ha a confidarsi e di far confidare Bruno e, allo stesso tempo, il piacere della presenza dell’amico, senza necessariamente dover esternare i propri sentimenti. Bruno e la montagna sono un punto fisso, un posto a cui tornare, qualcosa che il padre di Pietro ha messo in piedi per lui.
Ma la vera protagonista è proprio lei: la montagna. D’estate, con gli alberi infoltiti, i torrenti, i sentieri e i rifugi per gli escursionisti, il profumo del legno, il risciacquo dei ruscelli abitati dalle trote. E poi d’inverno, con la neve, le ciaspole, gli sciatori, le slavine, il ghiaccio che invetra le rocce e ricopre i laghi, il freddo e i focolai davanti ai quali si beve la grappa.
Mi sembrava di essere lì, affianco a Pietro, a percepire l’ambiente montano e il suo stato d’animo. Ho partecipato alla sua nostalgia di casa, alla sua voglia di fuggire, al rimpianto di affetti perduti.
Quello di Cognetti è un libro intenso ed emozionante che trasporta il lettore ad alta quota.
Lo apprezzerete se non siete mai stati in montagna. Lo apprezzerete ancora di più se ci siete stati.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    27 Marzo, 2022
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Ha odiato il mondo prima che il mondo odiasse lui

Mi sono approcciata a questo libro con, lo ammetto, un po’ di scetticismo. Non appartiene, infatti, al genere di lettura che prediligo, ma il tanto acclamato film che ne è stato tratto mi ha spinto a incuriosirmi e informarmi. E perché no, ogni tanto bisogna provare qualcosa di nuovo.
Bene, sono contentissima di aver dato una possibilità a “Il potere del cane” perché mi ha spiazzato e si è conquistato un posto nella mia top di libri preferiti!

La trama in sé è abbastanza semplice: Phil e George Burbank sono due fratelli che vivono in Montana nel ranch messo in piedi dai loro genitori (il Vecchio Signore e la Vecchia Signora) che da un po’ si sono dati a un meritato pensionamento. Tutto fila liscio nella loro vita, i due fratelli sono incastrati in una sorta di monotona quotidianità in cui, almeno a Phil, piace crogiolarsi. Sono ricchi, benestanti e questa loro condizione sociale fa sì che possano essere chiunque: se Phil vuole vestirsi con una camicia a quadri e lavarsi solo ogni paio di mesi, lo fa. E nessuno si prende la briga di dirgli che non è decoroso, perché lui è un Burbank e può fare quello che vuole.
I due fratelli vengono descritti e caratterizzati in maniera magistrale, in modo semplice eppure così efficace da renderli reali (forse anche perché Savage ha preso a piene mani da persone realmente esistite nella sua vita).
Phil è il maggiore, ha quarant’anni ma ne dimostra molti meno, è alto, snello, con occhi azzurro cielo a cui non sfugge niente e con i quali non vede il mondo ma lo osserva. Con i lineamenti spigolosi quanto la sua indole, Phil è benvoluto dai braccianti del ranch anche se ha un carattere un po’ complicato. Di fatto, Phil disprezza ciò che è diverso da lui, ciò che turba l’andamento regolare della sua vita e ciò che è come non dovrebbe. Sa essere crudele, non ha il minimo riguardo nell’umiliare le persone (fratello compreso) e dice sempre quello che pensa senza preoccuparsi di ferire gli altri. È schietto e senza scrupoli, è un po’ un cane rabbioso. Eppure a volte è anche capace di apprezzare le cose, di non avere pregiudizi, come verso il bracciante ex detenuto che ha assunto. Non gli importa cos’abbia fatto, gli importa solo che faccia bene il lavoro per cui lo paga, che si rimbocchi le maniche e si impegni in qualcosa.
Phil è un personaggio complesso, che nasconde dei segreti, che ha una motivazione per comportarsi come fa. E il lettore lo scoprirà pagina dopo pagina; a volte lo odierà, ma altre volte lo comprenderà e ne avrà forse anche un po’ compassione.
Poi c’è George. Lui si occupa più dell’amministrazione del ranch, è taciturno, basso e corpulento. Non è grezzo come Phil, ma non è neanche così intelligente (Phil, di fatti, è l’unico dei due ad aver conseguito una laurea ed è decisamente più sveglio). È di animo buono, a volte ingenuo, e non ci è chiaro quanto sappia del vero Phil e di cosa lo spinga ad essere spesso meschino.
C’è uno strano legame tra i due fratelli; si voglio bene, a loro modo, perché hanno l’un l’altro. Eppure tra loro ci sono valanghe di segreti e non detti.
Tra questi, l’evento che dà il via alla storia: George, che scopriamo quindi non essere poi così felice della vita da scapolo col fratello, si sposa con la vedova Rose Gordon. Il tutto all’insaputa di Phil, che si ritrova la cognata in casa da un giorno all’altro.
Apriti cielo! Per Phil, che odia i cambiamenti, non potrebbe esserci nulla di peggio.
Da questo momento ha inizio un climax di tensione, ansia e disagio che coinvolge il lettore, lo fa sussultare ad ogni occhiata di Phil rivolta a Rose, lo fa temere per le sorti dei personaggi travolti da emozioni e sentimenti schiaccianti, oppressivi. E la situazione peggiora ancora di più quando in autunno arriva ospite il figlio sedicenne di Rose, Peter Gordon.

Il romanzo di Savage scava nei meandri più oscuri e reconditi dell’animo umano, racconta di emozioni represse, di odio, di rabbia. Racconta il cambiamento che prima o poi coinvolge tutti, anche chi lo rifugge in tutti i modi, e racconta dell’essere diversi in una società chiusa e gretta, fatta di regole e pregiudizi e standard. Come il cowboy che non può che essere un uomo macho, grezzo e che puzza. Altro non è contemplato. O come la vedova di un suicida alcolizzato che se sposa un ricco mandriano allora è un’arrampicatrice sociale; o come un ragazzo a cui non è permesso fare dei fiori di carta per abbellire la tavola.
E tutto questo, tutto ciò che racconta il romanzo, è il potere del cane: è essere predatore e preda, è essere diverso, speciale ma anche vittima.

Lo stile di scrittura è favoloso, sono rimasta incollata alle pagine anche quando Savage si prende del tempo per parlare della libreria di George, piena di riviste che non legge da anni e che se ne sta lì da decenni affianco a quella di Phil, che contiene oggetti di tutt’altro genere (sempre per rimarcare le differenze tra i due fratelli). O anche quando in un capitolo, di punto in bianco, non si parla più dei Burbank, ma degli indiani relegati in una riserva. E mentre leggi ti chiedi: che c’entra ora la libreria? Perché è così importante? E adesso perché gli indiani?
E tutto torna in maniera incredibile, con un senso, con un perché. Come il karma, come gli eventi che si susseguono, come un cane che si morde la coda: a partire dalla cruda descrizione della castrazione dei vitelli al suicidio di un uomo perché ha subito l’umiliazione di un cowboy che detestava gli alcolizzati.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    01 Ottobre, 2021
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La bigamia? Che vuoi che sia!

Incipit terribile, protagonista viziata e stupida.
Milly a diciotto anni sposa Allan per far in modo che abbia la cittadinanza inglese e possa stare con Rupert. Passati dieci anni, Milly si deve sposare con Simon e non si pone il minimo problema che ha già un matrimonio alle spalle che non è mai stato annullato. Lei spera semplicemente che nessuno se ne accorga.
Cioè… ma sì, infrangi la legge e diventa bigama, che vuoi che sia?!
Insomma, il pretesto per cominciare il libro fa acqua da tutte le parti e rende la protagonista troppo ingenua e insopportabile (perché, oltretutto, pretende anche di avere ragione...). Non si riesce minimamente ad avere compassione per lei.
Comunque, ovviamente la faccenda viene fuori e quindi succede il finimondo. Conseguenza per il lettore? Si deve sorbire continue litigate tra tutte le combinazioni possibili di personaggi. Alla lunga stufa davvero tanto.

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Fantascienza
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    01 Ottobre, 2021
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Non solo Fantascienza

Sono davvero felice di aver scoperto questo romanzo, non avrei immaginato mi sarebbe piaciuto così tanto. Quando sono andata a comprare queste quasi 600 pagine di storia, temevo di avventurarmi in qualcosa che non era per me. La fantascienza non è esattamente il mio genere preferito, ho solo letto un romanzo di Isaac Asimov e i Jurassic Park di Michael Crichton. Ma dire che “Dune” è solo fantascienza, mi sembra inesatto. Perché questo romanzo è sì ambientato nel 10191, ma è più che mai attuale. Ed è anche un po’ Fantasy. Onestamente, non credo possa essere etichettato in un solo genere letterario.
“Dune” parla di intrighi di corte, di guerre feudali, di potere, di magia, di popoli oppressi e di pianeti sfruttati. Parla soprattutto di ecologia, di come Arrakis (il pianeta conosciuto anche come Dune, appunto) venga sovra-sfruttato per ricavare la spezia, un allucinogeno che permette di ampliare le doti precognitive, dando così la possibilità all’uomo di sbirciare nel futuro. Questa spezia viene utilizzata sia per le manovre politiche sia per i viaggi spaziali, indispensabili per il commercio e la sopravvivenza dell’Impero. Dunque chi gestisce il commercio della spezia ha un grandissimo potere; di conseguenza le grandi Case Nobili darebbero qualunque cosa per ottenere questa gestione.

La storia comincia con un ordine imperiale per cui Arrakis, finora in mano alla famiglia Harkonnen, deve passare sotto il controllo degli Atreides. È una disposizione che il Duca Leto, capostipite di quest’ultima Casa Nobile, non può rifiutare, pur sapendo di andare in un pianeta arido, desolato, dove non è il benvenuto e dove probabilmente gli verrà tesa una trappola. Leto intuisce i giochi politici nascosti dietro questo falso favore che gli ha fatto l’Imperatore Padiscià Shaddam IV: sembrerebbe un dono, quello di avere il potere di gestire la spezia, ma in realtà è tutto un inganno.
Il Duca Leto, la sua concubina Lady Jessica e il loro figlio Paul dovranno sopravvivere in questa nuova e inospitale dimora, cercando di distinguere gli amici dai nemici.
Ma ovviamente non è tutto qui. I problemi non arrivano solo dall’Imperatore e dagli Harkonnen. Il mondo creato dalla penna di Herbert comprende ben più di questo.
Ci sono i Fremen, gli indigeni di Arrakis, che vorrebbero che il loro pianeta venisse liberato, che lottano per la loro patria e che vorrebbero diventasse un posto migliore, dove l’acqua non sia più una risorsa rara, ma disponibile in grandi quantità (fiumi, piogge, mari), dove le piante crescano rigogliose e dove la fauna sia più variegata dei quasi soli vermi delle sabbie.
Poi c’è il Bene Gesserit, una sorta di congrega di sole donne che negli anni ha lavorato segretamente alla selezione genetica degli uomini affinché un giorno potesse nascere il Kwisatz Haderach, ossia colui che con particolari doti precognitive (che possa cioè viaggiare con la mente nello spazio e nel tempo) possa guidare finalmente l’Impero al suo splendore.

In questo quadro complesso è ambientata la storia del giovane Paul. L’evoluzione del suo personaggio mi è piaciuta moltissimo. Inizialmente Paul è un Duca di quindici anni, educato dalla madre alle vie Bene Gesserit e dal padre alla politica. Ma lui non è solo questo. Scopriamo subito che Paul Atreides è ben più di quanto sembri, dal momento che sogna cose non ancora accadute e supera il test del gom jabbar. Con l’avanzare della storia, Paul abbandonerà le vesti di ragazzino per indossare quelle di un uomo. Ma non un uomo qualunque: un condottiero, un Fremen, un guerriero apparentemente senza emozioni, freddo e calcolatore, ma che in realtà mantiene la sua umanità. Paul sa di avere uno scopo ben preciso. Uno scopo di cui è alla ricerca fin dal primo capitolo del romanzo.
Ovviamente, in 600 pagine, Paul non è l’unico personaggio. Personalmente mi sono molto piaciuti Lady Jessica e il Duca Leto e il loro rapporto di fiducia reciproca che supera qualunque malalingua.
Poi ci sono i guerrieri, come Gurney Halleck, Duncan Idaho e Thufir Hawat, e i nemici Harkonnen, in primis il crudele e viscido Barone Vladimir, orripilante nell’aspetto e nelle perversioni, poi i suoi nipoti Rabban e Fayd-Rautha, non meno sanguinari di lui. Infine, tutto il popolo Fremen, con le loro tradizioni che per chi non ha mai vissuto ad Arrakis sembrano così primitive e disumane.

Insomma, Herbert ha pensato davvero a tutto ed è riuscito a narrare una storia avvincente e che non risente dell’età che ha. Forse, se proprio devo trovare il pelo nell’uovo, mi sono sembrati poco comprensibili alcuni passaggi riguardanti le visioni e le successive interpretazioni che ne fanno i personaggi.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    29 Marzo, 2021
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Un enigma che tiene incollati alle pagine!

Quand’è che un libro si definisce bello? Quand’è che riesci a dire serenamente che un romanzo rientra nella tua classifica dei migliori mai letti? Non credo ci sia una risposta universale. O meglio, forse la risposta è vera per tutti, ma poi ognuno la associa a libri diversi. Il bello è proprio questo.
Per quanto mi riguarda, “L’enigma della camera 622” è ufficialmente nella mia top of the books. Perché? Adesso ve lo dico.
Se avete già letto altro di Dicker, non serve dirvi quanto sia scorrevole la lettura. Stile impeccabile, poco descrittivo (impossibile dire che aspetto abbiano i suoi personaggi, in questo caso. Onestamente, la cosa non mi piace particolarmente, ma okay, sono scelte), le scene magistralmente alternate tra presente e passato, con flashback e flashback nei flashback. Intrecciato? Sì. Ma alla fine tutti i nodi vengono al pettine e la matassa della trama si sbroglia man mano davanti ai vostri occhi lasciandovi basiti e piacevolmente sorpresi. TUTTO ha senso di esistere, in questo romanzo. Ogni minimo particolare ha il suo perché, la regola della “pistola di Checov” è applicata in tutto e tutti. NESSUNO è da sottovalutare, in questo romanzo.
Ho letto una pagina dietro l’altra, la fine di ogni capitolo invogliava a saperne di più, a scoprire cosa fosse successo non solo in quella maledetta stanza d’albergo, ma anche tutto ciò che gravita attorno alla notte dell’omicidio: tanto per cominciare, chi è stato ucciso? Dicker non ce lo dice, lasciandoci continuare a leggere voracemente per scoprire l’identità sua, oltre che dell’assassino (cosa impossibile se, per l’appunto, non si sa nemmeno chi è morto). Ma fosse solo questo! Il libro è molto molto molto di più. È un enigma! Come lo sono i personaggi e le loro storie. Perché hanno fatto le loro scelte? Come si è finiti in questo groviglio di segreti, tradimenti e giochi di potere?

Super consigliato!

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Narrativa per ragazzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    06 Gennaio, 2021
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Chi è il mostro?

Annoverata come lettura per bambini, credo che “L’Ickabog” sia un libro che devono leggere tutti. Scrittura semplice e scorrevole, senza fronzoli, ma ricca di contenuti. La Rowling ci porta in un mondo fantastico, quello di Cornucopia, un regno apparentemente felice e tranquillo che viene scosso da… be’, qualcosa. E quello che sembrava un paradiso, si scopre essere un luogo retto su menzogne, intrighi, assassinii e inettitudine. Cos’è il vero mostro? Una creatura o la malvagità umana? Oppure entrambe? Dopotutto, si raccoglie ciò che si semina e da crudeltà nasce crudeltà, così come dalla bontà nasce bontà.

Assolutamente consigliato. È una lettura che sicuramente arricchirà chiunque la legga (bambini, ragazzi e adulti). E se è proprio il target del romanzo a trattenervi, be’… non dimenticate che anche i primi libri di Harry Potter erano per bambini.

P.S.: bellissima l’idea del torneo delle illustrazioni, i cui bambini vincitori sono stati premiati con la pubblicazione dei loro disegni inframmezzo ai capitoli. Alcuni mi hanno lasciato davvero a bocca aperta!

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    21 Ottobre, 2020
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Gradevole ma confusa

Mi è difficile recensire questo libro perché se da una parte la storia in sé mi è piaciuta, dall’altra l’ho trovata a tratti di difficile comprensione. Molte descrizioni (come le battaglie di magia) mi sono sembrate confusionarie, mentre alcuni fatti sono rimasti insoluti o poco chiari (la maledizione scagliata su Howl: non ho capito che senso aveva, se alla fine si è spezzata o se ci sia mai davvero stata).

La storia di Sophie che cade vittima di un sortilegio e che cerca aiuto presso il Mago più potente e temuto è carina, ha delle belle trovate e molte originalità che chi ha visto il cartone di Miyazaki avrà subito presente. Devo dire che il suo personaggio mi ha provocato motti di stima e di stizza a seconda del suo comportamento, ma nel complesso mi è piaciuto. Diversamente da Howl, che è un giovane vanesio, volubile e capriccioso che dorme in un letto talmente lercio da avere le lenzuola grigie. Poco importa se alla fine non è esattamente come ci è stato descritto per tutto il romanzo: resta capriccioso e poco incline alla pulizia (se non a quella personale, come ci viene molte volte detto e ridetto), anche se più premuroso di quanto pensassimo.
Ma il libro non ruota solo intorno a Sophie e Howl. È infatti disseminato di personaggi che, alla fine, scopriremo essere tutti interconnessi tra loro (in modi più o meno chiari…). Ci sono Michael, le due sorelle di Sophie, il Re, Suliman, Justin, Fanny, Fairfax, Calcifer e lei, la Strega delle Terre Desolate, colei che dà il via alla storia. La Strega brama il potere di Howl e del suo demone del fuoco Calcifer, ma prima di arrivare al Mago deve trovare il suo punto debole. È per questo che si rivolge a un personaggio che per me è stato un vero enigma comprendere. Perché di fatto… era uno? O erano due? E perché proprio lui/loro? Onestamente… non l’ho capito. Anzi se qualcuno che ha letto il romanzo riesce a spiegarmelo, gliene sarei davvero grata, perché ci sto ancora rimuginando sopra.

In conclusione, libro carino ma dimenticabile, confuso e scarso di descrizioni (il mio immaginario si è dovuto aggrappare per forza di cose all’animazione di Miyazaki, perché la scrittrice non è riuscita a farmi immergere nel mondo che ha creato). È un peccato perché, ripeto, seppur la storia sia gradevole, è penalizzata dal come è stata gestita.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    05 Agosto, 2020
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BELLO, ANCHE UN PO' DI PIÙ!

Quadrilogia composta da “Fidanzati dell’inverno”, “Gli scomparsi di Chiardiluna”, “La memoria di Babel” e “Echi in tempesta”; proverò a farne una recensione di gruppo senza spoiler.
Intanto c’è da dire che questa saga è unica nel suo genere, sul retro di copertina vengono fatti paragoni con Hunger Games, Harry Potter, Twilight. Io non ho trovato nulla di tutto ciò (men che meno Twilight, per fortuna!), ma durante la lettura i richiami ad altro ci sono stati. Non sto dicendo che sia una scopiazzatura di altri romanzi, sto dicendo invece che non assomiglia a nulla che io abbia già letto.
Tanto per cominciare, la scrittrice ha fatto un lavoro di worldbuilding davvero notevole: un mondo Lacerato, scisso in Arche in cui in ognuna il popolo discende da uno Spirito di Famiglia. La gente di ogni Arca ha dei poteri derivati da quelli del proprio Spirito di Famiglia e ogni casata o clan ha poi sviluppato una “specializzazione” di quel potere. Non solo, ogni popolo ha le sue leggi, la sua politica, la sua inflessione linguistica, la sua moda, la sua cultura.
È in questo luogo che la Dabos ha inserito tantissimi personaggi, ognuno ben caratterizzato, ognuno con un ruolo da giocare, ognuno con un potere e una discendenza.
In primis c’è Ofelia, un’animista (abitante dell’Arca di Anima), una ragazza piccola sia di statura sia di importanza. Lei stessa non si ritiene una persona degna di essere notata. Perciò quando viene scelta dalle Decane per sposare uno sconosciuto di un’altra Arca, Ofelia resta parecchio spiazzata.
Perché lei? E soprattutto chi è costui che deve sposare?
Dopo qualche capitolo il lettore (e Ofelia) fa la conoscenza di Thorn, un uomo dall’indole gelida quanto l’Arca cui appartiene, il Polo. La giovane animista verrà controvoglia catapultata a Città-Cielo (città che fluttua sopra le gelide terre del Polo), dove si troverà nel bel mezzo di una faida tra clan per ingraziarsi lo Spirito di Famiglia Faruk, e scoprirà che lei stessa è un tassello fondamentale di un piano ben più ampio del freddo e spilungone Thorn.
Le vicende si susseguono tra omicidi, scomparse, amici che sembrano nemici, nemici che sembrano amici, ambiguità, finzione, illusione, tanto che Ofelia (e il lettore) si troverà a dubitare di chiunque incontri nella sua strada. Può fidarsi del tanto affascinante quanto pezzente Archibald, ambasciatore di Città-Cielo? O della meccanica Gaela e del valletto Renard? O di Berenilde, zia di Thorn? O dello stesso Thorn?
Città-Cielo sembra un covo di vipere e Ofelia c’è dentro fino al collo.
Ma il Polo non è l’unica Arca che la protagonista visiterà.
Nel terzo romanzo la scena si sposta su Babel, dove gli Spiriti di Famiglia sono i gemelli Helena e Polluce e dove vigono leggi ben più restrittive di quelle del Polo; se in quest’ultimo infatti sembrava non ci fossero regole e limiti, a Babel sono invece ferrei: dal come vestirsi al come comportarsi. E ovviamente appariranno nuovi interessantissimi personaggi, come Octavio, Ambroise, Elizabeth, Mediana, Seconda, i Genealogisti e Lazarus, uno dei tanti personaggi ambigui che già aveva fatto la sua comparsa a Città-Cielo. Ma non temete, coloro che erano presenti nei libri precedenti non verranno dimenticati!
Senza aggiungere altro alla storia, dedico qualche riga per dire che:
- mi è piaciuto molto il percorso della protagonista, che dal sentirsi insignificante prende coscienza di sé e del suo ruolo, diventando indipendente e forte;
- mi è dispiaciuto che nei libri 3 e 4 ci sia stato poco spazio per alcuni personaggi e soprattutto mi aspettavo un maggior ruolo per Vittoria (non scrivo chi sia per non fare spoiler, lo scoprirete solo leggendo);
- molte domande sono rimaste anche dopo aver letto l’ultima pagina dell’ultimo libro e, confesso, molte cose le ho trovate un po’ intrecciate per riuscire a capirle appieno. Ho dovuto prendere appunti e non è bastato per avere un quadro chiaro della situazione.

In conclusione, una saga a mio parere bella, con un finale che lascia un po’ d’amaro in bocca, molti non detti e molti interrogativi, ma non per questo non merita di essere letta.
È scritta benissimo, la lettura è scorrevolissima, le descrizioni sono spettacolari e cinematografiche. La Dabos ha la capacità di far apparire questo mondo fittizio davanti ai nostri occhi usando le giuste parole. Ve ne innamorerete fin dal primo capitolo dove descrive l’archivio dello zio di Ofelia.
Amerete i personaggi (tutti! Nessuno escluso. Io ho amato alla follia Archibald: la sua ambiguità, il suo percorso, i suoi poteri familiari che lo rendono ciò che è), scoprirete luoghi affascinanti e spaventosi (mi è piaciuta molto Chiardiluna e il suo stile steampunk che mi ricordava molto “La Città Incantata” di Miyazaki), sarete curiosi di scoprire quale sarà il destino di Ofelia e di tutte le Arche… perché un giorno in cui era di pessimo umore, Dio ha commesso un’enorme sciocchezza e ha fatto a pezzi il mondo. Ma oggi Dio dov’è? Chi è? Cosa c’entra Ofelia in tutto questo?

Consiglio per la lettura: sappiate che ogni singola cosa che viene detta NON È casuale. Neanche quella che vi sembrerà troppo strana per avere un senso logico.

Volume preferito: “Gli scomparsi di Chiardiluna”.

P.S.: ne approfitto per chiedere se qualcuno può consigliarmi qualche bel romanzo di ambientazione steampunk. Ho visto su questa piattaforma che “Leviathan” di Scott Westerfeld ha belle recensioni, mentre “Alice nel paese delle vaporità” di Francesco Dimitri non sembra granché. Conoscete altro?

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    27 Luglio, 2020
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Un mondo di maschere

Venezia nel diciottesimo secolo doveva essere una città colorata e allo stesso tempo oscura, misteriosa e pericolosa, dove indossare una maschera era tradizione e coprirsi il volto era una garanzia di anonimato, ma non necessariamente di libertà. Dietro una bauta poteva celarsi chiunque: un amico, un nemico, un amante, un conoscente, uno straniero. Come saperlo? Non si poteva. E il rischio che si correva nel girovagare per i ponti e i canali con quel senso di falsa libertà, come se tutto fosse possibile solo perché nessuno poteva giudicarti, era di un’attrazione indescrivibile.
È quello che succede a Violetta, cantante soprano all’Ospedale degli Incurabili, ossia un orfanatrofio dove alle ragazze veniva insegnata la musica e ai ragazzi un lavoro. La giovane ragazza non vuole restare chiusa entro le mura claustrofobiche degli Incurabili, ma vuole questa libertà che percepisce nell’aria della città là fuori. Così Violetta comincia a fare scappatelle serali per immergersi in quel luogo di falsità e perdizioni, dove si snodano anche le vicende di Mino, un altro orfano degli Incurabili che saggia sulla sua pelle quanto Venezia possa essere splendida e crudele.

Il romanzo è autoconclusivo, tratta di amori tragici, di drammi familiari, di vite spezzate e destini intrecciati. Mi è piaciuto molto come la scrittrice ha fatto muovere i personaggi su e giù per i ponti, navigando in gondola, mostrando Venezia con e senza maschera.
Violetta non mi è rimasta molto simpatica come protagonista, è risultata un po’ egoista e menefreghista riguardo i sentimenti altrui (Mino e anche l’amica Laura, a cui non si degna di dire nulla). Ma la cosa che mi è dispiaciuta più di tutte è la velocità con cui termina il racconto, forse qualche pagina in più per chiudere il cerchio non avrebbe guastato.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    02 Luglio, 2020
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Noioso

Primo romanzo della saga, terzo libro pubblicato a seguito delle due raccolte di racconti, “Il sangue degli elfi” è, a mio parere, molto noioso e sconnesso. 393 pagine che possono essere riassunte in poche righe: Ciri viene allenata a Kaer Morhen, ma a seguito del manifestarsi di strane visioni e incubi da parte della ragazzina, Geralt chiede consiglio alla maga Triss. Con lei decide di portare Ciri al tempio di Melitele dove verrà istruita da Yennefer.
Fine.

La storia è frammentaria, ci sono capitoli interi dove personaggi che non si conoscono discutono di cose che non si capiscono in luoghi che non si sa dove sono. Grande pecca di questo libro è, sicuramente, l’assenza di una cartina geografica. Molti romanzi fantasy hanno un’illustrazione del mondo fantastico in cui è ambientata la storia, serve per facilitare la comprensione della disposizione dei regni e i luoghi in cui avvengono le battaglie. In questo caso non avrebbe fatto per nulla male averne una a disposizione, perché quando i suddetti personaggi che non si sa chi siano cominciano a fare strategie di guerra, non si capisce nulla. Ero tentata di saltare quei capitoli, perché mi hanno annoiato tantissimo.
E a proposito di noia, è stato terrificante da leggere la parte in cui Ciri viene addestrata dagli strighi. Duelli e allenamenti fatti solo di dialoghi, zero descrizioni dei “macchinari” quali il pettine e il pendolo, praticamente una sceneggiatura. Esempio: «Colpisci, Ciri!», «Ah!», «Para, Ciri!», «Ah!», «Brava, Ciri!».

Altra cosa che non mi è piaciuta di questo romanzo è che i personaggi sembrano diversi da come erano stati presentati nei racconti.
Yennefer è decisamente più dolce (immaginate la mia perplessità quando afferma “Ti voglio bene, Ranuncolo”, quando invece non lo aveva mai sopportato), ma resta pur sempre il personaggio più interessante. Le ultime cinquanta pagine del libro con lei che istruisce Ciri sono le più divertenti e piacevoli da leggere.
Ranuncolo ha poco spazio in questo libro, ma è rimasto fedele a se stesso.
Infine Geralt, che è pressoché secondario, statico, a tratti viene il dubbio che nella storia ci sia. Passa per quello che si fa ogni maga in circolazione, anche perché ogni maga lo trova irresistibile.

Come se non fosse abbastanza, c’è un’altra cosa che non mi è piaciuta affatto, ossia che il romanzo sembra impostato come le due raccolte di racconti. Ogni capitolo è quasi sconnesso da quelli prima, non si sa dove siano finiti i personaggi. Il passaggio più eclatante è dopo il viaggio di Ciri, Geralt e Triss verso il tempio di Melitele. Al termine del capitolo 4 li avevamo lasciati per strada con una carovana di nani attaccata degli elfi. Il 5 comincia con Geralt che è in una delle sue solite missioni da strigo e dobbiamo dare per scontato che Ciri sia arrivata al tempio. Di Triss non verrà fatta più menzione per il resto del libro, così come della compagnia con cui viaggiavano.

La lettura di questa saga termina qui, per me.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    11 Giugno, 2020
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Racconti di uno strigo

Ho sentimenti contrastanti riguardo questo libro. Fin da piccola ho divorato Fantasy e la conseguenza è che ora ogni storia mi sa di già letta.
The Witcher non sa di già letto, ha la sua originalità, ma che per me è anche un difetto. In questo primo libro, infatti, non abbiamo una storia “classica” in cui il personaggio ha uno scopo, un viaggio, un mentore, un antagonista, un conflitto interiore. Non c’è la dicotomia tra bene e male che tendenzialmente caratterizza il Fantasy puro.
C’è Geralt e ci sono le sue avventure. Ogni capitolo racconta un frammento della vita dello strigo, una battaglia contro un mostro o l’incontro con altri personaggi, e finisce lì. Più che un romanzo è dunque proprio questo: una serie di racconti.
Solo per citarne alcuni, non ha nulla a che vedere con libri come Il Signore degli Anelli, Il Trono di Spade o, contando anche qualcosa di nostrano e di più recente, le Cronache del Mondo Emerso.
Ed ecco il perché dei sentimenti contrastanti. Volevo qualcosa di originale e l’ho avuto. Mi ha soddisfatto? Non lo so.
Passando invece alla questione di come è scritto il libro, ho trovato un po’ noiose alcune parti con dialoghi decisamente troppo prolissi, mentre mi ha infastidito il fatto che durante le battaglie Geralt usi degli incantesimi (i Segni) di cui spesso e volentieri non vengono descritti gli effetti. Così come spesso vengono citati mostri senza dire minimamente cosa siano.
Quindi è un libro che ha le sue pecche, ma non posso negare che sia comunque scorrevole e carino. Non è epico come i sopracitati (e tanti altri ancora), né ha la pretesa di esserlo.
Per il momento ho deciso di continuare col secondo romanzo, che sembra essere della stessa pasta. Vi farò sapere una volta terminato. Sono soprattutto curiosa di capire se saranno sette libri di racconti o se prima o poi anche Geralt troverà uno scopo nella vita per cui combattere, perché al momento non lo ha. Ed è un po’… triste.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    21 Dicembre, 2019
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DELUDENTE

Comincio col dire che la Troisi scrive sempre in maniera impeccabile, le fresi scorrono, le scene si delineano bene nella testa di chi legge… Ma!
E certo che c’è un “ma” e anche bello grosso.
Per la terza volta di seguito, ci viene propinata la solita eroina che deve salvare il mondo, il solito amore travagliato, la solita arma potente, il solito cattivone che vuole il Mondo Emerso tutto per sé.
Insomma, inizia ad essere sempre la stessa tiritera, tranne per il fatto che questa volta la storia è anche stiracchiata. Interi capitoli (es. la lunghissima escursione in biblioteca) e personaggi (es. le sorelle elfe) che non portano a nulla. La sensazione che ho avuto è che da un’idea la Troisi dovesse forzatamente tirarne fuori una trilogia, quando invece, se fosse stato un unico volume, secondo me sarebbe stato molto molto meglio.
Adhara, se confrontata con Dubhe e Nihal, è al limite dell’inettitudine, Amina di un’antipatia colossale e Kalth troppo marginale, considerando il ruolo che ha. Amhal e San sono gli unici due personaggi che mi hanno incuriosito davvero, mentre a tutti quelli appartenenti alla trilogia precedente non viene data la minima dignità (cosa che, in effetti, la Troisi ha fatto anche nelle Guerre).
Penso che questa trilogia perde tanto perché automaticamente confrontata con le due precedenti. Onestamente mi sento di sconsigliarla a chi ha già letto le Cronache e le Guerre, perché è… deludente. Ammetto di aver faticato ad arrivare in fondo.

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Romanzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    22 Mag, 2019
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Non è la solita Kate Morton

Kate Morton è la mia scrittrice preferita, ho amato ogni suo romanzo, riesce a catturare il lettore, a tenerlo incollato al libro fino all’ultima pagina, quando fa l’ingresso un inaspettato colpo di scena che ribalta tutta la storia. La adoro, è geniale.
Ma (il “ma” doveva arrivare) come per qualsiasi cosa, c’è sempre un’eccezione che conferma la regola. La perfezione non esiste e anche una scrittrice del calibro della Morton può a volte scrivere qualcosa di meno convincente.
Attenzione, ci tengo a precisare che “La donna del ritratto” non è un brutto libro, anzi, magari io scrivessi una cosa del genere! Il problema è la sua eredità. Ormai ci si è abituati a quel quid particolare che dà un tocco di magia ed emozione ai suoi romanzi… e questo non lo aveva.
Cercherò di andare con ordine (per quanto mi sia possibile, considerando i salti temporali!).
I personaggi sono davvero tanti, sparpagliati in più epoche, collegati tra loro fondamentalmente da una cosa: Birchwood Manor. È questa grande casa appollaiata sull’ansa del Tamigi la vera protagonista del libro. Lei e la presenza che vi abita. Gli altri sono solo di passaggio: Edward, Lucy, Ada, Tip, Juliet, Leonard, Jack, Elodie… sì, sono davvero tanti e sono solo i principali. Non nego che ho avuto un po’ di difficoltà a ricordarmi cosa era accaduto a chi e in che epoca, e ammetto che alcuni di loro spesso mi sono sembrati… come dire… superflui? Ad esempio James Stratton, un personaggio con del potenziale (considerando cos’ha fatto nella sua vita conseguentemente all’incontro con Birdie) ma relegato a un ruolo più che marginale; Ada e la nipote Rosalind Wheeler; per non parlare di Jack, Elodie e tutti i loro affini di cui non ci viene detto che destino avranno. Difatti, il romanzo si chiude velocemente: capitoli brevi, questioni lasciate aperte (che sì, immagino cosa succederà, ma ecco… appunto… IMMAGINO! Che va anche bene lasciare qualcosa all’immaginazione del lettore, ma non un’intera conclusione – o nuovo inizio? – del filo narrativo di alcuni personaggi!), la sensazione che ci sia stata fretta di chiudere una volta svelato il mistero sulla tragedia avvenuta nel 1862.
E poi sì, mancavano i colpi di scena alla Kate Morton, proprio quei cambi di rotta, quelle scoperte choc che ti fanno ricredere sugli eventi accaduti finora. Fino all’ultimo ho sperato che il vero nome di Birdie fosse di qualcuno che si conosceva, che desse un senso all’averlo tenuto nascosto al lettore fino alla fine… e invece niente. È la tecnica della “pistola di Checov”: «Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari». Significa che se si danno degli elementi e poi non vengono usati, al lettore resterà una sensazione di incompletezza. Perché sono stati messi? Ogni elemento nella storia deve avere una funzione, altrimenti è di troppo. Mantenere il vero nome di Birdie segreto e poi scoprire che era solo questo, un nome, a cui non era correlato nient’altro, mi fa solo chiedere perché tenerlo nascosto fin dall’inizio e soprattutto perché sottolinearlo più volte nell’arco della narrazione.
Quindi, con un po’ di sconforto, devo ammettere che di tutti i romanzi di Kate Morton, questo non è il migliore. Ci tengo a ripetere che questo giudizio è dato ormai dall’aspettativa che ho verso questa scrittrice (l’unica fino ad ora che è riuscita a farmi piangere dalla commozione, a farmi entrare in empatia con i suoi personaggi in maniera assurda) e dal paragone con i suoi libri precedenti. Magari chi si approccia a lei per la prima volta con “La donna del ritratto” potrebbe davvero apprezzarlo appieno e molto meglio di me. A volte è vantaggioso essere una tabula rasa e non avere aspettative.
Detto questo, chiudo dicendo che, in ogni caso, lo stile è impeccabile, la cura nei dettagli in base alle epoche è frutto di studi condotti dall’autrice, il suo amore per ciò che scrive è palpabile. È per questo che ritengo che sia un’ottima scrittrice e che anche dopo questa piccola delusione sono comunque in trepida attesa per il suo prossimo romanzo!

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    03 Settembre, 2018
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Tra fanfiction e realtà

Perché ho comprato “Fangirl”? Perché mi ha attirato la sinossi in quarta di copertina e, lo ammetto, perché c’era lo sconto del 25% che lampeggiava sulla foderina. Se devo proprio dirla tutta, lo avevo puntato ormai un anno fa, complici le ottime recensioni sul web, ma ho aspettato fino ad ora perché spesso i generi rosa e adolescenziali mi deludono: le protagoniste sono piatte come suole di scarpe e le scelte che fanno sono molto discutibili (anche per delle teenager in piena crisi ormonale).
Non è bello iniziare un libro con basse aspettative (ma comunque sufficienti per comprarlo e cominciarlo), ma è fantastico quando poi si scopre di essere stati prevenuti e aver sottovalutato un racconto.
Ed è quanto mi è successo con “Fangirl”.

Cath è una ragazza di diciotto anni che va per la prima volta all’università insieme a sua sorella Wren. Pur essendo gemelle omozigoti, le due hanno caratteri ben distinti e reagiscono alla vita in maniera differente. L’abbandono da parte della madre quando avevano solo otto anni fa sì che Cath si chiuda in se stessa, diventando una ragazza asociale il cui unico scopo è soddisfare i suoi follower in un sito di fanfiction, mentre Wren si dà alla vita mondana ubriacandosi allo stremo quasi ogni sera. Queste loro “abitudini” si estremizzano quando vanno all’università e, per volere di Wren, al campus si trovano in stanze diverse, condividendo per la prima volta una camera con qualcuno che non è la gemella. Cath, in particolare, conosce Reagan e il suo ex ragazzo/miglior amico Levi.
Sarà grazie alla nuova vita da matricola, ai nuovi incontri e alle nuove esperienze che Cath comincerà a uscire dal guscio dentro cui si era barricata, un guscio che non era altro che il mondo fittizio degli Arcimaghi (saga di libri molto simile al nostro Harry Potter e di cui scrive la fanfiction).

Questo romanzo mette in evidenza i problemi adolescenziali, le conseguenze dell’assenza di un genitore, il modo in cui si affronta la vita quando si ha una famiglia disastrata e come possa cambiare quando si ha qualcuno affianco. Le cose degenerano quando le due gemelle si separano, migliorano quando si riavvicinano, vanno bene quando ognuna trova la felicità anche con qualcun altro.
Tutti i personaggi inseriti nella storia hanno un loro perché: Levi mi è piaciuto tantissimo, è un ragazzo dolce, paziente e sorridente, è un dispenser di gentilezza e serenità (anch’io voglio un Levi!); Reagan che pur essendo brusca e con il vizio di aprire le porte a zampate, prende Cath sotto la sua ala protettrice per guidarla durante il suo anno di matricola; Nick è un compagno di corso di Cath che ha la passione per la scrittura e, così come gli altri, sarà fondamentale perché la protagonista capisca il suo ruolo nella vita; la madre e il padre di Cath e Wren che sono l’una assente da dieci anni e l’altro con qualche instabilità mentale. Infine, ci sono Baz e Simon, i protagonisti del mondo degli Arcimaghi, i personaggi immaginari di cui Cath – e anche Wren, seppur in maniera più moderata – non riesce a fare a meno, tanto da metterli al primo posto nella sua vita.
“Fangirl” è un libro carino, spensierato, ma che comunque fa riflettere sulle difficoltà adolescenziali senza ricorrere per forza alle teenager squilibrate e scontate di cui si legge spesso. Cath si evolve, ma questo non significa che cambia se stessa: il suo amore per il mondo degli Arcimaghi resterà quello che è, forse un po’ più ridimensionato, ma resta. Cath piace per quello che è, il suo fanatismo non scompare da un momento all’altro, non siamo su “Kiss me” (citato anche nel libro), dove la protagonista cambia radicalmente per adattarsi al mondo “normale”. Perché Cath va bene così! Perché la normalità è sopravvalutata, perché non c’è nulla di male a circondarsi di ciò che si ama (avere una stanza tappezzata di poster, gadget, adesivi, magliette tenute e mo’ di reliquie sacre), non c’è nulla di male a scrivere di ciò che ci piace. L’importante è che non azzeri la nostra vita reale.
Di questo romanzo c’è da dire che tutto va come previsto, quello che ci aspettiamo succeda, succede. Questo però non significa che sia insulso, perché pur sapendo dove si andrà a parare, la Rowell ha costruito una trama importante dove credo ognuno di noi possa ritrovarsi. Io mi sono rivista moltissimo nel personaggio di Cath: non è un’adolescente stereotipata, è semplicemente se stessa. “Semplicemente”, una parola ricorrente nel libro. E a volte basta scrivere qualcosa di semplice per avere un risultato ottimo. Niente colpi di fulmini, ma un amore che cresce man mano, fatto di abbracci e carezze, che procede “delicatamente”; niente classici dissapori con le smorfiosette di turno, siamo all’università, i ragazzi sono leggermente più maturi (con qualche eccezione) e le faide tra cheerleader o reginette del ballo sono cose passate. No, qui si parla di una ragazza che potrebbe essere chiunque tra noi, una ragazza che ha le sue passioni, i suoi hobby, il suo stile di vita e che non li cambia solo per piacere agli altri. È reale, così come lo sono tutti gli altri personaggi: dal solare Levi, alla burbera Reagan, alla ribelle Wren.
Insomma, è la prima volta che mi dispiace di aver finito un libro di questo genere, avrei voluto continuare a leggere di questi personaggi per molto ancora, magari con una sbirciatina nel futuro di Cath.
Unica, piccola, nota negativa: gli intermezzi con la fanfiction scritta da Cath a volte sono noiosetti e spezzano la trama madre. Inoltre, la storia degli Arcimaghi è rimasta in sospeso, perché la Rowell poi ha scritto davvero un libro su Simon e Baz. “Carry on” di Rainbow Rowell è la fanfiction di Cath.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    23 Luglio, 2018
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Una strega americana a Londra!

Prequel della saga “Shadowhunters – The Mortal Instruments”, questa trilogia narra eventi avvenuti a Londra nel 1878; in particolare, racconta le avventure battagliere e amorose di Theresa (Tessa) Gray, William (Will) Herondale e James (Jem) Carstairs.
Dopo la morte della zia Harriet, Tessa raggiunge suo fratello Nate a Londra. O almeno, questo è quello che sarebbe dovuto accadere. In realtà, una volta sbarcata nel vecchio continente (Tessa viveva a New York), la ragazza viene accolta da due strane signore (le Sorelle Oscure) che cominciano a istruirla nelle arti magiche, o per meglio dire, nell’arte della trasfigurazione. Tessa scopre, infatti, di avere questo particolare e innato potere di poter assumere le sembianze di altre persone, che siano ancora in vita oppure già morte. Il perché le Sorelle Oscure si ostinino ad addestrarla è un mistero, Tessa scopre solo che dopo essersi perfezionata, andrà in sposa uno sconosciuto: il Magister.
Una notte, in preda allo sconforto di stare per addentrarsi in una vita che non desidera, Tessa incontra un bel giovane. Non è il classico incontro che avveniva nella Londra vittoriana, ma un salvataggio fortuito. Will Herondale, uno Shadowhunter, è entrato di nascosto nella casa delle Sorelle Oscure per scoprirne i segreti, dopo che un omicidio lo ha portato a sospettarle. E mentre ficcanasa nelle stanze, giunge nella camera di Tessa.
Non è un salvataggio coi fiocchi, ma dopo una rocambolesca corsa lungo corridoi tetri e laboratori con strani macchinari, i due riescono a uscire dalla casa grazie all’aiuto degli altri Cacciatori giunti sul luogo.
È da questo momento che Tessa comincia a conoscere il Mondo Invisibile: gli Shadowhunters, i demoni, i Nascosti, e si rende conto di non rientrare in nessuna categoria, neanche in quella degli stregoni.
Divisa tra l’amore per due parabatai, vogliosa di scoprire la sua identità e risoluta a salvare la sua nuova famiglia, Tessa si trasforma da una ragazzina insicura a una donna dalle mille sfaccettature. Con lei conosciamo Will, arrogante e spesso crudele con chi gli vuole bene, Jem, tranquillo e pacato, dolce e paziente, Charlotte, una donna forte e indipendente che gestisce l’Istituto di Londra e che deve dar prova delle sue capacità in un mondo governato da uomini, e tutti i personaggi che da secondari prendono pian piano il loro posto nella storia, dalla cameriera Sophie ai fratelli Lightwood.
Questa trilogia mi è piaciuta molto di più della serie “The Mortal Instruments”, Tessa è molto più matura di Clary (che spesso ho trovato troppo sciocca… ma okay, è pur sempre una sedicenne in un mondo pieno di demoni); Will e Jem sono due ragazzi che danno un senso al legame parabatai, qualcosa che Jace e Alec si sognano, secondo me. In generale, in questa trilogia i personaggi mi sono sembrati molto più credibili, più profondi, più reali. I sentimenti che li legano sono più umani (o forse in “The Mortal Instruments” mi cominciavo a stancare del tira e molla tra Clary e Jace?!), vanno oltre le classi sociali e le razze… oserei dire che vanno oltre la morte.
Bella, mi è piaciuta, mi ha emozionato e la consiglio. Anzi, direi che per evitare spoiler, sarebbe da leggere prima della saga madre.
Un suggerimento: non fermatevi al primo libro che a tratti, lo ammetto, più sembrare lento. Non fate l’errore di dire “Will è la copia di Jace”, perché non è così. Personalmente, ho trovato Will molto più “sensato”, la sua arroganza ha un perché, non è campata per aria, come spesso mi è invece parso per Jace (e ora vi starete armando di torce e forconi, lo so! Ma che ci posso fare, Will mi ha emozionato come Jace non è riuscito a fare!).

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    14 Mag, 2018
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S.A.M. ... Sono Ammessi Maggiorenni?!

Etichettare questo romanzo come “per ragazzi dai 9 agli 11 anni” mi sembra inappropriato, così come mi sembra riduttivo definirlo “fantasy”. Credo infatti che sia adatto a tutte le età e che tocchi più generi.
Infondo, parlare di medium e sensitivi è davvero fantasia?! Perché sì, è questo che fa il romanzo. Racconta le avventure degli studenti della S.A.M. (Scuola Anti Mistero), una scuola per ragazzi dotati di poteri. Che tipo di poteri? Be’, non stiamo parlando di magia, non siamo a Hogwarts e non ci sono scope volanti e pozioni magiche. Al contrario, ci sono adolescenti disperati per quello che la natura gli ha regalato, che potrebbe essere un dono, ma che per loro è una maledizione. Almeno finché qualcuno non li aiuta a gestirlo come si deve. Alice, ad esempio, è una ragazzina del primo anno che non riesce a controllare i suoi poteri cinetici quando in preda a emozioni forti; Matìa è un giovane che non tocca più penna e quaderno da anni per evitare di cadere in trans e scrivere quello che “altri” gli dettano; Giselle vede la gente morta (cit.). Questo trio non è il solo protagonista del libro, ma ci cono tanti altri studenti con tanti altri poteri. E ci sono i fantasmi della scuola che, arrabbiati che la loro casa sia stata invasa da incarnati (ovvero i vivi) tanto chiassosi, cominciano a manifestarsi in maniera sempre più frequente e… pericolosa.
Un libro bellissimo, interessante, mai scontato e che con maestria racconta la vita e le problematiche di ogni studente, in particolare dei dieci componenti dell’Ottava Confraternita, e anche dei professori, i cui trascorsi li hanno resi molto prudenti. Forse anche troppo.
Non vedo l’ora di leggere il seguito!
Consigliatissimo
Oltre alla lettera per Hogwarts, ora mi metterò anche ad aspettare che la professoressa Noa bussi alla mia porta… ma dubito che alla S.A.M. Siano Ammessi ultraMaggiorenni… Sigh…

P.S.: Il quaderno del nome in fondo al libro è un piccolo gioiellino che racchiude descrizioni e disegni riguardanti confraternite, professori, mappa della scuola e tanto altro!

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    29 Aprile, 2018
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Meglio se restava una trilogia

Quarto e ultimo libro della saga di “The 100”. I protagonisti da principio risentono di ciò che hanno vissuto. Bellamy, che aveva rischiato di essere giustiziato da Rhodes, è costantemente sul chi vive, diffidente e poco propenso a credere che la pace che ormai alberga nelle loro vite da circa un mese possa essere duratura. Wells cerca di ammazzarsi di lavoro fisico per evitare in tutti i modi che i suoi pensieri vadano sempre a intrufolarsi nel doloroso ricordo di Sasha, nei bei momenti passati insieme e nel futuro che aveva cominciato a sognare e che è stato orribilmente spazzato via. Glass si sente più inutile di un soprammobile, nella radura non ha nulla da fare perché fondamentalmente non sa fare nulla, e ha passato l’ultimo mese a fare la brava donnina di casa mentre Luke faceva il suo dovere di soldato. Dei quattro protagonisti, Clarke sembra l’unica ad aver finalmente ritrovato un po’ di pace, ora che ha di nuovo i genitori con sé, eppure il nervosismo di Bellamy le dà molto da pensare.
Dopo solo un paio di capitoli, quel che viene da dire è: «Bellamy ha sempre ragione. Date sempre retta a Bellamy!». Il sesto senso del ragazzo, infatti, ci ha azzeccato alla grande (di nuovo) e proprio durante un giorno di festa la radura viene attaccata da un gruppo di uomini vestiti di bianco. Apparentemente non appartengono al clan di terrestri ostili che li avevano già colpiti innumerevoli volte. Questi infatti rapiscono chi considerano i forti del gruppo, si fanno chiamare “Custodi” e predicano il volere di Terra (la preposizione semplice è voluta).
La nuova sfida dei nostri cari delinquenti è quindi quella di salvare i compagni rapiti e riportarli a casa.

Allora… Che dire… Forse era meglio se Kass Morgan si fermava al terzo libro. Tengo a precisare che la storia non è malaccia e se non fossero esistiti gli altri tre romanzi, probabilmente mi sarebbe anche piaciuta. Ma dobbiamo contestualizzarla e quel che risulta è che non ci azzecca nulla con quanto raccontato finora.
La scrittrice poteva vagare con la fantasia e approfondire mille sottotrame, come: l’esplorazione della Terra, magari l’incontro con qualche animale geneticamente modificato dalle radiazioni, la ricerca delle altre navicelle atterrate (e dirci anche che fine abbia fatto Camille, invece che risolvere semplicemente non nominandola più e quindi dare per scontato che sia morta in uno degli schianti), approfondire la storia con i terrestri ostili (e raccontarci meglio la figura di Kendall), dirci se effettivamente nella Colonia sono tutti morti. Insomma, si poteva sbizzarrire! E lei invece che fa? Fa saltar fuori dal nulla un branco di invasati che rapisce gente, distrugge villaggi e ruba provviste. Dei predoni, direte voi, cosa c’è di male? Niente, rispondo io, se non fosse che sono un po’… strani? A parte il fatto che non capisco dove siano stati finora questi Custodi e perché i terrestri non ne sapevano nulla. C’è un gruppo di predoni che attacca i villaggi, e non sono mai arrivate delle voci in proposito? Boh… Vabbè. Ma quello che non mi è proprio piaciuto è il loro “predicare bene e razzolare male”. In pratica, questi Custodi hanno una componente maschile che non fa altro che compiere bestialità, e una componente femminile che lava, pulisce, cucina e… procrea. E anche qui direte: gli uomini schiavizzano le donne, vedrai che si alleeranno con i cento per sconfiggere i predoni che le castigano. Eh, no, invece! Perché a capo di tutto c’è proprio una donna, Soren, che vuole che le cose vadano così. Alle donne va bene che la loro società funzioni così, va bene lavorare per dei bruti che massacrano e uccidono e con cui un giorno potrebbero essere “Abbinate”, ovvero accoppiate in base a un criterio casuale. E la giustificazione di tutto è “perché Terra vuole così”. Sostanzialmente, questi Custodi sono convinti di quello che fanno e sono anche certi che il loro sia il modo giusto di vivere e che il resto dell’umanità sopravvissuta al Cataclisma sia solo da depredare e sottomettere al loro stesso… credo? Pensiero? Ideale? Boh, quello che è.
Come ho già detto, un branco di invasati.

Insomma, questo quarto libro non era minimamente necessario (il terzo era già bello che concluso, senza trame rimaste aperte) e non mi ha particolarmente entusiasmato, anzi mi ha un po’ deluso.
Lo stile è scorrevole e semplice come sempre; ho trovato un errore che, però, voglio pensare sia di traduzione e non della scrittrice, perché stiamo parlando di un nome proprio sbagliato! Lilly è diventata Lily.

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Fantascienza
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    26 Aprile, 2018
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La minaccia arriva dal cielo

Dove eravamo rimasti? I nostri cari delinquenti hanno scoperto di non essere soli sulla Terra e che c’è stata una spedizione precedente alla loro di cui, però, sembra non essere sopravvissuto nessuno. O quasi. Clarke inizia ad avere la concreta speranza che i suoi genitori siano ancora vivi. E mentre i cento cominciano a capire come muoversi sul pianeta e che i terrestri non sono tutti ostili come credevano, una nuova ondata di coloni scende dal cielo.
Nella Colonia, infatti, l’ossigeno è ormai agli sgoccioli e delle navicelle di salvataggio sono partite alla volta della Terra, atterrando poco lontano dall’accampamento dei cento. E dacché i giovani delinquenti gioiscono della nuova compagnia, pian piano si rendono conto che i nuovi arrivati non portano altro che grane. Il Vice Cancelliere Rhodes prende il comando dei soldati sbarcati con lui e inizia a dettare legge per ripristinare il potere che aveva sulla Colonia. Non passa troppo tempo che le condizioni tornano a essere quelle rigide e dittatoriali attuate nello spazio e i cento, che sulla Terra avevano costruito la loro casa, si ritrovano a dover affrontare una minaccia che inaspettatamente non arriva dai terrestri, bensì dalla loro stessa gente.

Le prove dei protagonisti sembrano non aver mai fine, Bellamy è costretto a fuggire per evitare la condanna a morte per essere scappato dalla Colonia, Clarke ha il suo bel daffare con il curare i nuovi arrivati e proteggere il ragazzo che ama, Wells inizia a capire di avere la stoffa del leader e ad agire di conseguenza, mentre Glass si scontra con i pericoli della Terra per la prima volta. I primi tre protagonisti si sono evoluti parecchio rispetto al primo libro, sono cambiati, cresciuti, e hanno imparato prima a sopravvivere e poi a vivere sulla Terra, facendo i conti con i loro errori passati, col dolore delle perdite subite e con le nuove responsabilità. Diversamente, Glass mi sembra un personaggio un po’ piatto. Lei infatti agisce sempre e solo per Luke, non c’è altro al di fuori del loro amore e la cosa, alla lunga, stufa. Sì, quello che prova per lui l’ha resa forte, non è più la ragazzina snob della Colonia, ma questo cambiamento è stato sottolineato fin dal primo capitolo del primo libro. Solo alla fine di questo terzo volume Glass inizia a capire che sulla Terra non possono esserci solo lei e Luke e che è importante fare parte di un gruppo, di una famiglia, e aiutarsi a vicenda. Spero che la sua trama si amalgami di più a quella degli altri nell’ultimo libro.

Lo stile del romanzo è sempre molto scorrevole e semplice, la trama a tratti un po’ prevedibile ma comunque piacevole. Con questo terzo volume la storia sembra conclusa, ma a quanto pare ai cento spettano nuove peripezie. L’happy ending dovrebbe quindi essere una pausa momentanea, giusto per far riprendere fiato ai giovani protagonisti prima che succeda un’altra disgrazia!

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    17 Aprile, 2018
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La battaglia per la sopravvivenza continua

Sono trascorse tre settimane da quando i cento sono sbarcati sulla terra; il cibo scarseggia, un incendio ha raso al suolo il loro accampamento e Octavia sembra essere scomparsa nel nulla. E come se questo non bastasse, i giovani delinquenti fanno una strabiliante scoperta: non sono soli. Tuttavia, a differenza di quanto credevano, la presenza di terrestri non è affatto cosa buona. Questi si spostano agilmente nella foresta apparendo come ombre tra gli alberi, attaccando e minacciando i ragazzi venuti dallo spazio perché se ne vadano. Ma cosa spinge i terrestri a essere così aggressivi con i nuovi arrivati? La cattura di una di loro e la scoperta di un relitto nel bosco daranno qualche risposta ai cento.
E mentre sulla Terra avviene tutto questo, nello spazio l’ossigeno comincia a scarseggiare e le persone (amici, parenti, conoscenti) lottano per respirare.

La storia riprende esattamente da dove l’avevamo lasciata, anche qui i capitoli sono un alternarsi di punti di vista tra Wells, Clake, Bellamy e Glass e, seppur con meno frequenza, ci sono flashback della loro vita passata nella Colonia.
Rispetto al precedente, in questo romanzo si dà molto più spazio all’azione, si fanno alcune scoperte, ma altri misteri vengono a galla. E se il primo libro serviva a introdurre i personaggi al lettore, in questo secondo volume sono i protagonisti stessi che cominciano a conoscersi meglio tra loro, cosa che a volte porta un aumento di fiducia, altre volte fa nascere non pochi litigi.
Per i cento comincia a essere dura confrontarsi con la Terra e con se stessi.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    09 Aprile, 2018
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Cosa sei disposto a fare per amore?

L’umanità (o quel che ne resta) ha abbandonato la Terra da circa tre secoli, dopo che le radiazioni nucleari l’hanno praticamente distrutta. Una manciata di persone è sopravvissuta nello spazio, vivendo per tutto questo tempo in una grande nave che orbita intorno al pianeta.
Le regole nello spazio sono rigide e dure, per ogni effrazione c’è l’immediata pena di morte per i maggiorenni e la reclusione per i minorenni. Ma per questi ultimi, una volta raggiunti i 18 anni, è difficile che ci sia il perdono e il rientro in società. Ecco allora che il Cancelliere decide di concedergli una seconda possibilità: per verificare se la Terra sia tornata a essere abitabile, cento detenuti minorenni verranno fatti sbarcare.
Peccato che per tutti coloro che vengono a conoscenza di questo piano sia difficile considerarlo come una “seconda possibilità”, dato che le radiazioni potrebbero uccidere i ragazzi istantaneamente.

La storia è narrata in terza persona, ogni capitolo è focalizzato su un personaggio diverso, alternandosi tra Clarke, Wells, Bellamy e Glass.
La prima è stata confinata per amore dei genitori e per il tradimento di un amico, il secondo per seguire sulla Terra la ragazza che ama. Bellamy non è tra i 100, ma si imbarca sulla navicella per proteggere sua sorella Octavia, mentre Glass è l’unica detenuta che riesce a sgattaiolare via e rimanere nello spazio.
Essendo il primo capitolo di quattro, “The 100” è più che altro un’introduzione ai personaggi. I quattro protagonisti si mettono in gioco, scoprono le loro carte e il lettore impara a conoscerli (Perché tre di loro erano detenuti? Cosa possono aver mai fatto per meritarsi la reclusione? Cosa sono disposti a fare per amore della persona più importante della loro vita? E cosa per sopravvivere?).
La descrizione caratteriale è tanto completa quanto è scarna quella fisica. A parte il colore dei capelli e degli occhi di Clarke, Glass, Octavia e Luke, non viene aggiunto altro (giusto gli occhi grigi di Wells). Ma forse questo perché le descrizioni sono tutte incentrate su di lei: la Terra!
I 100 riscoprono la bellezza del pianeta, si meravigliano per le piccole cose che agli occhi di chi ci vive da sempre potrebbero sembrare banali: il colore del cielo, il profumo dell’aria, il canto degli uccelli, il sapore dell’acqua e il tocco della pioggia sul viso. Tutto ciò che apparentemente è la normalità, diventa speciale per coloro che da secoli vivono tra lamine di freddo metallo, respirano aria artificiale e bevono acqua filtrata e priva di ogni proprietà. Nessuno ha mai visto un albero, nessuno ha mai incontrato un animale. Semplicemente, nessuno era più stato sulla Terra da troppo tempo per ricordarla.

Lo stile è semplice e scorrevole, solo nel primo capitolo di Glass ho dovuto un attimo rileggere le prime righe, perché non avevo capito che lei fosse tra i 100. Ripeto, è più che altro un’introduzione ai personaggi (che personalmente ho molto apprezzato perché ben fatta); tramite flashback la scrittrice racconta cosa sia capitato a e tra loro e perché si siano trovati a dover fare certe scelte… Scelte che nessuno dovrebbe fare, né adulti, né tantomeno adolescenti.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    27 Febbraio, 2018
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SI CONTINUA COL N°4!

La trama riprende da dove eravamo rimasti con la prima trilogia: Jace, tornato in vita grazie al desiderio di Clary espresso all’Angelo Raziel, sembra subire qualche effetto collaterale; Alec e Magnus sono in vacanza in giro per il mondo; Simon si incontra sia con Maia che con Izzy, e Clary cerca di capire perché Jace la tiene lontana (di nuovo, aggiungerei). Ma mentre i personaggi continuano a vivere la loro vita, in città iniziano ad accadere cose strane: bambini deformi trovati morti, Shadowhunters assassinati, un nuovo lupo mannaro che dice di voler proteggere il Diurno. Presto il gruppo dovrà ricompattarsi per risolvere non pochi problemi, un nuovo cattivo farà la sua entrata a effetto e… beh, il resto leggetelo.
La storia mi è piaciuta e resta ovviamente parecchio aperta sul finale (libro 5 appena cominciato!). Quello che continua a non andarmi proprio giù è il personaggio di Clary (mi dispiace, è più forte di me, a tratti ho anche sollevato gli occhi al cielo durante la lettura!), ma per fortuna si bilancia con gli altri co-protagonisti. Simon è un grande come sempre, Isabelle l’ho rivalutata (in senso positivo) e Alec e Magnus sono semplicemente perfetti, peccato che compaiano poco rispetto agli altri. Per quanto riguarda Jace, ogni tre per due viene rimarcato quanto sia pallido, con le guance scavate, gli zigomi sporgenti, le fossette sulle tempie e le borse sotto gli occhi… Un fiore, insomma! Quello che mi ha dato fastidio non è tanto il fatto che il belloccio di turno non abbia proprio i tratti tipici… beh, di un belloccio, poiché ci sono dei buoni motivi sul perché Jace sia così stravolto. Quello che mi ha dato fastidio è stato invece leggerlo davvero quasi in ogni paragrafo.
Gli scrollamenti di spalle, devo ammetterlo, questa volta non li ho contati. All’inizio erano davvero troppi e mi ero stancata di recuperare la matita per segnarli. Tuttavia, a occhio, mi è parso che ce ne siano stati un po’ meno. Diciamo che lo stile (o la traduzione?) ha degli alti e bassi allucinanti, da descrizioni encomiabili a errori banali che fanno cascare le braccia (le ripetizioni, accidenti! Basta tenersi affianco un dizionario dei sinonimi e contrari mentre si scrive! E poi neanche, perché perfino Word suggerisce i sinonimi delle parole!).
Quindi, che dire, se avete letto gli altri romanzi, perché fermarvi? Serve per passare qualche ora avvolti in un mondo che stuzzica non poco la fantasia!

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    09 Gennaio, 2018
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Le torri antidemone di San Gimignano!

Ultimo libro della prima trilogia di Shadowhunters e anche il migliore dei tre. Le vicende sono quasi totalmente ambientate ad Alicante, ossia la Città di Vetro, capitale di Idris. Questa regione abitata prettamente da Cacciatori ci catapulta in un mondo più fantasioso di New York, in un luogo dai tratti medievaleggianti (per il nostro orgoglio, dopo che Stephenie Meyer ha ambientato New Moon anche a Volterra, Cassandra Clare paragona Alicante a San Gimignano!) dove i mondani non si avvicinano, la tecnologia non funziona e le auto non transitano. Un piccolo angolo magico dove tutto ha avuto inizio, dove Jonathan Shadowhunter invocò l’Angelo Raziel per creare la stirpe dei Cacciatori.
Nel romanzo vengono approfondite diverse trame che erano o in sospeso o apparentemente dimenticate. Scopriamo il passato della famiglia Morgenstern da più punti di vista, viaggiamo a cavallo in cerca di risposte per salvare Jocelyn, assistiamo a rivelazioni terribili sulle azioni di un uomo folle, ci prepariamo a combattere una guerra con alleati che non sospettavamo, conosciamo nuovi personaggi di cui non sappiamo se e quanto fidarci e diciamo addio ad altri che avevamo da poco imparato ad amare. Ci sono tragedie e ci sono belle rivelazioni, i personaggi secondari riescono a conquistarsi capitoli incentrati su di loro (Alec!) e in questo modo riusciamo a conoscerli ancora meglio.
Quindi, che dire? Sono soddisfatta!
Continuo a pensare che Clary sia una rompiscatole combina guai, che quel che tocca rompe e che a volte farebbe meglio a starsene zitta e buona invece che cacciarsi nei guai. Cosa che non dimenticano di farle notare anche Isabelle, Jace e il cattivone di turno che no, non è Valentine. Non solo, almeno. Mi sono ritrovata ad annuire con rassegnazione quando tale nemico (di cui non rivelerò il nome, anche se credo che oramai lo conosciate tutti) disse: “Ci sono nell’universo dimensioni demoniache immerse nel buio più assoluto che hanno più luce dei vostri cervelli”. Insomma, dai, riferendosi anche a Clary, come dargli torto?!
Consigliato, con tanto di 30 scrollamenti di spalle!

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Narrativa per ragazzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    18 Novembre, 2017
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La quiete prima della tempesta... SPERO!

Secondo libro della saga, come tale si sente che è “di passaggio”. Quello che intendo dire è che su per giù la storia non si modifica molto. Lo scopo dei nostri protagonisti è quello di fermare Valentine che è in possesso di due strumenti mortali: la Coppa e la Spada. Devo essere sincera, mi sono persa per strada il motivo per cui la Coppa Mortale sembri non rappresentare più un pericolo (e qui chiedo aiuto a chi l’ha già letto). Comunque, questo è l’obiettivo a inizio libro e questo rimane l’obiettivo a fine libro. Ovvio, ci sono dei passi avanti nella storia (ci mancherebbe…), ma il filo narrativo principale è pressoché immobile.
Conosciamo un po’ di più Jace, il suo passato, il motivo di alcuni aspetti del suo carattere. Scopriamo alcuni poteri di Clary, sopiti per la vita che ha condotto da mondana fino a questo momento. Anche di Alec, Magnus e Isabelle scopriamo qualcosa in più, seppur secondo me restino ancora troppo marginali. Insomma, vengono approfonditi più i personaggi della trama, cosa che ho apprezzato, perché nel primo libro era successo esattamente il contrario ed erano quasi tutti dei semplici nomi su un foglio di carta.
Quindi: libro 1 incentrato sulla trama, libro 2 sui personaggi. Col terzo mi aspetto un mix di entrambi e un bel ricco romanzo (insomma, la quiete prima della tempesta!).
E ora, se avete letto la mia recensione di “Città di ossa”, saprete bene che mi ero messa a contare gli “scrollò le spalle” e i “produsse”, ripromettendomi che lo avrei fatto anche per il secondo libro. Un netto miglioramento: nessun “produsse” e molti meno scrollamenti, anche se sono aumentate le tipologie. Infatti non ci sono più solamente scrollamenti di spalle, ma anche di teste e di giacche, per un totale di 26!

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Primo libro della saga e altri romanzi young-adult urban-fantasy
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Fantasy
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    24 Ottobre, 2017
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Una scrollata di spalle e tutto passa!

So che ormai questo libro lo hanno letto tutti (ero rimasta solo io, in pratica) e che lo hanno recensito in molti. Però mi va lo stesso di dire la mia in proposito.
Il romanzo fa parte di una saga divisa in due trilogie e poi continuata tramite spin-off, prequel, eccetera eccetera. Questi libri narrano di un mondo più ampio rispetto a quello che conosciamo, raccontano del Mondo Invisibile, popolato da mezzi angeli, mezzi demoni e demoni. Gli Shadowhunters, ossia i mezzi angeli, sono coloro che proteggono il mondo sia visibile sia invisibile dai demoni , creature malvagie che dagli Inferi oltrepassano le barriere che separano i mondi e si riversano su di essi per distruggerli. Poi ci sono appunto i mezzi demoni, mal visti dagli Shadowhunters ma che grazie a un patto stipulato con loro vivono civilmente in mezzo agli essere umani. Questi mezzi demoni comprendono licantropi, vampiri e fate.
Nello specifico, il romanzo parla di una quindicenne, Clary, che scopre il Mondo Invisibile, assistendo all’uccisione di un demone da parte di tre giovani Shadowhunters: Jace, Alec e Isabelle.
Sembrerebbe banale, lo so, perché ormai di young-adult fantasy che parlano di angeli se ne leggono a bizzeffe. Eppure a me è piaciuto. Quello che invece mi ha particolarmente infastidito è: 1) il lessico! Accidenti, il lessico!!! 2) la caratterizzazione dei personaggi.
Andiamo con ordine.
1) Non avete idea di quante volte questi personaggi scrollino le spalle! Dopo aver incontrato la frase “Scrollò le spalle” per tre volte in due facciate consecutive, ho deciso di contarli e appuntarmeli in un foglio. Sì, lo so, ho qualcosa che non va. Ma così ho scoperto che questi Shadowhunters hanno un tic piuttosto evidente: 32 scrollate di spalle, signore e signori, di cui 4 solo nell’epilogo! Per chiudere in bellezza, insomma! E considerate che non ho segnato le volte in cui “Scosse le spalle, “Sollevò le spalle”, “Strinse le spalle”, ecc. Allucinante, davvero.
Altro modo di dire ricorrente è “Si produsse”. Del tipo: “Jace […] si produsse nel fantasma di un sorriso” (Eh?!), “Magnus si produsse in un sospiro irritato”, “Jace produsse un coltello dalla tasca”, “Jace si produsse in una risata”. Perciò non potete capire quanto ho riso quando ho letto: “Magnus si produsse in un’elegante scrollata di spalle”. BOOM!
Poi ci sono descrizioni un po’ strane che anche usando la mia fantasia non sono sicura di aver interpretato al meglio. Secondo voi che vuol dire (riferito a un demone): “Dietro, dentro il suo cranio, la seconda serie di denti […] iniziò a digrignare”? Ha una seconda bocca sul retro della testa? Boh…
2) Clary è insopportabile, punto. Una ragazzina che scopre un nuovo mondo composto da angeli e demoni, che viene aggredita da un mostro, che scopre di essere figlia di una Shadowhunter e che i suoi ricordi sono stati cancellati da uno stregone, che rischia la vita ogni tre per due… Cosa fa? Nulla di che, tutte queste novità sembrerebbero non farle né caldo né freddo. Se avesse scoperto che il miscelatore della doccia dava sia acqua fredda che calda ci sarebbe rimasta più spiazzata! Accidenti, se io avessi vissuto tutto questo, mi sarei messa a piangere in un angolino con la faccia rivolta verso il muro, ripetendomi costantemente che stavo sognando e non ero impazzita… ma okay, evidentemente non ho la stoffa per salvare il mondo dai demoni.
Idem per Simon, il migliore amico della protagonista, che lo tratta come uno schiavetto. La reazione del ragazzo nel sapere del nuovo mondo è stata: “Che figata!”. Be’, dai, sempre meglio di Clary.
Non ho nulla da dire su Jace, che viene delineato abbastanza bene, mentre Alec e Isabelle sono poco più che comparse. Al che, non capisco come quella brillante e geniale Clary abbia capito che Alec è innamorato di Jace. Insomma, non è che fosse così ovvio, dato che quando c’è questa rivelazione, Alec è comparso circa due/tre volte in orari dei pasti. Mah… Invece, Isabelle viene descritta come l’oca peggiore che si possa incontrare, Clary la prenderebbe a pugni ogni tre per due, ma alla fine sono amiche del cuore. Scusa?!

Detto questo, alla fine il romanzo risulta abbastanza piacevole da leggere. Io personalmente mi sono divertita a ricercare “Scrollò le spalle” e “Si produsse”, cosa che non mancherò di fare anche nel secondo libro.

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young-adult, urban-fantasy
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Gialli, Thriller, Horror
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    10 Settembre, 2017
Top 500 Opinionisti  -  

E se domani mi svegliassi a New York?

Alice è una poliziotta di Parigi. Gabriel un pianista jazz americano.
Una sera d’ottobre, lei è in giro a bere con le amiche nella capitale francese, lui sta suonando in un pub a Dublino. Com’è possibile che il mattino successivo questi due sconosciuti si risvegliano ammanettati insieme in una panchina di Central Park?
Un thriller intrigante ed emozionante, con continue svolte interessanti nella trama. I capitoli di flashback narrati in prima persona da Alice spingono le indagini della ragazza (e le ipotesi del lettore) verso un’intricata pista dove inevitabilmente ci si chiede di chi ci si possa fidare.
Forse solo di se stessi… o forse no?
Non sono molto esperta del genere, ma questo romanzo mi è molto piaciuto ed è anche molto emozionante. Come già ha fatto qualcuno prima di me, non posso che menzionare l’epilogo intitolato “Ci saranno…”, che fa salire le lacrime agli occhi, e gli aforismi a capo di ogni capitolo, perfettamente attinenti all’argomento.
Bello, molto bello.
Sono curiosa di leggere l’ultimo libro uscito di Musso (Un appartamento a Parigi) e sono stata dissuasa solo dal prezzo di copertina. Magari aspetto un po’ e intanto leggo altri titoli.

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Consigliato a chiunque, anche a chi non macina questo genere di libri. È abbastanza breve e scorrevole e comunque non si può resistere a un incipit come questo!
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Letteratura rosa
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    29 Agosto, 2017
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Le tragedie di Marchmont Hall

Le antiche tragedie greche a confronto con questo romanzo diventano allegre commedie! In tutti i racconti di questo genere che ho letto non si parla mai di fatti troppo felici, ma in questo caso rasentiamo l’inverosimile. “L’angelo di Marchmont Hall” narra la storia di tre generazioni di donne che sembrano colpite da una maledizione, ma chi ne subisce le peggiori conseguenze sono tutte le persone che disgraziatamente (e inspiegabilmente) gli volevano bene.
TRAMA. Greta ha perso ormai la memoria da circa cinque anni a causa di un incidente. David, un suo caro amico, fa di tutto per aiutarla a ricordare e per il Natale del 1985 riesce a convincerla a tornare a Marchmont Hall, il luogo dove sembra tutto sia cominciato. Non appena Greta arriva alla tenuta, le speranze di David si avverano e la donna inizia a ricordare.
Era appena finita la Seconda Guerra Mondiale, Greta era una bellissima giovane ragazza che lavorava in una specie di nightclub, stesso posto dove David si esibiva come comico. Tuttavia, dopo un’avventura con un ufficiale americano, Greta resta incinta e disperata chiede aiuto al suo amico.
David, follemente innamorato di lei, non può che fare di tutto per darle una mano, così la manda a vivere nella tenuta di famiglia (Marchmont Hall), con sua madre LJ e suo zio Owen. Ma l’amore di David non è minimamente ricambiato e Greta, senza casa e senza soldi, decide di fare un matrimonio di convenienza sposando Owen, che ha quasi tre volte la sua età. Con l’assicurazione di avere ogni giorno del cibo da dare a suo bambino, un bel giorno Greta partorisce ben due figli: Jonathan e Francesca (Cheska).
Da qui si susseguono mille e mille eventi che narreranno le successive scelte di vita di Greta, le conseguenze su sua figlia Chescka e le ripercussioni su tutti gli altri poveri malcapitati nella sua vita.
Le sventure che perseguitano questi personaggi sono a mio parere un po’ troppe, tanto che alla fine mi chiedo come Greta, recuperata la memoria di tutto, non si sia data una botta in testa per riperderla. Il fatto che non sembri troppo sconvolta da tutto quello che le è tornato alla mente con la potenza di un uragano, non è minimamente credibile. Almeno prima le tragedie erano diluite nell’arco degli anni e divise tra i personaggi, mentre ora a lei arrivano tutte le informazioni in una volta.
Come minimo dovrebbe andare in analisi…
È la stessa cosa che avevo osservato leggendo “Il giardino degli incontri segreti”, dove la protagonista (Julia) subiva una disgrazia dietro l’altra ed era sempre sotto shock.
Altro piccolo dettaglio che mi ha turbato un po’ è che, da quel che ho capito, la Greta del 1985 non ha uno straccio di lavoro da cinque anni e passa le giornate a fare nulla. Non capisco come faccia con le bollette e soprattutto, successivamente, a trovare i soldi per voli aerei, corsi di yoga e lezione di arte. Mah!
Infine, una caratteristica della Riley che troviamo in tutti i suoi romanzi (o almeno, in tutti e quattro quelli che ho letto) è che nei dialoghi si usa sempre “Tesoro” o “Cara” tra persone che si conoscono sì e no da una settimana. Magari io non sono una persona romantica, chissà, ma questi appellativi mi facevano proprio saltare i nervi!
Nel complesso il romanzo non è malaccio, ma forse è un po’ “troppo”.

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Romanzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    14 Agosto, 2017
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Deludente e fuori dagli schemi della Riley

Se vi aspettate un classico romanzo della Riley, con intrighi avvenuti in un’epoca passata, amori impossibili e relazioni nascoste, sarete delusi. Ed è un peccato, perché leggendo il trafiletto ero diventata così curiosa di scoprire cosa potesse essere accaduto tra i camerini della Scala di Milano!
No, no.
In questo caso, il libro è comparabile a un semplice romanzo d’amore adolescenziale, senza arte né parte, a mio parere anche superficiale. Sia come contenuto, sia come stile di scrittura. Infatti, assistiamo spesso a lunghi dialoghi (inutili) che sembrano battute fatte al telegramma (mancano solo gli “Stop.” a fine riga).
Ma passiamo alla trama.
Rosanna è una bambina di 11 anni che vive a Napoli. Roberto, un uomo che ha 17 anni di più, nota la sua bravura nel cantare e le consiglia di prendere lezioni.
Cinque anni dopo Rosanna è così talentuosa da ottenere una borsa di studio per la scuola della Scala e viene trapiantata a Milano, accompagnata del fratello Luca.
Fino a qui, cosa c’è che non va? Semplicemente il fatto che nulla di nulla viene approfondito. Capisco che la Riley non è italiana, ma non si può ignorare il fatto che sta trascinando una napoletana a Milano! L’Italia è bella per la sua varietà in fatto di cultura e non si può non fare un cenno riguardo ai cambiamenti che Rosanna DEVE aver notato nell’andare così a Nord!
Okay, ti posso perdonare (forse) perché non sei italiana.
Andiamo avanti…
Rosanna studia a scuola e poche pagine dopo ne è già uscita con ottimi voti e viene ingaggiata per cantare alla Scala.
Eh, no! NO!
Mi parli di una ragazza che studia canto alla Scala e non mi racconti NULLA della sua vita a scuola? Cosa fa? Chi conosce (a parte Abi)? Com’è la scuola? Come vive la competizione con le altre cantanti?
Boh. Buio totale.
Vabbè… Rosanna comincia a cantare alla Scala e… Ops! Dopo poche pagine è passato quasi un anno, la protagonista femminile dell’opera si prende la scarlattina e Rosanna diventa prima cantate con Roberto.
Iniziate a capire perché ho detto che la trama è superficiale?!
Ci sono paragrafi lunghi un quarto di pagina, ognuno dei quali comincia dicendo “Una settimana dopo”, “Un mese dopo”, “Venti giorni dopo”… addirittura c’è un “Sette mesi dopo”! SETTE?! E che succede in questi sette mesi ai ventimila personaggi che ci sono nella storia? Alla fine del capitolo Rosanna a 80 anni, per caso?!
In tutto ciò, non vengono più citati la sorella e il fratello di Rosanna. Lei diventa una stella dell’opera lirica e noi non abbiamo idea di cosa ne pensino i suoi parenti più cari, né Abi (che viveva a Milano con lei). Solo successivamente Rosanna (e la Riley) si ricorderanno dell’esistenza degli altri personaggi. Giusto per fare un esempio, Rosanna non vedrà mai più la sorella, non la chiamerà al telefono, non le scriverà neanche una lettera. Men che meno a suo padre. Giusto suo fratello Luca riappare più tardi, diventando anche interessante come personaggio (e forse anche l’unico con un po’ di sale in zucca!).
Ma procediamo…
Come ho detto, è un romanzo d’amore. Ovviamente, Rosanna si prende una bella cotta per Roberto, un donnaiolo cronico di cui lei conosce benissimo la fama e che addirittura ha “sfruttato” (se così vogliamo dire) Abi per un paio di mesi. C’è anche qualcosa di più, un “segreto” (anche qui: se così vogliamo dire. Perché solo Rosanna non ha idea di cos’abbia combinato Roberto nei primi capitoli del libro) che metterà a repentaglio il loro amore. Un amore che sembra quello tra due fidanzatini delle elementari, dove non si sa chi dei due sia più ingenuo. Non è credibile che un donnaiolo cronico decida di sposarsi dopo solo una settimana che sta con una ragazzina. Non è possibile che Rosanna, per quanto ingenua, ceda così facilmente a Roberto, e si sposi con un quarant’enne di cui non si fida minimamente (perché Rosanna sa che lui la tradirà, è solo questione di tempo).
Se solo fosse piacevole leggere questo libro… Non auguro a nessuno le centinaia di pagine piene di continui scambi di effusioni e paroline dolci tra Rosanna e Roberto, in cui si dichiarano di amarsi ogni due righe, in cui dicono che non si separeranno mai e in cui viene mostrato un attaccamento morbosi ai limiti della sopportazione. Troppe volte si legge la scena in cui Roberto si sveglia, non trova Rosanna nel letto (perché magari era andata in bagno) e, quando lei riappare, le dice che deve avvisarlo di dove va, se no si preoccupa. Scherzi, vero?!
Probabilmente è il libro più superficiale e scontato che abbia mai letto. Non c’è cura nella trama, i personaggi secondari (e neanche troppo) vengono abbandonati per strada, ripresi solo di tanto in tanto quando la Riley si ricordava di aver inserito anche loro. Non viene descritto nulla della vita di Rosanna se non quando vive con Roberto (una noia mortale, perché non fa niente da mattina a sera. Quando progetta le sue giornate, viene raccontato che si sveglia, prepara i tost per colazione, pulisce casa, pranza, fa una passeggiata, fa merenda, cena e va a letto. Capitoli e capitoli tutti così, con l’aggiunta delle effusioni di cui sopra… Ripeto: una noia mortale!). Mentre, invece, viene tralasciata tutta la parte in cui studia a scuola, fa le prove di canto, recita nei grandi teatri… Insomma, dovrà pur aver fatto qualcosa che valga la pena di essere raccontato, no?! Altrimenti che senso ha dire che era una cantante? Per quanto sono scarne le descrizioni, nella vita poteva benissimo fare qualsiasi cosa.
Sono molto delusa…
Ci sono romanzi d’amore molto meglio scritti, perciò questo lasciatelo perdere.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    14 Agosto, 2017
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Il profumo della rosa di mezzanotte

INDIA - Anahita è ormai un’anziana donna indiana, circondata da schiere di nipoti e pronipoti. Ha una famiglia allargata, tutta derivante dalla sua unica figlia Muna. O almeno, questo è quello che tutti credono. Perché in realtà Anahita aveva avuto un altro figlio prima di Muna, Moh, di cui conserva il certificato di morte datato ormai a quasi ottanta anni prima. Tuttavia, pur avendo la prova scritta tra le mani, Anahita è certa che suo figlio non fosse morto a soli tre anni, ma che avesse vissuto fino a quel momento.
In punto di morte, Anahita incarica Ari, uno dei suoi tanti pronipoti, di scoprire cosa fosse effettivamente successo a Moh, lasciandogli in aiuto un manoscritto con tutti i suoi ricordi dell’epoca.
Perché Anahita abbia scelto proprio Ari, unico nipote dai particolari occhi blu, lo scopriremo strada facendo.
INGHILTERRA – Rebecca è un’attrice americana piuttosto conosciuta, in particolare per la sua bellezza, e nulla nella sua vita può essere nascosto ai media, compresa la proposta di matrimonio fattale da Jack e a cui non aveva dato ancora risposta. Ora il mondo è convinto che lei gli abbia detto di sì e la ragazza decide di rifugiarsi tra le mura di Astbury Hall, posto irraggiungibile sia dai paparazzi che dalla rete telefonica, per trovare pace e riflettere. Per quanto il suo scopo nella tenuta sia quello di girare un film, Rebecca decide di passare nella villa anche le notti,evitando gli hotel sovraffollati dove i media l’avrebbero sicuramente raggiunta.
Certa di essere sicura tra le mura di Astbury Hall, Rebecca fa la conoscenza del Lord della tenuta, il bizzarro Anthony, e della sua governante, fin troppo premurosa sia con il suo padrone che con Rebecca.

Quali segreti nasconde la grande villa? Cosa porterà Ari esattamente nello stesso luogo?

Mi è molto piaciuta la parte del racconto ambientata nell’epoca passata, dove impariamo a conoscere Anahita. Meno la parte presente con Rebecca e Ari, a tratti noiosa, con un risvegliante guizzo di azione e thriller nel finale.
Che Ari abbia già un’azienda simile a un impero a soli 25 anni, mi sembra un po’ esagerato. Così come il suo cambio di personalità non appena viene scaricato dalla fidanzata.
Non sarebbe guastato se nella parte di romanzo ambientata in India avessero inserito delle note a piè di pagina con la spiegazione di alcune parole usate (spesso comprensibili dal contesto, ma non sempre).

Nel complesso è un romanzo molto piacevole da leggere.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    29 Mag, 2017
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FIORE DI SERRA

In astinenza da Kate Morton, ho cercato qualcuno che potesse riempire il tempo tra un suo romanzo e l’altro. Sono così incappata in Lucinda Riley, che scrive libri di genere simile.
Parliamo di segreti di famiglia che vengono a galla dopo decenni, portando alla luce scioccanti verità che i postumi hanno la curiosità di scoprire.
In questo caso, la protagonista del tempo presente è Julia, una povera giovane donna che subisce più traumi lei in circa due anni di quanto qualunque altro essere umano possa sopportare in una vita intera.
Julia infatti subisce un’iniziale dolorosissima perdita che la porterà a rifugiarsi in un piccolo cottage deprimente nel Norfolk, vicino a dove abita sua sorella Alicia con la sua numerosa famiglia (il marito Max e i loro quattro figli), il padre George e la nonna Elsie.
Alicia cerca in tutti i modi di risollevare il morale della sorella e un giorno Julia decide di assecondarla seguendola a Wharton Park, la magnifica ma ormai decadente villa dove da piccola aveva trascorso molto tempo per via del lavoro di giardiniere del nonno Bill (marito di Elsie). La villa è infatti in procinto di essere messa in vendita, molti degli antichi oggetti in essa custoditi sono stati messi all’asta e Alicia vorrebbe trovare un regalo di compleanno per George.
È durante l’asta a Wharton Park che Julia incontra dopo tanti anni Kit Crawford, l’affascinante attuale erede della tenuta.
Kit consegna a Julia un vecchio diario di guerra che presume sia di suo nonno Bill e da questo momento la giovane donna inizia a superare il trauma subito, scoprendo le vere radici della sua famiglia grazie ai racconti della nonna Elsie, cameriera personale dell’ultima Lady Crawford che aveva vissuto nella tenuta.

Detesto quanto i titoli originali vengono stravolti. In questo caso, sembrerebbe che questo giardino della tenuta sia fondamentale, ci vien da pensare che tra i sentieri nascosti dalle siepi avvengano incontri illeciti, si nascondano baci rubati e relazioni inopportune. Invece il giardino è nominato solo per la serra delle orchidee, dove sotto gli assi del pavimento erano nascosti il diario di guerra e una segreta corrispondenza. In inglese il romanzo è intitolato “Hothouse Flower” (= Fiore di Serra), decisamente più appropriato, perché il fiore di serra citato non è solo un’orchidea, ma anche una metafora che spiegherà tutto l’intrigo familiare.

Cosa non mi è piaciuto:
- Il diario è solo un pretesto che fa sì che Elsie racconti l’intreccio familiare a Julia, dopodiché non se ne sente più parlare. In realtà, non viene neanche spiegato perché mai fosse nascosto dove Kit lo ha trovato.
- La relazione tra Kit (che oltretutto è inadeguatamente definito “ribelle” nel trafiletto del romanzo, ma a me tutto è sembrato tranne che ribelle…) e Julia mi pare che si sviluppi troppo rapidamente, soprattutto considerando la condizione di lei.
- Dialoghi strapieni di “tesoro” che rendono le conversazioni talmente smielate da farmi alzare gli occhi al cielo. Forse sarò poco romantica, ma qui a me sembra che se n’è abusato.
- SALTATE QUESTO PUNTO PERCHÉ È UNO SPOILER, MA NON POSSO ESIMERMI DAL METTERLO! ! Il ritorno dall’oltretomba del marito di Julia mi è sembrato una trovata per allungare il brodo. E non mi è piaciuto come questo personaggio sia stato dipinto come un mostro… In pratica Julia non aveva capito nulla di suo marito, o non mi spiego come potesse amarlo. Il fatto che impieghi giorni (forse settimane, non ricordo sinceramente) per capire che perfida persona sia Xavier, mi ha fatto odiare Julia come non mai. Okay che è sotto shock per la millesima volta (credo che la parola “shock” nel libro ci sia ogni tre righe), ma santa miseria, come puoi non accorgerti di quanto sia crudele tuo marito???
- Il finale l’ho travato un tantino prevedibile e anche l’intrigo più o meno a metà libro era intuibile. Ero abituata a Kate Morton che mi intrecciava le idee fino all’ultima pagina!
- Le bastonate emotive che Julia riceve sono tantissime, mi chiedo come non sia andata in analisi.
- Non so se sia dovuto alla traduzione, ma i trattini al posto delle virgole in alcuni dialoghi mi sembravano fuori posto. Non servivano per delle incidentali, sostituivano proprio delle virgole. Es.: «Grazie madame – volevo dire signorina Olivia».

Detto questo, a dispetto di quanto possiate pensare, il romanzo mi è piaciuto. C’è forse poca indagine, nel senso che nei romanzi della Morton la protagonista dei nostri tempi indaga sul passato della famiglia in questione. In questo caso, Julia siede tranquilla in poltrona mentre Elsie le racconta tutto. Non è un puzzle in cui mettere a posto i pezzi, non ci sono informazioni frammentate da riordinare perché derivano da personaggi diversi, dove ognuno ha la sua versione dei fatti. In questo caso la storia è molto più lineare e se si fa caso a un piccolo dettaglio iniziale, la soluzione può essere raggiunta prima che Elsie ce la racconti.

Pur con qualche difettuccio, consiglio questo romanzo. Il paragone con Kate Morton mi è venuto spontaneo, ma forse non è giusto farlo. Semplicemente sono due modi differenti di approcciarsi a questo genere. La Riley è una lettura più disimpegnata e più lineare e ora sono curiosa di approcciarmi a un altro suo romanzo per verificare ancora il suo stile.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    02 Mag, 2017
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Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace

Fern è una ragazzina bruttina fuori, ma meravigliosa dentro. Ambrose un ragazzotto attraente, primo lottatore della squadra della suola. Bailey è il cugino di Fern, suo coetaneo, costretto su una sedia a rotelle perché soffre di distrofia muscolare.
Il tempo e gli eventi cambiano le loro vite. Fern, pur non accorgendosene, è diventata una bellissima ragazza, Ambrose ritorna dalla guerra in Iraq sfregiato nella pelle e nell’animo e Bailey diventa il loro collante.
I componenti di questo trio si aiutano a vicenda ad andare avanti, a trovare la bellezza nella vita anche quando sembra non esserci più, diventando indispensabili l’uno per l’altro.
Bisogna andare oltre le apparenze e vedere cosa è nascosto sotto l’armatura. Vale per Fern, convinta di essere una ragazza poco attraente e di cui Ambrose aveva cominciato ad innamorarsi già da prima che lo diventasse. Vale per Ambrose, che non può più contare sul suo bel volto e che si colpevolizza per la morte dei sui amici in Iraq. E vale anche per Bailey, di cui la forza d’animo e l’autoironia diventano le armi con cui affrontare la vita.
Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace. L’anima dei tre protagonisti è così meravigliosa che il contenitore che la racchiude va in secondo piano, facendoli brillare di una bellezza non fisica ma spirituale.
Un romanzo molto bello, ricco di amore e di amicizia, dove l’aspetto non conta. Cosa importa avere un bel viso, se poi sotto c’è un mostro che picchia sua moglie? Cosa importa avere l’apparecchio e sviluppare tardivamente, quando sotto la pelle c’è un animo romantico che cita Shakespeare e si prende massima cura della persona che gli è più cara al mondo?
Questo è il mondo di Fern e Bailey, il mondo in cui hanno imparato a vivere fin da piccoli, il mondo dove sono pronti ad accogliere anche Ambrose.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    29 Aprile, 2017
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I CENTO COLORI DEL BLU

Boulder City, Nevada. Settembre 2010 (Ricordatevi bene questa data!), ultimo anno scolastico per Blue Echohawk, una ragazza fuori dalle righe, che non è interessata alla scuola e che poco le importa cosa si pensi di lei. Si veste e si trucca in maniera volutamente provocante, i ragazzi la cercano per il sesso e lei stessa trova rifugio nel farlo, in particolare con Mason, un ragazzo più grande e non tra le migliori compagnie che si possano desiderare.
Il primo giorno di scuola viene inaugurato con la lezione di Storia Europea, tenuta da un nuovo professore: Darcy Wilson. Affascinante, intelligente, ricco sfondato e più saggio del maestro Yoda, Wilson ha la bellezza di (rullo di tamburi!) 22 anni! Un professore ventiduenne, che si è preso anche due anni sabbatici durante i quali ha insegnato in Africa, è decisamente poco credibile. Un ragazzo così giovane che dà lezioni di vita a dei quasi coetanei stona quanto il rosso e il viola. Ma a parte questo… Tra Blue e il professore comincia a instaurarsi qualcosa giorno dopo giorno, lezione dopo lezione. Lui si interessa alla storia di questa ragazza così problematica, scoprendo di volta in volta ogni frammento della sua vita, comprendendo il perché dei suoi comportamenti a dir poco discutibili.
Sei mesi dopo siamo magicamente nel Marzo 2012 (Salto temporale! Yeah!) e Blue scopre una dura verità: è incinta di Mason. Proprio quando aveva deciso di rimettersi in carreggiata e riprendere in mano le fila della sua vita, si ritrova di nuovo scaraventata nella sua disastrosa situazione, e l’unico a cui confida questo segreto è proprio Wilson.
Desideroso di aiutare questa ragazza così particolare e che l’ha attratto fin da subito, Wilson decide di dare un tetto a Blue, affittandogli a un prezzo stracciato un appartamento così fatiscente che nessuno lo vorrebbe mai (dico solo che lo scantinato è 200 metri quadri… in pratica casa mia ci entra due volte… nello scantinato!!! Mh…).
Nuove amicizie, nuova casa, nuova vita; Blue riesce alla fine a riscoprire se stessa, a mettere in ordine i pezzi del puzzle e finalmente a cominciare a vivere serenamente.
Il libro è carino, ma nulla di speciale. Scritto in modo scorrevole, ma con qualche pecca nella trama (come appunto il passaggio dal 2010 al 2012 in soli sei mesi) o la facilità con cui viene regalato un appartamento (non so… magari un giorno troverò anche io il principe azzurrro bello, intelligente, ricco, affettuoso… e che mi regala una casa sulla fiducia!). Ricordo ancora, per esempio, uno dei primi incontri in solitaria tra Blue e Wilson. Avviene a scuola… di sera… Lui, pur avendo una casa bellissima, suona il violoncello in classe, quando la scuola sarebbe chiusa da 8 ore. Lei, be’, giustamente scassina la porta per andare da lui e chiedergli un passaggio a casa. Mi sembra tutto perfettamente logico.
Posso sembrare molto puntigliosa nelle mie critiche e in effetti è così. Vado a guardare il pelo nell’uovo (anche se date sbagliate ed età poco accettabili non mi sembrano peli, piuttosto pellicce!), perché esistono così tanti romanzi del genere romantico young adult, che alla fine è il dettaglio che fa la differenza tra un libro carino e un bel libro. E poi, scusate tanto, ma a me il professore ventiduenne proprio non va giù!

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    24 Dicembre, 2016
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TRILOGIA “IL MIO ANGELO SEGRETO”

Vai in libreria, leggi la sinossi del romanzo, pensi che possa essere carino e che potrebbe avere dei risvolti fantasy proprio come piacciono a te. Non conosci ancora la scrittrice, quindi non puoi sapere che genere tratti solitamente e, convinta dal basso prezzo, dici che sì, puoi anche comprarlo.
Errore mio. Informarsi sempre prima!
Ciò nonostante, nulla avrebbe vietato alla scrittrice di buttarsi in un romanzo fantasy seppur non sia il suo genere, quindi anche volendo non credo che avrei potuto prevedere quello che mi attendeva dentro il libro. Che, appunto, secondo me trae in inganno e viene spacciato come una storia un po’ sovrannaturale. Una specie di young-adult sugli angeli, per intenderci.
Niente di più lontano.
Man mano che leggevo ho capito che il libro era tutto fuorché fantasy e già questo mi ha fatto un po’ storcere il naso …
Ma tralasciando questa mia delusione, per cui devo ancora capire se incolpare me stessa (presa dalla foga di leggere e comprare) o anche la sinossi ben congegnata, arriviamo al dunque.
Mia è una ragazza di sedici anni in piena crisi adolescenziale. I fatti narrati nei tre libri durano un po’ più di un anno, ma Mia è sempre una sedicenne (… ditemi che non me ne sono accorta solo io, per favore!) che cambia idea ogni tre per due.
Okay, sei un’adolescente, ma non posso sorbirmi la tua incoerenza ad ogni pagina, un cambio di idea ogni mezza facciata e “Amo Patrick, voglio andare alla Royal Ballet School” nell’altra mezza.
Non solo! Mi fai una testa così per questa Royal e poi neanche ci vai!?
Pietà per quel povero Patrick che vive nella tua testa, io che ne stavo fuori ne avevo le tasche piene…
Mia è una ragazza arrabbiata con il mondo e ha le sue buone, buonissime ragioni. L’idea di base del romanzo mi piace e soprattutto mi piace molto come è stato concluso il tutto. Avevo paura di risvolti poco convincenti, invece la parte che mi è piaciuta di più è stata proprio quella finale. Forse perché Mia è finalmente cresciuta e anche i suoi comportamenti mi risultavano più accettabili. Quasi tutti… alcune uscite erano parecchio discutibili…
Insomma, quando non sopporti la protagonista, non c’è libro che tenga. Credo che il romanzo avrebbe acquistato molto più valore se fosse stato più breve. Tante parti della trilogia mi sono sembrate superflue e stiracchiate. Poi ci credo che Mia doveva lamentarsi ogni mezza facciata! Come riempiva le pagine, sennò!?
Altro piccolo appunto: stile che scorre liscio come l’olio. Solo che credo ci sia un uso eccessivo di metafore che, sì a volte facevano ridere, ma dopo un po’ mi sembravano messe a caso e senza senso.
Mi preparo a ricevere insulti da chiunque gli abbia dato un voto maggiore del mio… Mi spiace, quando un libro non mi piace, sono la prima a restarci male, davvero.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    27 Giugno, 2016
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Kate colpisce ancora!

2003: Sadie è una detective allontanata dalla stazione di polizia per un errore sul lavoro. Il suo partner le ha consigliato di prendersi una vacanza finché la situazione non sbollisce e la ragazza decide di raggiungere il nonno Bertie in Cornovaglia. Qui si “scontrerà” con un caso irrisolto.
1933: la misteriosa scomparsa del bambino Theo Edevane dalla tenuta di famiglia sconquassa tutti. Sarà stato rapito? Sarà morto?
2003: Alice Edevane è una scrittrice di gialli molto famosa e che tiene per sé un segreto antico e profondo.

Gli Edevane sembrano una grande famiglia felice e agl’occhi di tutti in effetti è così. Ma cosa si nasconde dietro la facciata? Quali segreti sono stati celati e quali promesse mantenute? Perché una famiglia così perfetta ha dovuto subire una perdita così grande come la scomparsa (o morte?) del piccolo Theo, ultimo nato?
Ognuno sa qualcosa, frammenti di verità a lungo tenuti per sé e che sono solo un pezzo del grande puzzle che è la vicenda che dovrà sbrogliare Sadie, incappata quasi per caso (coincidenze? Chissà!) in questo mistero irrisolto.

Grazie Kate per averci regalato un altro romanzo!
In perfetto stile Morton, il libro è un altro capolavoro, un giallo su una famiglia che ha vissuto nei primi del novecento e che ha subito tutte le conseguenze delle Guerre Mondiali.
Devo ammettere che ho trovato non poche analogie col primo scritto della Morton, ovvero “Ritorno a Riverton Manor”, ma non per questo si tratta di una copia. Giusto qualche dettaglio che viene ripreso.
Unico particolare che ho notato e che non mi pare ci sia negli altri libri, è la costante presenza della virgola prima della congiunzione “e”. Non so se è un errore di traduzione (ma non credo che aggiungano virgole a caso) o se era già così l’originale … ma vabbè gliele posso perdonare.

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    15 Mag, 2016
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RITORNO A RIVERTON MANOR

Primo libro della Morton, ultimo dei quattro usciti che ho letto (senza contare “I Segreti della Casa sul Lago” in libreria dal pochi giorni!). Ciò ha fatto sì che fosse evidente un cambio di stile della scrittrice rispetto agli ultimi romanzi. Questo è più scorrevole, più semplice anche nella trama (che poi in realtà non è così scontata come sembra! Grazie Kate! Adoro i tuo colpi di scena dell’ultimo minuto *-*), ma non per questo meno interessante. Mi sono immersa nella lettura, che finisce sempre troppo presto per i miei gusti. La Morton ha la capacità di farmi stare nelle stesse stanze dei suoi personaggi, come uno spettatore silente e invisibile. Da descrizioni dettagliate di luoghi, azioni e personaggi a cui irrimediabilmente ci affezioniamo e che non vorremo mai lasciare. Fa quasi male chiudere il libro dopo aver letto l’ultima riga, tanto che per dilungare il momento dell’addio al romanzo mi ritrovo a leggere anche i ringraziamenti …
La trama è sempre simile agli altri racconti della scrittrice: un personaggio del presente si trova per svariati motivi a indagare su vicende passate (di solito ambientate nei primi del ‘900) della sua famiglia. Eppure, come ho già detto nella recensione de “L’Ombra del Silenzio”, per quanto l’incipit della storia sia simile, non è mai uguale nello svolgimento. Personaggi interessanti con vite complicate e intrecciate, che passo dopo passo, flashback dopo flashback, cerchiamo di districare per arrivare alla conclusione (col botto, direi!).
Insomma, non essendo una brava scrittrice come la Morton, non so più come dirvi che ho adorato anche questo libro e che dovete assolutamente leggerlo! Non ve ne pentirete!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    18 Aprile, 2016
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A mai più rivederci

Romanzo quanto mai filosofico e Antonio Moresco non ce lo fa proprio dimenticare, tanto da diventare noiosamente ridondante nelle domande esistenziali che fa porre al protagonista.
Una pagina sì e l’altra pure, D’Arco (l’agente morto protagonista) si chiede in continuazione se ci sia prima la vita e poi la morte o viceversa. Da dove arrivi il male e se ha origine prima o dopo la vita o la morte. E così via, insomma.
Concentrandosi in maniera particolare su queste domande senza risposta, l’autore tralascia troppo la caratterizzazione dei personaggi. D’Arco (che non ha un nome …) ha gli occhi completamente bianchi ed è pieno di cicatrici che ha collezionato in vita durante le sue missioni di agente di polizia. Fine. È tutto quello che sappiamo. Anzi no. Sappiamo anche che quando era vivo era innamorato di una donna, incontrata casualmente dentro un cassonetto dell’immondizia (e non ci viene spiegato come mai si trovasse lì …) e che a sua volta non aveva un nome. E non è che non lo avesse perché sbadatamente non ci viene mai riferito, perché non lo conosce neanche D’Arco, tanto da chiamare la donna “Quella”.
Fatta questa premessa, il romanzo parla in maniera non troppo chiara di questo agente di polizia morto che viene incaricato da uno sconosciuto di capire perché mai i bambini morti cantino in coro tutte le notti.
A parte il fatto che non ci viene spiegato come mai un coro di bambini sia un evento tanto eccezionale nel mondo dei morti, D’Arco capisce che per risolvere il mistero deve tornare nel mondo dei vivi accompagnato da uno dei suddetti bambini, in particolare dall’unico che non canta perché muto.
La cosa si fa interessante – penso – ma poi, quando viene il momento cruciale del passaggio da un mondo all’altro, l’autore bypassa il problema dicendo “È così semplice che non si sa come dire” … così non vale! Che fai? Come Dante che sveniva per passare da un girone all’altro!? Lui però era Dante! Poteva permetterselo!
Comunque, D’Arco arriva magicamente nel mondo dei vivi, dove nessuno si pone il problema che per strada passeggi un uomo senza pupilla né iride (cosa che, a quanto risulta da certi racconti del passato del protagonista, non è una caratteristica dell’essere morto … ma anche qui non viene detto nulla di più), e insieme al bambino muto che comunica sfregiando muri e marciapiedi con pietre e vetri (dargli un taccuino no, eh!), inizia a fare piazza pulita di violentatori e assassini di bambini. Eh già, perché i bambini del mondo dei morti cantano per accogliere la marea di bambini che vengono uccisi ogni notte nel mondo dei vivi. Chi li uccide? Perché? Che domande difficili … “Ammazziamo i bambini per non farli diventare grandi e non fargli uccidere altri bambini” … ma mi prendi in giro!?
Insomma, questo libro non ha ne capo ne coda, forse volutamente perché in parallelo al discorso che non si sa se c’è prima la vita o la morte, ma personalmente sbuffavo ad ogni pagina che giravo, stufa soprattutto dei continui e sempre uguali pensieri del protagonista.
Altra cosa che non ho apprezzato è stato un’intera pagina con l’elenco delle descrizioni e delle battute classiche di libri polizieschi che l’autore non avrebbe usato nel suo romanzo … c’era davvero bisogno di farlo!? Mah …
Per quanto riguarda lo stile, l’ho trovato a tratti telegrafico ed eccessivamente descrittivo (ad esempio: “Ho attraversato il piano del garage. Ho varcato la porticina. Ho seguito per un po’ il corridoio. Sono arrivato davanti alla mia porta. L’ho aperta. Sono entrato. Ho richiuso la porta alle mie spalle.” Poco scorrevole, insomma …).
Non so che dirvi, forse non ho capito io il senso di questo libro (anzi, sono sicura che sia così, notando le altre recensioni), ma se dovete leggerlo per passare qualche ora di rilassamento, lasciate perdere.
Non avevo mai letto nulla di Moresco, credo che il problema sia che non è il mio genere, che è troppo pensieroso e filosofico e così facendo tralascia cose che invece io apprezzo di più in una lettura.
Chiedo perdono per gli amanti di questi libri, ma il mondo è bello perché è vario, no! L’importante è provare altri generi. Ora so che non fa per me.

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Consigliato a chi ha letto...
Ovviamente agli amanti del genere e dell'autore (che non me ne vogliano troppo per la mia recensione!)
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Fantasy
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    14 Aprile, 2016
Top 500 Opinionisti  -  

PRIMA O POI L'INVERNO ARRIVERA'!

Consiglio spassionato: non leggete tutti i volumi di fila! Ho comprato i tomi economici (quelli corrispondenti alle uscite americane, non i volumi separati dalla Mondadori) e li ho letti tutti e cinque uno di seguito all’altro. Non si può … sono arrivata in fondo al traguardo dopo quasi un anno (ci vorrebbe di meno, ne sono certa, ma dopo un po’ ero stanca del solito libro, così sono andata un po’ a rilento. E sono troppo testarda per dire “Vabbè lo metto un attimo da parte, leggo altro, poi lo riprendo”. In primis, perché non lo riprenderei più, e poi perché comunque mi secca dover lasciare qualcosa a metà. Già che ci pensa Martin a lasciarci sulle spine per anni, meglio non rincarare!).
Comunque, oltre questo, che dire? Ormai tutti conoscono romanzo e serie TV, non saprei cosa aggiungere.
Devo ammettere che all’inizio faticavo a ricordare i personaggi (quando ancora non li conoscevo) e, quindi, cosa gli era successo nel capitolo precedente, trovandomi a dover tornare indietro, cercare la storyline e vedere come finiva per riprenderne il filo. Ma dopo un po’ non è servito più, perché le vicende dei protagonisti sono così intriganti che a fatica si dimentica dove li avevamo lasciati.
Mi piace il fatto che le vicende siano narrate da così tanti personaggi: rende il quadro più completo, c’è maggiore probabilità che uno dei tuoi personaggi preferiti arrivi in fondo e si va avanti con la lettura anche con la curiosità di vedere chi sarà il personaggio trattato dopo.
Per quanto riguarda l’ambientazione, il romanzo è collocato in una sorta di Medioevo di un altro mondo, cui l’autore da descrizioni molto dettagliate: dei luoghi, delle culture, delle leggende, dei popoli. Ed è tutto talmente ben fatto da sembrare reale, concreto (draghi inclusi!).
Inutile dire che resta tutto in sospeso … molte volte mi viene anche il sospetto che Martin si sia perso qualcosa per strada e che forse certe trame sono un po’ troppo stirate …
Come si concluderà questa saga apparentemente infinità? Mah, mai come ora il detto “lo scopriremo solo vivendo” mi sembra tanto azzeccato!
Consigliato agli amanti del fantasy, ma non solo.

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Fantasy
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    13 Aprile, 2015
Top 500 Opinionisti  -  

L’anello dei Faitoren - Emily Croy Barker

La sensazione che ho avuto finendo questo libro è che la scrittrice o ha in mente un seguito, o si è lasciata molte (ma molte!) strade aperte per un seguito nel caso le vendite di questo primo libro fossero andato bene, oppure non aveva la ben che minima idea di come concluderlo. C’è tanta carne al fuoco, tanti personaggi di cui molti inutili (Perin e le vicende che girano intorno alla sua famiglia) e tante vicende che vengono lasciate senza una conclusione. L’idea di partenza era davvero carina e anche lo sviluppo, ma dal capito 40 c’è un picco verso il basso! La trama comincia ad essere molto più veloce e insensata.
Ma andiamo con ordine.
Il romanzo tratta di una ragazza, Nora, che viene inconsapevolmente rapita da delle fate, chiamate Faitoren. Lo scopo della sovrana di queste fate, la bellissima Ilissa, è di farla sposare col figlio Raclin per avere un erede. Ma col tempo, Nora capisce che è tutto un inganno, compreso il reale aspetto di queste fate: suo marito è una specie di pterodattilo! Viene perciò salvata da un potentissimo e scorbutico mago, Aruendiel, che la cura, la ospita sotto il suo tetto e le insegna la magia.
E fin qui tutto bene: si susseguono vicende nel castello, incantesimi, viaggi nel regno, conoscenze con altre persone come la maga Hirizjahkinis (un nome quasi impronunciabile), la governante Toristel, il bel cavaliere Perin.
Poi però c’è una svolta: un’accelerazione di narrazione che porta non solo a eventi poco credibili (come Nora la novellina in fatto di magia che riesce a tenere a bada un demone del ghiaccio perché gli recita poesie … o sempre Nora la novellina in fatto di magia che riesce a spezzare uno degli incantesimi più potenti che si conosca …) ma anche a una mancata conclusione della trama stessa (Hirizjahkinis, Ilissa e Raclin, il padre di Perin e la sua vendetta sono tutti personaggi la cui storia è lasciata in sospeso). Per non parlare del fatto che l’anello, protagonista del titolo del romanzo, non serve a un bel niente e ho avuto l’impressione che l’autrice a tratti si fosse dimenticata della sua esistenza.
Davvero un peccato, perché per molto più di metà libro (le prime 500 pag su 600 circa) la storia è davvero avvincente. Quindi, a meno che non sia in progetto un secondo libro (e a questo punto, spero proprio di sì!), non lo consiglio … più per il fatto che leggere un romanzo che non ha una conclusione degna lascia davvero l’amaro in bocca.
Per quanto riguarda lo stile, è piacevole e scorrevole.

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Romanzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    29 Gennaio, 2015
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L’Ombra del Silenzio – Kate Morton

Il libro più bello che abbia mai letto! Potrei terminare qui la mia recensione, perché questo romanzo mi ha lasciato senza parole e piena di emozioni che non riesco neanche a interpretare e descrivere. Coinvolgente, si legge tutto d’un fiato ed è pieno di colpi di scena inattesi. È il terzo libro che leggo della Morton (suo ultimo su quattro) e non sono mai stata delusa. “Il giardino dei segreti” l’ho davvero amato, “Una lontana follia” forse lo metterei nel gradino più basso del podio, ma pur sempre fantastico. Ma questo, questo è stato fantastico, stupefacente, emozionante! Uno stile impeccabile e scorrevole, accoppiato con una trama avvincente. È vero che questi romanzi della Morton raccontano sempre di persone nel presente che cercano di sbrogliare l’intricata matassa che è la vita passata di un loro parente, ma non si può certo dire che è ripetitiva o che perde fascino col tempo. Anzi!
Non mi resta altro che recuperare il suo primo libro “Ritorno a Riverton Manor” e fiondarmi nelle vite che crea.
Consigliatissimo!!!

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Fantascienza
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    26 Gennaio, 2015
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Maze Runner – James Dashner

Ho deciso di scrivere un’unica recensione per l’itera trilogia, semplicemente per il fatto che l’ho divorata come niente. Se dovessi descrivere questi libri con una sola parola, direi: adrenalinici! Ma usandone un po’ di più, trovo che questa serie sia davvero intrigante, fa provare sensazioni forti (gridare “Corri! Corri!” nel bel mezzo della lettura non capita sempre!): sospiri di sollievo e balzi dalla sedia (vi assicuro che nel secondo libro c’è una scena a dir poco thriller!) e una forte empatia per i personaggi. Temevo per le loro vite come se fossero persone reali (il mio personaggio preferito è arrivato in fondo sano e salvo! Avevo quasi le lacrime agli occhi!).
Per quanto riguarda lo stile, avevo letto in più recensioni in giro sul web che nel primo romanzo il dialetto che i Radurai aveva sviluppato rendeva la lettura poco scorrevole. Non sono pienamente d’accordo, nel senso che secondo me non c’è nulla di incomprensibile, ma semplicemente è un po’ brutto e stona con lo stile generale.
Ho anche molto apprezzato la domanda che viene posta per tutto il tempo e a cui non viene data una risposta, perché probabilmente non c’è: il fine giustifica i mezzi? È giusto sacrificare “pochi” per il bene di tanti? In questo caso è tutto molto relativo, ovvero i pochi non sono poi così pochi e i tanti … beh, bisogna vedere per quanto tempo lo saranno. Però è una questione che esiste anche nella vita reale e James Dashner ci fa capire quanto sia difficile prendere delle decisioni.
Per quanto riguarda il finale, devo essere sincera che sto ancora ragionando se sia perfetto o se c’era un’alternativa. Per ora sono più incline alla prima opzione, anche se forse un capito in più poteva spendercelo.

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Consigliato a chi ha letto...
Lo consiglio vivamente, soprattutto ai lettori YA che cercano qualcosa che sia del livello di Hunger Games.
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Classici
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    28 Luglio, 2014
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L’abbazia di Northanger – Jane Austen

È il romanzo che fin’ora preferisco della Austen. È diverso dagli altri, ha uno stile più fresco, un ritmo più veloce. La scrittrice a volte chiacchiera con il lettore o si rivolge a lui. Parla della protagonista etichettandola come eroina, scherzando a volte su cosa a lei non capitasse che di solito alle eroine dovrebbe capitare.
La storia narra le vicende di Catherine, giovane donna che entra in società, conosce persone nuove e impara a distinguere gli amici veri da quelli falsi. Si assiste alla crescita interiore della ragazza, a come cominci a vedere in modo più vivido come sono realmente le persone che la circondano.
Bello, consigliato a chiunque, soprattutto per un primo approccio con la Austen.

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Romanzi storici
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    28 Luglio, 2014
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La ragazza con l’orecchino di perla – Tracy Cheval

Chi è la ragazza con l’orecchino di perla? Nessuno lo sa. Si può solo ipotizzare. Questo ha fatto la scrittrice: immaginare una storia attorno al famoso dipinto, dando un volto e un nome alla ragazza, dandole una vita e una storia da raccontare. Griet lavora come domestica in casa Vermeer, la sua famiglia è povera e lei è l’unica a portare a casa un po’ di soldi per sopravvivere. Tra lei e il suo padrone si instaura qualcosa. Non è chiaro cosa, né a lei né al lettore. Attrazione, forse. Ma è ricambiata dal pittore o è solo un interesse momentaneo? Lo stesso interesse che può dare a qualunque altra cosa dipinga? L’azione finale del suo padrone forse può dare una risposta.
Romanzo molto bello, scorrevole, dove il mondo e la vita viene osservato dagli occhi di una serva. Dopo averlo letto, guarderete il quadro con occhi diversi.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    05 Luglio, 2014
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Il Richiamo del Cuculo – Robert Galbraith

Un giallo affascinante, intrigante e davvero molto intrecciato. Per sbrogliare la matassa, il nostro protagonista, Cormoran Strike, interroga tutte le persone più vicine alla vittima, senza tralasciare nessun dettaglio. Si tratta di un suicidio come tutti credono, oppure la modella Lula è stata uccisa? Sarà il fratello della ragazza a richiedere l’aiuto dell’investigatore privato, il quale non rinuncerà sia perché vuole aiutarlo sia perché, lo ammette, ha bisogno di soldi.
Narrazione scorrevole, descrizioni più che chiare: resta facile inserirsi nelle vie di Londra, nei suoi locali e, perché no, anche nei luoghi esclusivi dei vip.
I personaggi sono ben caratterizzati, ma devo ammettere che a volte l’approfondimento della vita privata di Strike spezza e rallenta il racconto. Le peripezie vissute con la sua ex alla lunga stufano un po’.
Tuttavia, ho apprezzato molto questo giallo, di stile semplice ma non per questo banale.

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Classici
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    17 Giugno, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Il Fantasma dell’Opera – Gaston Leroux

Mi spiace di andare controcorrente, ma la mia impressione riguardo questo romanzo non è molto positiva. Le tematiche sono buone, non c’è dubbio: il concetto di aspetto esteriore e aspetto interiore che non spesso combaciano (Notre-Dame de Paris di Victor Hugo docet!). Tuttavia, questo non è a mio parere sufficiente. Christine Daee è eccessivamente ingenua e il continuo tira e molla con Raul insensato. La signora Giry e il Persiano sono figure troppo poco approfondite. In particolare, perché mai il Persiano decide di aiutare Raul? Tutti gli altri omicidi da parte di Erik per lui non contavano niente? Per quanto tenesse a lui (SPOILER: e poi, perché teneva a lui? Perché lo aveva salvato in passato per poi non rivederlo più, se non per caso all’Opera?), era comunque un assassino.
Mi è in particolar modo dispiaciuto il fatto che l’approfondimento sul collegamento tra il Persiano ed Erik sia stato relegato nell’epilogo, come se lo scrittore si fosse ricordato in ultimo che mancava qualcosa, utilizzando anche uno stile diverso per narrare.
Lo stile. Non so se sia dovuto all’edizione che ho comprato io (che effettivamente era molto economica), ma l’alternanza dell’uso dei verbi al passato e al presente (e non parlo di quando lo scrittore si rivolge al lettore) è davvero estenuante. Per non parlare della descrizione della stanza dei supplizi: davvero confusionaria. Molte volte, poi, il racconto è frammentato con aneddoti poco interessanti: dopo che Christine viene rapita, la questione delle banconote che scomparivano dalle tasche dei direttori e che dura per ben tre capitoli non si regge. Oltretutto, poi non viene neanche spiegato come scomparivano queste banconote.

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Classici
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    27 Aprile, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Ragione e Sentimento – Jane Austen

Il confronto di questo romanzo con “Orgoglio e Pregiudizio” viene spontaneo. Per quanto siano due libri a cui difficilmente troverei qualcosa da ridire, non posso negare che il secondo mi sia piaciuto di più. “Ragio-ne e Sentimento” è molto simile al suo successore in molti aspetti, alcuni personaggi si associano facilmen-te ad altri già conosciuti nell’altra storia. Willoughby è per certi versi simile a Wickham, il Colonnello Bran-don a Darcy ed Edward Ferrars a Bingley, così come le due sorelle più grandi della famiglia Dashwood (Elia-nor e Marianne) alle due maggiori Bennet (Elizabeth e Jane). Tuttavia, come appunto suggeriscono i titoli stessi delle opere, per quanto in “Orgoglio e Pregiudizio” le vicende siano dominate dai rispettivi pre-giudizi e dalla poca conoscenza delle situazioni altrui, in “Ragione e Sentimento” lo sono più i travagli sentimentali di Marianne apertamente manifestati e quelli di Elianor, invece, silenziosamente trattenuti.
Unica cosa che potrei dire di non aver apprezzato (se proprio devo trovarne una) è la celerità con cui la trama è stata conclusa, forse perché dopo l’immenso struggimento di Marianne per il suo amore finito male, il suo ritrovato affetto verso un nuovo personaggio è poco credibile se spiegato in un paio di pagine circa.
Assolutamente consigliato: la Austen è incredibile e ha uno stile impeccabile!

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Romanzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    24 Aprile, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Una lontana follia – Kate Morton

Avevo già letto un romanzo della Morton, “Il giardino dei segreti”, che mi era piaciuto moltissimo. Leggen-do i trafiletti degli altri suoi romanzi, ero davvero indecisa su quale scegliere. Alla fine ci hanno pensato le mie amiche e mi hanno regalato “Una lontana follia”. Bello! Davvero molto bello! Le tematiche trattate dalla scrittrice non sono poi tanto differenti: scoprire i segreti di un passato più o meno lontano. L’aura di mistero avvolge tutta la trama fino alla fine ed è pressoché impossibile che il lettore capisca come siano andate effettivamente le cose. È come leggere un giallo … anzi, direi che in questo caso è proprio un giallo! Ruota tutto intorno alla figura dell’Uomo del Fango, protagonista di un libro scritto da uno dei personaggi e che però racchiude in sé tutta un’altra storia.
L’ambientazione, poi, dà quel senso di solitudine, inquietudine, che ricorda molto le storie gotiche di fantasmi: le mura del castello (forse il vero protagonista di tutta la vicenda) sono impregnate di segreti che nessuno è incline a svelare.
Insomma, davvero bello e avvincente, un romanzo che tiene il lettore incollato alle pagine del libro! Lo consiglio a chiunque.

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Romanzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    08 Aprile, 2014
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Storia d’inverno – Mark Helprin

Con questo acquisto ho imparato che se un libro non lo ha letto nessuno e non si trovano recensioni in giro, forse è meglio lasciarlo nello scaffale della libreria, risparmiando ben 18€ (cifra esorbitante considerata la bassa qualità dell’edizione: copertina flessibile di cartoncino sottile e bordi delle pagine mal tagliati…). Ma sorvolando l’edizione, che non dipende certo dall’autore, il contenuto di questo romanzo non è tra i migliori. Capitoli eccessivamente lunghi (particolare che, personalmente, non apprezzo), uno addirittura di 94 pagine, con un racconto scialbo. L’idea di partenza era buona, ma mal esposta. 850 pagine di libro e l’incontro, l’innamoramento e la consumazione di esso avvengono nell’arco di 2-3 pagine massimo. E questo dovrebbe essere l’evento che regge tutto il resto della storia! L’incipit è noioso e poco chiaro, il racconto dell’infanzia di Peter Lake è insensato (prima lo accolgono in un villaggio, poi lo cacciano via perché non è uno di loro…), così come anche il fatto che da ricercato per assassinio, nessuno lo calcola più; l’incontro con Beverly è spiccio e gran parte della storia troppo prolissa e a mano a mano fa perdere il filo. Insomma, se doveste trovarlo in libreria, salutatelo e passate oltre.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    16 Febbraio, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Le Avventure di Sherlock Holmes – Arthur Conan Doy

Il libro contiene 12 racconti del nostro amato consulente investigativo. Ovviamente non si può pretendere di trovare in un racconto di massimo 30 pagine lo stesso contenuto di un romanzo, eppure la caratterizzazione dei personaggi viene mantenuta, se non approfondita. Alcuni casi sono più intricati, altri si risolvono da sé e altri ancora evidenziano come Doyle fosse influenzato da Edgar Alan Poe (nel racconto “L’avventura del pollice dell’ingegnere” è piuttosto palese). Nel complesso, il libro mi è molto piaciuto e i racconti sono parecchio diversificati tra loro, con trame che non si ripetono.
Lo stile è sempre impeccabile e coinvolgente, tanto che il lettore si troverà risucchiato nel libro a camminare al fianco di Watson e Holmes.
Assolutamente consigliato.

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Narrativa per ragazzi
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    01 Febbraio, 2014
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Il mago di Oz - Lyman Frank Baum

E’ una favola che, purtroppo, sono riuscita a leggere solo da grande. Ma è bellissima! Infantile per un adulto, ovvio, ma non manca di nulla. Tutti i personaggi sono fantastici, hanno una propria caratterizzazione che è il fulcro del loro viaggio: il Leone Vigliacco che vuole un po’ di coraggio, il Taglialegna di Latta che vorrebbe un cuore, lo Spaventapasseri un cervello e Dorothy che desidera tanto tornare a casa sua nel Kansas. Sono proprio questi motivi che li spingeranno a intraprendere il viaggio verso la Città di Smeraldo, dove vive Oz, il mago più potente di quella terra. Le avventure non mancano, si susseguono rapidamente e danno alla trama un buon ritmo: d’altronde, un romanzo per bambini non ha bisogno di troppe descrizioni, ma di fatti. E qui ce ne sono a frotte. Lo consiglio a grandi e piccoli… o meglio, ai grandi che dovrebbero leggerlo ai piccoli come favola prima di dormire.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    01 Febbraio, 2014
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La valle della pura – Arthur Conan Doyle

Semplicemente fantastico! Interattivo! Dopo aver letto i primi capitoli ho chiuso il libro e ho cominciato a fare le mie ipotesi su cosa potesse essere accaduto, cercando di esaminare la situazione così come veniva presentata. Dopo di che, finite le idee, ho ripreso la lettura… il giorno dopo! Questo sta a indicare quanto mi abbia preso il romanzo. Un’intera giornata passata a ipotizzare gli eventi! Poi, a mano a mano che la storia proseguiva, eliminavo alcune supposizioni e ne aggiungevo di nuove. Insomma, davvero fantastico, forse il migliore dei quattro romanzi che ho letto, a cui segue “Il mastino di Baskerville”. Il lettore viene coinvolto a tal punto che sembra di essere lì, sulla scena del crimine, al fianco di Sherlock Holmes e John Watson.
Di tutt’altro stile è, invece, la seconda metà del romanzo: veniamo catapultati in America e ci è difficile comprendere come la vicenda narrata sia in qualche modo collegata a quella precedente, fino alla rivelazione finale con colpo di scena.
Bello davvero! Ovviamente lo consiglio a tutti! Vi innamorerete di queste storie, a tal punto da mancarvi una volta finite. Ma ci sono sempre i racconti!

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Classici
 
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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    01 Febbraio, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

Alice nel paese delle meraviglie – Lewis Carroll

L’uso di funghetti allucinogeni (e chissà cos’altro!) da parte dello scrittore, non ha di certo giovato. La storia è spesso senza senso, se non sempre. Si tratta di un sogno di Alice, ma questo non giustifica la disconnessione dei dialoghi e degli eventi. Il capitolo peggiore tra tutti, a mio parere, è quello con il grifone e la falsa-testuggine.
Trovo che sia un racconto troppo infantile e insensato per ragazzi e adulti e troppo strano e cupo per i bambini. Manca di un filo logico (come i sogni) e l’antipatia di Alice è stellare.
So che sto parlando di un capolavoro che ha venduto innumerevoli copie, ma a me proprio non è piaciuto. Consiglio di leggerlo solo perché dovrebbe far parte del bagaglio di un lettore e ci vuole poco più di un’ora per leggerlo, ma non per altri motivi.

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