Opinione scritta da Martiii08

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    13 Agosto, 2014
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Un YA fuori dagli schemi

Dopo essere stati abituati a finti YA distopici, Veronica Roth ci accompagna in un mondo e in una dimensione del tutto nuovi. In una Chicago distrutta dalla guerra e dalle innumerevoli razzie della popolazione, cinque sono le fazioni che la popolano: Eruditi, Abneganti, Intrepidi, Candidi e Pacifici. Ognuna di queste fazioni rappresenta una classe, uno stile di vita e una mentalità del tutto diversi tra loro: gli Eruditi simboleggiano l'intelligenza e la propensione alla conoscenza, i Candidi la verità e quindi l'astio nei confronti della menzogna, i Pacifici rinnegano la guerra e i conflitti, gli Intrepidi stimolano al coraggio e alla sconfitta di ogni paura. E' invece dagli Abneganti che proviene Beatrice Prior, altruisti e pronti a tutto pur di difendere il prossimo: ma nonostante questa provenienza dovuta a ragioni di sangue, la ragazza deve sostenere un test attitudinale che la indirizzerà nella fazione che più le si addice. Ma chi è veramente Beatrice? Quali sono le sue aspirazioni? E quale parte di sè verrà meglio fuori durante il test? Questo libro, da me largamente apprezzato, risulta diverso rispetto ai romanzetti fantasy degli ultimi tempi: Beatrice non è la donzella in pericolo che deve essere salvata, non c'è nessun eroe o coprotagonista perfetto dagli occhi smeraldo e dai muscoli sporgenti..è una ragazza come potrebbero essere tante, una sedicenne dalle passioni qualunque. L'amore che viene narrato nel romanzo è un amore semplice e privo di sdolcinatezza: le persone sono reali, non hanno solo pregi poiché considerate buone. Sono vittime della spregiudicatezza e del gioco di cui fanno parte: vincere è l'unico obiettivo che ogni iniziato si pone; ad ogni perdita segue un'esclusione dal gruppo, e per ogni membro della comunità varrebbe la pena morire piuttosto di dover partecipare a tale evento. E' un libro che consiglio caldamente, si legge in un fiato.

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Narrativa per ragazzi
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    05 Agosto, 2014
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La Luna come metafora del mondo

Ogni tanto fa bene tornare bambini..c'è chi ci riesce di più e chi ci riesce di meno. David Almond mi ha permesso di fare un passo indietro attraverso il personaggio di Paul, un bambino di circa dieci anni che del mondo vuole sapere il più possibile. Tanti sono i piani del palazzo sopra la sua testa, li vede ogni giorno e immagina come potrebbe essere viverci e poter avere una vista panoramica tale e quale alla loro. Ma una mattina Paul si sveglia con uno strano quesito in testa: e se la Luna fosse un buco all'interno del quale si nascondesse un mondo segreto? Partendo da questa domanda, si convince di dover andare a verificare di persona e fa la conoscenza degli inquilini del suo palazzo che si mostrano più strani del previsto. Il ginnasta Pody, Clara e il suo barboncino Clarence, la pazza Molly che abita all'ultimo piano e arreca dipinte in casa tutte le facce dei vicini in piccoli quadretti di legno. Paul incontra anche il padre e la madre che, preoccupati, si erano messi a cercarlo ovunque scala dopo scala, piano dopo piano, e insieme, guidati da Molly, si dirigono dal fratello di quest'ultima, Benjamin, il quale ha imparato a chiudersi in se stesso a seguito delle tante delusioni ricevute. Egli vive infatti sul suo divano, trascorrendo un'esistenza monotona e chiusa rispetto al resto del mondo, con un sacchetto in testa. Incuriosito però dalla tenacia del ragazzino, decide di accompagnarlo sulla Luna per verificare la sua tesi. E' così che prendono una scala e facendosi aiutare dagli altri inquilini riescono a raggiungerla. Ma quale sarà il vero finale di tutta questa storia?
La Luna di Paul è una metafora del mondo, delle circostanze della vita e dell'amicizia: non credevo di affezionarmici tanto. Al contrario è stata un'esperienza di lettura molto divertente e mi sono stupita della sua profondità, del tatto col quale lo scrittore tenta di spiegare ad un bambino il significato dell'amore e dei valori, quelli veri. Consigliato a grandi e piccini.

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Romanzi
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    05 Agosto, 2014
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Luoghi gelosi..luoghi eterni

""Per sempre" è la collina del Rossarco". Sono queste le parole di Arturo Arcuri, primogenito di una famiglia che da decine di anni deve la sua ricchezza alle colline omonime calabresi: parole che vengono tramandate di generazione in generazione che non svaniscono a dispetto del tempo. "La collina del vento" è una collina speciale, oggetto di studi di una decina di archeologi; il romanzo ha infatti inizio proprio da qui, quando il veemente Alberto Arcuri durante una battuta di caccia fece la conoscenza di Paolo Orsi, un famoso ricercatore e studioso che insieme al proprio gruppo di ricerca mostrò l'intenzione di avviare allcuni scavi archeologici, convinto che la collina del Rossarco nascondesse più di un segreto, ossia l'antica città di Krimisa. Stiamo parlando degli anni '20 del '900, anni oscuri per l'Italia, gli anni della dittatura fascista, delle bacchettate sulle dita degli studenti nelle scuole. Dapprima Alberto, poi Arturo, poi Michelangelo...viviamo l'adolescenza di ciascuno di essi, ne seguiamo gli sviluppi, li vediamo crescere proprio mentre le pagine scorrono sotto ai nostri occhi. L'opera di Abate può in un certo senso essere definita come un romanzo di formazione: si passa dal primo bacio di Arturo alla nascita di Michelangelo in un crescere di emozioni e di eventi. Il lettore sembra sviluppare una coscienza diversa man mano che la storia va avanti: soprattutto un lettore maturo e adulto che già della vita ha sperimentato parecchio. Consigliato specialmente a coloro che amano i romanzi riguardanti storie coniugali e familiari.

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"La terra del sacerdote" di Paolo Piccirillo
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Fantasy
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    30 Luglio, 2014
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ELOGIO A J.R.R. TOLKIEN

Ho aspettato tanto prima di pubblicare questa recensione, come sempre dopotutto quando si tratta di uno scrittore o di un'opera che mi sta particolarmente a cuore. Questa volta, il libro in questione di cui ho scelto di parlarvi è il primo capitolo della trilogia de "Il signore degli anelli", "La compagnia dell'anello". Nome ben noto all'interno delle cerchie letterarie: si tratta di un colosso della letteratura fantasy, non di un novellino. E' vergognoso che alla veneranda età di 19 anni non si sia ancora letta l'intera saga, ne sono consapevole e ho promesso a me stessa di rimediare al più presto. Quella di Tolkien è una serie infarcita di archetipi che sono stati ripresi innumerevoli volte da scrittori moderni che osano definirsi "distopici": elfi, nani, hobbit, creature magiche e stregoni. Ma diciamocelo: un po' come tutti i primi arrivati, anche "Il signore degli anelli" fa da padrone alla propria categoria. La maestria e la precisione con le quali ogni personaggio è descritto rende il tutto più reale: potremmo cominciare a parlare di un'irrealtà reale ma allo stesso tempo surreale. Tranquilli, non ho perso il capo. Mi spiego meglio. Nella meticolosità con la quale lo scrittore si impegna a trattare ogni singolo dettaglio, si percepisce una fantasia, un mistero inequivocabile che per la sua minuziosità ci appare più prossimo di quanto ciascuno di noi possa pensare. Arriviamo alla fine del libro e ci domandiamo: ma chi è il vero protagonista della vicenda? Bilbo Baggins, il vecchio hobbit che sceglie di prendersi cura di Frodo nel periodo della giovinezza? O forse lo stesso Frodo, che si prende la briga di portarsi appresso un pesante fardello quale l'Anello del potere? No, il vero protagonista della storia e del mondo fantastico di Tolkien è proprio la fantasia. Nei racconti e nelle leggende di Gandalf, nei suoi fuochi d'artificio per divertire i bambini della Contea, nei pensieri costanti e provocatori di Merry e Pipino, nell'audacia e nel coraggio di Sam. Ciascun personaggio è dettagliatamente caratterizzato: quello che è un amico per Frodo diviene un amico anche per noi, le loro imprese e i loro timori ci annientano come se ci riguardassero in prima persona. Tolkien sembra suddividere la sua opera in coraggiosi e meno coraggiosi, in generosi e meno generosi, rendendo il tutto paragonabile ad una società come la nostra. Nel momento in cui Bilbo manifesta la volontà di partire, organizza un grande evento al quale partecipano tutti gli abitanti e le varie famiglie della Contea: nessuno, incluso il tanto amato nipote Frodo, è a conoscenza però delle vere intenzioni del vecchio Hobbit. Questi sembra non voler abbandonare quell'Anello a lui così caro, ma in seguito alla sua partenza e alla scoperta del giovane Frodo dell'esistenza dell'oggetto, cominciano i veri guai.
Tolkien sembra parlare di ogni luogo come del giardino di casa sua: i monti, le vallate, i prati maestosi: tutto assume una valenza reale. Se dovessi decidere i miei personaggi preferiti, farò per una volta la persona banale e vi dirò che sono Aragorn (ovviamente) e l'inaspettato Sam Gamgee, per la sua forza d'animo e la sua benevolenza nei confronti di Padron Frodo.

In conclusione, per chi non lo avesse letto, inizi a leggerlo. Per chi invece lo ha già fatto, sarei curiosa di sapere quali sono i vostri personaggi preferiti che vi sono rimasti nel cuore.

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Dovremmo tutti cominciare dal Signore degli Anelli e passare poi agli altri fantasy, non il contrario.
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Romanzi autobiografici
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    07 Luglio, 2014
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Ricordami di te, ricordami di noi

Ellen Greene parte a narrare la sua storia d'amore da una lista. Vi sono molti tipi di liste: quelle della spesa, quelle al lavoro. Ma quella di Ellen è una lista di memorie, di ricordi, di bei momenti. Attraverso una cronologia, ossia una suddivisione del romanzo in periodi, la scrittrice parla della sua vita, delle sue peripezie, fino ad arrivare all'incontro con lui, il grande amore della sua vita: Marshall Greene. Grazie ad un fortuito colloquio di lavoro dopo aver affrontato un percorso lavorativo difficile, i due si incontrano e nonostante tentino di dissimulare i propri sentimenti, cedono lentamente e inesorabilmente alla forza dell'amore. Di Marshall (Marsh) Ellen ricorda i bei momenti, i viaggi fatti insieme a bordo della loro imbarcazione, la St. Kilda, il senso di appartenenza che la lega al marito, il suo accettare i figli di lei nonostante egli non ne sia il padre. Insomma, attraverso una lista l'autrice ripercorre la sua vita insieme all'uomo che ama, che l'ha rapita nonostante i 20 anni di differenza, che l'ha letteralmente stregata e condotta alla felicità. Personalmente ho trovato questo romanzo autobiografico interessante e affatto noioso o ripetitivo. La dolcezza con la quale Ellen scrive le pagine del suo libro è commovente, come anche solo il pensiero della vera esistenza di una coppia del genere. Arrivi alla fine e tiri quasi un sospiro di tristezza, dici: ma come? Già finito? Davvero molto carino, niente a che vedere con banali romanzi rosa o quant'altro. Consigliato.

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Esco fuori dalle righe consigliandolo a chi ha visto il film "Ps: I love you"
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Romanzi
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    26 Giugno, 2014
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In fila pronti a morire

L'uomo, nel momento in cui si trova ad essere faccia a faccia con la guerra, cambia se stesso. Ma non solo. Cambia il suo rapporto con le persone, il suo approccio al mondo che lo circonda, la sua visione della vita. Marco Magini, autore esordiente laureatosi in economia, resta fedele a questo concetto, a questo stravolgimento: in "Come fossi solo" decide di raccontare, dal punto di vista di un condannato, la strage di Srebrenica e le sue conseguenze. Particolarmente catturato da tale dramma e dalla sentenza che vide condannato Drazen Erdemovic, ribalta la situazione scegliendo di trattare tale genocidio dal punto di vista di tre uomini: Dirk, appartenente all'esercito dei caschi blu dell'ONU, Romeo, il giudice che portò l'imputato alla condanna, e infine lo stesso Drazen, il giudicato. Sottile é la linea che separa questi personaggi l'uno dall'altro: sottile come la linea di confine che portò la Jugoslavia alla guerra. Tutti sono accomunati da una speranza, quella di poter tornare a casa sani e salvi dalle proprie famiglie mantenendo una qualche dignità. Quello di Magini può essere visto come un diario di guerra, una sorta di panegirico a proposito di una strage di massa che ha coinvolto milioni di persone che solo in parte sono riuscite a sopravvivere. Nel romanzo emerge anche il diverso modo di reagire ad un conflitto di tale portata: Drazen è portato agli estremi, a compiere un qualcosa che non vuole, semplicemente per tornare tra le braccia della figlia Sanja, mentre altri come lo stesso Jasa troveranno nella malvagità la loro casa. Spesso quando si tratta di fare riferimento alla storia ci si nasconde dai veri crimini, dalle vere colpe. Il libro di Magini è un'uscita dall'ipocrisia e dalla mediocrità, un modo per porsi faccia a faccia con un passato e una coscienza non proprio gradevoli. Consigliato.

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Classici
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    01 Giugno, 2014
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Caro Franz, oggi devi essere te stesso

"Ad ogni modo eravamo così diversi e, in questa diversità, così pericolosi l'uno per l'altro, che se si fosse cercato di prevedere come il bambino che lentamente cresceva e tu, l'uomo maturo, si sarebbero comportati l'uno nei confronti dell'altro, si sarebbe potuto supporre che tu mi avresti semplicemente calpestato, senza che di me rimanesse niente. E invece non è accaduto, la vita non si può prevedere, ma forse quel che è accaduto è anche peggio."

Con queste parole Kafka si mette a nudo, si traveste nei panni di Franz come se le sue parole riflettessero il suo conflitto interiore. Forse la sua era un'intenzione premeditata, si percepisce in queste parole, come un po' in tutta la lettera, quanto egli fosse amareggiato da questo rapporto. Lo scrittore sembra affrontare, come in una scaletta accuratamente stilata, diversi argomenti ripartiti in paragrafi macroscopici. Dapprima affronta il tema del ricordo, un tema a lui molto ostile, in quanto determinante nel suo sviluppo e nel suo colloquio con il padre. Franz, lo chiameremo così, ci parla dei suoi traumi, delle sue paure: paure che un piccolo bambino coi suoi piccoli occhi arriva ad ingigantire e conservare poi per tutta la vita. Egli sembra turbato, sembra raccontare questa storia più a se stesso che al padre, sembra ripercorrere secondo tracce diverse la sua vita e il suo inesorabile destino. Un altro tema da lui affrontato è quello della religione: con una straordinaria accuratezza arriva a raccontare del suo rapporto con l'ebraismo, dell'educazione impartitagli dal padre a proposito dell'importanza delle preghiere e dei riti tradizionali. Kafka sembra incolpare il suo destinatario di non avergli fatto conoscere a sufficienza la sua religione, di non avergli dato l'importanza che meritava. Con profonda sensibilità, si dichiara anche per quanto concerne il matrimonio e il rapporto coniugale: egli ammette di sentirsi incapace di trovare moglie, in quanto la sua fragilità e la sua debolezza non glielo permettono. In questa lettera tende a fare un ritratto di sè non indifferente: è come se una mattina il nostro Franz si fosse svegliato e avesse deciso di confessare tutto al padre a proposito di se stesso e degli altri, delle sorelle, del lavoro, della sua paura (la traduzione italiana non rende forse a sufficienza il senso di 'Furcht' tedesco, inteso come vero e proprio terrore). Leggendo quest'opera ho come avuto la sensazione di star leggendo un'auto biografia. E mi è piaciuta nello stesso modo in cui può piacere una confessione rivelatoria allo specchio. Uno scritto illuminante, si dovrebbe tutti cercare un po' più spesso di far uscire fuori il Franz che è in noi. Perché questa lettera è una lettera di vita, una lettera che, come un flashback istantaneo, riparte da zero e finisce con la vita del momento, dell'attimo stesso in cui io la sto scrivendo. Lo consiglio caldamente, forse per la sua 'cruda sincerità' o il suo stile fruibile e adatto a tutti.

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La metamorfosi.
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Romanzi
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    28 Mag, 2014
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Un dissidio morale e sociale

La mia prima strega del 2014. Quest'anno ho deciso di leggerli tutti ed è proprio dal giovane Piccirillo che sono partita. Per essere uno scrittore emergente l'ho trovato ironico e frizzante, in quanto ha saputo trattare un'aspra critica sociale incorniciandola di dialettismi e tinte noir. Il romanzo vede come protagonista il sacerdote Agapito, una sorta di Chiarchiaro pirandelliano la cui terra - ritenuta terra nullius - sembra essere caratterizzata da aridità e sfortuna. Sotto gli occhi di molteplici personaggi e attraverso numerevoli ambientazioni ,tra cui la Germania e il Molise, l'autore ha saputo delineare un perfetto ritratto della società contemporanea. L'intera opera ruota infatti attorno all'importanza del perdono, alla decadenza morale e psicologica delle persone, all'avidità e alla ricchezza di un popolo corrotto che corrompe. La purezza sembra fungere da demonio, in quanto anche da un semplice gesto come la nascita di un bambino, emerge la violenza della vita che si insidia come un uragano nelle vite dei protagonisti. Quello di Piccirillo può essere visto come una sorta di romanzo di formazione: il personaggio di Agapito cresce, cresce nell'animo e nel cuore, cresce nel modo in cui affronta le situazioni che si trova a dover affrontare. L'opera non segue un ordine cronologico ben preciso, in quanto ricorrono spesso flashback e ellissi. Dall'arrivo della giovane Flori - o Fiori, come la chiama il sacerdote - l'esistenza di tutti prende una piega diversa. Non ho letto il precedente romanzo dello scrittore, nonostante tutti me ne abbiano parlato piuttosto bene: credo che sarà sicuramente da inserire in una prossima wishlist. Unica pecca che ho riscontrato è la presenza di frasi in lingua straniera, in particolare in tedesco. I curatori avrebbero dovuto quantomeno inserire qualche asterisco per coloro che della lingua non sanno un accidente (io ho la fortuna di aver studiato tedesco al liceo, per cui non ne ho avuto bisogno). Per quanto riguarda 'La terra del sacerdote', se siete fissati come lo sono io per il premio Strega, leggetelo. Altrimenti leggetelo lo stesso.

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Mi ha stranamente ricordato Alajmo. In ogni caso, Piccirillo è nettamente superiore.
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Romanzi
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    27 Mag, 2014
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CALCUTTA NELLA SUA DEVASTAZIONE

3,4,5. I voti che sento di dare a questo romanzo, rispettivamente a Contenuto, Piacevolezza e Stile. Con 'Il palazzo della mezzanotte' ho deciso di buttarmi nella trilogia della Nebbia dopo aver già concluso i tre romanzi della quadrilogia, non ancora completa, del Cimitero dei Libri Dimenticati. Se dovessi dare un giudizio complessivo opterei per un 4-, per una serie di lunghe ragioni che mi sono ordinatamente appuntata su un taccuino.

1. Innanzitutto, tale romanzo non raggiunge e non raggiungerà mai i livelli della serie di libri già elencata. Manca quel brivido nella storia di Ben e Sheere che non porta ad un coinvolgimento pieno e totale come mi è già successo per la storia di Daniel.

2. Di tutti i personaggi elencati, in nessuno mi sono particolarmente immedesimata; ho trovato anzi essere il più interessante quello a cui è stato concesso meno spazio all'interno della narrazione: Michael. Mi è piaciuta tantissimo la sua fantasia tramutatasi in silenzio e le sue poche parole atte a dimostrare, se dette, qualcosa di meraviglioso e di concreto.

3. Il nemico, l'"Antagonista", chiamatelo un po' come volete, non mi ha detto granché. Se devo essere sincera avevo già intuito ciò che era intuibile dall'inizio del romanzo. Insomma, ci si arriva un po' tutti, a meno che non ci si voglia arrivare.

4. Ho apprezzato lo scenario. Ho trovato frizzante la scelta di Zafon di ambientare gran parte della vicenda in una vecchia stazione abbandonata..e l'orologio, poi..è forse ciò che mi è piaciuto di più.

5. Si sente, proseguendo nella lettura, quanto la scrittura dell'autore fosse più primitiva rispetto ai livelli raggiunti ne "L'ombra del vento" o "Il gioco dell'angelo".

Fatta questa breve lista, non mi soffermerò su dettagli inutili e di poca rilevanza. In fondo lo stesso scrittore nella prefazione preannuncia la sua volontà di cimentarsi in un libro per ragazzi che possa allo stesso tempo interessare un pubblico più maturo. Da leggere, ma senza enormi aspettative. Diciamo che letta la quadrilogia di Sempere, tale lettura non risulta essere più così indispensabile.

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Se amate Zafon, e giusto per sfizio volete leggere i suoi romanzi.
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Romanzi
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    25 Aprile, 2014
Top 500 Opinionisti  -  

La storia nella storia

Ebbene sì, sono giunta anche io a questo fatidico terzo libro. Essendo un periodo in cui di libri ne ho acquistati a valanghe, per adesso mi sono accontentata di prenderlo in prestito dalla biblioteca del mio paesino. Non potevo più aspettare, Zafón non può mai aspettare. Perché i suoi libri sono un po' come una bella dose di eroina: appena ci finisci dentro, è un bel guaio uscirne fuori. Che l'autore in questione sia uno dei miei preferiti, credo sia già abbastanza chiaro per chi mi conosce; il fatto è che, leggendo questo pseudo capitolo finale, credevo di ricevere mille risposte a mille domande che mi ponevo e che tuttora continuo a pormi. Il protagonista è forse Daniel? Forse Fermìn? Onestamente non saprei decidere: la maggior parte del romanzo ruota intorno a vari flashback che portano il lettore ad una "verità". Mi sento di metterla tra virgolette perché francamente, al posto di facilitarmi la comprensione rispetto all'andamento della vicenda, il tutto ha aumentato i miei dubbi e le mie curiosità. Alcuni personaggi che erano stato messi da parte ne "Il gioco dell'angelo" vengono ritirati fuori è utilizzati come aiutanti e non. Sarà che David mi ha scosso l'animo, sarà che ho trovato questo libro un completamento del primo, ma devo ammettere che rispetto ai precedenti non mi ha lasciato le stesse sensazioni. Mi ha sì, fatto battere il cuore (come al solito, del resto), ma non allo stesso modo degli altri due. Forse perché è solo da vedere come un frammento, come una parte della storia. Mi ha fatto morire dalla risate il solito sarcasmo di Fermìn e le sue battute che sono state utili a risollevarmi il morale in attimi di sfrenata malinconia. Nonostante questo, niente da opinare: Zafón non mi ha deluso, mi ha semplicemente lasciata con la voglia di andare a trovarlo a casa e strozzarlo per costringerlo a pubblicare questo strabenedetto finale. Dopotutto, chi come me ha letto il libro, sa benissimo che questa non è la fine, "ma solo l'inizio".

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Romanzi
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    09 Aprile, 2014
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L'ALTRA META' DELL'INNOCENZA

“L’altra metà del sole”, uscito negli Stati Uniti col titolo “A walk across the sun”, è un libro di Corban Addison, membro della IJM, ossia la Missione Internazionale di Giustizia che garantisce ogni anno l’accesso alla legge alle persone che vivono nel Terzo Mondo. Avendo avuto più di un riscontro con questa associazione, l’autore ha potuto interagire con varie personalità internazionali che gli hanno permesso di dare un certo spessore al suo romanzo. I personaggi che vengono qui inseriti sono infatti – e lo specifica nell’introduzione come nei ringraziamenti – personaggi di pura fantasia che rimandano a situazioni o persone realmente esistenti. La storia di Ahalya e di Sita riprende un po’ quella che è la storia di Grace Pillai e Sadhanna Shine, due testimoni indiane che si sono offerte di concedere allo scrittore la loro testimonianza in base all’esperienza vissuta a seguito del travolgente tsunami. Thomas Clarke è un po’ quel Corban Addison che cerca di lottare giorno per giorno per sfondare quelli che sono i limiti di razza e paese, che da un momento all’altro molla la sua Washington e le sue basi “solide” per andare in India, in particolare a Mumbai. Mi sono affezionata in particolar modo a questo personaggio, l’ho trovato di un’umanità sconcertante. Thomas mi ha insegnato che nonostante i brutti periodi, i “no” sputati in faccia, i pareri discordanti della gente, non c’è mai fine ad un sogno. Che se davvero una cosa la si desidera, la si può ottenere e che, soprattutto, non si deve mai perdere la speranza.
Il romanzo racconta la storia di due giovani ragazze indiane di Chennai, Ahalya e Sita, rispettivamente diciassette e tredici anni, che a causa di un terribile tsunami si ritrovano orfane di padre e di madre e sole al mondo. A quel punto, l’unico scopo diviene quello di salvarsi la pelle, ma a complicare le cose il destino tesserà la sua tela e non renderà affatto le cose semplici, al punto che le due si separeranno e saranno costrette, tra Europa India e Stati Uniti, a ricongiungersi. Un libro che lascia una vera e propria impronta sul cuore e sensibilizza a quei paesi del Terzo Mondo che spesso nei romanzi non vengono menzionati.
“Gli altri potevano anche prendersi la loro libertà, la loro innocenza; la natura poteva distruggere la loro famiglia e la cattiveria degli uomini travolgerle e annientarle in modi che sfuggivano alla loro comprensione. Ma non poteva privarle dei ricordi. Solo il tempo aveva quel potere, e Sita vi si sarebbe opposta con tutte le proprie forze.”

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    26 Febbraio, 2014
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L'importanza di una seconda opportunità

Scrivo questa recensione a caldo, avendo appena finito di leggerlo. Che dire, se prima avevo qualche dubbio adesso ne sono certa: Zafón ha creato una vera e propria magia, un incantesimo di cui mistero e tenacia fanno parte. Se il primo capitolo della trilogia, oltre a tenerti incollata, era stilisticamente più semplice, stavolta lo scrittore dà il meglio di sè, introducendo a tratti tematiche filo-religiose e teologiche. Ma non tenterò di nascondere le lacrime che questo libro mi ha provocato, assieme al desiderio di terminarlo ogni qual volta avessi trovato un minuto libero. Ma andrò per ordine.
David Martìn è un aspirante scrittore, figura diametralmente opposta a quella del protagonista del primo romanzo, Daniel Sempere. Avendo adorato "L'ombra del vento", non ho potuto fare a meno di notare la differenza nella descrizione di Daniel in questo secondo capitolo. Oltre alla presenza del padre di Daniel, "il signor Sempere", che sembra essere l'unico tramite tra i due scritti, un lettore che non si è mai cimentato nella Trilogia di Zafón potrebbe tranquillamente leggere "Il gioco dell'angelo" senza aver letto l'opera precedente. Nel mondo di David, Daniel è tutt'altro che il giovane innamorato di Bea, amico di Julian e amato dal padre. Sembra essere solamente un ragazzo timido e dall'aspetto goffo che non ha niente a che vedere con la sua descrizione originale. Inoltre, molti fatti e avvenimenti che si susseguono nel libro, sembrano parlare di un altra libreria, di un'altra Barcellona, di un Fermìn inesistente (ahimè, il mio personaggio preferito), di persone totalmente diverse. Unica similitudine che ho riscontrato, l'amore per il libri del signor Sempere e la presenza del Cimitero dei Libri Dimenticati. Detto questo, specifico che è stata solo una mia annotazione che ho voluto condividere con voi (non per questo ha cambiato l'idea che mi sono fatta del libro). Romanzo meraviglioso, colpi di scena sempre presenti, descrizioni perfette (ho amato la parte innocente/non innocente del protagonista); concordo con altri utenti che hanno ritenuto la fine la parte più bella, e anche la più commovente. Inaspettatamente e contro ogni mio pensiero, ho amato David, il suo cambiamento nel corso degli anni, la sua tenacia. Ma più che altro ho amato Isabella, l'ho trovata infinitamente dolce e materna.
N.B.Il titolo della recensione sarà comprensibile solo a coloro che l'hanno letto.
Vi auguro una buona lettura.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    12 Febbraio, 2014
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"A Martina, che si colora di timidezza"

Era il lontano febbraio del 2011 quando ho avuto il piacere di incontrare Giulia Carcasi per la prima volta. La scuola aveva organizzato un incontro speciale con la scrittrice, e la professoressa di italiano ci aveva praticamente obbligati a buttarci nella lettura. Di solito quando i professori OBBLIGANO a leggere qualcosa, è spesso e volentieri qualcosa che finisci per odiare. Che non parla di me, della mia età, dei miei problemi adolescenziali, delle mie cotte passeggere e non. Di solito un professore ti affida il solito mattone, e ti dice "leggilo e fammi una relazione". Così, senza che tu abbia neanche il tempo di replicare. Ricordo che la mia prima professoressa di italiano alle superiori ci disse "non sempre i libri solo perché sono affidati da un insegnante sono fatti a misura di un alunno, a volte mancano i denti per leggerli, a volte i denti ci sono ma ancora hanno da svilupparsi a sufficienza. Ecco, voi immaginate che un libro sia basato proprio su questi denti, e che più questi crescono, cresce anche la vostra capacità di intendere la letteratura". Ai tempi pensai fosse scema. Crescendo, ho capito che è proprio così. E al tempo, quando sfogliai il libro della Carcasi, i denti li avevo eccome. Divorai tutto il romanzo in meno di sei ore, e ricordo che quando la mia mano strinse la sua sentii una certa elettricità. Giulia era timida, se ne stava a chiacchierare dell'adolescenza come se in fondo ci fosse stata ancora sommersa. Quando le diedi il libro da autografare, lei mi guardo' negli occhi e senza una parola mi scrisse una frase. Mi disse che secondo lei quella mi descriveva pienamente. Tutta questa introduzione solo per farvi capire di non prendere questo libro con la coscienza adulta di una persona vissuta, ma con quella di una ragazza - e di un ragazzo - che ogni giorno si affacciano coi problemi di ogni giorno. Certo, non è considerabile un capolavoro, ma sono sicura che leggendolo farà immedesimare chi in quell'età si trova, oppure chi, immerso nei ricordi, si vorrebbe ritrovare.

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Ha un lieve retrogusto di "La solitudine dei numeri primi"
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    30 Gennaio, 2014
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QUEL RAGAZZO DEGLI ALBERI

[...] "- Vivi sugli alberi e hai la mentalità d'un notaio con la gotta.
- Le imprese più ardite vanno vissute con l'animo più semplice".

E' questa la filosofia di Cosimo, che sin dalla sua infanzia dimostra di avere una mentalità diversa dai ragazzini della sua età. E' il figlio del barone d'Ombrosa, città immaginaria che Calvino s'è inventato per ambientare questa storia dai tratti degni di un grande capolavoro. Un giorno, giocando col fratello Biagio, libera delle lumache che sarebbero dovute essere il suo pranzo, e finisce in punizione per ben tre giorni. Ed è così che per ribellarsi, Cosimo finisce per condurre una vita sugli alberi. Ovviamente all'inizio nessuno lo crede, e si fanno beffe di lui; questo fino a quando non capiscono che lui ha davvero intenzione di restare lassù per tutta la vita. La vita di Cosimo passa, assiste alle scene di vita familiare (anche se sempre dall'alto del suo albero) e inizia a fare visita agli Ondariva, suoi vicini di casa, accorgendosi subito della piccola Violante, della quale si infatua. I due entrano in contatto, ma quando i genitori di lei vengono a sapere dei loro incontri, la spediscono in collegio, privando Cosimo di ogni possibilità di rivederla. Calvino ha saputo proporci un romanzo di alto livello e mi ha condotto sino all'ultima pagina proprio mentre mi domandavo che fine avrebbe fatto la vicenda del protagonista. Ho adorato Violante sin dalla sua comparsa nei primi capitoli, e ho trovato questo voler vivere sugli alberi un modo per liberarsi ma al contempo stare prigioniero. Cosimo si ritrova ad essere vittima di questa promessa, di questa scelta che ha fatto: probabilmente la sua vita avrebbe preso una diversa piega se fosse stato, letteralmente, coi piedi per terra. L'autore ha assegnato al romanzo un contesto ironico che poi tanto ironico non è: esso è metafora di una libertà tanto ardentemente desiderata e tanto ardentemente riscossa. Ero scettica prima di leggerlo (nonostante Calvino abbia scritto tutte opere stupende), ma non mi sono pentita neppure un secondo dell'acquisto fatto. E' un libro a portata di mano, sia per prezzo sia per contenuto, adatto tranquillamente ad un pubblico di quattordici o quindici anni, ma al contempo adulto. Lo stile di Calvino è quello che conosciamo: termini che sono un po "classicheggianti" ma in un certo modo a noi contemporanei. Se avrete voglia di isolarvi un po' dal resto del mondo, magari non arrampicandovi sugli alberi e restandoci tutta la vita, vi auguro una buona lettura.

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Per Calvino non c'è mai un "a chi ha letto.." potete iniziare benissimo con questo romanzo o con altri suoi, che non ne resterete delusi.
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    23 Gennaio, 2014
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GIUSTIZIA NEGATA

Dio mio, che libro meraviglioso.

Ricordo ancora le parole della prof di italiano, "ragazzi per le vacanze leggetevi La sposa guerriera". Che scatole, mi dissi, con tutti i compiti che ci danno non troverò mai il tempo di guardarlo, figuriamoci leggerlo. E allora di lì alla spietata ricerca del libro su tutti i siti online; finivo in libreria, "lo abbiamo esaurito", "ritornerà?", "è fuori commercio". Ma andiamo per ordine.
Vi presento La sposa guerriera: a quanto pare, sin dalla sua uscita nelle librerie, ha destato sospetto e astio verso se stessa. Vi state chiedendo perché? Questo romanzo, a soli due giorni dalla data di pubblicazione, è stato censurato dalla stampa statunitense perché ritenuto scabroso. Cosa potrebbe mai esserci di scabroso in un libro che descrive come davvero le cose STANNO in Islam. Sherry Jones ci regala un'opera romanzata a sfondo storico, una vera e propria delizia per gli occhi. Avrà ricevuto censura e proteste perché qualcuno si è sentito colpire nel vivo? Perché è proprio questo che il romanzo fa: pone a contatto con una realtà diversa dalla nostra, con una società altrettanto parallela. Donne sfruttate, uomini al potere, mogli in decimo piano sostituite da concubine, e che nessuno sovrasti la volontà di chi comanda. A'isha rappresenta quella rivolta che la donna islamica compie per identificarsi e avere un posto nella società, il vero e tanto famoso coraggio. A'isha è una guerriera, la prediletta di Maometto, l'avversaria di Alì. Narrato da due diversi punti di vista, quello di Alì, e quello di A'isha, il libro pone in diretto contatto la donna con la religione, con il suo sfruttamento. Con la battaglia che ogni giorno si trova a dover combattere. Mano a mano che il tempo passa, i due protagonisti si renderanno conto che la bramosia e il desiderio di potere non sempre possono condurre al bene, anzi che spesso desiderio struggente è indizio di una perdita enorme.
Volete davvero sapere come è andata a finire?

Ho letto quel libro in un giorno solo. Più di 400 pagine divorate.
Se avrete voglia di buttarvi a capofitto verso qualcosa di nuovo e sorprendente, leggetevelo. Garantisco al 100%.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    21 Gennaio, 2014
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PAGINE DI UN AMORE RITROVATO

Se mi avessero chiesto "qual è il tuo scrittore preferito?" qualche anno fa, avrei sicuramente risposto Nicholas Sparks. Ma non perché avessi ritenuto gli altri meno degni, ma solo perché ormai si sa, a 13 anni si lascia il posto ai sogni, abbandonando quelle che sono concretezza e realtà (anche in età adulta, talvolta, non guasta mai). A tredici anni vedevo un mondo a colori, fatto di romanticherie e letture spensierate, leggevo di personaggi che si ritrovavano dopo anni, nella vecchiaia, e si amavano come nella loro più fiorente giovinezza. Crescendo (e parlo di me e della mia cultura letteraria), ho imparato ad apprezzare quella realtà che precedentemente avevo abbandonato e in particolare quelli aspetti negativi che ne fanno parte. Ho imparato ad amare un libro anche se privo di un "happy ending", un lieto fine, anche se privo dei personaggi "sparksiani" smielati. Intendiamoci, per come la vedo io, Sparks ha lasciato dietro di sè impronte più o meno significative, e questo è proprio il caso di "Le pagine della nostra vita", pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Frassinelli nel 1996. Penso che dei suoi anni '90, questa sia stata la sua opera più riuscita, che ha poi ripreso infinite volte o nei personaggi o nella trama o nell'ambientazione rielaborandola, proponendoci il solito succo. Della trama, nulla da dire. Questo incontro-rincontro, quest'uomo solitario (un must nei suoi scritti), questa donna innamorata che non sa cosa farsene del suo uomo attuale; diciamoci la verità: colpiscono l'occhio del lettore, che, inavvertitamente, legge il classico commento in copertina "il libro dell'anno", presente su TROPPI libri "dell'anno", e se ne innamora. Per carità, non sto affatto dicendo che si tratta di un libro mediocre: io per prima l'ho apprezzato. Sto dicendo che se volete cimentarvi in Sparks, avendo letto questo, li avrete letti tutti. Unica pecca avrebbe dovuto caratterizzare maggiormente altri personaggi, senza fiondarsi a capofitto sui due protagonisti ed escludendo gli altri che avrebbero magari potuto rivelarsi interessanti per lo svolgimento della storia. Il 4 lo do allo stile, che proprio a causa delle tante descrizioni, si merita per me il voto più alto.

Nota: non adatto a persone anti-smielo (lo ammetto: ormai dopo le tante prove a cimentarmi nelle sue letture con la speranza di trovarle diverse, sono entrata anche io nel club).

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Romanzi rosa
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    05 Gennaio, 2014
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Magari in un'altra vita

Lo ammetterò. Ma solo perché ormai mi sono arresa a questi libri.

Ebbene sì, ho pianto di nuovo. Anche questa volta, per un cane. Ma non un cane come tutti gli altri. Lui è Enzo, la cui descrizione non ha niente a che vedere con la foto di copertina, ed è un cane speciale. Questa volta, nessun disastro, nessun vaso rotto, nessun giretto o corsa sulla spiaggia, nessuna marachella durante un corso di addestramento. No, niente di tutto ciò. Sto parlando di un cane capace di GUARDARE; e con guardare intendo guardare il mondo, oltre la meschinità che lo circonda. Viviamo in un mondo fatto di apparenze e superficialità, ed Enzo mi ha semplicemente spinto a guardare oltre. Col naso umido e gli occhi trasparenti, mi ha portato fino all'ultima pagina senza che neanche me ne accorgessi. Non basterebbero mille parole per ringraziare la mia professoressa, che me lo ha prestato in gentile concessione sapendo la mia grande passione per gli animali.. questo romanzo è..così. Ma ora basta sentimenti personali, dovete pur capire REALMENTE qualcosa di questo libro.

Denny è un pilota professionista, un grande uomo, un grande padre, un grande lavoratore. Quando sceglie di prendere un cucciolo alla fattoria, sa bene che la sua vita sarà profondamente influenzata dalla sua presenza. Inizia la loro convivenza. Quando Denny è triste, sa bene che ad aspettarlo c'è il suo Enzo. Con le orecchie tese e il cuore aperto le loro conversazioni si svolgono in veranda, tra gli sfoghi del padrone ed una registrazione di gare su cassette e l'altra. Enzo ha preso tutto dal suo padrone: è nato campione, sa di essere un vincitore e vuole dimostrarlo a tutti in ogni modo. Ma lui è a conoscenza di una famosa leggenda: una volta che un cane raggiunge l'aldilà, la sua anima si reincarna in quella di un uomo. E lui non vede l'ora di vivere questa fantastica e nuova esperienza.
Fino a quando non arriva Eve, e poi Zoë. E poi ancora, il tumulto. E per Enzo tutto si stravolge. Il suo cuore si apre a nuove conoscenze, alla piccola Zoë, alla quale tiene come se fosse parte di lui.
E si stravolge anche per noi. Da divorare fino all'ultima pagina (anzi lacrima).. Non avrete mai desiderato tanto rivolgervi ad un cane come ad un fratello.

Io ve l'avevo detto che era speciale.

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Io & Marley, a chiunque abbia un cane e ogni giorno desideri che i suoi occhi riflettano il proprio cuore.
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    06 Dicembre, 2013
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UN GRIDO ALLA SOLITUDINE

Cara Marcela Serrano,
Basta emozionarmi a tal punto. E' il tuo secondo libro che leggo, ed ogni volta mi strappi lacrime e sorrisi. Ma sono lacrime di gioia, alcune di commozione, altre di stupore, mai di delusione.
Che dirvi a voi che leggerete questa recensione... Questo libro ti porta via il cuore. Bello, ma di una bellezza sopraffina, di una solitudine inquieta, di una tenerezza inaudita. Chi è Blanca? Quando mi era stato consigliato questo libro (devo ringraziare ancora la cara C.u.b che mi ha dato uno spunto eccezionale) e avevo letto il titolo credevo si trattasse di qualche remake del Tempo delle mele. Ma a cosa pensi mai Martina, "Il tempo di Blanca" non ha niente a che vedere con banali storie d'amore, con innamoramenti adolescenziali e classica trama.. Blanca e' una donna di guerra, una donna che non ha mai combattuto ma che la vita trova poi a vederla combattere. E' una donna bella, ricca, madre di due figli che non ha da rimpiangere nulla alle altre donne della società. E' una donna di classe con un armadio pieno di vestiti, con un marito di nome Jean Luis che non la appaga come ella vorrebbe. E poi, di colpo, la bella Blanca non è più niente di tutto questo.

Afasia.

So bene il suo significato, l'ho sempre saputo perché ho già assistito a casi del genere. Ma quello di Blanca, la Blanca indecisa, la Blanca madre di due figli, di cui una molto piccola e ancora nel fiore dell'infanzia...non ha niente a che vedere con il resto.
E poi incontra il Gringo, bello, alto e possente. L'uomo dal passato difficile, dalle coccole infinite, dall'amore che non si è mai sentita ricevere, dalle parole dolci e dal modo in cui l'ascolta.
Ma in tutto questo lodevole è la figura di Sofia, la cognata dal cuore d'oro, l'amica che avrà per sempre e non la tradirà mai.

Leggete questo libro, fatelo davvero. E leggetelo col cuore di chi si sente solo, di chi non ha più nulla al mondo se non se stesso.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    03 Dicembre, 2013
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Troppa tragedia in un solo libro

Le recensioni servono a consigliare libri, quindi vi dirò: dovreste leggere "Le ultime lettere di Jacopo Ortis"? Nì. Non saprei se rispondere assolutamente si o assolutamente no, proprio perché Ugo Foscolo è un po' come Baricco: o lo si ama, o lo si odia. Diversamente da quanto ho apprezzato la sua poetica particolarmente evidente nella raccolta "Sonetti" questo romanzo non mi ha dato molta soddisfazione.
Jacopo Ortis, protagonista dell'omonimo scritto, s'innamora perdutamente della bella Teresa, descritta nelle sue lettere come una delle più belle fanciulle mai viste. Comincia da questo innamoramento una fitta corrispondenza epistolare tra Jacopo e un personaggio fittizio (inventato dallo stesso Foscolo), Lorenzo Alderani. Il giovane Ortis, in esilio presso i Colli Euganei, (si noti lo stretto legame che hanno realtà e invenzione in questo romanzo) scrive all'amico raccontandogli giorno per giorno le sue sventure e i suoi sentimenti. Egli è disperato a causa del suo amore perché sa che non potrà mai essergli ricambiato e vive in una condizione di miseria interiore e di tormento perenne. Troppa tragedia, Foscolo sembra si fosse messo di buona intenzione a scrivere un romanzo epistolare che fosse praticamente identico rispetto a quello di Goethe, "I dolori del giovane Werther", carino per l'ideale romantico dell'uomo innamorato che si perde negli occhi dell'amata. Ma dopo una prima volta...anche basta! Leggere un libro dovrebbe lasciare qualche sentimento, qui mi è sembrato tutto molto noioso e già "visto e sentito". Non disprezzo Foscolo, sia chiaro; nonostante non sia uno dei miei poeti preferiti gli si deve riconoscere il merito di aver portato avanti la letteratura italiana. La vita del poeta, riflessa lettera dopo lettera all'interno dell'opera, viene fuori, così come vengono alla luce tutti i suoi disagi, la paura per "l'illacrimata sepoltura", per la madre lontana, per l'esilio che lo ha portato ad essere lontano dalla patria. Lo consiglio se amate il genere tragiromantico, altrimenti potete benissimo farne a meno.

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I dolori del giovane Werther, "Sonetti" di Ugo Foscolo
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    27 Novembre, 2013
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Angeli sì, ma nella testa della Kate

Mi scusi signora Kate, ma esattamente cosa ci avrebbe proposto? Non si offenda, ma a leggere il suo "libro" mi è sembrata la copia esatta di quello che la Meyer ci ha già proposto anni prima di lei. Unica novità sono stati gli angeli che ha deciso di propinarci, scelta mediocre a mio parere, per il modo in cui poi l'ha sviluppata.

SCUSATEMI FAN DELLA SAGA, ma proprio a questo libro non ci sto.
L'ho finito per inerzia perché sono una che i libri non riesce a non finirli, e ad ogni pagina che passava, ringraziavo che la calligrafia fosse abbastanza grande e mi permettesse di terminarlo più in fretta. Innanzitutto la povera Luce: ma che tristezza! Vittima della volontà dei genitori di allontanarla da loro e rinchiuderla in un postaccio dove tutto sembra essere descritto come se fosse un manicomio terrifico. Poi classico sviluppo della storia, conosce degli amichetti, best friends forever, e poi arriva lui. Attenzione, non si è mai vista creatura al mondo più bella di lui (vi ricorda per caso una certa Bella Swan, una certa Jessica e un certo Edward Cullen!?), Daniel. Che poi non è tutto: lui è premuroso, lui è incantevole, lui è dolce, lui è magnifico, blablabla. Ma che noia! E' una storia piatta, per quanti sconvolgimenti ci possano essere nel secondo libro (ahimè mi è stato regalato e sarò costretta a darlo via), non lo aprirò mai. E' tutto così banale, nessuna suspence, nessun avvenimento che possa sconvolgere, nessun personaggio che possa incuriosire. Tutto ruota intorno a questi due protagonisti (lei scemunita, lui ancor più sfigato di lei). Con questo non voglio giudicare i gusti di nessuno, De gustibus non disputandum est, ma voglio solo dare la mia opinione. Contenta per quelle persone che lo hanno trovato geniale. Io di geniale ci ho visto solo il denaro che la Kate si è messa in tasca grazie ai suoi angioletti. Una cosa è sicura: questi angeli l'hanno resa ricca per davvero.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    27 Novembre, 2013
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A SPASSO COI LICANTROPI

Siamo chiari: è una bella saga. Non da annoverare tra le mie preferite, ma non è assolutamente da considerare eccessivamente noiosa o poco descrittiva. Innanzitutto è una saga che deve essere letta se e solo se si ama il genere, e se la storia convince fin da una prima occhiata alla trama. Non credevo di trovare così tante opinioni onestamente, anche perché è abbastanza sconosciuta (in realtà mi sono stupita di non trovare "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" di Ugo Foscolo, ma dettagli). La giovane e dolce Grace è la protagonista di questo romanzo fantasy/romantico, di quest'avventura che viene narrata in tre diversi libri, di questo amore (utopico sì, ma ideale) con Sam, che davvero, mi ha fatto innamorare sin dai primi capitoli. Io adoro i licantropi (li ho adorati in particolar modo grazie alla saga della Meyer per la quale serbo un affetto fuori dal comune), e vedere che finalmente qualcuno si è indirizzato verso creature diverse dai vampiri (ce li hanno sbattuti davanti in cento modi diversi) mi ha convinto ancora di più a leggere questa saga. Bella, scorrevole (anche se in certi tratti lo ammetto, alquanto ripetitiva), lascia qualcosa nel cuore. Questo mistero che ruota intorno ai lupi, ai branchi che si aggirano intorno alla casa di Grace, quel ricordo che lei serba di quando era bambina, quel morso che non ha più saputo dimenticare, lasciano il segno. L'incontro dei due protagonisti interrompe finalmente quello che è il topos del ci-incontriamo-in-corridoio-e-ci-cadono-i-libri-wow-amore-a-prima-vista. L'autrice è capace di rendere il lettore partecipe, di farlo immedesimare; mi è capitato a volte di voler desiderare di trovarmi nella casa di Grace, di nascondere Sam, o di essere una loro amica. Nel complesso lo definirei dolce. Dolce, come un barattolo di zucchero.

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La saga di Twilight.
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    25 Novembre, 2013
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Tenebre a piccole dosi

Cuore di tenebra.
Il titolo lo abbiamo letto tutti, ma pochi l'hanno compreso fino in fondo. Ma partiamo dall'inizio.
Il romanzo è a sfondo storico ed è ambientato nell'800, in quelli che furono i tempi del colonialismo e delle grandi guerre di conquista. L'autore ha scelto di includere il suo protagonista in un determinato contesto: quello del Congo. Ma perché proprio il Congo? Tutto ruota intorno allo sfruttamento degli schiavi neri nelle piantagioni, progetto portato avanti con particolare avidità da Leopoldo II (non certo nome di fantasia), fondatore dell'Associazione Internazionale Africana, fondata, solo di "facciata" con lo scopo di accaparrarsi il Congo e di trasformarlo in proprietà belga. Ed è proprio in questo sfruttamento e in queste miseri condizioni che il nostro Marlowe si ritrova a vivere (e in seguito, come da narratore, a raccontare). Lo stile è quello che si addice all'800, basato su termini di linguaggio elevato e quasi aulico, scritti in un inglese antico e ormai in disuso. E' uno dei mattoni della letteratura inglese, così come tutte le letterature ne hanno. E con mattone non intendo darne una connotazione negativa; anzi, la mia intenzione è quella di dare un voto complessivo positivo, nonostante la lettura non mi sia sembrata affatto facile. Più di tutto mi è piaciuta la scelta del contesto storico, che mi ha fatto aumentare il punteggio del romanzo. Bello, difficile e un po' pesante. Va letto con la giusta intenzione e con il giusto scopo: non si è certo in procinto di leggere un romanzo Harmony, ma un caposaldo della letteratura che va preso a piccole dosi.
Per quanto riguarda la tenebra, più che nel cuore, l'ho vista nelle misere condizioni degli schiavi. Condizione amara che mi ha dato da pensare.

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Classici classici classici classici.
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    25 Novembre, 2013
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E non ne rimase nessuno (tranne il lettore)

[Contiene spoiler]

Chiedo venia in anticipo per la mia volontà di non fornire una recensione che possa coinvolgervi o meno o che possa portarvi a leggere questo romanzo, ma non potevo non dare un mio giudizio personale sullo svolgimento e l'esito finale della vicenda. Per convincervi ad acquistare il libro, le recensioni date in precedenza saranno più che sufficienti, essendo così ben fatte e strutturate.

Detto questo, inizio col delineare il profilo del personaggio che più mi è piaciuto: Vera Claythorne, insegnante di ginnastica chiamata dai presunti coniugi "Owen" a lavorare come segretaria nel periodo estivo. Donna dal sangue freddo negli ultimi capitoli e di acuto ingegno che si presenta all'inizio in tutta la sua timidezza e si dimostra alla fine arrendevole nella sua scelta di suicidarsi. La donna dell'ultima statuina, della rivoltella rubata, dei ricordi vivi del piccolo Cyril. La mia mente se l'è immaginata come una donna di media statura, bionda e seducente, dall'aspetto aggraziato. Insomma, l'ho adorata nonostante in certi casi sia arrivata a dubitare della sua innocenza.. L'ho adorata come ho adorato i capitoli che si aggirano intorno all'epilogo. Ho adorato il fatto che siano rimasti in tre, e che di questi tre sia rimasta fino alla fine a cercare di trovare il colpevole. Anche il più grande genio non arriverebbe alla soluzione. Forse forse (anche se la vedo dura) giungerebbe a capire il colpevole..ma dovrebbe essere Agatha Christie per arrivare a comprendere come i delitti fossero stati organizzati.
Sono rimasta incantata dalla piacevolezza di questo libro (da molto non mi capitava di leggere un romanzo in sole 14 ore, se si considera che di 14, 6 ne ho dormite), dai personaggi, dalla filastrocca altisonante che torna ad assillare i protagonisti delitto dopo delitto. Ogni dettaglio si incastra alla perfezione, ogni oggetto è descritto come se ci fosse stato posto davanti agli occhi. Unica pecca è la sua brevità, in quanto cattura a tal punto da divorarlo senza neanche rendersene conto. Il giorno che resterò delusa da Agatha Christie, credo che smetterò di leggere qualunque romanzo. Da dieci (...appunto).

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A chi piacciono i gialli classici.
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    24 Ottobre, 2013
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Un viaggio "spirituale" verso l'ignoto

Non so dire quale sia stata l'impressione che questo libro mi ha lasciato: è sicuramente uno dei più strani che abbia letto. Tutto si sviluppa a partire dalla morte di Jamie, un ragazzino invisibile per la società e soprattutto per i suoi compagni di scuola, che lo hanno sempre visto come una nullità. Solo Adam, dopo la sua scomparsa, riesce a sentirlo vicino come mai, neanche da vivo, era successo. Da qui ha inizio una stravagante avventura, che vede solo apparentemente Adam come un protagonista fisico; tutto si connota di una certa spiritualità, accentuata dai "viaggi" che McCormick compie grazie al fantasma del suo amico defunto. Questo romanzo mi era stato consigliato, ma mi ha lasciato un senso di incompiutezza e di confusione addosso. La prima reazione è stata quella di considerarlo uno scritto niente male. Poi, col passare del tempo, l'ho rivaluto e mi sono chiesta quale fosse stato, in origine, lo scopo dell'autore e il messaggio che ha voluto trasmettere. Lo stile è abbastanza discreto, nel complesso scorrevole, nonostante alcune parti mi siano risultate piuttosto lente e pesanti, mentre l'ambientazione e la trama sono quasi gotiche e talvolta macabre. Non saprei bene se consigliarlo o meno, ma soprattutto a CHI consigliarlo. Credo che l'unica indicazione che io sia in grado di fornire per allettarvi o meno a leggerlo sia di quella di acquistarlo SE e SOLO SE amate i finali aperti, altrimenti risulterebbero soldi sprecati.

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A chi voglia fuggire dalla concretezza della realtà
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    23 Ottobre, 2013
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La seconda volta non si scorda (mai)

Dopo aver scritto ben due recensioni completamente negative e quasi del tutto dispregiative, la mia mano aveva bisogno di esprimersi su parole che avessero una bellezza particolare al loro interno. Così, senza pensarci più di una volta, ho deciso di spremere le meningi ed elaborare una recensione convincente (DEVE esserlo per forza) e che non risulti troppo banale. Ho letto questo libro quest'estate, sotto l'ombrellone, e mi ha trasmesso talmente tante emozioni che è difficile comunicarle per iscritto. L'ultima volta che ho DAVVERO pianto per un libro (e vi parlo di un pianto coi fiocchi, durato circa due ore, tanto mi aveva sconvolto) è stata anni fa, quando ho letto Io&Marley di John Grogan. Che sensibilotta, piangere per un cane e per la sua commovente storia..eppure io ci ho speso lacrime, e sono state tra le lacrime più indimenticabili della mia vita. Quest'estate mi è ricapitato, ed è successo proprio con questo romanzo. Sinceramente non so spiegare cosa mi abbia lasciato questo libro, posso solo dire che non riesco ad identificarmi o, perlomeno, a riconoscermi con le opinioni negative che sono state date qui sotto. Posso solo dire che quei segni sulla schiena di Fermìn, quella penna di Victor Hugo esposta nel negozio, quella Barcellona misteriosa e quasi gotica mi hanno fatto battere il cuore. Pagina dopo pagina. E' stato il mio primo approccio con Zafón, e sono sicura che non sarà di certo l'ultimo. Un libro che ha meritato tutto il successo che ha ottenuto degno di un eccellente autore che non mi stancherò mai di lodare.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    16 Ottobre, 2013
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Istruzioni per una tragedia

Ho finito di leggere questo libro circa dieci minuti fa, e devo ammettere che tutto quello che mi ha lasciato è una profonda amarezza. Non potrei mai sbizzarrirmi in quello che è il contenuto, poiché a mio parere, di contenuto qui dentro ce n'è ben poco. È un libro piuttosto piatto, che segue lo scorrere dei giorni, che ti accompagna in quella che è la devastazione mentale di Cosimo, il protagonista, e nella protezione della madre nei confronti di un figlio abietto e rifiutato da tutti. Del bambino che viene lasciato a questo quarantenne solitario non si conosce praticamente nulla: a partire dal suo nome per arrivare al motivo che l'ha condotto fin lì. Si sa solamente della sua improvvisa comparsa in casa Tumminia, una casa di campagna isolata da tutte le altre appartenenti a questo paesino immaginario, Calcara, e della sua permanenza silenziosa all'interno dell'abitazione. Credo che l'autore avesse voluto dare uno spunto per quella che avrebbe potuto essere una trama innovativa, ma che alla fine si è risolta per essere una novella piatta e insignificante. L'idea di partenza poteva essere buona, ma l'autore non l'ha sviluppata nel giusto verso, con il giusto stile, con le giuste parti mancanti che avrebbero reso il "romanzo" più decoroso. "Calcara" mi ha dato proprio l'idea di calcare: gioco di parole a parte, mi ha infuso una certa curiosità nelle prime pagine, ma poi questa curiosità è andata a mano a mano diminuendo, rendendomi la lettura molto più faticosa del previsto. Non lo consiglio assolutamente, sono a mio parere 16€ che possono essere benissimo spesi per qualcos'altro.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    23 Settembre, 2013
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ALLA RICERCA DEL CORAGGIO

"Why, Aibee? Why was they so mean to him?"
"Cause he was green."

Diciamo che ho letto questo libro in inglese, e diciamo che sin dal primo momento non ho potuto più fare a meno di apprezzarlo. E diciamo anche, già che ci siamo, che questo e' un romanzo che riesce a rendere l'idea di cosa veramente sia il razzismo. Ho letto "The help", chiamiamolo col suo vero nome, la scorsa estate, quando dovevo scegliere un libro per le vacanze estive. Mi sono resa conto che non avrei mai potuto aver scelto di meglio. Ma bando alle ciance, altrimenti mi perdo in complimenti poco utili e costruttivi. Che cos'è veramente The Help? Kathryn Stockett ci ha lasciato un libro di storia, non un romanzo qualunque. Attraverso la storia delle due domestiche di colore (diamo loro questo nomignolo per evitare di definirle "schiave", come a quei tempi ancora incivilmente usava), Aibileen e Minny. La prima più riservata, la seconda più vispa, ma accomunate entrambe dal senso del dovere, che lavorano l'una presso Miss Leefolt, l'altra presso Miss Hilly, donne ricche e dispotiche. E poi c'è la coraggiosa e intraprendente Miss Skeeter, ragazza bianca presa dalla passione per il giornalismo. Cosa potrebbe mai accomunare tre donne dalle diverse culture e stili di vita, se non un libro? Con un tocco di umorismo, ma allo stesso tempo di drammaticità, la Stockett e' riuscita a suscitare in me emozioni indescrivibili, oltre che a catapultarmi in quel mondo meschino e crudele che era quello dell'America negli anni '60. Una straordinaria storia che riesce a tenerti incollata pagina dopo pagina. Se siete in cerca di un po' di coraggio, questo e' sicuramente il libro che fa per voi.

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"Il buio oltre la siepe"
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    19 Settembre, 2013
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CADERE E' ANCHE SAPERSI RIALZARE

"Il mondo è pieno di gente che si assomiglia. Pieno di casualità stupide ed insignificanti. [...] L'unica cosa certa era che lui era tornato e che lei avrebbe voluto non se ne andasse più."

Molte volte mi sono trovata davanti alla fatidica domanda "Ma tu, se dovessi consigliarmi un libro, cosa mi consiglieresti?", e molte volte mi sono trovata nelle condizioni di rispondere, senza pensarci neanche su, "La solitudine dei numeri primi". In realtà, avrei voluto che ci fosse stato qualcuno a farlo per me, in modo da poterlo leggere subito e da rendermi conto del capolavoro che avevo davanti. Ma nessuno, ahimè, mi ha mai dato questo input. Ebbene oggi lo faccio io, o almeno ci provo, per quanto è nelle mie possibilità tra 397 opinioni utili ed interessanti. Non parlerò della famosa metafora sui numeri primi che si legge dappertutto, bensì di quanto questo libro mi abbia cambiato la visione di molte cose. I due protagonisti, Mattia e Alice, non sono i classici personaggi che ci si aspetterebbe di trovare in un romanzo. I classici adolescenti dalla vita perfetta, dal sorriso facile e dagli amici infiniti. Giordano ha scelto di incentrare la sua storia su due ragazzi dal passato difficile e tortuoso. Alice e l'incidente, la sua gamba zoppa, e poi c'è Mattia, il terribile senso di colpa dovuto alla scomparsa della sorellina disabile che gli ha stravolto l'esistenza. Apparentemente è Mattia il più disastrato, ma anche Alice ha i suoi problemi: è spesso vittima di bullismo e la famiglia non sembra capirla. E poi ci sono Viola, Soledad, Denis, e il tempo, quel tempo che va di fretta e sembra sempre faccia di tutto per volerli dividere. Ma in un modo o in un altro, la vita trova sempre il modo di mettere qualche toppa. Un romanzo tutto da scoprire, che insegna che a volte, anche se le cose non vanno sempre come si vorrebbe, bisogna trovare la forza di rialzarsi.
Un grande grazie a Paolo Giordano.

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Romanzi storici
 
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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    18 Settembre, 2013
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UNO STRAVOLGIMENTO POCO FRUTTUOSO

Ho letto questo libro perché la storia di Troia mi ha sempre regalato un certo fascino, e dopo l'esperienza di "Omero, Iliade" di Alessandro Baricco credevo di potermi ritrovare a leggere un qualcosa che fosse allo stesso livello. Mi sbagliavo. Di un romanzo la prima cosa che mi deve catturare è il/la protagonista, e ho sinceramente disprezzato il personaggio di Elena, che altro non viene presentata che come un'egoista meretrice. Per tutta la durata del libro,infatti, viene dipinta come una donna costantemente viziata e sconsolata, spesso insoddisfatta, e credo che quello che manchi sia un po' di colore. Nel complesso il romanzo non mi ha comunicato niente. Anzi, la scelta di seguire più da vicino le vicende amorose di una donna capricciosa, rispetto ad un avvenimento importante e sconvolgente come quello dello scoppio della guerra (causato, tra l'altro, da Elena stessa) mi ha davvero delusa. Mi dispiace perché mi sarei aspettata di più avendo letto la trama, e in particolare ho davvero odiato il profilo che la scrittrice ha fatto di Ettore, spezzando la sua fama di marito fedele e coraggioso, per dargli il ruolo di uno dei tanti uomini ai piedi di Elena. Ettore è per me il mio personaggio preferito, e questa trasformazione da uomo di guerra e famiglia a casanova disperato mi ha lasciato senza parole. Beato chi ha saputo apprezzarlo.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    17 Settembre, 2013
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QUEL RIFLESSO DI NOI STESSI

Nove donne più una, dieci storie da raccontare.
Ammetto di aver impiegato più tempo del previsto a leggere questo romanzo, ma mi è servito. Ogni storia mi è entrata nel cuore, e piano piano, giorno dopo giorno, ognuna delle pazienti mi ha tenuto compagnia. Chi più, chi meno mi hanno fatto emozionare, mi hanno fatto sentire parte della loro vita. Di situazioni ce ne sono tante, e tutte diverse. Dalla sfrontata Guadalupe alla timida Ana Rosa, dalla indipendente Simona alla pentita Layla..ognuna di queste merita uno sguardo più da vicino, una lettura più attenta. È stato il mio primo approccio con la letteratura cilena, e analogamente, con la Serrano. L'ho trovata però molto spontanea e poco sofisticata, che non sempre può essere considerato un difetto. Anzi, nella sua scelta di dedicarsi più accuratamente alle vicende di queste donne rispetto ad una loro caratterizzazione psicologica, si è distinta da molte altre scrittrici che ho avuto modo, permettetemi il termine, di conoscere. Più che un romanzo l'ho ritenuta una raccolta di racconti, che diventa omogenea solo per l'ambientazione che tutte queste protagoniste hanno in comune. È un libro che consiglio, certo non a tutti: in particolare a chi mai avesse voglia di rintracciare, tra tutte queste storie, quella che più gli somiglia.
Nell'insieme, molto piacevole.

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Martiii08 Opinione inserita da Martiii08    11 Settembre, 2013
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IL FOTOGRAFO DI POZZANGHERE

Quando ho intravisto questo libro tra gli scaffali della libreria, il mio sguardo si è subito soffermato sulla copertina: un bambino dalla pelle color avorio seduto su di un letto e circondato da una stanza azzurra e da pesci arancioni. Mi sono decisa a comprarlo, un po' perché l'ambientazione mi era estranea, un po' perché quella donna della quale si parlava nella trama, Gemma, mi ispirava fiducia. Ho letto 529 pagine in due giorni, ed ogni pagina che sfogliavo, mi dava la sensazione di essere dentro alla storia, di vivere quelle avventure, quei sogni, quelle speranze. È stato il primo e unico libro della Mazzantini che ho letto, ma l'ho ritenuto da subito una pietra miliare della letteratura contemporanea. Lo stile, la scorrevolezza, la descrizione peculiare di ogni singolo oggetto, personaggio, mi hanno subito convinto del talento dell'autrice, e sono convinta che mille altre persone come me potrebbero essere coinvolte dalle stesse emozioni. In due parole: da leggere.

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