Opinione scritta da All-In-For-Cichis
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ESALTANTE, EMOZIONANTE, PERSINO COMMOVENTE
Conoscevo Wilbur Smith solo di nome quando una mia amica mi ha di fatto costretto a tentare la lettura del Dio del Fiume. L'ambientazione egizia mi affascinava molto e devo dire che ne sono rimasto clamorosamente soddisfatto, oltre ogni mia aspettativa. Tre protagonisti, tre figure eroiche e fragili, divine ma tremendamente umane, caratterizzate da Smith in maniera semplicemente strepitosa. Taita, lo schiavo colto e un po' superbo, un po' padre un po' innamorato della sua padrona, protagonista assoluto a cui è affidata la narrazione. Tanus, il guerriero quasi perfetto, ma perso in una struggente e impossibile storia d'amore con la donna del Faraone. E infine il personaggio che più mi è rimasto nel cuore, meraviglioso nelle sue sfaccettature, donna forte e dolce bambina, Lostris. E' lei a subire il cambiamento più incredibile nel corso del libro (una emozionante avventura di sconfitta, redenzione, ritorno e rivincita lunga oltre 20 anni), passando dall'essere una ragazzina furba ma un po' "figlia dei fiori" ad una Regina in esilio giusta, amorevole, umanissima ma monumentale nella sua grandezza, che affronta le enormi difficoltà che le vengono poste davanti con spirito e sacrificio; una figura che diventerà leggenda per i discendenti del popolo egizio. Il suo amore si divide verso i due uomini, per Tanus come una passione travolgente e inestinguibile, per Taita sotto forma di legame affettivo profondissimo. La storia si dipana con grande facilità lungo le oltre 500 pagine e si chiude in un finale struggente e malinconico, ma allo stesso tempo bellissimo.
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Comico, poeta, dramaturgo e attore
Premetto fin da subito che questa non è una recensione poetica, non va a ricercare il significato profondo, non dispera nel tentativo di approfondire gli aspetti connotativi del testo. Da un lato perchè è la mia prima esperienza con Benni e non saprei cosa dire, dall'altro perchè onestamente mi interessa poco. Detto questo, il libro mi è piaciuto molto, una piacevolissima scoperta. Benni usa l'ironia in modo talmente tagliente e brillante da spiazzare. Fa ridere, fa tremendamente ridere in molti passaggi, sia in quelli più volgari sia in quelli più "colti" ma ugualmente esilaranti. Ed è impressionante come a fianco di questa "comicità intelligente" trovino spazio, equamente spaziate e ben posizionate, dramma, poesia, tristezza, gioia, commozione, felicità. Un sincero plauso, non mi sono annoiato nemmeno per un secondo.
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Maschera, boccaglio e via!
Non è facile scrivere una recensione adeguata alla mole di questo librone gigantesco, talmente imponente da far quasi paura, perchè si hanno così tante cose da dire che non è facile nè spiegarle nè ricordarle tutte. Inizio con il dire che per leggerlo ci vuole pazienza, tanta pazienza, e di certo non è un libro da prendere quando ci si vuole svagare. E' un libro da approcciare quasi con devozione, con la voglia di immergersi in una lettura che ci rapirà per un bel po' di tempo. Io personalmente, a un libro quasi non chiedo altro, e l'idea mi era piaciuta fin da subito. In particolare, la parte che ho maggiormente apprezzato è quella sorta di super-prologo di quasi 400 pagine ("Anomalie") e il costante bisogno che il libro ti crea di sentir qualcuno dire "va tutto bene", per quanto tu sappia che NON andrà tutto bene e che non DEVE andare tutto bene, o il libro non avrebbe significato. Tanti episodi all'apparenza incongruenti, tutti splendidamente dettagliati e capaci di farti immedesimare con i personaggi. Grazie allo stile di Schatzing, riesci perfettamente ad immedesimarti persino in Juan Narciso Ucanan, che appare per neanche 20 pagine. E anche qui, per quanto tu sappia che il tutto si concluderà in tragedia (è lo stesso autore a dirtelo, nelle prime righe del libro), non puoi che attaccarti a quella apparente normalità che precede l'evento.
Ed è questo il bello di "Il Quinto Giorno": è un libro che spinge il lettore alla ricerca spasmodica della normalità, alla negazione del pericolo (esplicativa è la scena di forzata calma di Leon Anawak tra la sua gente). E, nel momento in cui la normalità viene completamente a mancare (nel secondo enorme capitolo), la sensazione è ancora ottima, vieni catapultato dalla normalità all'azione e il bisogno diventa la ricerca dell'azione.
Schatzing inoltre è un mago nell'introdurre piano piano gli argomenti più disparati, inserendoli sempre nel contesto giusto. Etica, ambiente, moralità, religione, ecologia, zoologia, politica... si parla davvero di tutto. E ciò che sorprende è l'incredibile accuratezza del tutto, nulla viene tralasciato. Tutto è spiegato nei minimi dettagli per permettere una immedesimazione ancora maggiore.
Applausi a scena aperta per il tedesco che non ti aspetti.
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Per chi il basket lo vive
La storia che più di tutte meritava di essere raccontata nel panorama basket finalmente trova il suo spazio su carta grazie al fondamentale apporto del geniale Lew Freedman, esperto e appassionato di lunga data. Perchè la storia della Dinastia è una storia lontana nel tempo, molto più lontana per esempio di quella raccontata da McCallum in "Dream Team". Si parla di una NBA diversa, che in pochissimi hanno assistitito di persona (specialmente in Italia, dove era praticamente impossibile), e tutto ciò rende gli aneddoti raccontati decisamente più nuovi, la storia più emozionante. D'altronde, è sempre più bello leggere un libro che non si sa come va a finire.
Freedman dissemina il libro di interviste, aneddoti, curiosità da acquolina in bocca, inserendo poi il tutto magistralmente nel contesto degli Stati Uniti di allora, in una società razziale e, per usare un eufemismo, poco accomodante con una squadra composta da quasi soli neri.
E tra tutte, spiccano le figure di Russell e Auerbach, MVP e coach, due delle personalità più interessanti della storia della NBA, mentre duellavano con Wilt Chamberlain e i suoi Warriors/Lakers. Modi diversi di vedere lo sport, tutti da assaporare con gusto.
Nel suo piccolo, un capolavoro.
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Da leggere con cautela
Da amante di thriller e gialli, non aver ancora letto il Silenzio degli Innocenti era un peccato troppo grande per non essere espiato. Così, vecchia copia di 1 generazione fa alla mano, la lettura ha preso forma. Poi, una volta finita questa, ho guardato anche il film. Probabilmente, anzi, sicuramente, la colpa dell'amaro in bocca che ho provato a fine libro, è dovuta alle indescrivibili aspettative che nutrivo, causate anche da qualche amica che continuava a dirmi di come si fosse spaventata a leggerlo. Mai peccato fu più grave. E' impossibile avvicinarsi a questo libro aspettandosi l'inverosimile. Non è un libro del 2013, ma è un gustoso capolavoro del passato, scritto in un modo forse non bellissimo stilisticamente ma molto, molto efficace. In definitiva, un libro da accogliere con senno. Se non ci si aspettano i fuochi d'artificio, sono sicuro che se ne esce deliziati.
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Forever Giònni
Da grande appassionato di tennis quale sono, un libro del genere non poteva semplicemente mancare nella mia piccola biblioteca personale. Dopo aver letto e gustato (rigorosamente a fuoco lento) quel gran macigno di proporzioni quasi eccessive che è "500 anni di Tennis", la nuova, e facilmente ultima, considerando l'età del grande Scriba, opera di Clerici è la perfetta quadratura del cerchio. Dove 500 anni di tennis solo accennava, sicuramente per mancanza di spazio e non per ignoranza, Wimbledon approfondisce, scava, riporta alla luce. Racconta nei minimi dettagli le vicende dell'apertura dei tornei Open, delle avventure di Mac, Borg, Connors, Lendl, Becker, fino a Ivanisevic, Federer, Nadal, Murray, Djokovic. E, dove Wimbledon non può approfondire, per ovvie mancanze temporali (il libro altro non è che una trasposizione on book di articoli di giornale dello stesso Clerici, iniziati nella prima metà degli anni '50), ci pensa il suo enciclopedico parente, parlandoci dei Renshaw, dei Doherty, di Big Bill Tilden, Suzanne Lenglen, Helen Wills, Borotra, Cochet, Lacoste e Bourgnon. Insomma, due libri complementari che meritano entrambi una lettura più approfondita del semplice svago, quanto un vero e proprio studio della materia tennis. Solo per gli appassionati, chiaro, ma per questi, sarà difficile trovare qualcosa di altrettanto esauriente.
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L'Invincibile Armata e il suo diario di bordo
Nel tennis parliamo di McEnroe e Borg o di Federer e Nadal, nel calcio di Maradona e Platini, nel pugilato Foreman e Alì. E nel basket? Certo, Chamberlain e Russell, ma anche, e forse soprattutto, Jordan, Magic e Bird. Quando la storia di uno sport si intreccia con una rivalità storica, non può che derivarne un periodo florido della disciplina in questione. E' stato così in tutti i casi citati, è così anche per il terzetto fatale Bulls-Lakers-Celtics. Ed è proprio questa la cosa straordinaria del Dream Team, la mostruosa squadra americana che si presentò alle Olimpiadi 1992 di Barcellona dominando tutti gli avversari: pensate ad un doppio giocato da McEnroe/Borg o da Nadal/Federer, pensate ad una partita di Champions League in cui Maradona e Platini giochino nella stessa squadra! Lo spettacolo sarebbe assicurato, l'attesa spasmodica. Ed è per questo che il 1992 cambiò per sempre la storia del basket. Per la prima volta, l'Europa venne invasa da un'ondata NBA che mai si è ritirata e probabilmente mai si ritirerà: il merito di avere Parker, Noah, Batum, i fratelli Gasol, Rubio, Ibaka, Belinelli, Gallinari, Bargnani, Ginobili, Varejao, Nenè, Deng, Dragic, Calderon, De Colo, Diaw, Turiaf, Kleiza, Valenciunas, Jerebko, e potrei andare avanti ancora a lungo, è tutto da attribuire al Dream Team. Ed è per questo che Jack McCallum, importantissimo giornalista americano, ci dedica non un libro, ma un autentico capolavoro, appassionante, divertente ma soprattutto tremendamente interessante. Ci fa entrare nella mente di 12 dei più grandi giocatori di sempre con una semplicità all'apparenza banale ma che in realtà è straordinaria. Alzi la mano chi, da appassionato di basket, non sia interessato dalla cronaca della partitella di allenamento più importante di sempre a Montecarlo, da cosa succedeva nel salottino privato del Team USA, da tutta la mole inquantificabile di aneddoti contenuti in questo libro. Compratelo, ne vale davvero la pena.
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La Genesi di un mito
La Genesi, l'Inizio con la I maiuscola di quella che, con il passare del tempo, è divenuta una delle serie thriller più longeve, vendute ed amate. 10 libri con protagonista il detective tetraplegico (oltre ad ulteriori 3 libri che, per dirla in termini televisivi, sono spin-off) partono da qui, dalla prima indagine con protagonisti Lincoln Rhyme e Amelia Sachs, dal capolavoro che ha reso grade Jeffrey Deaver. Ritmo incalzante, sorprese sempre dietro l'angolo, e una sorprendente realisticità scientifica che non guasta mai. E poi, ovviamente, il classico grande finale con il colpo di scena, un coniglio che non manca mai di essere estratto dal cilindro di JD: proprio quando pensi di aver capito tutto, ecco la sberla in pieno viso che ti sconvolge e ti fa leggere la fine con il fiato sospeso. Impossibile non leggerlo per gli amanti del thriller.
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Il Dalai Lama dei colpi di scena
Non c'è nulla da fare: quando leggi un libro di Jeffrey Deaver, qualcosa di inaspettato deve giocoforza succedere. E, probabilmente, è in questo libro che la sua particolare arte raggiunge il punto più alto della sua carriera dietro una scrivania: nessuna esagerazione (come invece avverrà in "L'uomo scomparso"), pochi ma ben calibrati. Quando capisci, non puoi che rimanere a bocca aperta, incredulo e basito. In generale, un signor libro in tutti i suoi particolari: Amelia e Rhyme diventano sempre più affiatati elevando il loro rapporto, la loro coppia è avvincente come non mai e le indagini in casa del detective tetraplegico non sono mai e poi mai banali. Un classico assoluto per gli amanti dei thriller.
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Anche le emozioni trovano il loro posto
Emozioni in un thriller di Jeffrey Deaver? Ebbene sì, per questa volta. Un libro unico nel suo genere per il giallista americano, che pur di libri ne ha scritti, crudi, violenti, senza pietà, ma è in questo che il rapporto tra i due protagonisti, Rhyme e Amelia, raggiunge un livello superiore. Colpa delle peripezie che si succedono nella storia, che costringono Amelia a prendere decisioni estreme mentre intorno a sè "accadono cose", senza che lei ne abbia una vera colpa. Ma la sua colpa non è negoziabile dalla gente della piccola cittadine nel North Carolina, almeno non fino agli svariati colpi di scena finali, un classico assoluto per quanto riguarda Deaver. Insomma, un libro diverso dal solito, più avventura che thriller, ma diretto magistralmente dal regis... ehm, autore che lo rende una chicca a cui un amante dei gialli NON può rinunciare.
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IL "TEEN BOOK" DIVENTA UN DRAMMA PSICOLOGICO
Penso dica tutto il titolo. Il terzo libro della saga degli Hunger Games trasforma le emozioni, addirittura lo stile, e ne esce non più come un libro per ragazzi, quanto un vero dramma che si annida nei meandri della mente umana. La protagonista, Katniss, vaga continuamente tra stati di coscienza e stati di incoscienza, è ferita, dolorante e disperata. Arriva a non avere più nemmeno le lacrime per piangere i mori, intrappolata com'è in un reticolo di avvenimenti strazianti. Ed è questo a rendere il finale leggermente (ma giusto un filo) insipido. Perchè da una saga simile ci si aspetta IL lieto fine, non UN lieto fine. Bello, ben congegnato, neanche troppo affrettato come alcuni accusano. Solo l'inizio lascia l'amaro in bocca, almeno per me, deluso com'ero dal mega-riassuntone in 8 righe di sorprese clamorose alla fine della "Ragazza di Fuoco". Insomma, non è più Hunger Games, che si può prendere un po' più a cuor leggero: questo è un libro che ti fa star male, ma alla fine ne esci felice: sarà per la perfetta tecnica dell'io narrante, che ti fa sentire perfettamente quando le emozioni di Katniss, specialmente quando intrappolata (mantra del libro, tra l'altro). Consigliatissimo.
DA QUI: SPOILER
Se la Collins può essere incolpata di aver tralasciato e non fatto piacere determinati personaggi (Gale su tutti), i due capolavori sono altri: Finnick e Prim.
Il primo, presentatosi nel secondo libro come uomo subdolo (almeno per le prime pagine), assume rapidamente le sembianze di un uomo distrutto, disperato che è impossibile non adorare. Uno schiavo del sesso di Panem, innamorato di una pazza, gentile ma caparbio. La sua morte può sembrare sorvolata, ma conferisce al personaggio una dignità che ha pochi uguali. "Molto più giù, riesco appena a distinguere Finnick che si sforza di resistere mentre tre ibridi lo dilaniano". L'espressione chiave è "si sforza di resistere". Finnick appare talmente superiore, quasi ultraterreno, da dare l'impressione, almeno a parole, di effettuare il tutto come se fosse una cosa di poco conto, quasi condiscendente con gli ibridi che lo azzannano.
La seconda è, ovviamente, Prim. Nei primi due libri il suo ruolo è assolutamente marginale: provoca quasi fastidio la sua presenza, come quella di una bambinetta imbranata solo fastidiosa, infantile. Ma nel terzo libro, tutto cambia. Diventa una donna, matura per di più, saggia e coraggiosa. La sua morte è tragica e inaspettata, e per questo ti colpisce come un macigno, per di più a causa dell'espediente della Collins, che nelle pagine successive non chiarisce il dubbio: "E' sopravvissuta?", lasciandotelo scoprire nel modo più doloroso. Ma il punto focale è che avesse neanche 13 anni l'ho "riscoperto" appena nelle ultime pagine, quando è Katniss a pensarlo. La sua maturità era divenuta tale da pensarla, come minimo, come una 16enne.
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