Opinione scritta da Ashuan
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L'intera umanità in un solo libro
"I Fratelli Karamazov" è l'ultimo romanzo del grande Dostoevskij e forse, sentendo la fine vicina, penso che egli abbia creato il suo più grande capolavoro, forse il più grande di tutta la letteratura moderna.
Ho chiamato questo libro un romanzo, ma la dicitura è riduttiva, trovo sbagliato definire "I Fratelli Karamazov" un romanzo proprio come trovo sbagliato dedicare alla trama dell'opera la nostra attenzione.
L'intera vicenda è un pretesto dell'autore per trattare temi tra i più profondi, la morte, la vita, gli affetti, la spiritualità, la volontà, quasi che si trattasse più di un saggio che di un romanzo. La storia in sé è frammentata sia nel tempo che nello spazio, a tratti difficile da seguire, paga lo spazio che l'autore richiede per i suoi personali "cantucci".
Lo spessore della riflessione raggiunge profondità inaudite con il passaggio del grande inquisitore e con il dialogo tra Ivan ed il diavolo, al punto che, insieme con "I Demoni", "Memorie dal sottosuolo" e "Delitto e Castigo", questa opera va a formare un corpus quasi filosofico che in gran parte anticipa il lavoro di Freud.
La grandezza di tale opera sta però a mio parere, oltre che nella profondità degli argomenti trattati, nella riuscita descrizione dei molteplici tipi umani (dell'umanità intera potremmo dire), soprattutto attraverso le figure dei tre fratelli: Dmitrij, Aleksej e Ivan, passione, generosità (e spiritualità) e razionalità.
Questi tre personaggi, insieme con i molti altri nati dalla penna di Dostoevskij, ci danno la possibilità di osservare l'umanità per quella che è, un variopinto mosaico in mutamento, che si misura con se stessa uscendone talvolta sconfitta, talvolta arricchita, senza che un vero modello sia mai eletto come vincitore sugli altri.
La lettura di questo libro può senza dubbio sembrare ed essere impegnativa, ma lo sforzo viene ampiamente ripagato dalla miniera che si scopre scavando tra le pagine, provare per credere! Non si perde mai tempo a leggere Dostoevskij.
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L'infermiera psicopatica spaventerebbe chiunque...
Immortale romanzo del Re dell'horror, Misery è il libro che preferisco di King, probabilmente perché mantiene la carica emotiva fortissima dei suoi maggiori lavori senza raggiungerne il numero di pagine esagerato (è il mio modesto parere ma per esempio da "It" qualche cinquantina di pagine si poteva rosicchiare senza danni...).
La storia è quella di uno scrittore, Paul Sheldon, che intende farla finita con la sua serie di romanzi aventi come protagonista Misery Chastain, narrando in un ultimo capitolo la morte dell'eroina.
La sfortuna di Paul è che a salvarlo da un incidente d'auto sarà una sua grande ammiratrice, Annie, che di certo non potrà prendere bene la drammatica fine del suo personaggio preferito.
Da qui trae inizio il romanzo: il povero scrittore è prigioniero della psicopatica Annie, dal passato oscuro e dai modi drastici, che lo obbligherà a scrivere per lei un nuovo capitolo delle avventure di Misery, questa volta veramente l'ultimo; Paul sa infatti che Annie non lo lascerà uscire vivo da quella casa.
L'elemento horror è legato alla più completa e (direi) gratuita crudeltà di Annie, mascherata da un'apparente dolcezza e premura verso lo scrittore infortunato. La camera che lo ospita diventa una gabbia, ogni visita di Annie una lotta per guadagnare tempo e più semplicemente per sopravvivere; il terrore è semplicemente inevitabile davanti alla dettagliata figura della disturbata ammiratrice numero uno.
Lo stile è quello classico di Stephen King, periodi semplici, sperimentalismo linguistico, tensione in costante crescendo fino all'esplosione finale, che rende del tutto impossibile staccarsi dal romanzo nelle ultime pagine. Ne risulta una lettura più che piacevole, un'esperienza che non scorderò mai.
Il richiamo è senza ombra di dubbio a sir Arthur Conan Doyle, anch'egli debitore del suo successo ad uno dei suoi personaggi, Sherlock Holmes, ed anch'egli stanco a tal punto di tale figura da cercare di eliminarlo ma costretto dalle proteste dei lettori a fare marcia indietro,
Chiudo ricordando che esiste una trasposizione cinematografica di questo libro fatta veramente bene, se non intendete investire tempo nella lettura del romanzo (che merita, fatevelo dire) fate almeno un pensiero al film!
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Una lettura interrotta...
Ha il diritto di recensire un libro uno che quel libro non è riuscito a finirlo? Io penso di sì, forse anche più diritto degli altri!
Letto il primo capitolo, "La caduta dei giganti", che non era poi tanto male, mi sono avvicinato al secondo, "L'inverno del mondo", non senza una certa aspettativa. Lo scenario è quello della seconda guerra mondiale, un argomento senza dubbio interessantissimo ma che posso dire di conoscere abbastanza, non mi aspettavo quindi di trovare una storia completamente nuova ma ciononostante di certo speravo di emozionarmi seguendo le vicende di quegli anni così importanti.
Quello che mi si è presentato davanti mi ha però deluso molto... Come può essere che i molti protagonisti vivano in prima persona ogni santo momento importante della storia? Quanto può essere irrealistico che una stessa famiglia (quella tedesca per esempio) sia così legata ad ogni avvenimento notevole dell'ascesa di Hitler? E come poteva non avere questa stessa famiglia un figlio maschio pronto ad aderire al movimento nazionalista ed una figlia femmina conscia del dramma che sta per perpetrarsi? Senza contare poi lo zio omosessuale che finirà vittima della persecuzione...
Troppa banalità. Caso chiuso, insieme al libro.
L'impressione, netta, che ho avuto è stata quella di un libro per far conoscere ai bambini la storia; suvvia Ken, ne sappiamo tutti abbastanza della seconda guerra mondiale per poter evitare gli eventi banali e per poter comprendere dinamiche più complesse e articolate.
Detto ciò ribadisco che il libro non sono riuscito a finirlo e magari nella seconda metà il mio giudizio sarebbe stato ribaltato
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Uno sguardo sulla vita
Premetto che questa è stata la mia prima esperienza con Hemingway, e che se dovessi ricominciare a leggere libri di questo autore penso che inizierei nuovamente da "I quarantanove racconti". Cosa infatti più di una raccolta di racconti, che lascia all'autore completa libertà e gli permette di spaziare tra vari argomenti, può essere utile per approcciarsi al suo stile e giudicare se sia il caso o no di leggere altre sue opere?
Avventura, amore, competizione, coraggio, morte ma soprattutto vita sono i temi toccati da Hemingway, il tutto ambientato intorno al mondo: Stati Uniti, Spagna, Italia, Francia, Grecia, Africa, Austria e altro ancora.
Non è il genere di libro che consiglierei a chi ama il lieto fine, non è il genere di libro che consiglierei a chi ama gli orpelli dannunziani. Lo stile è quello secco tipico di Hemingway e si presta alla perfezione a raccontare questi stralci di vita vissuta al massimo che sono appunti descritti nei vari racconti.
Non potrei catalogare tutti i racconti insieme, perché sono oltremodo vari, ma molti sono uniti dalla stessa lotta per la sopravvivenza, che poi è lotta contro la vita, che da sola sfugge tra le mani; e quindi troviamo i toreri, che non possono non scendere nell'arena, gli sportivi, che sfidano i loro limiti, i cacciatori, che affrontano le loro paure primordiali.
Un altro filone di racconti però ha un tono molto più rilassato, e pacatamente descrive i paesaggi tipici del nord America e di altre regioni del mondo.
Grande pregio di una raccolta di racconti del genere è ovviamente che ognuno troverà il racconto che fa al caso suo, senza pretendere che tutti e 49 gli risultino graditi.
Finisco nominando anche quei "capitoli", talvolta interposti tra un racconto e l'altro dall'autore, che secondo me non sono da meno dei racconti stessi. Si tratta di schegge, di scintille, di frammenti di una vita crudele, violenta, che descrivono un mondo in costante lotta in meno di una pagina; magistrale e affascinante modo di raccontare la Storia.
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Diabolicamente caotico!
Il Maestro e Margherita è considerato in genere il capolavoro di Bulgakov, ma l'ho trovato inferiore a Cuore di cane, un libro che mi è piaciuto moltissimo.
Il Maestro e Margherita a mio parere è un libro piuttosto confusionario, la quantità di personaggi è enorme e i loro nomi sono impossibili da memorizzare se consideriamo che sono chiamati sia con nomi propri che con cognomi, soprannomi e patronimici!
Inoltre ogni personaggio ha una carica, svolge un lavoro, nel complesso ingranaggio della Russia sovietica e i titoli delle varie professioni sono davvero troppo numerosi... Direttore del varietà, ragioniere, economista , capocuoco, presentatore e chi più ne ha più ne metta.
La narrazione poi è spesso confusa e rocambolesca, la qual cosa, combinata all'atmosfera surreale generata dalla diabolica combriccola, rende complicato tenere il filo del discorso. L'unico modo che ho trovato per non perdermi nei meandri della trama e tra le schiere di personaggi è stato tenere una scheda in cui ho appuntato nomi e vicende di ognuno, e ciò è davvero esagerato per un libro.
Detto questo lo stile divertente di Bulgakov è un piacere e la trama è interessante (sebbene priva di una reale causalità) come in ogni libro in cui il diavolo è protagonista, perciò non me la sento di condannare appieno questo libro e la votazione complessiva è comunque positiva.
Ribadisco però la mia preferenza per Cuore di cane, in cui a mio parere Bulgakov si è espresso al pieno delle sue abilità.
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Vita e morte
La morte di Ivan Il'ic è un'opera di Tolstoj che, lasciato ormai da parte lo stile magniloquente di Guerra e pace e di Anna Karenina, nonché la loro prolissità, si dedica ad un racconto lungo (eccessivo definirlo romanzo) di spessore fisico esiguo ma di spessore morale notevole.
La morte di Ivan è il pretesto per una riflessione sulla morte, sull'ipocrisia umana di fronte ad essa, ma soprattutto sulla vita; Tolstoj infatti trattando di morte vuole insegnare qualcosa sulla vita, e Ivan è un esempio di come si può buttare via una vita, dedicandola solo alla mondanità e all'esteriorità.
Solo in punto di morte Ivan comprende ciò che ha veramente valore, e capisce che nulla di ciò che ha costruito è autentico, è sincero, e che le persone intorno a lui sono anch'esse false, disinteressate.
Tutti gli uomini cercano di differire il loro incontro con la morte, e non se ne curano, cercando di distogliere il pensiero da essa.
Così quando infine la morte giunge li coglie impreparati, illanguiditi e spaventati dalla prospettiva di non aver lasciato nulla di buono dietro di loro.
Ivan siamo tutti noi e attraverso la lettura della sua morte Tolstoj spera che possiamo redimerci in tempo e renderci conto della vacuità della mondanità e della centralità di virtù e amore nella vita di tutti.
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