Opinione scritta da LittleDorrit
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Tanto rumore per nulla
Confezionato dagli Adelphi in una splendida edizione color ghiaccio con su impressa un'incantevole foto d'epoca risalente al 1931 e ritraente 4 donne (tra cui la stessa scrittrice) dell'aristocrazia inglese in posa nei loro appariscenti abiti da ricevimento, -L'amore in un clima freddo- si presenta al pubblico come un romanzo che mai potrebbe passare inosservato, soprattutto esteticamente parlando.
Nancy Mitford, primogenita di sei figli appartenenti all'aristocrazia inglese minore, smessi i panni della "lady", si improvvisa novella Jane Austen divenendo acuta osservatrice del bel mondo e arricchendo il testo di molti elementi di sicura matrice autobiografica.
La narrazione è lasciata a Fanny, una giovane che attraverso la conoscenza di Polly Hampton, sua amica d'infanzia, osserva e vive in prima persona questo mondo ingessato fatto di apparenze e convenzioni.
Attraverso il suo racconto, viene fuori un ritratto frizzante e dinamico, una galleria di personaggi invischiati in situazioni talvolta fin troppo stereotipate. Osserviamo con la lente di ingrandimento l'aristocrazia dei primi del novecento anche se già in evidente declino.
La Mitford ne spia i caratteri, ne studia i comportamenti e ricopre il tutto con una patina di ironia che a tratti diviene sottile e pungente critica, come a suo tempo fece già Jane Austen ma con i risultati che conosciamo. Le caratterizzazioni non sono gonfiate, vengono fuori nitide e realistiche proprio perché rubate ai ricordi di quel mondo dorato che le apparteneva; vere e proprie ombre gloriose che furono, toccate da una penna estremamente delicata.
Per quanto riconosca alla Mitford la capacità di esposizione ed osservazione, nonché lo stile fresco e gioviale che invoglia alla lettura, non posso fare a meno nello stesso tempo di coglierne la pochezza dei contenuti. Purtroppo resto dell'idea che questa classe sociale abbia molto poco da dire ma tanto da vantare e nei discorsi, così come negli accadimenti, nelle cene di gala e nei già "visti e rivisti" scandali di costume, annoia se stessa ed anche il lettore.
A letture come questa preferisco di gran lunga uno sceneggiato di qualità come Downton Abbey.
Quindi sconsiglio questo romanzo ai più riservando un posto in prima fila solo a chi vuol farsi un'idea dell'aristocrazia dell'epoca o completare un percorso individuale di letture a tema.
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- sì
- no
Il sottile confine tra amore ed ossessione
Follia è la storia di un'ossessione amorosa.
Quel tipo di amore che ti imprigiona in una gabbia di disperato egoismo e ti lascia soffocare nel vortice di uno sfrenato desiderio.
Follia è la storia di Stella, donna bellissima e intelligente, moglie di uno psichiatra di successo e madre di Charlie, un bambino come tanti.
Seguendo il marito nei sobborghi di Londra per il suo nuovo incarico da vicedirettore presso un antico manicomio criminale in stile vittoriano, Stella, che vive giornate tediose e ripetitive, consapevole di essere una novella Bovary, nota la presenza di un uomo, Edgar Stark, che da subito le sconvolge i sensi.
Un ballo, un gesto d'intimità e giù, a capofitto nell'abisso.
Dalla semplice conoscenza in poco tempo l'uomo diverrà l'amante che la ricambierà ampiamente: complicità, passione, attrazione sfrenata, comprensione. Tutto quello di cui ha sempre sentito il bisogno ma che suo marito, a causa di un carattere incolore ed insapore, è stato incapace di darle. Ma cosa accade se una storia appena iniziata diventa da subito fin troppo importante?
Cosa accade se l'intensità del sentimento è tale da sconvolgere, oltre ai sensi, anche l'equilibrio emotivo?
Accade che tutto viene messo in gioco.
Il lettore seguirà la storia così come viene raccontata da Peter, psichiatra collega del marito e amico di famiglia. La visuale che ci prospetta è completamente asettica o, per meglio dire, ampiamente clinica.
Nessun eccesso emotivo, nessun giudizio morale, nessuna empatia. Distacco, professionalità e scrupolosità nell'annotare dettagli importanti che possano in qualche modo chiudere il cerchio.
Le parole e le azioni di Stella vengono elaborate, esaminate, previste, calcolate.
Follia è, quindi, una parabola discendente, una pazza corsa verso un precipizio. Il lettore resta avviluppato nelle vicende incapace di reagire, di giudicare e talvolta di comprendere. Può solo lasciarsi attraversare dai vari stadi del dramma.
Mi sono sentita troppo spesso incapace di prendere le parti di qualcuno. Tutto sembra giusto ma allo stesso tempo fortemente errato. La scrittura di McGrath è scorrevole, trasparente ed essenziale.
Notevoli le descrizioni degli esterni che si sposavano benissimo con gli stati d'animo della protagonista, e i luoghi dove la storia si consuma, tra Londra e il Galles, sotto cieli di metallo confortati dalla tipica indifferenza nordica.
Un romanzo introspettivo e psicologico a mio avviso non troppo adatto agli empatici estremisti.
Alla restante parte, ne consiglio fortemente la lettura.
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“Qui li contiamo uno per uno teneramente...”
Leggere i taccuini di Whitman è attraversare l’inferno senza ritorno nè perdono.
È un salto indietro nel tempo per ritrovarsi sui campi di battaglia con migliaia di uomini inconsapevoli delle loro future sorti. Da impotenti spettatori, restiamo in attesa che un corpo disteso su una terra arida e polverosa venga rianimato o sotterrato; che una croce di legno venga piantata su una tomba senza nome; che tutto il sangue versato su quella terra, s'inabissi nelle acque del Potomac.
Whitman è un girovago ed un reporter ma in queste pagine diviene amico intimo e ultimo confidente, padre spirituale, soccorritore e scrivano per i molti giovani protagonisti di una delle guerre più sanguinose della storia.
Appunti struggenti, delineati da un distaccato realismo, da una lucida impotenza e descritti con una fermezza dignitosa.
Sono impressioni a caldo venute fuori da piaghe infette e dai deliri della febbre tifoide; sono grida di corpi martoriati, ammassati, sventrati, prosciugati dalla dissenteria, sfiniti dalla fatica, rinchiusi in ospedali improvvisati o lasciati a se stessi senza degna sepoltura. Uomini di passaggio, nel nostro immaginario, che Whitman cita per nome, per compagnia di appartenenza o attraverso l'eco di altre voci, racconti degli ultimi coraggiosi.
Il mondo di questi uomini è un mondo di cose perdute, di ideali conquistati o repressi, di inconsapevolezza, di luoghi impervi, sconosciuti e selvaggi, di preghiere mai ascoltate, di preghiere esaudite, di abbandono, di conforto, di lettere d'addio dettate all'ultimo minuto per non cadere nell'oblio.
Immedesimarsi nello stato d'animo che accompagna l'autore nel suo percorso è facile ma allo stesso tempo distruttivo.
Ti senti irrimediabilmente parte del tutto ma spettatore inutile davanti alla sofferenza che, in queste pagine, si tocca davvero con mano.
Non si può parlare di stile qui, anche se a stralci il poeta Whitman di Foglie d'erba viene fuori.
Sono frammenti dell'umana oggettività che conducono ad una lettura amara, straziante, fortemente impressionante ma indimenticabile.
Fateci un pensierino. Un universo di sensazioni in poche pagine.
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Ombre dal passato
Tutto scorre in casa Blackwood.
Niente e nessuno può turbare l'equilibrio della loro routine quotidiana.
Il silenzio riveste come edera le facciate esterne della casa, e un giardino rigoglioso protegge da sguardi indiscreti la loro mesta armonia.
Due volte a settimana Mary Katherine (detta Merricat), si reca in paese per fare scorte di alimenti facendo tappa nel solito bar mentre il caro vecchio zio Julian, viene accudito amorevolmente da Constance, sorella maggiore di Merricat, che spinge dignitosamente la sua sedia a rotelle e mantiene in vita la cucina e la dispensa di famiglia.
Un pomeriggio a settimana Helen Clarke passa per il tè pomeridiano.
Un'abitudine, questa, consolidatasi nel tempo.
Anche Jonas il gatto si adegua pigramente ai ritmi della casa seguendo Merricat dappertutto o cacciando qualche coniglio smarritosi in giardino.
A casa Blackwood ognuno ha il suo posto ed il suo ruolo. Un ingranaggio perfetto che si accompagna allo scorrere del tempo.
In realtà, in questo specchio di perfezione, c'è una crepa.
Questa casa imponente, posizionata ai margini del paese, svetta fiera tra le altre, orgogliosa della sua storia passata e dei suoi illustri ex abitanti. Ex abitanti. Già.
In questa casa, adesso, vivono solo i sopravvissuti, tutti gli altri sono morti anni addietro sterminati dall'arsenico dopo un pranzo luculliano.
Constance, la prima indiziata, è stata assolta dall'accusa ma il mondo esterno non ci vede chiaro e continua ad additarla costringendola ad una vita da agorafobica. Merricat, invece, si rifugia "sulla luna", chiusa in un mondo distorto e stravagante.
Ma l'eco delle voci dei monelli del paese giunge comunque alle loro orecchie serpeggiando attraverso le finestre aperte. È un ritornello fanciullesco, maligno, accusatore, persecutore:
"Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni. Fossi matta, sorellina, se ci vengo m'avveleni. Merricat, disse Connie, non è ora di dormire? In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire."
Gli "insani" equilibri di questa famiglia, si incrineranno in un grigio giorno di pioggia con l'arrivo inaspettato dell'avido cugino Charles.
Un romanzo breve ma ben congeniato, che lascia intravedere la follia senza mai chiamarla per nome. Nessuno orrore apparente, nessuna scena di sangue o di morte, nessuna presenza sovrannaturale, solo un ricordo sbiadito che filtra dal passato attraverso i discorsi. Le sottili perversioni dei protagonisti, riescono a colorare il racconto con elementi psicologicamente interessanti, trasmettendo quel senso di profonda inquietudine fino alla fine. In poche pagine, i personaggi vengono fuori perfettamente: caratteri, manie, angosce, legami veri. La Jackson crea due mondi paralleli, i Blackwood e il mondo esterno.
Due mondi che si sfiorano continuamente senza mai incontrarsi faccia a faccia, ma quando questo avviene è l'inizio della fine.
La Jackson, di cui già ho potuto apprezzare L'incubo di Hill house, è abilissima a costruire dal niente una storia. All'inizio si ha quasi l'impressione di perdersi e di non comprenderne il filo logico ma andando avanti con la lettura tutto torna perfettamente al proprio posto come ingranaggi di un orologio. Un piccolo gioiello, un thriller psicologico non trascurabile.
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Quel che resta di una vita
Romanzo fortemente e sentitamente inglese che delle radici culturali dello scrittore sviluppa solo la meticolosità dei dettagli e le riflessioni ovattate del protagonista.
In effetti lo stile di scrittura, attento e acuto, si amalgama perfettamente al "flusso dei pensieri" del personaggio principale, Mr Stevens, mentre ripercorre, in prima persona sotto forma di diario, le vicende della sua vita a servizio di Lord Darlington presso Darlington Hall.
Siamo di fronte ad un elucubrante viaggio interiore, che riaccende ricordi personali e ripercorre gli avvenimenti più significativi; esso si realizza durante una traversata in automobile per raggiungere la costa occidentale dell'Inghilterra, la Cornovaglia, dove lo attende Mrs Kenton, ex governante, anni prima, nella stessa casa.
Attraverso questo spostamento terreno, accompagnato da un senso di libertà che non gli è proprio perché provato per la prima volta nella vita, si entra in contatto non solo con l'uomo ma anche con i luoghi di passaggio che, sfiorati dal suo sguardo, acquisiscono una patina nostalgica color seppia.
Mr.Stevens ha fatto della dignità e della professionalità lo scopo della sua vita a tal punto dall'essersi trasformato quasi in un robot, sopprimendo azioni volontarie, pensieri propri ed emozioni intense, e divenendo così un uomo dai tratti esasperanti ed inquietanti.
Mr. Stevens "il maggiordomo" non lascia mai nulla al caso.
Un semplice sorriso di rimando ad una battuta del suo "Milord" è, da parte sua, oggetto di studio comportamentale.
Come suo padre prima di lui, ha perseguito un istinto interiore profondo che lo ha guidato e plasmato. "Tutti sono capaci di servire ma nessuno può farlo in modo assolutamente perfetto come un inglese".
Questo è un po' il leit motiv del romanzo.
È proprio per questo che muovendosi nella grande casa pensa e agisce da vero stratega. Tutto al proprio posto, nulla di intentato, massimo rigore.
In questo viaggio Mr Stevens acquisisce però una lucidità tutta nuova ed una lungimiranza inaspettata.
Un romanzo che rappresenta la voce del ricordo che parte in sordina e che alla fine ruggisce; è il resoconto sommario di una vita che, in un certo qual modo, grida e rivendica il tempo trascorso a servizio di un uomo che si rivelerà essere di dubbia moralità. Su tutto regna sovrana una patina di rimpianto, specie quello per un sentimento d'amore da sempre soffocato in nome di una lealtà fittizia.
Nel titolo c'è tutto il senso del romanzo, e penso che sia uno dei titoli più belli mai trovati nel mio percorso di lettrice.
Quel che resta del giorno sta ad indicare quel che resta di una vita vissuta a metà. Il sole tramonta ed indietro non si può tornare.
Un romanzo intenso ed anche fortemente decadente, da leggere con attenzione, senza rincorse, lasciandosi guidare da un personaggio pronto a spazzar via dal contesto ogni probabile imperfezione.
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Philip Carey e il senso della vita
La storia di Philip Carey è la storia di un uomo infelice perché profondamente minato dalla consapevolezza di essere un diverso agli occhi del mondo.
Un difetto congenito, infatti, lo condurrà alla non accettazione di se stesso.
Il romanzo racconta il suo percorso di crescita, soprattutto interiore, dalla fanciullezza fino ai trent'anni muovendo i primi passi dalla canonica bigotta di Balckstable, dove vive con gli zii adottivi, fino a giungere alla totale accettazione e consapevolezza di sé in un assolato sabato di una Londra iridescente e dai toni pastello.
Nella sua condizione di orfano, sfiorato costantemente dall'imbarazzo per Il suo handicap, Philip crescerà cercando di colmare i vuoti esistenziali attraverso l'utilizzo di brillanti doti intellettive sviluppate grazie all'amore per i libri; queste capacità lo condurranno alla ricerca costante del bello estetico e, attraverso l'amore per l'arte e le discussioni filosofiche intessute con erranti amici artisti incontrati durante i suoi vagabondaggi europei alla ricerca di uno status quo, si creerà un insolito contesto di sicurezza.
Il romanzo è pervaso da atmosfere bohémien consumate in localini sbiaditi del Quartiere latino di Parigi, dove le discussioni prendono vita e si compiono davanti a bicchierini d'assenzio, qui elevato a bevanda purificatrice dell'io.
Philip è fondamentalmente un uomo buono ma foderato di sano egoismo, un egoismo scaturito dai valori borghesi di cui è infarcito. Egli inseguirà costantemente una felicità chimera e, innamoratosi dell'amore, si getterà in una storia con una donna priva di compassione, egoista ed ottusa che riuscirà a far nascere in lui uno spirito masochista e servile. Pur restando lucido sul paradosso della sua condizione di "schiavo", non potrà farne a meno e lotterà nel tempo per liberarsi di questo sentimento nefasto.
Sullo sfondo della vita di Philip si muovono diversi contesti e scenari, personaggi talvolta anonimi o ritratti indimenticabili come l'amico poeta Cronshaw, che fornirà al protagonista la chiave per comprendere il suo personalissimo senso della vita.
Filo conduttore del romanzo e della formazione di Philip sarà, infatti, un tappeto persiano regalatogli da quest'ultimo.
In quell'oggetto apparentemente insignificante viene racchiuso un significato sfuggente che si rivelerà a Philip un pomeriggio di un giorno qualunque, camminando in una Londra che sembra non dargli scampo.
La Londra sullo sfondo è una città meravigliosamente statica che, pur avviandosi verso la modernità, vede scorrere nei titoli di coda le ombre dei grandi scrittori vittoriani e molti, infatti, sono i rimandi ad essi.
È questo un romanzo di formazione completo, dai contorni esistenzialisti, altamente introspettivo e profondamente inglese, che lascia ampio respiro a dialoghi eloquenti e ben strutturati dove il piacere assoluto sta proprio nel poter godere dell'evoluzione del pensiero del protagonista.
Lo stile di scrittura è stranamente lineare e scorrevole, pur discorrendo di tematiche varie e arzigogolate.
In alcuni punti è un po' prolisso ma sempre altamente godibile.
Maugham dipinge il personaggio di Philip a sua immagine e somiglianza prendendo spunti dalla sua biografia personale e questo rende il romanzo ancor più apprezzabile ed intimo per un lettore che ne fa la conoscenza.
Per me è stato un romanzo catalizzante.
Sorprendente per gli interrogativi che è riuscito ad aprire, gratificante nelle risposte e toccante nelle vicende umane.
Le insicurezze del protagonista, in fondo, accomunano tutti noi esseri umani in transito su questa Terra.
Ne consiglio fortemente la lettura.
Romanzo brillante come il suo autore.
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Crimine e punizione nella versione romantica di Co
Un marinaio grinzoso e dagli occhi spiritati ferma per strada un giovane uomo che si sta recando ad un matrimonio.
È un giorno di festa, i cuori sono lieti e leggeri e quel vecchio dalla lunga barba argentea e dalle mani avvizzite e scheletriche conduce con sé un alone di malaugurio.
Il vecchio trattiene il giovane con mano d'artiglio e comincia a parlare:
"C'era una volta un bastimento...."
Il giovane, spaventato, vuole fuggire lontano da quello sguardo acceso e perso nelle dense nebbie della memoria che, al pari di quelle oceaniche, conducono l'ascoltatore alla deriva ma, non può perché ne resta ammaliato.
E così, suo malgrado, decide di fermarsi e sedutosi su di un masso, ascolta ciò che il vecchio ha da narrare.
Il marinaio ha una storia di cui liberarsi.
È il racconto delle conseguenze nefaste legate alla morte di un Albatro, uccello portafortuna importantissimo, secondo la credenza popolare, per la protezione della navigazione.
Con la sua morte, per mano dello stesso marinaio che narra, s'innesca una maledizione che nella narrazione risulta essere il punto di non ritorno, e la nave e il suo equipaggio vengono condotti in un viaggio sinistro e spettrale in balia di forze infernali, fino a giungere all'attenuazione e alla ritrovata pace.
Il lettore, così come il protagonista, solcherà gli oceani al pari di un novello Ulisse, immerso in una dimensione di sogno, sovraccarica di simbolismi ma pur sempre con la gola serrata da paure arcane ed insite all'uomo.
In poche pagine Coleridge sviluppa, in forma di ballata suddivisa in sette parti, quello che a tutt'oggi è considerato il capolavoro in versi del romanticismo inglese. Scritto in un periodo in cui era in stretto connubio artistico con Wordsworth (che influenzò parecchio l'opera introducendo egli stesso la figura dell'albatro),la ballata fu inserita come introduzione nelle Liryc ballads pubblicate nel 1798 e ritoccata più volte per
togliere di mezzo gli arcaismi del linguaggio.
La critica accolse l'opera come qualcosa di assolutamente bizzarro seppur straordinario.
Tante furono le letture che ispirarono Coleridge nella composizione ma l'influenza maggiore gli venne, come si può facilmente dedurre, dalla letteratura di viaggio.
Dell'opera ho apprezzato più di qualsiasi altra cosa, il passo relativo alla punizione divina per l'atto umano altamente sconsiderato, pagine epiche magistrali.
Ho letto la ballata seguendo in cuffia la recitazione di un attore su video con tanto di sottofondo acquatico e ho trovato l'esperienza di lettura unica, molto empatica e che consiglio fortemente.
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Una tragica fatalità
Sicuramente questo romanzo non è tra i più importanti e noti della Wharton ma nonostante questo sento, da lettrice, di volergli riservare uno spazio degno di nota soprattutto per il tema trattato.
Edith Wharton, famosa per le sue acute osservazioni del microcosmo sociale newyorkese nel quale era inserita e che sotto certi aspetti subiva (molti romanzi, infatti, hanno numerose sfumature autobiografiche), racconta la storia di una donna passionale ed irrequieta, Kate Clephane, che fugge dal proprio matrimonio, dalla opprimente famiglia del marito e dalla morsa delle convenzioni sociali che l'attanagliano, gettandosi tra le braccia del primo amante che le riserva una via di fuga.
Fugge lontano, lasciandosi alle spalle il destino della figlia di soli tre anni, Anne.
Questa passione fugace, si spegne molto presto e,dopo anni di solitudine trascorsi a rincorrere la vita attraverso sciocchi eventi mondani, incontra quello che sente essere il suo risveglio, l'uomo più giovane di 10 anni capace di "riempire i suoi polmoni d'aria fresca", colui che le fa esprimere appieno il suo essere donna e che le solletica fortemente l'io interiore: Chris Fenno.
Anche da quest'uomo, però, si separerà molto presto a causa di sostanziali diversità caratteriali e di stili di vita estremamente diversi ma il suo ricordo, e quello che lui ha rappresentato per lei in quegli anni, l'accompagneranno nei suoi vagabondaggi europei alla ricerca disperata di un senso per la propria esistenza.
Questo senso della vita si ripresenterà, un giorno, sotto forma di lettera; viene, infatti, richiamata a New York dalla figlia ormai adolescente che la vuole vicina e ha bisogno di lei, e Kate può tornare a vivere e respirare di nuovo.
Il senso di colpa per l'abbandono degli anni precedenti e la necessità di espiarlo la portano a gioire della notizia; finalmente una nuova opportunità per consolidare quel legame/salvezza che riempie la sua vuota vita. Ma l'orizzonte non è così roseo come appare all'inizio, la figlia, infatti, sta per diventare la moglie di quel Chris Fenno tanto amato e con cui sente di avere ancora un forte legame d'appartenenza.
È così, il suo "paradiso artificiale" crolla irrimediabilmente sotto il peso della scelta.
Romanzo introspettivo e finemente psicologico che gioca molto sulle tensioni di un rapporto madre/figlia già minato alla base dall'abbandono e da anni di lontananza.
In un turbinio di sentimenti contrastanti,dubbi, ricerca morbosa di redenzione, fermo immagini di vita trascorsa nella sterilità della solitudine e nuove abbaglianti prospettive, la Wharton descrive elegantemente, come solo la sua raffinatissima penna sa fare, il dolore di una donna sospesa tra l'essere e il divenire (senza esasperazioni filosofiche).
Che fare, dunque? Essere la donna che catalizza sentimenti e debolezze o divenire madre a tutti gli effetti, plasmandosi nuovamente in quella forma sconosciuta per tanti anni?
Kate sembra non avere dubbi su chi e cosa essere, su quello che in futuro la farà stare bene eppure, l'altalenante giogo che grava sul suo animo, la spinge sempre più verso il baratro.
Questo romanzo è il cammino verso quel baratro che è la scelta finale, è l'impronta da lasciare ben calcata sulla terra per non tornare mai indietro a ritracciarla nuovamente, è l'incontro quotidiano con la spirale della propria vergogna, è la resa dei conti di una vita disordinata.
Questo romanzo si compone di brevi capitoli estremamente profondi e vividi. I moti del cuore vengono raccontati in terza persona rendendo fortemente ermetica la scrittura che punta i riflettori sulla protagonista.
Pubblicato nel 1925, risulta essere uno degli ultimi romanzi della scrittrice. La maturità ormai è compiuta e anche la sua visione del mondo si è totalmente assestata.
Il finale può lasciar discutere. Personalmente non l'ho gradito, avrei preferito che la Wharton osasse, sfidasse e reclamasse, con meno paura, la risoluzione finale. Invece si è chiusa lì, nel suo piccolo mondo antico, lasciando il lettore con l'asciutto in bocca.
Romanzo che consiglio soprattutto a chi ama i segreti inconfessabili e le raffinate indagini psicologiche.
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Il mondo secondo McCarthy
Ho testato sulla mia pelle che addentrarsi inconsapevolmente nella scrittura di McCarthy può portare a serie conseguenze quali: senso di disagio durante la giornata, perdita del senso del tempo e dello spazio, bisogno di isolamento e visioni apocalittiche durante i sogni notturni, o forse sarebbe meglio chiamarli incubi.
Leggere questo autore è davvero un'esperienza al limite dello straordinario.
Il mondo descritto da McCarthy ti buca la pelle come un ago e poi ti si propaga come un siero che ti uniforma agli uomini e alle donne, senza passato e senza futuro giunti lì prima di te, che vagano per luoghi senza nome.
Sai solo di essere in un limbo di terra sospesa tra realtà e paradosso, nel punto esatto dove una mente sana oscilla verso l'insano.
È un libro senza trama ma con una visione.
Un uomo e un bambino, vagano su di una terra senza tempo durante giornate tutti uguali scandite dai loro passi trascinati nella polvere di strade senza nome.
Sono stretti l'uno all'altro e comunicano tra loro attraverso brevi domande e sintetiche risposte a cadenza ripetitiva, come a simulare una litania funebre.
Le loro teste sono sovrastate da cieli di metallo e in lontananza si scorgono orizzonti spettrali, panorami arsi e mari lividi.
L'aria è irrespirabile. Densa. Fumosa.
I loro volti sono emaciati e segnati da un freddo del tutto irriconoscibile che penetra persino nei pensieri del lettore, ghiacciandoli.
Vagano cercando cibo e riparo. Quello è l'unico vero scopo, continuare a trascinarsi su di una terra che non è più quella che conosciamo, quella di cui abbiamo fatto parte e di cui ci hanno raccontato le generazioni precedenti.
Questa terra è stata completamente ridisegnata, quello che c'era non esiste più e gli uomini sopravvissuti sono cambiati.
Sono sagome esangui senza dignità o mostri mascherati da uomini.
Padre e figlio provano a raggiungere la costa.
Il padre è attento a mantenere in vita il figlio e il figlio si aggrappa agli insegnamenti del padre, perché un giorno dovrà cavarsela da solo.
La trama è tutta qui, si annoda e si snoda attraverso il rapporto padre/figlio in un mondo post apocalittico percorso da flashback onirici provenienti da un passato a colori.
Poche pagine che scorrono come oro fuso sotto gli occhi di un lettore paralizzato.
È una lettura psichedelica ed esasperante.
Le parole vanno assaporate goccia a goccia come se si vivesse in un deserto e si necessitasse di acqua.
Lo stile di McCarthy è raffinatissimo, potente, una parabola discendente che si aggrappa ad una speranza che fluttua nell'aria, ma che non si riesce mai ad agganciare del tutto.
Un finale un po' scontato, da movie americano, che mi ha fatto sorgere una domanda: "perché voler a tutti i costi sostenere l'umana speranza quando, per tutto il tempo, la storia mi convince insistentemente che è persa da tempo?
Avrei preferito un finale filosofico e alternativo.
Una via d'uscita che aprisse nuove domande.
Così non è stato ma per me è ugualmente un piccolo capolavoro di scrittura.
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Una Chevalier atipica e decisamente suffragetta
Subito dopo la morte della regina Vittoria, avvenuta il 22 gennaio del 1901, la società inglese si apriva al rinnovamento con l'ascesa al trono di Edoardo VII e si dava l'avvio a quello che tutti inquadrano come "periodo edoardiano".
È un lasso di tempo relativamente breve, che va dal 1901 al 1910 (il tempo stesso del romanzo) ma ricco di stimoli e accadimenti.
Il movimento per il suffragio femminile, con alla testa Emmeline Pankhurst, iniziava ad imporsi pur scandalizzando l'opinione pubblica, e il piedistallo su cui era collocata la boriosa aristocrazia dai mille privilegi iniziava a traballare seriamente.
A Londra, un solo posto manteneva intatto decoro, equilibrio e un forte legame col passato: il cimitero di Highgate.
In questo luogo ovattato, umido, sacro e profano insieme, due bambine, Maude e Lavinia appartenenti a famiglie molto diverse tra loro, si incontrano e stringono un legame d'amicizia che le accompagnerà negli anni del passaggio dall'infanzia alla giovinezza.
Maude, è l'unica figlia di Kitty e Richard Coleman.
I Coleman, famiglia facoltosa, incarnano bene, col loro stile di vita alternativo e un'apertura mentale da fare invidia al nostro secolo, la modernità, l'ala progressista della società inglese.
Kitty è il perno del romanzo, è una moglie insoddisfatta, una madre distratta, una donna irrequieta in perenne ricerca di un'identità che trova solo abbracciando la causa delle suffragette, alla quale si abbandona totalmente trascurando tutto il resto.
Richard, invece, è un uomo moderato, un marito prevedibile, che si fa scudo della sua falsa integrità morale ma vuole solo compiacere e farsi apprezzare dalla moglie indifferente.
Una sfida, questa, che non vincerà mai.
Lavinia, è bella ed è figlia di Gertrude e Albert Waterhouse nonché sorella della piccola Ivy May.
I Waterhouse, occupano un gradino al di sotto dei Coleman nella scala sociale; parenti del famoso pittore preraffaellita, in essi l'ala conservatrice, la tradizione, il moralismo vittoriano, vengono ben rappresentati.
Gertrude è rigida, scruta il mondo con occhi severi, elargisce consigli ed emette giudizi.
È molto lontana da Kitty.
Anni luce.
L'amicizia delle due bambine metterà in risalto vari contrasti tra personaggi e situazioni e porterà al lettore una visione chiara e dettagliata di quella che era la vita nei diversi strati sociali.
A sorvegliare e accompagnare le bambine fin dal loro primo incontro, sarà la presenza intervallata di Simon, voce fuori dal coro, un piccolo, impertinente becchino che, insieme al padre, scava fosse ad Highgate.
Nella storia, insieme alla cameriera Jenny e alla cuoca Mrs Baker, il ragazzino ci lascia osservare la vita dello strato sociale più basso.
Questo è un romanzo storico a tutto tondo ma anche un romanzo fortemente introspettivo, che non si avvale di una vera e propria trama o di un percorso ben elaborato dallo scopo premeditato.
Attraverso i brevi punti di vista di ogni personaggio che fungono anche da capitoli, si ripercorre un pezzo di storia del paese sbirciando nel quotidiano e nell'intimità di donne, uomini e bambini che nascondono i propri segreti, i tradimenti, le angosce, le paranoie e i colpi di testa ma che restano pur sempre impegnati a tenersi a galla nel mare nero del proprio inesorabile destino.
Tracy Chevalier è abile; non tralascia nulla; si documenta e si cala nella parte e poi, con quell'eleganza che da sempre la contraddistingue, scrive pagine fluide mettendo in risalto dettagli preziosi.
Questo è un romanzo che potrebbe non piacere, che potrebbe sviare dall'idea stessa di romanzo.
È la voce di una scrittrice totalmente diversa da come siamo abituate a conoscerla ma che si fa leggere con avidità e con bruciante aspettativa.
Bisogna vivere questo romanzo al fianco di Kitty. Sarà un viaggio a tratti incompleto, velatamente passionale, fortemente drammatico e pesantemente apatico ma sicuramente intenso, singolare, inquieto. Come Kitty.
Come quelle che guardano oltre.
Buona lettura.
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Zola...passionale come un italiano
Dicembre 1868.
Sugli scaffali delle librerie parigine appare "Madeleine Ferat".
Viene accolta da un putiferio.
Si grida allo scandalo.
L'opera è totalmente inaccettabile.
Zola, dopo aver attraversato un periodo di estrema indigenza, riesce finalmente a ricavarsi con orgoglio e dignità, un piccolo posto nella Parigi letterata della Belle Epoque.
Conosciuto e stimato grazie al romanzo precedente Thérèse Raquin, con cui ebbe un clamoroso successo di pubblico, si ripropone con una vecchia pièce teatrale rivisitata in forma romanzesca.
Madeleine Ferat è la storia scandalosa di un amore illecito.
È il racconto di una donna che asseconda le sue passioni amorose così come le sue pulsioni carnali, non prevedendo l'inevitabile catastrofe.
Madeleine, figlia di un meccanico costruttore che arrivato all'apice della sua fortuna perde tutto per disgrazia, resta prematuramente orfana di entrambi i genitori.
Sola e abbandonata alle cure di un viscido amico di suo padre, fugge per sottrarsi ai suoi dissoluti progetti e resta inevitabilmente vittima di un giovane uomo, che dapprima la salva, e poi la seduce facendone la sua amante.
L'uomo in questione è Jacques, un giovane chirurgo che dopo un anno di vita insieme, non vuole sposare Madeleine ma l'abbandona al suo destino per inseguire la propria carriera.
Rimasta nuovamente sola, la giovane incontrerà Guillaume, un giovane nobile nato da un amore illegittimo ma riconosciuto dal padre che lo fa crescere da una donna spaventosa che incarna perfettamente il "giudizio divino" sulla Terra.
Madeleine e Jacques, avvicinano le loro vite e le loro sofferenze semplicemente e teneramente, riuscendo ad essere l'uno per l'altra conforto e sicurezza.
Guillaume nutre per Madeleine un trasporto totale e intesse con lei un legame indissolubile; lei, al contrario, vede in lui solo un tenero amante, un porto sicuro, la stabilità che le è sempre mancata ma, nel profondo, sente di appartenere ancora al ricordo di quell'amore perduto.
Lo spettro di quel passato sconosciuto a Guillaume, pesa sul cuore della giovane ma trascorrono anni e l'apparente tranquillità trasporta il tutto nel dimenticatoio.
Finché, quello che sembra essere solo un presagio o il terrificante anatema di una vecchia pazza, si trasformerà in qualcosa di reale e nefasto.
L'amore che nutro per questo scrittore è nato piano piano muovendo da Nanà e arrivando a Madeleine. Figure di donna diverse ma entrambe affascinanti.
Abituata alle caste atmosfere vittoriane e a quella nobiltà che transita dai placidi tramonti della campagna inglese fino agli umidi e grigi avamposti della brughiera dello Yorkshire, mi sono trovata spiazzata ma pur sempre a mio agio a Véteuil, cittadina ai confini della Normandia. Un viaggio splendido attraverso una pianura fertilissima, dentro alberghetti intriganti perduti nelle radure di campagna dove i ruscelli sono delimitati da alberi e canneti.
Zola si commenta da solo.
Zola non ha bisogno delle banalità enunciate da una lettrice qualunque.
La sua scrittura accuratissima, aggraziata, descrittiva fin nelle pieghe dell'anima e così tormentata dalle vicende imposte ai suoi personaggi, è difficile da dimenticare.
In questa opera che dicono imperfetta, ho trovato l'uomo Zola esageratamente realista, spudoratamente carnale, impalpabilmente sensuale e inevitabilmente giudice.
Metodico, come un francese sa essere, ti sazia con una scrittura ridondante di parole e sensazioni scoprendosi a poco a poco ma caratterizzando a più non posso.
Ogni personaggio sembra essere stato dipinto da Monet.
È Riccardo Reim che parla nella prefazione.
Ho letto tutto avidamente.
Parola per parola.
Leggere questo autore, come leggere il grande Hugo, eviscerando gran parte della retorica, è un'esperienza quasi mistica.
Stregata.
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God save the Queen
Giugno 2014.
Tre libri letti, tre fallimenti collezionati.
Questo è il primo.
Vi è mai capitato di leggere una storia e di non riuscire, attraverso le descrizioni dell'autore/ce, ad immergervi totalmente e comprenderne i contorni?
Ed essere costantemente distratti, durante tutta la lettura, perché la forma del testo non possiede la struttura adeguata a catturare attenzione?
O ancora, leggere un "romanzo leggero", ma pur sempre a sfondo storico, e trovarvi errori/orrori?
Il romanzo incriminato è "La sonnambula" dell'esordiente scrittrice inglese Essie Fox che racconta la storia di Phoebe Turner, una diciassettenne che vive con la madre Maud e la zia Cissy in una casa dove, la presenza imponente di un quadro o meglio " il quadro", quello di Millais denominato per l'appunto "La sonnambula", la fa da padrone.
Phoebe e sua zia Cissy, ex diva teatrale, hanno un rapporto che va oltre quello apparente di zia e nipote. Sono legate in modo particolare ma, la stessa cosa, non si può dire del rapporto tra Phoebe e sua madre, donna soffocante e repressa da una sorta di "moralismo mistico" della serie: "tutto è peccato", "il demonio regna sovrano sulla Terra" e "Iddio ti punirà".
La morte improvvisa della zia Cissy, coglie tutti di sorpresa e costringe Phoebe ad accettare un lavoro offertole dall'ex amante della zia.
Nathaniel Samuels, uomo affascinante e misterioso, vive a Dinwood court e Phoebe dovrà recarsi lì per essere la dama di compagnia di sua moglie, malata di nervi.
Casa Samuels è un'imponente dimora vittoriana che nasconde storie, segreti e verità sepolte dal tempo e che premono per venire allo scoperto.
Lasciata quella casa, Phoebe Turner non sarà mai più la stessa e dovrà crescere inevitabilmente.
Sprecherò poche parole.
Questo romanzo, edito Lit, dalla brillante copertina rosa shocking e dal titolo enigmatico, è una vera e propria trappola per topi.
Si resta tramortiti davanti alle frasi che compongono la quarta di copertina ma, una volta immersi nella lettura, ci si renderà subito conto che è tutto un grande bluff.
Un grosso buco nero inghiotte la magia del romanzo, la spensieratezza della lettura, la trama e molto altro. Resteranno a farci compagnia solo le ceneri della fantasia scadente della scrittrice.
Baggianate a non finire. Una delle tante? Facciate vittoriane con gargoyles.
Temo fortemente che la scrittrice durante una personale crisi di sonnambulismo abbia sbattuto la testa in qualche stipite della biblioteca contenente il Notre dame de Paris e ne sia rimasta influenzata;
tuttavia, non ne sono troppo convinta perché la Notre Dame di Hugo non si abbasserebbe mai a presenziare, anche sotto mentite spoglie, in tali discutibili romanzetti.
Mi fermo qui.
Non aggiungo altro.
Delusa.
Nauseata.
Vittima.
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Una Banana poco matura
Shizukuishi è una giovane donna che vive con la nonna in Giappone, in una remota zona di montagna.
La nonna, guaritrice di grande saggezza e professionalitá, prepara tè miracolosi per aiutare chi soffre. Per fare questo si avvale della collaborazione della nipote a cui ha insegnato tutto.
Il loro quotidiano è fatto di piccole cose, di grandi gesti e di simbiosi totale con la natura circostante.
Un giorno, però, questo equilibrio quasi perfetto viene bruscamente interrotto dalla decisione della nonna di lasciare il Giappone e trasferirsi a Malta, inseguendo l'amore per un uomo conosciuto in rete.
Shizukuishi non può opporsi ma solo accettare.
Salutatala all'aeroporto, abbandona le amate montagne, custodi del suo cuore e della sua anima, per trasferirsi in città.
Ricominciare non è semplice, così come abituarsi alla nuova realtà.
La sua "perdita" le lascia vuoti enormi e sentimenti contrastanti, come riuscire a non lasciarsi sopraffare? L'amore e l'amicizia potranno restituirle la perduta serenità?
Primo incontro per me con la scrittura di Banana Yoshimoto, un'autrice di cui, sin da subito, ho potuto apprezzare la delicatezza, tipica orientale, di una narrazione che sfiora l'onirico ma, ahimè, non lo spessore dei contenuti.
Leggendo questo romanzo, sottotitolato "Il regno" e primo di quella che dovrebbe essere una quadrilogia, ci si immerge in una dimensione surreale dove natura, sentimenti, uomini e quotidianità si fondono fino a creare un contesto di grande atmosfera ma, il tutto, resta in superficie, non si scava nel profondo.
La trama è scarna, inconsistente e priva di una struttura precisa; si ha la sensazione di intraprendere un cammino che non conduce a niente se non in un vicolo cieco.
In questo libro si parla d'amore ma è un amore dal sapore stantio; si parla d'amicizia ma non emergono nè i presupposti giusti, né storie precedenti al quale ricongiungerla; si parla di ricordi ma non sono consistentemente evocativi e, per finire, si racconta un brevissimo percorso di vita ma che non ha nessun valore formativo a dispetto di ciò che viene sottolineato nella quarta di copertina.
La scrittura, semplicistica, poco accurata, sviluppata in poco meno di cento pagine, non fa altro che renderci un romanzo di serie b.
La cultura orientale, così ricca, elegante, intrisa di leggende, di storia, di atmosfere può arrivare a supportare storielle di questa portata?
Dovremmo darle delle attenuanti solo perché è il primo libro di una quadrilogia?
Di questo non sono affatto convinta e se è vero il detto che "il buongiorno si vede dal mattino...beh, traete voi le conclusioni.
Auguriamoci che la Yoshimoto faccia un esame di coscienza e migliori con le prossime uscite.
Oggi, però, chiamata in causa, mi sento un po' Mara Maionchi e dico: "per me è no".
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L'America secondo Dreiser
"Quando Caroline Meeber salì sul treno pomeridiano per Chicago, tutto ciò che aveva con sé era un piccolo baule depositato nel vagone bagagli, una sacca dozzinale imitazione coccodrillo contenente alcuni oggetti per la toeletta, una scatola di cartone con uno spuntino, e una borsetta di pelle gialla dalla chiusura a scatto con dentro il biglietto ferroviario, un foglio con l'indirizzo della sorella in Van Buren Street, e quattro dollari.
Era il mese di agosto del 1889".
Con questo incipit fotografico, Theodore Dreiser "il padre del romanzo moderno americano", ci introduce nella vita di una ragazza di diciotto anni che, abbandonata la provincia, va a cercare fortuna nella grande Chicago.
Caroline, ribattezzata "Sister Carrie", è una sognatrice e quello che conosce della vita lo ha appreso attraverso le difficoltà economiche della sua famiglia.
Una volta a Chicago, ospite della sorella, dovrà mettersi subito alla prova ricercando un lavoro per guadagnarsi la sua permanenza.
Bussa alle porte di varie aziende sperando, soffrendo, tenendo duro.
Tanti i "no" e tante le porte ambite che per lei non si apriranno mai.
Finalmente, spunta un lavoro ma, le permette a mala pena di sostenersi e quando per una febbre improvvisa sarà costretta a letto, perderà anche quello.
Come fare a tirare avanti?
Sedotta dalle parole e dallo stile di vita dell'intraprendente donnaiolo Drouet, conosciuto sul treno, Carrie, piuttosto incline a bypassare i grandi sacrifici, rinuncia per sempre ai suoi principi morali, abbandona la casa della sorella e si lascia mantenere da lui.
Tutto è più facile adesso.
Drouet le fa assaporare il bel mondo, le serate nei teatri sfavillanti, le cene nei locali rinomati, i vestiti alla moda dal taglio raffinato e le fa incontrare la gente "che conta".
Tra questi anche l'affascinante e ricco Mr. Hurstwood di cui ben presto si invaghirà corrisposta.
Questa vita, però, la condurrà lungo percorsi inimmaginati in una folle corsa mirata al "volere di più" e non priva di brutte sorprese.
Un romanzo dalle mille sfaccettature che con una certa fierezza e un pizzico di cinismo, demolisce pagina dopo pagina, il mito del sogno americano e coloro che lo inseguono mettendo in risalto le pecche del sistema capitalistico.
Si è risucchiati in una trama dal realismo dirompente scritta in uno stile piuttosto incerto che diviene l'unica nota stonata di tutta la lettura. Infatti, lo scrittore si dilunga tantissimo e inserisce numerose (e talvolta sconclusionate) digressioni che, a mio avviso, si potevano evitare perché appesantiscono un romanzo già di per sé impegnativo.
Ma Dreiser sembra non poterne fare a meno.
Di cose da dire ne ha perché da figlio di immigrati tedeschi, approdati in cerca di fortuna, conosce bene la lotta per la sopravvivenza, la selezione feroce, l'annientamento dei deboli, e, per questo motivo è facile per lui scrivere le pagine più cupe di questo romanzo e le invettive pungenti.
La protagonista lascia totalmente indifferenti dal punto di vista emotivo ma offre spunti di riflessione.
Carrie è un personaggio negativo che si riscatta solo parzialmente alla fine del romanzo pur restando fedele a se stessa.
Possiede grazia e bellezza ma è solo una bella cornice senza tela.
In lei regna il vuoto più assoluto e non v'è nessun senso di appartenenza; non appartiene agli uomini a cui si concede, non appartiene alla sua famiglia dalla quale si vuole allontanare e non appartiene ad un luogo specifico.
Inseguendo l'archetipo della donna ricca, Carrie tenta continuamente e disperatamente di assomigliarle, trasformandosi nel perfetto prodotto della società capitalistica. Anche quando incontra Mr Ames, personaggio chiave che potrebbe ricondurla sulla retta via, non ci sono più speranze; il desiderio sfrenato ormai è parte integrante del suo essere e la sedia a dondolo (che ricorre spesso nelle scene descritte dell'ultima parte) si eleva a simbolo di quell'abbandono ad un destino che non si può più modificare pur volendolo.
Un libro splendido, profondo, formativo che dovrebbe essere introdotto nei licei e di cui, ovviamente, consiglio la lettura.
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C'era una volta....l'America
"....Li spappoleremo addosso a quei muri". "Contro quei muri", corresse Perry che era maniaco dei dizionari e amante dei vocaboli difficili."
La prima volta che sentii qualcuno scambiare opinioni su Capote fu in un film musicale "american style".
Due giovani, in un aula scolastica, dibattevano di letteratura e venne fuori una frase del tipo: "la grandezza di Capote è stata quella di prelevare i crimini del ghetto e piantarli nell'orticello dell'America perbenista e benpensante".
Non posso che concordare e applaudire la brillante sottolineatura.
"In a cold blood" esce inizialmente a puntate sulla rivista New Yorker. Una nazione intera si ferma a commentare, stupita da ciò che lo scrittore ha plasmato.
Capote stravolge il giornalismo.
Quello che ha messo su carta è qualcosa di innovativo, di mai visto prima.
Si tratta di un progetto narrativo dal solido impianto giornalistico che utilizza un metodo di scrittura creativa mescolata a realismo letterario divenendo, così, il primo tentativo nella storia della letteratura di "romanzo reportage".
Questo lavoro è stato per Capote "croce e delizia"; delizia, in quanto grazie a questo progetto raggiunge una notorietà inimmaginabile e croce, perché le critiche dell'opinione pubblica lo perseguiteranno per tutta la vita.
I fatti che compongono la trama, si possono rendere in breve, come se si stesse leggendo un articolo di cronaca nera.
Un piccolissimo villaggio del Kansas occidentale, Holcomb, ha nel suo circondario diverse fattorie. River Valley, è una di queste.
Qui, al suo centro, sorge una grande villa occupata dalla famiglia Clutter; tutti i componenti della famiglia sono benvoluti e stimati dalla comunità.
Herbert Clutter, è il capofamiglia e con lui vivono sua moglie Bonnie e i loro due figli minori Nancy e Kenyon.
La mattina del 15 novembre del 1959 vengono ritrovati, da amici di famiglia, massacrati nella loro casa.
Cosa mai ha potuto scatenare una tale ferocia? Qual'è il movente dietro tutto questo?
La tranquilla comunità è devastata e il panico si diffonde.
La domanda da porsi è: "E se gli assassini vivessero in seno alla comunità?".
Qualcosa si spezza e niente sarà più come prima.
Partono le indagini ma nonostante gli sforzi del detective Dewey e di alcuni specialisti, non si arriva a niente finché, una soffiata conduce a due giovani pregiudicati, Richard Eugene Hickock detto "Dick" e Perry Edward Smith. Questi, verranno acciuffati a Las Vegas, saranno interrogati, processati ed infine giustiziati per impiccagione il 14 aprile del 1965.
La lettura di questo libro, in me non ha suscitato grande stupore, in quanto, tempo fa avevo letto qualcosa che gli si rifaceva sotto molti aspetti: "Omicidio a Road Hill House" di Kate Summerscale, ambientato nella moralista Inghilterra vittoriana.
I due romanzi però restano, di fondo, profondamente diversi; la Summerscale, ad esempio, sarà sempre defilata rispetto alla storia che racconta, non ne sarà mai coinvolta in prima persona anche perché il fatto narrato accade circa un secolo prima; invece Capote vi si immerge totalmente, compie interviste alla gente del posto e arriva persino a frequentare i due detenuti per capire, nel profondo, le motivazioni dietro il delitto, i caratteri dei due e le loro storie di confine e, per questo, verrà anche accusato di simpatizzare con gli assassini.
Cosa emerge dalla lettura di questo libro?
Sicuramente la lotta di classe e le colpe di un sistema capace di creare mostri.
Con Capote, il sogno americano vacilla; egli è un ritrattista che mette su tela due assassini e li accosta ad un altro ritratto, quello della famiglia Clutter e della cittadina dove vivono. Ne risultano due universi paralleli. Da un lato l'America delle certezze, della stabilità, del perbenismo e dall'altro l'arte di "arrangiarsi" con i soli mezzi a disposizione che per Perry e Dick diventano crimini. La cosa che stupisce di più nella scrittura è l'estrema lucidità, la freddezza cinica con cui Capote racconta, spiega e descrive. In sintesi, un capolavoro. Ringrazio Cristina72 per il prezioso consiglio letterario, troppo a lungo snobbato.
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La caduta delle illusioni
Dopo aver attraversato i destini, le passioni e le vicissitudini di molte eroine della letteratura inglese e non, è stato illuminante conoscere Jeanne, protagonista assoluta di questo romanzo di De Maupassant.
In Jeanne, non compare la forza d'animo e il senso di ribellione di Jane Eyre; nel suo petto non vibra la passione che divora Catherine Earnshaw; intelligenza e franchezza non infiammano i suoi occhi come quelli di Elisabeth Bennet e l'ambizione e la corruzione interiore di Nanà, non faranno mai parte del suo essere.
Eppure, questa figura passiva, che subisce senza mai ribellarsi, che compiange se stessa e si strugge davanti alla caduta delle proprie illusioni, conquista tanto per la sua fragilità quanto per la sua immobilità dinanzi ad un destino avverso; fra tutte, è la meno "eroina da romanzo" ma la più vicina alla realtà osservata dai naturalisti.
Jeanne, ragazza diciassettenne appartenente ad una ricca famiglia normanna, finalmente abbandona il convento dove è stata "segregata" per studiare ed ignorare le "cose umane".
Con spirito leggero e un animo traboccante di sogni affronta il viaggio in carrozza per tornare alla dimora paterna, febbrilmente eccitata per l'imminente immersione in una nuova vita carica di prospettive.
La prima notte trascorre insonne.
Affacciata alla finestra della sua stanza, fantastica, rabbrividisce d'emozione, ispirata dal paesaggio, ignorando totalmente che quelli saranno gli ultimi istanti di pura innocenza vissuta prima di perdersi nelle complicanze della vita adulta.
Jeanne incontra un uomo, il visconte Julien De Lamare e, in breve tempo, decide di sposarlo.
Julien incarna il sogno, l'amore e il roseo futuro che ha sempre e solo potuto immaginare.
L'uomo è elegante, affascinante, rispettabile ma dopo il matrimonio, cambia e il gentiluomo lascia il posto ad un uomo sciatto, egoista e vizioso, che Jeanne stenterà a riconoscere.
Lacrime amare scaveranno il suo volto e il suo cuore alla scoperta dei suoi tradimenti e dell'innaturale avversione per il loro unico figlio, Paul.
Jeanne troverà sostegno nella sua famiglia ma anche questa certezza, ben presto, si sgretolerà e il giovane Paul, da sempre cresciuto straviziato, si perderà dietro una donna di dubbia moralità.
In tutto questo sfacelo, il ritorno di una vecchia conoscenza le impedirà di sprofondare ulteriormente e, nell'istante esatto in cui comincerà a reagire, qualcosa di buono si concretizzerà e una nuova linfa vitale riprenderà a scorrere nel suo corpo inaridito.
"Maupassant riempie gli occhi di visioni, le orecchie di suoni e ci immerge negli odori delle stagioni e nei colori del mare".
(Oreste Del Buono)
Guy De Maupassant è un acutissimo osservatore e un narratore scrupoloso ma anche il superbo descrittore di quella nobiltà di "fin de siècle" che vive con disincanto i falsi valori e le gioie effimere della propria vita inconsistente.
Tutto questo viene messo in evidenza con uno stile preciso e contestualizzato che pone in essere una crudezza esasperante e un pessimismo petulante mescolati, negli strati più profondi dell'animo, all'istinto compassionevole dell'autore.
Con questo romanzo, Maupassant esordisce.
Era il 1883.
Il realismo resta il punto focale di tutta la narrazione che posa l'obiettivo su una donna vittima che subisce dall'uomo, dal destino e anche dalla propria ingenuità.
Cosa resta dopo la lettura?
Una visione altalenante della storia, a tratti lirica e a tratti tormentata, che turba la sfera emotiva ma mette in moto quella intellettiva.
Superbo.
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Precipitevolissimevolmente...sempre più giù.
Inverness, Scozia 1945.
Al termine della seconda Guerra mondiale una coppia di sposini si riunisce dopo la lunga separazione dovuta al conflitto e decide di godersi una seconda luna di miele.
Lei, Claire, è un'infermiera militare inglese, donna energica, pratica, dai modi poco raffinati; lui, Frank Randall, è un dotto professorino di Oxford tutto d'un pezzo.
Provano a ritrovarsi e a godere appieno di siti storici, di antiche leggende, di panorami da brughiera e di ricerche per l'albero genealogico dei Randall.
Una mattina come tante, Claire, in un'uscita solitaria alla ricerca di campioni per il suo erbario, raggiunge un luogo carico di mistero, la collina di Craigh Na Dun.
Qui, dove sorge un circolo di pietre in stile Stonehenge, qualche giorno prima lei e il marito avevano assistito ad una sorta di "sabba moderno" compiuto da donne del luogo.
Avvicinatasi a due enormi massi, viene letteralmente risucchiata da quello che sembra essere un vero e proprio passaggio temporale e si ritroverà nel medesimo luogo ma nel passato...precisamente nel XVIII sec. nel bel mezzo degli scontri fra inglesi e scozzesi.
Rapita (o anche salvata se vogliamo) da un gruppo di rudi scozzesi in kilt, farà la conoscenza di uno degli highlander rimasto ferito: l'aitante Jamie Fraser, bamboccio/belloccio (come da migliore tradizione) con cui raggiungerà il castello di Leoch e instaurerà una relazione di amicizia, prima, di mutua assistenza, dopo, e, dulcis in fundo, d'amore.
Tra trappole, intrighi, ambigui personaggi, storie di famiglia, leggende, streghe e inquisitori (il tutto servito in modo sempre poco spettacolare), Claire, sarà chiamata a fare la sua scelta definitiva:
tornare dal marito o restare col bamboccio dalle ehmmm..."accattivanti virtù"?
Indovinate un po' come va a finire?
Diana Gabaldon, non sembrava affatto una sprovveduta; una laurea in zoologia, un master in biologia marina, docente universitaria, una laurea honoris causa in scienze umanistiche, scrittrice di articoli e di recensioni, fondatrice di una rivista scientifica ecc.
Con questo romanzo, primo di una lunga serie, avrebbe potuto avere una resa enorme senza rinunciare allo spessore, invece, tutto crolla miseramente sotto il peso della solita trama scialba, di scene passionali senza passione, di dialoghi deboli, di un iter narrativo mal organizzato, di punti di vista troppo femminili e senza contrappesi e storie di confine noiose da morire.
Unico punto a favore, la ricostruzione storica del periodo, che risulta essere precisa e dettagliata ma che perde credibilità a contatto con una trama così debole.
Tutto questo mi conferma una sola cosa: la preparazione da sola non basta. Il talento della narrazione, l'inventiva, il fascino della parola scritta è solo per pochi eletti. Ho avuto la netta sensazione di essere al cospetto della classica "prima della classe" che vuol dimostrare a tutti i costi di poter arrivare dappertutto. Magari fosse tutto così semplice. Dappertutto non è un luogo. È un'utopia. E quando si cade dall'alto delle grandi utopie, si fa rumore. Un tonfo incredibile con tanto di eco.
Questo suo primo scritto ha avuto una risonanza enorme sul web; un successo che si è esteso a macchia d'olio raggiungendo (ahimè) anche la sottoscritta attraverso il consiglio di un'amica a sua volta consigliata da una libraia. A me, però, non è piaciuto (si era capito?).
A voi, invece, lascio il beneficio del dubbio.
Spero di trarre qualche emozione in più dalla serie televisiva in stile "Trono di spade" che uscirà quest'estate. Ma....staremo a vedere.
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La Belgrado di Deki
Nel quartiere 62esimo nord della nuova Belgrado,
cubi di cemento, immobili come statue millenarie, occupano i cortili polverosi all'ombra dei palazzi.
È qui che il dodicenne Deki e i suoi amici si affacciano alla vita.
Sotto i loro occhi si snoda la Belgrado decadente di fine regime totalitario (quello di Tito), complicata dalle differenze etnico/religiose e dalle rivalità di quartiere che, talvolta, sfociano in violenza.
Belgrado, quindi, osservata attraverso gli occhi di un bambino che pian piano diventa adolescente.
Una città che cambia con lui e si avvia ad un lento rinnovamento pur restando, in apparenza, ferma nella sua sobria arretratezza.
Ci afferriamo ai ricordi di Deki, alle sensazioni, ai sentimenti che lo turbano e alle pulsioni che lo dominano; ne conosciamo gli amici con le loro storie, la famiglia con i suoi punti deboli e condividiamo con lui una quotidianità scandita dalla scuola, dall'attrazione per le ragazze (di cui Ivana resta regina incontrastata) e dalla voglia impetuosa di crescere.
E poi, arriva l'atteso trasferimento in Italia.
Trascorrono tre anni.
Il ritorno a Belgrado per le vacanze, ha un gusto amaro.
Quel campetto da calcio che appariva enorme a dodici anni, improvvisamente è solo un minuscolo quadrato di cemento adibito a parcheggio e diventa simbolo del cambiamento della città e della gente che la vive.
Ma è un cambiamento reale o è tutto nella testa di Deki che guarda con altri occhi?
No. Il cambiamento è reale e, portarlo alla luce, fa male.
Romanzo d'esordio per Nikola Savic, vincitore del discusso (e discutibile, aggiungerei) talent show Masterpiece andato in onda su Rai 3, che lo ha incoronato "scrittore esordiente di talento".
È un romanzo autobiografico, dove l'autore racconta un pezzo di vita trascorsa in Serbia prima del definitivo trasferimento in Italia, in provincia di Venezia.
È un romanzo privo di estetismi stilistici, asciutto, diretto e anche un po' sfrontato. Le storie narrate sono storie di cuore che si avvertono sulla pelle; raccontano la formazione, la ricerca della propria identità in un contesto difficile vissuto, però, da privilegiato. L'amicizia è valorizzata così come l'orgoglio di appartenere ad una data realtà.
Il cuore pulsa in ogni riga; c'è un velo di malinconia e odori che acquisiscono una loro importanza e un loro contesto preciso. In contrapposizione, c'è uno sfondo storico/politico poco approfondito; esso filtra come un raggio di luce attraverso una tapparella ma la sua influenza resta costante dalla prima all'ultima riga.
Non siamo di fronte ad un romanzo che sprigiona un fascino particolare ma, cattura attenzione, così, semplicemente, senza scossoni.
Al termine del romanzo c'è una bella postfazione di Andrea De Carlo, di cui consiglio la lettura all'inizio, prima di immergersi nel romanzo. Così facendo ci si accosta alla storia con meno scetticismo e con sentimento di scoperta. Una storia da leggere e ricordare con tenerezza.
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Diabolicamente.....Nothomb
Come definire un uomo come Pretéxtat Tach?
Immane scrittore dalla carriera trentennale?
Premio Nobel di fama mondiale?
Genio ottuagenario?
Malato terminale di cancro alle cartilagini?
Grasso eunuco?
Abominevole divoratore di cibo disgustoso?
Sedentario adiposo?
Quest'uomo impossibile assorbe tutte le definizioni e va anche oltre.
Con abile dialettica mescolata a logica beffarda, che padroneggia come un bicchiere di Alexander, fa cadere, come birilli, quattro bravi giornalisti a caccia di scoop ammessi nel suo santuario privato per l'ultima intervista prima della morte.
Il vegliardo, dal botta e risposta tagliente, è sicuro della sua supremazia intellettuale e si beffa di loro, li tortura, li prende all'amo e poi tira strappando dalle loro viscere la poca dignità rimasta.
Uno alla volta si allontanano dalla casa.
Il primo affoga nell'alcol la brutta figura.
Il secondo vomita nel primo cespuglio a disposizione.
Il terzo, più sicuro di sé, rimprovera gli altri per la loro stupida performance ma alla fine farà anche peggio e il quarto si chiede come potrà il quinto giornalista chiamato per l'intervista e rimasto misteriosamente dietro le quinte, sopravvivere a questo sfacelo.
Ma il quinto giornalista non è un lui è una lei...e tutto cambia.
Sicura, brillante, documentata ma soprattutto armata della stessa dialettica e logica beffarda dello scrittore, Nina, ribalta i ruoli e domina la scena dalla prima all'ultima domanda facendo cadere al mefistofelico Tach, la maschera indossata per sessant'anni. Spunta, così, un indicibile segreto nascosto nella trama del suo unico romanzo incompiuto.
Cara Nothomb ti devo delle scuse! Come ho fatto a vivere fino ad oggi ignorando la tua abile penna? Non ho una gran simpatia per i contemporanei, questo è noto, ma al talento mi inchino. Sento di poter affermare che questa è stata la lettura più entusiasmante, esasperante ed illuminante degli ultimi anni. Una scrittura ironica, diretta, infarcita di invettive contro lettori distratti, giornalisti impreparati, scrittori poco talentuosi, ricca di rimandi letterari e filosofici e superbamente incorniciata in un'eleganza stilistica davvero unica. Ringrazio Lady Libro e Cub per aver portato la Nothomb nella mia quotidianità. Lettura imperdibile, a prova di super scettici.
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La finzione scenica e la realtà
La vita particolarissima di un uomo straordinario come Ludwig di Baviera, riempie la monotonia di certe giornate e conquista ogni fibra dell'essere o almeno, questa è stata la mia personale esperienza di lettura.
Un'esperienza davvero unica, trattandosi di una biografia, che mi ha portata nel cuore del Romanticismo tedesco di cui Ludwig è l'eroe per eccellenza.
Una vita dorata che diviene gabbia.
Il disagio provato da molti reali che vivono il palazzo e il loro incarico pubblico con tormento perché ostacolo ad una vita libera sotto ogni aspetto, è cosa ben nota ma il malessere di Ludwig è più profondo; crescente fin dall'infanzia, si acutizza all'ennesima potenza in età adulta conducendolo ad una tragica e misteriosa fine sulle rive del lago Starnberg.
Una morte che è pura rappresentazione scenica come tutta la sua vita ed è lui stesso a recitare il ruolo di attore principale.
Lo scrittore ci conduce attraverso un'infanzia solitaria, fatta di ore di studio, trascurata da genitori incapaci di amare, fino ad arrivare ad un'adolescenza inquieta, turbata da istinti omosessuali inaccettabili, da reprimere perché percepiti come maligni dal pregiudizio della morale cattolica e dai suoi precettori.
Ludwig forma, così, un carattere che va dal prepotente all'egocentrico caricandosi, però, d'emotività, di paure, di malinconia triste e, sostenuto dalla bizzarria di una mente fervida e brillante, si allontanerà sempre di più dalla vita reale per rifugiarsi in una dimensione di sogno.
Un sogno fatto di castelli incantati fatti erigere su viste mozzafiato, di cavalcate solitarie e notturne negli insopportabili soggiorni obbligati a Monaco, di pomeriggi trascorsi ad inseguire, con atteggiamento trasognato, pensieri impalpabili pieni di arte, musica ed estetismo per poi ripiombare nel baratro della propria mesta esistenza interiore.
Il castello di Berg, appartato e silenzioso maniero della campagna bavarese, diviene suo luogo prediletto, la sua casa; qui trascorreva serate immerso nella lettura dei classici e sgravava le pene dell'anima sfidando rigide notti d'inverno su pregiate slitte di legno intarsiato. L'incontro, l'amicizia e il legame profondo con il compositore Wagner e la sua musica, gli cambiano la vita; sono pagine interessantissime che svelano molto della sua personalità.
Le opere del Lohengrin e della Valchiria, donarono un suono e dei volti ai suoi sogni accompagnandolo nelle cupe giornate e nelle scelte coraggiose e incomprensibili ai più.
Una biografia ben scritta, discretamente approfondita che, pur conservando molto del saggio, delizia con una prosa scorrevole e poetica da romanzo storico. Per gli amanti del Romanticismo è una tappa obbligata.
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Un giorno o l'altro tutto cambierà
Nella grande casa di Mr. Dombey un'atmosfera di forte aspettativa accompagna la nascita del piccolo Paul, il figlio maschio tanto atteso, colui che erediterà la grande ditta di famiglia.
Poco importa se nel venire al mondo, sua madre muore di parto.
Niente può mettere in ombra il lieto evento, nemmeno un lutto di tali proporzioni.
Paul Dombey senior, quarantotto anni e Paul Dombey junior, quarantotto minuti, sono finalmente riuniti e costituiscono già la "Dombey e figlio".
Ed è su questo ambizioso progetto che ruota tutta la vita e l'orgoglio di un uomo che si è fatto da sé ed è riuscito a conquistare un posto d'onore nell'alta società londinese e nella City, cuore pulsante delle attività finanziarie della metropoli.
La sua visione disumana del futuro proietta solo affari e buona reputazione e il tutto va a personificarsi in questo figlio maschio senza mai concedere spazio ai sentimenti.
In un angolo della grande casa, però, un piccolo cuore si consuma per il bisogno d'affetto e spera, giorno dopo giorno, che l'uomo d'affari si trasformi in un padre amorevole. Il piccolo cuore è quello di Florence, figlia maggiore di Dombey che, a soli sei anni, conduce una vita di solitudine e abominevole abbandono.
"....cosa poteva essere una bambina per Dombey e figlio"....dice Dickens e prosegue...."nel capitale costituito dal nome e dalla posizione della ditta, un figlio di sesso femminile era solo una monetina non sufficiente per un investimento, un maschio riuscito male, nient'altro".
Così trascorrono i giorni e nel romanzo scorrono pagine su pagine. Enormi cambiamenti segnano le tappe di questa famiglia e l'orgoglio dell'uomo d'affari, troppo proiettato verso il futuro escludendosi, così, dai sentimenti umani, verrà punito dal destino. Il figlio maschio non sarà mai quello sognato e la dolce Florence, in sordina, diventa la donna forte, la roccaforte in cui riparare malgrado tutto.
Questo monumentale affresco famigliare uscito a puntate dall'ottobre del 1846 all'aprile del 1848, oltre a ripercorrere i temi sociali cari all'autore e trattati in maniera approfondita in molti altri suoi lavori, è un romanzo sul cambiamento. Un cambiamento interno, perché relativo al nucleo famigliare ed esterno, in quanto coinvolge l'intera società. Simboli di questo cambiamento sono rispettivamente la morte delle ambizioni e dei sogni costruiti a tavolino e la nascita della ferrovia che dirompe trasformando paesaggi e incidendo sulle vite dei ceti inferiori e dei protagonisti.
Come percepisce il cambiamento il lettore?
Attraverso la gestione della prosa che sterza rapidamente in base a dove è diretta. Dickens è un maestro in questo. Dal satirico si passa al poetico, dal semiserio al melodrammatico, dal sentimentale al surreale....tanti stili in movimento per rendere meglio il cambiamento, tema centrale.
Stessa cosa avviene con i personaggi.
Dall'ambizioso si passa all'umile così come dallo sciocco si arriva al pragmatico e dall'amorevole al negligente. Tanti e tanti personaggi, immensi, gratificanti e pulsanti di vita che si muovono sui fili di matrimoni, separazioni, morti, fallimenti, fughe, solitudini e tragedie.
Sono tutti lì, in un grande ma ordinato calderone che porta in scena la commedia umana. Immenso.
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Pensavo fosse amore e invece....
Brian ha quasi cinquant'anni, un matrimonio fallito, un buon lavoro e amici con cui dividere serate e confidenze.
Una vita ricca la sua ma, nonostante questo, sente che manca qualcosa.
C'è un luogo, però, che riesce a rappacificarlo con i suoi pensieri e i suoi stati d'animo: il Camposanto di San Gervasio.
Da questo luogo suggestivo trae un profondo senso di pace, quello che realmente gli serve per riordinare idee ed emozioni.
Un giorno, nel visitarlo per l'ennesima volta, si imbatte in una sconosciuta.
La donna è avvenente e ne resta subito ammaliato.
Ha voglia di conoscerla, di carpirne i segreti e per questo inizia con lei una conversazione dai toni confidenziali nella quale si sorprende a confidarle particolari della sua vita privata.
La donna si chiama Livia e per Brian è la donna giusta, quella che attende da sempre.
Dopo questo incontro non sarà più lo stesso uomo e Livia occuperà prepotentemente i suoi pensieri.
Per giorni spera di poterla rincontrare finché questo accade.
Inizia, così, un rituale di corteggiamento al quale Livia, già sposata, cerca di sfuggire ma Brian, non può e non vuole rinunciare.
Rita Bignante è una scrittrice emergente originaria di Torino ma che vive e lavora a Cumiana e questo è il suo secondo romanzo.
La scrittrice lascia raccontare questa storia d'amore al protagonista in prima persona, utilizzando un linguaggio moderno.
La scrittura è fluida, immediata ma troppo infarcita di citazioni letterarie e di rimandi storico/artistici che, invece di fornire una cornice romantica e d'altri tempi alla storia, diviene quasi una forzatura del testo tanto da risultare pesante e, in alcuni punti, inappropriata. L'autrice, infatti, sembra essersi concentrata più su questo aspetto che sui dettagli della storia d'amore che risulta carente di emotività e poesia. Mi chiedo:" Tutto questo è per nascondere le pecche della trama o solo un tentativo di arricchimento del testo? Sinceramente non saprei rispondere.
Unico punto a favore è un finale che sorprende e regala un' emozione.
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- sì
- no
Stevenson mania....
Stevenson, autore scozzese del periodo tardo vittoriano, nella sua carriera di scrittore ha avuto l'abilità di sapersi destreggiare attraverso generi letterari disparati senza mai perdere il talento del grande narratore.
Il suo stile cattura il lettore e lo trascina con sé alla ricerca di tesori perduti e relitti di navi, incitandolo ad affrontare fredde e nebbiose notti londinesi a caccia del doppio demoniaco, per poi fargli raggiungere la pace in qualche luogo esotico e remoto del globo spennellato dai caldi colori del tramonto.
Tempo e spazio, quindi.
Due costanti che in Stevenson fanno la differenza.
In questa bilancia oscillante, lo scrittore non dimentica di lasciar trasparire le ombre "spettrali" dell'animo umano.
Ed è precisamente quello che accade in questi racconti dove il gotico e l'avventuroso la fanno da padroni.
"Il ladro di cadaveri", che dà il nome al libro, sviluppa una storia inquietante legata ad un fatto di cronaca realmente accaduto nella Londra ottocentesca.
Quattro uomini sono soliti incontrarsi ogni sera al George, un pub nella città di Debenham, per bere e fare conversazione.
Tra loro c'è Fettes, uno scozzese costantemente alticcio ma colto e benestante. Una fredda sera d'inverno al pub transita un facoltoso medico londinese di nome Macfarlane. Fettes, annebbiato dai fumi dell'alcol, all'udire dal proprietario del locale quel nome, si riscuote dal torpore entrando in un crescente stato di agitazione.
Un misterioso passato sembra legarlo a quell'uomo.
I compagni di bevuta non ci vedono chiaro e ne discutono fra loro fino a tarda notte. Si fanno supposizioni e alla fine si delinea una storia, macabra e dal cattivo presagio, che non voglio anticipare per non incappare in inevitabili spoiler.
" Gli allegri compari", il secondo racconto, è di più ampio respiro e narra una vicenda che vede come protagonista un giovane universitario, Charles, che va a trascorrere le vacanze dallo zio Gordon ad Aros, nella parte nord occidentale della Scozia dove enormi rocce sovrastano il mare della baia e i flutti che si infrangono su di esse con violenza vengono chiamati " the merry man" -allegri compari- proprio perché il rumore che ne deriva ricorda "risate fantasma" di marinai che hanno perso la vita in quelle terribili acque.
Charles, però, ha anche un altro scopo; innamorato della cugina Mary Ellen, figlia di suo zio, vuole trovare fortuna per riscattare se stesso e il nome della sua modesta famiglia attraverso il recupero di un tesoro perduto di un vascello spagnolo affondato proprio nella baia dove sorge la casa di suo zio. Ma, nonostante i buoni propositi, verrà investito da una storia torbida che vede come principale protagonista il "folle zio Gordon".
Racconti affascinanti per ambientazione e originalità (tenendo conto dell'epoca) e carichi di un simbolismo alla maniera di Conrad. Descrizioni brevi ma splendide e atmosfere suggestive. Imperdibili. Buona lettura.
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Quel corpo nel Tevere
Un uomo galleggia nel Tevere.
Il suo corpo è in decomposizione e la permanenza in acqua non favorisce l'eventuale riconoscimento.
Chi è? O meglio...chi è stato?
In una Roma attualissima e famigliare si snodano le vicende di diversi personaggi; Umberto, Giovanna, Marco, Maria, Giorgio, Gustavo.....vite che si intersecano tra loro attraverso rapporti d'amicizia, famigliari e lavorativi e che, in un lasso di tempo relativamente breve, vedono spazzare via le proprie sicurezze e i propri privilegi sociali per un'indagine giudiziaria che li travolge in pieno e li sommerge.
Ne derivano dei ritratti precisi e affinati di uomini e di donne che fanno i conti con il passato, con un presente in salita ed un futuro oscuro ponendo l'accento sulle loro debolezze. Spicca su tutti la figura di Umberto De Berberis, presidente della società incriminata, uomo brillante, ambizioso e dalla solida posizione sociale che si ritrova annientato all'arrivo dell'avviso di garanzia ed è costretto a subire l'arresto per qualcosa che non ha commesso. Umberto, avrà modo di rivedere la sua vita, le sue priorità e di compiere un "mea culpa" sugli errori commessi scendendo dal piedistallo dove si è crogiolato per troppo tempo e riprendendo i contatti con il reale, con la vita oltre le cose riscoprendo, così, il valore unico dell'ambiente famigliare, vera protezione e consolazione da un mondo che non risparmia nessuno.
In questo nuovo romanzo breve, Anna Maria Balzano riconferma il suo talento e il suo raffinato punto di vista corroborata da una penna sobria, essenziale e assolutamente imparziale.
Con un incipit impressionante siamo subito nell'occhio del ciclone.
L'autrice, indaga gli animi e raccoglie pezzi di vite donando la sua personale visione del mondo e rendendoci un ritratto sociale per nulla scontato e molto, molto attuale.
Il titolo del romanzo richiama un oggetto che, apparentemente potrebbe sembrare distaccato dalla trama stessa ma che in realtà assume, già dall'interno del testo una forte valenza simbolica donando senso a tutta la vicenda; la sua presenza aleggia sui destini dei protagonisti ricordando loro quello che resta dopo la bufera, quello che non si disperde alla prima folata di vento.
Questo è il grande insegnamento del romanzo.
Ancora positività, quindi, ancora amore per la vita come nel "Viaggio di Emilia".
L'incipit è da tre i: intrigante, impattante, inquietante.
Da non perdere.
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La rinascita di Emilia
Emilia ha trascorso l'ennesima notte inquieta.
Un'immagine soffocante riemerge continuamente dal passato e le tormenta il sonno.
Nella solitudine di una casa vuota, attraversata dai fantasmi dei ricordi, Emilia si alza dal letto e osserva una fotografia.
Un po' di polvere la ricopre.
È il tempo che passa e porta con se i pezzi di una vita che è stata e che mai più sarà.
Nel bene e nel male.
I pensieri e le emozioni affluiscono, la nebbia del ricordo dirada lasciando trasparire una palazzina, quella dell'infanzia felice, dove il calore della presenza dei nonni, le abitudini ordinarie da famiglia borghese e i ritmi pacifici della quotidianità, erano scanditi dalla famiglia.
Una serenità che, però, si interrompe bruscamente e si disperde alla morte improvvisa di papà Salvatore.
Da quel triste episodio, un baratro si allarga a macchia d'olio e ingoia la vita di madre e figlia superstiti, le loro certezze, la loro tranquillità.
Unico conforto per Emilia è la presenza di Giulia, la sua amica del cuore mentre per sua madre è il nuovo compagno.
Gli eventi che si susseguiranno, come attanaglianti tentacoli di sfortuna, travolgeranno madre e figlia, ma saranno solo la conseguenza di quella drammatica perdita.
Lo squillo di un telefono riporta Emilia con i piedi per terra...quel senso di frustrazione piano piano si attenua lasciando spazio a quell'unica certezza che ancora le vibra nel petto.
Emilia compone un numero di telefono.
Dall'altro capo qualcuno risponde.
La redenzione arriva sempre attraverso l'amore.
Quello che Anna Maria Balzano ha scritto e dedicato a sua madre, è un romanzo breve, un romanzo della memoria non autobiografico, introdotto da uno splendido componimento di Ungaretti, l'indimenticabile poeta ermetico che nella brevità del simbolismo sapeva toccare le corde dell'anima.
Questo romanzo è proprio così, toccante, struggente ma intriso di sano ottimismo e di amore per la vita.
La protagonista, ci viene presentata quasi come una spettatrice dei drammi che le si sviluppano intorno e di cui, suo malgrado, resta vittima. Le immagini scorrono su vite, ambienti, accadimenti.
Emilia è una donna forte, un personaggio altamente dignitoso che sotto l'apparente fragilità nasconde una dura scorza.
Viene introdotta da una scrittura semplice, vera, senza nessuna artificiosità o pretesa morale così come i componenti della sua famiglia.
La trama, velatamente cruda ma affascinante, non si può lasciare nel dimenticatoio. Nel finale, si è pervasi da un'ondata di positività. Si arriva al pianto. Sì.
Ma non è un pianto di tristezza, è un pianto di liberazione, la liberazione di Emilia, che dopo tante brutture, spicca il volo serena, verso un nuovo inizio.
Leggetelo....vi stupirà.
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Ritrovare se stessi
A bordo di una corriera viaggia un ragazzo di venticinque anni.
Ha lasciato il suo appartamento di Roma per raggiungere Illmitz, cittadina di confine tra Austria e Ungheria.
È solo ma gli tengono compagnia pochi oggetti personali chiusi disordinatamente in uno zaino e tanti pensieri che gli affollano la mente e gli pesano sul cuore.
Questo non è un viaggio di piacere.
È una fuga camuffata da una città e da una quotidianità che lo rendono claustrofobico e inadatto.
È l'allontanamento volontario da un amore che riempie la propria solitudine ma che, talvolta, viene percepito come ingombrante ed invalidante.
È l'andare incontro ad un dolore rimasto sepolto troppo a lungo.
Ripartire dalle origini.
Questo è il proposito.
Nella cittadina dove la sua famiglia ha mosso i primi passi verso una vita migliore, vuole ritrovarsi e ritrovare la luce della vita.
Davanti a lui si proiettano pigre giornate e passeggiate in posti senza volti.
In questa nuova routine la mente è investita dai ricordi di un passato recente, da sensazioni visive pulsanti e dal turbamento derivante dal senso di smarrimento e inadeguatezza che si accompagna ad incomprensibili sogni.
Il viaggio dona risposte.
La sua, non si farà attendere.
In questo romanzo breve e introspettivo, deliziati dall'eleganza di una prosa intrisa di malinconica poesia, ci si affaccia nella vita di un giovane di cui non conosciamo nemmeno il nome.
È un viaggio cieco, ripiegati sull'anima distorta dall'inquietudine ma che si mostra senza veli ad un pubblico attonito.
Durante la lettura si viene risucchiati dal vortice dei suoi pensieri che nella quiete di Illmitz prendono forma trovando la loro giusta dimensione. Il lettore, così, diventa abile fruitore di monologhi interiori, amico di vecchia data che partecipa ai ricordi e muto spettatore di strani sogni.
La narrazione in prima persona, ovattata ma fluida, ci racconta un ragazzo che gradatamente diventa un uomo segnato dalla vita. Se dovessi trovare una pecca, direi che la maturità di questo venticinquenne, risulta troppo dilatata, per certi aspetti inverosimile rendendolo, infine, poco credibile.
La prosa è armonica, perfetta.
La Tamaro torna a distribuire emozioni con il suo tocco delicato ed inconfondibile.
Questo romanzo pur essendo un'opera prima, non delude e, inoltre, lascia spazio alle considerazioni.
Una lettura coinvolgente, da compiere immersi nel totale silenzio per percepire ogni minimo moto dell'anima che questa storia regala.
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Tra quattro gelide mura
Siamo nel 1859.
Anna, è una donna sensibile e vuole rendersi utile.
Lascia un biglietto con poche righe al marito e corre sulle coste del Galles per soccorrere i naufraghi di una terribile tempesta.
Non chiede il suo permesso.
Resta lontana da casa per alcuni giorni e poi, stremata da ciò che ha visto e da ciò che ha provato, fa ritorno a Londra, nella sua realtà.
Ad accoglierla c'è un marito gelido, austero ed implacabile che non le ha perdonato questo colpo di testa.
Anna, però, non comprende. Cosa ha fatto di male? Da quando la solidarietà è un gesto da condannare?
In casa, osserva il marito compiere strani movimenti, atteggiamenti nuovi ed insoliti che la inquietano e poi, in men che non si dica, si ritrova rinchiusa a Lake House, un manicomio alle porte della città.
Qui, tra gelide e grigie pareti, tra le urla strazianti della follia, tra donne che hanno perso la ragione o la speranza, impossibilitata ad essere capita ed ascoltata, Anna si sente morire.
Scrive lettere.
Attende risposte.
Ma il silenzio ha un eco ancor più assordante della follia.
Anna si sente persa ma ha un carattere forte, forgiato dall'educazione ricevuta e si aggrappa alla vita o meglio, al ricordo della vita da libera.
Le settimane scorrono e lei, figura mesta e solitaria, vaga tra le stanze o nello sterile cortile, sotto lo sguardo vigile della sua carceriera, Martha Lovely.
Nulla le dona conforto. Quanto ancora potrà resistere?
Solo la vista dalla finestra della sua stanza la consola perché da lì può osservare quel ponticello in lontananza.
È bianco, etereo, quasi surreale. Quella è l'unica via di fuga.
Ma per fuggire ha bisogno dell'appoggio di qualcuno.
All'interno di quella gabbia sono solo due le figure a cui potrebbe rivolgersi. La prima è quella di Catherine, giovane adolescente e inquieta figlia del direttore del manicomio, l'altra è quella di Lucas St Clair, un fotografo/medico che studia le malattie mentali osservando gli sguardi delle pazienti attraverso le foto che scatta. Ma nessuno dei due sembra credere alla sua buona fede.
O forse si sbaglia? E cosa si nasconde, realmente, dietro quell'internamento?
Mi sono avvicinata a questo romanzo con grande scetticismo. Il titolo non mi ispirava per niente come pure la copertina ma la trama e l'ambientazione ottocentesca, mi hanno convinta e dopo essere arrivata all'ultima pagina, sono contenta di essermi enormemente sbagliata. L'apparenza mi ha ingannata, eccome...almeno in questo caso.
Nell'Inghilterra vittoriana, i manicomi erano sia pubblici che privati ma precedentemente, all'incirca fino alla fine del Settecento, le malattie mentali venivano curate in casa o da medici generici e prelati. Con il sorgere di queste strutture organizzate, i casi violenti vennero finalmente isolati e i disturbi mentali studiati e suddivisi in tipologie. Diversi trattati, di grande utilità sociale, furono pubblicati. Purtroppo, però, come spesso accade con qualcosa di nuovo e ancora poco conosciuto, si abusò del loro uso e da cliniche divennero vere e proprie prigioni che sperimentavano pratiche crudeli su molte persone, specie donne, rinchiuse per patologie inesistenti come ad esempio l'interruzione di un ciclo mestruale, la sterilità o perché si opponevano alle convenzioni, a mariti despoti e famiglie accentratrici e, per questo, venivano bollate come isteriche. Questo romanzo, pur avendo una trama immaginaria, dà voce a quelle vittime inconsapevoli. Nel testo, suggestivo e introspettivo, si vive con la protagonista il dolore per la perdita della libertà e della dignità, il distacco dalle proprie certezze, il dubbio, l'isolamento e l'impossibilità di comunicare perché non compresi o non ascoltati. La protagonista rivela la sua storia pian piano, attraverso immagini e ricordi in flashback e il lettore ottiene, così, il resoconto accurato di un'esistenza che è stata la stessa di molte sfortunate giovani donne. La scrittura è morbida, suadente e talmente limpida da far percepire i contesti attraverso odori, rumori e visioni.
Un romanzo da leggere per pura curiosità o per riflettere. A voi la scelta.
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L'amicizia....quella vera
Quattro adolescenti amiche sin da piccole.
Una lunga estate da trascorrere separate.
Un paio di jeans acquistati in un negozio dell'usato.
Carmen, la brillante e passionale del gruppo, andrà in South Carolina per cercare di recuperare un rapporto con un padre distante fisicamente ed emotivamente.
Lena, timida e riservata, trascorrerà, con sua sorella Effie, le vacanze dai nonni in Grecia e qui, nella calda terra d'origine, proverà a sciogliere il suo cuore e ad aprirsi alla vita.
Bridget, vulcanica e irrefrenabile, sarà in Messico per un corso intensivo di calcio e dovrà fare i conti con i suoi istinti ed un profondo dolore.
Tibby, stravagante e rivoluzionaria, è l'unica che resta a causa di un lavoro estivo ma incontrerà una ragazzina che dissolverà le sue certezze.
Cosa c'entrano i jeans in tutto questo?
" C'era una volta un paio di pantaloni e quattro ragazze che li condividevano; le ragazze avevano corporature e taglie diverse ma quei pantaloni stavano bene a tutte e quattro".
Nasce così "The sisterhood of the travelling pants" o meglio "la sorellanza dei pantaloni viaggianti".
Durante l'estate che avrebbero trascorso separate, il pantalone, spedito da una parte all'altra del globo, sarebbe stato il tramite fra loro, il legame a distanza che le avrebbe confortate, infondendo loro sicurezza, saggezza e un pizzico di magia e....un'estate indimenticabile si dispiegherà dinanzi a loro.
"Quattro amiche e un paio di jeans" è il primo di una serie di romanzi scritti, a partire dal 2001, dalla statunitense Ann Brashares, incentrati su periodi di vita, esperienze, amori, dolori e legami di quattro sedicenni che affrontano la vita fino a diventare donne adulte.
Questo primo romanzo della serie affronta temi impegnativi come la morte, la malattia, l'amicizia, l'amore e i rapporti genitori/figli utilizzando un tocco raffinato e originale e una delicatezza fuori dal comune.
L'estate di ognuna, al passo con gli accadimenti, verrà narrata in terza persona e le brevi lettere che accompagnano il pantalone nelle varie spedizioni, vengono riportate in un grazioso corsivo rendendo tutto molto vero e personale. Piccoli e strampalati aforismi, introducono ogni capitolo.
Alle protagoniste ci si affeziona irrimediabilmente; le loro storie, il loro modo di affrontare la vita le sfumature dei loro caratteri fanno si che il lettore torni indietro a quel periodo straordinario che è l'adolescenza. Essa si dispiega con i suoi piccoli drammi, le sue grandi emozioni e le sue innumerevoli complicazioni. Ma alla fine, niente resta incompiuto.
Le quattro ragazze rappresentano, con le dovute e immancabili differenze, delle nuove "piccole donne" unite, nei momenti difficili, tanto da sembrare una persona sola. Spontanea e vivace, la trama coinvolge ed appassiona, rattrista ed incupisce, rallenta e fa riflettere e, la loro estate, diventa immancabilmente la nostra.
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C'era una volta......
Un giorno d'autunno del XVI secolo in una Londra antica e del tutto irriconoscibile, due bambini, i cui destini entreranno presto in collisione, emettono il loro primo vagito nel mondo.
Il primo, Tom Canty, è figlio di poveri che vivono in un cadente tugurio nel famigerato "Cortile dei rifiuti" in una zona malfamata della città.
Il secondo, invece, è Edoardo Tudor, rampollo di re Enrico VIII, accolto dal popolo inglese con un tripudio di gioia e speranza in quanto erede al trono d'Inghilterra.
Questi bambini, così diversi per destino ed estrazione sociale, sono però accomunati da una straordinaria somiglianza.
Diversi anni dopo, un caso fortuito li fa incontrare e dopo essersi raccontati le proprie vite decidono di scambiarsi i vestiti e, pertanto, i ruoli. Questo semplice atto innescherà una serie di rocambolesche disavventure per entrambi.
Catapultati in vite totalmente opposte alle quali non sono affatto preparati, vivranno, al limite, le situazioni più disparate imbattendosi in diversi personaggi ma, da tutte le esperienze trarranno un grande insegnamento fino a giungere al tradizionale lieto fine.
La storia narrata nel romanzo è racchiusa in una sorta di alone leggendario che mi ha lasciato la netta sensazione di avere a che fare con una storia vera che si perde nella notte dei tempi; una di quelle storie che, trasmessa oralmente per generazioni, giunge ai nostri giorni grazie allo scrittore che, venutone a conoscenza, l'ha resa popolare conservandone, intatto, il fascino.
Ma tutto questo non è reale, anche se mi piace pensarlo.
Tutto nasce dall'inventiva di Twain che, nel 1881, termina la stesura.
"The Prince and the pauper", questo il titolo originale, catalogato come romanzo storico/avventuroso possiede, in realtà, molto dell'impianto narrativo della fiaba in stile Grimm anche se di più ampio respiro. Per questa caratteristica la lettura risulta scorrevole ed appassionante riuscendo a coinvolgere lettori di tutte le età.
È stato considerato dalla critica, uno dei migliori lavori dello scrittore statunitense, sia per l'eleganza della prosa, sia per la sottile ironia che lo accomuna ad altri suoi scritti.
Utilizzando il tema dello "scambio dei ruoli", lo scrittore riesce a elaborare anche una sottile morale mai invasiva che aggiunge al panorama storico del romanzo anche un percorso formativo dove la maturazione del personaggio avviene avventura dopo avventura, assieme a quella del lettore. La prosa scorre fluida, mirabilmente incastonata in un'ambientazione rinascimentale che arricchisce i contesti rendendo godibili anche le parti più spigolose. Ci sono state diverse trasposizioni cinematografiche di questo romanzo proprio perché la storia si adatta benissimo sia al grande che al piccolo schermo. Ottima come lettura invernale. Una piccola grande chicca che continuerà ad affascinare generazioni.
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Pensavo fosse amore e invece.....
Rossella O'Hara, è una giovane donna, un fiore selvatico cresciuto a Tara, una piantagione della pigra Georgia sudista.
Qui, tra languidi paesaggi soleggiati e malinconiche nenie intonate dagli schiavi negri dediti alla raccolta del cotone, vive una vita prospera e agiata con la sua famiglia.
Corteggiata ed ammirata dai giovani del posto ma tenuta a distanza dalle coetanee per il suo carattere egocentrico e vanitoso, la ragazza ama segretamente il mellifluo Ashley Wilkes, rampollo della tenuta confinante delle Dodici Querce.
Ashley, però, è già promesso alla dolce e caritatevole cugina Melania Hamilton con la quale sta per convolare a giuste nozze.
La notizia dell'imminente matrimonio, colpisce Rossella quanto uno schiaffo in pieno viso.
Dominata, infatti, da un carattere capriccioso ed egoista, mal sopporta l'idea di arrivare seconda.
Durante una festa alle Dodici Querce, chiusi nella penombra di una stanza, Rossella si abbandona ad una vibrante dichiarazione d'amore, ma nello stesso luogo c'è qualcuno che, ben nascosto, ascolta divertito.
L'anonimo ascoltatore, che si rivelerà solo all'uscita di scena di Ashley, è l'avventuriero Rhett Butler, uomo di mondo dalla dubbia fama e mercenario della peggior specie, privo di scrupoli e sfacciatamente ricco.
Rhett, che capisce sin da subito l'indole di Rossella, la punzecchia divertito pur restando molto colpito dalla sua bellezza.
La ragazza, al contrario, falsamente scandalizzata dalla strafottenza e dall'irriverenza dell'uomo, risponde per le rime ed esce di scena.
Si chiude così il primo incontro/scontro tra i due protagonisti che gettano le basi di un rapporto tormentato che si protrarrà per molti anni della loro esistenza.
Sullo sfondo di queste dinamiche amorose, il meccanismo perverso della guerra di secessione americana muterà i panorami e dissolverà le certezze incidendo, a suo piacimento, sui destini di tutte le persone coinvolte.
Romanzo unico della scrittrice americana Margaret Mitchell, ebbe un enorme successo di pubblico e portò alla ribalta due anti eroi emblemi di un'America arrivista e senza scrupoli.
In tanti hanno amato il personaggio di Rossella, donna dalle mille risorse, coraggiosa e scaltra ma pronta a calpestare tutto e tutti pur di raggiungere i propri scopi e saziare i propri bisogni.
Personalmente, e non me ne vogliate per questo, l'ho detestata.
Non v'è alcun dubbio sullo spessore del personaggio che resta un capolavoro assoluto di caratterizzazione ma per me è stata quasi impossibile da sostenere anche solo attraverso la semplice lettura, che ho dovuto interrompere più volte. Rossella concentra in sé troppe negatività risultando esasperante e inconciliabile con la mia visione della vita, dei sentimenti e dei rapporti interpersonali. Apparentemente la sua figura sembra riscattarsi attraverso l'amore per Tara, l'amata terra natia, ma in realtà è solo un fuoco fatuo perché l'amore per la terra non le appartiene realmente, esso è stato semplicemente ereditato dal padre irlandese quindi è innato nel suo dna. Espressa questa piccola critica non posso che dir bene di tutto l'apparato narrativo messo su dalla Mitchell.
Potente e appassionata la ricostruzione degli scenari di guerra. Indimenticabile la fuga da un'Atlanta assediata dai nordisti. Romanzo storico che sfiora l'epopea epica mancando, però, di poesia e di tenerezza. Impossibile non considerarlo un capolavoro. Impossibile non amarlo ma io mi tiro fuori.
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La brughiera racconta.....
La brughiera dello Yorkshire è un luogo impervio, selvaggio, costantemente schiaffeggiato dal vento gelido del nord.
È una distesa che si perde a vista d'occhio modellata da basse colline rivestite di eriche, ginepri e pini scozzesi e soffocata da dense nebbie autunnali e da gelo invernale.
Se si attraversa questa landa desolata, si possono ancora scorgere in lontananza i resti di un'antica dimora.
Di essa, ormai, resta poco più d'uno scheletro derelitto tormentato da quel clima mutevole.
È l'antica dimora degli Earnshaw.
"Wuthering heights" racconta con la sua muta presenza, una storia di passione, vendetta e tormento.
Catherine e Heatcliff, cresciuti insieme come fratelli, sono giovani, ribelli, selvatici come il paesaggio che esplorano quotidianamente e stretti l'uno a l'altra da un legame che supera le barriere della morte stessa e fa di loro un'unica persona: l'amore.
Catherine però, ben presto entrerà in contatto con la famiglia aristocratica dei Linton, facendo la conoscenza del rampollo Edgar. I modi garbati del giovane e il luccichio del "bel mondo" a cui appartiene e al quale lei stessa ha sempre ambito, l'affascinano e la seducono. Si lascia, così, corteggiare e finisce col fidanzarsi con lui pur continuando ad amare Heatcliff nel profondo.
Ma quest'ultimo è molto diverso da Edgar; rozzo, rude, ignorante e di bassa estrazione sociale, non potrebbe offrirle la vita che desidera e che vuole ostentare.
Ed è questo tradimento al loro legame unico che scatena l'ira di Heatcliff.
Credendo di avere perso per sempre la ragazza di cui è perdutamente innamorato, abbandona Whutering Heights per cercare fortuna e riscatto sociale. Di lui si perdono le tracce.
Trascorrono alcuni anni, Catherine nel frattempo si è sposata con Linton ma, inaspettatamente, Heatcliff fa ritorno e metterà in atto la sua vendetta nel peggiore dei modi arrivando a colpire col suo odio implacabile persino la generazione successiva.
Siamo sempre stati abituati a considerare i protagonisti dei romanzi ottocenteschi come eroi positivi che attraverso mille peripezie, ottenevano un riscatto finale; ma i protagonisti di questa storia sono totalmente all'opposto. Ed è stata questa l'innovazione e la grandezza di Emily Bronte.
Heatcliff, è l'anti eroe per eccellenza; vendicativo e spietato tanto da apparire diabolico, rischiara il suo lato oscuro solo attraverso la proiezione dell'amore ossessivo per Catherine.
Heatcliff, totalmente contrapposto alla figura di Linton, scialbo e mite d'animo tanto da apparire inetto, resta l'unico personaggio della letteratura inglese a suscitare tanta rabbia quanto fascino e devozione da parte dei lettori, proprio per il suo amore appassionato e tormentato che è la sua unica fonte di sopravvivenza.
Cime tempestose, con la sua trama intramontabile e i suoi personaggi indelebili, resta il romanzo dei dualismi esasperati: vita e morte, bene e male, amore e odio, bontà e cattiveria, luce e ombra. Tutto questo ci riconduce al grande spettacolo della vita dove l'altalena delle tribolazioni umane diviene meccanismo perverso che si attiva alla nascita e che, talvolta, resiste anche dopo la morte.
Ed è questo che ci insegna il romanzo; le storie terminano, le persone trapassano ma le azioni compiute restano e talvolta riecheggiano nell'abisso dell'eternità.
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Rivelazioni
Isabel Allende si ripropone ai lettori nella veste insolita di scrittrice di thriller.
Portando in scena questo rinnovamento però, è riuscita ugualmente a non perdere il suo talento narrante e il suo punto di vista delicato rispetto ai personaggi femminili e alle dinamiche famigliari.
La trama del romanzo ruota intorno a due donne: una madre e una figlia adolescente.
Due personalità molto diverse a confronto.
Amanda è una ragazza fuori dall'ordinario; attratta dai risvolti oscuri dell'animo umano e con una passione smodata per l'investigazione e i killer seriali.
Sempre defilata dai ragazzi della sua età, vive un rapporto di affetto e complicità profondo con il nonno materno Blake Jackson, che condivide con lei la passione per Ripper.
Indiana, è una giovane donna; divorziata da anni da Bob Martin, padre di Amanda e ispettore capo della omicidi di San Francisco, si guadagna da vivere facendo la massaggiatrice in una clinica olistica ed è molto richiesta e apprezzata dai suoi clienti.
Ha buon cuore, un ricco amante, un caro amico sempre disponibile ed una bellezza che difficilmente passa inosservata.
Sullo sfondo di queste due vite si muove Ripper,
un gioco di ruolo on line ambientato nella Londra di Jack lo squartatore.
Solo sei utenti vi partecipano.
Sei amici virtuali molto diversi e distanti tra loro che vestono i panni di personaggi alternativi.
Quando a San Francisco iniziano a susseguirsi strani omicidi che all'apparenza non sembrano collegati fra loro, Amanda, attratta dai meccanismi perversi messi a punto nei delitti, decide, di comune accordo con gli altri utenti, di cambiare lo scenario di gioco e di spostare l'ambientazione nella metropoli per poter indagare da vicino questi crimini.
Ma i delitti sembrano avere un collegamento.
Un killer seriale si muove nell'ombra e Indiana, misteriosamente, scompare.
Le due cose sembrano essere collegate.
Amanda è l'unica a capirci qualcosa.
Ma il tempo scorre e bisogna agire in fretta.
Con un incipit impattante, il lettore si trova subito nel vivo del thriller. Gli avvenimenti verranno svelati lentamente, cambiando prospettiva da un personaggio a l'altro che, pagina dopo pagina, rivelerà qualcosa in più di sé. Si crea così una vera e propria empatia tra lettore e personaggi. Essi non sono semplicemente descritti ma scavati nel profondo, messi in evidenza attraverso i loro lati più deboli e umani restando, per questo, indelebili.
La trama non è originalissima ma ben orchestrata.
La penna della Allende, impeccabile, scorre morbida, fluida e puntella, con piccoli rimandi al realismo magico, tutto il romanzo fino ad arrivare a sdrammatizzare gli eventi più cruenti deviando l'attenzione sulla psicologia e sull'indagine. Per poter definire il romanzo un thriller a tutto tondo, a mio avviso, avrebbe dovuto essere leggermente più equilibrato; c'è troppa introspezione e poco brivido, ma tutto questo non
è veramente importante perché il risultato finale è comunque molto buono e la storia risulta godibile e appassionante.
Una carrellata di personaggi con le loro "storie di confine", accompagnano la vicenda di fondo senza annoiare o indebolire l'effetto finale. Se il risultato delle sperimentazioni di genere è questo, non ci resta che aspettare...di sicuro la Allende ci sorprenderà ancora.
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Passioni & delusioni
"Le gioie violente hanno violenta fine e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio".
(W. Shakespeare)
Questa è la storia di una passione giovanile che sboccia inaspettata e che dirompe come un fiume in piena ma, frenata da un fato avverso, si spegnerà in una sola notte portando un giovane innamorato sull'orlo del baratro.
Ma andiamo per ordine.
Basil, secondogenito di un'antica famiglia aristocratica inglese e grande appassionato di letteratura, è in giro per Londra per sbrigare degli affari.
Indeciso su quale mezzo utilizzare per tornare a casa, sale d'impulso su un omnibus (autobus dell'epoca) senza immaginare minimamente che quella scelta cambierà la sua vita per sempre.
Si imbatterà, infatti, in una ragazza accompagnata da una donna anziana.
La giovane, dai modi raffinati e dalla delicata bellezza, farà innamorare Basil al primo sguardo.
Purtroppo, però, la ragazza è figlia di un negoziante di stoffe e il giovane, per averla in moglie, dovrà sfidare le rigide convenzioni sociali imposte dall'epoca e l'autorità e l'orgoglio di casta di un padre moralmente rigido.
La personalità di Margaret (questo è il nome della ragazza) si svelerà pian piano e Basil si ritroverà ben presto a pagare caro il prezzo della sua scelta d'amore istintiva e poco razionale.
Romanzo introspettivo pubblicato nel 1852 che rientra nel filone della " Sensation novel" sviluppatasi maggiormente tra il 1860/1870 in Inghilterra e di cui Collins fu uno degli esponenti maggiori.
Il sensation novel catturava l'attenzione perché introduceva nella narrazione argomenti "sensazionali" per l'epoca che facevano presa sul pubblico perché ritenuti "scandalosi". Ed ecco quindi apparire la bigamia, il triangolo amoroso, il divorzio, le confessioni sul letto di morte, la prostituzione, ecc.
Molti spunti venivano presi dai giornali e dalle riviste di cronaca. I critici, a differenza del pubblico, non accoglievano favorevolmente questi romanzi perché restavano legati alla rigida morale vittoriana.
Basil non fu risparmiato dalle critiche ma ebbe ugualmente notevole successo di pubblico.
Collins narra questa storia partendo da un fatto vero di cui è venuto a conoscenza e con stile raffinato ed elegante tiene legato il lettore introducendo colpi di scena e suspence. Tuttavia non raggiunge la perfetta armonia della Donna in bianco, scritta subito dopo. I personaggi del romanzo restano indelebili nella memoria anche se in alcuni capitoli le loro azioni risultano esasperate ed esasperanti. La forma del diario personale è invece una scelta felice perché rende meglio l'introspezione del protagonista e dell'antagonista e accorcia le distanze con il lettore. Collins non si smentisce, scegliere di leggere una sua opera non porterà mai a delusioni. Decisamente consigliato!
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Oltre le apparenze
Una notte d'estate del 1860 a Road Hill House, una villa georgiana nei pressi di Trowbridge, viene commesso uno degli omicidi più agghiaccianti che l'Inghilterra vittoriana annoveri.
È la sera del 29 giugno e Saville Kent, un bimbo di soli tre anni, viene messo nella culla dalla bambinaia ma la mattina dopo non sarà ritrovato nello stesso posto.
Il suo corpicino senza vita, sgozzato da un taglio netto e profondo, verrà rinvenuto nella latrina sita in giardino.
La famiglia è sconvolta.
L'opinione pubblica inorridita.
Ci si pone una domanda: "Chi?" e sopratutto "Perché?"
Unici indizi: una finestra ritrovata aperta nel salone di casa e il cane di famiglia che ha abbaiato più volte durante la notte.
Nella casa dei Kent vivono 12 persone: Samuel Kent, il capofamiglia, Mary Ann la sua seconda moglie (in dolce attesa) e i loro tre figli Mary Amelia (5) Saville (la piccola vittima) e Eveline (1).
Ci sono anche i quattro figli nati dal primo matrimonio di Samuel: Mary Ann (29) Elisabeth (28), Costance (16) e William (14) e tre donne di servizio: la bambinaia, la cuoca e la cameriera.
Iniziano le indagini.
Qualcuno viene sospettato tra il personale di servizio ma....niente di fatto.
C'è bisogno di Scotland Yard.
Giunge sul posto Mr. Whicher, giovane rampante al top della carriera.
L'uomo condurrà un'acuta e sorprendente indagine e farà le sue valutazioni.
L'assassino avrà un volto? La società vittoriana sarà disposta ad accettare un eventuale verdetto?
Faccio subito una premessa: accostarsi a "Omicidio a Road Hill House" credendolo semplicemente un giallo sarebbe un grosso errore che porterebbe ad un inevitabile delusione.
L'opera della Summerscale è, in realtà, la miglior sintesi derivata da cronaca nera, saggio, inchiesta, romanzo storico, poliziesco e giallo/thriller.
Il caso è stato ricostruito dal nulla attraverso lo studio di centinaia di fonti che vengono riportate meticolosamente nella bibliografia. La scrittrice, attraverso la lettura dei giornali dell'epoca, è riuscita a risalire addirittura al tempo meteorologico dei giorni interessati. All'interno del testo sono stati collocati alberi genealogici, piantine, mappe e foto d'epoca che arricchiscono la narrazione.
Il "romanzo" ha diversi pregi: evidenzia i clamorosi errori commessi durante la prima indagine portando alla luce le pecche di un sistema giudiziario totalmente impreparato a determinati accadimenti; dona uno splendido affresco sulle famiglie borghesi e le loro ipocrite facciate; uno spaccato di vita dell'epoca e uno sguardo malizioso sui rapporti personali gestiti all'interno delle famiglie borghesi apparentemente prive di vizi.
La figura stessa di Whicher, riportata alla luce dalle poche notizie ricavate dai rapporti, fu fonte di ispirazione per gli scrittori dell'epoca (Wilkie Collins, Charles Dickens, Conan Doyle) che ne trassero, successivamente, i loro migliori personaggi della neonata "detective novel".
Per la prima volta abbiamo il "detective che rompe gli schemi prefissati" scandalizzando l'opinione pubblica con constatazioni e sicurezza. Quindi, questo non è un romanzo ma un vero e proprio saggio storico.
L'abilità della scrittrice sta nel rendere il tutto godibile, istruttivo, scorrevole, appassionante, e narrativamente valido. Questa è una vera "Bibbia" per gli appassionati di letteratura vittoriana e per chi ne voglia sapere di più sulla nascita della detective novel made in UK.
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Un temporale inaspettato
" E adesso che mi hai fatto tuo, cosa intendi fare di tutti questi pezzi? Pensi di costruirci qualcosa o vuoi semplicemente riporli in una scatola?"
S.M.May continua la sua avventura di scrittrice parlandoci ancora una volta d'amore.
Dopo aver esordito con un chick lit romantico e scanzonato, eccola catturare nuovamente l'attenzione del lettore con un romanzo breve ma più impegnato che racconta "l'amore diverso", semplicemente e naturalmente com'è nel suo stile.
Nuvole, è la storia di un temporale improvviso che ha sorpreso la vita apparentemente lineare di Luca.
Mircea è quel temporale.
Un primo incontro....lievi turbamenti....e poi....la vertigine.
Precipitare nell'abisso di un bacio rubato sotto una pioggia battente vegliati da una Padova notturna che saluta, a suo modo, una semplice serata tra amici.
Ed ecco che tutto cambia.
I pensieri, le azioni, i bisogni.
Luca si muove in un crogiolo di sentimenti nuovi e paure irrazionali dettate dal contesto.
Si può spazzare via una vita tranquilla, abitudinaria e confortante per seguire un'emozione? O c'è di più?
Bea, la compagna di sempre, inconsciamente se lo chiede e, vigilando saggiamente, attende le inevitabili conseguenze da sensibile spettatrice.
La storia che ci viene proposta è una storia d'amore pura, senza artificiosità.
Essa è stata armonicamente inserita in un contesto quotidiano dove l'autrice si muove con disinvoltura e ritrova il vicino di pianerottolo o l'amico d'infanzia che improvvisamente vive una realtà diversa.
I temi dell'omosessualità sono trattati con delicatezza e rispetto. Tutto rientra nella normalità. Perché la normalità è anche questo e così deve essere. Niente pregiudizi per un diverso che non capiamo o non vogliamo capire. Solo disponibilità e aperture. Per questo ho particolarmente apprezzato il personaggio di Bea quale discreta spettatrice di un cambiamento esteriormente silenzioso ma internamente frastornante.
Inoltrandosi nei capitoli incappiamo in inevitabili scene di sesso che stranamente non disturbano l'armonia generale della narrazione. Anche in questo caso tutto sembra rientrare nella norma. Stiamo spiando un amore fra uomini...istintivo, primitivo e passionale.
Niente erotismo velato o notti d'amore interminabili.
Solo sesso...ma messo in pratica con amore.
Ho trovato l'arco temporale in cui la storia si dipana un po' troppo striminzito e questo penalizza un po' il vissuto stesso dei personaggi che vengono costretti ad agire troppo velocemente senza soffermarsi sulle interiorità che sono importanti per dare ancora più spessore ad una storia che affronta questo tema. La forma è ancora un po' acerba e talvolta risulta arrangiata ma il risultato finale è buono.
Ne consiglio la lettura.
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Dov'è finita Bridget Jones???
Bridget è una poco più che trentenne in evidente crisi emotiva e alla ricerca disperata dell'anima gemella.
L'obiettivo? La costruzione di un roseo futuro e l'abbattimento di elaborati complessi adolescenziali eretti in anni di fallimenti cosmici.
La trama del romanzo è tutta qui; e pure, nella sua semplicità fatta di pensieri disordinati e di aneddoti strampalati messi su carta, Bridget resta il personaggio più amato dalle lettrici di chick lit di tutto il mondo.
Una vera e propria icona "falsamente negativa" che riprende il modello femminile più comune della ragazza goffa e un po' sfigata.
Bridget, "sempre la damigella e mai la sposa" (dove l'ho sentita?....ahhhh...si!), tiene un diario di buoni propositi per cambiare vita e lo aggiorna di volta in volta con le sue disavventure amorose, lavorative e famigliari, utilizzando un linguaggio giovanile che talvolta sfocia nello gergale catalizzando l'attenzione.
Il fulcro di queste disavventure convergono intorno alle due figure maschili che irrompono prepotentemente nei suoi "sogni mostruosamente proibiti".
Il primo è Daniel Cleaver, il capoufficio belloccio fuori e bastardo dentro, che seduce e fugge da seri impegni emotivi.
Il secondo è Marc Darcy, l'avvocato brillante, l'uomo "tutto d'un pezzo" dal carattere scontroso modellato ad hoc, sul Darcy della Austen, che le viene segnalato dalla madre.
Il romanzo venne pubblicato inizialmente su di un quotidiano inglese sotto forma di rubrica. Divenne presto seguitissimo e ne fecero un best seller.
Questo libro non dovrebbe mai, e sottolineo mai, essere letto dopo aver visto il film. Tutte le particolarità, l'atmosfera briosa, i dialoghi, i ritmi scorrevoli, l'ironia dirompente rese ottimamente dal cinema vanno a farsi benedire in favore di una storia piuttosto lenta, tediosa e un po' nevrotica che sulla carta risulta addirittura discontinua. Ci resta sicuramente un po' dell'ironia british della Fielding ma il tutto è ovattato, sottotono. Non ho apprezzato la storia resa solo ed esclusivamente sotto forma di diario...va bene per un quotidiano ma non per un romanzo elevatosi ad icona generazionale. Nota positiva: un buon quadro di quelli che sono stati gli anni 90 londinesi, reso attraverso la descrizione di modelli di vita e di quotidianità.
Impressione finale: deludente!
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Un romanzo che dovrebbe tornare di moda
Louisa May Alcott (Piccole donne), pubblica nel 1870
"An old fashioned girl" (questo il titolo originale), romanzo che racconta l'amicizia tra due adolescenti di diverso ceto sociale ma divise da una contrastante visione della vita.
Polly Milton, ragazza di campagna quattordicenne semplice e virtuosa, trascorre un periodo di tempo in città presso la casa dell'amica Fanny Shaw, rampolla di una famiglia aristocratica, su invito di quest'ultima.
In casa con lei vivono la sorellina Maud, il fratello Tom, i due genitori e l'anziana nonna.
Polly viene accolta con affetto da tutti i componenti della famiglia ma l'ambiente in cui si ritrova, essendo molto diverso dal suo, ben presto la deluderà.
Fanny, infatti, è una ragazzina piuttosto viziata, frivola, attratta sfrenatamente dal bel mondo e dai suoi falsi luccichii. La ragazza vive di apparenza trascurando sentimenti e valori importanti ottenendo, per questo, il biasimo dell'amica.
Tom, il fratello, apprezza la diversità di Polly, così vera, semplice e profondamente umana, tanto da restarne affascinato e stringere con lei un forte legame d'amicizia.
Col passare dei giorni e di varie situazioni, i componenti della famiglia Shaw vengono positivamente influenzati da questa presenza ma la vacanza di Polly sta terminando e arriva il giorno della partenza.
Tra le lacrime generali riecheggia la promessa di rivedersi in un futuro prossimo.
Trascorrono sei anni e ritroviamo due ragazze ormai adulte.
Funny è sempre la stessa ragazza frivola e perennemente annoiata mentre Polly, che vive del suo lavoro sostenendo anche suo fratello Willy agli studi, è felice ed appagata. Ma gli scenari stanno per cambiare; Polly, con la sua saggezza e la sua integrità morale, insegnerà all'amica il senso della vita ottenendo, come ricompensa dal destino, un giovane e tenero amore.
Questo romanzo che si sviluppa in venti capitoli, non ha la pretesa di collocarsi come romanzo formazione ma di sicuro è sulla buona strada.
Non voglio soffermarmi sullo stile, che ho trovato piuttosto lacunoso rispetto a Piccole donne, ma guardare oltre, alla valenza dell'opera. Seguendo la cronaca di questi giorni sulle "baby squillo", mai lettura fu più meditativa.
Vero e proprio classico in rosa nonché forte inno alla vita (velatamente sdolcinato ma altamente morale) mi sento di consigliarlo a tutte le adolescenti che hanno cancellato i sogni seguendo falsi miti e a tutti quei genitori che non vogliono vedere al di là di una porta chiusa a chiave.
Noi, "ragazzi" degli anni 80, abbiamo vissuto l'ultimo barlume di normalità.
Pura fortuna la nostra ma cosa resta ai ragazzi del 2000.? All'orizzonte solo una società che non hanno scelto, paure, incomprensioni e un profondo buco nero che ha ingoiato tutte le loro prospettive.
Meditiamo gente....e scusatemi per questo piccolo sfogo.
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Lo straniero che venne dal mare
Ho cercato questo racconto di Joseph Conrad in lungo e in largo ma non l'ho mai trovato in edizione italiana.
Qualche tempo fa, però, dopo aver acquistato un ebook reader e spulciato tra i libri dello store, sono incappata nell'edizione della biblioteca di repubblica, con possibilità di lettura in inglese.
Non ci credevo!
Mi sono detta:" Finalmente!!!"
Dopo essermi emozionata col bellissimo film "Lo straniero che venne dal mare", dovevo assolutamente leggere il libro.
In realtà non siamo di fronte ad un romanzo ma ad una "short story", un racconto breve, (troppo) con una protagonista (che poi protagonista non è) davvero insolita.
In una piccola contea inglese vive Amy Forster, creatura silenziosa e defilata dal resto del mondo.
Chiusa in una sorta di bolla di vetro che la rende incomprensibile alla gente del posto tanto da essere considerata la "scema del villaggio", avrà il coraggio di avvicinare il romeno Yanco, un giovane che, partito da una zona remota dei Carpazi per cercare fortuna in America, verrà sorpreso da una tempesta e si ritroverà naufrago sulle coste inglesi.
In cerca d'aiuto sarà trattato da appestato, vittima della xenofobia locale pilotata dall'ignoranza.
Amy avrà per lui una sincera pietà ed una profonda comprensione tanto da colpirlo a tal punto che Yanco se ne innamorerà e, di lì a poco, la chiederà in sposa.
La storia è narrata in terza persona dal medico del villaggio (quale conoscitore della vicenda) ad un suo amico.
In queste pagine c'è l'essenza stessa di Conrad. Troviamo tratti autobiografici che lo avvicinano al personaggio di Yanco e tematiche a lui care che rendono la narrazione personalissima. Peccato però che il tutto duri un soffio. È una storia che avrebbe tutte le caratteristiche per decollare ma è poco sviluppata e non si ha il tempo materiale per entrare in simbiosi con personaggi e vicenda.
Amy, è lasciata troppo all'interpretazione del lettore; la sua influenza c'è ma è quasi impercettibile se si compie una lettura poco attenta. Il perno centrale è Yanco che con il suo drammatico vissuto ci immette in un contesto più ampio. Ne consiglio la lettura.
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Ricordando....via xx settembre
Romanzo autobiografico che, sul filo trasparente della memoria, recupera episodi di vita vissuta dall'autrice e dalla sua famiglia partendo dal lontano 1958 quando lasciarono Agrigento per stabilirsi a Palermo.
Gli Agnello, famiglia piuttosto benestante, composta da Simonetta (l'autrice), Chiara (la sorella) e i due genitori, lasciano Mosè frazione di Agrigento, con un carico di malinconia ma ricolmi di aspettative per il futuro.
La Palermo che li accoglie è famigliare, movimentata e resa dolce dall'affetto dei parenti e da quel grazioso appartamento di via XX settembre.
Le abitudini cambiano inevitabilmente e tutti cercano di adeguarsi e tenersi al passo.
Simonetta, all'epoca tredicenne, trae conforto e sicurezza dalla sola vista dell'amato monte Pellegrino, che sembra quasi sostituirle nell'immaginario la figura paterna. Il monte, infatti, conforta, rasserena e protegge anche al solo pensiero.
L'autrice descrive strade e panorami, profumi intensi, persone, gesti, usi e costumi che fanno da contorno ad una Sicilia ormai lontana.
Dai capitoli affiorano figure diverse: una madre premurosa dedita alla famiglia (donna intelligente che sopporta con muta rassegnazione le pecche di un marito infedele e poco presente fisicamente, solo per attenersi a regole dettate da una società, all'epoca, piuttosto arretrata); un padre che rifiuta la città rifugiandosi nella campagna agrigentina, nelle discussioni politiche e nelle passioni carnali; una bambinaia ungherese dal personalissimo vissuto e da tutti molto amata; un autista factotum fedele da sempre alla famiglia Agnello e Chiara, la sorella timida e cagionevole di salute.
Niente è stato cancellato dalla memoria di Simonetta. Tutto è ben presente nonostante siano cambiati gli orizzonti e siano trascorsi anni. Eccola descrivere le splendide pasticcerie della zona Politeama con le paste fresche e i pupi di zucchero delle feste; la vita nel liceo ginnasio Garibaldi, le feste tradizionali condivise con i cugini, la lettura dei libri e quel lontano primo ballo.
Questo romanzo resta un progetto ben concepito ma non decolla.
Lo stile e la scrittura della Agnello Hornby non sanno mettere in risalto la memoria del cuore con quei sentimenti e quelle emozioni che riuscirebbero a travolgere il lettore più distratto.
Abbiamo solo immagini...tante, impresse nella mente dell'autrice e che vengono riportate al lettore meccanicamente, senza poesia né tenerezza, emozioni queste, che non dovrebbero assolutamente mancare in un romanzo della memoria. Una scrittura totalmente asettica.
Durante la lettura mi è sembrato di confondermi per un attimo col piccolo protagonista del film Malena di Tornatore; spiavo gli accadimenti attraverso una persiana socchiusa, osservavo vite di gente sconosciuta, sentivo parlare di luoghi mai visitati e di eventi disparati ma, a differenza sua, non ne ero coinvolta anzi, ero annoiata. Ed è questo quello che mi ha lasciato questa narrazione tanta, tanta noia. Peccato.
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Lezioni di vita
Stufi dei metodi tradizionali?
Maniaci dei dettagli tanto da voler essere ricordati come tali anche in morte?
Il negozio degli aspiranti suicidi offre una vasta gamma di prodotti infallibili e idee davvero originali.
Preservativi bucati per chi decidesse di morire per mezzo di una malattia venerea;
praticissime lamette arrugginite per una rapida trasmissione del tetano;
antiche sciabole affilatissime per un harakiri glorioso e, per i più esigenti, veleni fatti in casa con tanto di ricetta.
Il tutto andrà a riempire buste da imballaggio biodegradabili dove spicca una frase:
"Hai fallito nella vita? Con noi non farai fiasco nella morte".
Eh sì! La famiglia Tuvache è proprio unica e la sua gestione del negozio è impeccabile ormai da generazioni.
Il loro motto è: " Morti o rimborsati", ma nessuno è mai tornato indietro a reclamare.
D'altronde la merce è garantita da fornitori di prim'ordine come la stimata ditta "Me ne frego della morte".
Ma chi sono i Tuvache?
Mishima, è il capofamiglia, colui che tiene le redini; sua moglie, Lucrèce, è l'addetta ai veleni; il primogenito Vincent, costantemente attanagliato da terribili cefalee, è il progettista del parco giochi per suicidi; la secondogenita Marilyn, è una ragazza complessata e depressa cronica e Alan, il più piccolo, è "la pecora nera".
Nato per sbaglio dal collaudo di un preservativo bucato, presenta un grosso difetto: é un portatore sano di felicità; dove gli altri detengono il primato di negatività e tristezza, lui contrappone sorrisi e buonumore.
I genitori sono disperati; questo figlio snaturato è inaccettabile ed è una vera calamità per l'attività dei Tuvache.
I clienti, ai suoi sorrisi, restano fortemente impressionati e potrebbero cambiare idea all'ultimo istante.
Come risolvere, dunque, questo "piccolo" inconveniente?
Jean Teulè, l'autore di questo romanzo breve, è stato prima di tutto un fumettista.
In effetti, leggendo si ha proprio l'impressione di essere catapultati in una tavola.
Nel fumetto ci sono le illustrazioni, i colori, la prospettiva, l'armonia e il ritmo narrativo. Nello stesso identico modo è stato concepito questo libro; mancano solo le illustrazioni ma con personaggi del genere e così ben congegnati, è impossibile non disegnarli nella testa.
Ogni capitolo è una vignetta esilarante.
Con stile fresco, immediato e brillante, l'autore affronta il tema della morte utilizzando toni dissacranti, fino ad arrivare a prendersene gioco.
Si finisce così per demolire l'aurea di sacro ed innominabile che si dà alla parola stessa. Personalmente, ho trovato l'idea del romanzo assolutamente geniale; una vera e propria favola noir per adulti che rinnova in ogni lettore l'amore per la vita e rilascia, generosamente, una nuova visione del mondo e un messaggio morale per nulla scontato.
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La metafora della vita
Questo romanzo inizia con una passeggiata.
È una passeggiata notturna attraverso le vie di una Londra addormentata, compiuta da un uomo di mezza età che diverrà narratore della vicenda.
L'uomo, incappa casualmente in una bambina che, smarritasi, gli chiede la strada di casa.
Sorpreso e intenerito dalla delicata figura solitaria, decide di farle da chaperon, scoprendo così il posto dove vive.
Nell, questo è il suo nome, è orfana e abita con suo nonno nelle stanze attigue alla piccola bottega di anticaglie di loro proprietà.
Ha un fratello maggiore che, non essendo proprio uno stinco di santo, vive di espedienti per conto proprio.
L'affetto tra il nonno e Nell è profondo e reciproco; insieme affrontano le giornate curandosi vicendevolmente.
Il vecchio, però, nasconde un segreto.
Ogni notte, esce furtivamente per andare a giocare d'azzardo sperando di vincere una somma di denaro tale da poter garantire a sua nipote un sereno avvenire alla sua morte.
Purtroppo, perdendo continuamente, dà fondo ai pochi soldi ed è costretto a chiedere dei prestiti a Quilp, un nano usuraio molto conosciuto perché oltre ad essere ripugnante nell'aspetto, è senza scrupoli e quindi molto temuto.
Questa sarà la sua vera rovina.
Non potendo restituire il debito, sarà costretto a consegnare casa e bottega nelle mani del perfido "mezz'uomo" che subito ne approfitta occupando la loro casa spalleggiato dall'avvocato di fiducia.
Anche Quilp ha uno scopo.
Ha messo gli occhi addosso a Nell e vuole poterla soggiogare.
Il vecchio, comprese le sue intenzioni, fuggirà di nascosto con la nipote e inizia a peregrinare da una parte a l'altra di Londra vivendo di accattonaggio fino a migrare verso territori più a nord.
Avranno, così, il modo di incontrare le persone più disparate.
Ma non c'è serenità per i due poveri sventurati; il nano Quilp è sempre sulle loro tracce.
Non mi sento di parte nell'affermare che questo libro ha uno degli incipit più affascinanti di tutta la produzione dickensiana. La trovata originale è proprio la presentazione della storia fornita da un protagonista inconsapevole che resta nell'anonimato ma che diviene narratore. Viene facile ipotizzare che questa figura e Dickens siano in realtà la stessa persona.
La trama è ricca di personaggi ognuno con le loro peculiarità; se ci si sofferma su di loro si ha quasi l'impressione di rovistare in quella bottega di anticaglie e cianfrusaglie che dà il nome al romanzo ma che non diviene mai protagonista assoluta; essa fa solo da sfondo alla vicenda. La figura del nano è il vero e proprio capolavoro di caratterizzazione di tutto il romanzo; la sua figura sintetizza i mali del mondo impersonando la parte cupa e grottesca della storia in netta contrapposizione con Nell, che rappresenta la luce, la trasparenza e il bene. Indimenticabili le scene in cui soggioga sua moglie, vittima impotente della sua malvagità.
Questo romanzo è in realtà un'imponente metafora sulla vita dove bene e male si incontrano e scontrano con risultati disastrosi. Una storia scritta magistralmente e con un finale sorprendente e commovente.
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Geisha per amore
Memorie...da un passato che sbiadisce i suoi contorni.
Memorie...di una bambina dagli occhi verde acqua.
Memorie...di un amore profondo come il Pacifico.
Memorie...di vite donate ad uomini che ne traggono piaceri.
Un fiume di parole scivola via dalla penna di Arthur Golden riversandosi sulla carta; sono parole che provengono da lontano, dalla voce tremolante di un io narrante al femminile che racconta il paese dei lussureggianti mandorli in fiore.
Questa è la terra dei giardini zen, profanati da trasparenti acque che scivolano su pietre levigate e sulle quali si ergono piccoli ponti in pietra.
È la terra dei templi che, come immobili cattedrali, inondano di silenzio le vie dei mercanti.
È la terra del sacrificio.
È la terra dell'obbedienza.
È la terra delle geishe.
La piccola Chiyo è nata povera come povera è la sua famiglia.
Suo padre è un pescatore taciturno, scontroso....è un uomo che ha perso tutto e l'ha riconquistato a fatica chinando le spalle dinanzi all'esistenza.
Sua madre è una donna dalla bellezza sfiorita, consumata da stenti e duro lavoro ma che ha dentro l'anima l'impetuosità di un torrente e il temperamento di un samurai. Solo la malattia riesce a sconfiggerla.
Ed è così che Chiyo e sua sorella Satsu assistono attonite alla fine della loro fanciullezza.
Due strade si diramano dinanzi a loro: per Satsu c'è la via del bordello; per Chiyo la via delle geishe.
La disperazione della separazione e del cambiamento, la scelta obbligata di una vita del tutto sconosciuta, il disagio dato da un ambiente rigido e spietato, precipitano Chiyo nel buio pesto dello sconforto.
Ma in quel buio, una luce si riflette sulle rive del Sunagawa.
Un uomo....
un gesto....
una voce che infiamma il cuore, che abbatte lo sconforto e che indica il cammino per il domani.
Il sogno di poter arrivare a lui può essere realizzato soltanto seguendo quell'unica strada dalla quale tenta disperatamente di fuggire.
Inizia così, per amore, il duro percorso di formazione che la vedrà crescere; Chiyo scompare e al suo posto appare Sayuri, la donna dagli occhi trasparenti, la bella rivale da eliminare, la geisha più desiderata dagli uomini.
Ma la guerra, con le sue brutture, spazzerà via i segreti e i rancori di quel mondo antico segnando per sempre gli animi e i volti dei protagonisti.
Questo romanzo riesce ad essere un vero e proprio contenitore di generi disparati: è un diario personale, una biografia, un romanzo di formazione, uno spaccato di storia e antiche tradizioni giapponesi nonché una splendida storia di passioni e conflitti.
La scrittura di Golden è morbida e delicata come carta di riso, raccoglie dettagli senza mai annoiare e si distende sui personaggi presentandoli al meglio attraverso nitide immagini. La cultura dello scrittore emerge continuamente suggerendo risvolti e spiegando gesti ma senza porsi ad un gradino superiore. I personaggi principali hanno spessore e carisma ed è impossibile dimenticarli. Un romanzo davvero coinvolgente e velato da un romanticismo pragmatico. Sono immensamente felice di averlo scoperto e vissuto dentro e soprattutto di poterlo consigliare senza ombra di dubbio.
Dal giallo British al thriller: poco piacevole!
Ed eccoci all'ultimo romanzo della raccolta Einaudi.
Questa volta Holmes si ritrova a dover decifrare un codice inviatogli da un tale Fred Porlock.
Il messaggio contiene un'avvertimento: Mr. Douglas, residente nel castello di Birlstone, nella regione del Sussex, è in grave pericolo.
Anche il detective MacDonald lo va a trovare per lo stesso motivo solo che non c'è più tempo di salvare nessuno: Douglas è già morto.
Insieme, quindi, decidono di intraprendere il viaggio per andare ad esaminare la scena del delitto.
Il castello ha un fossato tutt'intorno, il cadavere è orrendamente sfigurato, c'è una strana impronta di sangue sul davanzale della finestra, una moglie bellissima che vive sotto lo stesso tetto ed un simbolo misterioso sul braccio della vittima.
Qualcosa non quadra e....niente è come sembra.
Dopo una attenta analisi dei particolari in perfetto "stile Holmes", il caso viene risolto in quattro e quattr'otto con alcuni colpi di scena e con i riflettori puntati su personaggi alquanto ambigui.
Qui si chiude la prima parte del romanzo.
La seconda parte narra, invece, l'antefatto della vicenda che ha il sapore "metallico" di un thriller all'americana.
La matassa è piuttosto ingarbugliata. A complicarla ulteriormente subentrano personaggi, società segrete e una vecchia conoscenza di Holmes, il professor Moriarty, uomo dall'intelletto acuto e dalle grandi abilità criminali che rappresenterà la spina nel fianco del grande detective per tutta la sua carriera di detective.
Si chiude così il ciclo dei romanzi sulle avventure a tinte gialle di Holmes e del fidato collaboratore/biografo Watson.
Dopo un inizio entusiasmante e dalle buone premesse, che però non si sono avverate, ci ritroviamo a leggere di un caso risolto davvero troppo velocemente; non si ha il tempo di gustare l'insieme che ci si trova subito immersi in una seconda parte dove tutte le premesse sbiadiscono in favore di una storia, indubbiamente colorita ed avvincente ma che prescinde dalle avventure del detective e quindi annoia un po'.
Lo stile di Doyle è, come sempre, impeccabile anche se stavolta si è lasciato risucchiare da un modello tutto nuovo di poliziesco che non appartiene affatto al "keep and calm" inglese.
Questo romanzo mi ha convinta poco.
Ne consiglio ugualmente la lettura per rinforzare il giudizio positivo nei confronti di altre migliori avventure.
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Quel mastino di.....Holmes
Avventura in trasferta per il nostro Holmes.
Questa volta lasciamo Londra per un po' e ci trasferiamo nella suggestiva regione del Devonshire, dove la brughiera, le paludi, le coltri nebbiose e i manieri isolati creano l'ambientazione ideale per il delitto.
Tra queste grandi tenute spicca quella dei Baskerville, un'antica e nobile casata che pare essere perseguitata da una terribile maledizione che ha origini nel passato stesso della famiglia e che vede i suoi membri cadere vittime di un grosso cane assassino dall'aspetto demoniaco.
La gente del posto ci crede fermamente e così il dottor James Mortimer, amico di Sir Charles Baskerville deceduto da poco in circostanze poco chiare.
Mortimer si presenta ad Holmes per cercare un aiuto concreto per il nipote di Sir Charles, Henry, appena arrivato dall'estero e che deve rimpiazzarlo nel lussuoso maniero.
Sir Henry, infatti, potrebbe trovarsi in serio pericolo se le dicerie sulla morte di Sir Charles risultassero reali.
Uno scettico Holmes, chiamato in causa, accetta di buon grado il caso e manda il fidato Watson ad effettuare il sopralluogo e come bodyguard di Sir Henry.
Dal maniero, verranno inviati periodicamente dei rapporti ad Holmes che, essendo rimasto a Londra per impegni improrogabili, dovrà risolvere il caso a distanza.
Questo romanzo breve è, dalla sua prima comparsa in pubblico, l'avventura più amata del grande detective e anche quella più gettonata dalla cinematografia ufficiale.
Effettivamente le ambientazioni suggestive e la trama surreale ben si prestano al retroscena del giallo.
Tuttavia, credo che tra le avventure del detective, questa sia la più banale e scontata.
La figura del cane/demonio non convince sin dall'inizio del racconto e tra i personaggi si individua subito la "campana stonata". Resta comunque una lettura piacevolissima e ben scritta ma meno appassionante e appassionata.
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Sempre più....Holmes!
Sherlock Holmes si annoia.
Quando non ci sono nuovi casi a stuzzicargli l'appetito intellettuale, cade in una sorta di "paranoia" e per scuotersi utilizza un metodo poco ortodosso: si inietta cocaina in piccole dosi tanto per tenere la mente sveglia ed allenata.
Watson è basito, non riesce a credere ai propri occhi e rimprovera un Holmes che fa orecchie da mercante.
Ma lo stato di noia non dura a lungo.
Miss Morstan irrompe in casa sottoponendo un nuovo, imperdibile caso.
Dieci anni prima, suo padre ufficiale di un reggimento in India, dopo lungo tempo in cui era stato lontano, rientra in Inghilterra per riabbracciare sua figlia. Una volta arrivato a Londra, però, scompare misteriosamente senza lasciare traccia. Era il 3/12/1878.
Trascorsi quattro anni dalla scomparsa, sul quotidiano Times qualcuno inserisce un messaggio per la ragazza chiedendole l'indirizzo e pregandola di rispondere perché la cosa si sarebbe rivelata assai vantaggiosa.
Cedendo alla richiesta, la giovane si vede recapitare ogni anno alla stessa data una scatoletta contenente una perla rarissima senza traccia alcuna del mittente.
Trascorsi sei anni, proprio nella mattinata in cui si rivolge ad Holmes, Miss Morstan ha ricevuto una lettera dove le si propone un incontro con un amico che deve ripagarla di un torto subito. Ed è questo il motivo che la spinge a rivolgersi al brillante detective. Vuole farsi accompagnare ed Holmes, con Watson al seguito, accetta.
Ad attenderli c'è uno dei figli del maggiore Sholto, vecchio amico e commilitone del padre della ragazza, che prima di morire ha raccontato ai suoi due figli (Taddeo e Bartolomeo) la storia di un tesoro, la verità sulla morte del padre di Miss Morstan e un tradimento ai danni di quest'ultima del quale non fa in tempo a parlare perché muore.
Il giorno seguente alla confessione la stanza viene ritrovata tutta a soqquadro e sul corpo senza vita spicca un biglietto con su scritto: "Il segno dei 4".
Parte da qui un indagine dai vari risvolti e con diversi colpi di scena che porteranno ad un finale rocambolesco degno di CSI e ad un delicato "tête à tête" per uno dei protagonisti principali.
Questo secondo romanzo è stato da me particolarmente apprezzato soprattutto perché vi ho ritrovato tutti quei piccoli dettagli e tutte quelle atmosfere che adoro quando mi immergo nella lettura di un romanzo ambientato nella Londra di fine ottocento.
Per quanto concerne "il giallo" invece, non essendo un'esperta, non posso sbilanciarmi in elogi ma sono convinta che non deluda nemmeno gli "irriducibili" in quanto ben scritto e con tutti i meccanismi narrativi al posto giusto che si intrecciano con armonia. E poi, con personaggi così ben delineati ed intramontabili chi potrebbe mai annoiarsi o parlarne male? Naturalmente, si fa per dire".....Buona lettura!
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Uno studio....approfondito
Su gentile richiesta ho deciso di effettuare un resoconto più accurato dei romanzi che si trovano all'interno della raccolta Einaudi, partendo da questo primo scritto.
Il dottor Watson, ex ufficiale medico dell'esercito britannico dopo aver prestato un onorato servizio nella guerra in Afganistan e aver ricevuto in cambio solo cicatrici, rientra nella società borghese ma, non avendo lavoro trascorre il suo tempo nell'ozio e nello sperpero del poco denaro a disposizione; decide, quindi, di ridimensionarsi partendo col trovare un'appartamento più modesto da condividere con qualcuno.
L'occasione gli si presenta presto grazie ad un amico, e così fa la conoscenza del bizzarro Mr.Holmes.
Holmes è un'appassionato di scienza e ama risolvere i casi più intricati di cronaca nera servendosi di una vasta cultura ed esperienza solo però in alcuni campi, restando altamente limitata in altri.
Essendosi fatto un nome tra le forze dell'ordine locali, viene spesso chiamato per effettuare consulenze nei casi più difficili, lasciando poi il merito della risoluzione al detective di turno.
Ed ecco l'amata coppia condividere l'appartamento e trovarsi di fronte al primo caso sottoposto dai due detective di Scotland Yard Lestrade e Gregson.
Holmes utilizzando il suo metodo deduttivo fornisce un identikit perfetto dell'assassino e traccia un quadro investigativo memorabile attingendo dai pochi elementi che gli si presentano innanzi. Abbiamo a che fare con un caso di vendetta perpetrato ai danni di due uomini Drebber e Stangerson che in passato avevano compiuto azioni non troppo limpide in seno ad una comunità di mormoni.
Watson, ne resta stupefatto e ammirato e di lì in poi sarà lui a scrivere e pubblicare le memorabili imprese dell'amico.
Romanzo d'esordio e di presentazione dove vengono descritti al pubblico i due personaggi più amati dai giallisti di tutto il mondo e i loro luoghi d'azione.
Con delicata ironia e grande abilità retorica, Conan Doyle, introducendo Holmes, descrive anche un modo di essere e di vivere, un periodo e dà una sottile caricatura ( definibile anche "critica mirata") delle forze dell'ordine dell'epoca. Il ritmo del romanzo è ben scandito e suddiviso in sequenze ben premeditate. Ne deriva una lettura pratica e scorrevolissima che permette, anche al lettore più sprovveduto, di indagare per proprio conto.
Sherlock Holmes.....l'uomo senza tempo
Al 221b di Baker Street, una leggera brezza penetra dalla finestra socchiusa del soggiorno sollevando le tendine e lo strato di polvere che si è accumulato sugli oggetti e i ricordi appartenuti al glorioso passato di uomo brillante.
Più di cent'anni sono trascorsi ma l'aroma della sua pipa di radica impregna ancora ogni ambiente della casa.
Il suono di un violino sembra riecheggiare tra le pareti e l'inconfondibile cappello in tweed di lana è appeso al solito attaccapanni.
C'è un taccuino sulla scrivania e una vecchia e sbiadita copia del Times datata "1887" con varie sottolineature. Sul basso tavolino, una grande lente d'ingrandimento brilla ai riflessi di luce.
La poltrona ha una leggera infossatura...sembra essere ancora occupata dal fedele amico e collaboratore che utilizza sempre la stessa penna e la stessa dose di ammirazione nel commentare le mille imprese del grande ed unico....Sherlock Holmes.
Impressioni....suggestioni....chiamatele come volete ma sono quelle che si hanno quando si visita l'appartamento del detective più famoso di tutti i tempi.
Londra è in continuo movimento ma a Baker Street il tempo si è fermato.
Holmes è solo un personaggio letterario ma non è mai stato tanto reale.
È stata la dinamica penna di Sir Arthur Conan Doyle, che ha dato forma e sostanza al personaggio che, nel primo romanzo "Uno studio in rosso" pubblicato nel 1887, si presentò ai lettori (e al suo futuro coinquilino, Dott. Watson) in un modo alquanto insolito.
Holmes attraverso l'utilizzo dell'intelletto e di un metodo scientifico/deduttivo risolve svariati casi di cronaca nera là dove la polizia brancola nel buio.
Per la prima volta in Inghilterra appare questo nuovo modello di indagine poliziesca proseguendo sulla scia degli Stati Uniti dove un "poco sobrio" Edgard Allan Poe irrompe con il suo Auguste Dupin ne' "I delitti della Rue Morgue".
Nel libro pubblicato da Einaudi sono raccolti i quattro romanzi che lo vedono protagonista:
Uno studio in rosso, Il segno dei 4, Il mastino dei Baskerville e La valle della paura.
Trasparenza, maestria e schemi narrativi ne caratterizzano lo stile. I romanzi, infatti,si sviluppano (più o meno) sempre con la stessa accattivante dinamica:
step 1): Holmes e Watson si intrattengono dialogando in soggiorno;
Step 2): C'è l'arrivo di una terza persona che sottopone un caso;
Step 3): Holmes indaga con la collaborazione di Watson;
Step 4): Il caso viene risolto e il criminale viene consegnato alle autorità ma non prima che questi abbia dettato una versione ampliata della storia.
Tra le trame spicca quella de' "Il segno dei quattro" che ho trovato ben congegnata e più vicina ai miei gusti.
Che aspettate ad approfondire la sua conoscenza?
Buona lettura.
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Oscurato dal destino
Impresa ardua presentare questo romanzo di Thomas Hardy pubblicato tra il 1894 e il 1895. Siamo a cavallo tra la fine del vittorianesimo e l'inizio del nuovo secolo. La società inglese sta cambiando, si sta aprendo al mondo ma per Hardy questo è l'ultimo romanzo; ultimo perché fu accolto malissimo da una morale ancora troppo pressante che lo giudicò immorale e volgare; giudizio, questo, che pesò molto sull'autostima dell'autore che per amor proprio decise di abbandonare per sempre la prosa in favore della poesia. In realtà il romanzo non fu capito nel suo significato più profondo ed è Hardy stesso che lo spiega nella prefazione.
Il protagonista è Jude Fawley, ragazzo orfano allevato da una zia in un povero villaggio situato nella regione del Wessex (in realtà Sussex,Inghilterra).
Jude ha una sola passione, i libri, e da questa passione scaturisce un sogno, studiare per entrare all'università di Christminster (città immaginaria su modello di Oxford).
Jude persegue il progetto con costanza ed impegno ma i pochi mezzi lo costringono ad alternare lo studio al duro lavoro.
Mille le difficoltà ma Jude procede fino a quando un destino avverso gli sbarra la strada.
Incontra Arabella, figlia di un allevatore di maiali, donna attraente ma volgare e dall'animo corrotto che riesce con l'inganno a sedurlo e a farsi sposare.
Il matrimonio fallirà in poco tempo, Arabella lo lascerà e il ragazzo, scosso e amareggiato riprenderà in mano il vecchio progetto; si trasferisce a Christminster.
Qui, verrà rifiutato dall'ambiente universitario perché di umili origini e così si consolerà con l'amicizia di sua cugina Sue Bridehead, incontrata per caso e della quale si innamora perdutamente. Ma il destino proprio non ne vuol sapere di placarsi e sferrando colpi su colpi conduce Jude per mano ad un tragico epilogo.
Romanzo totalmente pessimistico impregnato di una religiosità negativa che non consola i personaggi ma li abbatte soggiogandoli col sacrificio. La trama è piuttosto semplice all'inizio ma pian piano si complica lasciando trasparire mille significati diversi che si accavallano e si contraddicono tra loro. Subentrano morale, critica del tempo, religione e una certa "filosofia della disgrazia" (concedetemi questa licenza poetica).
Le figure femminili presenti nel romanzo sono complesse e artificiose; nascono e si sviluppano nella pura contraddizione. Arabella, attraente e volgare tentatrice riesce ad ottenere il matrimonio che rende l'unione limpida agli occhi di Dio e della morale comune; Sue, invece donna colta, pulita e religiosa sceglierà di convivere con Jude e di avere dei figli al di fuori del matrimonio, fatto altamente scandaloso per l'epoca.
Lo stesso nome di Jude è contraddittorio; egli porta il nome del traditore di Cristo ma è lui stesso un "povero Cristo" che si butta tra le braccia di un mondo che lo rifiuta considerandolo "oscuro", invisibile per le sue umili origini. Uno stile eccellente e ben articolato, scorrevole ma faticoso nell'elaborato narrativo perché ridondante di citazioni bibliche e letterarie, di filosofia e di superstizioni folkloristiche. Il testo è suddiviso in sei parti e narrato in terza persona. Un'opera che ho apprezzato ma che nel finale mi ha lasciato l'amaro in bocca.
Da leggere.
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Gli oscuri segreti di Manderley
"Stanotte ho sognato che tornavo a Manderley".
Una vasta tenuta nel cuore della Cornovaglia dove memoria e ombre dal passato ristagnano come le acque della piccola baia vicina.
Al centro, un'enorme casa sovrasta i lussureggianti giardini e la campagna circostante.
Una strana atmosfera, carica di presagi, l'avvolge.
Nella parte occidentale della casa una stanza viene tenuta chiusa ma una donna, la sig.ra Danvers, la fedele governante, vestita di nero e dal volto scavato da un dolore sordo, continua a riordinarla meticolosamente.
La stanza con gli oggetti in essa contenuti, appartenevano a Rebecca De Winter la proprietaria deceduta in un incidente in barca.
Max De Winter, il facoltoso vedovo, risposatosi durante un viaggio a Montecarlo, ha condotto con sé la nuova giovane sposa.
La ragazza è inesperta, timida e impacciata.
La sua esile figura dalla debole personalità non può competere con quel passato e con il ricordo di Rebecca ancora ardente nella memoria di chi l'ha conosciuta e ne ha apprezzato il carattere fiero e risoluto.
Lei...così bella, così sicura di sé, perfettamente a proprio agio in tutto ciò che decideva di fare o di essere.
Rebecca, era la donna perfetta.
Quest'immagine di perfezione scava nell'immaginario della neo sposina, e, come acqua che corrode il ferro, ben presto, diviene tormento, angoscia, sopraffazione.
Inghiottita da un abisso di gelosia, divorata da fantasmi interiori, ossessionata dalla muta e costante presenza dell'austera sig.ra Danvers,la giovane crolla.
Ma....qualcosa accade.
E con un colpo di spugna.....tutto cambia.
Splendido giallo/mistery dalle sfumature neo gotiche.
Il romanzo di Daphne Du Maurier è stato pubblicato nel 1938 e la scrittrice ha dovuto subire l'accusa di plagio dalla quale, poi, è stata scagionata.
Avendo visto l'indimenticabile film di Hitchcock del 1949, non potevo restare indifferente al richiamo della carta stampata.
Nonostante una scrittura, in alcuni punti, ridondante ma d'effetto, ho apprezzato tutto del romanzo.
Minuziose le descrizioni degli stati d'animo, accurata l'analisi introspettiva dei personaggi e una buona dose di suspense, che, nel giallo, non deve mai mancare.
Che dire di più? Consigliatissimo.
Il gotico...dentro.
Lucy Snowe è una giovane donna che, per qualche tempo, viene ospitata nella casa della sua madrina, Mrs. Bretton.
Qui fa la conoscenza del figlio della signora, John, e di Paullina (detta Polly), un'esuberante bimbetta che per un breve periodo rimarrà con loro sotto lo stesso tetto.
Lucy, costretta dal destino a subire eventi sfortunati, si ritrova sola e senza mezzi a cercare disperatamente un lavoro per potersi sostenere.
Non avendo fortuna a Londra, intraprende un viaggio che la condurrà in una fittizia cittadina francese (con caratteristiche simili a Bruxelles, secondo i critici) denominata Villette.
Qui, troverà occupazione presso un rispettabile collegio femminile gestito da Madame Beck, una donna tutta d'un pezzo che sorveglia e gestisce "silenziosamente" le ragazze di buona famiglia che ospita. Pian piano Lucy riuscirà a farsi spazio con la sua disponibilità e le sue competenze e le verrà affidato il compito di insegnante. Nonostante sia costantemente accompagnata da un forte senso d'inquietudine per un futuro incerto e divorata da una profondo senso di solitudine, troverà comunque la forza di guardare avanti appoggiandosi all'amicizia di persone che credeva perse per sempre e rinvigorirà un cuore a lungo sopito attraverso la conoscenza di un bizzarro professore cattolico, tale Paul Emmanuel.
Questa è l'opera più matura di Charlotte Bronte, scritta in un periodo di grande emotività dovuta alla perdita degli affetti più cari.
Villette rappresenta, in tutto e per tutto, il romanzo introspettivo ottocentesco.
Una scrittura densa, ricca di rimandi religiosi e dialoghi in lingua francese, bloccano la fluidità della narrazione, portando però alla luce stati d'animo cupissimi ed elucubrazioni profonde. Siamo, però, lontani da Jane Eyre.
Mentre in Jane Eyre il "gotico" era all'esterno, nel mondo che la circonda, in Lucy è all'interno....tra le pieghe dell'anima.
Lucy è una donna più matura e quindi più cosciente di quello che sarà il suo destino. Essa si pone spesso come spettatrice di una vita che sembra scorrerle tra le dita e che cerca disperatamente di afferrare fino al crollo emotivo che la porterà a confessare le sue pene ad un prete cattolico. Il romanzo è suddiviso in parti ed è narrato in prima persona. I personaggi inseriti nella vicenda sono ben caratterizzati ma piuttosto semplici nel loro vissuto. Il fulcro di tutto è e sarà sempre Lucy, fino all'ultima pagina.
Ho trovato l'opera suggestiva e possente anche se piuttosto lenta ma questo è del tutto normale essendo un romanzo introspettivo. Ho sottolineato descrizioni dove la penna che ha delineato la mia amatissima Jane Eyre riemerge ma...sono solo barlumi...pochi attimi...; la Charlotte di questo romanzo si sta spegnendo lentamente e l'addio alla vita sembra imminente. Il lettore non può che prenderne atto. Lo avverte e attraversa il dolore con lei abbandonandosi ad una lettura profonda. Non si può "non vivere" questo romanzo sulla propria pelle.
Lettura affatto semplice ma imperdibile.
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