Opinione scritta da Aster
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Nessun dorma
Da molto tempo i romanzi di Jonathan Coe stazionavano sulla mia lista infinita "Libri da leggere", finché alcune recensioni trovate su QLibri non mi hanno riportato alla mente il suo nome: un viaggio immediato in biblioteca, qualche ora di lettura ed eccomi a scrivere la recensione su un libro che ho trovato molto interessante.
Coe è abile tessitore di un intreccio narrativo fatto di continui sbalzi temporali e cambiamenti di prospettiva dall'uno all'altro protagonista. Lo stesso autore avverte all'inizio del libro: "I capitoli dispari di questo romanzo sono ambientati per la maggior parte negli anni 1983-84. I capitoli pari sono ambientati nelle ultime due settimane del giugno 1996". Spesso le vicende dei personaggi non sono presentate in modo chiaro e diretto: la narrazione infatti fa accenno a ricordi e dialoghi che non trovano immediata spiegazione, ma vengono svelati nelle pagine successive. C'è da dire che, dopo un primo stupore, l'ansia e la curiosità generate da questo modo di narrare scemano in fretta, dato che non è poi così difficile immaginare quali potrebbero essere i chiarimenti futuri. Tuttavia la storia non risulta noiosa nel complesso: alle pagine riassuntive e ripetitive fanno da contraltare i numerosi mutamenti improvvisi e carichi di tensione.
Il tema portante di tutta la narrazione è chiaramente il sonno, insieme ai vari disturbi che possono caratterizzarlo e di cui sono affetti i protagonisti; ma oltre a costituire il legame indissolubile tra i personaggi, il sonno determina anche la struttura del romanzo: i capitoli sono infatti raggruppati in più ampie sequenze che si rifanno alle sue fasi - fase uno, fase due, fase tre, fase quattro e sonno REM. Mi viene così da assimilare le due attività "leggere" e "dormire": ad una prima fase di leggera sonnolenza in cui la mente stenta a lasciare la realtà, segue una fase di totale abbandono, ci si immerge in un'altra dimensione, presi da quanto raccontato in un romanzo. E poi la fase REM dove l'attività cerebrale è frenetica: si smania per raggiungere il finale e scoprire l'evoluzione dei fatti narrati; quando si arriva alla conclusione, ecco il risveglio un po' intorpidito e scombussolato, in cui si fa fatica a lasciare il mondo virtuale per tornare alla realtà. O almeno così immagino che possa essere un libro totalmente appassionante. Alla luce di questo paragone direi che leggere "La casa del sonno" è come fare una dormita ricca di sogni incerti e confusi, ma mai fastidiosi, che al risveglio appaiono persino affascinanti.
Intorno al tema centrale ruotano altri aspetti della vita dei protagonisti e della società, anche in questo caso alterati in nevrosi e varie ossessioni, così da conferire sempre al romanzo un senso di lieve inquietudine, sebbene non manchi nemmeno qualche episodio per sorridere. Per quanto riguarda lo stile di Coe, l'ho trovato gradevole e fluente; non si incontrano intoppi durante la lettura, che procede rapida e coinvolgente.
Che dire di più, non sarà forse un capolavoro ma secondo me non è nemmeno un libro da scartare. Lo consiglio se avete voglia di una storia che, a dispetto del titolo, non vi farà chiudere le palpebre dalla noia.
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Viaggio a vuoto
Ho avuto bisogno di due letture a distanza di un anno per capire che questo libro non fa assolutamente per me. Vista la presentazione del romanzo credevo di trovare una storia misteriosa e appassionante: una ragazza bizzarra riceve una lettera dal fidanzato morto dieci anni prima, difficile non attirare la mia attenzione. Tuttavia nelle prime 200 pagine circa (su 300) è presente un solo accenno alla faccenda: il mistero non s'infittisce mica. Questa parte di romanzo è dedicata alle abitudini di vita della protagonista, Oceane trentenne londinese, al lavoro in un sex club di Barcellona e all'insolita esperienza di un suo amico durante la guerra in Iugoslavia. Il tutto accompagnato da riflessioni su Londra, la vita, le relazioni con gli altri, che molto spesso finiscono per deviare verso pensieri sull'attività preferita da Oceane, l' "orgasmistica". Ma ecco, ad un certo punto della narrazione, un ritorno di lettere decennali: l'azione riprende e si perde nuovamente, fino a sfumare in una banale risoluzione dell'enigma e in un finale da lasciarmi con un "Beh?" amaro in bocca.
Lo stile di Fischer mi piace, molto scorrevole e moderno, con un linguaggio schietto, ma sempre curato e ricco di humour potenzialmente divertente. Chiaramente il riaffiorare del passato perduto nella vita di Oceane è solo un pretesto per agganciarsi ad altri argomenti, ma la storia non funziona: mi è parsa un irritante collage di aneddoti sulla vita di chiunque venga nominato nella narrazione, come se l'autore avesse avuto molte chicche curiose da raccontare e avesse voluto inserirle a forza in un libro. Non ho capito tanti dialoghi senza capo né coda; le storielle poi, le ho trovate tanto inverosimili da non appassionarmi, ma non abbastanza inverosimili da diventare stranamente spassose. Insomma, "Viaggio al termine di una stanza" non lascia grandi temi su cui meditare dopo averlo concluso, ma non garantisce nemmeno quel semplice piacere fruibile durante la lettura, che fa passare qualche ora gradevole o ricca di pathos e sentimento.
Ma forse il problema sono io, che non sono in grado di apprezzare un autore come Fischer, descritto nella presentazione come "uno dei migliori giovani romanzieri britannici" o "uno dei più significativi scrittori inglesi delle nuove generazioni", riferendosi al suo romanzo di successo "Sotto il culo della rana". Magari ho beccato il libro meno brillante e mi dispiaccio di aver conosciuto lo scrittore in questo modo, ma dopo le due estenuanti e insoddisfacenti letture di "Viaggio al termine di una stanza" non credo di approfondire la sua produzione letteraria, almeno per ora.
Consigliare? Non consigliare? Sebbene la lettura sia soprattutto una questione soggettiva di gusti e stati d'animo, vi direi di cominciare con un altro romanzo di Fischer se avete intenzione di avvicinarvi al suo lavoro.
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Le relazioni pericolose
Ho comprato questo libro ad un piccolo mercatino: si tratta di una vecchia edizione con le pagine un po' ingiallite e il classico odore dolce di polvere e usato che acquistano i libri nelle biblioteche, proprio a rendere l'idea di un testo scritto in un'epoca e uno spazio lontani. In realtà, se non negli usi e nei costumi della Parigi settecentesca, ho ritrovato tra le pagine una vicinanza con i nostri tempi per quel che riguarda idee, sentimenti, passioni, pulsioni: universali, semplicemente perché facenti parte dell'animo umano.
Molteplici sono i personaggi che si alternano sulla scena de "Le relazioni pericolose", ma i veri protagonisti che appaiono in ogni lettera e condizionano le scelte degli eroi e delle eroine sono due: il vizio e la virtù. Ben definiti e distintivi dei vari personaggi all'inizio della storia, sempre più confusi e intrecciati mano a mano che si procede con la lettura. Appartenendo il romanzo al genere epistolare, pensavo di restare sentimentalmente coinvolta nelle vicende raccontate, grazie alla forma stessa dell'epistola che, indirizzata ad un "Tu", dovrebbe avvicinare e includere il lettore all'interno di una stretta intimità con il mittente. Il modo in cui sono scritte e presentate queste lettere però alimenta un vivo interesse per quanto narrato, senza immedesimazione nell'uno o nell'altro sentimento.
Tramite i racconti e le confessioni dei protagonisti vengono presentati i valori e i "disvalori" che regolano le relazioni con il prossimo. Ma in quella società minacciata dalla dissolutezza dei costumi e dalla vana ricerca dei piaceri carnali, mescolata a vendette e volontà di nuocere agli altri, chi ha la meglio alla fine? Chi riesce a salvarsi dal degrado morale? E cosa possono la fede e la ragione di fronte alla forza disarmante e totalizzante del sentimento amoroso?
Il romanzo, bisogna dirlo, procede lentamente. Non è mai noioso, ma ampiamente incentrato sull'interiorità dei personaggi che con il passare del tempo si scoprono, lasciano cadere il velo che avvolge il loro spirito e diventano sempre più complessi. Mutano anche, così come cambiano i linguaggi da lettera a lettera, a seconda del mittente, della sua età, delle intenzioni e delle esperienze vissute: così ritroviamo ad esempio la lingua semplice, ingenua ed eccitata del primo amore giovanile; la lingua severa della virtù che intende ammonire e riportare sulla retta via i dissoluti; la lingua ammaliante dell'insidia, che tramite un astuto accostamento di parole ricercate riesce a trarre in inganno il destinatario.
Si tratta dunque di una lettura piacevole e interessante. Un intreccio di segreti, passioni ed anche ironie che ancora riesce ad attirare l'attenzione dopo quasi 250 anni dalla sua pubblicazione. Se siete interessati a questa tipologia di romanzi, beh, posso solo consigliarvelo.
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ESARINTULOMPDCFBVHGJQZYXKW
Potrebbe sembrare un vaneggiamento e invece il titolo della recensione è il segreto di questo piccolo delicato libro. Si tratta infatti di uno schema di lettere ordinate a partire dalla più frequente nella lingua francese, grazie al quale Jean-Dominique Bauby può scrivere "Lo scafandro e la farfalla" dopo l'ictus che lo ha quasi totalmente paralizzato: l'"ESARINTUL..." viene ripetuto ad alta voce dalla ragazza che si occupa di riportare il testo, alla lettera interessata Bauby sbatte una palpebra ed essa viene trascritta; l'operazione è ripetuta tante e tante volte, fino a comporre parole, frasi, un libro.
In 123 pagine l'autore riesce incredibilmente a raccontarci la sua vita immobile, tra ricordi di un passato ormai irrecuperabile, l'odio verso un destino tanto raro quanto crudele, la solitudine inevitabile e un'ostinata voglia di essere ancora, in qualche modo. Il tramite tra la sua interiorità e il mondo esterno è un occhio, quello sinistro, come fosse l'oblò di uno scafandro da cui scrutare il mare e il fondale e la realtà sottomarina. Come una farfalla è diventata invece la sua mente, totalmente libera di volare nei posti più lontani o accanto alle persone amate, di inventare esiti alternativi a quel tragico giorno di dicembre. Ma non manca la sofferenza di fronte alla condanna all'immobilità, alla negazione della vita.
I brevissimi capitoli si susseguono velocemente, la narrazione è scorrevole e ben scritta: Bauby racconta e non si può fare a meno di ascoltare, di provare a immaginare, di restare interdetti. Dopo una lettura pacata, nelle ultime pagine sale l'inquietudine e si resta sospesi e commossi, con solo un interrogativo nella testa: "C'è nello spazio una chiave per aprire il mio scafandro? Una metropolitana senza capolinea? Una moneta abbastanza forte per riscattare la mia libertà?"
Per ricordarsi di valorizzare l'attimo e tutti quei gesti semplici che si compiono macchinalmente ogni giorno, ma che in realtà sono più che "miracolosi".
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Come un cavallo da corsa in un mondo senza piste
"La campana di vetro" è un lungo viaggio nella mente di Sylvia Plath, che in questo suo unico romanzo si racconta tramite la figura della brillante studentessa diciannovenne Esther Greenwood. Vengono ripercorsi tutti i momenti della sua malattia psicologica, dallo stage presso un'importante rivista di moda al ricovero e alla riabilitazione in un istituto psichiatrico. La narrazione è delicata, gli episodi bui della vita di Esther vengono presentati in modo pacato e suggestivo, con uno stile poetico e limpido. Non manca nemmeno una piccola dose di ironia nella prima fase del romanzo, in cui i fatti del presente si intrecciano a ricordi ed avvenimenti del passato. Il titolo del libro è rappresentativo del disagio della protagonista: la campana di vetro asfissiante è l'immagine delle esigenze e delle convenzioni della società a cui bisogna uniformarsi per essere ritenuti normali e che, nel caso della protagonista, riguardano aspetti della vita come matrimonio, verginità, maternità e successo professionale. Ma Esther percepisce un senso di inadeguatezza, si sente "inerte e vuota, come deve sentirsi l'occhio del ciclone: in mezzo al vortice, ma trainata passivamente." Il mondo della giovane donna si riempie così di incertezze, improduttività, crisi di identità che la portano a cercare sollievo solo nel pensiero della morte, tramutatosi in seguito in reali tentativi di suicidio. L'unica alternativa è rappresentata dal ricovero in un ospedale psichiatrico, ma il percorso che porta alla guarigione è costituito da timori verso i medici, confronti con le altre pazienti, elettroshock e soprattutto dalla paura che la campana di vetro possa scendere nuovamente sulla testa di Esther, vanificando dunque tutti i suoi sforzi e facendola ripiombare nell'apatia. Significativo è il rapporto che la società instaura con persone affette da disturbi psichiatrici quale quello sofferto dalla protagonista, additandole come "matte" contrapposte ai "normali" che vivono tranquillamente le loro vite, rendendo così più problematica la condizione di Esther: ad essa si aggiunge infatti il peso di aver deluso i familiari e il rischio di essere trattata con freddezza, se non disprezzo, dai conoscenti. La narrazione riesce a coinvolgere e colpire sin dalle prime pagine, e si conclude con un finale intenso che unisce protagonista e lettore in un legame più forte di speranza. Il romanzo è accompagnato, inoltre, da alcune poesie di Sylvia Plath, tratte dalla raccolta "Ariel". Consigliato.
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Libera il mio amore dal potere del cane
Poco noto al grande pubblico italiano, "Il potere del cane" di Thomas Savage si presenta come un romanzo interessante. La storia è ambientata nel 1924 in un ranch del Montana gestito da due fratelli: Phil e George Burbank, l'uno burbero, anticonvenzionale ed estremamente sicuro di sé, l'altro taciturno e riservato. Nonostante le evidenti differenze caratteriali, i due stringono un forte legame e trascorrono gran parte del loro tempo insieme, occupandosi del ranch e degli affari ad esso collegati. La vita scorre tranquilla ed invariata per anni, scandita dal ciclo delle stagioni e dall'allevamemento del bestiame; ma la monotonia è destinata ad interrompersi quando George decide di sposare una vedova e di portarla a vivere con sé nel ranch Burbank: da questo evento ha inizio un duro conflitto tra Phil, che vede minacciato il suo mondo fatto di certezze ed abitudinarietà, e la nuova padrona di casa. Le ostilità vanno verso esiti impensati e sconcertanti nel momento in cui un altro personaggio già incontrato comincia a trascorrere le proprie giornate nel ranch: Peter, il figlio adolescente della vedova.
"Il potere del cane" è raccontato in terza persona, ma l'attenzione si focalizza prevalentemente sulla figura di Phil e sul suo modo di vedere il mondo. Phil è il maggiore dei due fratelli, un uomo rispettato ed ammirato per il suo forte carattere rivoluzionario ed intimidatorio. Egli rappresenta la personalità incapace di sottomettersi alle convenzioni sociali e ad un sentimento di pietà e tolleranza nei confronti degli altri, spesso considerati inetti ed inferiori. Il suo atteggiamento però è la risposta a sofferenze ed inquietudini, a segreti che tiene a malincuore nascosti dentro di sé, pur cercando sempre di mantenere un contatto con i ricordi ed il passato. Nel libro trovano spazio anche degli episodi su personaggi secondari, le cui vite infelici si incontrano-scontrano inevitabilmente con quella di Phil, che è causa di ulteriori umiliazioni. Tra le varie apparizioni si conta anche quella di una tribù di indiani, costretta a vivere relegata in una riserva proprio in quegli anni. Il tema riguardante le condizioni riservate ai nativi americani non viene approfondito da Savage, ma dalle poche parole spese si percepisce la sua posizione critica verso il trattamento che essi hanno subito.
Il romanzo è molto scorrevole, scritto con un linguaggio essenziale, realistico e senza troppi giri di parole né virtuosismi: seppur semplice, non scade però nella banalità per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi e la presentazione degli avvenimenti. La storia è sì ambientata nelle praterie poco contaminate degli Stati Uniti, con i paesaggi e gli animali parte integrante della narrazione, ma non si percepisce la mitezza della natura e di una vita spesa al passo con le trasformazioni dell'ambiente: al contrario l'atmosfera è malinconica e resa ancora più cupa dalla complessità e dall'irrequietezza dell'animo umano descritte da Savage. La storia riesce ad interessare tutto il tempo, fino agli ultimi atti in cui il ritmo accelera e la tensione aumenta, costringendo il lettore a non staccare gli occhi dalle pagine per giungere al momento dell'epilogo inaspettato. Unico difetto: avrei preferito che Savage fosse sceso ancora più in profondità nella mente di tutti i personaggi, caratterizzandoli in modo più convincente e memorabile.
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Romanzo leggero, ma piacevole e ben scritto.
"Emma Woodhouse, avvenente, intelligente e ricca, con una casa provvista d'ogni agio e un'indole felice, pareva riunire in sé alcuni dei migliori vantaggi dell'esistenza; ed era vissuta circa ventun anni nel mondo senza quasi conoscere alcun dolore o grave dispiacere."
È con queste parole che la scrittrice inglese Jane Austen apre il suo quarto romanzo ed introduce la giovane Emma, protagonista eponima delle vicende narrate . A differenza dei precedenti personaggi femminili della Austen, Emma è una ragazza proveniente da una famiglia agiata e dunque non soggetta a preoccupazioni per migliorare le proprie condizioni economiche e non desiderosa di sposarsi pur di intraprendere un'ambiziosa ascesa sociale. L'azione ha origine con il matrimonio della governante di casa Woodhouse, di cui Emma ritiene di essere stata la promotrice; ella prenderà spunto proprio da quell'evento gioioso per progettare altre unioni tra i suoi conoscenti, a partire dalla nuova amica Harriet e il rispettabile Mr. Elton.
Tuttavia Emma non resterà per molto tempo l'unica protagonista al centro dell'azione: nuovi personaggi faranno la loro comparsa nel tranquillo villaggio di Highbury attirando l'interesse dei suoi abitanti. Per mezzo dei loro interventi e della totale incapacità di Emma di valutare i rapporti con gli altri e comprendere la realtà che la circonda, la storia non presenterà altro che un lungo susseguirsi di fraintendimenti, inganni, delusioni e situazioni imbarazzanti. Ma alla fine verrà ristabilito l'ordine all'interno della piccola comunità inglese, grazie alla scoperta delle reali intenzioni dei personaggi, alla maturità raggiunta da Emma e soprattutto alla forza dell'amore.
Impostato come romanzo di formazione della tutt'altro che perfetta eroina, "Emma" è anche una testimonianza della cultura e delle tradizioni di una determinata classe sociale, l'alta borghesia di campagna dell'Inghilterra ottocentesca ritratta con precisione da Jane Austen.
In questo romanzo acquista notevole importanza anche il linguaggio utilizzato dall'autrice: accanto all'ironia arguta e a una tecnica narrativa che permette di vedere il mondo attraverso gli occhi di Emma, il linguaggio e la parola rappresentano un vero e proprio personaggio capace di determinare l'azione in numerosi passaggi fondamentali.
Si tratta comunque di un romanzo privo di grandi spunti di riflessione sulla psicologia umana e sull'amore, piuttosto lo considero come una commedia leggera, scorrevole e abbastanza piacevole, il cui più grande pregio sta nei personaggi ben rappresentati e nel "wit" linguistico di Jane Austen. Consiglio pertanto la lettura del libro agli amanti della celebre scrittrice e più in generale a chiunque voglia avvicinarsi per curiosità alla letteratura inglese del XIX secolo e conoscere uno dei tanti filoni che l'hanno caratterizzata.
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