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lupemanaje Opinione inserita da lupemanaje    08 Dicembre, 2013
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I territori del lupo

Dopo l'improvvisa e quasi comica morte di zia Mansfield, la famiglia Teager inizia a sfaldarsi, colpita incessantemente da lutti e disgrazie. Nell'arco di pochi anni i soli superstiti sono i tre fratelli maschi, che però raggiungeranno la fama in tutti gli Stati Uniti, chi nel bene chi nel male.
Il buon Arthur, traumatizzato dalla dipartita dell'amata zia, fugge da casa e presto diviene incredibilmente noto come attore cinematografico, grazie soprattutto alla coppia che forma anche sul grande schermo con sua moglie Glenda. Il pubblico, si sa, ama le storie d'amore che proseguono nella vita reale, e ben presto Arthur si torva intrappolato sempre nello stesso ruolo, sia sul lavoro sia in casa propria. A movimentare questa penosa quiete arriva come un turbine il fratello Edward, che dopo anni di silenzio torna a dare sue notizie: è in fuga dalla polizia di tutta America per aver assassinato sua moglie. Il duo di attori decide di mettersi in viaggio con il ricercato su uno di quei treni che tagliano per intero gli Stati Uniti. Grazie alle sue conoscenze Arthur procura un passaporto falso a Edward, che spicca il volo verso il Sudamerica nel puro terrore che qualcuno lo riconosca durante l'imbarco.
Il terzo fratello, Milton, ambizioso e senza scrupoli, si dà beatamente al malaffare, divenendo ben presto il gangster più spietato e temuto di Chicago. La sua quotidiana lotta contro le altre famiglie mafiose lo porta inevitabilmente a rischiare la vita di tutti quelli che gli stanno vicino e ad attirare verso di sé invidia, rancori e gelosie femminili.
Accanto ai protagonisti “ufficiali” fanno mostra di sé molti altri tipi umani, le cui vicende sono strettamente connesse con quelle dei Teager, anche se a prima vista sembrano indipendenti: proprio qui - e in uno stile impeccabile e avvincente - sta il fascino del romanzo, che sembra prendere e lasciare e intrecciare in un'inestricabile rete i suoi personaggi, tra salti temporali e logistici, tra realtà e finzione, per ritrovarli più disgraziati che mai dopo qualche anno o qualche migliaio di chilometri.
Per niente secondari sono ad esempio il giovane Osgood Perkins, che da ingenuo ragazzino diventa cercatore di improbabili fortune lasciate da santoni neri, e finirà per ammazzare il suo datore di lavoro e trovarsi nel peggior carcere dello Stato. Con lui ci sarà lo spavaldo Terence, famoso musicista e compositore, che ormai orfano dell'ispirazione ricatta vittime milionarie per mettere le mani sulla loro fortuna, finché evidentemente la sua tattica gli si ritorce contro.
Il romanzo è stato partorito in un paio di mesi dall'allora diciassettenne Javier Marias, che era fuggito momentaneamente da Madrid a Parigi, ospitato da uno zio pornografo circondato da immagini peccaminose ed esplicite. Ha voluto allontanarsi dalla Spagna anche nel suo primo libro, in cui ci si immerge totalmente in un'America lontana, fumosa e indesiderabile. I territori del lupo è stato pubblicato un paio di anni dopo la sua stesura, nello stupore dell'autore, e a tutt'oggi, dopo tante altre opere, è da molti considerato il suo miglior romanzo, anche a detta dello stesso Marias.
Personalmente l'ho trovato piacevolissimo, ben architettato e costruito, in un ottimo stile (oserei dire sorprendente tenendo conto dell'età dello scrittore). La narrazione assume alternativamente toni noir, grotteschi, drammatici e comici in un'amalgama irresistibile.

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lupemanaje Opinione inserita da lupemanaje    23 Ottobre, 2013
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L'ottocento contemporaneo

Hans, traduttore e viaggiatore, si trova casualmente a passare per Wandernburgo, un'anonima cittadina tedesca dell'Europa post napoleonica. Non pensa assolutamente di fermarcisi a lungo, lui ha ben altre mete che lo attendono, eppure qualcosa lo trattiene. Il reticolo di viuzze che sembrano cambiare posizione ogni giorno sfugge a qualsiasi memorizzazione e affascina; l'aria, la luce, lo scorrere del fiume sembrano impedirgli di allontanarsi. Nell'angolo della piazza un anziano suonatore di organetto restiste alle intemperie per far vivere la sua musica, e tra un minuetto e una polacca intrattiene Hans con parole sagge, serene e misteriose.
Le invisibili catene che lo legano a quel posto divengono ancora più solide quando viene introdotto quasi per caso al salotto letterario di una famiglia in vista di Wandernburgo, dove Hans soccombe al fascino della bella Sophie e stringe una fraterna amicizia con lo spagnolo Alvaro.
Tra incontri segreti con l'amante, nottate passate a chiacchierare nella grotta del suonatore, dibattiti filosofico-politico-letterari con i nuovi conoscenti, trascorre un anno in cui Hans è continuamente sicuro di ripartire presto.
Sullo sfondo, nelle notti umide e nebbiose, misteriosi stupri turbano la quieta cittadina.
Il libro è incredibilmente affascinante: sembra di essere catapultati in una classica vicenda da romanzo dell'ottocento, ma lo stile e lo sguardo sono quelli del XXI secolo. E' come se Neuman avesse deciso di scrivere un classico dicendo e vedendo finalmente tutto ciò che i suoi colleghi del passato dovettero tacere, per pudore, censura o semplicemente per effettiva ignoranza del futuro.
Lo stile è impeccabile e si adatta perfettamente all'opera, sembra anzi che venga esso stesso modellato dalle vicende. Si alternano nel lettore rabbia, tenerezza, allegria, e paradossalmente è il personaggio più povero ed emarginato ad avere uno sguardo più profondo e sereno sull'esistenza, mentre emerge chiaramente tutta la futilità dei fronzoli della nobiltà. In questo senso un personaggio riuscitissimo, a mio parere, è il promesso sposo di Sophie, tanto ricco e vanitoso quanto ignorante e patetico.
Neuman è bravissimo a far intuire il carattere di ognuno attraverso le sue parole e lo scambio di battute che ha con gli altri. Le descrizioni dei paesaggi sono a dir poco poetiche.
Un romanzo da leggere e vivere. Personalmente ho anche la fortuna di avere dedica e autografo del simpaticissimo Andres Neuman. Più di così!

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lupemanaje Opinione inserita da lupemanaje    18 Settembre, 2013
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Chiamate telefoniche

Direi che questo libro è una sorta di cartà d'identità di Bolano: c'è il suo stile eccezionale, ci sono i suoi temi e i suoi personaggi ricorrenti, le ossessioni e i frammenti della sua vita. Dal dialogo secco e crudo di due poliziotti alle conversazioni amichevoli tra due aspiranti scrittori, Bolano ti fa entrare per un attimo nella quotidianità dei protagonisti (spesso vittime delle loro stesse vite), per poi costringerti a abbandonarla e proseguire oltre, lasciando la sensazione di un futuro incompiuto, di un enigma irrisolto, di un'intromissione indiscreta. Mai semplici, mai scontate, praticamente mai felici, le esistenze dei personaggi sono ritratte in modo tanto breve quanto eloquente. Molto bello davvero.

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lupemanaje Opinione inserita da lupemanaje    16 Settembre, 2013
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Destino

Città del Messico. Josuè Nadal, adolescente solitario e solo, "custodito" non troppo amorevolmente dalla scontrosa Maria Egipciaca, stringe amicizia con il coetaneo Jericò, senza cognome e senza passato.
Il legame che si crea li porta a condividere tutto: l'abitazione, la passione per la filosofia - incentivata dalla conoscenza col professor Filopater - le speranze per il futuro, il desiderio di diventare avvocati, la prostituta che li accoglie entrambi. Come Castore e Polluce, i gemelli semidei. La strada che sembra già tracciata, però, si interrompe bruscamente: Jericò se ne va in Europa, e l'esistenza di Josuè deve proseguire in solitudine. Quasi come una consolazione entra nella sua vita Lucha Zapata, perennemente sulla via della perdizione, che lo porta a destreggiarsi tra lei e lo studio, in una Città del Messico infinita e spietata. Quando il professor Sangines gli procura un praticantato nell'atroce carcere di San Juan de Aragon, Josuè viene in contatto con bambini perduti, spietati assassini e un misterioso individuo, Miguel Aparecido, spaventoso ed empatico allo stesso tempo. Nella mente di Josuè cominciano a farsi strada domande apparentemente senza connessione né risposta: perché ha delle visioni in cui una donna morta esalta ai suoi occhi il figlio imprenditore Max Monroy? Perché Miguel fa di tutto per rimanere in galera? Perché Jericò ritorna dopo anni con la smisurata e assurda ambizione di scatenare la rivoluzione in Messico?
Castore e Polluce rischiano di trasformarsi in Caino e Abele.
Nel momento in cui Sangines manda a lavorare lui per l'impenetrabile Monroy, e Jericò per il presidente della repubblica Carrera, Josuè inizia a capire. Pian piano, attraverso terribili visioni e le ben più terribili visite a San Juan de Aragon, si fa largo una verità scomoda, inconcepibile, per la quale pagherà un prezzo ben più alto di quanto immaginasse.
Questo mio primo impatto con Fuentes è stato decisamente forte. Tocca tutti i temi possibili, dal puro pensiero filosofico al sesso -vita, morte, giustizia, solidarietà, violenza, egoismo, dolore- intrecciati in una vicenda piena di ombre.
E' un romanzo visionario, intenso e spietato, non tanto nella storia (che comunque non lascia molto spazio alla rosea speranza!) quanto nel ritratto che l'autore fa della città, del degrado che se la divora, delle esistenze perdute nei suoi meandri. La generazione che cerca il suo riscatto lo trova spesso solo nella delinquenza.
I due fratelli di vita, pur tentando di emanciparsi attraverso le loro conoscenze filosofiche, restano fatalmente imprigionati nelle meccaniche spietate della politica e dell'ambizione, che in realtà sono affare per pochi. Ciò che governa l'immensa Città del Messico sono miseria e violenza, culminanti nell'orrore senza tempo del carcere sotterraneo, dove arriva, come ulteriore tortura psicologica, il rumore della vita esterna.

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lupemanaje Opinione inserita da lupemanaje    21 Agosto, 2013
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Piccoli suicidi tra amici

Un colonnello vedovo e un imprenditore in crisi decidono di suicidarsi casualmente nello stesso luogo e nello stesso momento. Colti dall'imbarazzo e dallo sgomento, mettono da parte il loro proposito e progettano di riunire quanti più aspiranti suicidi possibile, cosa non difficile in Finlandia, per confrontare le reciproche esperienze e frustrazioni.
Alla prima assemblea indetta dai fondatori del gruppo si presentano in centinaia, una trentina dei quali rimane ferma nel proprio proposito. Ecco allora in viaggio per il Paese la corriera dei Morituri Anonimi, alla ricerca del luogo migliore per mettere in atto uno spettacolare suicidio collettivo. Lungo il percorso si uniscono al gruppo altri disperati, depressi o semplicemente stanchi della loro esistenza monotona. L'esperienza della condivisione scatena però una reazione inaspettata nella maggior parte dei viaggiatori, che ritrovano entusiasmo per la vita - quasi dispiacendosene! - e nuovi amori.
Da leggere sempre con un sorriso sulle labbra, Paasilinna ritrae senza turbamento alcuno la radicata tendenza al suicidio dei suoi connazionali, creando una storiella tanto improbabile quanto esilarante, da cui si evincono la sua tagliente ironia e profonda empatia con il popolo finlandese.
E' tipica di Paasilinna, e qui portata all'estremo, l'assoluta naturalezza che caratterizza ogni azione umana (o divina), la non-necessità di giustificare nemmeno l'atto più inconsulto. Impregnato di un forte humour, questo libro non manca di toccare anche seriamente l'argomento della morte e delle difficoltà quotidiane che possono gettare chiunque nella più nera disperazione. In circostanze inaspettate si può però ritrovare il gusto delle piccole cose: la compagnia di nuovi amici, un pasto attorno al fuoco, una sauna ristoratrice.
La splendida cornice del paesaggio finlandese non manca mai nei romanzi di Paasilinna (con l'eccezione di Prigionieri del paradiso, in cui forse è proprio questa assenza a dare un tono minore all'opera) anzi è parte integrante e fondamentale delle storie che vi si sviluppano e risolvono. Forse è grazie alla sua precedente professione di guardaboschi che l'autore riesce a delineare apparentemente senza forzo una natura così viva e meravigliosa. Ed è sempre grazie al suo rapporto con essa che spesso (soprattutto ne Il miglior amico dell'orso e L'anno della lepre) fa assumere ad animali selvatici atteggiamenti umani, o meglio qualità e doti umane, illuminati dalle quali i protagonisti che hanno smarrito la retta via riescono a redimersi.
Sulla scia dell'enorme successo riscosso da L'anno della lepre, vincitore del premio letterario Giuseppe Acerbi nel 1994, si è continuato a tradurre anche in Italia l'opera di Paasilinna. In Piccoli suicidi tra amici (1990, uscito nel 2006 per Iperborea) rispetto a tanti altri romanzi figura un numero maggiore di personaggi, alcuni dei quali fanno brevissime apparizioni, o quasi scompaiono dopo essere stati introdotti come apparenti protagonisti. Il ritmo della storia non ne risente affatto, anzi proietta con maggior efficacia il lettore nella vita quotidiana dei Morituri Anonimi, quasi si trovasse tra loro e voltandosi ora da una parte ora dall'altra potesse cogliere uno scampolo dell'esistenza di ciascuno. Sono ritratti fulminei: un aggettivo, una battuta, un'azione bastano a caratterizzare perfettamente un individuo.
Un romanzo scorrevole e divertente, lucido nella sua follia.

Arto Paasilinna è nato a Kittila nel 1942. E' un ex guardaboschi, ex poeta, ex giornalista. Le sue opere vengono tradotte in tutto il mondo e in Finlandia è uno degli autori più amati. in Italia è edito da Iperborea.

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L'anno della lepre, Il miglior amico dell'orso, I veleni della dolce Linnea, L'allegra apocalisse
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