Opinione scritta da Clacly95

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Clacly95 Opinione inserita da Clacly95    08 Settembre, 2013
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Chi fa politica, è sempre un buon governante?

Satiricamente sottile e metaforicamente preciso, in questo libro chiunque può ritrovarsi e sentirsi un "animale di fattoria", esattamente come lo è nella vita associata. L'abile Orwell gioca un parallelismo con la realtà, smascherando la vera natura umana e analizzando il senso profondo della politica. L'uomo, trasfigurato animale, da sempre ha ricercato nella politica sicurezza e protezione, sacrificando più o meno direttamente la propria libertà. La politica è un fattore inevitabile: nel mondo degli antichi, ad esempio, era necessario trasferire le leggi degli dei nei principi terreni di giustizia e rigore morale. Senza legge non vi sarebbe rispetto e senza rispetto vi sarebbe solo la violenza, il prevalere del più forte sul più debole e uno spietato egoismo, lo stesso che il filosofo politico Thomas Hobbes credeva fosse prerogativa dell'uomo nel proprio "stato di natura". Ecco che a sanare tutti questi problemi nacque la politica. Ma la domanda è: chi fa politica è sempre un buon governante? Orwell risponde sin dalle prime pagine. Mr. Jones, proprietario della fattoria padronale, è infatti mille volte inadatto a detenere il potere: non si cura dei suoi animali, si ubriaca e si dimentica di tutti i problemi che incombono sulla sua proprietà. Proprio questo viene cacciato dagli animali, stanchi dei suoi soprusi. I princìpi emanati al sorgere della ribellione,"l'uomo è l'unica creatura che consuma senza produrre", "l'uomo non fa gli interessi di nessuno eccetto quelli di se stesso", "nessun animale deve diventare tiranno della sua specie: tutti gli animali sono uguali", inneggiano ad una democrazia in cui equità e lavoro sono le coordinate principali che ogni animale deve rispettare. La fattoria può finalmente respirare un'aria pulita e serena, ma non lo farà a lungo. Gli animali sono di certo culturalmente più evoluti, ma c'è chi, usando l'ingegno e la furbizia, riesce a manipolarli: i maiali, capeggiati dai rivali Palladineve e Napoleone. Ma nemmeno questo stato di cose sarà duraturo: Palladineve viene presto scacciato e Napoleone diviene il padrone assoluto della fattoria, a cui tutti gli animali sono quasi divinamente devoti, dai cani ai maiali, dalle galline ai cavalli (Boxer, infatti, sarà sempre solito dire: "Napoleone ha sempre ragione!"). La politica ormai fa solo gli interessi del tirannico Napoleone. Gli ideali di democrazia, i principi di "Animalismo" e di giustizia sono ormai svaniti, le razioni di cibo per gli animali diminuite e le leggi mutate. Il cambiamento della realtà è un "topic" che l'autore predilige puntualmente. Il divieto assoluto di bere la birra o di dormire sui letti degli umani viene presto trasformato in permesso o semplicemente un diritto esclusivo dei maiali. I contatti con gli umani vengono presto ristabiliti: uomini e animali diventano quasi soci in affari collaborando amichevolmente, tanto che nelle ultime pagine il signor Pilkington, rivolgendosi a Napoleone, dichiara: "Se voi dovete tenere a bada i vostri animali inferiori, noi dobbiamo pensare alle nostre classi inferiori". Simbolica anche l'ultima frase, pronunciata da Napoleone: "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali di altri." La fattoria, dunque, vive tutte le fasi politiche, in un processo ciclico e continuo. La famosa "Anaciclosi" polibiana, in cui la politica benigna degenera in maligna, è la ruota in cui gira anche il mondo orwelliano. Qual è allora la panacea a tutto questo? La politica è una cosa comune: costruirla insieme, senza interessi personali può sicuramente portare i suoi vantaggi.

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Clacly95 Opinione inserita da Clacly95    20 Agosto, 2013
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Il piacere può essere felicità?

"Non si può essere belli per sempre" è la lezione che tutto il romanzo potrebbe impartire nella misura in cui il lettore moralizzi la storia di Dorian Gray. Ma questo sarebbe riduttivo per scolpire in fondo il senso di un personaggio simile. Partiamo da un dato di fatto: giovinezza e bellezza da sempre costituiscono un binomio capace di sfidare il tempo che tutto corrode: per Dorian questo è un ideale, che accompagnerà tutte le sue esperienze come unico principio estetico da seguire. Ma chi lo spinge a relegarsi in una dimensione semidivina, che perpetua la sua immagine? E' proprio chi gli sta accanto che lo vede come un soggetto prezioso ed autentico, dal pittore Basil Hallward, che traduce il suo fascino su una tela, all'amico Henry Wotton, che lo invita alla ricerca di un nuovo edonismo. Ma il culto della propria bellezza si tramuta inevitabilmente in un'astrazione da sé e dalla sua anima, tanto che Dorian non saprà affrontare né l'amore della bella Sybil Vane esattamente come non sarà più capace di specchiarsi sul quadro che lo raffigura, divenuto ormai voce della sua coscienza. Dorian nega l'umanità della sensazioni, ne cerca di più contorte e vuote, scappa da dove non regna più l'arte. Si può dire che tutta la sua storia è un teatro che mette a tacere la propria interiorità in luogo dell'apparenza, come un attore che recita una parte che non rivela mai il suo carattere. Quello di Dorian è un vero occultamento della propria anima, un traviamento che verrà pagato caro e per il quale lo stesso invoca qualcosa di simile ad una redenzione. Il ritratto è lo specchio di un'anima che non ha saputo giocare il suo ruolo e l'errore di Dorian risiede proprio nella sua incapacità a coniugare anima e corpo, dal momento che il suo intento è di intrecciare arte e realtà, entrambe dimensioni dell'esteriorità. L' ????? di Dorian non appaga infatti il suo essere e questo non fa di lui un saggio, ma alfiere del vizio e della dissolutezza, travolto nella tempesta dei turbamenti che, come diceva Epicuro, dovrebbe essere vista da chi, al contrario, ha debellato qualsiasi angoscia da sé. Il suicidio di Sybil Vane, l'omicidio di Basil Hallward e la successiva scomparsa dell'amico Campbell sono tutti risultati della sua non apertura al mondo, del suo spietato cinismo, che gli fa macchiare le mani di sangue e che conferisce ancor di più al ritratto tratti deformi e depravati. Il bello, nel romanzo, diventa portatore del brutto e Dorian lo puntualizza quando dichiara di aver ricercato per tutta la vita il piacere e non la felicità, dove il primo è un istinto saziabile e passeggero, il secondo invece condizione eterna dell'anima che riempie l'essenza di un uomo.

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