Opinione scritta da Filippo1998

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    11 Agosto, 2016
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La magia della natura

Grace è una ragazzina di soli 13 anni quando la sua vita cambia radicalmente, ponendola di fronte a sfide inimmaginabili. Prima fra tutte quella di convivere con l'amputazione della propria gamba, che sembra allontanarla definitivamente dalla passione per i cavalli, oltre a dover convivere con il rimorso per l'amica morta e per il proprio cavallo, Pilgrim, che in seguito al l'incidente non si è più ripreso, cadendo irreparabilmente nel baratro della paura e della diffidenza.
Ma è proprio quando tutto sembra andare storto, che la vita stessa decide di darle uno strattone, facendole tornare la voglia di vivere e sognare insieme a Pilgrim.
La lettura appare sin da subito interessante, decollando senza troppi indugi. Lo stile è piacevolmente scorrevole e semplice, dando risalto soprattutto alla storia stessa. Quella di Grace è una storia emozionante, toccante, terribilmente verosimile. Sono piuttosto le vicende che la contornano ad essere piuttosto romanzate,prevedibili e compassate. Troppo spesso ci si ritrova a prevedere quello che succederà.
Fortunatamente Evans riesce a riprendersi attraverso un buon finale, di quelli che, sì, lasciano l'amaro in bocca, ma rimangono stampati nella mente, facendo correre un brivido lungo la schiena.

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    07 Agosto, 2016
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Una tela poco curata ...

"La ragazza con l'orecchino di perla" è stata una lettura senza pretesa alcuna per me, sin dall'inizio. A dire il vero, ho preso in mano questo libro per puro caso, rinvenendolo tra i molti ancora non letti che ho a casa.
L'atmosfera è quella dell'Olanda del 1600; Griet è una giovane ed umile ragazza protestante, figlia di un decoratore di piastrelle , costretta ad abbandonare il proprio "nido familiare" per lavorare da serva nella casa di un pittore cristiano.
Ma quella che inizialmente appare esclusivamente come un sacrificio per guadagnarsi da vivere, ben presto si trasforma in una situazione ben più intrigante. Griet sarà protagonista di litigi, occhiatacce, sotterfugi, silenzi, sguardi in una casa dalle mille insidie. La sua astuzia, le sue doti in ambito artistico, la sua bellezza e i suoi profondi occhi la condurranno verso una meta proibita e misteriosa, tra i colori sgargianti di un mondo esclusivo forgiato dalle mani di un pittore.
Al lettore sta giudicare dove stia il confine tra questo mondo è quello reale, qualora ve ne sia davvero uno.
Trama interessante, a tratti ben curata ma piuttosto esigua. Dalle pagine di questo libro si entra in un mondo in cui tutto si risolve troppo velocemente è semplicemente, senza troppo soffermarsi su particolari che avrebbero potuto completare un quadro-tanto per rimanere in tema- di partenza accattivante.

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    02 Aprile, 2016
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A volte, è il destino a decidere per te...

A volte si ha come l'impressione di essere guidati dal Destino. Quelle occasioni in cui si ha come l'idea di essere mossi dall'alto, come una marionetta. Al massimo possiamo esserne consapevoli , ma nulla si può di fronte al volere del Fato.
Lo stesso accade al buon vecchio (ex) commissario Bordelli, il quale, in seguito alla minaccia pervenutagli da parte di un influente membro della Curia nonché stupratore depravato, è stato costretto a incassare la sconfitta e a ritirarsi in campagna, lasciando il suo lavoro.
La delusione per non esser riuscito a render giustizia al povero Giacomo Pellissari, seviziato e ucciso da 4 uomini tra cui il sopracitato ecclesiastico, è cocente ma ben presto si presenta l'occasione per regolare i conti .. E Bordelli non se la lascerà scappare!
Tutti i dubbi, le speranze lasciare dal finale aperto di "Morte a Firenze"proseguono" inesorabilmente " in questo romanzo.
Marco Vichi si conferma un abile scrittore: le descrizioni sono sempre piacevoli, la narrazione mia pesante ma neppure scontata. Tutto scorre piacevolmente, le pagine volano, anche se il ritmo ,forse, appare meno concitato rispetto al romanzo precedente. Se "Morte a Firenze" non può esser considerato un vero giallo-nonostante tutto sia retto dalle interessanti indagini relative a un caso di omicidio-, "La forza del destino" non ha niente del thriller che ti tiene col fiato sospeso; per cui un po' di dinamismo manca. Ma ciò deriva anche dal fatto che ,purtroppo, la fantasia in questo romanzo manca un po': troppo spesso le situazioni sono le stesse del precedente, i personaggi sono i soliti, e la stessa trama prosegue sui binari della prima in modo piuttosto prevedibile.
Nonostante ciò , tuttavia, è impossibile non farsi ammaliare da un libro del genere, soprattutto se dominato da un protagonista del genere : il commissario Bordelli è la vera ancora di salvataggio.

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    27 Marzo, 2016
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Luci e ombre nella vita del commissario

Non conoscevo alcun libro di Marco Vichi, ma dopo "Morte a Firenze" ne leggeró sicuramente altri.
Ció è dovuto al fatto che questo romanzo ti cattura, in un modo o nell'altro.
Non si tratta di un vero e proprio giallo, niente a che vedere con le indagini intricatissime condotte dalle menti geniali dei personaggi coniati magari da Dan Brown. Questa è, piuttosto, la storia del commissario Bordelli, un commissario come tanti altri, con le sue amicizie "sporche" e i suoi tanti vizi, dalle sigarette alle puttane, senza tralasciare i fantastici piatti della tradizione fiorentina.
Un commissario che, verosimilmente, a tratti non sa dove sbattere la testa, e si riduce a coprire il tempo con delle passeggiate per alleggerirsi dalla consapevolezza che non riuscirà a trovare gli assassini di Giacomo Pellissari, un bambino ritrovato morto in un bosco.
Questa è la storia di un uomo capace di innamorarsi, interessato al nuovo, ma ancora tempestato dalle immagini di guerra. Semplicemente una persona come tutte le altre.
Nonostante non ci sia modo di divertirsi dietro le "ragnatele" intessute generalmente dai protagonisti dei gialli, in questo romanzo c'è ben altro da apprezzare; dalla capacità dell'autore di far respirare l'atmosfera di Firenze , a quella di sconvolgere emotivamente senza alcuna remora.
"Morte a Firenze" è un'opera degna di nota, di quelle che si ricordano, di quelle che vorresti non finissero mai, magari per sapere cosa farà il commissario, o cosa ne sarà di Eleonora..

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    28 Giugno, 2015
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Nel buio del Medioevo, un incendio

Ci sono dei romanzi che è bello gustarsi lentamente, pagina per pagina, parola per parola, forse perchè in completa sintonia con l'autore o forse perchè si avverte che quel libro ha qualcosa di vero da insegnare e si prova dispiacere ad avviarsi verso la fine.
Certamente uno di quelli è "Il nome della rosa", prima opera del noto Umberto Eco.
Si tratta di un romanzo multiforme un po' atipico, e ciò è evidente già dalle prime righe.
"Il nome della rosa" infatti non è altro che un diario in cui un monaco benedettino vissuto nel XIV secolo, Adso da Melk, raccoglie, in maniera quanto più lucida e imparziale, una movimentata avventura in un'abbazia dell'Italia Settentrionale vissuta in qualità di novizio a fianco del suo mentore, Guglielmo.
Adso racconta la propria vicenda da vero uomo del Medioevo, con espressioni, lessico, metodi di ragionamento, e mentalità pienamente medievali, oltre a un latino che ne arricchisce le pagine qua e là. Eco riesce a rendere il tutto quanto più naturale possibile, senza neppure trascurare un particolare, a partire dalle misure utilizzate al tempo, fino alla suddivisione della giornata in base alla preghiera e al riferimento alle lenti ad legendum, che altro non sono che gli occhiali da vista. Anche la chiusura del romanzo-diario è palesemente presa in prestito dai monaci addetti alla stesura dei manoscritti: "Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole".
E ciò che colpisce è che niente appare mai forzato o artificioso; al contrario, la naturalezza con cui Umberto Eco riesce a immedesimarsi in tempi lontani come quelli del buio Medioevo è ammirevole e alla fine ci si chiede se davvero chi ha scritto l'opera non sia un uomo del XIV secolo.
Se attenersi al lessico, alle espressioni idiomatiche, alle abitudini di questa epoca può apparire un'operazione , non dico semplice, ma comunque fattibile, ben più arduo è riuscire a mantenersi coerenti in tutto ciò che si va scrivendo con la mentalità di fondo di un qualsiasi uomo di Chiesa del 1300. L'autore in questo romanzo eccezionale riesce a farlo in modo magistrale, mettendo in luce le debolezze e i pregi di questo periodo tanto accattivante.
Il basso Medioevo è un periodo definito buio dalla maggior parte degli storici. Malattie, carestie, disoccupazione e analfabetismo falcidiano la popolazione. Il sapere è in mano a una cerchia di "eletti", gli ecclesiastici, che nei loro monasteri manipolano la sapienza, decidendo per gli altri ciò che è lecito o meno conoscere. E' inevitabile che ci si concentri principalmente su testi sacri o su pergamene che rafforzano tesi coerenti con quelle della Chiesa e il resto finisce per essere censurato.
Si abbandona l'interesse per la poesia e per le humanae litterae oltre che per le scienze intese come studio della natura, vista come luogo di tentazione, una valle di lacrime in cui l'uomo deve resistere in attesa della venuta di Cristo. Da questa visione escatologica deriva una certa chiusura mentale ma soprattutto sospetto e resistenza alla novità che Umberto Eco non perde mai di vista, mettendo in mostra tutta la sua abilità di storico.
Ma questo in capolavoro ,che già ho definito appunto multiforme, non si intrecciano solamente storia e religione; le pagine sono permeate di filosofia platonica e aristotelica , chiave di risoluzione degli intricatissimi arcani di fronte ai quali Adso, con il suo maestro, si trova.
Infatti, come se non bastasse, "Il nome della rosa" è anche un sensazionale giallo che ruota intorno a una serie di omicidi, o meglio, suicidi scatenati dal desiderio di un manoscritto proibito, la seconda poetica di Aristotele, incentrata sull'esaltazione del riso come arte, odiato dalla maggioranza degli ecclesiastici in quanto esalta uno strumento come il riso il quale permette all'uomo di liberarsi dalla paura della morte e del giudizio di Dio.
E il mistero dello spietato killer è legato ad antiche questioni dell'abbazia che Guglielmo, spiccante per il suo acume e il suo ricorrente uso della ragione, riuscirà a svelare una per una, attingendo spesso e volentieri alla logica aristotelica e al rigore in generale tipico della filosofia.
Si tratta, insomma, di un capolavoro vero e proprio, in cui si alternano momenti in cui la lettura è rapidissima e concitata, e altri in cui è piacevolmente lenta, lasciando il giusto tempo al lettore per respirare tutta la sapienza che esalano le pagine.
Degna di nota la citazione finale, da cui deriva il titolo dell'opera, che , apparentemente insensata, permette un'ampia interpretazione: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ("la rosa che è all'origine, esiste solo nel nome, noi possediamo soltanto nudi nomi").

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    20 Giugno, 2015
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Il mondo ombra

Ci troviamo negli Stati Uniti d'America, Paese all'avanguardia, avanzato, tecnologico, noto per i numerosi enti coinvolti in missioni spesso avvolte dal mistero. Primo tra questi, la NASA, la quale in questo caso si trova in serio pericolo a causa della subdola politica volta al suo annientamento da parte di Sexton un borioso senatore pretendente al titolo di presidente. Da anni, la NASA raccoglie continui insuccessi, gravando sulle casse del Paese ma ciononostante Herney, presidente degli USA, difende a spada tratta l'agenzia spaziale contro la privatizzazione di essa promossa da Sexton. I motivi sono evidenti e sensati: mettere in mano lo spazio a enti privati significherebbe consegnarlo al lucro, spegnendo ogni speranza di conoscere approfonditamente il cosmo.
Per neutralizzare la minaccia-Sexton servirebbe, quindi, una scoperta, l'unico modo per risollevare l' entusiasmo della gente e restituire un'immagine degna al simbolo nazionale, la NASA.
E la sensazionale scoperta arriva, perfettamente in tempo, troppo ... con un tempismo alquanto sospetto. Ed è l'inizio di un susseguirsi caleidoscopico di avvenimenti, profondamente intrecciati tra loro. Una vera e propria lotta all'ultimo sangue coinvolge personaggi estremamente importanti. Inizia a mobilitarsi quello che Dan Brown definisce il "mondo ombra", la faccia oscura e nascosta del nostro mondo, quella parte popolata da potenti congregazioni segrete da scopi altrettanto esoterici.
E penso che sia questo il punto forte di "La verità del ghiaccio" e di tutti romanzi di Dan Brown: la sua capacità di ritrarre con grande verosimiglianza l'altra faccia del mondo, quella invisibile a tutti noi, quella controllata da tutti coloro che manipolano anche la parte a noi accessibile, influenzando i nostri pensieri, le nostre personalità, le nostre convinzioni.
I romanzi di questo scrittore, criticati spesso per l'assenza di contenuti e per la troppa fantasia, vanno,invece, oltre al semplice obiettivo di catturare l'attenzione del lettore. Queste storie sono ovviamente INVENTATE, ma se vogliamo,hanno un messaggio REALE profondo e funesto da darci: ciò che vediamo intorno a noi è solamente la punta dell'iceberg.
Insomma, trama intrigante, lingua scorrevole, personaggi carismatici, capitoli brevi, e i soliti colpi di scena costituiscono un mix di piacevolezza fenomenale.
Consigliato!

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e apprezzato Dan Brown.
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    16 Giugno, 2015
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Alla ricerca del mistero degli Angeli

Ho deciso di affrontare questo romanzo di Marcello Simoni per puro caso, rinvenendolo in un mercatino dell’usato a un prezzo stracciante.
Trama intrigante, detentore di premi piuttosto importanti, spacciato per un successo internazionale è comunque un romanzo criticato dalla maggioranza per banalità, lacunosità. Insomma , non che mi aspettassi granché da “Il mercante di libri proibiti”, peraltro esordio di uno scrittore emergente.
Invece, già dall’ inizio, è stata una vera bomba di emozioni. Forse perché le letture precedenti mi avevano entusiasmato poco, forse perché non sono un lettore troppo pretenzioso, fatto sta che fin dalle prime pagine ne sono rimasto piuttosto soddisfatto.
Marcello Simoni ci accompagna in un tour tra biblioteche, cattedrali, monasteri in giro per l’Italia e la Spagna. L’atmosfera è quella tipicamente medievale, in cui si sente odore di scartafacci, pagine invecchiate, candele , ma soprattutto mistero, sapienza. Descritto da molti storici contemporanei come un periodo pessimistico, il Medioevo, al contrario, è un momento in cui speranza ,fede spingono l’uomo persino oltre i propri limiti pur di giungere alla VERITA’. E in ciò c’è ben poco di pessimistico.
In questo caso la tanto anelata verità si cela tra le pagine di un manoscritto, l’Uter Ventorum, letteralmente “Otre dei venti”, in grado di far evocare entità angeliche a chi ne entri in possesso.
A desiderarlo fortemente ci sono più persone: Ignazio, mercante di reliquie e libri dal passato poco chiaro, mente acuta e spiccante intelligenza , motore d’azione di tutto il romanzo; Vivien, vecchio amico e “collega” di Ignazio; la Saint Vehme, una congregazione segreta che affonda le proprie radici ai tempi di Carlo Magno, nata con il nobile fine di mantenere l’ordine nell’impero, che però nel tempo è andata incontro alla degenerazione. Guidati da un leader di cui non si conosce l’identità, e semplicemente chiamato “dominus”, perseguitano Ignazio e chi come lui vuole il manoscritto, indossando maschere appariscenti e vesti nere.
Sin dalle prime pagine i ruoli appaiono ben chiari: si riconoscono i buoni e i cattivi, o almeno si è convinti di riconoscerli. Non mancano, infatti, i colpi di scena che animano un giallo-storico dal ritmo concitato, capace di catturare il lettore. I capitoli brevi, la lingua scorrevole contribuiscono sicuramente a rendere il tutto ancor più piacevole.
La parola che più si addice a questo esordio di Marcello Simoni è, quindi, senza ombra di dubbio, PIACEVOLEZZA.
Non è così per quanto riguarda i contenuti. In questo senso le mie aspettative anche se medio-basse sono state deluse. Come ho già affermato siamo di fronte a un “giallo-storico”: sul fatto che sia un giallo, niente da discutere. La suspance non manca- anche se a tratti la trama è un po’ prevedibile , gli enigmi un tantino forzati- e il tema centrale è sicuramente quello della ricerca.
Ma di storico ha molto di meno. Lo sfondo medievale è un po’ come l’aroma di un mazzo di fiori : a tratti si sente, l’autore lo avvicina al naso del lettore, ma per poi allontanarglielo per la maggior parte del tempo.
Avrei gradito excursus storici, digressioni sulle cattedrali, sui dipinti, sui luoghi visitati.
Il risultato è un romanzo un po’ annacquato, sicuramente non paragonabile a “Il nome della rosa”, ma inaspettatamente molto piacevole, in grado di catturare.
Se cercate una lettura relativamente rapida e non troppo impegnativa “Il mercante di libri maledetti” fa al caso vostro.

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Grimpow
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    13 Giugno, 2015
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Sull'orlo del precipizio, tra utopia e distopia




Siamo in un futuro prossimo datato 2022. La storia si trova di fronte a uno snodo cruciale, un avvenimento memorabile, da un certo punto di vista quasi inspiegabile poiché apparentemente rifiutato dalla maggioranza. Infatti, la Francia è testimone di una “rivoluzione” che ben presto coinvolge l’Occidente tutto, contro ogni pronostico e ogni logica, a dimostrazione del fatto che, in fin dei conti, il tanto discusso “libero arbitrio” umano resta un qualcosa di molto fragile. Ma in “Sottomissione”, la bilancia non si pronuncia tanto a favore del meccanicismo cosmologico, in termini democritei ,ossia una totale casualità degli avvenimenti, quanto a una volontà superiore, quella di un’entità che noi umani definiamo “Dio”.
In questo romanzo di Michael Houellebecq il Dio in questione, e unico, è Allah che ha finalmente deciso di imporre la propria egemonia.
Il suo portavoce è Ben Abbes, leader di un nuovo partito francese denominato Fratellanza musulmana, che in seguito a una crescita esponenziale di assensi, si ritrova a capo del Paese sostituendo l’ormai logora e fallimentare repubblica.
Ben Abbes non è lo stereotipo del musulmano chiuso mentalmente, unicamente interessato a imporre la propria religione e magari disposto anche a ricorrere alla violenza pur di raggiungere i propri obiettivi. E’, piuttosto, intelligente, diplomatico, accattivante e MODERATO, caratteristica raramente accostata a un fedele della shari’a; un mix di novità e conservatorismo che gli permette di farsi strada tra le menti dei francesi, che riversano in uno stato di totale inerzia in seguito a quella che pare più una visone onirica che mera realtà.
Michael Houellebcq, costruisce attraverso una lingua chiara e impeccabile un romanzo che può essere spunto di riflessioni profonde su un tema centrale come quello della convivenza tra le religioni. Si diverte a ritrarre- e lo fa in modo magistrale-, grazie alla sua fantasia –o semplicemente al suo senso storico -una realtà politica fittizia ma al contempo estremamente plausibile immaginandone l’impatto sulla gente comune.
Francois, protagonista e narratore, effettivamente è “un uomo di una normalità assoluta”, un individuo incapace di adattarsi alla sua grigia vita da docente universitario sprovvisto di vocazione, che più di una volta ha seriamente preso in considerazione l’idea del suicidio.
Solamente grazie alla via della conversione riuscirà a ritrovare l’orientamento, a testimonianza del fatto che la “sottomissione” è ciò di cui l’uomo realmente ha bisogno.

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    04 Febbraio, 2014
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Il naufragar tra i meandri di Roma.

Ho deciso di affrontare questo romanzo una volta letta la trama, interessante e misteriosa al punto giusto, che ha risvegliato subito in me tutta la mia passione verso le vicende strane, ambigue, enigmatiche.
“La serpe e il mirto” sembra avere, insomma, tutte le carte in regola per essere considerato un tomo avvincente. Ma purtroppo, mano a mano che la lettura prosegue, il senso di delusione aumenta fino a diventare insopportabile.
Anzitutto perché questo romanzo non ha una vera e propria trama: si parte presentando la misteriosa Pensione Internazionale, ubicata nell’insignificante- ma al contempo singolare- vicolo dei Serpari, una delle tante stradicciole che si snodano nella città di Roma.
E’ proprio qui che finisce, per puro caso, Aguilar Mendes, docente universitario in viaggio dall’Argentina.
Fino a qua tutto okay: un buon inizio, peraltro accompagnato da uno stile piuttosto scorrevole.
Ma non è concesso il tempo di esaltare questa prima parte che, subito, appare una delle tante falle che ricoprono la “ struttura-groviera” della vicenda: viene presentato ,infatti, Regenbogen , un personaggio descritto con tanta cura da essere inserito immediatamente tra i personaggi principali. E invece? No, dopo il primo capitolo Regenbogen scompare nel nulla, senza che l’autore ne parli più.
Le pagine scorrono, una dopo l’altra e ci si avvia sempre di più in coincidenze fin troppo casuali per essere credibili. Ma spesso, addirittura, le cose non vengono proprio spiegate! Come il motivo per cui Aguilar Mendes ,dopo essere svenuto e piombato per caso nella Pensione Internazionale, continua a dormire e a passare lì le sue giornate, senza che si parli di alcun motivo che lo abbia spinto a prendere quella decisione.
Continuando a leggere, l’unico che sembra possa essere il vero motivo di tutto –anche se si tratta solamente di supposizioni- è l’atmosfera di mistero che aleggia nella camera 307 e che ammalia sin dal principio il caro professore. Lui in quella stanza inizia a sentirsi travolto dall’infinità del tempo, il Tempo-Uroboros rappresentato dal serpente che si morde la coda.
E’ da questo momento che tutto inizia a confondersi: la trama non è più riconoscibile, c’è un continuo alternarsi di analessi e prolessi, si comincia a non distinguere più quali siano i sogni e quali siano che cose realmente accadute ed eventualmente quali siano successe prima e quali altre dopo!
Le conversazioni si cimentano sullo spiritismo, sullo gnosticismo e su altre correnti filosofiche di cui, lo ammetto, conosco ben poco. E’ tutto molto poco chiaro e anche lo stesso lessico inizia ad essere molto, troppo specifico.
Improvvisamente l’autore inizia a parlare di un enigma da sciogliere ma, tutt’ora che ho potuto riflettere a fondo sul romanzo, non riesco a identificare chiaramente di cosa si tratti. Insomma, alla fine sono ben pochi gli incentivi a continuare una lettura così sibillina, troppo aperta all’immaginazione-interpretazione.
Nonostante tutti questi difetti e nonostante per “La serpe e il mirto” sia stata per me una vera delusione non escludo il fatto che possano esserci persone capaci di apprezzare questo libro. Stefano Valente è uno scrittore molto capace, autore di altre opere che si sono aggiudicate premi importanti. Magari con una conoscenza molto, molto approfondita sui temi affrontati nel romanzo e una buona capacità di interpretazione si possono cogliere particolari e significati che non sono stato capace di identificare.

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    25 Dicembre, 2013
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“Ho risparmiato la loro vita perché potessero ucci

“Ho risparmiato la loro vita perché potessero uccidermi”
È questa la frase di un famoso poeta che, però, potrebbe essere tranquillamente frutto dell’immaginazione di Cesare, il grande Giulio Cesare!
Il potentissimo imperatore romano ha ormai il pieno potere nelle sue mani, quelle stesse mani che hanno diretto poderosamente l’esercito verso innumerevoli gloriose vittorie e che, però, da qualche tempo sono scosse da un tremore tremendo. Malattia? Sì, il “morbo sacro” lo affligge in continuazione e senza preavviso , ma … no ,c’è qualcos’altro a infastidirlo e a preoccuparlo ben più seriamente! Sono mesi ormai che si ritrova a combattere contro un nemico irraggiungibile; una fiera invisibile che lo colpisce in continuazione; un mostro ctonio rintanato proprio lì, a Roma, la sua casa e magari proprio tra gli uomini a lui più fedeli! Giulio Cesare non aveva mai avuto paura della guerra ma stavolta sì: stavolta contro di lui non ci sono uomini armati, a sfidarlo c’è il tradimento!
V.M.M offre a noi lettori un romanzo magistrale attraverso il quale potersi calare nella Roma Antica, descritta con una nitidezza tale da illuderci di averla già vista da qualche parte, magari in un’altra vita in modo che ora sia solo un recondito pensiero. L’autore si muove con un’agilità e abilità formidabili non solo in una realtà così lontana e intangibile ma anche in un periodo tanto confuso e discusso quale l’uccisione di Cesare.
All’interno dell’opera si alternano alle profonde elucubrazioni di Giulio Cesare le eroiche azioni dei suoi amici e nemici: tutta Roma si muove febbrilmente in quelle infauste Idi di Marzo dell’anno 44, i dettagli della congiura vengono fissati, gli dei mandano i loro segnali premonitori, i difensori dell’imperatore si fiondano in una corsa contro il tempo inseguiti dai “difensori della repubblica”. L’AQUILA E’ IN PERICOLO e tutti lo riescono a percepire!
Dopo aver criticato più volte l’amatissimo Manfredi posso finalmente urlare al mondo di intero che anche io stavolta ho potuto stringergli la mano, e con che forza!! Un libro quasi impeccabile capace di coinvolgere il lettore sin dalla prima pagina: gli intercalari storici ci sono ma non sono mai noiosi o eccessivamente prolungati, fondendosi armoniosamente con la narrazione fluida, scorrevole e pure commuovente nel finale!
Al termine della lettura si ha la sensazione di aver conosciuto di persona il grande Cesare, di aver condiviso con lui tutta la paura: IDI DI MARZO è uno di quei pochi romanzi storici ad avermi trasmesso qualcosa in più della pura realtà dei fatti!
Buona lettura!

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Arte e Spettacolo
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    12 Dicembre, 2013
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Shakespeare, sei tu?

Ho affrontato quest'opera dell'illustre William Shakespeare per rispondere alle capricciose pretese della mia professoressa di inglese. Ho infatti gustato questa commedia in lingua originale e questo mi ha permesso di apprezzare indubbiamente la qualità migliore dell'autore,vale a dire lo stile. Una lingua sobria,scorrevole fatta di parole chiave attorno alle quali ruota tutta la vicenda,il fulcro.
Tutta la vicenda si basa sulla lotta accanita alla conquista di Bianca, la candida bellissima e desideratissima figlia di un signore di Padua-ITALY. Una continua avventura tra le mura di un palazzo sontuoso, in mezzo a insegnanti di musica,italiano..tutto in un clima tipicamente medievale.
Devo ammettere che ho terminato il libro con una piccola delusione! Shakespeare e' un personaggio conosciuto per le sue grandissime capacità che, tuttavia, non riesco a riconoscere alla luce di questa commedia mediocre! Non sono amante di questo genere ma non mi darò per vinto e mi getterò volentieri tra le pagine di altri capolavori dell'autore , speranzoso!

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Classici
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    28 Novembre, 2013
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Una passeggiata dinnanzi al Lago di Como

Prima di prenderlo in esame era per me solo e soltanto un librone dalle pagine consunte dal tempo:sto parlando de "I promessi sposi", notissimo pilastro della letteratura classica italiana rimasto accartocciato lì,in quell'angolo remoto della libreria,tanto tempo, troppo! Fino a che -per mia immensa fortuna- il mio dovere da studente mi ha imposto di prenderlo in visione.
Fin dalla prima pagina mi si è aperto un mondo nuovo, diverso, capace di proiettare la mia mente in angoli della letteratura che ancora non avevo avuto occasione- né la voglia- di considerare.
Il classicismo, quei romanzi che tutti decantavano,non erano mai riusciti ad ammaliarmi: chissà perché la mia mente mi aveva sempre reso dubbioso e restio dall'intraprendere un'avventura che pensavo troppo noiosa, vale a dire intraprendere una lettura così impegnativa.
I promessi sposi costituiscono il progetto più impegnativo di Alessandro Manzoni che, proprio mentre stava componendo la tragedia Adelchi,pensò bene di dare "voce" alla sua" letteratura utile" : un'opera innovativa, un'opera grandiosa, un'opera che potesse toccare tutti, dai più eruditi ai meno abbienti col nobile scopo di insegnare, di plasmare le menti del popolo fino a renderle consapevoli dei punti deboli della società italiana Seicentesca. E tutto ciò respirando la storia.
Oltre ai contenuti che rendono questo un Romanzo Storico per antonomasia, ciò che più colpisce- SOLO LEGGENDO,PERO',CON UNA DOVUTA ATTENZIONE- è sicuramente la varietà dei personaggi.
Durante la lettura si assiste a una cesellatura delle personalità più variegati e multiformi, con descrizioni dirette e,talvolta, indirette. Ed è proprio questa una delle tante capacità di Manzoni: descrivere attraverso le azioni, attraverso i comportamenti inducendo il lettore più attento a inquadrare i personaggi valutandone ed interpretandone i comportamenti. Personaggi molto interessanti: dai più deboli ai più petulanti ; da quelli impulsivi a quelli votati al raziocinio; dagli OPPRESSI agli OPPRESSORI.
E tutto questo- storia,passione,patti, punti d'onore,inganni..- è tenuto insieme da una lingua magistrale,un'agile strumento di comunicazione ottenuto da un'efficace utilizzo del fiorentino della classe media, cosparso,qua e là, di qualche latinismo e francesismo. Ma ciò che più mi ha colpito più di ogni altra cosa, forse per la mia attenzione durante la lettura, è la densità di significato di cui ciascun verso è carico. Insomma una lettura che oserei definire INDISPENSABILE oltre che piacevole SE AFFRONTATA CON UNA CERTA ATTENZIONE E PREPARAZIONE.
Buona lettura!

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Racconti
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    18 Novembre, 2013
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La raccolta di banalità.

Zeus e altri racconti. Dal titolo e, soprattutto , dalla trama mi ero caricato di aspettative, forse anche troppo.Ma Manfredi ancora una volta mi si mostra in tutte le sue lacune piuttosto che nelle tante virtù decantate dalla maggior parte della gente!
Questo “romanzo”, se così si può definire, è, come suggerisce il titolo, una raccolta di racconti dai temi più vari- troppo sconnessi tra loro.
L’inizio è veramente entusiasmante: un’ambientazione estasiante- un viaggio tra i profumati vicoli dell’Oriente: siamo ad Istanbul, mondo di colori, spezie, arte, tanta arte!- e una buona dose di mistero, ingrediente essenziale per catturare l’ attenzione. Lo stile era semplice, ma scorrevole! Mi stavo ricredendo sul conto dell'autore: finalmente vedevo profilarsi un ROMANZO VERO. C’era pathos, passione, senso nella trama!
Ma poi, per mio stupore visto che non avevo capito che fosse così strutturato il romanzo, si passa alle altre storie: che noia, che banalità! Mi sarei aspettato ,una volta scoperta la tipologia del libro che avevo sottomano, che almeno queste vicende avessero un senso, che fossero legate tra loro, che trasmettessero, nell’ insieme, dei valori intrinsechi ma NIENTE! Trame brevi,poco articolate, banali – fuorché la prima e, forse, anche l’ultima- totalmente indipendenti l’una dall’ altra.
L’idea che mi sono fatto appena terminato il tomo è stata che sicuramente l’autore in questa opera oltremodo leggera e semplice abbia voluto riportare quelle sue idee “andate male”, ossia quelle trame “buttate giù” carine ma che non era riuscito a portare avanti in modo da scriverci una vera opera. Insomma, ancora non sono riuscito a godermi tutti i pregi di V.M. Manfredi il quale si sta plasmando nella mia mente sempre più come una figura debole e piena di asperità: speriamo di potersi ricredere!

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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    10 Settembre, 2013
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Philos sophia.

“Immaginate così la nostra situazione.
C’è una caverna. Al suo interno si trovano degli uomini con il collo e le membra in catene. Sono immobilizzati e non riescono neppure a ruotare la testa. Alle loro spalle arde un fuoco- è impossibile per loro vederlo- e delle marionette vi danzano di fronte, ma i prigionieri sono destinati a guardare solamente le ombre proiettate sulla parete della grotta.
Hanno trascorso tutta la vita in quella posizione, sono ormai convinti che le ombre costituiscano la realtà. E come potrebbe essere altrimenti?
Cosa accadrebbe per esempio, se uno di loro riuscisse a liberarsi?”
Siamo in Italia, Thurii. Finalmente qualcuno è riuscito a voltarsi, a vedere, a concepire la Verità. Il suo nome è Platone. Sulle tracce dell’amico Agatone l’umile ateniese condurrà senza neppure accorgersene una vera e propria caccia al tesoro, il vero tesoro della conoscenza.
Ai giorni nostri, Jonah conduce il suo stesso iter ,alla ricerca della moglie scomparsa.
La storia di coloro che sono riusciti a liberarsi dalla prigionia della spelonca, a voltarsi e a scoprire cosa si celava dietro ai propri corpi incatenati.
Un libro ricchissimo di documentazioni relative al mondo del V secolo a.C , a tutti i suoi enigmi e ai suoi misteri. Si va dalle frasi sibilline dei culti orfici a quelle acute e sprezzanti dei sofisti per poi gettarsi in quelle fresche e rigeneranti dell’insigne Socrate e del suo allievo Platone, protagonista assoluto della vicenda.
E’ un romanzo, questo, che gioca molto sulla concezione della realtà, di ciò che ci sta intorno, capace di appassionare con il suo ritmo cadenzato dai misteri più arcani. Uno dei quei pochi libri profondi, pieni zeppi di massime e citazioni su cui riflettere- come si può non farlo quando il fulcro è la filosofia- che riescono ad “aprire” la mente del lettore verso nuovi orizzonti. Uno scenario dove non possono mancare le giuste striature rosa, la ciliegina sulla torta!
Unica nota dolente: la prima parte, quelle 200 pagine che non scorrevano mai. Si riconoscevano qua e là le piacevoli discussioni filosofiche, le documentazioni integrate col testo.. ma tutto ciò era fin troppo sconnesso e tutto faceva pensare che i contenuti ci fossero ma non sfruttati adeguatamente. La piacevolezza fin troppo effimera si fa sopraffare dallo stile confusionario- ci sono dei veri e propri voli pindarici! - e tedioso AD NAUSEAM. La sensazione è quella di non entrare mai nel vivo della storia ma, assicuro che una volta trovata la breccia.. solo estasi!

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Romanzi
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    01 Settembre, 2013
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Il mausoleo della maledizione

Dopo la cocente delusione suscitatami dalla lettura de “La torre della solitudine” ho deciso di tornare su un’opera di Valerio Massimo Manfredi con la speranza di ricredermi sul suo conto. Beh, se da un certo punto di vista “Chimaira” mi ha soddisfatto facendomi quasi rivalutare Manfredi, man mano che la lettura procede escono fuori tutti i difetti e le lacune dell’autore ( o almeno nelle due opere che ho letto ).
Fin dalle prime pagine, “Chimaira”, si prospetta come un buon romanzo dal ritmo incalzante, coinvolgente!
Su uno sfondo storico appassionante, tra i letti triclinari e le tombe di carattere etrusco si dirama una trama con tutte le carte in regola per poter essere considerata un “giallo”, un gran bel “giallo”.
Però, procedendo la lettura, quando l’euforia iniziale scema ho potuto riflettere più a fondo sulle fattezze del romanzo. Ok, la trama è coinvolgente e capace di destare grande interesse ma.. basata su fatti storici del tutto inventati! Tutto ciò che l’autore menziona nella sua opera relativamente alla storia etrusca è frutto della sua immaginazione e, perciò, pura fantasia! Avevo iniziato a leggere questo romanzo con l’intenzione di IMPARARE, leggendo un libro in cui una storia appassionante mi permettesse allo stesso tempo di incamerare preziose informazioni storiche. Oltre a questo, forse proprio perché inverosimile, la trama si dimostra a tratti banale e scontata- si esibisce un Manfredi intento ad “arrampicarsi sugli specchi”- cosparsa per di più da noiose ripetizioni di parole ( “raccogliere” ripetuto svariate volte in poche pagine).
Insomma, un’opera che non ha risposto alle mie aspettative come mi sarei aspettato (non si può considerare “Chimaira” un romanzo storico) ma buona per quanto riguarda la piacevolezza.
Sconsigliata a chi voglia gustarsi un VERO thriller STORICO; consigliato,invece,a tutti coloro che vogliano affrontare un fantasy molto ma molto leggero.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    28 Agosto, 2013
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Follett: baluardo del pathos!

Una fortuna pericolosa.
Dopo tanto tempo, TROPPO tempo, sono tornato finalmente a crogiolarmi tra le pagine di uno dei tantissimi capolavori del mio autore preferito: Ken Follett. Ancora una volta, come sempre, il caro Ken non delude.
“Una fortuna pericolosa” è il titolo del suo ennesimo ottimo romanzo, autentico detterrente alla noia. Sin dalle prime pagine si riconosce il marchio e lo stile inimitabili dell’ autore britannico. Tutto inizia in quel fatidico 1866: uno studente della Windfield School, Peter Middleton, incontra la morte in circostanze ignote e nessuno accenna a voler parlare. Inevitabilmente la realtà su quel giorno funesto si inabissa, assieme alla speranza dei parenti del pover Peter di incamminarsi verso la verità. Ma, proprio quando tutto sembra essersi finalmente placato, quel segreto tanto pericoloso torna a minacciare più e più volte causando il panico tra coloro che “ sanno” . Ed è così che, come in molte altre opere di Follett, si intrecceranno i destini di più persone: dalle più nobili alle meno abbienti, dalle più sincere a quelle più subdole. Una storia di intrighi, risentimenti, battaglie…piccoli tasselli di una guerra a tutti gli effetti, un conflitto contro una scomoda verità. In questo misto di silenzi e affronti si aggiungono storie di amore, speranza, passione, crudeltà!
La trama è, come sempre d'altronde, interessante, coinvolgente e mai banale o scontata! Per quanto riguarda lo stile di Follett .. beh, si conosce: tutto fila sempre liscio come l’olio! Ogni frangente della storia è sorprendentemente ragionato e solo uno dei tanti che costituiscono puzzle di vicende estremamente intrecciate, collegate e comunicanti tra loro.
Il tono è molto ma molto incalzante con frasi semplici e mai spropositatamente lunghe, sempre cariche di pathos, passionalità che spinge il lettore a sentirsi parte integrante della vicenda.
Sin dai primi capitoli finisce per distinguere meticolosamente i “buoni” dai subdoli e, di conseguenza, ad appoggiare i primi disprezzando acremente i secondi. E questo è solo una delle tante "prove" di quanto coinvolga Ken Follett.
Particolare estasiante di tutti i suoi libri di è,inoltre, la presenza di personaggi scaltri,intelligenti e dalle menti sorprendentemente acute. Ogni loro decisione viene presa solamente dopo aver meticolosamente valutato la situazione. Questo loro agire solamente ragionando rende la trama ai miei occhi assai più interessante poichè ricca di meditate strategie e gustose sottigliezze che amo valutare e sforzarmi di afferrare.
Insomma, come posso non consigliare una lettura di questo genere?! "Buon appetito"!

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l'inimitabile Ken Follett!
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Romanzi storici
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    22 Agosto, 2013
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Leggi,ricorda e fa' ricordare!

Sono passati vari mesi da quando ho terminato di leggere "Il cielo cade" e, nonostante mi sia arduo fare un'analisi dettagliata sul libro, ricordo ancora in modo discretamente chiaro le sue particolarità.
Penny e Baby si ritrovano a vivere da perfette cristiane le nefandezze che sono costretti a subire gli ebrei. Panico,terrore,paura pervadono le bambine, in netta contrapposizione con la gioia e spensieratezza giovanile che dovrebbe caratterizzarle. "Il cielo cade",attraverso una focalizzazione interna e uno stile molto particolare,cerca di riportare i pensieri innocui e infantili di Penny. Infatti le frasi sono spesso molto brevi,semplici e delle volte quasi banali. Da questo punto di vista devo indubbiamente plaudire Lorenza. Per il resto il libro però non mi ha fatto impazzire e non ho avuto per niente fretta a finirlo di leggere visto che non mi "catturava" come altri. Devo però riconoscere che non si tratti di un testo che abbia la finalità di spingere la gente a "divertirsi" leggendolo. Si tratta piuttosto di una delle tante ma mai troppe testimonianze delle infamie subite dagli ebrei. Lo scopo è di ricordare e non far dimenticare il passato. Nonostante, quindi, io ritenga che ci siano opere migliori che trattino l'argomento non reputo assolutamente giusto sconsigliare una lettura che invece deve essere affrontata da più persone possibili. Magari con uno spirito diverso.. con il nobile intendo di mantenere vivo un passato che non dovrà mai più ripetersi.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    22 Agosto, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

"Lasciate ogni speranza voi ch'entrate"

Inferno.
Finalmente, dopo il grande successo ottenuto con i romanzi precedenti, Dan Brown decide di mettersi nuovamente alla prova con una nuova Opera e.. che opera!
525 pagine bevute in 4 giorni e ciò solo grazie a questo autore che non finisce mai di stupire.
Sin dall’inizio questo tomo si prospetta come un fantastico e intrigante giallo storico ,il migliore che avessi mai letto: associazioni segrete, rimandi al ribollire delle acque melmose dello Stige , assassini, pochi segreti svelati e innumerevoli ancora da scoprire. E, come in ogni thriller degno di nota, non può mancare all’appello un vortice vertiginoso di interrogativi senza risposta.
Sono rimasto colpito prima di tutto dallo stile adottato dall’autore: oltre ai capitoli brevi che terminando sul più bello innescano nel lettore la voglia di continuare a leggere, anche i periodi molto brevi hanno un loro perché. Le frasi infatti, accompagnate da una punteggiatura attentamente misurata ,trasmettono a tratti, di pari passo con la narrazione, un senso di ansia, timore, sudore freddo… Tutte le sensazioni che anche il povero professor. Langton, protagonista assoluto della vicenda, prova nel corso di tutta la storia, a partire da quel traumatico risveglio in ospedale con il mondo intero contro di sé. Perché tutti vogliono annientarlo? Il lettore leggendo e meditando qualche soluzione inizia a orientarsi in “quella selva oscura”. Un'idea razionale inizia a prendere forma e cautamente tutto inizia ad avere un senso. E’ questo il momento in cui ho pensato mestamente che, forse, l’opera non era poi più così entusiasmante come l’inizio invece prometteva. Ma questi pensieri non hanno avuto il tempo di attecchire nella mia mente perché Dan aveva già giocato il suo asso dalla manica. Uno stravolgimento: le parti iniziano a scambiarsi. Tutto pare non aver più senso: il male si trasforma in salvezza e gli amici in acerrimi NEMICI. Una sensazione di smarrimento balugina nel lettore sempre più curioso però di rispondere ai propri interrogativi, ognuno con una risposta che si cela dietro un finale avvolto dalla speranza.
Inferno è un mosaico perfettamente composto, ricco di simboli e rimandi a un’appassionante arte medievale. Un viaggio estasiante tra i vicoli tortuosi della bella Firenze Dantesca e non solo! Un perfetto incastrarsi di segni iconografici da interpretare, immagini da scoprire e parole da soppesare che trasmettono un effetto di perfezione quasi irreale.Irrealtà che si contrappone a quello che, reale e concreto, si annida nascosto dietro a tutta questa simbologia; un problema terribilmente vicino e minaccioso che la suddetta “negazione” dell’uomo non vuole proprio accettare. La sovrappopolazione. “Inferno” quindi è un romanzo sì storico ma anche terribilmente attuale, capace di far riflettere su un problema che realmente è alle porte con un ghigno intimidatorio.

Insomma, questo libro, nonostante nelle ultime pagine il ritmo si sia leggermente allentato, non può deludere! Buona lettura.

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Romanzi storici
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    20 Agosto, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

Il valore nel finale

"Il giardino delle spezie segrete": questo è il titolo della prima opera di Charlotte Betts. Niente male come inizio ma niente di speciale. Ho impiegato circa un mese per leggere poco più di 400 pagine e da ciò, conoscendomi, posso constatare di non essermi sentito coinvolto più di tanto. In particolare la parte iniziale appare lenta,prevedibile e,a tratti noiosa, nonostante lo stile scorrevole. Ci si inizia a immedesimare a pieno nella vicenda solamente nella parte finale: la peste imperversa a Londra e il clima è un connubio di paura,terrore,suscettibilità. E' questo il climax, dove la tensione è alle stelle e,soprattutto, dove sorgono migliaia di domande sul futuro di Susannah.Proprio quando sembra che tutto sia perduto, una luce,seppur fioca, piano piano si accende;un barlume di speranza che si tramuta in realtà per un finale,così, utopico e insperato che sembrava così lontano dal potersi realizzare.

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Consiglio questo libro a tutti gli amanti dei romanzi storici "soft", vale a dire quelle letture che non trattano in modo strettamente oggettivo un periodo storico. Quelle opere dove tutto nasce da una vicenda, un'avventura che rende inevitabilmente il tutto più smorzato e ,a mio parere, più piacevole. Spingo, perciò, a leggere "Il giardino delle spezie segrete" tutti coloro che hanno letto e apprezzato "La porta del paradiso" o "il segreto dello speziale", accostabili a questo romanzo per stile e scorrevolezza.
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Romanzi storici
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    20 Agosto, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

La morte è una lunga attesa

"La mano di Fatima".
Ildefonso Falcones, dopo "La cattedrale del mare", decide di tornare all'attacco con un tomo di bel 910 pagine che, devo ammettere, sono volate con una certa velocità. Un'opera molto piacevole dove una miriade di emozioni pervadono l'animo del lettore: paura,amore,speranza,sconforto,vergogna.. Dalla prima all'ultima parola si ha l'impressione di essere noi stessi il protagonista della vicenda: quell'Hernando, o meglio,quell'Ibn Hamid. Un ragazzo sfortunato dalla nascita, su cui grava dal giorno in cui è stato messo al mondo in seguito a uno stupro, un marchio di indelebile cattiveria che lo perseguiterà in molte occasioni. Carico di bontà, intelligenza, cuore, e della sua inconfondibile fede musulmana si ritroverà a condurre un viaggio contro tutto e tutti. Non mancheranno le delusioni cocenti nè i momenti di gloria; il suo carattere solido lo aiuterà e a momenti gli si ritorcerà contro; si ritroverà a percorrere un sentiero verso la giustizia irto di incomprensioni e verità nascoste.
Di grande spessore è il tema principale di questo romanzo, vale a dire lo scontro tra musulmani e cristiani. Un argomento tanto storico quanto attuale che viene affrontato da un punto di vista differente da quello immancabilmente impavesato di pregiudizi e scetticismo. Inavvertitamente Falcones attraverso la figura di Hernando riuscirà ad aprire gli occhi al lettore di fronte alla realtà: basandosi su dati storici oggettivi l'autore fa capire quante ingiustizie si siano ritrovati a subire i musulmani, coloro che tutt'ora vengono visti con immancabile disprezzo; ingiustizie inferte proprio dai cristiani e dalla Chiesa particolarmente, da sempre legata alla corruzione e al denaro ma al contempo desiderosa di sfoggiare falsa misericordia.Un tema delicato su cui questa lettura porta a riflettere.
Particolare e inaspettato il finale. A caldo una piccola delusione ma, in realtà,parte indispensabile del romanzo che cela al suo interno il vero messaggio del libro. Hernando non abbandona la sua sposa cristiana: decide di non rompere un legame che nasconde un grande significato per lui da sempre favorevole alla convivenza di quelle religioni tanto contrastanti e tanto sovrapponibili.. Un'unione che non può che simboleggiare quanto concreta sia la possibilità di vedere un giorno cristiani e musulmani avvicinarsi,sempre più, fino a convivere,rispettarsi,fondersi per ruotare insieme attorno al loro punto di confluenza.
Leggendo "La mano di Fatima" non mancheranno i brividi, pronti ad attraversare la schiena..
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Consigliato a chiunque abbia letto "I pilastri della Terra" o "La cattedrale del mare", entrambe opere di grande valore e accostabili a "La mano di Fatima" per contenuto e stile. Oserei aggiungere che,forse, quest'ultima opera di Falcones ha qualcosa in più ripetto alle altre due appena citate: significati intrinsechi di grande valore che pochi altri tomi possono vantarsi di celare al proprio interno.
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Narrativa per ragazzi
 
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Filippo1998 Opinione inserita da Filippo1998    20 Agosto, 2013
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La magia della matematica

Il mago dei numeri.
Una fiaba, quella di Enzensberger, che non può che avermi sorpreso in tutto per tutto. Una storia piacevole tra i meandri della matematica: niente è banale,niente è scontato. Un viaggio di ben dodici notti e altrettanti sono gli incontri dell'avventuriero Roberto con uno strano personaggio: il mago dei numeri! La missione di quel mago un po' scorbutico è piuttosto ardua: Roberto non apprezza la matematica e lui deve cercare di fargli cambiar idea, eliminando tutte le cattive impressioni del giovane che aveva instillato in lui il buono a nulla professor.Mandibola. Per farlo il mago dei numeri dovrà estrarre dalla manica le sue carte migliori ed è così che Roberto,proprio come il lettore, inizierà ad apprezzare i numeri in tutta la loro stranezza, curiosità e normalità.
Una lettura che merita di essere effettuata anche dagli adulti per conoscere una matematica presentata dall'autore da un punto di vista completamente differente dal consueto.

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