Opinione scritta da Prelude
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Sostiene Pereira
“Volli registrare il 25 agosto del 1993 sulla pagina perché è per me un giorno importante: il compleanno di mia figlia. Mi parve un segnale, un auspicio. Il giorno felice della nascita di un mio figlio nasceva anche, grazie alla forza della scrittura, la storia della vita di un uomo. Forse nell’imperscrutabile trama degli eventi che gli dèi ci concedono, tutto ciò ha un suo significato.”
Il 25 agosto è, infatti, la data della svolta, della redenzione e della presa di coscienza per il Dottor Pereira. Vedovo, cardiopatico e infelice, Pereira comprende di non essere stato scaraventato in un luogo e tempo preciso per lasciare che gli altri vivano per lui, per lasciare che gli altri “facciano la storia”.
Mentre Salazar instaura una dittatura sotto il naso dei portoghesi e, assieme ad Italia e Germania, supporta Franco contro la Repubblica, alcuni hanno il coraggio di non lasciarsi trasportare dagli eventi, ma cambiarne il corso. Non è il caso del Dottor Pereira, che preferisce dedicarsi alla letteratura francese dell’Ottocento, traducendo racconti sulla pagina culturale del “Lisboa”, al ricordo della defunta moglie e alla venerazione del suo Passato, sostiene. Ma il suo io egemone è messo a rischio quando incontra due giovani, Monteiro Rossi e Marta, coinvolti nel movimento di opposizione al regime, e il Dottor Cardoso, che lo esorta ad assecondare il suo malessere ed inquietudine, spie della necessità di cambiamento. Il libro si conclude con la personale rivoluzione del protagonista , che fa qualcosa di contrario ai suoi principi, mettendo in dubbio il suo io egemone. Forse la teoria della “confederazione delle anime” del Dottor Cardoso ha qualche fondamento, pensa Pereira. Egli continua la sua vita solitaria altrove, lontana dal Portogallo e da Lisbona, e Tabucchi ci dice che morì solo e dimenticato. A me piace immaginarlo intento ad ordinare la solita omelette aromatizzata e una limonata in un bar non molto diverso dall’Orquidea, ma con una nuova e migliore consapevolezza di sé. Il fischio del treno pirandelliano ( incarnato da Monteiro Rossi) lo smuove dall’ apatia di un’esistenza, che deve essere votata a “frequentare il futuro”, ribellandosi alla passiva interpretazione del ruolo di intellettuale che si rifugia in studi arcadici, sostengo io.
“La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità.” E’ questa la vera novità e rivoluzione di Tabucchi.
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Apatia, apatia portami via
Purtroppo il libro non mi ha convinto in nessun punto e non ho ritrovato nulla di quello che avevo letto a riguardo: realismo, introspezione, ottima analisi psicologica di adolescenti (giapponesi), e, in definitiva, il capolavoro di Murakami.
Ho letto le vicende dei vari personaggi con inquietudine e provando talvolta anche una sorta di malessere: non sono sinceri, spontanei e naturali, ma quasi torbidi. Domina un'apatia generale che li fa agire con indifferenza. Sono ignavi e non hanno consapevolezza di quello che fanno. Trovo inspiegabile la negatività che circonda il protagonista Watanabe, che si relaziona in 3 anni di università con solo 6 persone ( come può essere realistica una cosa simile?). E se Midori doveva essere l'unico spiraglio di luce, anche il suo personaggio l'ho trovato opaco e "impuro" nella sua passione per i porno-sadomaso.
una donna di 30 anni molestata da una ragazzina di 13, 4 suicidi, e 8 o 9 scopate con gente sconosciuta in poco più di 300 pagine...sarà la morale cattolica che viene violentemente inculcata a noi occidentali, anche se vorremmo non condividerla, o solo io ci vedo qualcosa di malsano? Tutta la storia vorrebbe risolversi nella dimostrazione che "la morte è intrinseca alla vita"...ma di quale vita si parla nel libro? Quale Vita è quella di Watanabe che studia annoiandosi, scopa annoiandosi, lavora annoiandosi; e le persona che lo circondano o sono rinchiuse in cliniche di recupero perché soffrono di depressione oppure si sono già suicidate.
Alla sessualità non viene dato alcun valore vitale, che possa, in qualche modo, salvare l'uomo dal nulla dell'esistenza, dalla morte, da se stesso. A questa considerazione non sono giunta dopo aver constatato che il protagonista va a letto con quasi tutti i personaggi femminili che incontra, ma quando, ormai alla fine del libro, Watanabe va inspiegabilmente a letto con Reiko, donna di 40 anni, amica della ragazza che il protagonista amava, e appena uscita dalla clinica.
Per favore vorrei sapere da voi cosa avete apprezzato e cosa, a quanto pare, non ho colto.
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Angelo o Fantasma?
Una delle storie più interpretate e rivisitate, ma chi davvero può dire di aver letto il romanzo dello scrittore francese Leroux?.
Le ambientazioni reali della Parigi ottocentesca si scontrano con un mondo sotterraneo ignoto e labirintico, che non può contaminare il primo. Ciascuno deve preservare se stesso e difendersi dall’altro. Chi tenta di confondere le due realtà è destinato a fallire. Scisso tra verità e finzione, razionalità e superstizione, “Il Fantasma dell’Opera” riesce a coinvolgere il lettore per la sua verosimiglianza: i personaggi sono uomini e donne condannati all’infelicità, che vivono nell’ombra, ma che aspirano alla luce. Cosa può esserci di terrificante in questa che è la nostra condizione perenne? E’ la bruttezza che ci intimorisce e che ci porta ad allontanare ciò che è diverso, ad isolare ed isolarci (inevitabile riconoscere l’influenza greca della Kalokagathia). A ciò che è ignoto l’uomo dà il nome di “fantasma” per giustificare la propria codardia e pigrizia intellettuale: perché cercare di capire, quando è molto più divertente e facile credere in qualcosa di soprannaturale?. Solo la cantante Christine Daaè rimane incatenata dal fascino della presenza che “infesta” il teatro parigino che, da creatura demoniaca, lei identifica con “l’Angelo della musica”. Ma, quando anche la donna comprende che non vi è nulla di mistico nel suo Angelo, la verità è troppo orrida da accettare. Questo scatena la furia del fatidico "fantasma", che, alla fine, si rivelerà più umano di chiunque altro. Quindi nel testo , forse, i ruoli di “vittime” e “carnefici” potrebbero essere ribaltati.
A voi la scelta.
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“E’ così sottile la crosta terrestre, pensò”
Buio.
Luce.
Buio.
Il futuro è assente, il passato è ingombrante, il presente è smarrito.
Delle ombre si muovono, provano a rincorrersi, a prendersi. Si perdono. E si rincontrano. No, non è il destino a volerlo, e neanche loro. E’ la vita che hanno condiviso che li ha legati: sono Avram e Ilan, amici inseparabili, ed Hora, il loro sigillo. Amici, nemici, amanti. Tre ragazzi incompresi prima, tre soldati poi…. La guerra dei Sei Giorni non è lo sfondo, ma la protagonista. La vera ragione che plasma storie, esistenze, individui prima, ombre poi. Ombre che si illudono che la guerra sia solo una parte della loro realtà. Ma Hora si chiede se la sua realtà sia tale. Se la famiglia costruita sulle macerie del conflitto arabo-israeliano assieme ad Ilan e al relitto di Avram, sia sufficiente ad ingannare: Dio? Allah? O solo ingannare se stessi. Una famiglia, un lavoro, i figli, Adam e Ofer, sono un atto di ribellione o il riscatto che Hora chiede alla vita, perché compensi ciò che le ha strappato?.
Il libro è un racconto continuo e perpetuo di una esistenza improvvisata, che vuole restituire ad Avram una parvenza di quello che poteva, che avrebbe dovuto essere. Il lettore rimane incantato davanti alle parole della donna: ragazza prima, madre poi, e ai silenzi di Avram che, come macigni, ostruiscono il naturale fluire dello spirito.
Ma, nonostante l’inabissamento nelle tenebre più profonde di se stesso ( di noi), forse, c’è la possibilità di riemergere in superficie e, anche se per poco, respirare a pieni polmoni l’ombra di un sogno in cui si possono ancora inventare radiodrammi, ascoltare il jazz per capire il mondo, struggersi d’amore per lei, lei o quell’altra (perché se si è giovani non è importante chi, ma come si ama) e ideare nuove storie, avventure o neologismi, per dar voce a ciò che non ha nome. Bisogna, però, cercare una ragione per risalire, e Avram l’ha trovata.
Lasciate che si perda nei paesaggi dimenticati della Galilea con Hora, per ricongiungersi nuovamente. Così come era.
Il futuro è assente, il passato è ingombrante, il presente può cominciare a scorrere.
Buio.
Luce,
luce.
Da leggere con urgenza, non ci saranno vie d’uscita.
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"Un mese con Montalbano", o forse un po' di meno
Piacevole e di intrattenimento, divorerete "Un mese con Montalbano" in molto meno tempo: le 30 storie sono brevi, efficaci, la conclusione delle vicende è spesso imprevista. Ad arricchire il tutto c'è il caloroso ambiente siciliano, con il suo dialetto incisivo e i soliti personaggi: Montalbano, Mimì, Fazio, Catarella, che Camilleri ci ha insegnato a conoscere servendosi di risposte caustiche.
L'unica critica che posso muovere è che un racconto tira l'altro, lasciandoti un po' insoddisfatto perché la storia non fa in tempo ad iniziare, che già è conclusa. Ma questo costituisce anche la forza del testo: la grandezza di Camilleri è quella di non perdersi troppo in descrizioni, ma colpire dritto nel segno.
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"Se non sai cos'è, allora è jazz"
La verità è che dopo essere stati cullati dalle onde del monologo di Baricco, ci si chiede se veramente si vorrebbe ascoltare dal vivo un qualsiasi trombettista, Tim Tooney, raccontare la storia di Danny Boodman T. D. Lemon Novecento. Non rileggete il nome increduli, perché Novecento è la SUA storia, e se non salite ora sul seggiolino del suo pianoforte, siete fregati per sempre. Sì, fregati perché vi limiterete alle “note normali”, quelle che si suonano in prima classe, mica al ragtime, “la musica su cui balla Dio, quando nessuno lo vede”, che si suona per gli emigranti sul piroscafo Virginian. Varie leggende sono legate a Novecento, come quella del senatore americano Wilson che avrebbe volentieri consumato la sua vita in terza classe, ad ascoltare la musica del mondo, di “quello che suona solo se ha l’Oceano sotto il culo”, o di quando ebbe l’idea folle di scendere giù dalla nave. Lui, proprio lui che suonava la sua vita incastrata tra una prua e una poppa. Lui che aveva incantato, incastonato, cesellato i suoi giorni nelle note dedicate ad una donna, ad un amico, ad un figlio mai avuto, ad una esistenza mai scelta, ma capitata 2000 mila passeggeri alla volta. Lui che, da solo, aveva scelto il modo in cui salvarsi per non essere mai infelice e avere rimpianti.
Novecento che “In culo il regolamento”.
Con affetto.
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"La vita trova il modo di rinnovarsi"
Davvero difficile rendere giustizia ad uno dei libri che è risultato essere tra i più coinvolgenti in cui sono incappata in questi ultimi anni. E mi sorprende essere la prima a recensirlo. Così tenterò di fare del mio meglio per incuriosirvi e rivalutarlo adeguatamente.
Gioconda Belli, ne “La donna abitata”, fa rivivere la dittatura di Somoza in una ipotetica città dell’America latina, Faguas. Ispirandosi alla sua diretta esperienza nel Movimento di Liberazione Nazionale Sandinista, ci si ritrova coinvolti nella doppia (o forse più) vita della protagonista Lavinia, figlia di una famiglia “verde” (aristocratica) ed abile architetto che, dopo aver terminato gli studi in Europa, ritorna a Faguas per vivere come una donna libera e indipendente (suscitando il malcontento dei genitori e vari pettegolezzi nell’ozioso “ceto verde”). La storia prende avvio quasi in totale normalità, raccontando delle abitudini, di esperienze passate e dell’infanzia, delle vecchie e nuove amicizie della giovane, della bolla di sapone in cui è contenuta e che, nello stesso tempo, la congiunge e la separa dalla realtà misera e squallida che la circonda. La povertà e la ricchezza vivono l’una accanto all’altra, guardandosi senza osservarsi.
Lavinia si lascia vivere seguendo il modello di donna europeo, non per ambizione, ma per accentuare questo distacco: la compassione e la pietà sono solo sentimenti giustificatori, che attenuano il senso di colpa di chi può vivere chiudendo gli occhi di fronte all’indigenza altrui.
Ad osservarla c’è l’ingegnoso personaggio di Itzà, che non comprende la sua inspiegabile passività: Itzà è ciò che c’è di mistico, leggendario, fascinoso, è lo spirito di una guerriera azteca che si rinnova nella fioritura della natura della sua terra. La più spontanea ed autentica percezione del mondo, in tutte le sue manifestazioni. Ciò che maggiormente colpisce è la purezza e naturalità della relazione tra uomo e donna. Così essenziale, eppure anche così complessa:
“ L’uomo ci sfugge, scivola tra le nostre mani come un pesce in un fiume calmo. Lo colpiamo , lo tocchiamo, gli diamo fiato, lo ancoriamo tra le gambe e continua ad essere distante come se il suo cuore fosse fatto di un altro materiale. […] Per lui, l’amore era ascia, uragano. Lo smorzava perché non gli infiammasse il senno. Lo temeva. Per me, invece, l’amore era una forza con due estremità: una di filo di fuoco e l’altra di cotone e di brezza. […] Non potevo accettare che portassero dentro di sé solo l’ossidiana necessaria per le guerre. Mi sembrava che non manifestassero l’amore per il timore di sembrare donne.”
Itzà è l’autoctonia pregnante di chi, per primo, si è conformato alla terra: “un rapporto di comunione con la natura e in una sua umanizzazione o viceversa, nella –naturalizzazione- della specie umana” (Gioconda Belli). Itzà è il suono delle antiche tribù che deve continuare a battere, è “la lama per tagliare l’indifferenza”.
Solo quando le due donne abiteranno lo stesso sangue, l’essenza di Lavinia sarà risvegliata, l’enigma femminile si dissolverà, pacificando il dissidio interiore. L’esistenza assumerà il valore arcano che dà contenuto e spessore alla morte. Vita e Morte parificate. Vita e Morte presentate non come deserti sterili, ma feconde, perché riempite di significato e sentimento. Vita e Morte, violentate dal mondo circostante, sono modellate da scelte e votate alla riconquista dell’integrità.
“E’ l’unica cosa che di noi è rimasta: la resistenza.” (Itzà)
Perfetto stilisticamente. Immaginate uno corda in costante tensione che non vi permetterà di distrarvi, ma di piangere e ridere assieme ai personaggi. Luci e ombre, miserie e grandezze, di una compagine di cui ciascuno di noi fa parte con le proprie colpe e meriti.
Credo di aver anticipato fin troppo. Ma ciò che è importante capire è che, anche in una realtà così ferina, cruda e solitaria, l’umanità è possibile finché si perseguirà l’Amore (“imperfetta approssimazione della vicinanza”) per il proprio compagno, per i propri cari, per i propri ideali, tanto più alti, tanto più nobili, quanto più condivisi. Ed è l’amore l’impulso dominante, il principio ricercato e trovato da Itzà, e smarrito da chi è venuto dopo.
Dunque, leggete “La donna abitata” e lasciatevi amare.
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Un caleidoscopio dell'universo femminile
Vera protagonista è la femminilità, colta nelle sue sfaccettature: nei suoi limiti o nella sua vastità, nella sua ovvietà o oscurità, nel suo candore o buio. E’ sibillina la femminilità, e Marcela Serrano vuole raccontarla attraverso dieci donne, ognuna con la proprio storia in filigrana.
Ciò che si può subito notare è che, pur nella loro diversità (per origini, storia, estrazione sociale…), tutte sono caratterizzate dalla componente sessuale, che le accomuna e ne condiziona vita e personalità, dal bisogno degli altri per ritrovare anche se stesse, e dalla volontà di guadagnare una fetta di indipendenza in una società che poco le considera.
Infine dall’esperienza della maternità, che sublima e affina una condizione così maledettamente terrena.
“La solitudine non è mai sostanziale. E’ relativa perché le presenze che mi accompagnano sono di una solidità impressionante. Lo sono davvero. Quindi concludo che questo è l’amore, né più né meno. La forza di queste presenze […] Le mie figlie, per esempio. F***ing maternità, sopravvalutata quanto sminuita”.
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MEMENTO VIVERE
« Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato Prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in dieci dì dette da sette donne e da tre giovani uomini. »
Pietra miliare della letteratura italiana, Il Decameron di Boccaccio è considerato erroneamente una prosecuzione dell'opera dantesca ( "cognominato Prencipe Galeotto" è un evidente riferimento all'episodio di Paolo e Francesca del V canto dell'Inferno), ma il peccato dei due giovani è sufficiente a Dante per condannarli alle fiamme dell'Inferno, diversamente dall'autore fiorentino.
Dunque, non sarebbe corretto considerare il Decameron una raccolta di racconti che esprimono a 360 gradi il pensiero medievale del Duecento (come ritiene Vittore Branca), o un'opera immorale e realistica (come afferma De Sanctis). Il Decameron racchiude in sé i conflitti, le tensioni e i contrasti di una società che si evolve, di una società dominata dalla corruzione e dal denaro della borghesia che lentamente si sostituisce alla nobiltà locale ( siamo nella metà del Trecento ormai).
Le 100 novelle sono rivolte alle donne che soffrono pene d'amore ( come viene spiegato nel proemio): la donna medievale viveva segregata in casa, e dopo che la sua famiglia decideva chi avrebbe sposato, passava semplicemente dall'essere controllata dal padre e i fratelli, all'essere controllata dal marito. L'opera boccacciana rappresenta quel movimento che alle donne viene negato, una sorta di distrazione e di cura dalle sofferenze amorose. Un’esortazione alla gioia e al piacere in una dimensione tutta terrena, ma questo non vi inganni: non vi è nulla di peccaminoso nella scelta della giovane brigata di allontanarsi da Firenze distrutta dalla peste. Le ragazze e ragazzi della compagnia si allontanano dalla depravazione e corruzione fisica e morale imperante in città, per vivere all’insegna dell’equilibrio e dell’armonia. I giovani si pongono tabù verbali e non rifiutano la sfera sessuale, che è una componente naturale dell’essere umano, diversamente dal clero. “Le scappatelle sessuali dei predicatori della castità producono un effetto di comicità particolare e mostrano come La Natura, scacciata dalla porta, rientri dalla finestra; i conventi PARLANO di astinenza e sono pieni di lascivia; i dieci giovani parlano di sesso senza tabù e VIVONO castamente” ( Kurt Flasch su Decameron). In definitiva, l’opera si presenta come un trattato portatore di una nuova morale ( in cui si può riconoscere una matrice ovidiana).
Infine, non si può prescindere dall’accennare alla descrizione della peste nell’Introduzione. Boccaccio rifiuta la spiegazione filosofico-scientifica e teologica, affermando solamente che se la peste è una punizione divina Firenze se l’è meritata oppure che deriva dalla malvagità umana: l’obiettivo dell’autore è quello di muovere una critica alla scienza e medicina moderna, che si arroga il diritto di trovare una spiegazione ad una catastrofe naturale come la peste, ma non è in grado di trovare una cura all’epidemia. In questo modo egli dichiara la superiorità della poesia, della sua poesia, che si limita a descrivere gli eventi e i fatti così come appaiono, senza pretendere di trarre conclusioni su ciò che invisibile (come la religione).
Dopo tale analisi sistematica ( nata da una sintetica rielaborazione del saggio di Kurt Flash, “Poesia dopo la peste”), che ritengo sufficiente ad una comprensione generale del testo, pur riconoscendone la complessità, non voglio inibire la vostra lettura. Vi consiglio di lasciare il Decameron sul vostro comodino e leggere saltuariamente singole novelle che sono dei brevi capolavori apparentemente slegati tra di loro ( qualcuno ha intravisto un processo di evoluzione spirituale dalla prima all’ultima). Divertente, commuovente, buffo, e ancora tutto ciò che può essere legato alla sfera umana, condensato in 100 racconti.
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"Benedetto sia il mio sesso"
PIE (Partito della Sinistra Erotica). Paradossale pur nella sua insensata logica. Un paese del sudamerica, Faguas, governato solamente da donne, e per quanto vi possa sembrare ingiusto, discriminatorio e sessista può funzionare! Proprio questo sconvolge e spaventa gli uomini (compresi i lettori), perché Gioconda Belli ci descrive la grinta esplosiva di donne come Viviana Sansòn che, guidate solo dal loro istinto, "puliscono e lavano" il mondo corrotto da una mentalità superbamente maschilista.
"Abbiamo sprecato già troppo tempo a vergognarci di essere donne o a cercare di dimostrare che non lo siamo [...]: ma ora basta; impugniamo tutti gli stereotipi femminili e portiamoli all'eccesso". E' inevitabile notare il sano sentimento femminista che guida l'autrice, di semplice orgoglio per il proprio sesso, che stuzzica maggiormente le lettrici perché vuole smuoverle: la donna non ha raggiunto la parità dei diritti, ma ha solo avviato un processo di "maschilizzazione" (concedetemi il neologismo), che sminuisce, se non annulla completamente, il concetto di femminilità.
Suscita inizialmente riso per l'assurdità degli eventi platealmente provocatori (il partito del PIE avvia una campagna pubblicitaria e fa scrivere sui pannolini: "Il paese naviga nella merda peggio di tuo figlio. Fai un primo passo. Unisciti al PIE), ma vien da domandarsi: se fosse davvero questa una possibile soluzione? Così, il -paradosso degli eventi- si trasforma in -paradossalmente credibile-.
Divertente, allegro (anche nella descrizione di episodi che fanno regredire l'uomo ad animale e presentati come oggettivi e reali), esilarante. Gioconda Belli non avrà scritto un capolavoro memorabile, ma riesce ad intrattenere piacevolmente il suo pubblico, trattando tematiche che, a mio parere, non sono discusse a sufficienza. In questo riesce a pieno.
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Un capolavoro universalmente riconosciuto
Eccezionale capolavoro di una delle autrici più amate di tutti i tempi: Jane Austen. Non è, infatti, un caso che già Virginia Woolf ( sua grande ammiratrice) la annoveri tra le scrittrici che hanno segnato indelebilmente la storia della letteratura femminile: ciò che rende "Orgoglio e Pregiudizio" un'opera che merita un posto privilegiato in qualsiasi libreria che si rispetti è il sottile e fine profilo che traccia di tutti i personaggi; quindi non solo di Elizabeth Bennet e Mr. Darcy (amore segreto di qualsiasi lettrice), ma di tutte quelle figure indispensabili che sorreggono il piccolo microcosmo che la Austen, con molta discrezione, governa. Così Mr. Collins, Mrs. Bennet, Mr. Wickham potrebbero apparire come stereotipi delle classi sociali dell'Inghilterra dell'800, ma, con maestria, l'autrice ne mette in risalto fisime, manie, paure (ricorrendo spesso ad un'ironia tipicamente femminile e che il mondo letterario fino a quel
momento non aveva ancora conosciuto.) Dunque, uomini e donne più umani che mai. Uomini e donne costantemente condizionati nei loro gesti, scelte e azioni dalla sfera sentimentale ed emozionale. Personaggi talmente verosimili da farvi dimenticare che state leggendo un romanzo, ma che vi
catapultano nelle dolci ambientazioni dello Hertfordshire .Sono convinta che anche voi vi lascerete coinvolgere nelle storie travolgenti di Lizzy e Jane e sognerete di poter chiedere di sposare l'uomo che amate al padre più affettuoso e caro della letteratura ottocentesca.
« È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un
solido patrimonio debba essere in cerca di moglie »
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