Opinione scritta da Nikly
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Kalimera
Il villaggio cretese di Plaka e l’isola di Spinalonga sono separate da un piccolo braccio di mare: la distanza tra le due terre è davvero piccola, eppure, per anni, è stata incolmabile. In un passato non troppo lontano, infatti, chi era obbligato a percorrere quel breve tragitto, doveva, in pochi attimi, dare addio alla vita condotta fino a quel momento, ai progetti per il proprio futuro, a familiari e conoscenti, facendosi forza per affrontare un’esistenza completamente nuova e avara di speranze: Spinalonga, per tutta la prima metà del Novecento, è stata un lebbrosario. Ne “L’isola”, Victoria Hislop, attraverso la storia della famiglia Petrakis, prova a raccontarci stralci di quotidianità degli abitanti del piccolo villaggio di pescatori e quella dei malati confinati. La narrazione, che si svolge in 457 pagine ricche di fatti e sentimenti, a volte, sembra correre troppo: avrei preferito che l’autrice si fosse fermata in alcuni punti per far luce su qualche dettaglio in più di alcune vicende. I personaggi presentati sono molti: anche qui mi sarebbe piaciuto avere una conoscenza un po’ più profonda di alcuni di essi. Tuttavia, una buona lettura che ha il merito di riferirci parte della storia di Creta e di stupirci nel narrarci come gli abitanti di Spinalonga non si siano lasciati andare alla disperazione, ma abbiano tentato di dare un nuovo significato alla loro vita, seppur fortemente condizionata dalla malattia. Ritengo, inoltre, che la parte migliore di questo romanzo sia la descrizione di una meravigliosa terra, la Grecia, con i suoi colori, con i suoi fiori, con gli odori degli ulivi e del timo, con la musica vera protagonista delle feste, con i sapori dei piatti tradizionali. Consiglio, quindi, la lettura a chi ama viaggiare utilizzando i comuni mezzi di trasporto … o, semplicemente, le pagine di un libro.
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C'era una volta... un piccolo merlo.
C’è chi ama studiare ogni dettaglio del passato e delle gesta di personaggi come Giulio Cesare, Giovanna D’Arco, Anna Bolena … e chi, invece, ha sempre trovato noiose le ore passate a memorizzare le vicende dell’umanità … Tutti quanti, però, più o meno consciamente, siamo interessati alla storia della nostra vita e a quella dei familiari più stretti. È un vero e proprio bisogno: per capire chi siamo dobbiamo sapere, prima di tutto, da dove veniamo. La protagonista de “I cento colori del blu” è una ragazza che tutti chiamano Blue Echohawk , probabilmente ha diciannove anni, non conosce né sua madre né suo padre … per crescere ( o rinascere o, meglio ancora, “prendere il volo”) ha la necessità di scoprire, finalmente, le sue origini. Pur essendo abituata, oramai, ad affrontare ogni situazione da sola, in questo suo percorso trova un valido sostegno nel giovane professore di storia, tanto equilibrato quanto affascinante. Nel romanzo, cenni d’ arte (dello scolpire il legno, del suonare un violoncello, dell’insegnare ) e citazioni letterarie fanno da cornice ad un trionfo si sentimenti ( c’è tristezza, rabbia, paura, dolcezza, voglia di riscatto, desiderio e un pizzico di gelosia... ) che prendono sopravvento nella vicenda, tanto che i colpi di scena seminati nel racconto passano quasi in secondo piano. Tra piccoli stralci di lezioni di storia e richiami a tradizionali leggende dei nativi americani (che mi hanno davvero incuriosita) , Amy Harmon è riuscita a raccontarci, a mio avviso in modo coinvolgente, chi è Blue. Le tante emozioni descritte non mi hanno lasciato indifferente … ho seguito le parti tristi, divertenti, riflessive, romantiche del racconto alternando sospiri e sorrisi e, per me, questo è sinonimo di una buona lettura.
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Zheng Yi
“Zheng Yi”:giustizia! E' il nome di un’antichissima spada … ma è anche un desiderio, un bisogno. Perché diciannove anni di errori sono troppi per le vittime di una sanguinosa strage avvenuta in un ristorante cinese . Così come sono troppi gli anni di angoscia e dolore, ben ventuno, vissuti da una madre che non conosce ancora il destino della propria figlia, scomparsa misteriosamente nel nulla. Nella Chinatown di Boston la realtà sembra prendere spunto da un mito cinese: una creatura misteriosa compie azioni atroci che spingono Jane Rizzoli e la sua squadra omicidi a riaprire vecchi cold case, alla ricerca di nuove verità. In un susseguirsi di pagine appassionanti, dove il confine tra bene e male non è sempre chiaro da individuare, il lettore partecipa alle indagini condotte tra scienza e … leggenda. “La fenice rossa” di Tess Gerritsen è un thriller che, a mio avviso, trova come punto di forza una trama arricchita da riferimenti alla tradizione e alla cultura orientale, così distante dalla nostra, ma che personalmente ritengo affascinante e suggestiva. Una buona lettura per chi ama il ritmo incalzante dell’investigare e la magia che accompagna sempre la presenza , vera o presunta, di personaggi riconducibili ad antichi racconti mitologici.
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Una via (o, meglio, un'isola) di fuga
Quante volte, vivendo situazioni di smarrimento, viene spontaneo immaginare di fuggire dalla propria casa e di ricercare la serenità perduta in luoghi dove la bellezza del paesaggio è tale da riempire già il cuore? Io personalmente, nei momenti no, sogno di rifugiarmi in un angolo di mondo baciato dal sole, dove lo sguardo si perde nel blu del mare e nell’azzurro del cielo, le orecchie e la mente si rilassano ascoltando i suoni della natura, la vita assume un ritmo lento, tranquillo…
Nel romanzo “Notte di pioggia e di stelle “di Maeve Binchy l’americano Thomas, la tedesca Elsa, l’inglese David e l' irlandese Fiona, interpretando alla perfezione la mia idea di evasione dalla realtà, cercano il paradiso terrestre in una meravigliosa isola greca. Casualmente le loro vite si intrecciano nella taverna di Andreas, sita su una collina affacciata alla baia di Aghia Anna. Da qui i protagonisti assistono impotenti ad un terribile incidente che coinvolge alcuni isolani ed altri turisti. Ciò sconvolge il loro animo ma, come spesso accade, permette loro di aprirsi al prossimo e stringere, così, legami di amicizia. Nel proseguo della lettura pian piano vengono narrate le storie dei quattro protagonisti e appare chiaro il motivo per cui tutti loro hanno frettolosamente lasciato i propri affetti per cercare di ritrovare, in una terra straniera, loro stessi. L’autrice, a mio parere, è stata brava a narrarci come sono proprio le difficoltà nei rapporti con le persone, in particolare quelle a cui siamo più legati (famiglia o partner), a renderci più confusi, tristi e deboli. Inoltre ci fa notare e riflettere su quanto ci sembra facile risolvere situazioni in cui i protagonisti sono altri ma, misteriosamente, perdiamo questa nostra capacità quando siamo noi a viverle in prima persona. Una lettura che può piacere a chi ama i personaggi che sembrano “persi “… ma che con qualche piccolo aiuto riacquistano il coraggio e la voglia di orientarsi e rinnovarsi.
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221B, Baker Street
Un libro solo, dodici storie da leggere e da vivere. Alcune di esse ci mettono alla prova con veri e propri crimini, altre ci incuriosiscono in quanto riportano fatti particolari che necessitano di essere spiegati da una mente brillante.
Già dalle prime pagine de “ Le avventure di Sherlock Holmes” ho provato una forte ammirazione per il protagonista che, grazie alle sue immense doti di osservazione di ascolto, è in grado di imboccare presto la strada che porta dritto dritto alla verità e, dunque, alla risoluzione dei casi per i quali è stato consultato. Allo stesso tempo, però, mi sono sentita punta sul vivo da una sua accusa: “Lei guarda, non osserva!” che, seppure rivolta al suo fedele amico, ho percepito come diretta a me! Mi sono trovata, così, ben presto a ingaggiare una personalissima sfida contro uno dei più grandi detective della letteratura: ho affrontato ogni pagina con più concentrazione, decisa a trovare e cogliere quel qualcosa che mi permettesse di giungere alla risoluzione del caso proposto … almeno un poco prima che questa mi fosse spiegata da Sherlock Holmes! Proprio grazie a questo, ho iniziato pian piano a percepire la sontuosità di quel personaggio che mi era sempre vicino, che mi veniva a chiamare a casa e che, con un salto spazio-temporale, mi portava nella Londra dell’Ottocento … il Dottor Watson! La penna di Sir Arthur Conan Doyle, infatti, a mio parere, l’ha dotato di un’altra meravigliosa qualità, di cui sono invidiosissima: quella di descrivere perfettamente ogni situazione, ogni luogo, ogni persona … Allora, alla simpatia iniziale si è accostata la stima per colui che non solo è sempre stato portavoce del mio pensiero e del mio stupore, ma che mi ha permesso per ben dodici volte di essere proprio lì, davanti al camino dell’appartamento sito in Baker Street, in compagnia sua e di Sherlock Holmes, in attesa dell’arrivo di un nuovo strampalato personaggio … che ho “realmente” incontrato e ascoltato! Come vi ho accennato all’inizio e come ho tentato di spiegarvi, questa è una di quelle opere dotate , a mio avviso, di quella particolare magia che ci permette di vivere lo scritto!
A questo punto non mi resterebbe altro da aggiungere , se non rendere esplicito il giudizio relativo a questa lettura. Mi sembra, però, di avervi già detto tanto e di avervi dato sufficienti elementi in proposito … Consentitemi, allora, di usare quelle ormai familiari parole per girare a voi il famoso quesito:
“What do you deduce from it?”
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La famiglia...croce e delizia...
Quando ci si sente davvero genitori?
Forse quando lo si è già diventati e ci si accorge che i propri piccoli necessitano di tutta l’attenzione e l’amore di cui si è capaci, sempre e in ogni caso … Proprio come è successo a Lillian, madre di Olivia (3 anni) e di Philip (neonato) che, pur dovendo affrontare una grande delusione, non può smettere di donarsi ai suoi figli…
Forse già quando si attende l’arrivo di una nuova vita e la gioia immensa di questo evento può essere accompagnata da alcune preoccupazioni… Stephen e Jane, infatti, vivono gli ultimi tre mesi di attesa con un po’ di timore sia a causa di una complicazione nella gravidanza sia per il pensiero dell’organizzazione della loro futura quotidianità che sarà certamente scombussolata dall’arrivo del loro primogenito…
O,forse, addirittura precedentemente… quando nella mente dei giovani adulti inizia a farsi strada, in modo piuttosto prepotente, l’idea di creare una famiglia. In Rachel, ventinove anni, questo desiderio c’è , ne è consapevole ma , purtroppo, le circostanze non sono favorevoli ad una concretizzazione nell’immediato …
Per quanto tempo ci si sente genitori?
Per sempre, sembrano dirci Ginny e William. Essi, infatti, non solo sono sempre pronti ad accogliere i figli ormai cresciuti (Lillian, Stephen e Rachel) nella loro casa, ma percepiscono chiaramente il dovere di essergli accanto nei momenti di difficoltà. Ancora una volta, quindi,sono disposti a svolgere il ruolo di accompagnatori, sostenitori e incitatori della loro prole.
Di una cosa sono sicura: figli lo si è da sempre e non si smette mai di esserlo!
Ho apprezzato il modo in cui Meg Mitchell Moore in “Mirtilli a colazione”, analizza il valore della famiglia attraverso le storie di personaggi differenti, ognuno dei quali regala a noi lettori il proprio punto di vista, che in me è diventato un particolare e prezioso spunto di riflessione . L’autrice ci presenta la vita familiare come un lavoro a tempo pieno, che comporta l’assunzione di molte e grandi responsabilità. Spesso, queste presuppongono la nostra trasformazione in esseri un po’ più altruisti e ciò, si sa, è un compito gravoso . Eppure, allo stesso tempo, proprio tale richiesta offre a noi una magnifica opportunità: quella di trovare nei nostri legami affettivi una fonte di appagamento e di pura, semplice gioia. Un titolo che suggerisco a chi crede, come me, che una vita movimentata dalla presenza di coniuge , figli e parenti, con tutti gli impegni, doveri, i rischi che seguono può essere una sfida allettante, assolutamente da vivere e, perché no, da godere.
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Magia di un cielo stellato
Si sa… la luce delle stelle impiega secoli per giungere a noi, incredibile e meravigliosa magia che ci permette di avvicinarci al passato e sentirlo parte del nostro ora. Nel romanzo “La biblioteca dei segreti” Rachel Hore tesse una trama in cui remoti misteri, dopo lunghissimi periodi di oblio, sembrano sprigionare piccoli bagliori, quasi fossero richiami volti ad attirare l’attenzione di colei che dovrà riportarli alla memoria e, finalmente, risolverli. Jude, la protagonista, un po’ per lavoro un po’ per interesse personale, rimane affascinata dalla lettura di un diario appartenuto ad una ragazzina, Esther, vissuta nel XVIII secolo, la quale in esso descrive il suo affetto verso il padre adottivo, un astronomo, che oltre ad averla salvata da un triste destino le ha trasmesso l’ amore per l’osservazione del cielo notturno. Jude, durante la lettura, scopre incredibili coincidenze che sembrano avvicinare l’esistenza di Esther alla vita sua e di alcuni suoi familiari: in lei, dunque, cresce sempre di più la voglia di scoprire le reali origini e la fine, ancora ignota, della misteriosa ragazza vissuta nel Settecento. La storia si rivela lentamente, gli elementi che stuzzicano la curiosità di noi lettori sono tanti e vengono accuratamente dosati: la lettura, dunque, dev’essere paziente. Proprio come coloro che si apprestano ad osservare il cielo, anche a noi è richiesto di accettare una lunga preparazione e un’atmosfera di attesa: si percepisce che tutti i particolari che emergono dalle lunghe indagini di Jude concorrono a dare un senso al racconto, ma questo sarà rivelato soltanto nelle pagine finali. Personalmente ritengo migliori le parti del romanzo dedicate alla lettura del diario di Esther : amabile personaggio, coinvolgente la sua storia, intriganti gli accenni agli studi astronomici del Settecento. Le pagine in cui il racconto si sofferma sulla storia di Jude, invece, mi sono sembrate un po’ meno originali e un pizzico troppo rosa (ma ciò potrebbe essere ben gradito a chi piacciono storie romantiche…anche se un po’ scontate). Un romanzo consigliato a chi ama giungere al termine della lettura conoscendo tantissimi dettagli della vicenda: la sensazione, alla fine, è quella di aver letto tanto e di aver scoperto qualcosa di ogni singolo personaggio citato nel testo.
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Da scoprire
Ogni scoperta comporta una rivoluzione… e la “Scoperta del bambino” di Maria Montessori è un testo che ancora oggi si può definire, senza dubbio, rivoluzionario. Esso giunge a noi nella forma dell’edizione pubblicata nel 1948, ma è curioso sapere che si tratta di una quinta revisione. La Dottoressa, infatti, ritenne opportuno rivedere più volte, in circa quarant’anni, il primo libro da lei scritto nel 1909. Questo fatto mi fa pensare a quanta cura e quanto lavoro ha comportato la stesura di ogni singolo capitolo: le osservazioni e le rivelazioni che ella notò all’inizio del Novecento sono state più volte riviste, aggiornate, perfezionate e arricchite grazie all’esperienza e alla saggezza di una lunga e costante meditazione. Tale impegno, a mio avviso, è sinonimo non solo di grande attenzione, ma anche di convinzione nelle tesi sostenute nella sua opera e, soprattutto, di amore verso i soggetti dei suoi studi . Il testo ci parla dei bambini in età prescolare (3-6 anni), cioè quelli che frequentano le “Case dei Bambini”, illustrandoci i loro bisogni e le loro potenzialità che spesso noi adulti sottovalutiamo ma che Montessori è stata pronta a cogliere e a offrirci nella speranza di rinnovare” l’arte di preparare le generazioni umane”. Talvolta, durante la lettura, mi sono sorpresa a giudicare il pensiero della Dottoressa molto più moderno, ahimè, rispetto a quelli ancora circolanti nelle nostre scuole: alcune frasi da lei scritte possono essere, a mio avviso, ancora utili per un valido spunto di riflessione per noi educatori del nuovo millennio! Il libro alterna pagine in cui sono riportate considerazioni sullo sviluppo del bambino , sul ruolo della maestra e quello della scuola, ad altre in cui sono descritte le attività di vita pratica o i materiali di sviluppo (sensoriale e di avvio alla scrittura e ai primi apprendimenti dell’aritmetica) che soddisfano i bisogni dei piccoli. Montessori utilizza un linguaggio chiaro e assolutamente scorrevole, che rende comprensibile e gradevole la lettura. Spesso ella scrive brevi aneddoti in cui lei e i bambini sono protagonisti: questi hanno la funzione di illustrare e rendere ancora più accessibili le sue osservazioni o le tesi da lei sostenute. Tali parti sono di gran lunga quelle che mi hanno fatto apprezzare di più il libro: risulta infatti evidente l’umanità, l’ umiltà e la curiosità della Dottoressa, sempre pronta a imparare dai più piccoli. I termini da lei scelti per scrivere queste esperienze sono assai dolci e rivelano, ancora una volta, il grande rispetto e la fede che lei ripone in coloro che si apprestano a diventare gli uomini di domani. Le parole, invece, appaiono più dure e taglienti quando Montessori esprime il suo disappunto verso precisi atteggiamenti che denotano alcune mancanze di noi adulti. Ritengo, dunque, che questa lettura sia abbastanza impegnativa perché ci richiede di affrontarla con la testa e l’animo pronti per accogliere una scoperta , che, come dicevo prima è sempre rivoluzionaria. Personalmente questo è un testo che mi ha catturato la mente e, soprattutto, il cuore: lo consiglio a tutti coloro che sono curiosi di conoscere uno dei personaggi più affascinanti e geniali del secolo scorso e, ancora di più, a chi è fermamente convinto nelle potenzialità delle generazioni future, di cui noi abbiamo la grande responsabilità di guidarli nella loro formazione.
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"Spirito" retrò
Città nuova…vita nuova! Lorna Graham nel suo “La ragazza del Greenwich Village” ci racconta come Eve Weldon, ragazza originaria dell’Ohio, trascorre il suo primo anno a New York. La permanenza nella Grande Mela non è tutto rosa e fiori: la ragazza ha bisogno di trovare un lavoro e, soprattutto,di mantenerlo per riuscire a pagare l’affitto del suo appartamentino; deve superare qualche spiacevole disavventura; sente la necessità di stringere nuove amicizie per non rimanere sola nella grande città… Ma il motivo importante che la sprona a restare nella metropoli è il desiderio grandissimo di conoscere i luoghi in cui la madre ha vissuto la giovinezza e la speranza di comprendere il motivo per cui essi sono rimasti a lei tanto cari fino all'ultimo dei suoi giorni. Proprio il fantasma del passato, a mio avviso, è il protagonista indiscusso del libro: molti personaggi che si incontrano piano piano nello svolgersi della storia sono costretti a riviverlo per riuscire a migliorare il proprio presente. Ho trovato affascinante nel racconto la presenza spettrale dell’atmosfera bohemien in un quartiere, il Greenwich Village, in cui la modernità ha preso il sopravvento… tanto che gli abitanti attuali non ricordano, o addirittura non sanno che quelle stesse loro abitazioni e quegli stessi locali erano frequentati, poco più che mezzo secolo fa, da intellettuali della Beat Generation. Solo a coloro che si dimostrano più attenti essa si rivela, aggiungendo ulteriore magia a luoghi già intriganti. Eve riesce a coglierla pienamente… al punto da percepire addirittura la presenza dell’anima di uno scrittore che non si rassegna al fatto di non aver lasciato al mondo la prova concreta del suo talento. Ho trovato la trama del libro piuttosto originale e la lettura è risultata piacevole. Un giudizio positivo, dunque, anche se avrei preferito che il racconto fosse un po’ meno ricco di fatti e temi toccati e un po’ più approfondito in alcuni punti, a mio avviso narrati un po’ troppo frettolosamente e superficialmente. Un romanzo senza troppe pretese, ma che regala qualche ora di gradevole, rilassata e serena lettura.
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caleidoscopio
“Il bosco dei biancospini” è un libro suddiviso in sedici capitoli. Tredici di essi raccontano altrettante vicende tra loro diverse e in cui l’elemento ricorrente è la presenza di qualche riferimento ad una prodigiosa fonte dedicata a Sant’Anna, situata in un bosco nei pressi di Rossmore, cittadina irlandese. La struttura di tali capitoli è particolare: ciascuno di essi è diviso in due parti la cui narrazione è affidata ogni volta a due personaggi i quali raccontano in prima persona o l’inizio o la fine della storia che li vede coinvolti, portando alla vicenda il loro personale punto di vista. Mi è piaciuto moltissimo questa scelta stilistica che, a mio avviso, mette in luce la maestria dell’autrice Maeve Binchy: mi sono sentita un po’ una confidente incuriosita da ciò che una moltitudine di protagonisti, ben ventisei, aveva da raccontarmi e divertita dal fatto che in ogni storia la doppia narrazione mi avesse permesso di farmi un’idea più ricca della stessa. La semplicità è la caratteristica che ho trovato comune a tutti i racconti i cui temi sono vari: amicizia, amore, famiglia, lavoro; alcuni di essi risultano teneri, delicati, piacevoli, altri, al contrario, folli e taglienti. I restanti tre capitoli del libro, invece, sono stilisticamente molto diversi. Essi fanno da cornice, sono scritti in terza persona e hanno per vera protagonista la fonte di Sant’Anna che rischia di essere rimossa a causa della costruzione di una nuova strada che dovrebbe passare proprio nel bosco dove è collocata. I cittadini di Rossmore si dividono: alcuni sono molto affezionati al piccolo santuario e spesso vi si recano ancora per ritrovare un po’ di speranza e consolazione; altri, invece, sono più propensi a pensare che la cittadina abbia bisogno di trovare una soluzione per il traffico… Un libro senza troppe pretese ma che, personalmente, ho trovato gradevole. La presenza di tantissime voci narranti può creare un po’ di confusione: per questo lo consiglio solo a chi piace questa precisa scelta stilistica e, comunque, mi sento di suggerire una lettura non precipitosa, a piccole dosi, per gustarsi meglio ogni racconto.
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Un matrimonio
“Facciamo finta che non sia successo niente” è un romanzo coinvolgente e piacevole da leggere seppur racconta il delicato tema della fragilità dei rapporti tra uomo e donna. Maddie Dawson, l’autrice, affronta questo tema affidandosi alle riflessioni, alla vita e ai ricordi di Annabelle, la protagonista, che racconta in prima persona ventisei anni di vita matrimoniale con Grant. I capitoli del libro si alternano tra presente e passato: il lettore segue la storia dei due, da giovanissimi sposi a coppia di mezz’età, e viene a conoscenza delle mancanze e delle debolezze che hanno messo e continuano a mettere alla prova il loro amore. Grant, uomo innamorato, affidabile e fedele è talmente dedito al suo lavoro da dimenticarsi di rivolgere qualche attenzione e qualche parola in più all’amata moglie. Quest’ultima rischia di rompere il suo rapporto con il marito a causa del desiderio di amore più passionale, seppur meno affidabile. Un romanzo che ho apprezzato in quanto ho trovato originale la scelta da parte della scrittrice di analizzare un amore imperfetto eppure a suo modo romantico, non molto passionale ma capace di resistere a cocenti delusioni . Maddie Dawson non ci chiede di giudicare questo amore ma di riflettere su quanto siano importanti in un rapporto di coppia quelle piccole premure e tenerezze che permettono di conquistare giorno dopo giorno il proprio partner. L’autrice non ci illude raccontandoci di amori grandi e invincibili: il matrimonio nella realtà ha i suoi momenti duri, allora bisogna farsi trovare pronti e lottare, se ne vale la pena, per continuare il rapporto tra due persone che, pur commettendo errori, si amano.
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"I can't get no satisfaction, 'cause I try, and I
Luca Bianchini nel suo “Se domani farà bel tempo” propone come protagonista Leon, giovane e ricchissimo milanese. Un personaggio per cui si fatica a provare simpatia in quanto i suoi atteggiamenti sono assai arroganti e il suo modo di esprimersi è volgare. La prima parte del libro descrive il mondo in cui Leon vive, una realtà in cui l’eccesso è la regola: troppi soldi permettono al protagonista di vivere con estrema superficialità, partecipare a numerose feste, comprarsi con facilità “l’attenzione “delle donne e avere sempre a disposizione la cocaina. Nonostante Leon risulti indisponente, si prova via via anche compassione per lui: la sua famiglia, estremamente snob, più che un punto di riferimento è un concentrato di personalità egoiste ed eccentriche; le sue amicizie sono finte, eccetto il paziente Stéphane , sempre pronto ad accorrere nel momento in cui Leon ha bisogno; nonostante la sua immensa ricchezza, la sua vita è tutt'altro che serena. A tratti, poi, l’insolenza del protagonista si attenua leggermente, lasciando scorgere una parte migliore del ragazzo. Dopo l’ennesima notte di eccessi, Leon , nel tentativo di sfuggire al suo mondo così dissoluto e vizioso, decide di trascorrere un periodo tra le colline Toscane, ospite della tenuta che suo nonno ha lasciato in eredità all’ amante. Qui il protagonista ha la possibilità di conoscere una realtà diversa, dove per ottenere il rispetto non bisogna aprire il portafoglio, ma comportarsi con umiltà, lealtà e coraggio. Per la prima volta Leon avrà l’occasione di lavorare partecipando alla vendemmia, di stringere amicizie sincere, di innamorarsi di una ragazza semplice e spontanea e tentare di conquistarla. Vede il mondo da un angolatura diversa, riesce a provare anche la tanto cercata felicità… La realtà, però, è diversa da una favola: il protagonista non può cambiare repentinamente le sue abitudini e, malgrado l’esperienza vissuta tra i vigneti lo abbia fatto sentire per la prima volta vivo, le tentazioni del suo vecchio mondo sono forti. Luca Bianchini utilizza per questo suo romanzo uno stile scorrevole, capace di spingere il lettore alla continuazione della lettura, nonostante lo costringa,per tutta la prima parte del racconto, in un mondo depravato, non certo piacevole da scoprire. Spesso l’autore sceglie un linguaggio scurrile, ma tale utilizzo è giustificato in quanto serve per caratterizzare in modo più autentico i personaggi descritti. Bianchini è stato bravo, a mio avviso, a non stravolgere completamente, nella seconda parte del racconto, il carattere del suo protagonista: sarebbe stata una forzatura che avrebbe reso la vicenda troppo irreale. L’autore è stato anche un po’ crudele… per aver scelto di scrivere un’ultima pagina che lascia al lettore dei dubbi riguardo la conclusione della storia. Infine, un particolare che ho apprezzato è stata la cura che lo scrittore ha mostrato nella scelta della “colonna sonora” del suo racconto e che mi ha permesso, almeno musicalmente, di condividere i gusti del protagonista, amante dei Rolling Stones. Un libro dalla lettura veloce, mai scontata e non pregiudicata dal disprezzo che suscita per il mondo dorato ma volgare e vacuo descritto nella prima parte. Un invito, a mio parere, a ricercare nella nostra quotidianità la serenità di cui abbiamo bisogno per apprezzare e goderci la vita.
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Gustoso...come una colazione granita e brioche!
Un’interessante e piacevole sorpresa quella del romanzo “All’ombra dei fiori di jacaranda” di Rosalba Perrotta. Una trama affascinante, personaggi ben curati e tutti azzeccati, una moltitudine di temi toccati, scorci di Sicilia, cenni della storia del nostro Paese sono tutti ingredienti che, grazie alla maestria dell’autrice, risultano ben amalgamati tra loro e rendono, a mio parere, il libro valido, particolare e molto ricco.
Rosalba Perrotta ci racconta la storia di Arabella e ci rende partecipi di circa quarant’anni della sua vita. La narrazione parte da quando la protagonista, bambina rimasta orfana di entrambi i genitori, viene affidata alla stravagante e ricchissima zia Colomba la quale l’accoglie nella sua villa alle pendici dell’Etna ma, essendo per gran parte dell’anno in viaggio, la lascia alla sola compagnia di una domestica poco affettuosa e di un brillante chauffeur-giardiniere-filosofo. Il racconto da qui decolla e ci consente di seguire Arabella nel suo percorso di istruzione (scuola, collegio, università), nella scelta delle sue amicizie, nel suo diventare pian piano donna. Ci si ritrova, durante la lettura, coinvolti nelle riflessioni e aspirazioni della protagonista, la quale si rivela intelligente e sensibile, capace di assimilare ogni stimolo che le permette di rendere la sua mente aperta e vivace. Così i suoi pensieri hanno a tratti un forte carattere rivoluzionario per l’epoca descritta (il racconto percorre la seconda metà del Novecento) e risultano più affini alle idee della libera e fantasiosa Londra (dove spesso la protagonista ama trascorrere il suo tempo) piuttosto che a quelle della sua “isolata” Sicilia; non mancano, tuttavia, tratti in cui questi assumono un’ impronta più “tradizionale” (come il desiderio di trovare l’Amore). Nel romanzo vengono affrontati vari temi come la femminilità, il matrimonio, la maternità che rendono lo scritto delicato. L’autrice, inoltre, pone l’accento anche su altre tematiche quali il mutamento profondo della società nel corso del secolo scorso, l’evolversi dell’istruzione nel medesimo periodo e l’importanza di poterne usufruire di una valida. Arabella, nel suo percorso di formazione, incontra una miriade di personaggi, tutti ben tratteggiati dall’autrice brava ad attribuire loro caratteristiche ben definite e a renderli tutti protagonisti di particolari storie secondarie che si snodano via via con il susseguirsi delle pagine e si intrecciano alla trama principale, completandola e la arricchendola. Non manca neppure un pizzico di mistero che dall’inizio del racconto si ripresenta più volte nella vicenda ottenendo l’effetto di incuriosire ancora di più i lettori. Arabella, come la straordinaria zia Colomba, affronta diversi viaggi nel corso del romanzo, ma gran parte della vicenda si svolge a Catania. Rosalba Perrotta inserisce, dunque, nelle pagine del libro luoghi, colori, tradizioni, dialetto e sapori di un incantevole angolo d’Italia, la Sicilia, ricordandoci così che il nostro Paese è ricco di meraviglie e merita di essere conosciuto e valorizzato. Un altro aspetto che trovo assolutamente interessante è che l’autrice, per ogni decennio citato, ha inserito accenni della storia del nostro Paese, non solo elencando fatti e avvenimenti, ma anche citando canzoni, programmi televisivi, personaggi famosi, oggetti e mode che hanno caratterizzato il periodo narrato, permettendo così ai lettori di ritrovare vivi ricordi del passato o, per i più giovani, di avere un quadro più reale e familiare dell’epoca descritta. Mi sento di consigliare la lettura di questo libro in quanto a me è risultata decisamente avvincente, gradevole e divertente.
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Comunicare il dolore
La specialista in problemi di linguaggio su base psicologica Torey L. Hayden in “Bambini del silenzio” ci racconta come ha aiutato due bambini ad affrontare i loro enormi tormenti. Cassandra è stata rapita dal padre all'età di cinque anni e ha subito terribili abusi nei lungo periodo passato con lui. Ora, a nove anni, si trova a dover affrontare la grande sfida di ritrovare la fiducia negli adulti per essere, poi, aiutata a fronteggiare i propri demoni. Leggendo le pagine a lei dedicate ci si sente travolti da una forte emozione di indignazione nei confronti di persone capaci di infliggere simili supplizi ad altri esseri umani, in particolare ai bambini. Viene spontaneo chiedersi, allora, se questi individui appartengono realmente alla specie umana, in quanto sembrano sprovvisti di cervello e cuore. Torey affronta questo caso con grande professionalità, non facendosi intimidire dai comportamenti violenti e antisociali di Cassandra e utilizzando il suo istinto per far breccia nella corazza che la bambina ha costruito per proteggersi dal suo profondo dolore. Drake, un bellissimo e solare bambino di soli quattro anni, sembra avere un unico difetto: non utilizza parole per comunicare. Questo è inaccettabile per il suo ricchissimo, prepotente e dispotico nonno che richiede l’aiuto di Torey per guarire il nipote dal mutismo selettivo. Questo caso risulterà facile solo in apparenza: Drake , infatti, non sembra avere la personalità tipica di chi soffre di tale disturbo e ciò alimenta dubbi sulla reale causa del suo mutismo. L’autrice, inoltre, si troverà in difficoltà in quanto la storia di questo bambino la porterà a provare un sensazione di sgomento verso adulti che si mostrano così deboli e irresponsabili da non capire che il loro chiudere gli occhi alla realtà non porta ad altro che al danneggiamento del proprio figlio. Questa mancanza di buon senso e istinto genitoriale è ai suoi occhi pari ad un abuso; per chi legge è facile condividere tali pensieri e ritrovarsi nelle medesime riflessioni della scrittrice. Qualche pagina di questo libro, inoltre, è riservata alla storia di Gerda anche lei sofferente di disturbi del linguaggio a seguito di un ictus: ella ha ottantadue anni e non è chiaro ai dottori se il suo mutismo sia di natura fisiologica o psicologica. Una nuova prova per Torey che, in quanto psicologa infantile, è abituata a lavorare con individui la cui vita è ancora all'inizio. Eppure l’autrice, con grande umanità, dedica parte del proprio tempo a questa anziana signora regalandole la compagnia, l’ascolto e la comprensione che forse non hai mai avuto in precedenza. Tali pagine risultano impregnate di tristezza e compassione, difettose di quella speranza che, seppur inizialmente evanescente, si fa largo piano piano nello svolgersi delle vicende dedicate ai due bambini. Una lettura veloce grazie allo stile immediato e semplice utilizzato dalla scrittrice, ma non certo facile poiché i contenuti presentano, come riportato, storie crudeli, dure, irragionevoli e infelici che non possono lasciare nell'indifferenza il lettore.
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"La vita è difettosa"
Una lettura spiazzante quella di “Quando ti vedo andare via”, romanzo di Sophie Dahl. Kitty, donna felicemente sposata e in attesa di una bambina, intraprende un viaggio che da New York la riporta, ancora una volta, in Inghilterra al capezzale della madre ricoverata in ospedale psichiatrico. Un viaggio psicologicamente difficile in quanto risveglia in lei i ricordi di un’adolescenza non certo serena. L’intero romanzo è costruito su continui flashback che ripercorrono la vita della protagonista tra gli undici e i quindici anni. La lettura non è sempre semplice, spesso appare piuttosto confusa in quanto vengono presentati tanti personaggi, importantissimi per qualche pagina, ma che improvvisamente spariscono; vengono toccati diversi temi (istruzione, amicizie, spiritualità, droga, sesso…)ma appena si pensa che la trama verta ad approfondirne uno… questo viene abbandonato e si passa velocemente ad altro. Quello proposto dall’autrice è, dunque, uno stile molto originale e, a mio avviso, un po’ irritante. Forse, però, questo modo di presentare diversi fatti è proprio quello più adatto a rendere bene l’idea della mancanza di punti di riferimento, della vita sregolata e dei continui e improvvisi cambiamenti che la protagonista e i suoi fratelli, Violet e Sam, devono subire per soddisfare l’eterna ricerca della felicità di Marina, la loro bellissima ma immatura madre. Durante i quattro anni raccontati vengono descritti diversi traslochi (dall’Inghilterra a New York e viceversa), più figure maschili (improbabili figure paterne) a cui Kitty, Violet e Sam si affezionano e si disaffezionano rapidamente, cambiamenti di umore improvvisi della madre, eccessi , amicizie stravaganti. La mancanza di figure adulte forti (oltre alla madre, anche i nonni e le zie rinunciano troppo facilmente, a mio parere, al loro ruolo di educatori) e di regole ben chiare, porta Kitty ad assumere atteggiamenti sbagliati e a fare scelte discutibili. Pagina dopo pagina, infatti, i ricordi diventano via via più amari e la situazione precipita… Il finale è brusco, avrei voluto che l’autrice raccontasse qualcosa di positivo dopo la spirale di negatività a cui ha reso partecipe il lettore…ma il riscatto della protagonista è solo accennato e lasciato all’immaginazione. Anche alla fine, dunque, prevale lo sgomento che accompagna, a mio parere, tutta la lettura. Questa sensazione, allora, può essere la chiave per dare il senso a tutto il libro,in quanto dovrebbe spronare a pensare quali grandi responsabilità ci si deve assumere nel momento in cui si decide di creare una famiglia.
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Una mamma
Lisa Scottoline in “Guarda ancora” racconta una storia di amore materno. La protagonista, Ellen, da due anni è una mamma single e felice. Ha amato Will, il suo bambino,fin dal primo istante in cui ha incontrato il suo sguardo nel reparto pediatrico di terapia intensiva. Lei, giornalista, stava preparando un articolo riguardante il lavoro delle infermiere e lui, che all’epoca aveva solo un anno, stava aspettando una seconda operazione al cuore. Ellen, dunque, non ha partorito Will, ma lo ha adottato. Questo, però, poco importa: lei sa di essere nata per essere mamma di Will. Il racconto di Lisa Scottoline, però, è anche un thriller. Dopo aver trovato la foto segnaletica di un bambino scomparso, sorprendentemente somigliante al piccolo Will, Ellen inizia ad avere atroci dubbi sull’identità di quello che è diventato a tutti gli effetti suo figlio. Il lettore non può fare a meno di condividere l’ansia della protagonista e di porsi lo stesso dilemma morale: meglio la ricerca della verità, anche se questa può essere dura da accettare o meglio far prevalere il proprio egoismo ignorando la foto e godendo della felicità che questo le assicura? Ellen, da brava madre, sa qual è la cosa giusta da fare, almeno per suo figlio. Ammiro come Lisa Scottoline sia riuscita a creare, in questo libro, empatia tra lettore e protagonista, probabilmente grazie alla sua capacità di descrivere in modo efficace le emozioni (amore, panico, rabbia, frustrazione, impotenza) che travolgono Ellen. Una trama avvincente, un ritmo incalzante e un crescendo di suspense fanno di questo thriller psicologico una lettura coinvolgente, veloce e scorrevole. In mezzo a tanto giallo, inoltre, l’autrice regala ai suoi lettori anche un tocco di rosa che rende ancora più piacevole un libro già affascinante . Una buona lettura per chi si lascia “rapire” dalle pagine che sta leggendo e adora essere loro ostaggio dall’inizio alla fine.
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...Scripta manent
“Ti volevo dire” è un titolo che trovo molto appropriato per questo romanzo di Daniele Bresciani in quanto ne anticipa il tema principale: la difficoltà di comunicare, talvolta, con la propria voce quello che si prova nel proprio intimo. Forse ciò e dovuto alla paura di non trovare velocemente le parole più adatte per esprimere quello che, probabilmente, appare confuso anche a noi stessi. La scrittura, allora, è un’ancora di salvezza:si può pensare più a lungo prima di scrivere sul foglio i termini più appropriati e nell’atto della scrittura, più lenta, ci si può permettere di fermarsi un attimo e riflettere, così da far chiarezza piano piano in noi. Oppure, è un mezzo per evitare di guardare negli occhi il destinatario dello scritto evitando, in questo modo, di vedere in essi la delusione nello scoprire le parti “oscure” del nostro animo o del nostro vissuto. Così Giacomo, uno dei due protagonisti, più bravo con la penna che con le parole, alla sua morte, lascia alla figlia lettere e agende, che si riferiscono ad un periodo importante della sua vita, quando, appena ventenne, ha vissuto un amore più grande di lui per Claire, una ragazza inglese. Riesce, in questo modo, ad esprimere quello che per anni non è riuscito a comunicare con le parole e che ha tenuto segreto nel suo cuore, ad affrontare, finalmente, la sua coscienza , regalando, inoltre, a sua figlia la possibilità di conoscerlo nel profondo. Viola, la figlia, leggerà i preziosi scritti del padre nel collegio svizzero dove la madre l’ha iscritta nella speranza di risolvere il suo disturbo. La ragazzina, infatti, non riesce più a far uscire dal corpo la sua voce: la sua difficoltà, però, è dovuta al mutismo selettivo di cui ha iniziato a soffrire poco dopo la morte del padre. Per lei, l’unico modo per riuscire a comunicare con gli altri, aggirando il suo problema, è proprio l'utilizzo di un block notes, su cui scrivere qualche parola. Ho apprezzato molto la decisione di Daniele Bresciani di parlare, con delicatezza, di questa patologia ancora poco conosciuta. Soprattutto mi è piaciuto il modo in cui ha evidenziato che il mutismo selettivo non è sintomo di ritardo mentale ma è un disturbo che crea disagio in chi lo subisce: è una prigione da cui è difficile evadere. Un altro aspetto che ritengo positivo in questo libro è come l’autore ha costruito i suoi personaggi, in particolare Fulvio, coinquilino del giovane Giacomo e Leslie, compagna di stanza di Viola: entrambi sinceri, schietti e fedeli amici dei protagonisti. Il romanzo, in cui si alternano le vicende di Giacomo, ambientate a Londra negli anni Ottanta, e quelle di Viola ai giorni nostri, propone tematiche delicate e offre al lettore momenti di dolcezza, di malinconia e altri, invece, più leggeri e divertenti. La lettura, a mio parere, è molto scorrevole e piacevole, il libro si legge tutto d’un fiato. Il mio giudizio per questo romanzo è positivo nonostante il finale che, personalmente, ho trovato un po’ troppo improvviso e frettoloso e che mi ha lasciato qualche curiosità su alcuni aspetti non svelati nel racconto. Ne consiglio la lettura a tutti coloro che amano i racconti d’amore, non quelli fiabeschi e perfetti, ma immaturi, passionali e veri: destinati, cioè, ad eterni rimorsi e ricordi. Inoltre, a chi ama leggere storie di confronti tra genitori e figli, con le loro incomprensioni, da quelle più superficiali (divertente il confronto tra due epoche musicali completamente differenti che Bresciani evidenzia più volte nel suo racconto), a quelle più spinose , come la paura di entrambe le parti di deludere e di essere giudicati.
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"In guerra la prima a morire è la verità " (Eschi
“Lettere contro la guerra” è una raccolta di sette lettere scritte da Tiziano Terzani tra il 2001 e il 2002, precedute da un’introduzione in cui ci spiega la ragione per cui si è sentito in dovere di metterci al corrente delle sue riflessioni e il perché siamo tutti destinatari delle sue parole di pace. Egli, dopo l’attacco alle Torri Gemelle del l’11 settembre, vuole scuotere le nostre coscienze ammonendoci di non continuare la nostra vita indifferenti a ciò che succede nel mondo e spronandoci a pensare come quel terribile gesto sia una buona occasione per rivalutare i valori della nostra e altrui vita, prendendo, finalmente, la responsabilità di riflettere sui rapporti tra diversi uomini. Mi piace la scelta di Terzani di trasmetterci il suo pensiero mediante delle lettere, lo trovo sicuramente uno stile familiare, più facilmente comprensibile, rispetto ad un vero e proprio saggio,perché più diretto. Tiziano Terzani scrive le sue lettere da differenti parti del mondo, tra cui Peshawar e Quetta ( Pakistan) e Kabul ( Afghanistan): ammiro la volontà di recarsi nei luoghi in cui c’è o è vicina la guerra per essere testimone in prima persona di cosa l’odio può generare e per ricordarci, con parole che trovano forza nell’esperienza diretta, che la violenza non si può combattere con altra violenza. I suoi scritti ci raccontano le cause politiche, economiche, religiose e culturali che sono alla base delle distruzioni di città e vite umane, di cui spesso le vittime sono civili. Ma non solo. La voglia di verità e il suo amore per il genere umano, lo spingono a chiedere alla gente dei luoghi in cui si trova il perché di tanto odio verso noi Occidentali e il loro pensiero sulla guerra. Il suo obiettivo, chiaramente, è quello di metterci al corrente di un altro pezzo di verità, sperando che una conoscenza più completa della situazione ci porti alla conclusione che l’unico modo per spezzare questa catena d’odio è proprio la non-violenza. In mezzo a tante parole che descrivono disperazione e terrore, Terzani incastona frasi che esaltano il valore della pace e che io, personalmente, trovo stupende. In differenti lettere ripete più volte gli stessi concetti, semplici ma che effettivamente, se osservati, potrebbero almeno renderci più tolleranti verso altri uomini. Ad esempio, ci chiede di guardare l’universo come un tutt’uno, bellissimo grazie alla sua diversità. Le sue ripetizioni, a mio avviso, ci mostrano come veramente egli sia convinto dei propri pensieri e ogni volta che li menziona questi sembrano acquistare peso maggiore. Delle sette, la lettera che preferisco è l’ultima, scritta dall’Himalaya e avente titolo “Che fare?”. Qui Terzani ci suggerisce di guardare al futuro e scegliere una cultura di pace, basata sull’onestà e non sull’utilità, per educare le nuove generazioni: parole ricche di buon senso di cui, attualmente, abbiamo un grande bisogno. “Lettere contro la guerra” è un libro che consiglio a tutti, avendo cura, però, di intraprendere questa lettura in momenti in cui si può dedicare ad essa l’attenzione che richiede e merita.
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Vita vissuta e vita sognata
Rebecca, una donna di cinquantatré anni, vive in una grande casa, è vedova ma è circondata da uno stuolo di parenti ( figlia, tre figliastre e relative famiglie, un prozio quasi centenario) e la sua professione è quella di organizzare feste. Da tutti è apprezzata per la sua gaiezza, eppure lei incomincia ad interrogarsi sulla sua vita. Da ragazza era una studentessa modello e aveva un fidanzato serio, anche se non propriamente brillante. All’improvviso, il sorriso di Joe , in modo del tutto inaspettato e repentino, l’ha portata a compiere scelte che hanno indirizzato la sua vita in modo completamente diverso rispetto a quello a cui sembrava destinata. Forse ha osato troppo? E’ stata una scelta impulsiva sposare Joe e prendersi carico della sua ingombrante famiglia quando era appena ventenne? Ha sbagliato ad abbandonare Will, il ragazzo di allora, e gli studi? Questi gli interrogativi che spingono Rebecca a pensare a ciò che poteva essere e non è stato, a tentare di riprendersi la vita che anni addietro aveva abbandonato e che ritiene essere quella “vera”. “Quando eravamo grandi” di Anne Tyler è un romanzo delicato in quanto tratta il tema del bilancio della propria esistenza, che ognuno è chiamato, prima o poi, ad affrontare. Siamo tutti destinati a riflettere se , effettivamente, abbiamo reso onore alla nostra vita, scegliendo per noi il massimo da quello che ci è stato offerto. Eppure, spesso, come la protagonista, abbiamo l’impressione di aver sbagliato qualcosa e di esserci preclusi, così, una vita più affascinante o, almeno, più semplice. Ma è proprio così? Come si può fare un confronto tra quello che si è vissuto e quello che, probabilmente, poteva essere? Il tema affrontato da Anne Tyler è serio, spesso si leggono riflessioni piuttosto amare che rendono la lettura impegnativa, ma ugualmente piacevole, in quanto il modo e lo stile scelto dall’autrice per raccontarcelo è semplice. La scrittrice sceglie un personaggio molto caratteristico per intraprendere questo percorso di riflessioni, ricordi e nostalgia: Rebecca la quale, nonostante pensi di essere diventata la persona “sbagliata”, è sicuramente più fascinosa e ricca di aspettative ora che è donna matura rispetto a quando era una coscienziosa ragazza. Oltre alla protagonista, il romanzo è popolato da tantissimi altri personaggi, tutti un po’ particolari: all’inizio mi sembravano in numero eccessivo e mi confondevano un po’ ma, poi, mi sono ricreduta in quanto utili per evidenziare ulteriormente la differenza tra la vita che Rebecca ha scelto di vivere e quella che ha abbandonato. Un libro che mi sento di consigliare alle donne mature, perché, probabilmente, i pensieri di Rebecca potrebbero essere simili ai loro. Anche le donne un po’ più giovani della protagonista, però, potrebbero trovare interessante questo testo per comprendere che serve un po’ più di vissuto e di saggezza per capirsi e giudicarsi. Inoltre, come già detto, il tema affrontato riguarda ciascuno di noi; il libro regala spunti per importanti riflessioni e ciò lo rende valido.
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La terra verde
L’isola di Fernando Poo (attuale Bioko), colonia spagnola della Guinea Equatoriale, è una terra misteriosa, che entra nel sangue a tal punto di non volerla mai più abbandonare. Proprio qui si svolgono le vicende di Jacobo e Kilian, due fratelli provenienti dalla fredda valle di Pasolobino (tra i Pirenei). Emigrati per lavorare in una piantagione di cacao saranno costretti, anni dopo, a ritornare in tutta fretta nella natia Spagna e condannati a non scordare mai la loro giovinezza vissuta in quella piccola parte di Africa. Cinquant’anni dopo la frettolosa partenza, i ricordi ancora vivi e nostalgici dei due attireranno la curiosità di Clarence, figlia di Jacobo, la quale intuisce che il padre e lo zio nascondono qualcosa del loro passato. Sarà proprio lei, con la sua voglia di verità, a fare in modo che l’isola africana non rimanga solo un ricordo ma entri di nuovo, prepotentemente, nella vita della sua famiglia e che il passato ritorni e si mescoli, ironicamente, al presente. “Palme nella neve” di Luz Gabás è un libro coinvolgente, in cui sono raccontate non solo la vita degli Europei nelle colonie ma anche le tradizioni e le superstizioni dei nativi. La narrazione di amori, in particolare di uno passionale e impossibile che spinge il lettore a divorare le pagine di questo libro, hanno come sfondo la politica e il difficile e lento cammino dell’isola verso l’indipendenza. Sembra quasi che la scrittrice cerchi di attirare l’attenzione del lettore con affascinanti e inventate storie sentimentali con lo scopo, però, di far riflettere su fatti realmente accaduti che hanno influenzato la vita di molte persone, Spagnoli e Africani. Luz Gabás, dando voce ai suoi personaggi, dominatori e dominati, cerca di trasmettere i fatti avvenuti all’epoca valorizzandoli con le due diverse versioni. La cosa che, però, ho apprezzato di più in questo libro è stata l’abilità dell’autrice di creare nella mia mente un’incantevole immagine dell’isola di Bioko, una terra in cui l’abbondante vegetazione comprende tutte le gradazioni di verde, la brezza profuma di cacao e il passare del tempo è scandito al ritmo di tamburi e di canti esotici. Alla fine , davvero, risulta difficile abbandonare l’isola e la lettura! Consigliato.
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Gli amici si scelgono, i parenti no
“Come gocce di sale al vento” di J. Courtney Sullivan può essere definito come un susseguirsi di riflessioni su temi importanti come la Fede, l’amore verso il proprio compagno e verso i propri figli, la necessità di mantenere rapporti con i familiari nonostante ciò non sia sempre facile , il valore da dare alla propria vita e il coraggio di affrontare tutte le difficoltà che questa ci impone di superare. Queste tematiche sono esplorate tramite il racconto narrato da quattro figure femminili che descrivono la loro versione della storia di famiglia con una visione piuttosto egoista, spesso dura. Alice, la più anziana, nonostante la sua forte Fede cattolica, non riesce a dimostrare affetto nei confronti di figli e nipoti. Su di lei pesa il fatto che un evento tragico, avvenuto quando era un’affascinante e ribelle giovane, ha repentinamente stravolto la sua vita e l’ha portata a scegliere un’esistenza a cui, fino ad allora, sfuggiva. Kathleen, sua figlia, ha sofferto per la freddezza che la madre ha dimostrato nei suoi confronti e nella sua vita ha preso spesso decisioni che Alice disapprovava, forse per dimostrare a se stessa di essere ben diversa da lei. Maggie, figlia di Kathleen e nipote di Alice, deve prepararsi a vivere un cambiamento fondamentale nella sua vita e la gioia che questo dovrebbe portarle è offuscata, in parte, dalla delusione di non aver al suo fianco la persona che lei aveva immaginato come punto di riferimento. Infine Ann Marie, sposata con uno dei figli di Alice,ha sempre aspirato alla perfezione nel suo essere moglie, madre e nuora, ma scopre di non essere, suo malgrado, riuscita ad ottenere ciò. Queste quattro donne si incontrano e proseguono a provare rancori una verso l’altra nel cottage di famiglia nel Maine. Il lato cinico che decidono di mostrare fa di loro personaggi difficili da apprezzare ed amare immediatamente. E’ necessario continuare la lettura per capire le ragioni del loro agire e per decidere se continuare a giudicarle e disprezzarle, o al contrario, affezionarsi pian piano ad esse. Non si può rimanere indifferenti a queste diverse donne e ciò, a mio parere, è la forza di questo libro. Un personaggio indiscutibilmente positivo, tuttavia, lo si ritrova in Daniel, patriarca ricordato con dolcezza da tutte loro e apprezzato soprattutto per l’allegria e tenerezza che lo caratterizzava e per aver tenuto unita la famiglia, che alla sua morte si è sgretolata. Un romanzo che permette ai lettori di riflettere insieme alle protagoniste sui temi da loro trattati e sui legami, a volte complicati, che spesso esistono tra le persone.
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Essere fashion
Kathleen Flynn-Hui, nota colorista americana, si reinventa scrittrice e nel suo “Per un colpo di sole” racconta, in versione romanzata, l’ambiente chic ed estremamente superficiale di uno dei saloni di bellezza più alla moda di New York. L’autrice ci mette a conoscenza degli esagerati vizi e capricci delle più ricche donne della Grande Mela tramite gli occhi di Georgia, una ragazza che ha ereditato la passione per i capelli da sua madre Doreen, la quale gestisce un umile ma accogliente negozio di parrucchiera nella cittadina di Weekeepeemie. L’autrice riferisce l’ambizione, i sogni e le paure che guidano la giovane nella scelta di trasformare la sua passione in lavoro e nella decisione di lasciare la casa materna per tentare di fare carriera a New York. Sicuramente l’autrice conosce bene questi sentimenti e la vita nei saloni di bellezza più esclusivi, poiché essa stessa è parrucchiera: viene spontaneo, dunque, pensare che ci stia raccontando qualcosa di autobiografico. Oltre al racconto di episodi della vita professionale di Georgia, I lettori sono partecipi anche della nascita di amicizie e del sentimento d’amore che ,irrinunciabile nei genere chick-lik, colpirà la protagonista. A mio parere, “Per un colpo di sole” è un libro che fa passare qualche ora di spensieratezza, trasportandoci nella frenetica e modaiola New York. Lo stile di scrittura è semplice e piuttosto piacevole. Adatto ad una lettura sotto l’ombrellone: frivola, leggera, rilassata.
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Sette donne in cerca di...vita
Erica Bauermeister in “La casa dei destini intrecciati” racconta sette storie di donne e del loro coraggio nell'affrontare un cambiamento nel modo di gestire la propria vita. Queste sette vicende sono tutte collegate tra loro tramite una cornice narrativa: Kate, durante la sua battaglia contro il cancro, ha ricevuto solidarietà e sostegno dalle sue amiche di sempre, ha avuto modo di passare molto tempo con loro e di conoscerle in modo più approfondito, percependo le loro più nascoste paure o aspirazioni. Dopo aver vinto la malattia, ricambia l’attenzione ricevuta dando occasione a tutte loro di affrontare e vincere una battaglia personale. Sette storie in cui l’autrice delinea in modo efficace la psicologia delle protagoniste, permettendoci di percepire le sfumature dei caratteri di ognuna. I lettori sono partecipi della vita attuale e passata delle sette amiche e ciò consente di comprendere quanto la promessa che ciascuna di esse fa a Kate, apparentemente semplice da mantenere, sia una vera e propria sfida che permetterà loro di completare o, addirittura, ricominciare la propria vita. Un libro adatto a chi ama conoscere a fondo i protagonisti dei libri, i loro pensieri e la loro storia e a chi ama trovare e cogliere in ciò che legge dei messaggi di speranza e di gioia di vivere.
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SPERANZA IN UN MONDO MIGLIORE
“Tra la notte e il cuore” di Julie Kibler è un libro che trasporta il lettore in un’ automobile, lo trascina in un lungo viaggio con partenza ad Arlington (Texas) e con meta Cincinnati in compagnia di una signora novantenne, Miss Isabelle, e una giovane parrucchiera di colore, Dorrie. Oltre a percorrere le strade statunitensi, il lettore è anche chiamato a viaggiare nel tempo, ritrovandosi, a capitoli alternati, negli anni Quaranta e ai giorni nostri. Imparerà così a conoscere Miss Isabelle a diciassette anni, una ragazzina bianca, benestante e ribelle. Un personaggio incantevole, capace di accogliere il sentimento d’amore che scopre di provare per Robert e di combattere per esso , nonostante questo significhi lottare contro la sua famiglia, l’intera comunità in cui vive e la forte barriera dei pregiudizi razziali. Il racconto di Miss Isabelle, pieno di passione, contrasta con la storia di Dorrie, la quale, invece, appare timorosa nei confronti di un nuovo amore e preoccupata per le scelte di vita del figlio adolescente. La giovane parrucchiera avrà l’occasione per riflettere sull’importanza di vivere a fondo i propri sentimenti. Anche il lettore sarà invitato alla riflessione riguardo l’assurdità di considerare il valore delle vite umane diverso per il colore della pelle, tema ancora attualissimo: le due protagoniste saranno osservate con diffidenza da persone che incontreranno lungo il loro viaggio e dovranno, ancora, affrontare episodi di razzismo. Questo libro, a mio avviso, è consigliato a chi ama farsi coinvolgere dalle pagine che sta leggendo, a chi crede che i libri siano capaci di regalare forti emozioni e spunti di riflessione: in poche parole agli amanti dei libri. Oltre alla bellezza del racconto (dolce, appassionato, ma anche duro e struggente), ho apprezzato l’alternarsi delle due voci narranti ( Miss Isabelle e Dorrie) poiché ciò permette di conoscere in maniera approfondita le due protagoniste così diverse tra loro, eppure legate da un profondo vincolo di amicizia.
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