Opinione scritta da GiammarcoCamedda
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L'ideale borghese in crisi
Partendo dal fatto che si tratta di un'opera risalente alla fine dell'800, e che è un'opera teatrale, possiamo benissimo affermare che non c'è nulla di più succoso e gustoso di un bellissimo seducente infangamento di un luogo comune: l'inferiorità della donna nella società.
Ibsen, l'autore di questo dramma, vedeva già nel futuro, su questo non ci piove. Con magnifica lucidità ci vengono espressi i cardini morali della società a lui contemporanea: i soldi, il perbenismo, l'inferiorità in tutto e per tutto della donna. Con fare bigotto, la borghesia, ormai classe sociale egemone, ha già plasmato le persone, a tutti i livelli sociali. Le rivoluzioni di questo secolo e anche dei secoli precedenti (mi riferisco a quella Francese) non sono altro che echi distanti e non ascoltati.
Veniamo catapultati in uno scenario classico quanto spesso mal descritto: una casa con marito, moglie, 3 figli, bambinaia. La scena, già presentata in passato e ripresentata nel futuro, non è nuova dal punto di vista stilistico, ma lo è dal punto di vista ermeneutico, dell'interpretazione. Il pover uomo, che lavora duramente, torna a casa e si ritrova con la moglie che non ha fatto nulla e che non può offrirgli nessuna pace, nessun sollievo alla giornata perché considerata incapace di comprendere determinate cose. Con lucidità immensa Ibsen ci prospetta questa visione inerente in tutto e per tutto al suo tempo.
La trama racconta una normale storia familiare, ma in chiave diversa dal gusto della borghesia: la donna, che non accetta più la sottomissione, si ribella.
Il testo è scorrevole e piacevole, di facile comprensione e soprattutto di visionaria interpretazione. Pensando alla società di quel tempo possiamo solo stupirci di quanto Ibsen avesse visto avanti, di quanto avesse scrutato nella mente umana per giungere a quella conclusione. La storia è una critica pesantissima ai paletti che la gerarchia sociale imponeva (e se vogliamo dirlo impone anche ora) nei confronti della donna. Essa non è all'altezza di nulla, se non di stare in casa. Anzi, leggendo, il marito (che a quanto pare è una mente superiore) dice addirittura che le cattive cose vengono ereditate dai figli per colpa della madre.
L'interpretazione è una sola: ideale bigotto bocciato. La donna è e sempre sarà al pari dell'uomo dal punto di vista umano. La società impone però che sia sempre su un piano inferiore, anche adesso. L'unica cosa non tollerabile è l'immancabile presenza di chi la pensa realmente così. Io, da uomo, mi rifiuto di pensare a una nostra superiorità. Al contrario, così pensando, adeguandoci al pensiero comune, dimostriamo la nostra inferiorità nei loro confronti. Le cose si fanno in due, non da soli.
Per concludere, consiglio vivamente il libro a tutti quanti, essendo scritto veramente bene. Si dice che con Ibsen il teatro drammatico moderno sia nato. Devo sottomettermi a questa definizione, perché è la verità
Per ampliare il discorso ad un piano più attuale possiamo benissimo affermare che la stessa idea venga adesso applicata per gli omosessuali, le persone di altre culture o anche con chi è anticonformista. Triste situazione, la nostra. Un giorno soccomberemo tutti al peso dell'insensatezza di questi discorsi e ci renderemo conto degli errori che commettiamo nel pensare questo.
Infine, dirò solo che la stupidità, anche se molti non la vedono, risiede proprio nella totale assenza di crederci tali. Una persona è stupida proprio quando è convinta di non esserlo.
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La realtà attraverso l'irrazionalità
"E lunghi funerali, senza tamburi o musica,
Sfilano lentamente nel cuore; la Speranza,
Vinta, piange, e l'Angoscia, dispotica ed atroce,
Infilza sul mio cranio la sua bandiera nera."
L'apoteosi della vita. Non ci sono parole adeguate a descrivere quest'opera. La vita è racchiusa tra queste parole: i tormenti, i pianti, le ingiustizie, le felicità e l'infelicità, l'ebrezza e la sobrietà, la stoltezza e l'arguzia. La genialità di questa epoca è segnata da capisaldi della letteratura come questo testo.
Nel 1857 Baudelaire pubblica "I fiori del male". Spopolano subito, come una macchia d'olio sul tavolo, e tutti ne parlano entusiasti. Ovviamente, come non mettere i bastoni tra le ruote a chi, intelligentemente, racconta la realtà per quello che è ? Subito, viene censurato, e l'autore viene costretto a pagare una multa piuttosto salata, oltre a dover rimuovere 6 poesie definite "scandalose". Come se non bastasse, tanto per mettere ancora di più il dito nella piaga, due anni dopo Baudelaire ripropone l'opera in modo integrale, aggiungendo 35 nuovi componimenti, riguadagnando così il riutilizzato appellativo di "scandaloso".
Il degrado. Così potremmo definire la visione d'insieme del poeta. In una società fatta di false speranze, illusioni, finzioni, borghesia bigotta e malsana. Non c'è via di scampo da queste "visioni", da queste "corrispondenze" che Baudelaire dice di vedere. La realtà ormai non vale più nulla. "L'Ideal", come lo chiama lui, un tempo forse raggiungibile, quel sogno di purezza e immaginazione che lui vorrebbe raggiungere è caduto, ed è stato rimpiazzato dallo "Spleen", dal male di vivere, dalla noia, dal nulla. Non basta dire che il poeta studia l'uomo in quanto uomo e la realtà in cui vive. Non basta più per lui. C'è la necessità di andare oltre, di analizzare ogni singola cosa, poiché tutto è poesia, e scavare negli antri profondi. Negli "abissi amari" di cui si parla nella poesia "L'Albatro".
Baudelaire è un poeta estremamente controverso, dall'alto della sua bassezza rompe ogni legame con la società, decide di alienarsi da essa. Un allontanamento seguito da una ribellione, una ribellione in tutti i sensi. Non si parla di cose banali. Si parla di ribellarsi al modo di pensare, alla cecità della visione di una società plasmata sul soldo e sulla gerarchia sociale.
Con incredibile lucidità, nonostante l'abuso di sostanze stupefacenti e alcool, Baudelaire ci propone la visione della società francese in tutte le sue forse. Questa ribellione, meglio definita nella sezione "Rivolta", è un modo per raccontare ciò che di marcio c'è nelle fondamenta umane. Ormai non basta più vivere le giornate come se fossero lo scorrere leggero, il passare del tempo incessante. Anzi, quel passare incessante è angoscioso per Baudelaire, sottolinea ancor più la fragilità di noi umani, la nostra incoscienza. Attraverso fitti simboli tra le parole, riesce a sconvolgere la poetica fino allora proposta, e a migliorarla. Simboli molto spesso non visibili, celati dietro al velo sottile, ma allo stesso tempo netto, che la realtà pone nei confronti della verità. Infatti, Baudelaire non ci parla di una certezza assoluta, non ci parla di una verità. Ci parla del "nuovo". Di un'armonia superiore, non rintracciabile in quello che lui vive. Questa armonia, questa sorta di paradiso incantevole, non è tangibile all'animo umano, è troppo distante per essere anche solo intravista. Però è sempre con noi, in mezzo a quei simboli tanto cari alla sua poetica. Essa lui cerca di raggiungerla con queste sostanze, cerca di evadere da una visione troppo cruda e deprimente, troppo decadente della realtà. Ma, quando ormai, troppo tardi, si rende conto che non è possibile scappare, che non si può andare via da ciò che ci ha partorito, è lì che sopraggiunge la morte. "La morte", ultima sezione di questa antologia poetica, segna la fine di ogni illusione, la cessazione di ogni possibilità di evasione e quindi di felicità.
In Baudelaire non si parla di una poetica semplice, facile da afferrare. E' sfuggevole come ogni attimo in cui voi state leggendo, e io sto scrivendo queste poche parole. Tutto si ricollega a tutto perché proprio quel tutto è essenziale in ogni sua parte. Quando si parla della morte, importante nella vita quanto la vita stessa, non è una morte fisica. Una morte psicologica dell'essere. Nella società del suo tempo Baudelaire intravede la fine di una vita, la fine di una possibilità di vincere, magari, di vivere degnamente.
Nel suo tono ironico, nella sua se possiamo dire spavalderia nell'affermare certe cose (assolutamente vere e geniali), si intravede una malinconia, una tristezza che ha le sue radici ormai profonde. Non c'è più nulla che lo interessi, non c'è più nulla che lo stimoli.
Un ribelle come Baudelaire è degno di essere letto proprio perché non è un ribelle come quelli di ora. Non si drogava per andare contro gli ideali. Lui si drogava in quanto questo gli permetteva di andare oltre, di possedere doti e conoscenze lontane dagli altri anni luce. La ribellione di Baudelaire non ammette regole che si adeguino al sistema. Non ammette niente che sia lontanamente legato ad esso.
Per ritornare all'origine, l'analisi di questo testo non è sempre semplice. Questo perché prima di tutto è ambiguo. Già il titolo offre spunti di riflessione: infatti esso può essere inteso come i fiori del male, ovvero il papaver somniferum, dal quale si ricava l'oppio, oppure, i fiori, beatissima dote della natura, definiti del male in quanto nati da essa, dalla corruzione della natura stessa.
Altro tema fondamentale è l'amore. Un amore sensuale, ricco di passioni che fanno ribollire le vene, fanno impazzire il corpo e lo eccitano.
Insomma, questo tempo, che segna la nascita della poetica moderna, non è facile da interpretare perché noi umani stessi non lo siamo. Baudelaire ha racchiuso in quelle parole proprio tutta l'essenza umana, e essendo noi complessi e quasi impossibili da conoscere, non è facile interpretare.
C'è chi dice, e io concordo, che "I fiori del male" rappresentino la vita. La nascita, la ribellione, la morte. Tutto si riduce a quello. A morire. Ci viene offerta una possibilità. Chi è che la offre ? Essenzialmente siamo noi stessi a darcela: è meglio apparire, e vivere come gli altri, o è meglio essere, e conoscere, scavare, andare oltre ? La prerogativa a questa domanda è chiedersi se sia giusto porsela. Ormai, e questo rattrista ogni persona che lo abbia capito, nulla più è vero. Tutto si nasconde e sfugge via lontano lontano. Così come le foglie cadono ad autunno, ed è loro destino cadere, noi cadiamo, perché è nostro destino cadere. Noi umani cadiamo nel momento in cui decidiamo di non perdere una vita per ciò che è impure e sdegnoso, e mai ci rialziamo più.
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"La ragazza che giocava con il fuoco" di Stieg Lar
Ritorno qui, a parlare del secondo giallo della trilogia "Millennium". Quello che scriverò è lo stesso dell'ultima volta, sarebbe a dire che nonostante lo scrittore fosse un giornalista, il suo metodo di scrittura non è per niente schematico e superficiale, ma al contrario puntiglioso sui dettagli, tanto da dire in maniera schematica ogni cosa riguardante il personaggio preso in considerazione. Ho apprezzato il fatto che in questo romanzo non siano stati presi in considerazione pochi personaggi, ma al contrario molti. Vale a dire che ogni comparsa nel libro ha un fine premeditato e portato a compimento. Non si parla solo di Mikael e Lisbeth oppure Vanger, ma si entra all'interno di ogni personaggio, sia esso un antagonista o un protagonista, o anche un personaggio secondario. Tutto quello che viene fatto è scritto bianco su nero ed è fondamentale per lo svolgimento della trama, che nonostante questa quantità spropositata di dettagli non è per niente pesante o noioso. Ovviamente, come nel primo libro, a risolvere il caso è il giornalista Mikael Blomkvist; tuttavia, senza le cripticità e gli aiuti di Lisbeth o anche degli altri gruppi investigativi non avrebbe combinato un bel niente. In altre parole, quello che prima era l'ingranaggio senza il quale tutto non funzionava, ora senza l'aiuto di altri ingranaggi non sarebbe funzionato.
Il romanzo è scritto in maniera impeccabile, come quello precendente, e oso dire che il metodo di scrittura di Larsson si è evoluto, durante la stesura, passando da quello che era nel precedente libro, fino a diventare più completo e meno scontato. (Dico questo, ma non fraintendete, non sto assolutamente dicendo che il libro precedente fosse scontato)
Nuovamente, la caratterizzazione dei personaggi è perfetta, in ogni dettaglio e in ogni azione, e questo fa di "La ragazza che giocava con il fuoco" un romanzo magnifico e piacevole alla lettura.
Argomento a favore di questo, rispetto al precedente, è il fatto che finalmente si arriva a scoprire il passato di Lisbeth, e l'espressione che lei utilizza spesso: Tutto il Male. Non vorrei osare troppo, dicendo che tutti ci siamo mangiati le labbra dalla voglia di conoscere ciò che quell'espressione significava. Possiamo ritenerci soddisfatti da questa prova di Larsson, che mi ha stupido per la sua complessità celata dietro i dettagli e il passaparola.
Speriamo ovviamente che il terzo e ultimo sia ancora più movimentato di questo. Buona lettura a tutti.
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"Il profumo" di Patrick Süskind
Ci troviamo in Franca nel già avviato '700. Un genio, in altro modo non possiamo definirlo, dall'olfatto enormemente amplificato e acuto desidera conoscere tutti i profumi di questo mondo, catalogarli nella sua mente e mai scordarli. La sua psiche vive e si nutre degli odori: e diciamo odori perché per lui il profumo di una donna o il puzzo di feci umane o animali non fanno differenza. La particolarità del protagonista, un tale di nome Jean-Baptiste Grenouille, è che l'olfatto è il suo alfa e omega, la sua vista e tutti i suoi senti, la vita e la morte e la consapevolezza della fragilità e inutilità dell'uomo. Grenouille è colui che con gli odori domina l'uomo, domina il suo spirito, la sua mente e il suo corpo. Inizia la storia quando lui nasce, sotto il bancone di un pescivendolo dove la madre lo abbandona. Qui inizia il suo percorso in cui senza pochi imprevisti si addentrerà nel mondo degli odori, e per suo dispiacere, nel mondo degli umani. Esatto, gli umani da lui tanto disprezzati, non per i loro odori, ma per il loro essere, infinitamente subdolo e inutile. L'umanità di questo romanzo è la cosa più sconvolgente e attraente di tutte, perché con il semplice olfatto veniamo a conoscenza di un mondo non fatto di immagini e di semplice superficialità, ma di tutta l'essenza racchiusa in essa. Sembra quasi un racconto sensista, seguendo le orme di Condillac o persone del genere, in cui le sensazioni, in questo caso l'olfatto, ci fanno scoprire una realtà, la nostra realtà, in chiave diversa. Con il naso di Grenouille ci immergiamo all'interno di tutto ciò che ci circonda, e ne rimaniamo prigionieri, quasi incatenati per sempre. Lui, che con i suoi magici miscugli (eufemismo per odori) ci propone una sua visione perfetta, indistruttibile e instancabile del mondo. Sempre lui, con i suoi pensieri, con la sua solitudine e il suo mondo inventato, ci travolge di passioni e di amarezza nei confronti del mondo. La ridicolezza dell'uomo, che se ne approfitta di lui, basti pernsare a Grimal, Baldini e il marchese de la Taillade-Espinasse, che nell'imbroglio pagano le loro pene con la morte. Sembra quasi un inviato da Dio, questo Grenouille, dove passa lui non cresce niente, solo l'odore delle sue creazioni. Le parole con cui il paesaggio francese ci vengono prospettate è travolgente. Basti pensare ai dettagli che il signor Süskind mette all'interno di essi: il verde degli alberi, il vento che viene dal mare, la scia che le persone lasciano dietro di loro, la tranquillità della quiete e del protagonista, sono tutti segni della per riuscita trasparenza della realtà di fronte a noi. Forse è vero che non bastano gli occhi per vedere, non bastano le orecchie per sentire e un cervello per analizzare. La superficialità velata con il quale Grenouille descrive il mondo e le persone che lo abitano, viene oltrepassata fino alla carne e alle ossa dal naso del protagonista, così che una qualsiasi persona brutta (quale lui è, scusate se lo dico adesso), diventi ciò che è e non ciò che sembra. Ovviamente, questo romanzo, scritto nel 1985, anticipa alla stragrande le problematiche attuali: a partire dagli adolescenti che si soffermano a ciò che vedono e basta, fino ad arrivare ai più vecchi che credono in qualcosa di profetico quando in realtà non è così. Ho apprezzato tantissimo, ripeto, l'umanità del protagonista, che in una parola, come leggerete nel romanzo, e come tutti gli uomini, sogna; sogna e immagina di essere un Dio onnipotente, un Dio onnipresente e invincibile, grazie a questa sua dote. L'umanità con cui questo ci viene prospettato, attraverso i pensieri e i sogni del protagonista è la scena più bella del romanzo, più commovente e più forte. Perché in fondo, noi siamo ciò che siamo, e non ciò che sembriamo. E nella sua povera vita, Grenouille lo aveva capito; voleva farlo capire a tutti, ma nessuno darebbe ascolto a lui, un povero genio che non conosce bene nemmeno la sua lingua, un semplice garzone e profumiere. Non sei niente finché non scopri qualcosa o fai qualcosa di grande, quando ogni uomo dentro di sé racchiude ciò che di più forte può mostrare. Questo è ciò che per me ha significato il romanzo.
La trama è scorrevole, molto scorrevole, e la lettura è piacevolissima. Il protagonista rimarrà ben impresso nella mia mente per parecchio tempo, forse per sempre, proprio come i suoi odori. La naturalezza del suo essere è stupefacente. Un ultimo commento, a favore dello scrittore, è che sia riuscito a scrivere un romanzo basandosi solo su una persona, una persona unica, che nel suo essere, è speciale. Questo fa di lui un ottimo scrittore, poiché è difficile focalizzare l'attenzione su un unica persona e nei suoi cambiamenti. Di conseguenza, consiglio questo romanzo, il quale è alla portata di tutti.
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"Il lupo della steppa" di Hermann Hesse
Parto dal dire che inizialmente, più o meno dalla prima alla quarantacinquesima pagina, questo libro mi è apparso scritto in maniera noiosa oltre che poco leggibile. Nelle restanti centoquaranta pagine il mio pensiero si è del tutto ribaltato, arrivando a dire che il libro che avevo davanti fosse un capolavoro (cosa che realmente è). Una recensione solitamente serve a sottolineare i pregi e i difetti di un romanzo, ma questa volta, come mia terza volta in cui recensisco un romanzo, voglio fare uno strappo alla regola, e soffermarmi sul significato del libro, più che sulla modalità di scrittura. Ciò che ci viene proposto è uno scenario possiamo dire catastrofico, non reale, ma immaginario e fantastico. Dico questo nel senso che, il romanzo si basa non su fatti reali ma sulle sensazioni, sui pensieri e sulle emozioni del protagonista, il cui nome è Harry Haller. Il suo viaggio interiore, come dice Hesse, non è da considerarsi negativo per via della sua visione distorta e pessimista della realtà, ma al contrario come una guarigione. La guarigione è intesa, a mio parere, come l'affrontare la paura che l'uomo ha di se stesso, e soprattutto, di ciò che lui rappresenta in mezzo agli altri. Per fare ciò, ci viene proposto un uomo sui cinquant'anni, che vede se stesso e tutto ciò che lo circonda in maniera negativa. Lo possiamo definire un pensatore, perché è questo ciò che fa: pensa, pensa e ripensa sulle cose. Tuttavia, i suoi pensieri non sono del tutto normali e capaci di tutte le persone, la sua visione, per quanto negativa, rappresenta la realtà e va oltre, all'interno di essa. Ci viene spiegato il perché dell'essenza delle cose, e non perché appaiano così. Io sono dell'idea che a questo mondo per la maggior parte degli uomini conti apparire e non essere, e questo romanzo è come una enorme frase che conferma ciò che ho scritto. I mali pensieri di Harry Haller, a partire dal suo messaggio di pace, dalla sua idea di musica, di poesia, di filosofia e chi più ne ha, più ne metta, sono quella che noi possiamo definire "rappresentazione mentale della realtà". E questa rappresentazione mentale, non è che quella vera. Io sono convinto che Harry rappresenti una piccola parte dell'umanità, ovvero chi effettivamente è triste per ciò che vede, e perché è riuscito a capire cose che non molti capiscono, e poi ci sono gli altri, rappresentati da Hermine e da Maria, i quali possono essere definiti come la parte spensierata e libera del globo. Tuttavia, Hermine, nella sua per così dire uguaglianza con gli altri, ha capito cosa c'è dietro, ha compreso e ha affrontato la cosa, uscendone libera come ha sempre desiderato. Per quanto lei sia felice e sorridente, ogni tanto una po' di tristezza traspare nei suoi discorsi, e il lato pessimistico della vita viene fuori da essi. Io credo che Hesse non ci dica di essere come Haller, ma nemmeno come Hermire. Hesse ci vuole dire che ognuno di noi dovrebbe essere ciò che è e credere nei propri ideali, non omologarsi alla massa, non essere tante piccole copie, ma tanti lupi della steppa che guariscono. Che diventano effettivamente persone e non lupi. Io ho interpretato questo romanzo come una grido di lotta alla vita, alla vita vera, e non quella che troppi fanno tutti i giorni portando una maschera e nascondendosi. Il lupo della steppa posso essere io, può essere tizio, può essere caio, può essere chiunque. Una figura che invece mie è piaciuta particolarmente è Pablo. Pablo, musicista del romanzo, senza porsi in mezzo a Harry e a Hermine come un Dio onnipresente, tanto da gestire un Teatro nel quale la realtà è in mano a chi ci entra, e nel quale soprattutto Harry scopre finalmente che non è fatto solo da due minuscole parti (il lupo e l'umano), ma da migliaia di piccoli umani ognuno dei quali ha una sua caratteristica: chi è giovane e libero e spensierato, chi è decrepito e sta per morire, chi ha cinquant'anni ed è triste. L'uomo non può essere semplicemente definito come l'unione di due parti, ma come migliaia di parti. Non c'è solo il lato selvaggio (il lupo) e quella razionale (l'uomo), ce ne sono talmente tante da non poter nemmeno immaginare quante siano.
Il romanzo di Hesse è qualcosa di fantastico per questo motivo: sottolinea la magnificenza dell'uomo in quanto uomo. Che nella sua complessità diventa qualcosa di squisitamente magnifico. Partiamo da un uomo solo, triste e che si sente vecchio, e arriviamo a tantissimi uomini ognuno dei quali gioca la sua parte. Ora, dopo aver espresso quello che penso sul significato posso dire che sia un libro ben scritto, che la caratterizzazione dei personaggi sia perfetta perché espressa attraverso ciò che pensano e sono e non soltanto per come appaiano e soprattutto che sia di una lettura gradevole. Sono certo che questo romanzo contribuisca alla crescita e alla comprensione di lati oscuri dell'uomo, e per questo, dobbiamo solo ringraziare Hesse. Per la prima volta in cui recensisco, dirò che questo non è un libro alla portata di tutti, non facile da comprendere (non fraintendete, neanche io l'ho compreso a pieno, ma ci ho provato) ma che sia degno di essere letto.
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Lettura costruttiva e produttiva
Ci troviamo in pieno Preromanticismo quando il nostro giovane Goethe pubblica questo romanzetto dal carattere fortemente autobiografico. Lo scrittore ha solo ventiquattro anni (se non erro) quando pubblica il libro, e subito riscuote un successo che si protrarrà per diversi anni, addirittura causando quella che viene definita la "febbre di Werther". Non voglio anticipare niente, quindi non starò a precisare cosa sia essa e in cosa consista. Ricordiamo che questo è un romanzo epistolare, ovvero scritto sotto forma di lettere scambiate tra il protagonista e un amico, in questo caso Guglielmo, di cui tuttavia non leggiamo nessuna lettera. Il romanzo, come già accennato, è di forte carattere preromantico, in cui si evidenziano gli stimoli e le reazioni che sfoceranno nel Romanticismo, un ego eroico se non titanico, l'essere travolti dalle passioni, la pace trovata nella natura, l'amore forte e sensuale per le donne e tutte queste caratteristiche. Le prime tre caratteristiche sono presenti lungo tutta la trama, infatti all'inizio ci troviamo in uno scenario sereno se non addirittura pacifico e felice per il giovane Werther. Lui ama perdersi nella natura, guardare l'acqua che fruscia da una fontana e dimostrare il suo bene a tutte le persone che incontra, tanto che subito tutti lo prendono per un bonaccione e ne diventano amici. La sua vita viene diciamo sconvolta dall'arrivo di una donna, ed ecco che si presentano le altre due caratteristiche tipiche del preromanticismo. L'amata, possiamo definirla così, si chiama Carlotta, per i bambini amorevolmente Lotte, e subito si trova bene con il carattere di Werther, tanto che ne è estremamente attratta e affascinata.
La caratterizzazione dei personaggi è semplice non occupa molto spazio nella trama, così da lasciare spazio alla mente del lettore e alla sua immaginazione. Infatti, se non poche caratteristiche che vengono elencate, le altre vengono o date per scontate o fatte capire al lettore indirettamente. L'aria che si respira lungo tutto il romanzo è leggera e dolce, scorrevole e ci allieta l'animo. Sopratutto, o almeno per me è così, mi sono ritrovato molto nelle passioni racchiuse e furenti del protagonista, che appena ne ha l'occasione le sfoggia davanti a tutti, pur di eccedere. La stessa storia vale per la caratterizzazione dell'ambiente, che viene rappresentato con un'altissima forma artistica che ci permettono di vederla di fronte a noi. La trama, diciamo facile da intuire, non è per niente noiosa. Una cosa che mi è piaciuta è il fatto che il protagonista, per allietare il proprio animo acceso, legga libri. Inizialmente se dedica al "suo" Omero, come riferisce a Guglielmo, per poi passare a un'altra opera preromantica, "I canti di Ossian" di Macpherson, a cui è dedicato una lettera intera del romanzo. L'amore che il nostro Werther mette nel leggerli a Lotte è travolgente e ci fa accapponare la pelle, ci fa venire i brividi. L'aria leggera e pulita si tramuta in tempesta quando il mondo del protagonista viene turbato da una triste notizia, che non starò a raccontare, e che lo colpisce più di tutto.
Goethe non rinuncia a mettere dettagli che sono a volte irrilevanti ma che ci permettono di ambientarci meglio all'interno del libro, e che quindi non sono del tutto inutili. Lo stile di scrittura è semplice e tipico dei giovani scrittori. Infatti lo stile di Goethe cambierà con gli anni, perfezionandosi con il Faust, il Wilhelm Meister e Le affinità elettive. Tuttavia, ritroviamo in Goethe un genio artistico e letterario per la sua giovane età, che ci fa godere di una scrittura alla portata di tutti.
Per chi avesse letto questo libro, consiglio il corrispondente italiano, ovvero "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" di Foscolo. Anch'essa opera dal carattere autobiografico la cui trama si discosta leggermente da quella di Goethe per la presenza dell'amore per la patria.
In conclusione direi che ogni persona può leggere questo libro, il cui tempo impiegato non è per niente sprecato, ma al contrario costruttivo e produttivo.
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"Uomini che odiano le donne" di Stieg Larsson
C'è qualcosa di deliziosamente squisito in questo giallo del ormai defunto giornalista. Ogni singola persona, ogni singolo fatto e oserei dire ogni singola parola è dove dovrebbe essere e non rimane lì campata per aria. Larsson ci offre un godimento per la mente e un intrattenimento divertente e ricco di suspense come pochi sanno fare. Che possiamo dire della caratterizzazione dei personaggi ? Be', ricordo pochi esempi riusciti come questo; personaggi che con le parole diventano belli e intriganti e che non lasciano trapelare niente di scontato lungo tutta la trama. Le sensazioni che essi provano ci fanno compagnia nelle seicentosettantasei pagine di cui questo libro è composto, e sembra di viverle sulla nostra pelle: come non citare la scena in cui Mikael viene quasi torturato ? Oppure quando Lisbeth presa dalla collera e dall'ira maltratta l'avvocato Bjurman e lo punisce per i suoi errori ? Tutte scene che ci si presentano agli occhi e ci lasciano senza fiato per l'adrenalina racchiusa in essi.
Passando a un altro argomento, oserei intrattenervi con la sequenza temporale del libro. Ogni capitolo non ha un nome ma bensì è nominato in base all'arco temporale che ricopre. Dal mio punto di vista per un giallo non c'è cosa migliore di questo. E' come se fosse un caso realmente esistito: lo scrittore si impersona nel protagonista, in questo caso Mikael, e intraprende un percorso di ricerca e scoperta, che si conclude con la risoluzione di ben due casi. Il primo, che occupa la maggior parte del romanzo: la scomparsa o presunta morte di Harriet Vanger, mentre il secondo il caso Wennerström, che invece viene trattato solo nelle prime pagine e nell'ultima parte del libro. L'incredibile risolutezza che caratterizza i personaggi è uno dei fattori che mi ha affascinato di più. Il protagonista, comproprietario di un giornale, e la sua aiutante, un hacker di fama nazionale (almeno sul web del romanzo) che si atteggia a dura ma che sotto sotto ha un cuore dolce, che si fa sciogliere dal temerario giornalista. Ho apprezzato sia il protagonista, per il suo senso della giustizia e tenacia nel svolgere il compito a lui assegnato, e la sua aiutante, la quale è come se impersonasse il grido di molte donne sottomesse in Svezia. In particolare di Lisbeth ho notato l'instancabile voglia di voler essere presa in considerazione e di essere trattata e accettata per quello che è. Nonostante sia così dura, forte, temeraria e sola, nasconde un ego che ha delle debolezze. Debolezze che non sfuggono a Mikael, e che da lui vengono rispettate e ammirate, tanto da definirla una ragazza "singolare". Una caduta di stile, a mio non modesto parere, e che riguarda il protagonista, è il fatto di essere, per così dire, uno scapolo che si dà alla bella vita. Nella sua acutezza e comprensione delle cose, mi è dispiaciuto che abbia avuto questa caratteristica nel budget. Per il resto e per gli altri personaggi non trovo niente di strano o di brutto degno di essere scritto in questa recensione, a parte per l'antagonista. E' strano come Larsson si sia soffermato su ogni dettaglio, concedendo ampio spazio a tutte le singole cose (basti pensare ai tramezzini o tutte le volte che Mikael andava a correre), e invece non si sia curato di riservare qualche ritaglio per l'antagonista, che è praticamente sempre assente se non nell'Epilogo, dove viene tenuto d'occhio col cannocchiale, il quale ci indica le sue azioni in modo spicciolo e superficiale. Quindi, escludendo la caratteristica di Mikael e il fatto che l'antagonista sia stato enormemente trascurato, non ho nessun difetto da scrivere.
Leggerò sicuramente gli altri due romanzi della saga e che sono certo mi intratterranno in modo piacevole e con il fiato sospeso tanto quanto questo libro. Una cosa che ho notato e che voglio scrivere, è che nonostante lo scrittore sia un giornalista, la sua scrittura non ricorda per niente la superficialità e la schematizzazione che si addice a quel lavoro, anzi, Larsson si è soffermato nei dettagli approfonditamente, e soprattutto non annoiando e non cadendo nel ridicolo, e questo fa di lui un ottimo scrittore. Le scene si susseguono, una dopo l'altra con una velocità apparentemente elevata, ma che se osservata è scritta nella maniera migliore possibile. Un altro punto a favore di questo romanzo è la caratterizzazione dell'ambiente e della storia, con riferimenti alla vera Svezia (sono infatti ricorrenti) che aiutano ad ambientarsi meglio e a tastare le acque lungo tutta la trama. Tanto per fare un esempio, la descrizione della città in cui risiede la famiglia Vanger con altrettanto disegno della mappa.
Per concludere, affermo che il libro è alla portata di qualsiasi persona, specialmente per lo stile di scrittura semplice e scorrevole, che fanno di questo libro un giallo coi fiocchi. Direi che la fama acquisita la Larsson, nonostante sia morto e che prima tanto malgiudicavo (ah! i pregiudizi), è cambiata nei sei giorni in cui ho letto questo romanzo. Come già detto, la suspense è all'ordine del capitolo e i colpi di scena non mancano. Tutti questi fattori, fanno di "Uomini che odiano le donne" un buon libro, degno di essere chiamato tale e di essere letto.
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