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Gialli, Thriller, Horror
 
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filecc Opinione inserita da filecc    28 Mag, 2013
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Sempre un Maestro

"I luoghi più caldi dell'Inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali." Dante Alighieri


Il professor Robert Langdon si sveglia nell'ospedale di Torregalli a Firenze con una ferita alla testa e una seria amnesia che gli impedisce di ricordare i giorni precedenti; a complicare il tutto ci sono delle visioni indecifrabili. All'ospedale viene accudito dal dottor Marconi e dalla dottoressa Sienna Brooks, che gli spiega come la sera precedente sia arrivato all'ospedale in stato di semi-incoscienza; l'amnesia sarebbe dovuta ad uno sparo destinato a lui, ma che l'avrebbe colpito solo di striscio sulla testa. Improvvisamente irrompe Vayentha, una killer che ammazza il dottor Marconi e sembra intenzionata a uccidere anche Langdon, che si salva solo fuggendo precipitosamente grazie all'aiuto di Sienna (fonte Wikipedia). Da questo punto prendono vita una miriade di peripezie che solo Dan Brown è capace di rendere autentiche, bellissime e reali.

Lo sconvolgimento emotivo è la sensazione che Brown lascia ai suoi lettori ad ogni pagina. In Harry Potter, la Rowling cita in qualche pagina della saga alcuni libri maledetti che mangiano le teste dei propri lettori o ancora peggio, mentre altri più semplicemente obbligano le proprie vittime a leggere senza potere mai smettere. E' una situazione che potrebbe calzare benissimo ai libri di Brown. Inferno si rivela nuovamente un thriller mozzafiato, che si divora come una brochure teatrale, quando invece la mole di testo è ben più ampia. Il ritmo è, come sempre, incalzante. I capitoli brevi e concisi, racchiusi in poche pagine, aiutano a mantenere attiva la voglia di conoscere, di sapere, di scoprire cosa succede dopo. La traduzione del trio Lamberti, Raffo, Scarabelli è molto piacevole. La storia raccontata è di per sé molto originale, ma soprattutto all'interno del testo trovano posto, disseminate quasi innocentemente qui e là, una miriade di invettive contro i più disparati personaggi: l'OMS e la Chiesa Cattolica in primis. "Mirate la dottrina che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani" esortava Dante nel IX canto dell'Inferno: idem bisogna fare con le parole dello statunitense Brown. Non per niente Avvenire gli dedica persino un articolo qui (a dire il vero, articolo molto scialbo e privo di qualsivoglia senso. Tra l'altro quasi sicuramente chi ha scritto l'articolo non ha neanche letto il romanzo, prima). Ma la Chiesa Cattolica, si sa, ha sempre qualcosa da ridere, perfino, se potesse, sulle modalità di riunione delle messe nere. In "Inferno" Brown affida ad un dialogo tra la dott.ssa Elizabeth e l'ing. Bertrand questo pensiero:

- "[...] di recente abbiamo speso milioni di dollari per inviare in Africa medici a distribuire profilattici gratis e a educare la popolazione al controllo delle nascite"
-"Ah, certo! [...] e dopo di voi un esercito ancora più numeroso di cattolici si è precipitato ad ammonire gli africani che se avessero usato i profilattici sarebbero finiti all'inferno. Adesso l'Africa ha una nuova emergenza ambientale... discariche che straripano di preservativi inutilizzati."

Quanta verità nascosta in questi versi. Al netto dell'avventura, del thriller, del mistero e del simbolismo, Inferno affronta un tema serissimo che troppo spesso cerchiamo di ignorare: il controllo demografico. Studi stimano che nel 2050 il modo arriverà a 8900 milioni di individui, ovvero quasi 9 MILIARDI, mentre le 2150 sfiorerà i 10 miliardi di individui. La domanda sorge spontanea: da dove arriveranno tutte le risorse e le energie per nutrire questa mole impressionante di corpi? In questo quadro apocalittico, La Chiesa Cattolica si ostina ancora a difendere principi religiosi a discapito di reali esigenze: controllo delle nascite, contraccezione, miglioramento delle condizioni di vita.
"I luoghi più caldi dell'Inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali." Che la Chiesa Cattolica abbia già trovato il suo posto nell'aldilà?

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Spregiudicato

ALAN Lei non immagina, signora…
MICHEL Véronique.
ALAN Lei non immagina, Véronique, quanto mi sento coinvolto. Mio figlio ferisce un altro bambino…
VERONIQUE Volontariamente.
ALAN Ecco, questo è il genere di osservazioni che mi manda in bestia. Volontariamente, lo sappiamo.
VERONIQUE Ma la differenza è tutta qui!
La differenza è che loro sono degli attori. Mentre il lettore la vittima della sceneggiatura della francese Yasmina Reza. Vittima, nel migliore dei sensi possibili. Esilarante, sagace, ma allo stesso tempo molto profonda, la sceneggiatura d’oltralpe del 2006 ha l’effetto dell’elio inalato coscenzionsamente: una massiccia dose di risa. Spumoso nella stesura e idem nella realizzazione della traduzione di L. Frausin Guarino e E. Marchi, “Il Dio del Massacro” mostra inesorabile lo sgretolarsi del mondo civilizzato, che si piega inevitabilmente all’approquinquarsi della bruta forza del, appunto, dio della carneficina, ovverosia il sempiterno spettro della più antica delle nostre anime: l’istinto animale. O meglio sia, l’istinto animale di protezione nei confronti dei propri cuccioli. Le due coppie vedono scomparire, poco a poco, quelle maschere di benevolenza e dignità che fin dall’inizio hanno indossato l’una per l’altra, composte, attente a non tradire il minimo rigurgito di quell’antica bile che in ogni caso è pilastro stesso della loro esistenza. Come bestie obbligate al comportamento umano che presto rendono vive le avvisaglie di una nuova trasformazione, di un ritorno alle origini, così per le due coppie forti si fanno presenti i luccichii di una rapida virata verso quelle sirene che sentono e che non vorrebbero ascoltare. Ma il dio della carneficina attende dietro le quinte di entrare in scena, di prendere piede nel minuto salotto borghese che, triste, si erge a baluardo finale di una società che ostenta valori che in realtà non possiede neanche negli angoli più reconditi della propria mente. Quando infine la commedia sarà finita, tutti si renderanno conto che è troppo tardi per cercare di incollare nuovamente al loro posto le facce teatrali che hanno ormai perso ogni credibilità e con duro rammarico potranno solo uscire di scena in silenzio.

“Il dio del massacro” mette a nudo la debolezza dell’uomo che non ha disposizione mezzi reali per affermare le proprie convinzioni. Le due coppie sono entrambe chiuse nelle torri delle loro convinzioni e non s’accorgono, impegnate come sono a fingere di essere delle persone civili, che la frana provocata dalle loro emozioni (e dall’alcool) travolgerà infine tutte le loro impostazioni, se non loro stessi. L’alterco che i due marmocchi hanno creato nei giardinetti diventa velocemente un pretesto per imporsi reciprocamente una dominazione borghese, fatta di etichette e di comportamenti, più che d’umanità o sensazioni. Non riescono, forse, le due coppie ad accettare che almeno i loro figli hanno avuto il coraggio di reagire d’impulso, di affrontare i loro istinti nel modo che ogni genitore conosce: la lite. La coscienza che i loro pargoli non sono poi così borghesi come loro dicono di essere, smuove gli adulti dal loro piedistallo, pericolosamente li fa tremare nelle loro nicchie dorate e questi, automaticamente, si aggrappano agli ultimi rimasugli del loro Io, fino ad implodere, provocando un’onda d’urto letale, ma reale.

VERONIQUE Non si sono torti da entrambe le parti! Non si confondono vittime e carnefici!
ANNETTE Carnefici!
MICHEL Oh Veronique quanto rompi, ne abbiamo le scatole piene di questi sproloqui infarciti di banalità!

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Novecento ha un'anima.

"Il Viriginian è un piroscafo. Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché." (Feltrinelli)
"A me ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, FRAN, giù, cadono.[...] Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. FRAN. Cos'è che succede a un chiodo per fargli decidere che non ne può più?"
Ha un anima anche lui, si chiede Baricco? Non sapremo mai se il chiodo e il quadro si siano mai parlati, ma di una cosa si può essere certi: "Novecento" ha un'anima. E' un monologo teatrale che parla da solo, si recita guardandosi allo specchio, un libro le cui pagine si sfogliano da sole, un romanzo la cui trama si intreccia attorno ad una sola attività: l'immersione. Nell'Oceano di Novecento, nel Virginian, o nella tromba d'ottone del narratore. Un immersione fatta trattenendo il fiato, fino a sentire scoppiare i polmoni, e fino a perdere i sensi. "Novecento" si fa annusare, ha l'odore dell'infinito, il sapore del rumore del mare sulla cui superficie migliaia di personaggi, di persone, di attori e musicisti, di volti e di emozioni, vive.
La scrittura di Baricco è un'onda piena che travolge il surfista appena questo ha preso il fiato prima di essere inglobato in una montagna d'acqua, nella cui profondità scompare.Il ritmo diventa incalzante via via che la fine si avvicina, fino a culinare nei versi spezzati del finale.

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