Opinione scritta da Dany83

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    21 Gennaio, 2021
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L'ORCO

«L’uomo giusto non vuole mai la vendetta, ma talvolta vendetta e giusta punizione camminano lungo la stessa strada.»

Strappare la vita a qualsivoglia essere umano è sempre un’azione spregevole e condannabile agli occhi di tutti, ma quando la vita rubata è quella di giovani innocenti la cui gioventù viene brutalmente spezzata senza la possibilità di alcun futuro, allora il delitto diventa più atroce più crudele e rimane negli occhi della gente in maniera più indelebile.
Forse è per questo che il libro si apre con una sequenza di fatti che riportano chiaramente alla mente il rapimento di Chiara Gambirasio in modo molto esplicito. Chiara Gambirasio, una ragazzina italiana, Ami Demba, una ragazzina africana, perché il male non fa distinzione di etnie.
Il rapimento e l’uccisione di Ami sarà il primo di una serie di omicidi che verranno tristemente alla luce. Inizia così una caccia all’orco per il commissario Sensi e il Dottor Claps. Ma a cacciare l’orco sarà anche un padre dilaniato dall’odio e dal dolore.
Vincerà la giustizia o la vendetta?
Mario Mazzanti fa di nuovo centro con questo thriller. Il tema trattato è ovviamente quello delicato della pedofilia ma l’autore sa descriverlo in maniera “delicata” facendo intuire al lettore senza scendere in descrizioni agghiaccianti o scene violente. Ci sono tutti gli elementi di un buon thriller.
Commissario e Profiler non sono particolarmente approfonditi e caratterizzati, il che non crea una grande empatia coi personaggi. Nonostante ciò, la scrittura diretta e senza troppe divagazioni danno al testo un ritmo serrato e senza interruzioni che tengono il lettore col naso tra le sue pagine fino alla fine. Non mancano la suspance e i colpi di scena che rimescolano le carte e fanno di questo romanzo un’ottima lettura di puro intrattenimento per il lettore.
Per gli amanti del genere un libro da leggere, un thriller a tutti gli effetti, scritto da un autore italiano per ricordarci anche che non bisogna sempre cercare lontano per trovare bravi scrittori, li abbiamo anche a casa nostra e, come in questo caso, vale la pena leggerli ed apprezzarli.

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    07 Agosto, 2016
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I volti della verità

In un’epoca in cui l’Europa intera è messa in ginocchio dalla Guerra di Successione spagnola, un’unica città si erge come vetta immacolata tra le ceneri, in mezzo a tanta carestia e puzzo di morte splende per la sua opulenza e benessere, ampolla distaccata dalle brutture che la circondano. Siamo agli inizi del XVIII secolo e la città è Vienna.
A quasi trent’anni dagli accadimenti del primo capitolo della saga valichiamo le Alpi, a saldo di un debito, di una promessa fatta molti anni prima, quando ci trovavamo mollemente adagiati tra i sontuosi giardini di Villa Spada a Roma. Di nuovo troviamo il giovane garzone ormai divenuto uomo e forse un po’ più scaltro, e l’ormai ottuagenario abate Melani con le sue membra ormai fiacche e straziate, quasi portasse le sorti d’Europa sulle proprie spalle, a fare i conti e il bilancio di una vita spesa al servizio di Luigi XIV. Sarà stata spesa bene?. Monaldi e Sorti hanno voluto sorprendere il lettore e in questo loro terzo capitolo si capisce come, figli della stessa mente, i tre romanzi abbiano in realtà tre caratteri ben distinti e per un certo senso distanti ed in vero, Veritas, è il più irruento è sanguigno dei tre.
Lo stile è come al solito impeccabile, adatto all’ambientazione storica, cattura per la sua eleganza e armonia, ma in questa occasione cambia la marcia, come un sassolino in discesa aumenta velocità nel proseguire e fin da subito mette la pulce all’orecchio del lettore che vuole scoprire dove finirà la corsa. Il mistero di un vecchio palazzo abbandonato a se stesso che vuol essere riportato al suo antico splendore, la visita dell’agà turco al principe Eugenio di Savoia, l’enigma del “pomo aureo” e una serie di inspiegabili e talvolta brutali omicidi, sono gli ingredienti che danno i connotati di thriller a questo nuovo romanzo, oltre a quello di sublime romanzo storico, e tengono incollato alle sue pagine chi legge. Mai come in Veritas, la verità è un gioco di ombre sfuggevoli, dove gli amici diventano nemici, le alleanze mascherano subdoli intrighi e non si può sapere chi sta con chi e chi manovra e chi è manovrato.
Non è più il dolce profumo dei fiori quello che sento, non più le ricche stoffe quelle che lambiscono la mia pelle, non più i magnifici palazzi quelli che vedo: con questo romanzo ho sentito il freddo della neve percorrermi la spina dorsale, l’afrore del sangue invadermi le narici, una realtà sconvolgente annebbiarmi la vista e mai come in questo capitolo sono stata curiosa di leggere i documenti probatori che si trovano nella parte finale del libro per capire quali di queste spiazzanti, ma forse sempre sapute rivelazioni, fossero documentate, e cosa fosse frutto dell’intelletto degli autori.
Veritas colpisce come una bomba, risveglia il lettore che ancora poltriva nel torpore in cui lo aveva lasciato il precedente capitolo, se letto , e lo porta bruscamente in un’altra realtà.
Cammini tranquillo in un prato ed in lontananza senti un gran boato, la vista ti si acceca per il bagliore e l’onda d’urto ti scaraventa a terra. Immobile ed attonito assisti impotente allo spettacolo delle fiamme che bruciano tutto ciò che fino ad allora era stato fatto e costruito. Così alla fine ti ritrovi seduto a terra con accanto il garzone e l’abate Melani, con i morti del romanzo e quelli della Storia, a fissare la nera coltre di fumo degli inganni e delle menzogne, solo un flebile chiarore si scorge ogni tanto, è quello della verità che luccica ma non si sa né da dove proviene né se brillerà più.
Così il romanzo scaglia una ineluttabile profezia:
“…Verrà il dì in cui il Terrore per anni e anni andrà in giro nudo per le strade, armato di scure e falce, e mozzerà la lingua alla Verità, e la testa ai giusti. La chiameranno Libertà Uguaglianza Fraternità: sarà invece solo strage organizzata, e tirannia camuffata.”
Imprimatur Secretum, Veritas : una prima parte della sentenza latina è stata scritta e con una nota malinconica di fondo attendiamo i successivi capitoli che l’andranno a completare, curiosi di sapere di quali altre sorprendenti scoperte ci renderanno partecipi.

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    07 Marzo, 2016
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SI PUO' FARE DI PIU'

Un titolo accattivante, l’eco di un grande thriller e il fatto che l’autore sia italiano e che sembrerebbe essere il futuro prossimo del nostro Paese nel genere, sono elementi più che sufficienti per attirare l’attenzione del lettore e far sì che l’acquisto venga fatto. Peccato che grandi aspettative non vengano poi sempre soddisfatte nello svolgimento dei fatti. Il primo libro di Mirko Zilahy ha avuto quello che io chiamo, per rendere l’idea, “l’effetto Gioconda”. Avete mai visto il più famoso quadro di Leonardo Da Vinci dal vivo? Nell’immaginario collettivo, anche nel mio, il quadro più conosciuto al mondo chissà perché ma ce lo aspettiamo di certe dimensioni diciamo, delle dimensioni dei quadri che si trovano anche nei salotti di casa nostra probabilmente e quando finalmente, girando tra le sale del Louvre, ti ci trovi davanti col cuore pieno di emozioni, accade qualcosa di strano, inclini il capo, gli occhi si fanno a fessura per focalizzare meglio e un pensiero fulmineo ti attraversa la mente “Tutto qui?”, sì perché il ritratto della Gioconda è in realtà un quadro di piccole dimensioni, e anche se questo non toglie nulla alla bellezza dell’opera, che rimane immortale, un pizzico di delusione ti pervade perché in realtà ti aspettavi qualcosa di più. Ecco questo libro produce esattamente lo stesso effetto, ampliato dal fatto che non è solo una mera questione di dimensioni quello che lascia perplesso il lettore, che si rende ben presto conto che si trova dinnanzi ad un buon libro sì, ma non sicuramente ad un capolavoro del genere come si vuol far credere.
Zilahy utilizza indubbiamente una buona tecnica narrativa per far sì che il lettore venga attratto nella lettura, ha un’alta capacità descrittiva e il raccontare una storia inserendo all’interno fotogrammi flash di situazioni che sembrano slegate dal processo per ordine degli avvenimenti, innescano in chi legge la curiosità nel proseguire per cercare di mettere al loro posto quei pezzi di puzzle impazziti. Eppure nell’andare andare avanti si sente che c’è qualcosa che stona, manca qualcosa in questo romanzo.
Siamo nella Roma industriale, battuta da un’incessante pioggia (Ma a Roma piove davvero così tanto per venti giorni di fila?), dove un serial killer che sembra giungere da oltre oceano miete vittime tra blocchi di cemento e ferraglie arrugginite. L’ispettore Mancini, profondamente segnato nell’animo e scosso da innumerevoli psicosi e paranoie, è costretto a seguire l’indagine assieme alla sua squadra per risolvere la spietata mattanza. La prima cosa che stona è appunto il fatto che, come l’esistenza dell’ispettore segue il principio della balistica discendente, così lo fa anche tutto il romanzo, attirato verso il basso da una forza di gravità che getta un’ombra d’ansia su tutta la vicenda. Il trovarsi costantemente in una Roma acquitrinosa e metallica fa sì che le descrizioni nel corso del libro risultino ripetitive e incolore, se il caratterizzare psicologicamente il protagonista conferisce un aspetto più umano e veritiero al personaggio, è pur vero che il riproporre costantemente le inquietudini dell’ispettore risulta alla fine essere una forzatura, il voler mischiare il genere thriller americano col giallo italiano produce poi l’effetto che tutta la storia in sé sia un po’ inverosimile. Quando si arriva alla fine ecco che, dopo tante pagine di pioggia, risulta chiaro cosa manca a questo primo romanzo dell’autore. Nonostante lo stile scorrevole e asciutto che non fa indugiare nel proseguire la lettura, la storia manca di dinamicità. Nessun sussulto, nessun cambio di prospettiva, nulla che faccia dubitare che le cose vadano come poi realmente vanno, e comunque alcuni punti continuano ad essere lacunosi, senza spiegazione anche ad epilogo avvenuto. A Zhilay per ora è mancato quel guizzo che fa dire a chi legge, “Bravo, questa mossa non me l’aspettavo”
Nel complesso il libro è comunque una piacevole lettura, scritto in maniera fluida e senza troppi fronzoli, seppur senza particolari emozioni svolge egregiamente il suo compito di intrattenitore. Il consiglio è quello di leggerlo senza troppe pretese, per ora siamo lontani da un’emergente Carrisi. Zilahy è promosso ma con riserva, le premesse perché possa scrivere qualcosa di meglio ci sono tutte, allora diamo fiducia a questo novello autore e aspettiamo di leggere il suo prossimo romanzo.

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    22 Febbraio, 2016
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COS'E' CHE MUOVE IL MONDO

“ Il visitatore ignaro vi sostava ammirato innanzi ….le sue pupille stupefatte venivano allora solcate da una fulminante fuga di bastioni romani e mura merlate, che s’allungavano sulla destra verso l’orizzonte, emergendo improvvise dalla profondità delle loro millenarie, invisibili, sonnolente fondamenta. Le palpebre sbattevano rapide a quella vista inattesa e magniloquente, e il cuore pulsava forte. Tra tutte quelle delizie, generose di profumi e d’incanto, ogni cosa pareva nata per il piacere, e tutto era poesia. “

Benvenuti a Villa Spada, teatro di sontuose nozze e vili intrighi, spettatrice placida e silente di illustri eminenze di principi e di poveri sguatteri, di grandi verità e profondi inganni, dei bisbigli e delle grida che hanno plasmato la Storia, quella conosciuta e quella nascosta, di quel che si seppe e di ciò che non si seppe, o non si volle sapere….fino ad ora.
Diciassette anni dopo gli accadimenti del Donzello e i fatti narrati nel primo libro della saga (Imprimatur), i coniugi Monaldi e Sorti ci riportano nuovamente nella città eterna, questa volta non tra le mura di una locanda e negli spazi angusti dei cunicoli sotterranei, ma nella magnificenza barocca delle ville e dei palazzi della Roma del 1700, nell’anno del Giubileo. Ho ritrovato con grande piacere l’abate Melani, castrato di fama internazionale e spia del Re Cristianissimo Luigi XIV che, seppur incanutito e avvizzito nel corpo, conserva la sua agilità e arguzia mentale e di nuovo mi sono immersa con lui e i suoi compagni in questa nuova avventura, in questa nuova caccia al tesoro, alla ricerca della soluzione di un mistero che porterà a scoprire che nulla è come appare.
Un trattato di estrema importanza rubato, un Pontefice morente e il Re di Spagna in fin di vita senza eredi al trono sono i cardini su cui ruota questa storia. Cosa accomuna questi tre elementi? Quale nuovo mistero dovranno risolvere Atto e i suoi aiutanti? Di nuovo il lettore verrà trascinato in un turbine di eventi per scoprire dietro quale maschera si nasconde chi muove i fili della sorte d’Europa, alla ricerca della verità, ma la luce della verità è come quella di una fiammella tremolante al vento, crea giochi di ombre e luci bizzarri e non si sa mai cosa andrà ad illuminare quando splenderà.
Gli autori dimostrano nuovamente tutta la loro bravura nel fondere insieme la realtà e la fantasia, i fatti storici realmente avvenuti e tutti fedelmente documentati, completandoli con parti di invenzione per supplire alle lacune che la Storia lascia. La linea di demarcazione è impercettibile e se non ci fossero i documenti finali a far luce per il lettore sarebbe impossibile distinguere gli uni dagli altri. L’avvio è un po’ lento, le parti descrittive molte e a volte rallentano il ritmo, nonostante ciò non si può evitare di venire ammaliati da uno stile di scrittura così elegante ed evocativo, lo scoprire termini desueti che bussano alla porta della memoria o che si presentano per la prima volta, ma che perfettamente vestono l’ambientazione del romanzo. Leggere Secretum non è solo leggere un pregevole romanzo storico venato di giallo, è come ascoltare una sublime melodia che ti rapisce e ti da gioia. La passione che gli autori hanno messo nello scrivere questo romanzo, le meticolose ricerche, la cura dei dettagli e le superbe descrizioni traspaiono da ogni pagina di questo libro e per osmosi si trasmettono al lettore. Se chiudo gli occhi posso vedere lo splendore dei giardini delle ville romane, la moltitudine di fiori e piante, la cura amorevole che disegna le sagome delle aiuole, vedo la magnificenza dei palazzi dei loro affreschi custoditi tra i giochi di archi che formano le volte, vedo la maestria e l’ingegno dell’uomo a servizio dell’arte, se chiudo gli occhi sento il profumo dei pini e dei giaginti, di raffinati profumi francesi e di maleodoranti viandanti, se chiudo gli occhi sento il gusto di mille leccornie di sontuosi banchetti, se chiudo gli occhi sento il tocco leggero di pregiate stoffe scivolarmi sulla pelle. Quando li riapro non posso che esser grata alla lettura di un libro che a destato in me tutti i sensi, leggere libri come questo è puro piacere, garanzia di contenuto e stile.
Lasciatevi prendere per mano e condurre dagli autori tra magnifici palazzi ed estasianti giardini inseguendo un incognita e scoprirete che nella ricerca di una soluzione sul percorso scoprirete molte altre realtà. Un romanzo che, con una nota malinconica di fondo, ha la capacità di stuzzicare l’intelletto e nutrire lo spirito. Alla fine ogni il lettore trarrà le sue conclusioni su cos’è che muove il mondo, e badate, la risposta non è così scontata.


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Dany83 Opinione inserita da Dany83    02 Novembre, 2015
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AI VINTI

“Ai Vinti” è a loro che questo romanzo viene dedicato, e sono queste due parole che racchiudono in se la vera anima del libro.
I coniugi Monaldi e Sorti regalano al lettore un lodevole giallo storico e allo stesso tempo fanno rivivere la storia vera e propria da altre prospettive, attraverso altri occhi, che portano alla luce nuove realtà, le quali vengono accuratamente documentate nella parte finale del libro.
Nella locanda Il Donzello nell’anno domini 1683 vengono messi in quarantena dei pigionanti col sospetto di un caso di peste che sembra aver mandato al Creatore uno degli ospiti.Si tratta davvero di peste? La voce narrante è il garzone della locanda e assieme all’abate Melani andrà alla ricerca della verità. Ma qual è la verità?
All’interno delle mura della locanda le vite degli avventori si intrecciano e sfiorano mirabilmente e se nella segregazione forzata, complice l’oscurità della notte e il mundus subterraneus di Roma si cercano di trovare delle risposte agli accadimenti del Donzello, è attraverso i deliri, i sospiri, le confessioni, le cicatrici e la mente arguta e furba di un abate che rivive la storia d’Europa, gli avvenimenti e i fili che manovrarono le sorti e gli equilibri del mondo di allora, in un modo del tutto inaspettato per il lettore.
Mi sono così anche io scoperta avida nella lettura, da un lato la curiosità di risolvere il mistero del Donzello nel suo susseguirsi di colpi di scena, dall’altro lo stupore di apprendere cose nuove, di vedere la luce puntata su fatti che erano nell’ombra.
Monaldi e Sorti, con uno stile elegante e perfettamente calzante con l’epoca narrata, hanno saputo fondere il romanzo con la realtà dando vita ad un superbo affresco storico da togliere il fiato, con i suoi giochi di luci ed ombre che rapiscono il lettore per catapultarlo in un’altra dimensione, in un’altra realtà.
Se questo romanzo è dedicato “Ai vinti”, agli eroi che forse tali non sono, agli inetti che vengono riscattati, a chi la Storia non ha saputo riconoscere il proprio merito o demerito, posso dire che il mio plauso è dedicato alla coppia di autori che han saputo raccontare una storia nella storia in maniera avvincente e suadente.
Per quel che riguarda la scrivente, mi appresto a leggere il seguito con altrettanta curiosità, per quel che riguarda voi non posso che consigliarvi la lettura, magari supportata dai riferimenti musicali che troverete alla fine del libro così da potervi calare ancora meglio nell’atmosfera del romanzo.
E alla fine della lettura anche a voi sorgerà spontanea una domanda, questo ve lo posso garantire. Quale? Leggete il libro e lo saprete.

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    28 Settembre, 2015
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Ci sono tutti gli ingredienti ma...

Marcos Chicot ci riporta indietro di 2500 anni ambientando questo suo romanzo nell’antica Magna Grecia e mettendo al centro della scena un personaggio tanto misterioso quanto geniale come Pitagora e la sua comunità. Scienza, filosofia e scoperte verranno messe in discussione e una serie di misteriosi omicidi minerà la solidità morale dell’etica pitagorica.
L’intreccio tra i fatti storici realmente accaduti con la fantasia dell’autore è buono, il libro parte con delle buone premesse ma, né l’ambientazione affascinante né la seduzione che può generare un personaggio a 360 gradi come Pitagora, bastano a far decollare il romanzo.
Ho avuto l’impressione di essere in giardino da bambina quando cercavo di far librare in cielo il mio aquilone, c’erano tutte le condizioni necessarie ma nulla, non si alzava. La stessa sensazione l’ho avuta leggendo questo libro.
L’autore utilizza un lessico semplice, anche quando spiega le scoperte del grande maestro e rende la lettura scorrevole, peccato che ingrani una marcia e questa mantenga per quasi tutta la durata del libro, e parliamo di oltre 700 pagine.
Non c’è suspense non si genera tensione nel lettore, le idee sono buone ma il tutto si svolge in maniera troppo prevedibile, cosa che in un thriller non dovrebbe essere. Accade esattamente ciò che ci aspettiamo che accada e anche l’identità del misterioso agitatore non è poi così difficile da capire, anzi direi abbastanza ovvia. Un’ attento lettore lo può intuire facilmente.
Interessanti sono le scoperte di Pitagora e la sua filosofia di pensiero ma il resto dei personaggi, anche quelli realmente esistiti, sono poco caratterizzati. L’unica cosa che si capisce chiaramente è che Akenon, l’investigatore di turno, doveva essere, passatemi il termine, un gran figo. Alto, bello, muscoloso e intelligente, l’autore lo sottolinea più volte nel libro. Questo lo abbiamo capito, per il resto poco e alcuni episodi potevano tranquillamente essere tralasciati, sono un contorno non indispensabile.
Nel complesso il giudizio è che il libro risulta piacevole come rivisitazione storica, per farsi un giro nella Magna Grecia e sfiorare la vita di un personaggio tanto misterioso quanto carismatico e magnetico, ma non fatevi ingannare dai commenti riportati sul retro della copertina, non troverete né azione né colpi di scena.
Se volte intraprendere una lettura senza pretese ma con un tocco di curiosità per il grande matematico,le sue idee e la Storia, allora percorrete tranquilli le vie di Crotone e la vita della comunità pitagorica, se invece siete amanti del thriller e cercate adrenalina e cambi di prospettiva meglio voltare lo sguardo su altre letture.

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    19 Marzo, 2015
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PANNOCCHIE AL SOLE

Vi chiederete, cosa c’entrano le pannocchie con questo libro? Assolutamente nulla.
Ho voluto intitolare così questa recensione perché il libro in questione mi ha fatto riaffiorare alla mente ricordi lontani, di quando vicino a casa mia c’era una vecchia cascina, costruita nel 1906 dal mio bisnonno e abitata da cugini, una cascina demolita il 10 ottobre del 2012 ma che fino ad allora era rimasta immutata negli anni. Il tetto era ancora quello originale, la stanza coi mattoni di terracotta, il granaio con la piccionaia, la stalla e il pollaio, l’orto e le casette dei conigli. E Farinetti mi ha riportata bambina nel cortile di quella cascina in un pomeriggio d’estate, a sbucciare le pannocchie per poi vederle appese alle ringhiere dei balconi, splendenti al sole.
Questo romanzo ha il profumo delicato delle mele caramellate di mio nonno, il gusto intenso e deciso della zuppa di fagioli che in cascina cucinavano sul camino a legna sulla parete esterna della casa , il sapore dolce dei pomodori coltivati nell’orto, o almeno queste sono le sensazioni che mi ha suscitato questo libro e che danno l’idea di quel che ho provato nel leggerlo.
Farinetti usa uno stile semplice ma al tempo stesso avvolgente e malinconico nel narrare questa storia, la storia di una famiglia come tante, nelle Langhe, prima, durante e dopo la Seconda guerra Mondiale. Un sali e scendi temporale di flashback nei quali si vivono attimi di assoluta spensieratezza ed altri di infinita tristezza e tragicità. Se la storia in se, che personalmente ho trovato bella e commovente, potrebbe essere comune per molte altre famiglie che hanno vissuto quel periodo storico, la bellezza sta soprattutto nella genuinità dei personaggi e nella forza dei sentimenti che si respirano nelle sue pagine.
La forza e la tenacia di tre sorelle e di chi le circonda, del loro credo e dei loro sentimenti espressi con delicatezza e caparbietà ed un segreto che porterà gioia e dolore, sono l’ossatura del romanzo, e
l’ autore sa imprimere ad esso un sentore di nostalgia ed allegria che il lettore ritroverà, nella nostalgia di rimembrare propri ricordi e la gioia di rivivere in essi.
Un plauso a Farinetti che ha saputo tessere una bella trama e scriverla in maniera toccante senza essere superfluo.
Chissà quante volte i fili invisibili della vita ci hanno portato a sfiorare segreti altrui senza saperlo?
Che il libro alla scrivente abbia colpito e sia piaciuto non è un segreto, se volete scoprire il segreto custodito nelle pagine di questo romanzo e comprendere meglio il significato della mia domanda, beh, non vi resta che leggere il libro.
Buona lettura e buon viaggio a chi, come me, si troverà a ripercorrere le strada dei ricordi con un pizzico di malinconia ma anche di serenità.

Dany

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Dany83 Opinione inserita da Dany83    04 Agosto, 2014
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L'effetto farfalla

Con “Ogni giorno ha il suo male” Antonio Fusco fa il suo esordio nella letteratura offrendoci un giallo che racchiude in se qualcosa di più della semplice storia raccontata.
Un romanzo dall’ossatura americana, la storia dello spietato serial killer sembra rimandare ai romanzi d’oltre oceano, ma con un animo tutto italiano.
Nell’immaginaria provincia toscana di Valdenza si intrecciano le indagini di polizia per catturare l’assassino e la storia personale dell’ispettore Casabona. Una storia che nelle prime pagine colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco e che inevitabilmente crea un legame con la storia stessa che può essere sciolto solo arrivando alla fine del libro.
Delle indagini che mettono in risalto gli sforzi ma anche le leggerezze e superficialità che a volte vengono commesse in campo giudiziario e la vita di un ispettore che viene delineato non come un eroe ma come persona estremamente vera, con le sue inquietudini e paure, le sue forze e le sue debolezze. Una persona cinica e concreta sul lavoro, ma generosa col suo prossimo. Altruista verso i colleghi, perde di vista le redini della propria vita personale rischiando così di trascurare e ferire le persone a lui più care.
Casabona, un animo combattuto e irrequieto. Quant’è difficile Tommaso riuscire a conciliare l’amore per il proprio lavoro e quello per la propria famiglia, come si può svolgere al meglio entrambi i ruoli senza far torti a nessuno? Perché il mondo si divide tra chi può passare oltre quella striscia bianca e rossa e chi non può farlo, ma chi non la oltrepassa non sa che chi va al di là di quella striscia tutto quel che vive se lo porta dietro, ombre che si muovono con gambe proprie, incubi pronti a riemergere ad ogni occasione propizia. Questa è la peggiore condanna per chi passa quella linea, per quel lavoro che vi siete scelti: vedere il mondo attraverso la lente deformante del male che buttate giù, senza mai riuscire a digerirlo veramente.
La soluzione del caso sta nel profondo dell’animo umano e nella sua mutevolezza.
No so quanto del vice-questore e capo della squadra mobile di Pistoia Antonio Fusco ci sia nel suo personaggio Casabona, certo è che il bagaglio personale di esperienze traspare dalle pagine di questo suo romanzo attraverso una scrittura veritiera e cruda, dialoghi mai banali e personaggi che appaiono estremamente reali, anche se a mio parere alcuni di essi potevano essere meglio caratterizzati. Un romanzo che si presta a più livelli di lettura, e forse proprio per questo può essere più o meno apprezzato a secondo di ciò su cui ci si sofferma, e che nasconde tra le sue righe importanti spunti di riflessione. Perché ciò che facciamo si allontana da noi e finisce per non appartenerci più, però sopravvive negli effetti che ha generato.
Spero che in futuro Antonio ci regali altre indagini dell’ispettore Casabona, per permetterci di apprezzare il suo lavoro e farci conoscere un po’ meglio la sua storia.
Buona lettura



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Gialli, thriller e anche se può sembrare strano anche chi a letto testi sulle filosofie orientali può trovare interessante questo romanzo.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Dany83 Opinione inserita da Dany83    28 Giugno, 2014
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Il rosso e il nero

Una lama nella notte, una luce abbagliante che sibila nel vento. Un’ombra si muove al tremore delle lampade a gas dei lugubri vicoli. C’è quiete, ma la carne si dilania: è il morso dell’acciaio, è il graffiare del freddo è l’inaspettato e l’incomprensibile che accadono. Ma è la realtà o sono solo sensazioni?
Padova, inverno 1888. Siamo nella zona del Portello, la più misera e degradata della città, calderone di truffatori, delinquenti, prostitute, sfruttatori e abbienti in cerca di svago, luogo dove la parte più povera e sfruttata della popolazione vive una deplorevole vita. Ed è in questo bacino di carne macilenta ed esasperata che qualcuno attinge per placare la sua bramosia di vendetta, il suo impeto d’odio. Prostitute massacrate e mutilate, il profumo inebriante dei fiori che si mescola a quello pungente ed eccitante del sangue. Il malcontento popolare pronto ad esplodere, gli scontri politici e un tessuto sociale pronto a sfaldarsi saranno l’ossigeno che alimenterà il fuoco della follia e renderanno complicata la vita a chi cercherà di fermare questa giostra dei fiori spezzati. Un ispettore di polizia, un giornalista ed un’alienista criminologo daranno la caccia a questo predatore sanguinario, lottando contro il tempo, contro la folla, contro i dubbi e la paura che si insinuano lentamente, diventando prede a loro volta. Tre personaggi differenti che si uniranno per fermare un massacro, ma ancor più per capire qual è il punto di rottura, di non ritorno, in cui l’animo umano si tinge irrimediabilmente del nero dell’odio e del rosso della sete di sangue. Riusciranno a trovare una soluzione al caso o cercando di esplorare la mente umana ne rimarranno schiacciati ed invischiati?
Ipnotico, travolgente, seducente, carnale e suggestivo questo è l’ultimo romanzo di Matteo Strukul, che abilmente crea l’ambientazione storica perfetta ed accurata dove incastonare magistralmente i suoi personaggi ed intrecciare una storia che cattura l’attenzione fin dalle prime pagine creando quello stato di suspance e curiosità che porta dritti alla fine del libro. L’atmosfera gotica e tetra, cara a molti altri scrittori, imprimono la vicenda di suggestione e pathos. Strukul è abile a far rivivere attraverso le sue descrizioni la vita, gli odori i colori e il malessere sociale che imperversavano nella sua città d’origine nel diciannovesimo secolo e su questo sfondo sa dipanare sapientemente tutta la storia creando dei personaggi dalle peculiarità diverse e scandagliano la loro mente per esplorare i lati bui di una mente ancor più perversa. Una scrittura accurata e tagliente che trasporta il lettore in un’altra dimensione e gli fa divorare a piccoli morsi le pagine per godersi ancor più il piacere della lettura di questo accattivante romanzo.
L’unico appunto che non mi ha fatto dare il massimo dei voti a questo libro è il finale, a mio avviso un po’ affrettato, se Matteo lo avesse articolato ed approfondito maggiormente avrebbe ottenuto un risultato ancora migliore. Mi a dato la sensazione di ammirare uno splendido arazzo splendidamente intessuto, ma con i bordi sfilacciati. Nonostante ciò rimane un lodevole thriller storico che a me è piaciuto molto, sia per l’ambientazione che per i personaggi e l’evolversi della storia. Da leggere assolutamente, il piacere è assicurato.
Buona lettura.

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    03 Giugno, 2014
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Mistero e magia

Con Il Principe della Nebbia Zafon inizia la sua avventura letteraria nel lontano 1993, scrivendo questo romanzo per un target giovanile di lettori, ed è il primo di una trilogia chiamata “Trilogia della nebbia”.
Dalla fantasiosa penna dell’autore oltre alla nebbia, che avvolge e diventa coprotagonista del racconto, sgorgano chiari quelli che saranno i tratti salienti di tutti i suoi successivi romanzi. Le atmosfere gotiche e spettrali, la magia e il mistero inondano già le pagine di questo suo primo romanzo.
L’avventurosa storia di tre ragazzini, sulle coste spagnole degli anni quaranta, che dovranno combattere con un sinistro personaggio dai denti canini affilati e gli occhi malefici che ha le sembianze di un pagliaccio e che vi richiamerà inevitabilmente alla mente il ben più famoso pagliaccio horror. Una promessa fatta e poi infranta, un terribile pegno da pagare, avvenimenti misteriosi e un’ineluttabile destino da evitare saranno gli elementi attorno ai quali si srotola a ritmo incalzante tutta la vicenda.
Seppur in questo romanzo lo stile di Zafon e la tecnica sono più acerbe rispetto ai suoi successivi romanzi, ha già la capacità di catturare l’attenzione del lettore descrivendo abilmente le scene e i personaggi e dando al racconto un ritmo vivace che cattura l’attenzione e accompagna agevolmente alla fine del libro.
Zafon è quello che definisco, con un’accezione positiva, un autore sorbetto. Sapete quello che servono nelle grandi cene tra le portate di carne e quelle di pesce per spezzare e permettere di gustare al meglio le pietanze successive? Ecco trovo che quest’autore sia un piacevole intermezzo. Così anche questo suo romanzo d’esordio è sicuramente adatto alla fervida immaginazione delle giovani menti e accattivante quanto basta per trasportare anche il letture più adulto in un’avventura surreale sì, ma che è un ottimo modo per staccare la spina e far riposare la mente.
Non è sicuramente il suo miglior romanzo che possiate leggere, ma Zafon è un’abile intrattenitore e a mio avviso non annoia mai per cui vale sempre la pena di leggerlo.
Buona lettura

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    20 Mag, 2014
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44 Magnum con vizzietto

Alberto ‘o Malamente, Germano Spic e Span, Sandruccio la Zitella, Pasquale Bruciulì, e Biagio ‘o Femminiello.
Letti così sembrerebbero i bizzarri personaggi di qualche scanzonata storia, invece è vero tutto il contrario. Sono i “cinque mostri”, i fedelissimi di un potente boss dei Quartieri Spagnoli a Napoli lo Zio, il quale, dopo un’inaspettata soffiata, è costretto ad una frettolosa fuga. E latitanza fu. E ora dove sarà mai? Nessuno lo sa, la polizia e l’ispettore che segue il caso, soprannominato beffardamente Woody Alien, brancolano nel buio e nemmeno i mostri sanno dov’è. Come fare allora per rivelare allo Zio il nome del traditore? E qui arriva il “colpo di genio”. Tramite la spasmodica mania dello Zio. Il Grande Fratello del quale, cascasse il mondo, non se ne perde neanche una puntata. E così entra in scena l’unico personaggio davvero buffo del racconto, il pusher Anthony, magrissimo, abbronzatissimo, alla moda e frizzantino il quale, dopo un addestramento condotto con maniere non proprio ortodosse, diventa un gieffino, unico scopo comunicare con lo Zio e salvarlo. Il dado è tratto ma, come spesso accade, rotola dove vuole.
Non lasciatevi ingannare dalla trama però, questo non è solo un romanzo che offre divertenti episodi su cui ridere.
Piedimonte trova un modo del tutto alternativo ed originale per denunciare una realtà che a Napoli è tristemente nota, la camorra, e lo fa “giocando” sui vizi e le manie che anche i più pericolosi camorristi hanno, in quanto comuni persone, e che li possono rendere vulnerabili e ridicoli. A poco serve girare con una 44 magnum e picchiare i pugni sul tavolo se poi ti fai fregare da un vizzietto, sei un “ominicchio” qualunque. Il romanzo si legge velocemente, grazie alla brevità dei capitoli ed alla vivacità linguistica con cui viene narrata la storia. La penna di Piedimonte è divertente e creativa, scivola veloce come un’aranciata fresca, ma che lascia un retrogusto amaro in bocca. La spensieratezza è solo una componente superficiale, Piedimonte fa divertire il lettore ma non tralascia la crudità di fondo della malavita napoletana. I personaggi vengono ridicolizzati ma non vengono resi simpatici e bonari. I cinque mostri, ad esempio, non sono personaggi ben delineati, come nella realtà tutti non vedono non sentono e non parlano ma sanno perfettamente chi sono, anche qui l’autore lascia aleggiare la loro presenza, la loro pericolosità. Il lettore non li conosce eppure sente la loro continua presenza come un’incombenza nefasta.
Sorprendente il finale che nel giro di una decina di pagine mi ha fatto provare sensazioni differenti, dalla perplessità, allo stupore, all’atto finale che mi ha fatto esclamare “Bravo Stefano”.
Da leggere perché passerete delle ore piacevoli, da leggere perché offre spunti di riflessione, da leggere per l’originalità con cui viene denunciata un’ineluttabile realtà, da leggere perche l’autore, da buon napoletano, ha trovato un modo alternativo per dire “io non ci sto”.
Buona lettura

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    08 Mag, 2014
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Una simpatica caccia alle streghe

“ Fettucce, nastri, filati per ogni genere di lavoro, passamanerie, perline, elastici, cucirini di tutti i colori. E i bottoni! Ce n’era una collezione, chiusa in una vetrina. Uno per tipo, in corno, in avorio, in madreperla, in pietre preziose, in un caleidoscopio di colori…E le forme che avevano! Stravaganti, fantasiose, incredibili! Un omaggio alla creatività e all’abilità dell’uomo.”

Questa è la descrizione della discussa merceria Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti, ma volendo è anche uno stralcio che descrive amabilmente questo libro.
Sullo sfondo di una Bellano arroccata all’inizio della prima guerra mondiale, Vitali imbastisce una storia forse comune ma sicuramente godibile, dando vita ad una moltitudine di stravaganti e colorati personaggi ben caratterizzati nel loro piccolo e che non possono essere dimenticati, non fosse altro che per gli strambi nomi che l’autore gli cuce sapientemente addosso a marcare ancora di più i loro connotati.
Con uno stile ridanciano e fluido, mai scontato, ci racconta le vicissitudini di questo piccolo paese del lago di Como e dei suoi abitanti quando, dal nulla, spunta quella benedetta “Premiata Ditta”. Ma premiata da chi? E perche? E le due sorelle chi sono? Se poi, a tutti questi interrogativi si aggiunge il Geremia, lo scemo del villaggio, che si innamora della Giovenca, la splendida merciaia fresca di arrivo, beh il gioco è fatto. A chi la Stampina, la madre del povero Geremia può chiedere aiuto? Ma al “sciòr prevòst” ovviamente e alla sua infallibile e onnipresente perpetua. E così, con un po’ di dialetto che condisce il tutto, si snodano i pettegolezzi, i fraintendimenti e le bizzarre scenette tipiche di un piccolo paese e dei suoi variopinti abitanti, dove tutti hanno cento occhi, cento orecchie e ognuno vede e racconta lo stesso episodio a proprio modo dandogli una sua fantasiosa spiegazione e facendo sicuramente affiorare nel lettore un sorriso di fronte alla bonarietà, ingenuità e anche ad un po’ di sana ignoranza che aleggiava nei paesi all’epoca dei fatti.
Leggere Vitali è un po’ come sedersi ad una bella tavola apparecchiata in una giornata di sole, con mille leccornie preparate rigorosamente in casa e un buon vino regalato dall’amico contadino, chiacchierando allegramente con gli amici migliori. Una giornata di assoluta serenità e un po’ di nostalgia nel sentire i vecchi ricordi, che immancabilmente riaffioreranno nel lettore che, in un paese, ci è cresciuto e un po’ si è immedesimato nel racconto.
Vitali può piacere o meno, tutto sta nel porsi nella giusta prospettiva di lettura. Non aspettatevi intrighi, colpi di scena, misteriosi omicidi o indimenticabili storie d’amore, semplicemente preparatevi a leggere una storia come tante, ma raccontata bene e in maniera genuina che vi farà passare delle ore piacevoli e vi regalerà sicuramente qualche sorriso, un po’ di spensieratezza e una nota nostalgica di fondo.
Buona lettura

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    13 Marzo, 2014
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Something that happened

“Something that happened” (Qualcosa che è accaduto) era il primo titolo pensato da Steinbeck per questo suo romanzo, scritto nel 1937 e tradotto in italiano da Cesare Pavese l’anno successivo.
Niente di più e niente di meno di quello che accade nella realtà, lo scatto di una fotografia della vita degli anni ’30 in America, che racconta semplicemente quel che avviene, senza giudizi, senza inutili buonismi o esagerate umiliazioni. George e Lennie, i protagonisti, sono due tra i milioni di lavoranti che vivono la difficile situazione della “Grande depressione”, il lavoro precario, l’indigenza in cui sono costretti a vivere, lo sfruttamento e la vita, che alla fine decide per conto proprio chi premiare e chi punire al di là dei meriti.
Niente di più e niente di meno di un romanzo breve che in un centinaio di pagine crea un pathos tra il lettore e i personaggi, così veri con le loro sofferenze, i loro sogni, la loro ingenuità.
Niente di più e niente di meno del valore di una indissolubile amicizia che legherà i due protagonisti a doppio filo fino alla fine. George lo scaltro, l’amico-tutore, il pensatore e Lennie, la bontà e la leggerezza d’animo di un bambino intrappolate nel corpo di un gigante dalla forza smisurata che egli stesso non sa dosare.
Niente di più e niente di meno della storia di un sogno da raggiungere, come in molti ne hanno, che sembra quasi materializzarsi ma che la vita beffarda decide di dissolvere nella nuvola aspra di un destino ineluttabile.
Niente di più e niente di meno di una scrittura semplice e diretta, nessun virtuosismo, Steinbeck non parla del popolo, parla al popolo. I dialoghi, crudi e taglienti, a volte ripetitivi, ma altrimenti non potrebbe essere, diventano un mantra tenero ed amaro e si stagliano sulle descrizioni placide e poetiche della natura.
Niente di più e niente di meno di una metafora sulla vita, sul suo paradosso, commovente e tragica allo stesso modo.
Niente di più e niente di meno di un libro che va letto come tutti i libri senza età. Cambiano i tempi, i modi, i personaggi, la società, ma alcune realtà non vengono scalfite col passare degli anni, sopravvivono al tempo e rimangono sempre attuali.
Niente di più e niente di meno, 1937-2014, ora come allora.

Buona lettura

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    06 Febbraio, 2014
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22/11/63

Stavo nuotando tranquillamente nel fiume quando, all’improvviso, vengo risucchiata in un vortice d’acqua. Agitarsi è inutile, opporre resistenza non serve a nulla, il vortice mi trascinerebbe sul fondo e non mi lascerebbe più andare, ma io sono cresciuta vicino a quel fiume, so cosa devo fare. Restare inerte e abbandonarmi al suo inevitabile risucchio. Lentamente e inesorabilmente mi abbraccia e in quel momento le sensazioni sono molteplici, sballottata da una parte all’altra non so più dov’è la testa e dove sono le gambe e più vengo trascinata nel cuore del vortice più l’aria mi manca e la tensione cresce. Ma io sono rimasta ferma, in sua completa balia, ho lasciato che mi togliesse il respiro e lui, alla fine, mi ha restituito alle acque tranquille. L’aria torna a riempiermi i polmoni, i battiti del cuore decelerano, sono frastornata e poco alla volta ritorno alla normalità ma quel vortice non lo dimenticherò mai, quella sensazione rimarrà sempre nella mia mente.
Se ho vissuto realmente questa esperienza? In un certo senso sì, è quel che mi è capitato leggendo questo libro.
La mente scivola fluida e languida sulle pagine come due ballerini di swing sulla pista da ballo, la suspance e la curiosità crescono e graffiano come il motore rombante di una Sunliner, il piacere è corposo e rotondo come il gusto intenso di una root beer.
Un viaggio nel tempo che vi risucchierà in un vortice di sensazioni che si alternano e mescolano sapientemente. Romanticismo, adrenalina, malinconia, drammi e ansia vi ruberanno al resto del mondo per portarvi in un’altra dimensione. A cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, sullo sfondo degli eventi storici di quell’epoca, in un’ America circondata dal fumo azzurrognolo di sigarette, in fermento politico, al ritmo della musica la vita danza e fa intrecciare un’emozionante storia d’amore e un’altrettanto emozionante avventura per cercare di cambiare un passato che si ribella al cambiamento.
Complimenti al grande King che, con uno stile narrativo sublime, non racconta al lettore una storia, porta il lettore nella storia. È come vivere in quegli anni, sentirne le musiche e gli odori, vederne i luoghi e sentirne il richiamo.
Impossibile resistergli, nessun indugio nella lettura perche vi troverete in perfetta empatia con i personaggi i luoghi e le vicende narrate e quando avrete finito di leggerlo, fate decantare le emozioni e preparatevi a tornare lentamente alla realtà e vi accorgerete che ogni tanto chiuderete gli occhi e procederete lentamente al buio a piccoli passi per cercare la “buca del coniglio” per tornare ad una storia che difficilmente avrete dimenticato.
Bellissimo libro, straordinaria scrittura. E voi, riuscirete a resistere al vortice di King? Provare per credere.

Buona lettura



Questo è un omaggio a Sadie e Jake/George , la loro canzone preferita per rivivere anche noi parte di un tempo che non c’è più


http://www.youtube.com/watch?v=c2aqHGaSxRI

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    21 Gennaio, 2014
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Il passato è una terra straniera, ma non così tant

Con questo libro Carofiglio vince il Premio Bancarella 2005 e lo fa raccontando una storia verosimile con personaggi credibili e che purtroppo è comune a molte realtà odierne e non solo nella Bari dove si svolge la storia.
Gioco d’azzardo, soldi, alcool, droga, sesso senza regole e violenza sono gli ingredienti che fanno schizzare a mille l’adrenalina dei protagonisti nel superare i limiti che la legalità e la morale impongono.
L’adrenalina che sale alla testa e dà quel senso di euforia e angosciante paura insieme nel non sapere mai come andrà a finire ogni volta che ci si spinge oltre il consentito, solo per provare il brivido del proibito e sentire corpo e mente vibrare.
Ce la faremo anche questa volta ad oltrepassare le convenzioni o verremo beccati?
Ed è lo stesso stato che l’autore crea nel lettore per tenerlo incollato alle pagine del suo libro fino alla fine perché, che lo vogliate o meno, vorrete scoprire anche voi fino a che punto ci si può spingere, fino a dove il senso di perdizione può portare le vite di due giovani ragazzi.
Con uno stile fluido e schietto Carofiglio porta il lettore nella psiche e nelle emozioni più intime dei protagonisti, nelle loro paure e nella loro “morale”.
I fatti che accadono sono la naturale conseguenza dello stato d’animo e il modo di interpretare la vita dei protagonisti, sono i loro sentimenti e i loro dubbi che danno risalto e vita alle azioni descritte.
Alla fine qualcuno riuscirà a fermarsi prima di cadere o precipiteranno tutti nel baratro?
Questo lo scoprirete voi leggendo il libro, in un finale che, a mio avviso, può avere più chiavi di lettura a seconda dei punti di vista del lettore.
Il passato è una terra straniera….ma non così tanto perché, prima o poi, te lo ritrovi davanti.
Buona lettura e complimenti a Carofiglio che è stata sicuramente una piacevole scoperta.

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    27 Novembre, 2013
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L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI

Nel mondo siamo quasi sette miliardi di persone e ognuno di noi ha la possibilità di conoscere solo un’esigua parte delle teste e le anime che lo popolano. Perciò trovo alquanto singolare e curioso di come un libro possa permetterci di avere il ricordo di qualcuno che non abbiamo mai incontrato, di cui non abbiamo mai udito la voce, visto gli occhi e di farcelo sentire vicino come un amico.
“Il muro invisibile” è uno di quei libri che racchiude in se questa straordinaria capacità.
Harry Bernstein all’età di 92 anni decide di lasciare ai suoi posteri il più originale dei testamenti, la più preziosa delle eredità: la sua memoria.

Me lo sono immaginato seduto su una sedia a dondolo, avvolto in una coperta con gli occhi chiusi e la testa pigramente adagiata sullo schienale, mentre la sua mente senile rievoca il ricordo di un bambino. Un bambino che corre per la strada dove abita, che rannicchiato nel suo letto ascolta i rumori che la animano: gli zoccoli degli operai che calpestano il sentiero che li conduce alle fabbriche dove lavorano, le risate dei bambini che giocano, l’arrivo dei venditori ambulanti.
Una memoria dalla quale Harry fa riaffiorare la sua vita: lui il più piccolo di cinque fratelli, una madre tuttofare col sogno di andare in America perché pensa che là vivranno meglio e un padre alcolizzato che come tale mai si comporterà. E insieme alla sua riaffioreranno le vite di molte altre famiglie sue conoscenti.
I ricordi, custoditi nel cassetto di un passato lontano, vengono regalati al lettore che si troverà a percorrere, nell’atmosfera uggiosa e grigia di un quartiere operaio del Lancashire, una strada in apparenza come tante, due fila di case sui lati opposti. Mattoni e quotidianità distanti pochi metri gli uni dagli altri ma separati da un abisso di usi, credenze e abitudini differenti. Da un lato i cristiani dall’altro gli ebrei. Ed è attraverso i ricordi di Harry che il lettore percepirà quel muro invisibile che nessuno può vedere ma che fu in grado di cambiare il corso della vita della sua famiglia e di molte altre.
Un romanzo malinconico che attinge nel pozzo della storia un tempo remoto e perduto, dove la miseria delle condizioni di vita, la disperazione di una guerra, le convinzioni radicate di due religioni diverse ma anche il coraggio e l’amore di due ragazzi, l’uno cristiano l’altra ebrea, che dimostreranno che se si vuole e si crede anche il più alto muro invisibile può essere abbattuto, saranno l’ossatura del racconto.

Harry Bernstein narra con mano ferma una storia toccante, vera e genuina, permettendoci di conoscere lui, la sua famiglia e uno spaccato di vita e società perse negli albori del secolo scorso. Una solida trama che poggia saldamente sulle palafitte dei ricordi, circondata dalle acque di un vissuto carico di pregiudizi, di ataviche convinzioni, di ingiustizie ma anche di tanta speranza di voglia di cambiare e andare avanti.

Quella strada oggi non esiste più, rasa al suolo per costruire un quartiere popolare così come le fabbriche ebree distrutte durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, eppure io quella strada l’ho vista, ci sono stata con Harry, ho sentito la pioggia pizzicarmi il viso, mi sono seduta alla loro tavola, sono scivolata sui lastricati ghiacciati, corsa sugli scalini del diavolo, mi sono rattristata e sono stata contenta con loro e questo perché Bernstein ha avuto il coraggio di donarmi i suoi ricordi. Spesso le cose importanti, quelle essenziali che possono segnare il percorso della vita non si vedono con gli occhi ma si percepiscono sulla pelle e nel cuore, come il bene e il male che nella vita di ognuno passano accanto senza essere visti ma solo “sentiti”.

Buona lettura

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    30 Settembre, 2013
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Pensavo fosse amore, invece era vendetta...

Con un suono di corno
il vento arrivò, scosse l'erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo:
e fu certo l'elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba di ansimanti
alberi, siepi alla deriva
e case in fuga nei fiumi
è ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!

Eugenio Montale, traduzione di La Tempesta di Emily Dickinson

Ho trovato questa poesia per caso su un articolo mentre leggevo questo romanzo e subito mi è sembrata la trasposizione allegorica oltre oceano di Heathcliff, personaggio fulcro di questa storia attorno al quale ruotano tutte le vicende. Mi è sembrata una perfetta introduzione a ques’opera, poiché tanto bene si adatta nelle parole e nel significato al tema costante del racconto e dà un primo incipit sulla forgiatura del protagonista che incontreremo.
La narrazione inizia “in medias res” (nel mezzo dei fatti) e si snoda in una lunga analessi affidata alla memoria delle due voci narranti: il Sig. Lockwood e la governante Nelly.
Heathcliff varcherà le soglie di Cime Tempestose, nome della dimora del suo benefattore arroccata su di una collina, nella selvaggia e aspra bruchiera dello Yorkshire spazzata da forti venti, con lo stesso impeto e violenza descritti nella poesia, portando tormento e distruzione nelle vite dei suoi abitanti, i quali soccomberanno inesorabilemte sotto il peso della sua lucida follia vendicativa senza potervisi opporre. Heathcliff e Cathy si amano con la stessa intensità con cui si odiano, due anime simili per natura e diverse per estrazione sociale che daranno vita ad una passione distruttiva.
Non gli eventi o il destino avverso, ma l’egoismo e i capricci di Cathy, la rabbia e l’orgoglio di Heathcliff porteranno alla loro separazione.
Egli se ne andrà, ma al suo ritorno avrà maturato in sé una vendetta solenne: un turbine di bieche emozini esploderà, trafiggendo con schegge d’ira e astio le vite dei membri di due famiglie gli Earnshaw e i Linton e riverserà la sua ossesione malata sulle esistenze di due generazioni. La vendetta si placherà solo quando il battito della fonte di tanto rancore avrà trovato la sua quiete.

Lo stile di Emily è elegante e maestoso, senza nessun cedimento strutturale. Con abile mano scolpisce la psiche e le caratteristiche dei suoi personaggi plasmando sculture granitiche. Granitiche perché algide nei sentimenti, granitiche perchè immutevoli; lungo tutto il racconto saranno mossi dai loro sentimenti malsani, non un mutamento o una parvenza a diventar nobili d’animo. La Bronte scaglia a terra il cristallo dell’amore e dal prisma di colori che ne esce decide di attingere solo le tonalità più cupe e buie, tessendo un’intricata storia senza possibilità di redenzione per alcuno.
Ed è qui che a parer mio sta l’immortalità di quest’opera, nello stile innovativo e nell’audacia dei contenuti, che se si pensa al contesto storico nella quale è stata scritta, la rendono unica nel suo genere. Una sorta di congiunzione tra analisi psicologica e critica sociale che va a creare un precedente solitario destinato a durare nel tempo, un urlo che si inalza come assolo nel coro della narrativa romantica vittoriana.

Eppure, nonostante riconosca la bravura nella penna della scrittrice, ho trovato questa lettura claustrofobica, con questa cattiveria che permanea per tutta la storia, come un morbo letale che soffoca. Una spietata vendetta blandamente vestita coi toni pastello dell’amore. Perché se di amore si vuol parlare, allora bisogna parlare di un amore malato, non di quello che allieta e nutre l’anima e il corpo ma di quello che sfibra e corrode come un male che dall’interno cresce e dilania tutto ciò che incntra. Perfino le poche frasi veramente profonde ho trovato stonassero come due zollette di zucchero in un infuso di cicuta. Se tanto devi uccidermi che me le metti a fare?
Questo senso di disfatta e minaccia incombente che trapela da ogni gesto e da ogni parola dei personaggi mi ha fatto accostare Cime tempestose, più che ad un romanzo, ad una tragedia greca.
Abbiate pazienza, concedetemelo, ma io l’aggettivo romantica a questa storia “d’amore” proprio non riesco ad attribuirglielo.
Heathcliff e Cathy sono detestabili all’inverosimile e neppure la buona volontà di volerci trovare un barlume di compassione, mi ha evitao l’impulso di volerli soffocare dopo pochi capitoli.
L’ho trovato un romanzo splendidamente scritto ma dai toni troppo foschi e in fin dei conti i due protagonisti hanno scelto da loro il proprio destino!

Così al termine della lettura, partendo dal presupposto che mai in vita mia vorrei vivere una storia come questa, mi è sorta spontanea la domanda, rivolta soprattutto a che ritiene invece che sia una delle storie più romantiche e appassionate mai scritte: dovvero sareste disposti a vivere nell’infelicità e nella frustazione, vorreste un amore tumultuoso come quello di Heathcliff e Cathy, nella speranza forse un giorno di saltellare felici tra le nuvole del paradiso mano nella mano con il vostro/a amato/a?

Cime Tempestose rimane comunque un classico e come tale penso debba essere letto per arricchire con un tassello in più quel grande mosaico che è la cultura letteraria di ognuno.
In fin dei conti che un libro lo si apprezzi in maniera assoluta, solo in parte, o che lasci totalmente indifferenti, non priverà mai nessun lettore di qualcosa ma sicuramente donerà qualcosa in più.

Buona lettura

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    02 Settembre, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

SENZA SANGUE

In un luogo imprecisato, forse della Spagna.
Una fattoria
Un padre, reduce da una guerra, e i suoi due bambini.
Una strada polverosa e una Mercedes con a bordo quattro uomini venuti per uccidere, per concludere una guerra già finita, per alimentare un odio che non finirà mai.
La porta si spalanca e dal freddo nascondiglio, al riparo, sotto una botola, una bambina assiste alla trucida esecuzione di suo padre e del suo fratellino.
Un ragazzo, forse troppo giovane ed inesperto per capire, vede la botola, vede la bambina rannicchiata in maniera perfettamente simmetrica, vede il suo sguardo e i suoi occhi. Richiude la botola e se ne va nel silenzio più assordante.
In un luogo imprecisato, forse della Spagna.
Un Caffe.
Gli occhi di una bambina incorniciati da fili argentei, un ragazzo non più giovane che vende biglietti della lotteria.
La vittima e il suo carnefice, la vittima e il suo salvatore.

"...E' difficile vedere due vecchi a un tavolo e intuire che in quel momento sarebbero capaci di tutto. Perché lei era un fantasma, e lui un uomo la cui vita si era conclusa tanto tempo prima."

Due vite che si intrecciano nuovamente, che si raccontano dolorosamente, divise in uno stesso destino, unite in un diverso tormento. Strette in un ultimo, lento tango, che li farà danzare di nuovo in un inferno, divenuto ormai clemente e forse senza sangue.

La penna di Baricco scivola via ancora una volta, come scivolano via le vite dei suoi protagonisti che, da personaggi secondari nella prima parte del libro, diventeranno lo scheletro della trama e l'anima del racconto in tutta la seconda, fino al singolare finale.
Una scrittura nitida e pulita, senza sbavature, figurativa ed impregnata di emozioni.
Baricco carica la penna di odio e rabbia e poi, diluisce il suo inchiostro nella ricerca della comprensione, nella pozza di un dolore che vuole essere placato, e pone sommessamente tra le righe i suoi interrogativi.
Si può vivere sotto la responsabilità di distruggere una vita o di salvarla? Può essere la violenza giustificata da atti compiuti "in buona fede" seguendo un'ideale? La sofferenza può essere una costante nel proprio cammino, perché si vuole sempre tornare a dove tutto è incominciato?

Senza Sangue è una lettura scorrevole e veloce, non impegnativa e senza nessuna pretesa.
Va semplicemente gustata come si fa con un buon caffè, con un lento unico sorso, assaporandone tutto l'aroma e l'intensità.

Buona lettura

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    26 Luglio, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

Sono via con Jethro....e un pezzetto di cioccolato

Sedetevi nel posto dove preferite leggere, dove sentite forti le emozioni e la mente è libera.
Ora prendete un pezzetto del vostro cioccolato preferito, fatelo schioccare sulla lingua e chiudete gli occhi....
Sentite il tocco freddo e ruvido di quel quadratino sul palato e poi, lentamente, lasciatevi coccolare dal placido fondersi del cioccolato, assaporate quel liquido dolciastro che scivola lungo la gola e che si insinua nella mente e lasciate che una sensazione di calore e piacere vi pervada la bocca e si propaghi per tutto il corpo dandovi una sensazione inebriante e di soddisfazione. E poi, godetevi il retrogusto che vi lascia, con tutte le sue sensazioni.
Ora siete pronti per leggere questo piccolo romanzo, questa piacevole scoperta che non va solo letta, va assaporata.
E tenetevi pronti fin da subito perché Tassini non usa preamboli, non ci sono introduzioni, l'autore non vi guida per mano lentamente nella storia, vi ci butta direttamente.
Sarete nella storia fin dalla prima riga, all'inizio sarete spiazzati ma vi abituerete presto, perché sarete voi ad addentrarvi piano ma inesorabilmente, trascinati da un ricordo passato e una curiosità crescente.

La storia di un padre che sente di non avere più tempo per ritrovare il figlio perduto, che capisce di avere solo quegli attimi prima della fine, prima che cali il sipario e tutto vada perduto, per prendere dal tempo passato qualcosa che possa dare un senso al tempo presente e possa dare una svolta al tempo futuro.
La storia di un uomo che fa un incontro tanto eccezionale quanto casuale, se è vero che esiste un caso, con un personaggio, Jethro, tanto magnetico quanto enigmatico. Un uomo che scopre sulla sua pelle di aver ricevuto dalla vita un dono speciale, una sensibilità particolarmente spiccata che lo rende osservatore e ricettacolo d'eccezione di persone, situazioni e sentimenti. Sì perché persone così esistono realmente, persone che percepiscono prima di altri e che vivono i dolori e le gioie in maniera viscerale ed amplificata, che leggono l'anima, ai quali un'emozione troppo forte può provocare un capogiro.
Riuscirà questo padre a trovare una congiunzione, a cancellare un tempo, forse infinito o forse inesistente, per riportare a sé chi in realtà ed inconsapevolmente non si è mai allontanato?
Riuscirà ad aggiungere qualche tassello al mosaico di interrogativi al quale inesorabilmente la vita mette davanti?

Questa può sembrare la solita storia già sentita, banale e strappalacrime, ma non è così. Non è questo il fine ultimo del romanzo.
Tassini ha una scrittura veloce e scorrevole, mescola magistralmente narrativa e pensiero con uno stile armonico e naturale tanto da non essere mai noioso, così che i pensieri del protagonista sono anche i pensieri del lettore; le sue elucubrazioni, i suoi dubbi e le sue prese di coscienza sono anche le nostre. La penna dell'autore ha in più una spiccata abilità evocativa. Con descrizioni asciutte e rapide vi farà trovare esattamente dove vuole lui, al fianco del protagonista e "vedrete" nitidamente ogni scena e particolare, sentirete i profumi, vi troverete con gli occhi alzati a porvi delle domande, a ripensare ad un qualcosa di accaduto, al volto di un amico, alla sua espressione a cosa voleva dirci.
Perfino i protagonisti, anche quelli secondari, sembrano quasi delle bozze, degli schizzi impalpabili su di un foglio, ma ben delineati. Nessuna ridondanza descrittiva, a volte quasi evanescenti, sono delle leggere pennellate sapientemente inserite in un quadro più ampio, di cui però si palpa l'utilità all'interno del contesto.

Ciò che trasuda da tutta l'intelaiatura del romanzo è sicuramente il concetto del tempo, per secoli oggetto di disquisizioni filosofiche per carpirne la vera essenza.
Ma cos'è il tempo, esiste un tempo reale e ineluttabile o è semplicemente una percezione della mente? Il tempo che si diluisce per lenire i dolori, che si contrae in spasmodici istanti per enfatizzare le gioie.
Il tempo è come un elastico che a lungo può essere tirato, un filo impercettibile che lega eventi e destini. Ma un giorno avviene il colpo di frusta, con uno schiocco l'elastico si riavvolge e, distanti da una vita ci si ritrova uniti in un'istante.

Il finale per alcuni potrà sembrare frettoloso e inconcludente, io credo invece che abbia un significato ben preciso, quanto meno io ho voluto così interpretarlo: il tempo c'è sempre quando lo si vuole, e se a volte il tempo passato può donare delle risposte che servono al presente, ve ne sono altre che bisogna cercare da soli, ponendosi delle domande, per sapere cosa fare del tempo futuro. In fin dei conti "un'osservatore sensibile" trova le soluzioni ai propri quesiti molto prima di chi usa gli occhi della superficialità.

Da leggere sicuramente per la piacevolezza e gli spunti di riflessione che offre. E state pur certi che a fine lettura rimarrete incuriositi e anche dispiaciuti di non poter più essere nella storia, vi spiacerà non essere più con Jethro ma indubbiamente....sentirete ancora il gusto del cioccolato in bocca.

Dany

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A chiunque indistintamente, a chi cerca spunti di riflessione e a chi vuole una lettura piacevole e interessante
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Dany83 Opinione inserita da Dany83    05 Giugno, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

Magnetico e sfuggente

Norwegian Wood è stata una scoperta del tutto casuale, regalatomi in un giorno qualunque da un amico secondo il quale, se a me piaceva leggere, allora quel libro dovevo assolutamente leggerlo.
Così è iniziata la mia conoscenza di autore e protagonista.
Toru si trova su un areo ad Amburgo e, ascoltando le note di Norwegian Wood dei Beatles, la sua mente fa un tuffo nel passato facendo riaffiorare il nitido ricordo di un fatto accaduto diciassette anni prima. A così inizio un lungo flashback in cui si snoda la travagliata adolescenza del ragazzo, costellata di accadimenti dolorosi e una profonda solitudine che accompagneranno la crescita di Toru. La morte violenta e prematura del suo migliore amico, l'incontro con Naoko, ragazza di quest'ultimo del quale si innamorerà, ma la fragilità emotiva e psichica della giovane renderanno questo sentimento arduo ed estenuante. A fare da contrappeso a ciò egli troverà il suo sostegno in Midori, sua vivace compagna di corso, segnata anche lei da lutti famigliari, con la quale instaurerà un profondo e a volte contradditorio rapporto di amicizia e amore.
Camminando in equilibrio sul filo della vita, immerso in avvenimenti forse troppo grandi per lui, e avvolto in una ragnatela di sentimenti contrastanti, Toru si troverà spesso in bilico nel scegliere quale sia la cosa giusta da fare, verso gli altri e per se stesso e nel suo dolore di adolescente maturerà, suo malgrado, la consapevolezza che la morte non è l'antitesi della vita ma una sua parte intrinseca.
Con un mosaico di parole magistralmente incastrate, Murakami riesce a catturare l'attenzione del lettore, accompagnandolo per mano fino alla fine. Il suo stile narrativo è scorrevole e limpido, in punta di penna accende i riflettori su questioni intime e importanti e con un tocco quasi surreale riesce a dare una pennellata di colore ad una storia, che nel complesso si può definire grigia per i temi trattati, dando vita al buffo personaggio di Sturmtuppen, e con i suoi stravaganti aneddoti cerca di alleggerire argomenti altrimenti impegnativi come la morte, il suicidio e la solitudine. Ma questo scrittore va oltre, abbatte il tabù occidentale di inserire riferimenti esplicitamente sessuali nel racconto, "parlandone" apertamente come parte naturale e integrante del romanzo. La sua scrittura è così originale da evocare chiaramente nella mente del lettore ciò che descrive, che si tratti di un paesaggio, di un golfino o di un semplice fermaglio per capelli.
In un'intervista Murakami disse "Le frasi devono avere ritmo, l'ho imparato dalla musica, soprattutto il jazz", ed è su questo fondamento che tesse la sua trama narrativa, come la rete di un pescatore, così leggera all'apparenza ma solida e strutturata in verità, riesce a carpire una varietà multicolore di pensieri e sensazioni che sembrano discordanti, a volte reali a volte impalpabili, ma uniti sapientemente da un'unica armonica logica.
Finito di leggere il libro l'espressione che meglio indica quale fosse il mio stato d'animo è: frastornata.
Da un lato la piacevole sorpresa di una scrittura così creativa da ipnotizzarmi, dall'altro quella strana sensazione di essermi persa qualcosa, di non aver compreso fino in fondo un concetto che invece avrei dovuto intuire. Non so se per una lontananza cronologica di età trattata, o perché in realtà io non ho mai vissuto, né direttamente né indirettamente, le vicissitudini e le problematiche descritte, io non sono entrata in empatia con nessun personaggio, sono sempre stata una spettatrice esterna che osserva al d fuori della finestra senza però partecipare emotivamente a ciò che accade e nonostante ciò non sono riuscita a staccarmi da quella finestra attirata da un qualcosa che mi affascinava e spiazzava allo stesso tempo.
Questo è comunque un autore che da spiegare è difficile....va semplicemente letto, perché leggere Murakami è come guardare un quadro di Kandinski, ognuno ci trova qualcosa che lo attrae ma per motivi differenti: così come il fondersi di astratte geometrie in un tripudio di colori rapisce lo sguardo dell'osservatore, il fluire armonioso e leggero delle parole cattura il lettore...si rimane ammaliati da un qualcosa che non si capisce bene cos'è, però è bello, e come tutte le cose belle danno sempre una piacevole sensazione di serenità.
Pur avendo provato sentimenti discordanti verso questa lettura, la consiglio sicuramente perché Norwegian Wood è un libro......magnetico e sfuggente.....

Dany

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Dany83 Opinione inserita da Dany83    28 Mag, 2013
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La magia dell'alchimia

Ogni libro ha una sua anima...questo per me ne ha una sua in modo particolare.
L'Alchimista non è solo il titolo del libro...è l'essenza del libro. E' l'alchimia che si crea tra il lettore e il racconto, è l'alchimia che lega Santiago al suo viaggio, è l'alchimia che nasce dalle scoperte e rimane indelebile nell'anima è l'alchimia che ti lega alla vita.
L'Alchimista non è un libro di stile...è un libro di contenuto. Coelho non usa né frasi elaborate, né un lessico ricercato, il suo stile è semplice e lineare, quasi elementare. Con questo libro Coelho non vuole arrivare alla mente...vuole arrivare al cuore...e ci arriva subliminalmente raccontandoci...una favola.
Sì, perché questo libro è scritto e vissuto come se fosse una favola, non solo quella di Santiago, ma quella che tutti o quasi vorremmo vivere.
Una storia di sogni, di speranza e di coraggio....perché tutti vorremmo avere il coraggio di lasciare le nostre certezze, le nostre abitudini, le nostre oasi felici per andare in cerca della nostra Leggenda Personale.
E allora mettetevi in cammino con Santiago nel suo viaggio per trovare il suo tesoro e forse, qualcuno, troverà anche il suo. Inseguendo un sogno, lavorando da un mercante di cristalli e incontrando un re, in un susseguirsi di personaggi allegorici che serviranno nel bene e nel male alla crescita personale del protagonista, Santiago imparerà ad entrare in sintonia con l'Anima del mondo, a percepire i segnali che lo circondano, imparerà ad osservare e non solo a vedere, ad ascoltare invece che sentire e nella solitudine del deserto imparerà ad ascoltare nel silenzio la voce del proprio cuore, poiché esso conosce tutte le cose. E alla fine del suo viaggio sarà divenuto uomo e avrà imparato che ognuno può avere il suo tesoro accanto a se...se solo ascolta la voce del proprio cuore.
E' un libro che consiglio assolutamente di leggere, qualcuno lo apprezzerà di più in particolari momenti della vita, altri lo ameranno fin dalle prime righe....in ogni caso, il mio consiglio, anche a chi pensa che sia un libro banale, è di tenerlo con se...arriverà un momento in cui sentirete il bisogno di leggerlo.
Tra qualche anno forse non ricorderò più esattamente la storia o il nome del protagonista...ma ricorderò sempre la sensazione e le emozioni che mi ha dato leggerlo...questa è la differenza tra un bel libro è un libro straordinario.
E per concludere aggiungo una frase tratta dal libro che cerco di ripetermi sempre nei momenti no:
"E quando tutti i giorni diventano uguali, è perché non ci si accorge più delle cose belle che accadono nella vita ogniqualvolta il sole attraversa il cielo"

Buona lettura

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a tutti, a chi ama i libri introspettivi in particolare
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