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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    18 Mag, 2013
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Pimpì Oselì

Questa storia è ambientata agli inizi degli anni trenta tra Roma e un paesino montano, dell’Italia del nord, ai tempi in cui l’ideologia fascista incalzava, condizionando la vita privata di qualunque cittadino. Per questo, la storia si svolge in tempi in cui a scuola si insegnava/obbligava i bambini ad alzarsi, quando in aula entrava un adulto, salutandolo rispettosamente e doverosamente con il saluto fascista.
I tempi in cui, i bambini erano costretti prima di tutto ad aiutare i Padri/padroni nei campi, col bestiame e solo dopo veniva la scuola.
I tempi in cui, il tasso di mortalità infantile era davvero elevato, perché i genitori sia per ignoranza, sia per motivi economici non erano in grado di curarli.
I tempi in cui, se un bambino non era bravo a scuola per punizione gli veniva attaccato dietro le spalle un cartello recante la scritta: “asino”. I tempi in cui i più bravi sedevano in prima fila i meno bravi dietro.
I tempi in cui, in ogni dove, le violenze mentali e fisiche su queste creature erano all’ordine del giorno.
I tempi in cui, non era importante che le bambine studiassero, tanto, scopo della loro vita era crescere forti come mule, per aiutare il marito nei campi.
In questi tempi bui, nasce e vive Cecilia, una bambina come tante, la cui sensibilità, viene violentemente repressa dalla madre che su di lei sfoga i proprio risentimenti, dovuti alla esistenza dura che a sua volta è costretta a vivere. Così come la sua curiosità innata -tipica di ogni bambino che vorrebbe capire tutto ciò che lo circonda- viene invece distrutta, manipolata dall'ignoranza degli adulti, dalla Chiesa e dalle istituzioni scolastiche, che sottovalutano l’intelligenza e la capacità stessa di comprensione, insita nei più piccoli.

Inevitabile il raffronto con un altro libro della stessa autrice Dalle parte delle bambine, un saggio che ripropone e analizza gli stessi argomenti.
Solo che in questo libro, la forma romanzata colpisce direttamente al cuore, perché è un libro duro, privo di qualsiasi poeticità che possa anche solo per un attimo darti la possibilità di riprenderti.
E alla fine anche io come Cecilia mi sono posta la domanda: se è vero (come insegna la Chiesa), che ogni bambino ha un proprio angelo custode, allora dov'è questo angelo, quando il suo protetto viene picchiato, o subisce, o lavora quando invece dovrebbe giocare, o muore quando invece come tutti i bambini dovrebbe avere tutta una vita davanti a se, ancora da vivere?

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    15 Mag, 2013
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“il legame tra gli uomini sarà sempre più sacro di

"Per alcuni scrittori la collera è lo stesso loro sguardo che si posa sul mondo o lo ritrae. I grandi scrittori satirici vedono, raffigurano e aggrediscono la realtà con gli occhi della collera, che la stravolgono, ma ne afferrano, grazie a questa deformazione, una verità abnorme "

(Claudio Magris)

Jacobson Howard di professione è un “vignettista”, che attraverso le sue caricature fa emergere le verità più segrete e torbide degli esseri umani al di là della loro serena apparenza.
Attraverso questo libro egli trasforma i suoi disegni, in parole divenendo scrittore satirico. Cambia il ruolo ma non lo scopo: quello di far emergere la verità, nuda e cruda; quello di far prendere coscienza al lettore di come quella verità sia stata nel tempo stravolta, negata, sminuita, violentata, falsificando la realtà dei fatti.
Quella stessa verità è un dovere conoscerla, afferma lo scrittore, perché la storia degli ebrei è anche la nostra storia in quanto:“durante i bombardamenti, mentre i cristiani incidevano crocefissi sui mattoni in quello stesso rifugio antiaereo i loro vicini ebrei incidevano delle stelle di Davide”.
Howard decide come tanti altri scrittori di raccontare quella realtà, ma lo fa a suo modo attraverso l’ironia e un sottile spietato cinismo. Tutto questo è possibile anche grazie alla distanza storica, che permette di guardare senza timori a quel passato che invece le generazioni precedenti avevano paura di vedere, quella "generazione di mezzo", alla quale appartengono anche i suoi genitori :
Troppo vecchi per avere voglia di conoscere i dettagli più cruenti, e non abbastanza per sapere che era loro dovere conoscerli.[…] per loro occuparsi, con troppa attenzione di quegli avvenimenti significava essere scaraventati indietro nel tempo, in un mondo al quale era fondamentale credere di essersi sottratti; significava fare i conti con ansie sopite, che nel loro piano per la sopravvivenza andavano a mettere a tacere per sempre”

Per questo :
“siamo un popolo smodato, esageratamente enfatico, e con una esasperata propensione all’eccesso. E allora? Sapete come lo chiamo io questo? Attribuire a se stessi il giusto valore. Voi ci punzecchiate e noi sanguiniamo a profusione. Voi ci appiccate il fuoco e noi bruciamo ben bene per voi. Almeno, però, non fate finta che siamo andati a inventarci le fiamme che ci consumano”

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    15 Mag, 2013
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La libreria del "buon romanzo"

Terminato il romanzo, subito mi sono posta una domanda:
Ma questo libro dove andrebbe inserito, tra i libri di qualità, o tra le novità editoriali che andrebbero snobbate, finché non sarà il tempo a decretarne il successo?Ma perché i classici sono tali solo per il successo e le vendite che hanno ottenuto nel tempo?
La scrittrice furbescamente ha voluto provocare, ben consapevole delle polemiche che sarebbero sorte intorno alla oramai storica diatriba tra qualità e quantità. Fa leva sul lettore che sogna l’esistenza di una libreria come quella vagheggiata nel romanzo(personalmente come lettrice sogno piuttosto, una maggior preparazione e disponibilità degli addetti ai lavori), scordandosi completamente della trama in se che rimane, a mio parere molto debole soprattutto come giallo. Alla fine anche se interessante e scorrevole,Cossé non fa altro che ribadire concetti intorno alla letteratura anch'essi oramai assurti alla "classicità", perché da tempo sono stati trattati, sciorinati e sviscerati.
A questo punto preferisco leggere un bel saggio di critica letteraria: Manguel presto faremo conoscenza noi due!!!

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    15 Mag, 2013
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Spooner

In realtà protagonista di questo romanzo, non è Spooner, egli fa parte di un ingranaggio molto più complesso e ampio che si chiama: società. L’unica differenza è che Spooner già dalle prime ore di vita ha dimostrato di essere, apparentemente un elemento mal funzionante di questo ingranaggio.
Appena venuto al mondo “nuovo di zecca” di fronte alla complessità dell'esistenza, non ha fatto altro che prendere “fischi per fiaschi”. Da questo momento ne combina una dietro l’altra: adora mettere lo smalto al suo barboncino, o fare i suoi bisogni dentro le scarpe del vicino, sedere dentro un formicaio. A quattro anni viene cacciato da scuola perché “sessualmente inadatto”. Da questi primi episodi infantili, ne seguiranno altri, sempre più strambi che costelleranno la sua vita. E le sue stranezze sembrano ancora più grandi, immense, se confrontate con le azioni dei suoi fratelli tutti piccoli geni, in grado a soli 3 anni di leggere il latino o fare di conto come matematici incalliti.
Intorno a Spooner ruotano così tanti personaggi che recitano la parte loro assegnata dalla vita: quella dell’uomo che “sa stare in società”(in questo caso quella americana degli anni ’50).
Eppure, alla fine non puoi fare a meno di domandarti dove risieda realmente la normalità. Se esista la normalità. Ti rendi conto che un labile confine in realtà separa Spooner da tutti coloro che entrano a far parte della sua vita. E forse quando chiudi l’ultima pagina di questo romanzo, ti ritrovi inaspettatamente a tifare per lui e non per i suoi fratelli, piccoli geni a loro volta incompresi e cresciuti nella solitudine. Ritrovo più normalità in Spooner (che intendiamoci, non è “malato di mente, né speciale”), che nei vicini di casa razzisti fino al midollo. Per non parlare di tutti i personaggi corrotti che pur di avere successo, pur di mantenere uno stile di vita adeguato ai loro sogni: ingannano, nascondono, rubano, distruggendo a loro volta, i sogni di chi veramente si merita un posto migliore in quella "società della a/normalità".

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    07 Mag, 2013
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Magazzino vita.

Ho sempre subito il fascino delle antiche case, di quelle, dove una famiglia ci vive per generazioni. Poi per vicissitudini secolari, spesso sono abbandonate, vendute o trasformate dagli ultimi ereditieri, in musei.
Il fascino di queste antiche dimore è tutto racchiuso nelle sue mura, dove ogni angolo, ogni macchia, ogni stipite, trasuda la storia e la vita delle persone che ci hanno vissuto. Ogni stanza custodisce segreti e misteri.

"Con il suo carico di pezze d’appoggio semisepolte e semi-digerite nel gran ventre di valigie e armadi, ripostigli e soffitte, cassettoni, bauli e cassapanche, sembra che la casa abbia nel suo cervello di pietra e cemento infinitamente più memoria di tutti gli abitanti messi insieme."

In questo libro la voce narrante è quella di una donna, l’ultima di una lunga generazione. Ed è lei che come una guida ci conduce in questa inusuale visita; senza tralasciare nulla, ci narra di ogni angolo della grande casa di famiglia. Una casa immensa che come un organismo vivo, nel corso dei secoli è mutata secondo le moderne necessità. Una volta questa casa era inondata di gioia e di persone. Ogni camera era occupata,anche alcuni personaggi illustri sono stati ospiti in queste stanze lussuose. Ma, con il tempo, e con lo sfiorire di molti destini dei vari zii un poco pazzi, di zie che decidono per l’amore negato la vita di clausura, molte delle camere nel tempo furono chiuse. Eppure il pavimento rovinato testimonia dei grandi balli, delle feste di gala che una volta si tenevano in queste immense sale; le lettere nascoste tra i libri narrano di amori proibiti; i mobili per anni e anni sempre allo stesso posto, ci parlano della severa educazione; le tante vecchie foto che mostrano le persone rilassate o abbracciate ai loro figli sono chiuse dentro cassettoni, a indicare che non era permesso agli aristocratici, mostrare in pubblico ( e forse nemmeno in privato) i veri sentimenti.
Il trascorrere impetuoso del tempo porta alla rovina tutto ciò che trascina con se. Così le cassapanche che custodivano i bellissimi vestiti degli avi, ora non sono altro che bare piene di tarme. Le macchie si sono trasformate in muffa, e la polvere si è depositata su tutto, anche sulla memoria .

“Finirà tutto così, il vivo e il morto travolti insieme, i libri la biancheria, i mobili e i ricordi, le padelle e i quadri, le patate e le mele, gli antichi giorni buoni forse soltanto immaginati, e quelli nuovi meno buoni, ma realmente vissuti”

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    07 Mag, 2013
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Scrittura cuneiforme

Non saprei da dove cominciare per commentare la meravigliosa e affascinate storia narrata in queste pagine. Mi rendo conto quanto sia difficile per me, cercare di spiegare in poche righe , un mondo e una storia lontane da me, eppure vicine nell'amore e ne dolore trasmesso, che mi colpisce in quanto figlia. Infatti Il rapporto tra un padre un figlio è un legame così unico, così particolare che tutto il resto ne è escluso ,e anche il dolore, i sacrifici che ne provengono sono intensi e difficili da capire pienamente.
Attraverso una scrittura semplice, pacata ma poetica, Kader Abdolah ci fa immergere proprio in questa storia tra un padre, riparatore di tappeti e un figlio rivoluzionario dell’Iran, nel suo passaggio di poteri tra lo scià di Persia e il “regime religioso” di Khomeini. Tutto intorno a loro è immerso nella tradizione, nelle credenze popolari e religiose, nelle superstizioni, nella cultura affascinante che converge nelle donne che annodando tappeti, ricamandoci i loro sogni di libertà; nella grotta che riporta un’antica scrittura cuneiforme che nessun studioso nel corso dei secoli è riuscito e decifrare.;o all'interno di un pozzo dove si crede, sia rifugiato da secoli l’ultimo discendente di Maometto. In mezzo loro, AKbar e il figlio Ismail, nato per aiutare il padre sordomuto. Il loro legame è così forte che si comprendono anche solo con gli sguardi o con il corpo, tra loro non c’è bisogno di parole, basta ammirare le stelle insieme per sentirsi legati ad unico universo. Solo Ismail riesce ad entrare nel mondo ovattato di suo padre. Naturale dunque che nel momento in cui un legame del genere è spezzato –come il filo di lana che serve per riparare un tappeto- si crei il vuoto , una mancanza.
Così che quel padre che per tutta la sua lunga esistenza si è chiuso nel proprio silenzio, lasciando che la vita scorresse placida intorno a lui, ora agisce e ora parla ,anzi griderà disperato un nome. Il suo sacrificio non rimarrà vano, ma anzi segnerà un inizio pieno di speranza per i suoi figli simbolo delle generazioni future.
La perdita è un’esperienza che porta ad una strada nuova. Una nuova occasione per pensare in modo diverso. Perdere non è la fine di tutto, ma la fine di un certo modo di pensare. Chi cade in un punto, in un altro si rialza. Questa è la legge della vita

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    07 Mag, 2013
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Messaggero d'amore

Un diario può contenere più ricordi dentro le sue pagine bianche piuttosto che in quelle scritte con tanto ardore.
Nelle pagine bianche si possono mantenere i segreti di un passato ancora non risolto,che contiene in se quegli eventi che cambiano la vita di una persona per sempre.
Ed è quello che succede a Leo, uomo di sessant'anni, che nella sua solitudine priva di amore, un giorno si imbatte in una scatola polverosa di ricordi, contenente un diario e una lettera ancora chiusa. L’intero contenuto risale al lontano 1900, quando Leo ragazzino di 13 anni, trascorre due settimane in vacanza presso la villa della famiglia benestante, del suo amico e compagno di classe. Pochi giorni a segnare il passaggio di Leo all'età adulta.
L’età in cui sei costretto a confrontarti con le persone reali, non plasmabili mentalmente come quelle immaginarie che ci tengono compagnia nella nostra infanzia. Così, Leo senza rendersene conto, comincia ad abbandonare il mondo magico che gli offre la sicurezza di un rifugio e si ritrova costretto a rapportarsi con la sua semplicità infantile, alla complessità di un mondo adulto e contraddittorio. E come per ognuno di noi, anche questo ragazzino crescerà nel momento in cui, comprenderà a proprie spese cosa significa soffrire, cosa significa tradimento, cosa significa dolore.

“ Si cresce quando le emozioni sono messe a dura prova e regolate, non meno dall'esperienza”

L’epilogo drammatico di questa breve vacanza, porterà questo ragazzino a convivere per tutta la vita con i sensi di colpa, fino a quando adulto non deciderà di eliminare i lucchetti dalla sua memoria che tengono chiusa la “scatola del tempo”. Aprire quel diario dopo tanti anni e leggere tra le pagine bianche, significa per lui affrontare quel passato doloroso unico modo per comprendere anche il suo presente. Aprire quella lettera rimasta chiusa, ormai sbiadita, come la sua memoria che, per anni e anni ha voluto dimenticare, è un atto di coraggio dettato dalla volontà di capire dove alberga la verità dei fatti.

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    06 Mag, 2013
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Mr Sammler e il suo pianeta.

Oh, Mr Sammler mi rivolgo direttamente a lei, perché altrimenti non so come uscirne….!!!
Lo so, lo so, immagino già cosa penserà di me: “Questa ragazza è pazza”!
Forse si, Mr Sammler, ma che posso fare?

In fondo lei stesso faceva notare che in questa società o si è pazzi oppure, se si è in grado di elevarci al di sopra della pazzia, si può diventare Santi.
E poi di che si stupisce? Lei oramai sarà abituato a convivere con i pazzi. Tanti dei personaggi che ruotano intorno alla sua vita - come piccolissimi pianeti, gravitano e vorticano,compiono le rivoluzioni intorno al suo pianeta, punto di stabilità e sicurezza- dicevo dunque, tutti questi screanzati in fondo cosa sono Santi o pazzi?
Secondo il suo modo di pensare, sono folli, perché attraverso la spettacolarizzazione l’esibizionismo della loro esistenza si illudono di poter emergere, affrancarsi definitivamente dalla società di massa, senza rendersi conto che, paradossalmente, producono l’effetto contrario divenendo essi stessi volantini di propaganda del sistema democratico e di omologazione dell’anima.

"Così , la pazzia, invece di essere un tentativo libertà compiuto dagli uomini che si sentono soverchiati da forze gigantesche", si trasforma in un legame con quelle stesse forze.
Mi rendo conto, che in fondo in fondo lei, Mr Sammler è arrabbiato anche con se stesso. Consapevole del processo di democratizzazione in atto,di massificazione che coinvolge l’intera società, anche lei ha sentito l’esigenza di adeguarsi. Come intellettuale non poteva di certo starsene ancora li, seduto a contemplare(non c’è tempo per la contemplazione, la riflessione nella società di massa tutto continua a cambiare, evolvere incessantemente), e dunque si è lasciato un po’ trasportare dall’onda emotiva e, volente o nolente si è ritrovato, parte di una “dimostrazione dell’insignificanza”, lottando così ancora una volta tra le sue intuizioni superiori e il “continuo risucchio fangoso” che pesta (con le sue scarpe vecchie e logore, come il suo animo oramai stanco)quotidianamente.

Ma l’ammiro Mr Sammler perché nonostante tutto non vuole “gettare la spugna”. Di fronte alla povertà dell’animo umano, nutre ancora la speranza, perché arrendersi è per lei una soluzione codarda e volgare.

E la prego non mi guardi così, con quello sguardo torvo ….!

Oh, mi scusi non volevo offenderla, dimenticavo che in realtà lei ha perso un occhio durante la seconda guerra mondiale. Un nazista l’ha picchiato a sangue e il risultato è quell’occhio perso, che insieme ai ricordi, che ogni tanto si fanno spazio tra un pensiero e l’altro, è li a ricordarle un passato inglorioso, di ebreo fuggito per caso dalla morte. Ma da grande uomo e intellettuale quale lei è, ha saputo sfruttare la situazione così ora possiede una doppia vista: quella proveniente dall’occhio sano, che gli permette di vedere tutto ciò che esteriormente la circonda e, la “capacità di vedere"tramite l'occhio malato, al di là, dentro e oltre l’anima dell’uomo.

Mr Sammler a questo punto non mi rimane che salutarla, ma volevo prima ringraziarla e ringraziare anche il suo amico Bellow, perché tramite voi mi sono resa conto ancora una volta dei limiti di questa società,e nei quali, è inutile negarlo, io stessa in quanto “uomo massa” incappo spesso. Però mi rimane la consolazione che da ora in poi, ogni volta che vorrò almeno tentare di uscire fuori da uno dei tanti meccanismi di omologazione sociale, nella quale rimango inconsapevolmente invischiata, mi basterà alzare gli occhi al cielo, sperando che tra tante stelle e tanti pianeti, incontri di nuovo il suo, più luminoso e splendente che mai.

Arrivederci Mr Sammler……..

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    06 Mag, 2013
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Le furie

Ho sempre pensato che per uno scrittore il libro più difficile da affrontare sia quello dedicato alla propria vita, perché inevitabilmente si ritrova “costretto” a fare i conti con se stesso. Ne sono convinta ancor più dopo aver terminato questo libro di Janet Hobhouse. Un “memoriale” -così viene definito, nella breve e bellissima introduzione, da Philip Roth- attraverso il quale , la scrittrice ripercorre la sua vita, nel momento in cui di fronte all'inevitabile “punto di arrivo”, decide coraggiosamente di affrontare il suo passato.
Una vita fragile, la sua, condotta rimanendo sempre in un instabile equilibrio: composto da temporanee perdite e fragili ritrovamenti. Da cadute più o meno lunghe, più o meno rovinose, ma ritrovando sempre la forza di rialzarsi per continuare a camminare e a volte, correre disperatamente.
Una vita , la sua,vissuta attraverso continui travestimenti utilizzando abiti di sfilacciata felicità. Perché dietro ogni lacerazione della stoffa che ricopre il suo fragile corpo, si celano sempre rimpianti e rancori, incomprensioni e egoismo, inquietudine e inadeguatezza.
Una vita , la sua piena sì di amore, amore fatto di “abbracci abortiti” , di parole gridate e non sussurrate,di ricerche spasmodiche di qualcuno al quale aggrapparsi con le unghie fino a lacerare la carne, nel terrore della solitudine.
Una vita, al sua, condotta nella estenuante ricerca di colori, per ritrovarsi invece circondata sempre nella vitalità del vuoto oscuro; attraverso un tempo sterile che si srotola nel bianco e nero.
Donne
Uomini
Furie
Sola
Quattro capitoli a scandire la sua vita, quattro semplici momenti che racchiudono un’esistenza complessa e complicata, segnata da un passato che ritorna sempre corrotto e corruttibile fino a quando una persona non sia in grado di scrivere la parola” fine”.

"Ciò che mi rendeva più triste riguardo alla mia morte era che non avrei mai più potuto conoscere, amare o essere amata da nessun altro, mai più. Avevo sprecato tante occasioni e avevo alcuni rimpianti. Avevo ricevuto una buona mano di carte e ne avevo gettate via troppe. Ma avevo amato molto ed ero stata amata, e alla fine e cioè ora, era l’unica cosa che contava”

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    04 Mag, 2013
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Mitica Agnes............!

Ahimè purtroppo ( ma anche per fortuna),con questo libro termina la saga familiare che vede come protagonista la mitica, Agnes.

Ogni volta che mi accingevo ad intraprendere la lettura, di uno dei quattro libri di questa saga, partivo sempre prevenuta. Convinta che l’autore avesse trovato la strada del successo, assicurato dal primo libro, e dunque che ogni nuova uscita fosse determinata dalla ripetizione di luoghi ed eventi.
Invece puntualmente, mi sono dovuta ricredere. Ogni parte della storia è un bel romanzo a sé. Nelle vicissitudini che scandiscono la vita di Agnes, dei suoi figli e amici,ci si commuove, si ride, si soffre indistintamente in tutti i libri.
Che dire Agnes mi manca già, ma, preferisco convivere con la nostalgia per un personaggio che –secondo me- ha comunicato tutto quello che aveva da dire, piuttosto che vedere in uscita "Agnes Browne bambina" o chissà quale altro titolo.
Spero dunque che Brendan O’Carroll si cimenti in nuovi romanzi, narri nuove situazioni e nuovi personaggi. Se come scrittore vale, allora deve rischiare, deve trovare il coraggio per mettersi in discussione, solo così potrà dimostrarlo a se stesso e a noi lettori.

Ciao mitica Agnes!!!!!
O Addio?

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    04 Mag, 2013
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Alfabeti, (e la lista desideri aumenta!!!!!)

“Alfabeti” è un saggio di critica letteraria, composto da molteplici articoli scritti da Magris, ed estrapolati da quotidiani o libri, con i quali ha collaborato nel corso degli anni. Ogni articolo si trasforma così in una tessera di un puzzle che, assemblate insieme ricostruiscono una piccola e personale storia della letteratura. Una storia di certo particolare in quanto dentro vi ritroviamo anche ricordi, amicizie, emozioni e sensazioni.
Questo libro è il primo che leggo di Magris. So che questo scrittore fa compiere ai suoi lettori, lunghi e straordinari viaggi, per il mondo. Eppure questo saggio non è da meno.
Anche con “Alfabeti”, Magris ci “trasforma” in suoi compagni di viaggio e di avventura, facendoci attraversare tratti di storia o di paesi, città che poco conosciamo. E come in qualsiasi viaggio, ad ogni tappa compiuta ci presenta i suoi amici (Pahor,Moni Ovadia, Rezzori) oppure ci permette di approfondire la conoscenza di alcuni scrittori con i quali abbiamo già avuto l’onore di incontrarci precedentemente (uno fra tutti il grande Sàbato, di cui Magris fa emergere il suo lato più umano). Così leggere questo saggio si trasforma in un’avventura fatta di emozioni e riflessioni, tese a far emergere e comprendere, una nostra nuova identità , che al di là degli estenuanti confini creati e poi distrutti e di nuovo ricostruiti nel corso dei secoli ,ci pone oggi come“cittadini del mondo”. Perché in fondo:

"La nostra identità, è il nostro modo di vivere e incontrare il mondo: la nostra capacità di capirlo, di amarlo, di affrontarlo e cambiarlo"

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    04 Mag, 2013
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Il cielo è rosso

Un bombardamento, dura pochi minuti. Tanti ne bastano per togliere la vita a molti uomini.
Ma non solo
.
Pochi maledetti istanti bastano anche per distruggere l'esistenza di chi rimane in vita. In un attimo ti ritrovi immerso tra le rovine di ciò che eri e che non sarai mai più. La guerra ti costringe a regredire, verso uno stato barbaro e animalesco, in una condizione, dove i valori morali e sociali sono aboliti. Se vuoi sopravvivere devi elemosinare, devi vendere il tuo corpo, rubare. E avvolto solo dalla coperta della solitudine e indifferenza, sai che l’unica legge che rimane in vita è la “la legge del più forte” e sei non ti adegui……la morte verrà a presentare il suo conto.

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    04 Mag, 2013
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Sparire=desaparecer

Sparire, desaparecer.
Desaparesidos, non sono solo gli uomini e le donne che, negli anni 70, intrapresero la loro lotta contro il regime militare in Argentina, in nome di un mondo più giusto e che per questo furono torturati e poi inevitabilmente fatti sparire per sempre. Ma desaparecidos sono anche i bambini la cui “unica colpa” è di essere figli di questi uomini e di queste donne coraggiose, costrette a vivere nella consapevolezza che la recisione del cordone ombelicale, che al momento del parto separa un figlio dalla propria madre, sarà definitivo.
Luz(luce), la sua storia è come la storia di tanti di questi bambini, che da adulti sentono l’esigenza di ripercorrere il proprio passato, alla ricerca delle proprie origini. E allora scopre una nuova realtà, comprende che da una lotta finita ne inizia un’altra, quella lotta che porta ancora oggi non solo le mamme, ma anche le nonne a organizzarsi a riunirsi, nella ricerca quasi disperata dei loro nipoti. Una lotta pacifica la loro, dettata da un amore viscerale tesa a riunire le due parti recise di quel cordone ombelicale. Con quella forza e quella speranza, riescono così a costituire “una banca dati del sangue” che si trasforma in un punto di riferimento per i dispersi, riescono a far sentire la loro voce che si trasforma in un grido perché debba essere ascoltato in tutto il mondo. Perché la gente deve sapere, deve finalmente essere in grado di togliere la benda dai propri occhi.
Quella fascia che veniva usata codardamente, per chiudere gli occhi alle persone torturate, quella fascia che ancor più vilmente tanta gente per anni e anni ha tenuto stretta stretta sui propri occhi per non ammettere che certe atrocità esistono e non fanno parte solo dell’Argentina e della sua storia.
Ogni nazione ha alle spalle la propria storia, il proprio passato con le sue atrocità e i propri segreti . Ma la missione è unica:
Togliere le bende che offuscano la vista!!!!!

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    04 Mag, 2013
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Hai vinto!!!!

Mi convinco sempre di più, mano mano che procedo nella lettura di questo “romanzo” che Perec si sia divertito a scrivere questo libro, consapevole degli effetti nefasti al limite della pazzia, che avremmo subito noi, ignari lettori.
Perec si trasforma da abile scrittore a superbo intagliatore di tessere di un puzzle. Ogni tessera da lui creata ha lembi così strani che noi (a nostra volta trasformati da lettori in giocatori), non riusciamo ad accostare perfettamente a nessun’altra tessera tra le tante sparse per oltre 500 pagine.
E come non bastasse, ti rendi conto pian pianino, che ogni tessera a sua volta ha dei bordi che non sono ben definiti tendono a cambiare di volta in volta, così da contenere in se altre tessere ancora più piccole quasi invisibili ad occhio umano.
Perec vuole giocare e io gioco (sarà che per anni mi sono divertita con i puzzle), lentamente procedo nella lettura di tante storie a volte interessanti, altre volte pesanti, mi leggo quasi tutti gli elenchi, e mi diletto nella descrizione quanto mai minuziosa degli appartamenti, delle cantine , degli oggetti, quadri…!!! Descrizioni che si intersecano tra loro in un groviglio senza fine e senza apparente motivo. Ma uno scopo naturalmente c’è, e solo allora mi ritrovo io stessa dentro quell'ascensore del condominio, situato in rue Simone-Cribellier, numero 11. Quel benedetto ascensore infatti non funziona mai e ti ritrovi a salire e scendere a singhiozzi, altre volte invece si ferma tra un piano e l’altro, ritrovandomi sbattuta di fronte all'irrimediabile consapevolezza che la realtà nella sua complessità sfugge, e che l’esistenza non ha istruzioni per essere vissuta e dunque, è inutile da parte mia cercare di addentrami in una impresa impossibile.
Allora prendo atto che Perec ha vinto ma io per vendetta continuo,anche con questa nuova consapevolezza, proseguo imperterrita nel mio cammino….!!!

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    03 Mag, 2013
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I morti hanno diritto a soggiornare ovunque, in Eu

"Gli stranieri oramai privi di una patria avvertono l'antica tensione della loro esistenza solo quando attendono la posta del mattino. In quei momenti riprendono a sperare.[...] Sanno che la patria non è solo un'entità reperibile su una carta geografica, ma un intreccio di esperienze, come l'amore. Chi è uscito per una volta da questo intreccio di esperienze cercherà invano di tornare a chi o a che cosa amava: non trova più una patria, né un'amante, ma uno Stato, o una donna che nel frattempo si è ingrassato"

Sándor Márai ha scritto questo romanzo nel 1957 durante i pochi anni di permanenza a Posillipo, dove approdò dopo che nel 1948, decise come molti altri di abbandonare la sua patria, l’Ungheria, oramai sotto pieno controllo della dittatura bolscevica.
Questo libro quindi si trasforma in una sorta di “testamento spirituale”, che racchiude in sé le riflessioni e le motivazioni che spinsero lo scrittore a vivere il resto della sua vita, nella condizione di esule, fino al gesto stremo (qui già annunciato in modo inquietante), del suo suicidio vissuto come l’unico modo per trovare pace in una terra in grado di accoglierlo in maniera definitiva:

"I morti hanno diritto a soggiornare ovunque, in Europa. Un permesso di soggiorno illimitato[…] a tempo indeterminato."

Ritroviamo così un uomo in viaggio fuori e dentro di sé, un profugo che come tanti, nella sosta tra un paese e un altro è costretto di volta in volta a spogliarsi della patria, della cittadinanza, del proprio nome, fino a cancellare il proprio passato. A ogni sosta in una nuova città si vede costretto a strapparsi uno strato di pelle che lo porteranno alla perdita della propria stessa identità.
Senza più una patria, senza più la propria vita scandita dal tempo dei progetti, l’esistenza si riduce ad un viaggio continuo in cui il corpo privato del suo stesso essere si lascia trasportare dove capita , ma dentro nella valigia c’è sempre posto per la speranza; la speranza di trovare conforto in una seconda patria.

E Márai la ritrova a Napoli una città ancora a misura d’uomo. Qui tra la gente comune lo scrittore vive con la sensazione che ogni persona conosciuta sia ancora un uomo con la propria individualità. Per questo la prima parte del libro ruota intorno a questa umanità, fatta di gente che si arrabatta per vivere, ma non elemosina, piuttosto mercanteggia su tutto pure con i santi ai quali di volta in volta, si chiede una grazia.
Gente che vive nella miseria eppure continua a fare figli, perché la povertà si affronta meglio in compagnia.
Gente che a sua volta ha perso qualsiasi speranza e non gli rimane che aggrapparsi ad un miracolo. Eppure queste persone non vivranno mai l’amara esperienza di essere spodestate anche degli accenti che caratterizzano il proprio nome e cognome, tutti loro infatti, non solo hanno un nome proprio, ma spesso, anche un soprannome che li caratterizza, e li distingue dagli altri in maniera indissolubile. Ecco allora: Peppino il domatore, il barone, il dottor Moscati ….!!!
Ecco allora che anche lo scrittore attraverso i suoi libri,testimonianza tangibile del proprio vissuto, ha riconquistato i suoi accenti sul nome e sul cognome:
Sándor Márai.

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    03 Mag, 2013
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Mitico Gary

"Quando vado a sbattere contro qualcosa che non riesco a cambiare, che non riesco a risolvere, che non riesco a raddrizzare, lo elimino. Lo evacuo in un libro"


Una grande e paradossale metafora che, attraverso l’ironia e il cinismo compagni di giochi perversi, e "sigla" stessa che contraddistingue la scrittura di questo grande e geniale autore, ci pone di fronte ai disordini razziali che negli anni’60 segnano un tratto della storia americana, ma presto si espandono oltre il confine.
Così umanità e bestalità nel romanzo di Gary perdono i loro confini, e si mescolano nel gioco dei paradossi,uomini che sembrano bestie e bestie umanizzate. Bianchi che lottano in nome dei neri, addestrandoli a loro volta ad odiare i bianchi.

"La provocazione è la forma di legittima difesa che preferisco."

Ma di fronte a questo marasma, in cui non rimane altro che constatare che anche i bianchi sono schiavi quanto i neri; schiavi dei loro preconcetti, di pregiudizi religiosamente tramandati da padre in figlio, e legati mani e piedi “al grande cerimoniale delle idee preconcette”,giunge da parte di Gary l’ammissione finale, dell’impotenza di fronte all'ineluttabilità stessa degli eventi.

Così ciò che accomuna uomini bianchi e neri, non è certo il dolore che trasuda in queste pagine di storia, ma la bestialità che come una museruola stringe il cuore di molti di loro, indipendentemente dal colore della pelle. Quella stessa bestialità che permette di addestrare un cane grigio a diventare bianco e poi nero.

Ma nonostante tutto:

"sento che bisogna continuare a fidarsi degli uomini, perché preferisco esser deluso, tradito e preso in giro, ma continuare a credere in loro e fidarmi di loro. Preferisco permettere ad altre bestie astiose di abbeverarsi a mie spese, nel corso dei secoli, a questa sacra sorgente,piuttosto che vederla inaridita. E’ meno grave perdere che perdersi."

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lisetta. Opinione inserita da lisetta.    03 Mag, 2013
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Bella, ingombrante, voluttuosa Dona Flor

Amado ci narra questa favola, che pur iniziando con una morte, la morte di Vadinho marito di Dona Flor, è comunque un inno alla gioia di vivere. Nonostante il dolore di Dona Flor , le sue lacrime versate per quello screanzato di Vadinho, ogni pagina è intrisa di allegria e ilarità.
Bella, sensuale Dona Flor , succulenta e saporita come i piatti che cucina. Non si può non provare solidarietà con questa donna innamorata pazza di un debosciato come Vadinho: amante delle donne, del gioco e del vino, che ha vissuto tra imprese divertenti, raggiri sfacciati, pasticci e imbrogli. Una vita stressante quella condotta da quest’uomo, che lo portano alla morte a soli 31 anni.
Ma a onor del vero, Vadinho aveva anche un cuore gentile, amico di tutti e sempre pronto ad aiutare chi si trovava in difficoltà, per questo in tanti gli volevano bene. E in molti vogliono bene a Dona Flor, e non la lasciano mai sola. Tanti i personaggi che in un incessante turbinio ruotano intorno a lei, a partire dalla madre Dona Rozilda. Questa donna in realtà non è una donna “ma un mercoledì delle ceneri” in quanto in grado di sterminare il buon umore a chiunque (tranne a Vadinho). Rabbiosa e velenosa con tutti, anche con il povero marito incapace di offrire a lei e alle figlie, una vita agiata. Così la gente afferma che, questo povero uomo abbia pazientemente aspettato la prima banale malattia, pur di passare finalmente a “miglior vita".
Ci sono poi le comari con il loro continuo pettegolio: un piccolo gruppo ben nutrito di donne giovani e vecchie, perché in fondo spettegolare è un’attività che “non richiede atto di nascita”. Ecco allora Dona Romilda, Dona Amelia, Dona Norma l’amica del cuore di Dona Flor, che si fa in quattro per tutti i vicini, prestando cibo e vestiti, dispensando saggi consigli,e poi, suo marito Zè Sempeio il malato immaginario, che passa tutta la sua vita a letto convinto che la morte sia vicina. E a proposito di pettegolezzi c’è anche Dona Dinora “capostipite delle Beghine”, la più pettegola di tutte, al punto tale di avere guadagnato la fama di veggente. Sarà proprio dona Dinora a “prevedere” il secondo matrimonio di Dona Flor con un farmacista di nome Teodoro. Finalmente un uomo di animo tranquillo e modi pacati che , nonostante l’età, alla vista di Dona Flor si agita e trema tutto come fosse un ragazzino al primo amore. Un uomo dabbene quindi, (nulla a che vedere con Vadinho), nemico delle frodi e dei raggiri, amante delle leggi e delle usanze, ma soprattutto amico fedele dell’ordine e della quotidianità. Dona Flor accanto a Teodoro sembra dunque trovare la pace e la tranquillità che voleva, tutta la sua vita ora è organizzata a cadenze regolari, anche gli incontri intimi avvengono solo ed esclusivamente di “martedì e sabato con bis”. Eppure nel suo animo l’irrequietezza si fa strada, fino a rimpiangere il suo primo marito, che per amor suo torna dall’al di là e…..
Amado come uno stregone usa una scrittura intrisa di magia che fin dalla prima pagina ti fa immergere dentro i sapori, i colori e gli odori e la solarità del Brasile.

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Un dizionario dell'orrore!!!!

Il primo pensiero che mi viene i mente è: sfiancante. Si si, questo libro mi sta sfiancando. E si che ero partita con tutte le buone intenzioni, anzi mi intrigava l’idea di leggere una storia incentrata sulla criminalità narrata attraverso gli occhi di un (ex)criminale . Ma è proprio l’impostazione che non mi convince.
La prima parte di una noia mortale è tutta incentrata su un mero e sterile elenco delle usanze e delle credenze che regolano l'esistenza delle famiglie criminali, con tutte le sfumature ed eccezioni dettate dalle origini dei vari gruppi di provenienza. Come fosse un dizionario, di ogni parola lo scrittore, ne spiega l’usanza ad essa legata. Ogni ora della giornata è scandita da un rito; ogni evento ha il suo codice da seguire diligentemente anche nell'uccidere una persona si deve usare un’arma piuttosto che un’altra in base all'onore criminale dell’omicida .
E qui ho pensato, che non ne sarei mai uscita. Ma, invece, quasi illesa, passo alla seconda parte con una piccola speranza di rinascita che viene subito smorzata dalla lettura del primo capitolo, che da il via a un susseguirsi di eventi infarciti di violenza, stupri, torture, tutti inanellati tra loro a formare una catena “del nulla” del vuoto esistenziale. Ciò che provo è noia, orrore, obbrobrio di fronte alla naturalezza con la quale si può uccidere o massacrare una persona.
E’ un’impresa davvero leggere questo libro, ma, a differenza di altre imprese come quelle che mi legano ad esempio ad uno scrittore eccelso come Marìas, questa non mi lascerà nulla…..se non un senso di nausea e si schifiltosità di fronte al mero susseguirsi di violenze che scadono spesso in gratuite e sterili descrizioni truculente .

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