Opinione scritta da Marta*

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Marta* Opinione inserita da Marta*    25 Marzo, 2019
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PIU' CHE IL VERO WULF E' UN GIALLO

Ho optato per questo titolo perché avevo amato follemente “La psichiatra” e in “Phobia” compare Mark, un personaggio del primo libro che ho citato.
La cosa che non mi è piaciuta è che secondo me rispetto a “La psichiatra”, in “Phobia” Dorn cambia completamente genere. Mentre il primo è un thriller psicologico che mette a fuoco il cervello e tutti gli scherzi che può farti, il secondo è strutturato come un vero e proprio giallo.I gialli non mi dispiacciono. Ma non mi piacciono se poi, oltre al mistero da risolvere, non ci sono contorni di trama.
Sulla trama non ho cose brutte da dire, perché sappiamo tutti molto bene quanto Dorn sia un mago della scrittura. Inoltre, come si legge alla fine, il tutto si ispira a qualcosa che è realmente accaduto. Non si può chiedere di più, se amate il genere.
Se invece non vi piacciono i gialli, io non ve lo consiglio.
Sono rimasta un pochino delusa....

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La psichiatra di Wulf Dorn
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Marta* Opinione inserita da Marta*    25 Settembre, 2016
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MENTI DEPRAVATE

Quando ho deciso di leggere Urla nel Silenzio non mi aspettavo di incontrare nulla del genere.
Un thriller psicologico che mi ha spiazzata più volte lungo il procedere della lettura tanto da costringermi a procedere con calma, concedermi delle pause per riflettere, per tentare di comprendere, per realizzare quanto la psiche umana sia volubile, profonda, pericolosa e anche immensamente depravata. Quello che mi ha maggiormente impressionata, durante la lettura di questo romanzo, è il modo in cui l'empatia verso le vittime cresce poderosa e potente in una maniera quasi inarrestabile. L'autrice non si limita a raccontare, ma entra letteralmente nella mente del mostro, mettendo in risalto la sua insanità mentale e rendendoci spettatori chiave di un progetto che, pagina dopo pagina, si renderà sempre più chiaro e doloroso nei suoi intimi particolari.
Fiore all'occhiello di questo romanzo è indubbiamente la sua protagonista femminile: Kim Stone. E’ una donna con un passato doloroso e difficile alle spalle che ha irrimediabilmente forgiato il suo carattere, temprato la sua solitudine e la sua naturale incapacità di socializzare. La storia ci viene narrata principalmente da Kim, che iniziamo così a conoscere in tutte le sue sfumature e fragilità, entrando a contatto con la sua quotidianità e con quel suo difficile passato.
Ci troviamo di fronte ad una protagonista femminile di assoluto spessore, capace di catturare l'attenzione del lettore fin dalle prime pagine, provocando un'inevitabile empatia che si insinua potente e crescente nel progredire della narrazione. La detective Stone, insieme ad una squadra investigativa variegata e ben delineata in presenze e caratteri, si trova davanti al difficile compito di mettere insieme i pezzi (a volte letteralmente) di un puzzle che lega un passato ed un presente intriso di abusi e violenze, silenzi e bugie costruiti in rimpianti troppo difficili da affrontare. Passato e presente si trovano ad alternarsi spontaneamente tra le pagine insieme ad un susseguirsi estremo di nuovi indizi e elementi nascosti, capaci di instillare nel lettore quel possessivo tarlo del dubbio. Presente che costringerà inevitabilmente la nostra protagonista a riaprire vecchie ferite mai cicatrizzate e lontani ricordi ancora oggi troppo dolorosi da affrontare!
Urla Nel Silenzio è un thriller psicologico di forte impatto emotivo in grado di coinvolgere il lettore in una caccia al mostro condotta fino all'ultimo respiro. Quello che ci troviamo davanti, fin dalle prime pagine, è un romanzo ben costruito, potente e costantemente sorretto da un ritmo progressivo e crescente in grado di condurre il lettore al centro esatto di una scena mutevole ed emozionante.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    01 Marzo, 2016
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INCONSUETO

Questa volta King ci regala un thriller poliziesco nudo e crudo, senza fantasmi, senza spiriti né strani personaggi terrificanti (o almeno, non terrificanti in stile Pennywise) ma con una coppia di protagonisti che lasciano ugualmente il segno, chi in senso positivo e chi, al contrario, in senso decisamente negativo.
A volte, quando Stephen King esce dalla sua comfort zone dell’horror soprannaturale, scrive cose bellissime. Le tre novellette in Stagioni diverse, tre capolavori assoluti, non hanno un briciolo di horror soprannaturale. Misery è più un thriller giocato sulla suspense che un horror. 11/22/63 è un romanzo di fantascienza.
Mr. Mercedes è comunque un romanzo scritto bene e ben curato, che dosa i momenti di tensione e suspense combinandoli con quelli di crescita dei personaggi. Ma l’idea di fondo è che ci sia qualcosa che manchi. Non al punto di dire che Stephen King questo romanzo qua l’ha scritto così tanto per, ma di sicuro Mr. Mercedes è una storia meno ispirata rispetto a molte altre.
Che poi uno dice, vabbè, con una media di due libri pubblicati all’anno ogni anno, qualche ciofeca ci può anche stare – come del resto si è già visto in passato. Il problema è un altro. Sarà forse per via di tutto quel parlare di computer, social network e cultura pop moderna che si fa nel romanzo, ma per la prima volta leggendo un libro di Stephen King ho avuto l’impressione che a scriverlo fosse un vecchietto che parla di qualcosa al di fuori della sua sfera di conoscenze.
In pratica, Stephen King è un vecchio. Il che non è affatto un problema. Il problema nasce invece quando questa vecchiezza traspare al lettore. Ed è la prima volta che mi capita, con Stephen King, per il quale sono sempre stata pronta a sospendere l’incredulità e dire, ok, credo in quello che mi stai raccontando.
Ma al di là di tutto, Mr. Mercedes non è un brutto romanzo. È un thriller che avrebbe potuto benissimo scrivere Michael Connelly. I personaggi non sono malvagi e ho apprezzato l’approfondimento nella psiche sia di Bill Hodges che del suo avversario, il criminale noto alle cronache come Mr. Mercedes. La caratterizzazione dei personaggi, al di là di Hodges e Brady che, veramente, impariamo a conoscere nei minimi dettagli, è quasi perfetta e Jerome ed Holly diventano ben presto complici e parte di una combriccola alla quale probabilmente non daresti due lire ma che, porca miseria, è un'insieme di personalità incredibili. Il tutto coronato da un ritmo narrativo che un po' si discosta dal King che ho letto in passato
C’è qualche coincidenza di comodo che aiuta a fare avanzare il plot, è vero, così come un po’ troppi momenti, specie durante il climax finale, in cui avrei voluto urlare “ma chiama la polizia, no?!”, ma tutto sommato ho gradito sia la parte un pochino più investigativa all’inizio che quella più tesa alla fine. Il fatto resta sempre che certe cose vanno bene in un thriller di Michael Connelly. Da Stephen King pretendo di più.
Mr. Mercedes è un romanzo un po’ inconsueto nella produzione di Stephen King, perché osa troppo poco. È un semplice thriller adagiato sugli allori.

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King
Thriller investigativi
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Marta* Opinione inserita da Marta*    09 Febbraio, 2016
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La spettacolarizzazione del crimine

Nella frase che ho dato al titolo é contenuta una gran verità che caratterizza la nostra società. Dal delitto al caso mediatico il passo è breve. Intorno alla tragedia si sviluppa la curiosità dei media che si nutre non di vittime senza voce ma di una spietata caccia al mostro. Le telecamere sono pronte a cogliere il colpo di scena, aspettano di catturare l’immagine del colpevole e tutto, anche la vittima, passa in secondo piano.

Il libro si apre con una scena che inchioda subito il lettore alle pagine: in una notte gelida, lo psichiatra Flores è chiamato dalla polizia di Avechot (paese alpino di confine abitato da una comunità fortemente religiosa, quasi una setta) per far luce su quanto è successo all’agente speciale Vogel, trovato in stato confusionale in seguito ad un incidente d’auto. Illeso ma coperto di sangue, evidentemente non suo.

Secondo uno schema ormai classico ma ancora capace di generare la giusta suspense, un flashback ci porta a qualche tempo prima, quando in paese è appena scomparsa la sedicenne Anna Lou, appartenente ad una delle famiglie più devote della cittadina, sparita nel tratto di strada che separa casa sua dalla chiesa. E’ proprio Vogel ad occuparsi del caso, e la trama si muove per sbalzi temporali avanti e indietro rispetto al giorno della scomparsa, una tecnica letteraria che usata con sapienza come sa fare Carrisi risulta davvero coinvolgente. Il racconto ci cala in atmosfere perfette per gli amanti del thriller.
Lentamente, e con deduzioni intriganti, Vogel e l’agente Borghi ricompongono i pezzi del mistero: una ragazzina timida e in apparenza quasi senza contatti col mondo, un adolescente ossessionato da lei, imbranato ma con un passato di scatti violenti, e soprattutto un professore, Loris Martini, giunto da poco con la moglie e la figlia ad Avechot per lasciarsi alle spalle un evento (“la cosa”) che Carrisi sapientemente ritarda ad esplicitare, così come è bravo a instillare nel lettore il sospetto che l’insegnante nasconda qualcosa senza fornire prove evidenti e lasciando che il semplice seguirne le azioni aumenti la tensione proprio a causa dell’apparente tranquillità delle situazioni descritte. Improvvisamente Martini si trova al centro dell’interesse dell’opinione pubblica, accusato di essere il mostro, accerchiato dalla rapace e spietata voracità delle tv che lo mettono a rischio linciaggio. Uno dei temi su cui Carrisi riflette in questo romanzo è proprio l’esposizione mediatica dei casi di cronaca nera e per farlo utilizza tutti gli ingredienti che purtroppo ormai ci sono diventati familiari quando avvengono tragedie simili a quella di Anna Lou: la costante ricerca di news, il gossip morboso, i processi televisivi con la gente che condanna e si schiera, la celebrità che seduce anche le vittime.
In una trama fondata sugli elementi classici del genere, il rapporto tra Vogel e la stampa costituisce uno spunto originale che infrange il luogo comune sull’odio dei poliziotti nei confronti dei giornalisti: l’agente speciale li cerca, ne provoca l’interesse perché sa che coi riflettori puntati sul caso avrà a disposizione mezzi più consistenti per le indagini ed una possibilità in più per stanare il colpevole, per non parlare della celebrità personale che la risonanza mediatica gli garantisce. Vogel sa usare i media per i suoi scopi, arrivando a stratagemmi cinici, mantenendosi sempre sul confine ambiguo tra forzare le cose e manovrarle apertamente. Su di lui pesa però il sospetto che in un caso precedente si sia spinto troppo oltre nel voler a tutti i costi consegnare un capro espiatorio all’opinione pubblica. Il lettore rimane gustosamente in bilico: a chi credere? Al poliziotto forse senza scrupoli? Al professore che non riesce ad eliminare la sensazione che nasconda qualcosa? Pian piano ci avviciniamo allo strano incidente di Vogel, con Flores che deve stabilire se il poliziotto sia davvero in stato confusionale o stia recitando. Di certo le convinzioni del lettore vacillano in quella che, ci ha informato Carrisi sin dall’inizio, è la notte “in cui tutto cambia per sempre” e non si vede l’ora di scoprire cosa succederà.

Secondo il mio parere questo romanzo di Carrisi è diverso, per emozioni e coinvolgimento, dai suoi precedenti lavori. Leggendo alcuni suoi lavori precedenti, sono sempre rimasta col fiato sospeso per l’evolversi delle storie. Mi piaceva il modo in cui lo scrittore riusciva a spiazzare il lettore. La verità era sempre nascosta sotto una montagna di falsi indizi, ma, alla fine, ogni tassello andava al suo posto e la storia si mostrava in tutta la sua complicata e avvincente bellezza. “La ragazza nella nebbia” è un thriller che inizia in sordina, il ritmo è pacato, le indagini passano quasi subito in secondo piano e l’attenzione è tutta per i media. Vogel ha una tecnica d’indagine che è un mix di tattica e opportunismo. In lui vive e predomina “l’istinto di cattura” ma tutto è basato sulla creazione del caso mediatico, del business che dona profitti a tutti tranne che alle vittime. Condivido pienamente l’opinione dello scrittore sul fenomeno mediatico, tutti noi ricordiamo i fatti di cronaca che hanno attirato l’attenzione del pubblico. Non c’è alcuna pietà per la vittima in questo romanzo, ogni personaggio nasconde qualcosa, la verità è sempre nell’ombra.

Gli ultimi capitoli del thriller mi sono piaciuti tantissimo perché ho ritrovato le atmosfere inquietanti e i numerosi colpi di scena che caratterizzano la scrittura di Carrisi. A ben riflettere l’orrore è di casa anche in questo ultimo lavoro dello scrittore, è un orrore che nasce dalla descrizione della nostra società, degli show che puntano sulle interviste, dietro lauti compensi, ai parenti del “mostro”. Anche per gli inquirenti la giostra mediatica diventa un modo veloce per far carriera. Carrisi si ispira a fatti reali, narra il male che si nasconde nella quotidianità, narra la natura dell’uomo. Il mostro finisce in prima pagina, la vittima viene dimenticata. Fino al prossimo caso di cronaca quando tutto, come da copione, ricomincerà.

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Donato Carrisi
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Marta* Opinione inserita da Marta*    29 Gennaio, 2016
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Travolgente

Questo romanzo mi è piaciuto moltissimo.
Esplora le dinamiche interne alla famiglia di Jenny con lucidità e a volte anche una buona dose di disincanto e pagina dopo pagina ogni altarino viene svelato, ogni scheletro cade fuori dall'armadio, facendoci restare a bocca aperta.
Ted è un marito adultero ed un padre assente ai limiti dell'inesistenza; Jenny d'altro canto sembra essere anche peggio: è una madre assente che però crede di essere presente e questo a mio parere è molto più grave.
Per l'intera durata della vicenda Jenny cade dalla pianta ogni due per tre, e l'immagine che ne abbiamo è quello di una madre che non solo non conosce i suoi figli quanto crede, ma non li conosce affatto.
Naomi, dal canto suo, è una vittima a metà, in quanto possiamo giustificare molti dei suoi atteggiamenti con la negligenza e il disinteresse dei genitori, ma non tutti.
E i suoi fratelli gemelli, Ed e Theo, non sono da meno.
L'unico che si salva è Theo, che sostanzialmente è una parentesi di sanità mentale in una famiglia che sarebbe da ricoverare in blocco.
Ed è un ragazzo solo, scontroso e che finisce per cercare conforto nella droga, quando non riesce più ad uscire da solo dalla depressione e l'unica cosa che gli preme fare è smettere di "sentire".
Nel complesso, questo romanzo è un thriller fino a un certo punto, a mio parere, perché i primi due terzi del libro sono più un'indagine spietata di Jane Shemilt sulla famiglia, attraverso la tecnica del flashback che ci fa saltare costantemente dal presente a un anno prima, permettendoci di scoprire ogni segreto dei membri di questa famiglia che non è allo sbando dalla scomparsa di Naomi: lo era da molto prima.
L'ultimo terzo del romanzo è invece ad alta tensione, e le ultime cento pagine si leggono tutte d'un fiato.
Non dico nulla di specifico del finale, ovviamente, solo che mi è piaciuto.
L'ho trovato un libro molto "difficile" da leggere, perché non riesco a immaginare un dolore più grande della perdita improvvisa di una figlia.
Senza una ragione, senza un funerale che ti permetta di celebrarne il ricordo, senza una tomba che ti aiuti a razionalizzarne l'assenza.
Naomi scompare e i genitori sono costantemente combattuti tra il desiderio che sia viva e possano riportarla a casa, e il desiderio che sia morta quando pensano alle alternative agghiaccianti a cui potrebbe andare incontro (essere tenuta prigioniera, picchiata, violentata...).
Ci sono momenti in cui si percepisce che quasi sarebbe preferibile ritrovarne il corpo, anche se ovviamente nessun genitore desidera la morte della propria bambina e questo conflitto rende il romanzo straziante. Durante lo scorrere delle pagine ci si trova spesso di fronte ad una realtà dura da sopportare, anzi tanti sono i passaggi in cui immedesimandosi con la protagonista, si finisce per soffrire con lei al punto da sentire il bisogno di staccare per un momento il contatto.
Da figlia, ho provato più volte il desiderio di dare una bella scrollata a Ted e Jenny, perché per certi versi sono i genitori peggiori del mondo: totalmente assorbiti dal loro lavoro e dai loro interessi, al punto da non rendersi conto di avere una figlia completamente diversa dalla bambina con le trecce e la bambola di dieci anni prima.
I tre ragazzi fanno quello che vogliono quando voglio, sostanzialmente: fuori a ore per me improponibili, saltano i pasti, non rispondono alle domande...
Non so voi, ma a casa mia non funziona esattamente così. Ecco. Impossibile non restarne invischiati. Da sempre la famiglia è il punto x della vita di tutti: da bambini è un nido accogliente, da ragazzi è il posto dal quale fuggire per sentirsi più grandi, da adulti è il porto sicuro nel quale rifugiarsi e il punto di partenza per dar vita ai progetti dell’intera esistenza. Ognuno di noi ripone nella famiglia i propri sogni, le aspettative, sudando sette camice per tenere tutto sotto controllo, per far si che ogni membro del nucleo si senta parte integrante di un progetto più grande. Ma cosa succede quando il castello di cristallo di distrugge? Quando una folata di vento solleva le tende mostrando quello che in realtà si nasconde sotto l’apparenza?

Una lettura molto diversa ma che a modo suo mi ha saputa catturare e dare molti spunti di riflessione, oltre che tenermi sveglia fino alle 4 quando volevo sapere come sarebbe andata finire. Quindi promosso a pieni voti, anche per la prosa di Jane Shemilt che è scorrevole, pulita e assolutamente leggera. Ho anche riscontrato una certa ricchezza lessicale, cosa che mi rende sempre felice. Una volta iniziato sarà impossibile staccare gli occhi dalle pagine, in quanto il bisogno di sapere controbilancerà l’angoscia opprimente che avvolge l’intero romanzo. Impossibile non immedesimarsi, anche perché l’autrice riesce a creare un’ambientazione emotiva estremamente reale. È la madre a raccontare la storia, senza tralasciare nemmeno un dettaglio delle indagini e del suo stato interiore distrutto dai ricordi, dai sensi di colpa e questo accentua notevolmente il legame intimo che si instaura con il lettore. Per me è stato così e vi assicuro che il risultato è notevole. Consigliato a chi non legge abitualmente thriller perché questo non è, a mio parere, un thriller tradizionale; a chi ama leggere di famiglie allo sbando, perché io più allo sbando di così non ne ho trovate mai; a chi ama risolvere misteri tassello dopo tassello.



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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    17 Gennaio, 2016
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COMPLETAMENTE RAPITA

Alice è una combattente. È una donna dal carattere di ferro, che tiene alte le difese contro tutto e contro tutti. Non lascia intravedere nulla di se stessa, se non quanto basta a spianarle la strada nelle le relazioni con le altre persone. Non teme il rischio e ha un solo obiettivo: scovare la verità, sempre e comunque. Non a caso è una poliziotta, capitano di una squadra investigativa francese che si occupa di tutti i casi più complessi. Stana rapitori, serial killer, delinquenti. È determinata tanto nel lavoro quanto nella vita. Poi, un giorno, dopo una serata passata con delle amiche di vecchia data, si risveglia alle otto di mattina su di una panchina fredda e rigida. Ha la camicetta sporca di sangue, gli occhi pesanti, la testa confusa. Si guarda intorno e vede solo alberi e cespugli. Un parco. Ma quale parco? Sicuramente uno dei tanti di Parigi. Ma come è finita lì, in quello stato? Non si ricorda nulla, nemmeno un dettaglio e cosa ancora più sconcertante, ammanettato al suo polso c’è un uomo ancora addormentato che non da segni di vita. Dopo essersi accertata della sua salute, Alice lo sveglia e iniziano lentamente a ricostruire l’accaduto. L’uomo sconosciuto si chiama Gabriel, è un musicista jazz e come lei, non si ricorda assolutamente nulla. La sera prima era ad un concerto a Dublino e ora invece, naviga unicamente nella confusione.
Con enorme stupore i due scoprono non solo di essere lontani dal luogo nel quale erano la sera prima, ma si accorgono di essere nel bel mezzo di Central Park, a New York, con una pistola a loro ignota alla quale manca un colpo nel caricatore. 
Di chi è quel sangue? A chi hanno sparato? Perché sono lì?
Inizia così un viaggio che porterà i due protagonisti a scavare oltre il guscio della verità, facendo scoperte tanto devastanti quanto inaspettate. Alice, da bravo poliziotto raccoglierà tutti gli indizi a sua disposizione, cercando a poco a poco di ricostruire una storia folle, bizzarra, insensata. Avvalendosi della facoltà di non fidarsi di nessuno, cercherà di dare ascolto al suo istinto infallibile, diffidando dello stesso Gabriel che, seppur trovandosi nella sua stessa condizione, sembra essere un personaggio non più limpido di una pozza di fango.


Vi avverto, Central Park è uno di quei romanzi che non da tregua, che ti tartassa di giorno e di notte spingendoti a leggerlo pagina dopo pagina senza sosta. Strepitosa la ragnatela di intrecci che l’autore crea intorno ai personaggi, un rovo confuso di ipotesi, supposizioni, smentite e incertezze. La verità sembra vicina e un attimo dopo è lontana centinaia di chilometri, irraggiungibile e allo stesso tempo inimmaginabile. Per quanto mi riguarda, una sera non sono riuscita nemmeno ad addormentarmi sapendo di avere questo libro sul comodino. Nonostante l’ora tarda mi sono dovuta accendere la luce da lettura e mi sono immersa tra le pagine, testardamente affascinata dall’intreccio della storia di Alice e Gabriel. Nonostante nei libri appartenenti a questo genere la soluzione dell’enigma arriva sempre nelle ultime pagine, strada facendo ogni lettore costruisce mentalmente uno schema, si fa almeno un’idea, raccogliendo gli indizi sepolti dall’autore tra le parole e molto spesso le intuizioni iniziali racchiudono in parte la verità finale. In Central Park ho fatto lo stesso, ma con un risultato diverso. Ho costruito un castello di sabbia che però si è rivelato essere completamente differente dalla realtà dei fatti, niente di quello che mi ero immaginata era in realtà confrontabile con la realtà. E questo, a mio avviso, è grandioso, è il biglietto da visita che mi ricondurrà a leggere di nuovo un romanzo di Musso. Non ho mai letto quest’autore, ma da oggi, sono sicura che andrò alla ricerca dei suoi libri precedenti e ne aspetterò con ansia di nuovi.

Central Park è un romanzo dai mille volti, che associa abilmente uno stile concitato con un contenuto profondo e travolgente. Non si tratta solo di scoprire la verità pura e semplice, piuttosto di conoscere i personaggi, le loro paure, i loro segreti. Sia Alice che Gabriel hanno qualcosa da nascondere, da tenere al sicuro. Entrambi dotati di carisma, riescono a farlo con un’eccellente abilità, lasciando il lettore appeso al filo di un rasoio, con la costante consapevolezza di essere sempre un passo dietro di loro. Sono questi i dettagli che fanno di questo libro un ottimo thriller e che lo rendono irresistibile e coinvolgente, al punto da non riuscire più a farne a meno. 

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Romanzi
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    26 Novembre, 2015
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Perplessa

Siamo nella Madrid degli anni Ottanta, una città in cui il ricordo della dittatura franchista è ancora dolorosamente vivo. Il giovane Juan De Vere, fresco di laurea, viene assunto dal regista Eduardo Muriel per fargli da assistente. Muriel vive in una grande casa nei quartieri alti della capitale insieme alla moglie, l'esuberante Beatriz Noguera, e i figli. I due avrebbero tutto per essere felici, eppure «il giovane de Vere» è colpito dalla freddezza e dallo sdegnoso contegno con cui il marito tratta la moglie. Perché si comporta cosí? Addirittura, una notte che passa nella casa dei Muriel, Juan assiste a una scena per lui del tutto inspiegabile: Beatriz che, vestita unicamente con un'impalpabile sottoveste, viene respinta e ricacciata nella sua stanza dal marito. Juan vorrebbe indagare i motivi di quel comportamento e del disamore che tiene in piedi il matrimonio, ma Muriel ha altri piani in mente per lui: lo incarica infatti di verificare se le voci che ha sentito su un suo amico, il dottor Van Vechten, sono fondate. Una donna gli ha fatto intendere che il dottore, durante gli anni della dittatura, si era comportato in modo indecente con una o piú donne, e che pertanto l'amicizia che Muriel gli tributava era mal riposta. Per il giovane Juan inizia cosí una discesa nelle tenebre degli anni della dittatura, e nelle ambiguità del matrimonio, che ha l'ineluttabile fatalità delle sabbie mobili. Cosí ha inizio il male è la storia intima di un matrimonio.
Leggendo questo libro ho provato sentimenti contrastanti. Inizio col dir che non conoscevo affatto questo autore. La trama mi ha lasciata perplessa: perfetta nelle intenzioni e deludente nella realizzazione.
Si respira nel libro un’atmosfera torbida, Marías sembra suggerire che il dopo Franco, oltre ad essere caratterizzato dal desiderio di assoluzione generalizzata, è anche un periodo di sfrenatezza sessuale.
In effetti il contesto è ben più ampio e tocca le relazioni, i tradimenti, le bassezze perpetrate, dopo la caduta di Franco, sulle donne che non possono difendersi.
C'è anche un vago riferimento ai rifugiati seguaci di Pinochet che proteggono il dottor Van Vechten, amico di Muriel. Potrebbe essere anche un monito alto ai valori di integrità morale e del residuo di una dittatura, ma, a mio avviso, è solo un lungo sproloquio che non suscita coinvolgimento alcuno.
La figura, tragica, di Beatriz Noguera restituisce, per altro, il senso di totale spaesamento, di accettazione supina del "male".
L'amore arriva sempre quando non deve all'appuntamento con le persone. Ma lo scopriamo solo dopo, alla fine di una vita o di un romanzo. Quando il tempo sfuma e appanna i contorni. È così che ha inizio il male, quando i fatti perdono vividezza e sono divenuti racconti. Un male sopportabile, il mal di vivere a bassa intensità, il male che non fa più paura perché il passato è divenuto innocuo e raccontabile, perché il passato è passato, e il peggio resta indietro.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    24 Settembre, 2015
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SPAVENTOSO

Come per la maggioranza dei romanzi pubblicati da Stephen King, “Le Notti di Salem” è un libro stilisticamente impeccabile, in grado di catturare l’attenzione del lettore e di tenerlo incollato alle pagine. A Jerusalem’s Lot esiste il male, è vero. Male che, però, non è costituito solo dai mostri succhiasangue che si aggirano di notte per le sue strade: King ci mostra che l’oscurità è presente nel cuore e nell’essenza degli stessi abitanti. Dietro alle porte chiuse del paese si nasconde violenza e corruzione.
Il lettore rimane in tensione e dubita sul fato ed il futuro dei personaggi. I personaggi, poi, sono umani e complessi.
“Le Notti di Salem” rappresenta un omaggio da parte di Stephen King nei confronti del celebre “Dracula” di Bram Stoker, anche in questo caso l’orrore della figura del vampiro è rappresentato in tutto il suo fulgore: Barlow è una figura assolutamente malvagia e assolutamente affascinante, così come il suo inquietante servo Staker.

Il libro si compone praticamente di cinque parti. C’è un prologo, che trova la sua ragione a fine romanzo, quando si capirà di cosa si sta parlando. C’è poi la storia in sé, composta da tre parti, con ogni parte divisa in capitoli, ma non numerati, bensì titolati coi nomi dei personaggi protagonisti di quella parte della storia. Infine un epilogo, a mo’ di diario. E poi quello che Stephen King ha chiamato "Il bicchiere della staffa", ambientato qualche anno dopo la fine della storia, e per concludere una parte epistolare, in cui l’autore ha voluto rendere omaggio al Dracula di Bram Stoker, che tratta degli antefatti della storia.
Il romanzo, però, può presentare alcune pecche: la storia è a “costruzione lenta” (bisogna leggere parecchie pagine prima di arrivare alle parti caratterizzate dalla massima tensione drammatica). Tutta la storia, come ha anche sostenuto King nella sua introduzione, è un crescendo di orrore, che prende il lettore per non lasciarlo più. Le notti di Salem spaventa perché il sovrannaturale è centellinato. In piccole dosi. E per questo motivo l’intera storia diviene credibile, vera. Non è più un romanzo, ma la vita reale narrata pagina dopo pagina. Non è la solita storia dell’orrore, dove sangue e fantasmi vengono spiattellati senza un perché. Qui un perché esiste, è tangibile. Il lettore lo avverte riga dopo riga. Ogni scena descritta ha una sua spiegazione, pensa il lettore, una spiegazione che trova riscontro nella logica e nel rifiuto ad accettare fenomeni che oltrepassano i limiti dettati dalla ragione.
L’opera di King rimane comunque un ottimo romanzo, veramente gradevole da leggere.





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Romanzi
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    18 Luglio, 2015
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Angosciante

La storia, come la maggior parte dei thriller, è angosciante e claustrofobica. Non eccessivamente, ma abbastanza da tenere il lettore in uno stato di ansia continuo.

La protagonista è Christine, che si sveglia ogni mattina senza riconoscere dove si trova, chi è che dorme nel suo letto, cosa ci fa con vent'anni di più sulle spalle quando lei sa di essere molto più giovane. Non ricorda di aver avuto un incidente, tanti anni prima, che le ha cancellato non solo gran parte dei ricordi ma anche la capacità di immagazzinarne di nuovi. Sta al marito ogni mattina ripeterle le stesse cose, rassicurarla, mostrarle foto del loro passato insieme e rispondere a tutte le sue domande. Nel momento in cui un dottore la contatta, all'insaputa del marito, chiedendole di incontrarla e di aiutarla, Christine troverà un modo per mettere insieme i pezzi della sua vita. Un modo per non dimenticare tutto ciò che accaduto il giorno precedente. E ogni ricordo che troverà le porterà nuova confusione, nuovo dolore, nuovi dubbi.

Pagine che corrono via velocemente, a volte frettolosamente. Ma forse la fretta è più nel lettore che nello scrittore. Vogliamo assolutamente capire il prima possibile cosa stia accadendo, vogliamo smettere di avere il punto di vista di Christine e sapere tutto, vogliamo che Watson ci prenda da parte e ci dica come stanno i fatti. Non ce la facciamo ad aspettare che sia Christine a scoprirli: ci sono troppi passi indietro per ogni passo avanti.

Eppure il finale, abbastanza ad impatto, non ci soddisfa come avremmo desiderato. Durante la lettura abbiamo congetturato di tutto: è ovvio che tra le nostre congetture ci sia capitata anche la soluzione. Che forse avremmo scartata perché non ci convinceva, ma non ci ha stravolti quando poi si è avverata.

Un romanzo con una buona idea di base, dalla trama interessante e dai personaggi forti, ma che ci è sembrato ancora acerbo. Un romanzo concentrato eccessivamente sul contenuto e poco sulla forma. Un thriller psicologico di forte impatto emotivo, i sentimenti come la paura, l'angoscia della protagonista, il suo malessere interiore, il non capire ciò che la circonda penetrano nel lettore come se vivesse quella situazione in prima persona.

Un thriller un po' diverso dal solito perché non c'è molta azione, se cercate un libro adrenalinico "Non ti addormentare" non fa per voi. Probabilmente dipende dal fatto che sia la prima opera di Watson.


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Marta* Opinione inserita da Marta*    28 Giugno, 2015
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...MAI FIDARSI....

Sponsorizzata direttamente da Wulf Dorn, arriva in Italia per Corbaccio la scrittrice inglese Ruth Ware con il suo romanzo: L'invito.
La storia si divide in due grossi macro-blocchi che definirei presente e passato prossimo.
Nel presente avremo Nora in ospedale, in stato confusionale e con grossi lividi. La donna ha un'amnesia che non gli permette di ricordare quello che le è successo. Il lettore da subito viene catapultato nel pieno della storia, iniziando a scoprire i fatti dalla fine e rivivendo passo dopo passo insieme a Nora tutto ciò che è accaduto prima dell'incidente che l'ha fatta finire su un letto d'ospedale...
Il passato prossimo anticipa di qualche giorno l'ambientazione ospedaliera e rappresenta lo zoccolo duro del romanzo, ovvero la parte più corposa.
Leonora Shaw è una scrittrice di gialli. La sua vita diventa un romanzo thriller quando scopre l'invito all'addio al nubilato di un'amica che non vede e sente da ben 10 anni; si ritrova in compagnia di tutti gli invitati alla festa, sei per l'esattezza, riuniti in una alquanto inquietante casa di vetri: come dice Tom, l'unico uomo del gruppo, è come essere attori su un palcoscenico e gli alberi che circondano la casa sono il pubblico e questo già mette i brividi addosso! Un'ambientazione in stile Agatha Christie, che renderà il romanzo a tratti simile ai Dieci piccoli indiani. Proprio la grande villa sarà uno degli elementi più inquietanti del romanzo che costringerà i protagonisti a non potersi spostare.
In questo luogo molti di essi dovranno affrontare il loro passato, gli screzi infantili e le incomprensioni del presente. Lo sviluppo delle relazioni tra i protagonisti occuperà il numero maggiore di pagine del romanzo, rallentando un attimino il ritmo e la suspense, che ritornano poi nei capitoli finali.
I fatti vengono narrati con una certa angoscia, procedendo con la lettura aumenta la tensione e chi legge ha l'impressione che debba succedere qualcosa da un momento all'altro e resta quindi sempre con il fiato sospeso!
L'autrice ha sapientemente introdotto ogni singolo personaggio, mettendo in evidenza tutte le caratteristiche più inquietanti, le piccole isterie e guida il lettore alla scoperta del movente di ognuno... La cura con cui la Ware descrive ogni personaggio, la descrizione delle ambientazioni e soprattutto il riuscire per ben 200 pagine a far sentire al lettore quell'inquietudine e quella tensione che si prova quando si ha l'impressione che qualcosa non quadra rendono la storia reale e il lettore diventa un osservatore silenzioso nascosto tra gli alberi in attesa di scoprire chi sarà la vittima e chi il carnefice!
Quando finalmente, dopo aver studiato per bene tutti i protagonisti ed essersi fatti un'idea ben precisa di ognuno, arriva il momento di scoprire chi è la vittima qualcosa scatta nella mente del lettore, che sorridendo un po' deluso pensa "ecco lo sapevo che sarebbe accaduto questo e l'assassino è sicuramente tal dei tali perché...."! Ma affermazione non potrebbe esser più sbagliata: rieccoci di nuovo in ospedale con Nora, si è pronti a far congetture insieme a Nora, a cercare di capire cosa e perché non ricorda e facilmente si intuisce chi è la mano che ha armato l'arma del delitto, ma manca ancora qualcosa: il movente! In più l'autrice fa si che Nora, iniziando a pensare come se si trattasse di uno dei suoi libri gialli, insinui il dubbio nel lettore, faccia congetture sui possibili moventi, ma ogni volta qualcosa non torna ed anche quello che sembrava essere il vero assassino alla fine viene accantonato e ci si ritrova incastrati tra gli intrecci che in qualche modo legano Nina, Nora, Flo, Tom, Melanie e Clare!
Sarà lo stesso assassino a mostrare il suo volto, svelando una follia che ha radici profonde e una fredda lucidità nel cercare fino all'ultimo di distorcere la realtà.
“L'invito” è stata una vera rivelazione, non c'è stata una sola volta in cui durante la lettura non mi sia detta che sarebbe perfetto come sceneggiatura di un film e mi auguro che a qualcuno venga voglia di farlo...
Un libro questo che vi farà sentire quella inquietante sensazione che qualcosa di davvero brutto sta per succedere, che nessuno è al sicuro, che è tutto terribilmente spaventoso e che vi trascinerà all'interno delle sue pagine, tenendovi stretti fino alla fine senza darvi mai la possibilità di annoiarvi! Diventerete il settimo invitato, ma resterete muti e invisibili ad osservare, cercando di scavare in profondità nell'animo di ogni personaggio e alla fine resterete a bocca aperta, sgomenti e infine appagati!
Non avrete il tempo di distrarvi o annoiarvi, non vi sono punti bui durante la lettura ed anche se il ritmo non è serrato il libro si legge facilmente e molto velocemente!
Un grande esordio quello di Ruth Ware, che ha saputo con grande maestria fondere il giallo classico con il thriller psicologico.
…..ricordate che non ci si può fidare di nessuno e non lasciate mai nulla di vostro incustodito: non si sa mai quello che potrebbe accadere...

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Marta* Opinione inserita da Marta*    24 Giugno, 2015
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DIVERTENTE E SPASSOSO

Questo romanzo è esilarante, stupefacente, simpaticissimo, allegrissimo, intelligente, commovente, ironico, divinamente scritto, sorprendente, indimenticabile e PERFETTO! Comprato per caso, mi ha completamente rapita e mi ha coinvolta totalmente, anima e cuore in una trama decisamente originale, stravolgente, ricchissima di situazioni esilaranti di cui la nostra Marta, protagonista indiscussa, ne regala una versione totalmente originale dai tratti avvincenti, divertentissima anche là dove le situazioni appaiono impossibili, ottimistica oltre ogni ragione possibile. Era da molto che non leggevo un libro cosi divertente e unico nel suo genere. Fresco, scorrevole, piacevole e soprattutto elettrizzante. Marta sta come le api al miele, lei riesce ad attirarti a se, dopo essere entrata in punta di piedi nella trama, quasi a volersene addirittura scusare con il malcapitato lettore, una miriade di personaggi bellissimi, che diventato parte propria di Marta e di tutto il romanzo! Un’amalgama perfetta di persone, volti, parole, dialoghi spassosissimi, situazioni divertentissime che insieme concorrono a creare e portare a termine una trama intelligentissima che dal prologo all’epilogo ti lascia stupefatta in ogni singola pagina. Perché l’autore Giorgio Ponte ti porge un romanzo in cui ognuno di noi può riconoscersi in Marta ed in tutti gli altri personaggi, così diversi distinti e variegati da rappresentare chiunque in esso voglia sentirsi rappresentato! Costretta a mentire ai propri genitori, si trascina da un lavoro all'altro senza troppo successo. Le amiche la sostengono aiutandola, ma non basta, le sfortune di Marta sono dietro l'angolo cosi inizia un'avventura ironica, frizzante nella nuova città che gli donerà non solo tante ferite che affronta sempre con un sorriso, ma anche l'amore di un ragazzo bergamasco di nome Gianluca (mister infradito). Tutti i personaggi sono pazzeschi, dai colleghi, ai capi, alle amiche, sono perfetti nelle loro sfaccettature. Adoro il modo scorrevole, piacevole, dell'autore di narrare la storia che finisce per coinvolgere per la semplicità, per il divertimento (non ho mai riso tanto) e per i temi affrontati con il sorriso sulle labbra. Una capacità narrativa perfetta e pazzesca, guidano una trama che convince, piace e regala momenti di spasso e divertimento unici. Marta ti regala anche una versione meravigliosa, disincantata e indimenticabile di una Milano tutta da scoprire e che il lettore riesce a vedere con occhi nuovi!
Un romanzo capace oltre che essere avvincente ed originalissimo, di rilassare il lettore, di farlo così tanto divertire.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    01 Giugno, 2015
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Superbo

"L'animo umano vive nascosto e, quando si spezza, avviene in silenzio. Non ci sono schianti né tintinnii come la porcellana o il vetro. Solo quando è già troppo tardi, si vedono le schegge."

Anche stavolta wulf dorn è stato superbo. Pur condividendone le origini nordiche, Dorn è riuscito ad allontanarsi dall'incombente eredità lasciata dal compianto Stieg Larsson, scrivendo un thriller privo delle gelide atmosfere e degli scandali che avevano caratterizzato la trilogia di "Uomini che odiano le donne".
C'è l'eterna battaglia tra bene e male combattuta sul più fragile dei terreni. La mente umana. Dicono che non ci sia niente di più delicato e caduco di essa, ma Dorn, maestro annunciato di colpi di scena, fa vacillare ancora una volta le nostre certezze. Pensateci. La risposta la troverete proprio lì, rumorosa e innegabile che batte tra le pareti della nostra gabbia toracica. Il nostro cuore.
L'abilità di Dorn è come quella di un artista che non ha paura di perdersi nei labirinti più intricati, di osare e di tentare di dare concretezza a quello per cui le parole non bastano. Ha uno stile asciutto e scorrevole, scattante e ricco di dialoghi. I capitoli scorrono talmente veloci da non concederti scampo, eppure tra un colpo di scena che lascia sconcertati e il furore di un'indagine a colpi di sconvolgenti rivelazioni si trova spazio per racchiudere un giro di vite in tutta la loro dolorosa e incomprensibile completezza. Le case della città immaginaria di Fahlenberg, come i capitoli di un romanzo corale.
Follia Profonda si mostra un thriller di sconvolgente umanità. Nell'orrore di gesti scellerati che fomentano l'angoscia più insidiosa, le pagine trovano modo per parlarci di un quarantenne con la sindrome di Peter Pan, di un arzillo vicino di casa che cerca l'amore in chat, di un'ambiziosa segretaria tormentata dall'insicurezza, di una valente dottoressa che cerca in rapporti fugaci quello che il divorzio le ha sottratto, della perpetua di turno affamata di pettegolezzi e, ovviamente, di loro. Una lucida assassina dall'identità misteriosa e Jan, il suo salvatore, il suo oggetto del desiderio. La sua identità, come nel migliore dei thriller, rimane un dubbio assillante fino alla resa finale.
Un consiglio spassionato: leggetelo.
E' doveroso.







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Marta* Opinione inserita da Marta*    27 Mag, 2015
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Attenzione è una droga

Per me questo è stato il primo approccio con Dazieri e ho capito che, oltre che di talento, è dotato di una tecnica solidissima, che gli permette di intessere una trama incalzante e credibile.

La storia ruota attorno a tre personaggi: Colomba Caselli è un talentuoso ufficiale di polizia, indebolita nel corpo e nello spirito in seguito a un traumatico evento professionale, ora riprecipitata in servizio su esplicita preghiera del suo capo. Dovrà affiancarsi a Dante Torre, il tristemente famoso uomo del silo, rapito da bambino e tenuto prigioniero in una specie di granaio per undici anni dal terzo personaggio, la misteriosa figura da Dante soprannominato Padre.
Quella di Dante è stata un’esperienza ai limiti della follia.  Privato di ogni contatto sia con l’esterno sia con ogni essere umano, ad eccezione del Padre stesso, non solo per un tempo lunghissimo, ma anche negli anni cruciali della crescita e della formazione di un essere umano.
Ammaestrato come una bestia, punito o premiato a seconda dei capricci del suo carceriere, Dante conosce la libertà solo da adolescente, e da adulto è l’unico a credere che il Padre sia ancora in circolazione e non sia invece la figura che è stata trovata suicida anni prima da forze di polizia troppo lente e incapaci.
Sviluppa una personalità eccentrica, mettendo a frutto una capacità di osservazione e analisi fuori dal comune, nonché una serie di paure e manie; si occupa, il più possibile nell’ombra ma con eccellenti risultati, di consulenze in tema di abusi infantili e persone scomparse ed è proprio in seguito al rapimento di un bambino che si troverà ad affrontare assieme a Colomba il suo incubo peggiore: il ritorno dell’uomo che gli ha distrutto la vita.

I tratti psicologici sono ben delineati, ogni elemento della storia è concatenato all’altro, e quando si crede di aver intuito l’enigma, si rimane spiazzati dai risvolti inquietanti. Le labirintiche pagine, ci avvertono sin da subito: qui non si scherza.
Un romanzo in apparenza costruito come una caccia al serial killer, ma che lentamente mostra un altro volto, un altro substrato, che rende la trama molto più palpabile di quella di molti romanzi thriller d’oltreoceano, dopati con trovate ad effetto nel tentativo di mascherare la poca sostanza.

La sfondo che Dazieri disegna pagina dopo pagina,rivelazione dopo rivelazione, mostra alla fine un quadro dai contorni chiari, senza sbavature o arzigogoli che mettano a dura prova la paziente sospensione dell’incredulità del lettore.

Giocando tra il reale e l’onirico, Uccidi il padre non è solo un romanzo avvincente, ma è anche l’epifania di un affare piuttosto “sporco”. Così, la semplice caccia al killer, rivelerà nello specifico un substrato raccapricciante. E con una cifra stilistica disinvolta, ironica, soprattutto nei dialoghi serrati, l’autore condurrà il lettore verso un finale che non è affatto scontato, anzi riserverà un’ulteriore sorpresa. È per questo che non si può fare a meno di “innamorarsi” di questi personaggi rotti, spaccati, che riflettono un mondo altrettanto disintegrato e impuro.
Un ritmo molto ben dosato, fatto di brusche acceleratee e momenti di quiete, sino alla scarica elettrica degli ultimi capitoli e a un finale che scioglie tutti i nodi ma ne rivela, all’improvviso, altri e più complicati; facendo tuttavia perversamente calare il sipario come una luce che si spegne all’improvviso e che lascia il lettore al buio, con le proprie domande.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    13 Mag, 2015
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il mio re e' tornato alla grande

Almeno una volta all'anno ho bisogno di lui: ci penso, come un alcolizzato fa con la bottiglia, nei suoi momenti d'oblio più neri. In realtà, lui mi aiuta nell'impresa diametralmente opposta: disintossicarmi. Mi racconta brutte storie in maniera meravigliosa. Cosa che nessuno fa. Perché lui è artefice di cose che nessuno fa. E' il miglior narratore che ci sia. “Narratore”, figura, quest'ultima, che, al pari dell'artigiano o del ciabattino, non esiste più, o quasi. Sono specie in via di estinzione. Maghi in incognito. Prestigiatori che, dal cappello a cilindro, tirano fuori, a colpo sicuro, capolavori su capolavori. Lui è il Re e io sono un suo fedele suddito: lo venero. A volte, in presenza di uno dei suoi capolavori, posso semplicemente perdere la mia oggettività. Avevo un po’ paura nel cominciare a leggere “Doctor Sleep” ma nel mio inconscio sapevo che mi sarebbe piaciuto. Stephen King crea misteri. Alla fine di ogni suo libro, anzi ho azzardato a dire “ogni”, nel mio caso, regna la più pura ammirazione. Qulacosa che assomiglia vagamente alla felicità. Cosa strana... ma io sono strana, quindi c'è una certa coerenza di fondo. Quando leggo qualcosa di suo, non smetto mai di pensare a quella piccola lettrice che, un ventennio fa, muoveva i suoi primi e cauti passi in un'immensa libreria piena delle sue immense storie. Spiando dal basso ripiani che nemmeno riuscivo a raggiungere, curiosavo, senza meta e fretta, tra dorsi rilegati che mi parlavano di macchine infernali, cimiteri viventi e sguardi che uccidono facendo furore, fuoco e fiamme. I miei amici leggevano libri stupidi, io invece mi trattavo bene già da bambina. Andavo a casa con un tascabile: solo Stephen King. Mi mettevo sul letto e cominciavo a leggere:
E’ stato allora,in quella vita, che ho letto Shining. L'amante dei lieto fine che era in me, non sarebbe stata accontentata però. Chissà a quella bambina come sarebbe parso, allora, questo Doctor Sleep? Ho pensato questo, leggendolo, e mi sono detta che quella bambina che, da qualche parte vive ancora in me, l'avrebbe apprezzato, molto. Proprio come ho fatto io da grande. Il precedente, Joyland, era un'opera piccola con una grande maturità ma che non ho apprezzato a pieno.
Questa volta, stranamente, siamo al cospetto di un'opera grande sicuramente di più in cui Stephen si diverte ancora a giocare coi mostri, il soprannaturale, il trenino degli orrori. Si sente la differenza con il “vecchio King”.
Questo è un King anziano che scrive una storia nelle corde del King giovane. Una lotta contro il tempo, un viaggio nel tempo, i cui round e le cui tappe sono scandite in maniera leggermente più studiata e macchinosa del solito.
Qualche difetto c'è, ma il lettore finisce per limare di suo anche quello che non va. Il lettore, io.

Torna il piccolo Torrance che abbiamo conosciuto in Shining. Kubrick o King, film o libro, cambia poco: il primo finisce nel gelo, il secondo nel fuoco di una caldaia esplosa, ma per Danny non c'è pace comunque.
Sopravvivere è una cosa, vivere è un'altra. Come può farlo, lui che ha visto il padre impazzire, l'Overlook bruciare fino alle fondamenta, la madre spegnersi fino a sparire, in nugolo di mosche in volo sul cattivo odore di antichi incubi e rinnovati deliri. Non può, ma l'alcool aiuta: fare a botte, andare a letto con totali sconosciute, tirarsi giù dal letto e aggrapparsi alla tazza del water, per vomitare, vomitare e vomitare, fino a perdere l'anima, aiuta a non sentire le cose che il buio gli sussurra. Era il segreto di Jack Torrance, e certe cose si tramandano nel sangue. I primi capitoli hanno un elevato tasso alcolemico nell'inchiostro; creano un disorientamento che è una piacevole ebbrezza. Ad ogni pagina non sai esattamente dove ti troverai. Con chi, con cosa. E in che anno. Danny diventa Dan, in un altro Stato nasce Abra. Il primo, ormai adulto, è un uomo che tardi ha imparato a confessare agli altri le sue debolezze: gli Alcolisti Anonimi l'hanno condotto in salvo. L'altra, invece, ha imparato a pensare nella testa di Dan ancor prima di parlare: bambina silenziosissima, prima di svegliarsi in lacrime nel cuore della notte, con il peso di un presentimento che, neonata, non può condividere a parole con gli affettuosi genitori e una curiosa bisnonna d'origini italiane. Ha pianto nella sua culla, ha urlato con tutta la furia contenuta nei suoi minuscoli polmoni, ma l'impossibile è avvenuto lo stesso. I due giganti sono crollati fragorosamente e, solo allora, lei ha smesso. L'undici settembre, Abra mostra al mondo la sua straordinaria luccicanza e Dan capisce che se lui è una torcia, quella piccolina è un dannatissimo faro umano. I tempi sono molto dilatati: da un capitolo all'altro, possono passare mesi, addirittura anni.
Stephen King sa essere piuttosto prolisso, e a me sinceramente piace proprio così, con le sue parole splendidamente di troppo. Finché Abra e Dan s'incontrano, seduti sulla panchina del parco, all'uscita della biblioteca comunale: vicini, ma non troppo. Una ragazzina e un uomo adulto: sapete com'è, se ne sentono tante, in giro... Comunicano mentalmente, comunicano tanto. Tra di loro, ma, soprattutto, a quel lettore che, con interesse, apprensione e sentimento, segue il pericoloso apprendistato di Abra e la coraggiosa espiazione di Dan. Una panchina in un parco, una sedia al capezzale di un malato: Dan come il Dottor Sonno. Tra i piedi, il misterioso Azrael: un gattone grigio, che non a caso porta il nome dell'angelo della morte, con un terrificante sesto senso e tanto di non detto che meriterebbe, per me, di essere raccontato in una novella a sé, un giorno. Quella Abra, che non abbandona mai il suo peluche e che con il potere della mente attacca le posate al soffitto.
Poi…..Il Vero Nodo. Rose, il loro carismatico leader, ha la sensualità, gli amanti e gli anni di una millenaria vampira, il linguaggio colorito di un pirata, un cappello a cilindro che sfida la forza di gravità. Eccessiva, energica, focosa. I suoi complici sono al di sopra di ogni sospetto. Vedendoli, infatti, penseresti a un paio di tranquilli e noiosi pensionati, con l'hobby per la caccia all'uomo. Pensionati, o in attesa del pensionamento.
Billy Freeman, il dottor John Dalton, Concetta… luccicano, tutti quanti, come, nel primo volume, faceva il saggio e lungimirante Dick Halloran. Dopo tanti anni, Doctor Sleep è un secondo capitolo che non aspettavamo, non un sequel in piena regola. Molti personaggi sono diversi e le intenzioni sono diverse, proprio come i toni adoperati. King ritorna all'Overlook, esaminando quello che ne resta. Brutti ricordi, fantasmi evanescenti.
Di Shining, da bambina, ho avuto paura. In questo caso, la paura provata era di un altro tipo: paura di andare avanti, di portarlo a termine. Di trovarmi a leggere un epilogo così emozionante, così bello, così definitivo. Paura di vedere svanire la luccicanza in Dan e di veder balenare, per una volta, un tremulo lucchichio nei miei occhi, mai stanchi di cotanta maestria.
E' chiaro e ovvio che in Doctor Sleep molti cercheranno i piccoli piaceri o la piccola malignità comparativa di chi affronta un sequel, e qualcuno proverà a mettere in connessione ogni riga con Shining.
L'approccio è più che legittimo, naturalmente: ma l'invito è quello di provare a leggere Doctor Sleep senza il peso del libro precedente. Shining è un grande romanzo sulla paternità, la diversità, la solitudine. Doctor Sleep è altra faccenda. Anche Doctor Sleep è un libro sulla paternità, come molti di King: credo che uno dei motivi per cui King non ami la versione cinematografica che Kubrick trasse da Shining risieda proprio nell'aver tagliato via la complessità del rapporto che lega Jack Torrance a Danny. Jack è facile preda dell'entità che possiede l'Overlook perché è un alcolista, ed è un alcolista perché a sua volta è stato un figlio infelice ed è un uomo fragile e spaventato dalla sua stessa rabbia. Prima di diventare il "Dottor Sonno", Danny passa attraverso la stessa paura e vive la stessa fragilità: non solo perché, finita la terribile avventura dell'Overlook, alcuni dei suoi spettri sono tornati a fargli visita, ma perché quell'incontro finale, quel lampo in cui il padre riesce a dominare l'oscurità che lo ha imprigionato per tornare a dimostrargli amore (e altro non dico: chi vuole rilegga Shining, senza guardare il film) pesa ancora sul suo cuore. Sarà un bambino a suscitargli l'orrore verso se stesso e la sua esistenza allo sbando. Sarà un'adolescente, Abra, a restituirgli il senso e il fine della luccicanza e a portarlo a un'ulteriore, definitiva riconciliazione col suo essere figlio e il suo essere, sia pure non carnalmente, padre.
Doctor Sleep è questo e altro. Chi ama il vecchio tocco kinghiano sarà lieto di ritrovare i ritmi serratissimi negli scontri con i vampiri psichici del Vero Nodo, che trovano nutrimento nella luccicanza e in chi la possiede. Rose Cilindro e i suoi seguaci sono, sì, villani, ma sono anche antagonisti sdruciti, crudeli ma infelici, relitti che percorrono le strade americane in camper esattamente come altri reduci di bei tempi andati. Fanno paura, e fanno anche pena: e il duello mentale fra la giovanissima Abra e Rose lascia anche un lievissimo moto di empatia verso la seconda, che non è semplicemente una regina nera sfavillante di perfidia, ma anche un'ombra. Poi ci sono le zampate di King, quelle che ti stringono il cuore di lettore, come il tocco di Danny che allevia il passaggio dei morenti: perché a questo serve (anche) la luccicanza, a rendere meno dolorosa la morte, a dare serenità a chi attraversa i mondi, a stemperare la paura di andarsene. Valgono, da sole, il libro. Sarebbe bello concentrarsi su questo e non sui confronti fra un romanzo e l'altro: nell'impossibilità di farlo, godetevelo. E' un gran libro, se non si fosse capito. Doctor Sleep rimarrà una delle storie meglio narrate in assoluto.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    20 Aprile, 2015
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Altalenante

Caso letterario del 2002. C’è stato un periodo nel quale era praticamente in mano a quasi tutte le persone che si incontravano.
Ed eccoci qui, dopo un bel po’ di tempo ho superato lo scetticismo e gli ho dato una possibilità. Ok, lo ammetto, ho avuto forti, anzi fortissimi pregiudizi nei confronti di Giorgio Faletti. Nonostante molte persone conosciute ne tessevano le lodi io ho sempre pensato “eccolo, un altro cantante-attore che vuole fare pure lo scrittore. Facile per lui, basta il nome per pubblicare qualsiasi cosa“. E invece mi sono dovuta ricredere e faccio pubblicamente ammenda.
La trama è ambientata nel Principato di Monaco. Jean-Loup Verdier è un affermato dj di Radio Monte Carlo, ricco e soddisfatto del proprio lavoro e della vita tranquilla e serena che conduce. Tutto cambia durante la diretta del suo programma radiofonico quando un uomo che dice di chiamarsi Uno e Nessuno dichiara pubblicamente la sua intenzione di uccidere per curare il proprio male. Inizialmente sorpreso dalla strana telefonata, Jean-Loup chiude la questione considerandola niente di più che uno stupido scherzo.
Quando però un pilota di formula uno e la sua fidanzata vengono trovati uccisi e orribilmente sfigurati il macabro scherzo diventa realtà. Sulla scena del crimine un solo indizio, due parole scritte col sangue…io uccido…
Da quel momento per Jean-Loup è l’inizio di un vero incubo perché sa che ci saranno nuovi omicidi e che ognuno di essi sarà preannunciato in diretta radio da una terribile telefonata.
Io uccido è un thriller gradevole, mediamente avvincente. Uso il termine “mediamente” perché la tensione narrativa è piuttosto altalenante: a tratti si è sulle spine e non si riesce quasi a smettere di leggere – soprattutto grazie un paio di indovinatissimi colpi di scena – a tratti invece il ritmo rallenta e si ha come l’impressione che l’autore si stia dilungando inutilmente su passaggi che non ne avrebbero alcun bisogno. Questo perché Faletti analizza gli eventi da più prospettive diverse, indagando l’animo e le ragioni private dei protagonisti in maniera particolareggiata, senza però mai perdersi, smarrendo il filo della narrazione. Faletti ha il merito di avere una grande capacità descrittiva, in grado di risvegliare le immagini più paurose che una mente possa partorire. Spiccano dalle pagine del romanzo come attori sullo schermo.
La trama è ben costruita, intricata con gli eventi che si susseguono secondo un disegno preciso, in cui nessun dettaglio è lasciato al caso. Originale è l’idea di un serial-killer che annuncia i suoi delitti in anticipo, servendosi di una stazione radio, e insolita l’ambientazione, un Principato di Monaco inedito e ambiguo, la cui magia fuori dal tempo viene ripetutamente violata da un assassino che appare anch’egli a tratti quasi soprannaturale, dotato di ubiquità e preveggenza. Da un punto di vista narrativo ho trovato eccellente l'uso del tempo passato che improvvisamente passa al presente. Questa tecnica è incredibilmente d'effetto. È come una telecamera che gira indisturbata su un set cinematografico e poi, tutto d'un tratto, zooma sull'assassino, lo spia, lo osserva mentre la rabbia, incandescente come una lama rovente, lo assale prepotentemente e lo segue incessante fino a che la macabra danza termina e cala il sipario.
Sono convinta che "Io uccido" possa essere diversamente apprezzato a seconda che chi lo legga sia un lettore onnivoro o prevalentemente un divoratore di thriller.
Per un appassionato, infatti, che possiede una conoscenza approfondita delle dinamiche interne e dei meccanismi che regolano questo genere letterario, "Io uccido" non costituirà alcuna novità, anzi, a tratti avrà il sapore di un qualcosa di già visto e già sentito.
È probabile inoltre che un tale lettore sia irritato dall’evidente rassomiglianza tra questo romanzo e quelli dei più famosi scrittori di thriller, soprattutto Deaver, il modello più esplicito.
Del resto non gli si può dare tutti i torti: in più punti Faletti sembra quasi scimmiottare i suoi colleghi d’oltreoceano, imbastendo un’americanata in puro stile Csi.
Faletti ha supplito a questa mancanza e per chi non ha mai letto gli originali made in Usa questo può costituire una vera sorpresa, facendo addirittura gridare al capolavoro.
Chi li ha letti, però, non riuscirà a prescindere da essi, giudicando "Io uccido" niente più e niente meno che un buon thriller, il cui principale merito, se così lo si vuol definire, è stato dimostrare al mondo e a noi stessi che un italiano è in grado di realizzare ottime imitazioni della narrativa americana più venduta dei giorni nostri.
In conclusione, se tralasciate una parte iniziale introduttiva e poco coinvolgente e non vi frenate davanti a un uso eccessivamente ricco della parola, sappiate che tra le mani avete un buon romanzo.
Se cercate suspense, l'avrete.
Se cercate il colpo di scena, ahimè no.
Da parte mia un applauso se lo merita.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    28 Dicembre, 2014
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Coinvolgente

La casa (in origine “The Farm”) si colloca tra il thriller psicologico e quello complottistico. E’ un romanzo molto particolare soprattutto per via della struttura narrativa scelta da Smith.
Tutta la storia si basa su un quesito scomodo per ogni figlio: credete a vostra madre o vostro padre? Questa domanda banale, a cui si può rispondere senza troppe ansie in situazioni normali, può diventare un vero macigno se la credibilità di vostra madre è talmente bassa da essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico, nonostante lei vi dica che tutto ciò è un complotto. A chi deve credere Daniel?
Naturalmente per giungere alla verità, bisognerà ascoltare tutto il racconto e valutarne verosimiglianze e elementi incongruenti. Giudice senza nessuna giuria dovrà essere appunto Daniel, protagonista in cui il lettore potrà identificarsi, in quanto come lui ascolteremo per la prima volta il racconto di Tilde.
Tilde, nel frattempo rilasciata dall'ospedale psichiatrico e pronta a raccontare la sua verità a suo figlio Daniel.
Tom Rob Smith crea un thriller dal ritmo serrato, dove le pagine finiscono in un lampo per la curiosità di scoprire chi tra Tilde e Chris, i genitori di Daniel, dica la verità.
La vicenda si svolge a Londra e in Svezia, ma è quest'ultima ad essere l'ambientazione principale, con le sue tradizioni e i suoi paesaggi caratteristici, in cui l'autore riesce a mostrarne il lato bello pur raccontando una storia angosciante.
Daniel ha trascorso un'infanzia tranquilla e serena, grazie a due genitori che si amano, che condividevano il lavoro, oltre alla vita privata, e che discutevano solo quando lui non era presente, facendogli trascorrere fino all'età più adulta una vita felice, ma con la strana telefonata del padre e l'arrivo della madre dalla Svezia verranno allo scoperto segreti e decisioni tenute nascoste, che mostreranno anche la parte meno felice della coppia.
Daniel si ritroverà quasi a non riconoscere i suoi genitori e dovrà decidere se credere al padre o alla storia di sua madre, composta da prove che potrebbero fermare degli assassini.
La storia è divisa in due parti non solo dal punto di vista narrativo, che vede l'alternarsi di breve battute da parte del figlio durante il racconto minuzioso di Tilde e successivamente l'indagine verso la verità di Daniel, ma anche per quanto riguarda la personalità di Daniel, perché nella prima parte è un uomo adagiato sugli allori, che invece di pensare a ciò che sarebbe voluto diventare, sceglie il lavoro più facile, visto che si avvicina molto a quello dei genitori, e che tiene nascosta una parte fondamentale della sua identità; mentre nella seconda parte vediamo il nuovo Daniel, che prende in mano la sua vita. La voce narrante del figlio trasmette ai lettori il proprio punto di vista e quello che percepisce del racconto dei fatti accaduti in Svezia. La voce del ragazzo assume così l’aspetto di un’analisi accurata dei fatti per riferirli al lettore.
Un romanzo fermo per molto tempo sulla stessa storia, che tuttavia non annoia affatto. La ricerca della verità e l'analisi delle parole di Tilde, ci costringeranno ad una full immersion, complici anche i brevi capitoli.
Gli elementi per rimanere affascinati da questo giallo ci sono tutti, dalla trasformazione dei genitori, a una casa in un posto sperduto, strani ritrovamenti, un rifugio chiuso a chiave che contiene una stanza inaccessibile, avvenimenti che sembrano surreali, scomparse, uomini dal comportamento ambiguo e antiche storie di troll, figure minacciose o guardie del focolaio, tipiche del luogo.
Il finale che mi ha lasciato come un'ebete perché non credevo che il libro si concludesse così, tanto che credevo di aver saltato delle pagine o che ne mancassero per errore, lascia ad una libera interpretazione del lettore, ma non vi preoccupate il caso invece viene risolto e viene spiegato.
Un thriller molto coinvolgente, che spero possa diventare un film.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    18 Novembre, 2014
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Il Re ancora sbalordisce

Immagina un formicaio e una lente di ingrandimento. Immagina un raggio di sole attraverso la lente. E immagina di essere la formica, mentre un bambino crudele maneggia la lente…

Ecco lo scenario del nuovo libro del "Re del brivido”; un romanzo corale, visionario, apocalittico, allegorico e di grande impatto, anche dal punto di vista "fisico" (conta 1037 pagine e vanta una copertina artistica, ideata dallo stesso King e da un'equipe di illustratori americani e sudamericani).
Cosa accade quando una comunità viene improvvisamente isolata e tagliata fuori dal mondo a cui appartiene?
E’ questo il tema centrale attorno a cui ruotano le vicende di The dome. Una misteriosa cupola invisibile che cala improvvisamente dal cielo e avvolge la cittadina di Chester's Mills, nel Maine, separandola completamente da tutto ciò che la circonda. Non ci sono né vie di uscita né vie di entrata: ciò che sta dentro, cose, persone, animali, non hanno nessun contatto con ciò che sta fuori. Nelle prime pagine è tutto uno schiantarsi di aerei, auto, camion e uccelli contro il cilindro trasparente che delimita lo spazio: uno scenario apocalittico, con spettacoli per palati forti, degni del miglior King. In quest'orgia da brivido affiorano, uno dopo l'altro, i personaggi, numerosissimi, che compongono la comunità del paese, vera protagonista del romanzo. Tra questi si distinguono presto "i buoni" e i "cattivi". I primi, che cercano di ristabilire la libertà, abbattere la cupola e la sua tirannia, sono capitanati da Dale Barbara, detto Barbie, un ex marine contrario alla violenza, riciclatosi come cuoco in un ristorante locale. Lottano insieme a lui, tra gli altri, una coraggiosa giornalista, Julia Shumway; l'infermiere Dougie Twitchell e il giovanissimo genio dell'informatica Joe "Spaventapasseri" McClatchey.
Ma c'è anche chi potrebbe trarre vantaggio da una situazione come questa, chi ha molto da nascondere e vuole approfittare del clima di terrore che immobilizza tutto e tutti. In prima linea Big Jim Rennie, un uomo politico che non si ferma davanti a niente, neanche davanti all'omicidio. Vuole avere la supremazia in questo "nuovo mondo" ed è appoggiato da suo figlio Junior, che da parte sua nasconde un terribile segreto nella cantina di casa…
Punto di forza assoluto di “The Dome” è il microcosmo che l'autore riesce a creare nel descrivere la classica comunità rurale che rimane bloccata dal resto del mondo per colpa della misteriosa Cupola, che agisce come un campo di forza invisibile e impenetrabile. In pochi giorni il paese di Chester's Mill diventa una sorta di dittatura in miniatura, retta dalla paura e dall'inganno, ma ancor più dall'ignoranza, tipica di chi vive in piccole comunità, imparando a temere il mondo esterno.
King ritorna quindi su alcune tematiche già trattate in passato: la rozzezza dei provinciali, l'ipocrisia di chi si aggrappa a una Fede cieca e di convenienza, la duplice natura dell'essere umano. Non mancano moltissimi stereotipi: il politico affabulatore e corrotto, la polizia locale inetta e violenta, la tossica del paese, l'ubriacone, il forestiero usato come capro espiatorio, l'adolescente geniale, la mamma complessata, il vecchietto eroico, il prete invasato etc etc. “The Dome” è il paradiso degli stereotipi, a guardare bene. Ma King è bravo ad affascinare e a coinvolgere il lettore, tanto che dopo meno di cento pagine ci si fonde pienamente con Chester's Mill, al punto da diventarne a nostra volta abitanti.


Le dinamiche suscitate dalla situazione di crisi animano una narrazione complessa, ricca di suspense e colpi di scena. Dal panico e dal senso di pericolo possono scaturire solidarietà e forza comune, oppure odio e contrapposizione, insomma il meglio o il peggio di noi stessi. Stephen King, eccezionale maestro quando si tratta di raccontare la psicologia, le virtù e le aberrazioni della natura umana, in questa nuova corposa "fatica" dimostra tutta la sua bravura e capacità, affascinato dalle grandi potenzialità di sviluppo offerte dai temi ispiratori del romanzo: temi "universali" come l'istinto di sopravvivenza dell'uomo e la lotta tra forze positive e negative. Un romanzo che, nonostante la lunghezza non indifferente, afferra il lettore e lo trascina nel pieno dell’avventura, rendendogli difficile l’impresa di chiudere il volume prima di arrivare all’ultima pagina.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    30 Mag, 2014
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Il diavolo non esiste!!

A prescindere se si abbia o no letto il primo libro oppure visto il film, è indubbio che se ci si avvicina a questo libro è perchè si abbiamo delle aspettative. Io per prima le ho avute: d’altra parte dopo un film eccezionale come quello con Meryl Streep e Anne Hathaway, era logico che qualsiasi lettore avrebbe letto e immaginato il libro anche come sequel cinematografico. Peccato che, come spesso accade quando le aspettative sono troppo alte, questo “Diavolo veste Prada 2.0” si sia rivelato una delusione. E sapete perché? Perché di “Diavolo veste Prada” non ha proprio niente!
Una delle cose principali che manca a questo libro e che nel precedente c’era è la moda innanzitutto!!! Chi ha amato il primo libro è senz'altro perché ha una grande passione per la moda. Leggendolo si ha l'impressione si far parte della redazione di Runway e la voglia di partecipare a feste esclusive con capi firmati in compagnia di Andy e Emily cresce sempre di più pagina dopo pagina. Senza contare il temibile personaggio di Miranda.
La redazione di Runway è stata sostituita da quella di un’inverosimile rivista di matrimoni di lusso condotta dalle due acerrime nemiche Andy ed Emily. Una rivista di matrimoni di lusso? Quando viene descritto il target a cui si rivolge le parole stridono come unghie sulla lavagna. E poi : ma Andrea non aveva mollato Runway perché voleva scrivere su giornali più seri di argomenti inerenti il sociale? Come ci è finita a scrivere di matrimoni?? Non è coerente col personaggio che era emerso nel primo libro! Dove è finita la Andy che ha mandato a quel paese Miranda lanciando il telefono in una fontana di Parigi nel bel mezzo della settimana della moda? E soprattutto, dove sono finite le sue palle? Sembra che Andy abbia subito una regressione invece che un’evoluzione. Se da un lato la Weisberger ci mostra una donna che ha gettato le basi per costruire un “impero” nel mondo dell’editoria, dall’altro ci fa vedere una protagonista piena di insicurezze.
Sfortunatamente per noi poveri lettori che avevamo già in testa tutto il team di Runway al gran completo e che immaginavamo rivalità, cattiverie, sfilate, moda con stivali di Chanel da migliaia di dollari, scorribande in giro per New York, tradimenti e spregi di varia natura, ci troviamo di fronte una situazione totalmente diversa.
Il libro comincia raccontandoci che cosa ha combinato Andrea Sachs da quando a Parigi, nel bel mezzo della sfilata di Dior, mandò a quel paese Miranda Priestley. Un nuovo amore nella sua vita, una rivista tutta sua da gestire assieme a Emily dal nome "The Plunge" e un periodo di dolce attesa...Ok e che male c'è direte voi. Nessun male. Peccato che tutto questo racconto che comprende fidanzamento, matrimonio, viaggio di nozze ecc. ecc. si protrae per più di 320 pagine e visto che l'intero libro ne fa 447 mi pare un po' troppo. Leggi, leggi, leggi e ti trovi davanti pannolini, appuntamenti dal pediatra, visite ginecologiche, paturnie varie. Ma cosa c’entra la maternità, che volente o nolente è fatta di tute, pappe, pannolini e rigurgiti, con lo scintillante e fashionista mondo di Runway e del “Il diavolo versione 1.0”? NIENTE! E infatti nella parte dedicata al bebè sembra proprio di leggere un altro libro, ambientato in un corso post parto e con personaggi tutti nuovi
Scusate ma Miranda dov'è?
La moda dov'è?
Le sfilate di moda dove sono?
Niente di tutto questo.
Te che leggi ti sorbisci tutta tra trafila di roba di cui non te ne importa nulla nell'attesa che succeda qualcosa. Nell'attesa che arrivi Miranda e che combini una delle sue. Invece niente.
Il libro diventa quasi noioso per la sua ripetitività. Noioso per il fatto che racconta qualcosa che si distacca troppo dalle vicende del precedente. Noioso perchè si arrampica sigli specchi facendo tornare in un paio di episodi pure Christian (il tizio che fa perdere la testa a Andy nel primo libro) e Alex, il suo ex storico fidanzato.

Il diavolo non esiste.
E se esiste è diventato troppo buono e pigro.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    02 Mag, 2014
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Thriller mozzafiato

"La psichiatra" è il romanzo d'esordio di Wulf Dorn, un thriller psicologico che racconta la storia di Ellen Roth, giovane psichiatra che si trova tra le mani un caso molto difficile. Comincia a lavorare a questo caso ma si ritrova del tutto impreparata: la stanza numero 7 è satura di terrore , la paziente rannicchiata ai suoi piedi è stata picchiata, seviziata. È chiusa in se stessa, mugola parole senza senso. Dice che l'Uomo Nero la sta cercando. La sua voce è raccapricciante, è la voce di una bambina in un corpo di donna: le sussurra che adesso prenderà anche lei, Ellen, perché nessuno può sfuggire all'Uomo Nero. E quando il giorno dopo la paziente scompare all'ospedale senza lasciare traccia, per Ellen incomincia l'incubo. Le indagini sulla donna porteranno Ellen sulle tracce di una bambina scomparsa anni prima e scoprirà una verità sconcertante... Chi è quella donna? Cosa le è successo? E chi è veramente l'Uomo Nero? Ellen non può far altro che tentare di mettere insieme le tessere di un puzzle diabolico, mentre precipita in un abisso di violenza, paranoia e angoscia.
“La psichiatra”è un libro che intriga, e al contempo stupisce per l’evolversi della storia fino al raggiungimento di un epilogo insospettabile. Un libro da leggersi tutto d’un fiato, capace di catturare il lettore pagina dopo pagina, attimo dopo attimo, immedesimandosi in questo incubo senza fine...
Pochissime volte (forse una o due) mi è capitato di avere paura mentre leggevo un libro. Beh questa volta mi sono immedesimata nella dottoressa Roth e mi è capitato di dover accendere la luce durante la lettura.. tanta ansia, proprio come piace a me. Ad ogni pagina avevo voglia di girare per leggere la successiva ma al tempo stesso avevo paura mista a curiosità.
E’ un libro perfettamente congeniato perché tempestato di colpi di scena e sorprese che lasciano il lettore stupito e desideroso di continuare a scoprire nuovi scenari, nuove spiegazioni agli strani ed inquietanti fatti che si susseguono. Ad ogni pagina ci addentriamo sempre più profondamente nella mente di Ellen portando il lettore a farsi una serie di domande su ciascun personaggio coinvolto, per cercare di capire dove sia la verità. Non voglio aggiungere altro per non rovinarvi l’andamento della lettura anche perché a me è successo di rimanere stupita e di smontare ad ogni capitolo l’idea che mi ero fatta. È un thriller psicologico davvero ben costruito, dettagliato (senza mai essere pesante) anche nel darci piccole delucidazioni di tipo psichiatrico e che ci apre scenari che mai il lettore avrebbe immaginato e che gli regalano suspense e colpi di scena ricchi di pathos e coinvolgimento. Fino alla fine Dorn è abile nell’instillare nei personaggi (e in noi) piccoli dubbi circa la risoluzione della vicenda e questo rende il tutto accattivante, soprattutto da un certo momento in poi, quando si rischia di restare incollati alle pagine perché ormai si è troppo dentro la storia e si desidera arrivare a capirci qualcosa. E’ un romanzo che mostra quanto labile sia il confine tra normalità e pazzia.
Consigliatissimo…!!!

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Marta* Opinione inserita da Marta*    16 Ottobre, 2013
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Mi viene voglia di lavorare al luna park!!!

CONTIENE SPOILER

Penso di aver letto tutto di Stephen King, finora, a parte pochissime
eccezioni. Ogni suo libro è un universo a se stante, con le sue regole e i suoi svolgimenti.
In tantissime storie assistiamo all’irruzione di presenze inquietanti,
fantasmi, creature ostili di altri mondi nella vita di ignari esseri
umani, portando angoscia e morte, ma ogni volta è come se fosse la prima
volta.
Joyland non fa eccezione.
Devin Jones, l’io narrante, incomincia rievocando l’estate del 1973, quando
era un universitario squattrinato di ventun’anni, alle prese con diversi
problemi spinosi e molto tipici di quell’età. Trovare un lavoro temporaneo
sufficiente per pagarsi gli studi, approfondire la conoscenza della sua
sfuggente fidanzatina, restia a passare a familiarità più complete,
trovare un posto dove abitare, possibilmente vicino al lavoro, capire cosa
fare “da grande”.
Devin risolve il primo dei problemi presentandosi al parco divertimenti di
Joyland, per lavorare come tuttofare, insieme ad altri ragazzi e ragazze
della sua età. Ben presto imparerà che Joyland non è un normale parco di
divertimenti e che non sta al passo con i tempi come Disneyland, ma è un
posto dove si vende divertimento ed improvvisazione alla gente e solo un
"Allegro Aiutante" può realizzare tutto questo.
Quasi contemporaneamente risolve il terzo, affittando una stanza presso la
pensione della signora Emmelina Shoplaw, vedova di un capocantiere del
parco di divertimenti, conoscitrice particolarmente approfondita della
storia di Joyland.
Joyland ha un segreto che la signora Shoplaw conosce bene: quattro anni prima una ragazza, Linda Gray, venne uccisa dal fidanzato alla fine di una gita proprio a Joyland. Il suo cadavere venne ritrovato vicino all’attrazione horror del Castello del Brivido, e da quel momento si mormora che il fantasma “reale” della vittima si aggiri proprio in quella zona del parco, ma non sono molti quelli che l’hanno avvistato, e quando questo capita, nessuno ne parla volentieri.

Devin si ritrova immerso in una nuova vita frenetica, che lo aiuta a sopportare un po’ meglio l’improvviso abbandono della fidanzata, senza spiegazioni, ed effettuato in modo subdolo.
Fino a questo punto, il tono della narrazione e gli eventi descritti lasciano intendere una situazione squallida, dove la mancanza cronica di denaro, la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo, dipingono una vita che è pura lotta per la sopravvivenza. Il lettore si ritrova a compatirlo, per poi meravigliarsi subito di come sia un vincente, suo malgrado. Quasi impercettibilmente, il tono della narrazione cambia; mentre la realtà diventa più solare e più positiva, la dimensione ultraterrena, introdotta dal fantasma, comincia a farsi sotto. Devin, colto da un’intuizione improvvisa che gli permette di ribaltare una situazione potenzialmente disastrosa, riesce a diventare una delle
attrazioni più importanti del parco, nei panni pelosi e caldissimi di Howie, il cane lupo simbolo del parco. Devin guadagna, lavora bene, è apprezzato, fa amicizia con una coppia di ragazzi, Erin e Tom, con cui allaccia un rapporto duraturo, si fa benvolere. Ma Linda Gray è ancora lì. Il fantasma della donna si aggira all’interno del castello del Brivido. Devin scoprirà con l’aiuto dei suoi
amici che l’uccisione di Linda Gray non è un caso isolato ma solo l’ultima vittima di un killer spietato che segue un suo modus operandi e deciderà di svelare il mistero che si cela dietro a queste uccisioni.
Intanto crescono le voci su di lei, le persone che frequentano il parco dei divertimenti sperano di vederla, per poi raccontarlo agli amici. Ma lei non si fa vedere facilmente, e quando lo fa, il terrore che incute è profondo e totale. Lo stesso Devin vorrebbe vederla, ma lei sceglie il suo amico Tom per manifestarsi, segnandolo per sempre. Perché si manifesta? Cosa vuole? Sono interrogativi
cui Devin non sa rispondere, ma dopo poco tempo conosce qualcuno in grado di dargli delucidazioni: Mike Ross, un bambino di circa dieci anni, affetto da una terribile forma di distrofia di Duchenne, che lo costringe per la maggior parte del tempo su una carrozzella e pochissimi anni ancora di vita. E’ un personaggio particolarmente importante, che Stephen King introduce a suo modo, come se fosse un semplice comprimario. E’ tipico del suo modo di scrivere: ciò che è straordinario, nei suoi romanzi, entra dalla porta posteriore, dimesso, quasi distrattamente. Mike Ross è un bambino molto speciale, e non solo per la sua malattia mortale; è un sensitivo e ha una splendida madre trentenne, figlia ribelle di un predicatore molto ricco e famoso, ex-campionessa di tiro a segno. Per quanto debole e costretto a chiedere l’aiuto altrui per muoversi, sarà proprio Mike a salvare Devin dal brutale faccia a faccia con l’assassino di Linda Gray, da lui scoperto quasi per caso.

Probabilmente la trama non è tra le più originali, nemmeno cercando nella produzione oceanica di Stephen King. Essendo uno scrittore di horror, la dimensione che ci fa visitare è popolata soprattutto da fantasmi, vampiri, demoni, cose cattive. E anche i personaggi, riecheggiano diversi “fratelli maggiori” già emersi, come il piccolo sensitivo Danny Torrance
di Shining, il giovane paraplegico Marty Coslaw di Unico indizio la luna piena, o i bambini di It.
In questo romanzo l’autore non vuole affastellare troppi avvenimenti, non
vuole fornire troppi perché, e ha corretto leggermente il tiro nei suoi personaggi. Il fantasma non è il male invasore, da una qualche dimensione oscura: è un segnale del male originato da un disprezzo completamente umano per la vita altrui.
Questo di Joyland é un King rilassato. Niente mostri a turbare i nostri sogni o spargimenti gratuiti di sangue, ma solo poesia velata da una coltre di mistero.
Un mondo in cui la paura si mescola alla purezza di sentimenti quali l’altruismo, la bontà d’animo o l’onestà.
È uno Stephen King nostalgico quello che ci troviamo a leggere, uno storyteller che riesce con il suo stile impeccabile a vendere sogni ed emozioni al lettore. È un romanzo di formazione, una sfida di King verso se stesso nel lanciarsi nel genere thriller che può far storcere il naso a
chi si aspettava un lavoro più complesso e pieno di suspance.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    05 Ottobre, 2013
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Non è detto che una prigione debba avere per forza

Galles, 1987. Un ragazzino, seguendo le tracce di una volpe in un bosco, scopre una grotta nascosta dal fogliame e dai sassi. Ne fa il suo rifugio: quel luogo si chiamerà, per lui, Fox Valley, la valle della volpe. Nonostante il termine volpe venga utilizzato come sinonimo di furbizia, Ryan Lee una volta divenuto uomo non si dimostrerà all’altezza della sua valle. Così come una volpe lo ingannò da bambino, anche nel mondo dei grandi Ryan finirà in un brutto giro per via della sua scarsa destrezza e furbizia.
Stessi luoghi, 2009. Matthew e Vanessa Willard, di ritorno da una visita alla madre di lei, fanno una sosta in una piazzola ai margini del bosco. Hanno litigato. Matthew si allontana, accompagnando il cane a sgranchirsi le zampe e la mente. Al suo ritorno Vanessa è scomparsa. Solamente il lettore è il testimone del rapimento da parte del giovane Ryan Lee il cui fine è il riscatto. Qualche tempo prima si era invischiato con un criminale usuraio, Damon, a cui deve una cifra spropositata. Ora ha visto la BMW di questa donna che sembra essere sola. Ne deduce che sia ricca. Agisce senza pensare troppo. La porterà nella Fox Valley, nella grotta che ha scoperto da bambino. Il piano dilettantesco filerebbe alla perfezione e Ryan potrebbe intascare 100mila sterline (20 per Damon e 80 per lui) se non venisse arrestato per percosse ai danni di un giovane.
Finito in carcere Ryan non confesserà il rapimento di Vanessa, che per tre anni resterà sotterrata in una cassa di legno nella valle della volpe.
Sarà sopravvissuta? Sarà scappata? L’avranno liberata?

2012. Da questo punto il racconto procede alternando la prima e la terza persona narrante. Jenna Robinson è arrivata da poco in Galles e ci racconta stralci della sua vita precedente, una madre con cui non è più in contatto, un fidanzato che lei ha deciso di mollare perché inconcludente. A Swansea Jenna ha trovato un lavoro in un giornale grazie all’amica Alexia. È a casa di quest’amica che Jenna incontra Matthew che è un vedovo non-vedovo, perché il corpo di Vanessa non è mai stato trovato. Intanto Ryan Lee torna in libertà anticipata grazie alla buona condotta e viene ospitato da una ragazza con cui ha tenuto una corrispondenza mentre era in carcere.
Questi sono i fatti che è necessario sapere, perché l’azione si fa convulsa. Dapprima il nesso non è chiaro ma poi diventa evidente che qualcuno vuole colpire Ryan attraverso le persone che hanno a che fare con lui: prima la sua ex fidanzata viene assalita e violentata, poi è la volta di sua madre a subire la stessa sorte. Infine… Alexia scompare e la modalità della sua scomparsa ricalca quella di Vanessa, tanti anni prima.

Il thriller della scrittrice tedesca Charlotte Link gioca sulla psicologia dei personaggi e su una sorta di ‘classico’ enigma che tiene in sospeso fino alla fine: noi sappiamo che adesso Ryan Lee non è il colpevole, ma chi è che può sapere i dettagli del suo crimine precedente? Se il personaggio di Ryan è un poco banale, più interessante è l’universo femminile del romanzo: la ex fidanzata di Ryan, Jenna che per la prima volta in vita sua non va a letto immediatamente con l’uomo che l’attrae (Matthew che non smette mai di pensare alla moglie scomparsa), Alexia, l’ambiziosa giornalista che trascura il marito e i quattro figli, e infine Nora che pur non essendo il personaggio principale è quello più singolare. Nora è la ragazza che ospita Ryan Lee in casa sua e con cui ha tenuto una corrispondenza quando era in carcere, quella a cui lui confida il rapimento di Vanessa: quali sono i meccanismi che spingono una donna ad allacciare una relazione con un carcerato e a sostenerlo, pur riconoscendone le colpe, pur non essendo ricambiata adeguatamente nei sentimenti che prova per lui?

Un finale a sorpresa, con una scena che ci fa restare con il fiato sospeso, per questo piacevole giallo che si svolge in un magnifico paesaggio.




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Marta* Opinione inserita da Marta*    28 Agosto, 2013
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A VOLTE IL KARMA.........

Nell’ottobre 2008 a Scarborough, amena località marina nello Yorkshire, il tempo sembra scorrere tranquillo ma qualcosa cova sotto la cenere.
Un delitto scuote gli animi della cittadina. È stata brutalmente assassinata Fiona Barnes, un’anziana donna colpevole solo di dire la verità costi quel che costi. Le modalità dell’assassinio sono tristemente simili a quelle dell’omicidio di Amy Mills avvenuto lo scorso luglio.
L’ispettrice Valerie Armond incaricata delle indagini intuisce che le morti sono collegate tra loro. Il passato delle vittime e delle famiglie coinvolte si rivela la chiave di volta per capire il presente. Tutto sembra tornare indietro nel tempo a una vecchia storia volutamente dimenticata, occultata da tutti.
Nel 1940 in piena II Guerra Mondiale “una piccola ragazzina era arrivata alla fattoria dei Beckett nel corso delle operazioni di evacuazione dei bambini nelle campagne” per sfuggire ai bombardamenti nazisti. L’undicenne Fiona “che indossava un abito estivo troppo leggero e reggeva una valigia di cartone, e un bambino di circa otto anni dai calzoncini irrigiditi dalla sporcizia e con un pullover di lana simile a un sacco… ”. Brian Somerville era il nome del piccolo orfano ritardato che non proferiva parola, chiamato con odio e disprezzo Nobody, deriso e maltrattato da tutti. Nobody “l’altro bambino” era in seguito scomparso all’improvviso, volatilizzato. C’è forse un nesso tra questa antica e tragica storia e gli omicidi?

Mentre leggi questo thriller di Charlotte Link non si può non pensare a un labirinto, dove al centro c’è l’assassino e fuori ci sono tutti i personaggi del romanzo: ognuno di loro entra nel labirinto e cerca attraverso i vari percorsi di raggiungerlo, ma solo uno sarà corretto, gli altri servono solo per ingannare i protagonisti.
L’ispettrice Valerie Almond, insieme al suo affidabile agente Reek, viene chiamata a indagare; spera di arrivare presto a una soluzione per migliorare la sua carriera ma i casi sono complicati, e nonostante tutti gli indizi portino a un solo colpevole, nulla è come sembra, fino a portare a un finale che stravolgerà le convinzioni che il romanzo ha creato!!!
C’è un segreto, un ragazzo di cui tutti si sono dimenticati, che è sempre stato chiamato Nobody, sarà stato lui a uccidere? Ha ancora senso una vendetta dopo tutti questi anni? Chi può essere così crudele da massacrare due persone così brutalmente?

L’autrice riesce a far vivere i suoi personaggi, a renderli umani, veri con le loro paure, segreti, amori, forze e debolezze; in alcuni passaggi del libro i delitti passano in secondo piano lasciando così più spazio alle caratterizzazioni individuali, per imparare a conoscerli anche attraverso le indagini della polizia.
L’autrice riesce a mantenere alta la suspance e la tensione, non facendo capire fino alla fine chi possa essere l’omicida, e anche quando si pensa di averlo trovato ci si dovrà ricredere, infatti tutti coloro che appaiono nella scena sono allo stesso tempo colpevoli e innocenti. Inoltre, Charlotte Link riesce a intrecciare varie storie senza mai far perdere al lettore la continuità del romanzo.
E’ un romanzo semplice e fluido, composto da capitoli brevi, mai noiosi e le descrizioni sono chiare e fluide.
Questo romanzo è anche un viaggio nella psiche umana, nell’egoismo più totale, alla fine è solo dando identità a “Nobody” che si potrà capire molto di più che il semplice nome di un assassino e comprendere che non si può fare del male sperando che il karma si dimentichi di ciò.
Adatto a chi ama i thriller e soprattutto i romanzi di Charlotte Link (infatti ho cominciato a leggerne un altro dei suoi).

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Marta* Opinione inserita da Marta*    13 Agosto, 2013
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Finalmente! Ma pochi zombie...

Ho atteso tanto questo libro! Per fortuna, grazie all'insistenza dei tanti lettori che hanno sposato la causa, è riuscito a venire alla luce!
Il libro inizia col trio di sopravvissuti e col mitico Lucullo che naviga dopo essere scappati dalle Canarie (e in questa occasione l’autore riassume i libri precedenti cosa non negativa visto il tempo che è intercorso tra l’uscita del terzo e gli altri!!).
La storia si svolge, come Loureiro ormai ci ha abituati, con un susseguirsi di colpi di scena, anche se a volte il deus ex machina appare un po' troppo esagerato per risultare credibile. Se però pensate di trovarvi di fronte ad orde di non-morti vi sbagliate: in questo volume il grosso del racconto sarà dedicato a tematiche quali integralismi ideologici/religiosi, diritti civili e tensioni razziali. Questo è forse il più grave difetto dell'opera: dosando con poca accuratezza le parti riservate alle varie tematiche in questo romanzo, il piatto della bilancia risulta pendere eccessivamente dalla parte delle interazioni tra i viventi trascurando il motivo che ci ha spinti ad acquistare i libri della trilogia, gli Zombie!
Ovviamente non mancheranno momenti di tensione dovuti alla lotta contro i non-morti e brutali smembramenti prodotti dai banchetti Zombie; purtroppo in diverse occasioni idee interessanti, che avrebbero potuto innalzare alle stelle il livello di adrenalina nel lettore, sono state chiuse in fretta o accantonate per dedicarsi all'aspetto umano della vicenda. Soprattutto la conclusione pare affrettata ed avrei gradito qualche pagina in più per capire meglio le ripercussioni di ciò che è accaduto in quello che è lo scenario principale del libro, visto che troppi interrogativi rimangono nella mente del lettore.

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Apocalisse Z
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Marta* Opinione inserita da Marta*    04 Agosto, 2013
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BELLO MA A VOLTE TROPPO ASSURDO!!!!

Ho atteso tanto l’uscita di un nuovo libro di Dan Brown poiché i suoi precedenti romanzi mi avevano fatta innamorare (soprattutto Il Codice da Vinci e Angeli e Demoni). Appena ho saputo dell’imminente uscita mi sono precipitata in libreria a prenotarlo. Appena l’ho preso ero molto ansiosa di cominciare a leggerlo per i riferimenti alla Divina Commedia che ho sempre adorato.
Passiamo ora a parlare di Inferno. All'inizio troviamo un Langdon ferito, debole e affetto da amnesia. Pochi istanti dopo il suo risveglio in ospedale, il professore di simbologia più noto del mondo scopre di essere l'obiettivo di un killer e deve quindi scappare, cercando di ricostruire gli eventi degli ultimi due giorni, eventi di cui non ricorda assolutamente nulla. Il quarto romanzo di Dan Brown comincia così, con una forsennata corsa alla ricerca dei ricordi perduti del professore. Punto di partenza un piccolo proiettore, nascosto nel fodero della giacca del professore,contenente un’immagine modificata dell’Inferno di Botticelli, inquietante dipinto ispirato all’omonima cantica dantesca. Proprio Dante Alighieri si rivela essere il personaggio centrale dell’intricata vicenda perché a lui e alla sua visione degli inferi, in particolare della sua umanità ammassata, disperata e dolente, si è ispirato il visionario progetto dell’ingegnere genetico Bertrand Zobrist, perfetta incarnazione dello scienziato pazzo e megalomane; sotto spessi strati di follia, però, questo personaggio elabora teorie purtroppo non così tanto utopiche. Da qui ha inizio una rocambolesca caccia all'uomo che porterà Langdon a sfruttare la sua conoscenza delle strade, dei cunicoli e dei passaggi segreti dei palazzi per potersi salvare la vita. In un crescendo di azione e di suspense, il romanzo dipana progressivamente, attraverso lo svolgersi di un intricato tessuto narrativo, le fila di un mistero appassionante e inquietante dove niente è quello che sembra e dove si susseguono a ritmo serrato colpi di scena e momenti di grande tensione. Una lotta in cui gli schieramenti avversi finiscono col trovarsi dalla stessa parte e attraverso la quale l’autore ci rivela come a questo mondo i confini fra bene e male non siano poi così netti e precisi, tanto che il male stesso può, esattamente come il bene, diventare talvolta necessario per la salvezza dell'umanità.

Dan Brown, maestro di un genere narrativo che al thriller ha saputo coniugare tematiche storico-artistiche, costruisce ancora una volta un intrigo che, fondendo realtà e finzione, riesce a coinvolgere il lettore e tenerlo col fiato sospeso. Gli scenari sia fittizi che concreti della vicenda risultano molto più famigliari ad un pubblico italiano piuttosto che statunitense (da noi la Commedia di Dante si legge per intero a scuola, come anche riguardo ai musei e i monumenti fiorentini), ma ciò toglie poco, soprattutto per un pubblico non specialista di storia dell’arte o di critica letteraria, al piacere e alla curiosità di decifrare attraverso l’aiuto di Langdon simboli e iconografie, iscrizioni e testi latini, e legare così alla realtà presente raccontata in Inferno i percorsi degli eventi storici del passato. Denso di citazioni e riferimenti colti, lo stile di Brown è invece, come già nel Codice da Vinci, molto più “popolare” di quanto appaia, in grado di catalizzare interesse e attenzione di un pubblico eterogeneo: i più eruditi godranno di piani di lettura più sottili, il resto dei lettori (la maggior parte) ritroverà e riporterà a galla nozioni, anche scolastiche, dimenticate da tempo, ma parte del proprio substrato culturale e formativo.
Di sicuro interesse e attualità è il reale argomento di fondo che fa da base alla trama: il problema globale della crescita della popolazione, smisurata davanti alla capacità del pianeta di tollerarla garantendo le risorse naturali necessarie per tutti. Davanti a questo vero e proprio dramma, attraverso le riflessioni (davvero poi così folli?) di Zobrist, Brown senza dubbio riesce ad inquietare il lettore (in particolare quello più sensibile a questioni etico-morali e ambientali) spingendolo a porsi interrogativi che ad un certo punto sembrano arrivare a ribaltare quella distinzione tra “buoni” e “cattivi” così chiara all’inizio del romanzo. L’aspetto più originale e meno scontato di Inferno è quindi proprio questo, insinuare il dubbio.
Ci sono però alcune pecche nella trama di Inferno: essa stessa a volte è azzardata e in alcuni passaggi rasenta l’assurdo. Le intuizioni di Langdon che lo traggono d’impiccio e aprono nuovi scenari per la sua caccia al tesoro sono spesso forzate; gli escamotage che lui e Sienna usano per fuggire hanno del ridicolo e abbassano notevolmente la qualità del romanzo. E’ solo dopo un centinaio di pagine che il nostro intrepido professore è libero di dar sfoggio delle sue conoscenze e iniziare la caccia che ha funzionato così bene nel Codice da Vinci. In Inferno però provoca una sorta di deja-vu che la rende meno spettacolare, anche se comunque interessante e ammirevole per la quantità di dettagli e nessi che la caratterizzano. Il ritmo dunque diventa incalzante verso metà libro e finalmente si riconosce il migliore Brown. Lo definirei un romanzo “interattivo” perché si può apprezzare appieno solo se si dedica qualche momento alla ricerca: interessante e bellissima la scena del sottotetto di Palazzo Vecchio, ma è necessario sapere come sono fatte le capriate del Vasari e il suo soffitto sospeso per riuscire a visualizzarla. Questo però lo considero un punto a favore di Brown in quanto sprona a documentarsi. Romanzo sconsigliato dunque al lettore pigro.
Un aspetto positivo dei romanzi di Dan Brown è che c’è sempre qualcosa da imparare e quel qualcosa è in genere spiegato bene.

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Il Codice da Vinci, Angeli e Demoni
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Marta* Opinione inserita da Marta*    28 Luglio, 2013
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MI DISPIACE AVERLO FINITO…….FANTASTICO!!!!!!

"Un bel libro, Marcus, non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì sull'effetto cumulativo di tutte le parole che le hanno precedute. All'incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopo averne letto l'ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un'emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito."


Joël Dicker ha appena 28 anni e ha scritto un libro incredibile. Cominci a leggerlo e non smetti più, dimentichi l'ora, il pranzo, gli impegni, è una rovina. Ma una splendida rovina. Quasi ottocento pagine DIVORATE in due giorni e mezzo. Siamo davanti un labirinto di parole nel quale perdersi fino all’ultima riga. Scrive giustamente un critico riportato sulla retrocopertina "se iniziate questo romanzo, siete fottuti". Una lunga, magnifica lettura, e non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. Ma cos'è veramente questo romanzo? Giallo, romanzo di costume, riflessione letteraria, insomma un testo stratificato che può senz'altro dare soddisfazione a lettori dai gusti differenti e divergenti.
E' tutto particolare e originale, a cominciare dalla numerazione dei capitoli alla rovescia (e solo alla fine si saprà perché il capitolo 1 si trova a pagina 717) , alle mille verità che si scontrano in ogni pagina ed ai colpi di scena che stravolgono subito ogni possibile deduzione. Punto di forza di questo romanzo è senza dubbio la sua scorrevolezza. E' inoltre molto avvincente, con colpi di scena che si ripetono in continuazione ad un ritmo sempre più incalzante via via che le ipotesi di soluzione si susseguono. C'è di tutto in questo romanzo, il perbenismo di un piccolo centro della provincia americana, i suoi bigottismi, le sue reticenze, dove ognuno ficca il naso negli affari altrui ma custodisce gelosamente i propri spesso inconfessabili segreti finché una bomba scoppia con un fragore immane, memorabili lezioni per aspiranti scrittori, una storia d'amore totale. Lo consiglio a tutti, a chi ama i thriller, a chi legge le storie d'amore.

Come ogni giallo che si rispetti, tutto si concentra intorno ai fatti di una giornata, il 30 agosto del 1975, giorno in cui Nola Kellergan, quindicenne, scompare dopo essere stata avvistata insanguinata e inseguita da un uomo nel fitto di una foresta.
Da quella sera, della ragazza non si saprà più nulla fino al 2008, quando il suo corpo verrà ritrovato nel giardino della casa di Harry Quebert, celeberrimo scrittore.
Marcus Goldman è uno scrittore all’apice del successo dopo la fortuna editoriale del suo primo e unico romanzo destabilizzato dal blocco dello scrittore e dalla notizia sconvolgente dell’arresto del suo mentore e mastro Harry Quebert appunto, arrestato per l’omicidio avvenuto trent’anni prima.
Il giovane Marcus si schiererà dalla parte di Harry e partirà alla volta della piccola cittadina di Aurora per far luce sulla vicenda e scagionare l’amico.

Ogni capitolo del libro inizia con un consiglio sulla scrittura di Harry per Marcus, consigli che gli aspiranti scrittori gradiranno e faranno propri. Un libro nel libro, una storia che si chiude su se stessa come una spirale infinita.
E Joël Dicker è così bravo a costruire questa finzione letteraria che alla fine delle quasi ottocento pagine si realizza di essere caduti nella trappola.
Se alcuni possono lamentarsi di alcune ingenuità investigative e di una banalizzazione del giallo, non stanno prendendo in considerazione l’intero impianto narrativo acceso da una sola miccia: l’amore per la scrittura, per i libri e per l’amore stesso.


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Marta* Opinione inserita da Marta*    20 Luglio, 2013
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CAPOLAVORO!!!!!

Da oggi in poi quando troverò un libro di Carrisi sarò la prima a comprarlo...sempre! Mi capita per pochi autori e che uno di questi sia italiano mi riempie di soddisfazione. Adesso a distanza di giorni sono ancora qui che penso se mi è piaciuto di più Il Suggeritore o L'Ipotesi del Male.
Quando un romanzo è bello la recensione è una naturale conseguenza e viene da sè, si scrive quasi da sola... be' non sempre è vero. Perchè io sono qui, davanti alla tastiera e sono senza parole. Perchè le storie di Carrisi sono fatte per raggirarti in ragnatele di intrighi e cospirazioni... e io adoro farmi imprigionare dalle sue parole.
Con questo nuovo libro Carrisi ci presenta la mente umana con sfaccettature disordinate e dá al lettore il compito di risistemare i pezzi per dare un volto al colpevole e trovare l'uscita grazie a tutti i fili di Arianna disseminati tra le pagine.
L'epilogo non regala gli stessi colpi di scena del Suggeritore, ma di sicuro qualche colpo lo fa venire e così, sfogliata l'ultima pagina, mi sono ritrovata a battere di nuovo le mani, a ripensare a che storia folle, ma piena di verità abbia plasmato l'autore pugliese.
Così sono tornata nel buio. Dopo il caso del Suggeritore rieccomi di nuovo nel Limbo (sezione persone scomparse) insieme a Mila, una poliziotta ferita nel corpo e nell'anima, coinvolta in indagini che non sa mai dove la porteranno. Rapimenti? Omicidi? Allontanamenti volontari? Ma a Mila non dovrebbe interessare, lei è dal buio che viene, ed è al buio che deve ritornare...
Un giorno però gli "scomparsi" - persone che il mondo aveva abbandonato molto prima che loro abbandonassero il mondo - riemergono dall'oscurità e non per riappropriarsi delle loro vite, ma per uccidere...
In una città senza nome e coordinate, in un "non luogo" che potrebbe essere la casa di chiunque, il Male è tornato. Lo chiamano il Signore della Buonanotte ed è un incantatore di anime con al seguito un'armata che ha subìto il richiamo delle ombre. E chi meglio di Mila - battezzata anni prima dal buio, attratta dalla paura e incapace di provare empatia per le persone - potrebbe gettarsi nell'oscurità?
Eppure Mila ha scelto di lavorare al Limbo per cercare delle vittime, mai dei colpevoli, per non ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con la Morte nelle sue forme più distruttive, e adesso più che mai deve far prevalere la ragione sui suoi insani istinti. Ma Mila è una protagonista lontanissima dalle solite eroine e priva di qualsiasi tipo di clichè. Mila sbaglia, risbaglia e risbaglia ancora. È sveglia, intelligente, acuta, intuitiva, ma ci sono voci dentro di lei che non può fare a meno di ascoltare. Voci che non si vogliono zittire. Mila per venire a capo di questo nuovo incubo si ritroverà protagonista di una macabra danza che vedrà mescolarsi le più semplici logiche della vita. Quelle che ci insegnano da piccoli. Quando ci dicono cos'è giusto e cos'è sbagliato.

Mi crogiolo nella soddisfazione di aver letto un bellissimo romanzo attendendo con ansia il suo prossimo libro...Sono pochi i romanzi che colpiscono l'immaginario del lettore trasportandolo in terre inesplorate e 'selvagge' della letteratura, terre dalle quali, una volta giunti, non si vorrebbe più andare via, non si vorrebbe più tornare alla quotidianità per rimanere in un mondo e in una storia che ti lascia incollato alle proprie pagine e non ti ci fa staccare.
Questo è il sentimento che si prova quando si sta leggendo un capolavoro e, questo, è il sentimento che ho provato nello sprofondare e nel lasciarmi trasportare da L'ipotesi del male.
L'ipotesi del male è un romanzo superbo, scritto con una prosa accattivante.
L'ipotesi del male non è solo un romanzo, ma diviene quasi un manuale da seguire per chiunque voglia scrivere un thriller.

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Marta* Opinione inserita da Marta*    14 Luglio, 2013
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AVVINCENTE!!!!!!!!!!!

Quanto si conosce il proprio partner? Cosa si è disposti a fare quando in gioco c'è un mucchio di soldi tanto da cambiarti la vita? Quanto può sembrare colpevole un innocente, se gli indizi a suo sfavore sono disseminati ad arte?
David, giornalista di una rivista locale, insieme alla moglie Jan, decidono di passare la giornata al parco divertimenti insieme al figlio di quattro anni, Ethan. Ma basta un attimo di distrazione della madre e il bambino scompare nel nulla. I genitori, presi dal panico, cominciano a correre in ogni direzione per rintracciare il passeggino con Ethan e, dopo alcuni minuti che sembrano un'eternità, ritrovano il bambino ancora addormentato e ignaro dello spavento che ha causato.
Quando tutto sembra passato, un altro fatto sconvolgente fa ripiombare nell'angoscia David: anche la moglie Jan sembra essere sparita. Ma il fatto più anomalo è che non c'è traccia della donna nelle registrazioni delle telecamere del parco. Non solo: alla biglietteria risultano essere stati acquistati solo due biglietti. Uno intero e uno ridotto. Quindi solo per un adulto e un bambino.
La polizia sospetta immediatamente del marito e tutti gli indizi sembrano condurre alla sua colpevolezza. David è frastornato dagli avvenimenti ed è costretto a rinviare un'inchiesta relativa a un caso di tangenti - che aveva già minato la facciata di eminenti personaggi pubblici e la sua carriera - per dedicarsi completamente al ritrovamento di Jan e soprattutto alla dimostrazione della propria innocenza.
Ma attraverso difficoltose ricerche, David comincia a scoprire aspetti inquietanti della vita di sua moglie ed è come una voragine senza fondo, dalla quale si sente risucchiato e non riesce più ad emergere...

Ed ecco la mia ultima lettura, un thriller letto tutto d’un fiato. Non conoscevo l’autore, ma sono rimasta piacevolmente colpita dalla sua scrittura scorrevole ed avvincente.
Il tutto inizia in una calda e assolata giornata d’estate, con una famiglia che decide di andare al Parco dei divertimenti. Suspence ed azione partono da subito, con il rapimento del figlio piccolo e la successiva scomparsa della moglie. E’ l’inizio di un’avventura intrigante, pericolosa e piena di colpi di scena. C'è tutto, intrigo, suspence, trama avvincente senza un attimo di respiro.
Ottimo il ritmo e coinvolgente la storia: l’ho terminato in meno di due giorni, e questo è l’unico difetto!!!

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Marta* Opinione inserita da Marta*    14 Luglio, 2013
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Bella scoperta la Gerritsen!!!

Questo è il primo medical thriller che mi trovo a leggere. Non è stato per niente male. Sicuramente in futuro mi riserberò di leggerne altri di questa scrittrice.
Mi è piaciuto come thriller, mi ha tenuta avviluppata in una morsa di tensione e aspettativa scemata soltanto all'ultima pagina. Non ci si annoia di certo con questo libro.
In questo romanzo l’ispettrice Jane Rizzoli è la sola, unica donna in un commissariato di uomini che stentano a riconoscere il suo valore di poliziotta, dalla sua parte però, ha un carattere da leonessa e coraggio da vendere; lei e la sua squadra si trovano ad affrontare quello che la stampa di Boston non tarda a soprannominare il “Chirurgo”, un serial killer sociopatico che uccide giovani donne già vittime di violenza sessuale, estraendo loro l’utero con una tecnica che rivela una certa conoscenza della chirurgia. Ed è proprio attorno al mondo della medicina che ruota questo giallo dai risvolti sorprendenti, che si addentra nei meandri dell’animo umano e della patologia con crudo realismo. Io che lavoro nel campo posso dire che la descrizione delle “operazioni” è fatta molto bene. Dettagliatissime, infatti, sono le descrizioni anatomiche e quelle che riguardano il modus operandi dell’assassino, la cui personalità è talmente complessa e credibile da risultare quasi “vera”, e proprio per questo ancor più inquietante. Il “Chirurgo”, pur non disdegnando di fare altre vittime sembra aver preso di mira la bella dottoressa Catherine Cordell, che già due anni prima, a Savannah, era sfuggita a un altro serial killer, il cui modo di operare era pressoché identico a quello del “Chirurgo”: cloroformio per stordire le vittime, violenza sessuale ed estrazione dell’utero quando la vittima è ancora viva e cosciente. Che si tratti della stessa persona? A escluderlo, un particolare di vitale importanza: il serial-killer di Savannah, infatti, è morto due anni prima, ucciso dalla stessa dottoressa Cordell, nell'estremo tentativo di difesa che l’ha portata a salvarsi, per poi a trasferirsi a Boston, nell'impossibile tentativo di dimenticare l’orrore che l’aveva travolta. In realtà, non ricorda bene la dinamica dei fatti, per una forma di difesa ha rimosso gran parte di quelle ore nei recessi più profondi della sua psiche. Quel che non riesce ad arginare e che si affaccia onnipresente nella sua quotidianità è la paura, autentico palpabile terrore, che l’ha costretta per lungo tempo a una vita estremamente riservata, barricata dietro le mura domestiche.
Solo ultimamente, con grande sacrificio, stava ricominciando a vivere una parvenza di normalità. Ora l’incubo è tornato palpabile, risvegliato dagli ultimi fatti di cronaca, Catherine lo avverte più che mai e la sua sicurezza comincia a sgretolarsi ogni giorno che passa.
La polizia vuole vederci chiaro, ci sono troppe similitudini con quei fatti accaduti a Savannah, ma c’è qualcosa che non torna, come può un assassino ormai defunto tornare a colpire ancora? Oppure non era realmente morto?
Pare un’ipotesi poco plausibile. E allora chi è l’uomo che sta portando avanti la sua opera, divertendosi a giocare al gatto e al topo con la giovane e bella dottoressa, donna affermata, apparentemente sicura e invulnerabile? Tra le pagine del libro entriamo tra i suoi pensieri contorti, osserviamo la realtà con i suoi occhi, seguiamo in prima persona le sue azioni compiute con lucida pazzia.
Allo stesso tempo resta sempre contornato di un alone indecifrabile, perché la sua identità rimane nascosta.

Con la Rizzoli collabora il detective della squadra omicidi Thomas Moore. Fisico prestante e carattere determinato, è ormai avvezzo a una vita pericolosa e senza orari. Il lavoro riempie le sue giornate e occupa anche i pensieri. Cosa vitale per lui, da quando qualche anno prima ha perso la moglie, ha dovuto imparare a sopravvivere. Ma mentre indaga sugli omicidi appare sempre coinvolto in una relazione sentimentale con la dottoressa. Intanto proseguono le indagini e, grazie alla detective Rizzoli, trovatasi estromessa dal caso per un errore, si viene presto a conoscenza di una verità sconcertante…
E’ una vicenda di fantasia quella raccontata nel libro, eppure, riesce a dare più di un brivido lungo la schiena.
Un thriller superbo che gli appassionati del noir non possono assolutamente perdersi e che per i “profani” può costituire un ottimo inizio per avvicinarsi a questo genere che conta milioni di fan in tutto il mondo. Non posso che consigliare la lettura, davvero imperdibile per gli amanti del genere!

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Marta* Opinione inserita da Marta*    18 Giugno, 2013
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....BRIVIDI....

Questo é un libro che fa venire i brividi leggendolo, che raggela l'anima. Il bambino 44 del titolo é la la quarantaquattresima vittima, quindi già si può capire che scenario agghiacciante ci aspetta. Già la copertina del libro (un uomo, solo che cammina seguendo le rotaie, mentre sulla neve ci sono macchie di sangue) comunica immediatamente il senso di solitudine. E la solitudine a cui mi riferisco è quella peggiore, quella in cui ci si trova attorniati da mille persone ma di cui non ti puoi fidare e scambiare neppure una parola. È questa l'Unione Sovietica del 1953. Chiunque è una possibile spia. Chiunque è pronto a tradirti se il risultato può essere una facilitazione anche minima della vita quotidiana. L'unione Sovietica del 1953 è fondata su un sistema che addestra i suoi adepti alla crudeltà e coltiva le paure del popolo. La vita di ogni cittadino è sotto il costante mirino di una Polizia di Stato che per il bene comune si fa portavoce di una legge che punisce e basta. Sei sospettato? Considerati già morto. Così deve essere. Così è.

Il romanzo inizia nel 1933, in un villaggio dell’Ucraina, dove due bambini inseguono un gatto scheletrico nel bosco. Il villaggio è un villaggio di disperati, in cui regna sovrana la fame, a seguito della folle politica staliniana di industrializzazione forzata con il risultato di sette milioni di morti, episodi di cannibalismo e la distruzione completa della società contadina.
Si è disposti a mangiare chiunque e qualunque cosa pur di sopravvivere anche se per poche ore. I due bambini rincorrono di nascosto nel bosco questo gatto per fare una sorpresa alla madre: un pasto caldo come non succedeva da tantissimo tempo. Alla fine di una concitata lotta in cui hanno loro la meglio il sipario cala bruscamente sulla scena di un uomo che brandisce un bastone e uno solo dei bambini che torna a casa, a mani vuote. Immagazziniamo in un angolo della mente la scena dei fratellini affamati - dovremo riprenderla molto più avanti nel corso della vicenda che compie un balzo in avanti, a vent’anni dopo.
È il febbraio del 1953, poco meno di un mese dopo sarebbe morto Stalin, ci sono ancora due fratellini al centro della scena, giocano a palle di neve, litigano, il più piccolo si allontana, verrà trovato morto. È lui il “Bambino 44”: la versione ufficiale dice che è stato travolto dal treno, che era troppo vicino ai binari. Ma suo padre fa parte della polizia segreta e cerca di ribellarsi alla legge del silenzio: suo figlio aveva la bocca piena di terra e l'addome lacerato. Suo figlio, cinque anni non ancora compiuti, è stato assassinato. Questo è il problema: non esiste la criminalità nella Russia sovietica, i delitti sono il prodotto della società capitalista. Quando si verifica qualche morte ‘impropria’, l’importante è incriminare subito qualcuno - un ubriacone, un vagabondo, un relitto della società - che sia plausibilmente il colpevole. E non in grado di replicare. Ma anche se lo fosse… i sistemi che si applicano nel famigerato carcere della Lubjanka sono tali da far confessare qualunque cosa a chiunque.
È proprio a questo punto che entra in scena l'eroe del romanzo, Leo Stepanovic Demidov e non ci piace per niente, ne facciamo la conoscenza in una stanza del Condominio 18 dove abita il collega, padre del bambino morto. Leo è un servo di quello Stato maledetto, ubbidiente alle direttive: bisogna dire a dei genitori in lacrime che non è vero che il bambino è stato trovato nudo, che non c’era nessuna orrenda lacerazione, che è stato un incidente.
Archiviata questa "bega" si deve occupare di "cose più serie e che competono al suo ruolo": inseguire e catturare la spia Brodskij. Dopo un inseguimento lungo lo cattura e lo riporta alla fattoria in cui abitano i contadini che lo avevano coperto (crimine mortale!). Lì lo attende il suo collega pronto ad uccidere i traditori con le loro figlie. È qui che l'antipatico Leo ci fa intravedere uno spiraglio di qualcosa di nuovo in lui, nel disgusto che prova quando vede uccidere i contadini a sangue freddo, e dopo, quando deve assistere alla tortura per far parlare Brodskij. Dopo la risoluzione del problema arriva il punto di svolta del romanzo: a Leo viene assegnato il compito di sorvegliare sua moglie. Il che significa denunciarla come spia. Oppure essere ritenuto suo complice. Decide di essere leale alla moglie perdendo così la posizione di prestigio, condannando anche i genitori a perdere tutti i vantaggi che il suo ruolo gli aveva procurato. Per cosa poi? Lealtà verso una moglie che troppo tardi gli confessa di averlo sposato solo perché aveva paura di lui e del suo ruolo.
Ci fosse solo questa traccia da seguire, si tratterebbe di un banale romanzo di indagine poliziesca; invece il romanzo diventa straordinario, profondo, angosciante e carico di tensione mentre segue il percorso di crescita di Leo che da legnoso personaggio sgradevole diventa sempre più terribilmente umano grazie all'avvilimento, alle privazione e alla sofferenza. La ribellione lo porterà all'esilio, ma questa volta Leo non subirà le scelte degli altri, perchè vorrà fare giustizia catturando il killer che ormai ha già barbaramente ucciso 45 bambini, tutti secondo lo stesso modus operandi.

Tom Rob Smith é stato capace di creare nel lettore la psicosi di essere sorvegliato, con il risultato di provocare una tensione fortissima. Un consiglio: iniziate il romanzo a fine settimana e annullate ogni impegno. Perché in ogni caso non vi terreste fede, vi dimenticherete di tutto, assorbiti nella lettura.
Bambino 44 è forse il thriller più esplosivo, più sinistro (ma soprattutto più politico) degli ultimi anni.




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Racconti
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    07 Giugno, 2013
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...è ovunque...

Non conoscevo questi tre autori ma ne ho sentito ben parlare e mi sono detta: buttiamoci!!!
Beh l'atterraggio non é stato proprio soft ma neanche pessimo, giusto qualche graffio.... Mi aspettavo di meglio sinceramente. Il minimo comune denominatore della raccolta è il mondo opaco, tragico, delirante della droga, e in particolare della cocaina e del suo potere nocivo, vista e vissuta nelle sue più varie declinazioni.
Narrano differenti storie, di personaggi e intrecci che hanno a che fare, o che hanno avuto a che fare, con questa droga che ha segnato la società dagli anni Ottanta fino a oggi.


A dare il via alla narrazione c’è Massimo Carlotto con una storia ambientata nel Nord Est ed un protagonista, l’ispettore Campagna. In queste prime pagine il sentimento che emerge è l'indifferenza: l’indifferenza del poliziotto che combatte le organizzazioni criminali che sono coinvolte col traffico di cocaina e di qualsiasi altra sostanza stupefacente e le combatte senza speranza, senza un vero interesse per la costruzione di una società migliore, più pulita. Un poliziotto disilluso e arrabbiato col mondo, indifferente e convinto che il suo lavoro non servirà a niente. Va avanti più per senso di inerzia e per dovere che per passione o per pura convinzione. L’indifferenza dei colleghi, delle persone che stanno intorno al protagonista che con cinismo e noncuranza continuano a fare la propria vita. I protagonisti, sia quelli positivi che quelli negativi, sono uomini statici che contemplano il corso degli eventi senza agire e senza cambiare minimamente.

Tocca poi a Carofiglio mantenere alto il livello della narrazione e ci riesce perfettamente, meglio del collega sicuramente, con un racconto che è forse il migliore del volume: protagonisti uno scrittore in crisi da pagina bianca ed una ex ispettrice di polizia, in una trama che si fa avvincente nel dialogo, davvero ben costruito, fra i due. È il racconto di una storia segnata, anche se in modo indiretto, dalla cocaina . È una storia densa di umanità e di nostalgia, e anche di speranza. Sentimenti che erano assenti nel primo capitolo. È l'unico dei tre racconti che ha veramente una storia e non solamente un intreccio di fatti e di personaggi. È una storia che vale la pena di leggere. Il finale è aperto e lascia spazio a molteplici interpretazioni.
Se questo Carofiglio continuerà nella sua vena thriller sicuramente diventerò una sua fan.

A chiudere il volume è chiamato Giancarlo De Cataldo con "Ballo in Polvere" che ci regala una Milano nerissima, in una storia che affonda le sue radici tra narcos messicani e servizi segreti, in un giro del mondo del traffico degli stupefacenti. Mi è sembrato molto caotico : Messico, Italia, traffico di stupefacenti, 'ndrangheta, infiltrati ; tutti frullati in vari capitoli che sembrano piccoli flash di una storia che è poco lineare e abbastanza contorta seppur scritta in maniera ineccepibile.




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Libri per ragazzi
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    06 Giugno, 2013
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ADOLESCENZIALE


É un libro leggero e frizzante, ma romantico. Tratta fondamentalmente di una partita di ping-pong sentimentale. Alice e Carlo. Stessa classe e stesso banco: si parla principalmente d’amore, unico sentimento in grado di farti spuntare all’improvviso le ali ai piedi e librarti in volo e farti precipitare nel vuoto nell’attimo successivo, senza nemmeno un paracadute con cui limitare i danni. Ed è proprio così che si definisce Alice, la protagonista femminile del romanzo, una “nata senza paracadute”, ragazza fragile, insicura e sognatrice che preferisce nascondersi piuttosto che vivere la vita e le proprie emozioni e che quando prova finalmente a buttarsi nelle grinfie del primo amore, lo fa per una relazione completamente sbagliata che le lascia solo rabbia e delusione oltre ad un retrogusto amaro in bocca. Alice che crede nell’amore e aspetta quello vero...
Carlo, un ragazzo imbranato, che non ha modelli da seguire ed è maledettamente ingenuo, senza maschere. Carlo che osserva Alice da lontano, come una meta irraggiungibile, un sogno che non si può neanche sfiorare. Diciotto anni. La maturità. La paura di non farcela. Di svegliarsi un giorno e non sapere che fare nella vita.
Ma Alice questo non lo sa, non sa che qualcuno da molto tempo la osserva e la desidera, mentre lei cerca di rimettere a posto i cocci della sua esistenza... Fin quando arriva l'occasione giusta per far incrociare i destini di Alice e Carlo che da sempre si sfioravano impercettibilmente senza però mai incrociarsi del tutto.
Scoppia così una passione semplice e travolgente, due vite apparentemente diverse ma in realtà molto simili, i conflitti familiari, l’amicizia, la maturità alle porte e l’incognita del futuro che incombe sul presente.

Questo libro me lo hanno regalato altrimenti non l'avrei mai comprato di mia iniziativa. Il romanzo si sente che è scritto da un'adolescente, che ha inserito molte tematiche ma ne ha sviluppate poche. Sembra quasi che la Carcasi, volendo scrivere un libro sugli adolescenti "serio", abbia sentito la necessità di appesantire la sua storia invece.
In generale i due ragazzi sono molto tranquilli però mi paiono troppo ingessati, troppo spenti. Due morti di sonno insomma. E la riflessione di Alice alla fine della sua parte, dopo aver incontrato il suo ex Giorgio al bar mi ha fatto davvero cadere le braccia. "Ma le stelle quante sono" è quella che si può definire una lettura carina, senza impegno e senza noia. Anzi anche con un po' di noia quando si gira il libro e si legge la versione di Carlo, che è ben poco differente da quella di Alice, voce e personalità incluse. Sicuramente gli adolescenti ci troveranno di più di quello che ci ho trovato io, e va bene così.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    03 Giugno, 2013
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IL DOLORE TI LOGORA DA DENTRO

Non conoscevo i libri di questo scrittore, ma sapevo che il film “shutter Island” è stato tratto da una delle sue opere. Poiché il film mi è piaciuto molto mi sono avventurata alla scoperta di Dennis Lehane. Beh la sorpresa è stata sorprendente!!
Mi è piaciuto tantissimo fin dalle prime pagine. La storia è scorrevole e mai ripetitiva. Mi ha tenuta incollata per due giorni alle sue pagine rubandomi il sonno. Libro avvincente, agrodolce, capace di scovare l’ironia nel momento più adatto e meno aspettato.
Questo scrittore ha un’abilità: rovesciare continuamente la prospettiva. Si capisce dal film Shutter Island che lì il ribaltamento, inaspettato e spettacolare, avveniva in due terzi della narrazione. Qui i rovesciamenti sono continui per tutto il racconto. Suspance e pathos sono sempre al massimo.
I protagonisti sono una coppia di investigatori, Patrick Kenzie e Angelica Gennaro. I due già si conoscevano da quando erano ragazzi, si sono amati e poi la vita li ha mandati per strade diverse facendoli rincontrare e lavorare fianco a fianco.
Il tutto comincia a Boston, con loro due che vengono rapiti e narcotizzati per conto di Trevor Stone e portati al suo cospetto. Trevor, un uomo ricco e potente, magnate multimiliardario il cui patrimonio eguaglia il PIL di un paese medio latino americano. Stone vuole il meglio sulla piazza e non ammette scuse perché il lavoro che gli commissiona gli sta molto a cuore: devono ritrovare sua figlia Desirèe, bellissima e inafferrabile fuggita in preda alla disperazione dopo la morte della madre. Sono quattro settimane che non si hanno notizie di lei e nemmeno Jay Becker, detective che per primo le era stato sguinzagliato dietro. Iniziano le ricerche ma con il procedere delle indagini emergerà una realtà diversa, molto più complicata e oscura…. e le domande si accavallano. Nulla è come sembra, nessuno è come sembra.
Mi dedicherò alla lettura di altri suoi libri sicuramente!

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Marta* Opinione inserita da Marta*    25 Mag, 2013
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Complesso ingranaggio ma che riesce ad intrattener

La Cappella dei Penitenti Grigi è un thriller storico in cui il racconto si dipana su due livelli e in cui la trama principale è più complessa di quello che sembra: una trama è ambientata nel passato e l’altra ai giorni nostri creando un intreccio complesso di personaggi.
Questo genere di thriller già ci è noto ed è stato reso famoso da Dan Brown e Glenn Cooper, per poi diventare preda di molti emuli, più o meno all'altezza.
Maurizio Lanteri e Lilli Luini hanno il pregio di non voler imitare gli illustri colleghi. Come già detto la struttura narrativa del loro romanzo è basata sull'alternanza tra presente e passato (molto usata e tipica di Cooper), ma il ritmo è molto diverso e la ricostruzione e i dettagli storici sono molto più accurati. Impossibile non notare il grande lavoro di ricerca che c’è dietro questo libro: con molta precisione vengono descritti i luoghi visitati dai protagonisti e i fatti storici sono riportati fedelmente. E’ notevole la descrizione della Camargue, una zona molto particolare del territorio francese che viene fatta vivere al lettore con dovizia di particolari.
Sono molti i personaggi, forse troppi, ognuno con qualcosa da nascondere, ognuno agendo con una scopo ben preciso (chi per uno scoop giornalistico, chi per un articolo universitario chi per nascondere un crimine…). Appunto perché sono così tanti i personaggi risulta un po’ difficoltoso capire chi siano i veri protagonisti, ma nonostante ciò ogni personaggio è ben caratterizzato svolgendo un ruolo ben preciso nella storia e diventando a sua volta un tassello di un gigantesco puzzle.
La curiosità del lettore viene stuzzicata già nelle prime pagine in cui i due autori forniscono pochissime informazioni sugli eventi narrati passando subito ad altro. Vengono lanciate tante piccole esche in ogni capitolo inducendo chi legge a non volersi staccare dalla lettura per saperne di più. Pagina dopo pagina nascono mille congetture quando finalmente si è convinti di essere arrivati alla conclusione del mistero ecco che nelle pagine successive si scopre che è solo una piccola punta di un iceberg che nasconde molto di più.
La lettura non è molto scorrevole soprattutto per i molti fatti narrati e per la presenza di parecchi personaggi ma nonostante ciò i due autori sono riusciti a creare un intreccio fittissimo di storie e segreti in cui si rimane intrappolati come in una regnatela.

Tutto inizia con il ritrovamento del corpo di una donna, appartenente ad una giornalista parigina, Deanne Brèchet. La colpa inizialmente viene fatta ricadere su una ricercatrice della Sorbona, Fabienne Lacati, a cui la giornalista era legata sentimentalmente.
La relazione tra le due donne non è idilliaca: Daenne è innamorata mentre Fabienne vede la presenza della donna come un intralcio alla sua carriera come ricercatrice. Daenne viene poi ritrovata morta e
viene incolpata Fabienne poiché la sera prima del ritrovamento le due avevano avuto una violenta lite. Peccato per Fabienne che non sia la prima volta che si ritrova invischiata in una storia del genere. A toglierla dai casini è l’insegnate italiano Daniele Ferrara, trascinato ad Aigues-Mortes da un suo vecchio amico che sta lavorando su un servizio storico per conto di una tv. Da questo momento in poi i due cominciano ad indagare scoprendo una rete di intrighi che li porterà molto lontano.

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Consigliato a chi ha letto...
Glenn Cooper e Dan Brown
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    18 Mag, 2013
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Fiacco

Devo premettere che non conoscevo il precedente stile narrativo di Winslow. Il libro me lo ha consigliato vivamente il ragazzo della libreria e ne era entusiasta.
L'ho trovato comunque un libro veloce nella lettura, sceneggiato (i capitoli sono brevissimi, a volte sono composti da una parola soltanto!).
Un linguaggio molto sciolto, ricco di parolacce e di dettagliate scene sessuali. Per chi dunque non amasse queste due caratteristiche meglio evitarlo a priori.
Lo stile narrativo nel complesso mi ha convinto, risultando molto simile, a mio avviso, allo stile cinematografico di Quentin Tarantino (stacchi improvvisi e spezzoni di dialogo in forma di sceneggiatura).
Devo però dire che l'inizio é risultato per lunghi tratti francamente noioso ( é una lunga introduzione ai protagonisti principali) arrivata poi a metà del libro è cominciato ad essere un po' più interessante.
Passiamo ora alla storia.
È un racconto molto semplice e a tratti scontato.
Per quanto riguarda i protagonisti, attraverso azioni al presente e flashback del passato, impariamo a conoscere: Ophelia, Ben e Chon.
Ophelia che si fa chiamare semplicemente O, in aperto contrasto la madre Paqu. La sua vita è basata su Ben e Chon e godersi ogni istante della vita che le offrono.
Chon è un ex-soldato che è stato in Afghanistan. E' uno che lascia parlare più i fatti che le parole a cui comunque da il giusto peso.
Ben è invece l'intellettuale del gruppo, la mente, lo psicologo che pensa ad ogni minima cosa che fa, è buddista ed ha compiuto numerosi viaggi umanitari in giro per il mondo.
La passione che lega i tre, oltre a quella sessuale e amorosa, è l'erba.
Chon e Ben sono proprietari "dell'azienda a conduzione familiare" specializzata nella coltivazione idroponica di una qualità pregiata di marjuana.
Tutto sarebbe bello e facile per tutti e tre, che per tenere lontana la polizia pagano il corrotto Dennis ma come ogni cosa bella ci sono i se. Il se sono i messicani e il cartello della Baja.
I messicani vogliono la loro erba e per convincerli spediscono loro un video che punta dritto al cuore la "ditta Ben & Chon".
Non restano che due alternative: incassare i dividendi e ritirarsi o accettare la sfida in campo aperto e prepararsi a una battaglia senza esclusione di colpi, nella quale a essere in gioco non sarà solamente la loro impresa commerciale, ma la loro stessa vita. Sarà un crescendo di violenza e ritorsioni in cui tutti si faranno male. Loro due contro i cartelli messicani.

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Romanzi
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    09 Mag, 2013
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INTENSO E FEROCE

Parigi del XVII secolo: questa è la storia di un uomo che visse la sua esistenza attraverso il solo senso dell'olfatto. Sin da bambino viene ignorato da tutti, anche dalla stessa madre, perché non riconosciuto appartenente alla specie umana, proprio a causa della totale assenza di un proprio odore.
Jean-Baptiste passa i primi tredici anni della sua vita in un orrendo orfanotrofio senza avere amici, essendo deriso da tutti ed evitato. Ma è proprio lì che scopre di avere una qualità eccezionale, che lo renderà unico: un olfatto di straordinaria sensibilità.
Da adolescente comincia a lavorare in una conceria di pelli, successivamente in una bottega di un profumiere italiano Giuseppe Baldini in cui potrà apprendere le fondamentali tecniche di produzione di un profumo. Il profumiere capisce che Grenouille, con la sua genialità, può essere per lui una straordinaria fonte di successo. Ma Grenouille desidera andare oltre, saperne sempre di più e si allontana dalla bottega, lasciando in eredità al profumiere un libretto di ricette. Inizia la sua ossessione: non avendo un proprio odore comincia la creazione di un profumo perfetto, un profumo che possa assoggettare l’animo umano. Tutta la sua vita da quel momento è indirizzata alla ricerca di questa perfezione che vuole raggiungere ad ogni costo. Si fa Dio arrivando ripetutamente ad uccidere donne giovani e belle per catturarne l’essenza. E’ un uomo fuori dal mondo a cui non importano sesso, amore, gloria potere e ricchezza ma solo il profumo, il profumo di ogni cosa. Proprio questa sua ossessione lo porta a diventare un maestro profumiere, riesce ad imitare qualsiasi odore mescolando ingredienti inconsueti. Comincia così ad usare i profumi come dei vestiti, che gli permettono di accedere ovunque egli voglia rapendo le menti di chi gli sta intorno, illudendoli di avere di fronte chissà chi: tutto grazie ad un profumo!
Il suo percorso solitario verso una perfezione che di per sé è disumana (poiché per natura l’uomo è imperfetto) lo allontana definitivamente dall’amore verso gli esseri umani.
L’ho trovato un libro veramente affascinante e diverso dal solito anche per il linguaggio con cui è scritto. Il protagonista mi ha affascinata, con la sua capacità di vedere il mondo da una prospettiva diversa e unica, preclusa a tutti gli altri ma allo stesso tempo mi ha ripugnato, sconvolgendomi con la sua mancanza dei sentimenti umani basilari. Lettura intensa, in grado di trasportare il lettore all’interno della storia permettendogli, quasi, di percepire i profumi migliori e peggiori.
Finale del libro bellissimo, diverso dal solito, è una sorta di legge del contrappasso. Veramente un libro che si deve leggere e rileggere.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    01 Mag, 2013
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Intrigante


Allison Spooner, protagonista di questo thriller, è una ragazza che ha un sacco di problemi, lo si può dedurre già dalle prime righe.
Non conoscevo questa scrittrice, ma devo ammettere che è stata molto brava a presentare questo personaggio: è sola al mondo, sua madre è morta e del padre non si hanno notizie da parecchio tempo. All’università va avanti a fatica, lavora per pagarsi gli studi, l’affitto, le spese. Poi Jason. Jason, sul quale ha puntato tutti i propri sentimenti e le proprie aspettative. Jason, che invece l’ha lasciata sola.
Tutte buone ragioni per lasciare un biglietto di addio, per recarsi in un inverno gelido al lago. Cammina sola cercando di schiarirsi le idee, cercando di trovare un senso alla sua vita, ma giunge troppo velocemente alla conclusione di volerla farla finita sul serio.
La vita le avrebbe riservato qualcosa di meglio? La risposta definitiva è NO.
Il giorno dopo viene ritrovato il corpo e le indagini vengono affidate inizialmente a Lena Adams, ottima poliziotta ma con alcuni scheletri nell’armadio belli grossi che riguardano, però, tutto il comando di polizia della contea di Grant.
Grant, una cittadina di provincia, una di quelle in cui tutti conoscono tutti, in cui tutti cercano di proteggere tutti e in cui alla polizia piace lavare i panni sporchi in privato lasciando fuori chiunque non faccia parte del giro.
Altra figura femminile rilevante è Sara Linton, pediatra e vedova da poco. Tornando a casa per le feste e per rivedere la sua famiglia e in particolare sua sorella appena tornata, incinta, dall’Africa, viene coinvolta in questo caso poichè uno dei suoi vecchi pazienti è stato accusato dell’omicidio di Allison Spooner. Si ritrova così a combattere gli spettri del passato, un passato che l’ha segnata profondamente e che le ha portato via suo marito.
È tra questi due fuochi che l’agente speciale Will Trent dovrà destreggiarsi. Sarà lui a essere chiamato a risolvere il caso di Allison che naturalmente nasconde molto più di quanto possa apparire.
Questo libro mi è piaciuto molto. Ho faticato ad ingranare ma una volta partita è stata dura staccarsene, volevo arrivare alla conclusione di questo caso.
I personaggi sono bel delineati, credibili, non sono perfetti. Sono caratteri buoni e cattivi allo stesso tempo, pieni di sfaccettature, sono persone normali che possono commettere degli sbagli. Li ho adorati uno per uno perché sono umani, a seconda del punto di vista possono essere mostri o divinità. Il libro è realista fin nei minimi dettagli. Le indagini non sono arricchite di fantasia, incespicano perché si incontrano problematiche che si possono riscontrare ogni giorni nei dipartimenti. Nessuna coincidenza improbabile, nessun colpo di fortuna che ti porta sulla pista giusta come per miracolo.
Come ho detto ho incespicato un pò all'inizio ma solo perché la trama parte intricata, caotica per poi delinearsi piano piano, vengono svelati segreti, vengono aperti dei cassettini che rivelano begli scheletri. Fino a giungere ad un finale inaspettato.

Scrittrice fantastica. Mi aspettano gli altri libri di Karin Slaughter!!!!!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    25 Marzo, 2013
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Parossistico

Ho appena finito di leggere questo thriller.
La copertina mi ha attirato da morire.. Ben congegnata!!!! E sono stata spinta all'acquisto anche dal fatto che negli Stati Uniti è diventato un best seller al punto che stanno pensando di farci un film (qualcuno può pensare che la motivazione sia un pó superficiale, e non vi biasimo, ma cosa vi posso dire... la curiosità è donna!!!).
Un libro basato principalmente su equilibrio-squilibrio di una coppia. Ben scritto anche se la trama é un pò scontata. Diciamo che comincia a diventare interessante nella seconda parte. Lo definirei sfizioso. Non mi sento di consigliarlo agli amanti del thriller VERO E PROPRIO. È un thriller anomalo....
É scritto in modo interessante perché durante il racconto della scomparsa di Amy cominciano a snodarsi le vite dei protagonisti che raccontano versioni diverse dello stesso argomento: il loro matrimonio.
All'inizio è inevitabile schierarsi contro Nick (il marito belloccio) che reagisce alla scomparsa della moglie in maniera fredda ed indifferente. Ma siamo sicuri che Amy sia la donna e moglie amorevole che vogliono farci credere le parole del suo diario?????????? La parte del buon maritino e della brava mogliettina a questi due va un bel pò stretta: sono una "famiglia atomica" (termine usato proprio dalla scrittrice) pronti da un momento all'altro a saltarsi al collo. Però c'é qualcosa di anomalo che li unisce: l'amore malato, le perversioni reciproche? Tutto troppo perfetto, é questo che direte leggendo il libro. Ma mano a mano che la storia si dipana la narrazione diventa disincantata addentrandosi nella fitta ragnatela di un rapporto complesso.
Bugie e segreti, essere e apparire sono i concetti contrapposti alla base del libro e del rapporto tra Nick ed Amy. Devo dire però che Gillian Flynn riesce a gestire e a giocare bene con questi concetti stuzzicando la curiosità del lettore. Tra Nick ed Amy si gioca una partita a scacchi crudele.
Mi ha un pò deluso il finale: avrei preferito un epilogo più deciso.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    21 Marzo, 2013
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Il filo conduttore del libro è l'imprevedibilità

Questo è un thriller caratterizzato da un'atmosfera agghiacciante, con una storia imprevedibile ma anche commovente e una protagonista femminile che non si può dimenticare. Tiene incollati fino all'ultima pagina ed è ricco di colpi di scena!!
Il libro sembra diviso in tre parti ma nient'altro non sono che le fasi della vita di Alex: la prigionia, la fuga, il passato.
Alex, vittima e colpevole. Non si può comunque non simpatizzare per questa donna (soprattutto nella prima parte del libro) nonostante il suo lato oscuro ed instabile. Donna molto bella e molto oscura...
Alex inizialmente ci appare come la classica vittima di uno dei tanti "uomini che odiano le donne", ma mano a mano che l'indagine procede, emergono particolari sempre più inquietanti.
La verità alla quale pensiamo di essere pronti non è proprio dietro l'angolo. Tutto il racconto diventa una sorta di labirinto dal quale risulta difficile districarsi fino all'ultima pagina.

Oltre ad Alex l'altro personaggio principale, il comandante Camille Verhoeven, è fantastico. Suscita simpatia perchè sembra che dal basso del suo metro e quarantacinque "non essere all'altezza del caso", quando invece, nonostante il suo passato lo perseguiti, porta avanti questo caso con cocciutaggine fino a quando non è soddisfatto del risultato.
E' un thriller che ci aiuta a ripensare al sottile confine che esiste tra la vittima ed il suo carnefice. La fa da padrona l'imprevedibilità!!
Consigliatissimo!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Marta* Opinione inserita da Marta*    19 Marzo, 2013
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Avvincente

Uno dei libri più belli che abbia mai letto!!!!!
Questo romanzo mi ha turbato positivamente, si tratta di uno di quei libri che rimangono nella mente anche mentre non stai leggendo.
Il titolo originale è "Asylum". Questo è spiegato dal fatto che lo scrittore trascorre gran parte della sua infanzia nel manicomio criminale di Broadmoor, sede di lavoro del padre, respirando l'atmosfera oscura di un ambiente grondante malattia e sofferenza.
Il romanzo narra la storia d'amore tra Stella, bellissima moglie di uno psichiatra del manicomio, ed Edgar un artista uxoricida. Nonostante la vita della donna sembri perfetta, non è una moglie soddisfatta, è delusa dalla vita grama che svolge e mal si adatta alla vita all'interno dell'ospedale psichiatrico e al ruolo di moglie; depressa per la monotonia delle sue giornate e trascurata dal marito troppo preso dal suo lavoro e dai suoi pazienti, incontra l'artista Edgar, rinchiuso nel manicomio, accusato di aver massacrato la moglie per una folle ed ingiustificata gelosia.
Stella se ne innamora perdutamente, non può evitare di provare per lui una fortissima attrazione sessuale alla quale cede andando incontro ad una serie di rischi. Con l'andare del tempo diventa del tutto dipendente dal suo amante al punto tale di fuggire con lui a Londra lasciando tutto e tutti, compreso suo figlio Charlie. Da qui cominciano una serie di vicissitudini molto avvincenti e che non vi sto a raccontare per non rovinare il finale del libro.
Basta dirvi che l'ho letto in pochissime ore!!!!!
All'inizio per Stella si prova compassione perché appare come una donna fortemente depressa e fragile. Questo sentimento lascia il posto alla rabbia e alla disapprovazione quando questa donna abbandona il figlio per seguire il suo grande amore.
Si prova anche un sentimento di pena per Max, il marito abbandonato; questo personaggio suscita sentimenti contrastanti: senza dubbio è la vittima sentimentale e professionale di questa donna malata ma è anche il carnefice di se stesso proprio perché, nonostante faccia lo psichiatra, non riesce a capire la moglie che gli manda messaggi di aiuto prima di lasciarsi del tutto travolgere dall'amore per Edgar.
Il romanzo è narrato in prima persona da Peter Cleave, amico della coppia e psichiatra dell'ospedale. Questo è un personaggio che avrà un ruolo chiave nel libro, all'inizio è in ombra ma poi sboccerà fino ad avere un ruolo primario.
Ho amato questo libro fin dalle prime righe perché descrive l'amore in tutte le sue sfaccettature: l'amore folle, l'amore incondizionato, l'amore malato, l'amore drammatico.
Quando ci si innamora, ci si lascia travolgere da un sentimento che non si può frenare. Arriva inaspettato e ci rapisce portandoci in luoghi della mente di cui non immaginavamo nemmeno l'esistenza. Non possiamo fare altro che seguirlo, assecondarlo.

"Già,l'amore. Come lo descriveresti? Non si può definire,non se ne può parlare. é una cosa che nasce,che non si può ignorare. Non possiamo dire nient'altro. Esiste, e basta." (Patrick McGrath)

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Gialli, Thriller, Horror
 
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4.0
Marta* Opinione inserita da Marta*    17 Marzo, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

Intrigante

Fin dalle prime righe ho trovato questo romanzo veramente ricco di suspanse. Un vero crimine d'amore!!!
E' riuscito fin da subito a innestare in me un alto livello di tensione e aspettativa, incertezza e ansia dall'inizio alla fine.
L'ho amato nel corso della lettura anche perché la scrittrice è riuscita in maniera formidabile a omaggiare l'Italia, in particolare la Toscana, e a descrivere i suoi paesaggi, gli odori della terra e della cucina, in maniera perfetta.
Il libro è un viaggio oscuro nella psiche femminile.
Sabine Thiesler è riuscita a sondare i diversi volti della protagonista Magda: donna tradita e ferita, donna malata, madre dolce e apprensiva, moglie perfetta e amorevole.
Magda è una donna con mille sfaccettature dovute a episodi traumatici, avuti dall'infanzia e che hanno lasciato, inevitabilmente, il loro segno.
E' un romanzo di facile lettura che pagina dopo pagina regala colpi di scena legati alla protagonista che ha pianificato ogni suo gesto e ogni sua parola in maniera gelida e lucida nello stesso tempo.
E' inoltre arricchito dalla presenza di molti personaggi con un ruolo da protagonisti nella vicenda, nessuno ha un ruolo secondario!
Trepo, giornalista ricattatore è un uomo temerario, insolente e cinico;
Carolina, l'amante di Johannes è una donna tenace.
Tutti questi personaggi arricchiscono la lettura rendendola piacevole, scorrevole e intrigante.
Consiglio vivamente di leggere questo libro!!!

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Thriller noir
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2.0
Marta* Opinione inserita da Marta*    16 Marzo, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

Sconsclusionato

L'immagine di copertina mi aveva colpita molto. Era appena uscito quindi non avevo a disposizione delle recensioni utili... Sono stata lo stesso spinta a comprarlo anche perchè sulla copertina decantavano l'incredibile successo che ha avuto.
Già dalle prime righe avevo capito che si rifaceva molto all'ineguagliabile Stephen King (di cui ho letto tanti libri).
Inizio coinvolgente, poi si popola di personaggi che sono messi lì a caso, a impersonare il male diffuso per la cittadina. Ad un certo punto però mi è successa una cosa incredibile: sono stata costretta a prendere un foglietto e a scrivere i nomi dei personaggi e chi erano per riuscire ad orientarmi (inutilmente!!!). Non ce la facevo più a continuare a leggerlo!!!!!! Non mi è mai successo di pentirmi di aver comprato un libro; ma questa volta si!!! Andando avanti con i capitoli già dimenticavo quello precedente...
La domanda che mi sono posta alla fine del libro è stata: "ma cosa diavolo è successo a Niceville??????"
PER CARITA'!!!!!!!!

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Marta* Opinione inserita da Marta*    12 Marzo, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

Suspance fino alla fine

Un libro come si deve che ti porta fino alla fine con il fiato sospeso. Finale inaspettato.... Riesce a togliere il sonno, non solo per la descrizione accurata di alcune scene cruente e dure ma anche perché non ci si riesce a staccarsene. L'ho letto in un giorno!!!!
Tutti i protagonisti sono scansionati nel dettaglio (sembra quasi di conoscerli e ci si immedesima!!) e riescono a provocare sensazioni contrastanti, cariche di sentimenti di rabbia, frustrazione, speranza.
Lettura consigliata a chi è alla ricerca di un libro capace di catturare l'attenzione dalle prime righe, regalare emozioni contrastanti. Questo libro è bello anche perché riesce a raccontare una storia che sembra reale..

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