Opinione scritta da siviaggiare
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Lucido. Lascia il segno
E' tutto vero: è un romanzo buio, amaro, è un romanzo che incalza noi che lo leggiamo e che si impone e resta nei pensieri fino a che non lo riprendiamo per andare avanti. E' scritto forse ancora meglio degli altri, con un ritmo alternato di corse e di arresti, dove tu stesso vorresti fermarti un poco a metabolizzare quello che è appena successo. Magistrale!
L'unico suggerimento che darei a chi non ha già letto i precedenti romanzi con Harry Hole: leggete prima tutti gli altri, perchè non siamo di fronte a caratteri stereotipati che rimangono in superficie e che sono sempre uguali a se stessi. Leggere i precedenti (comunque bellissimi tutti) serve a capire come si sviluppa la personalità del protagonista ed il perchè delle sue cadute, come cambiano le persone che lui frequenta, da dove nasce tutto questo amore per il quasi-figlio che Harry non ha saputo fortificare abbastanza.
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Non si dimentica
Tutto probabilmente inizia proprio per la sollecitudine di un giovane medico verso re Cristiano VII di Danimarca, che soffre di crisi violente e di lunghe fasi depressive e confusionali. Sin da piccolo il futuro re era stato educato, come dicevano a corte, “molto severamente”, con punizioni fisiche e violenze psicologiche continue che ne avevano scientemente distrutto l’equilibrio (ma non l’intelligenza ed il talento artistico): soffriva di ogni tipo di terrori, si sentiva colpevole di tutto e cercava di essere punito, aveva una personalità doppia ed una maturità gravemente incompiuta. I contemporanei pensavano a Cristiano come ad un folle bisognoso di essere governato anche con la frusta anziché come ad un monarca che avrebbe potuto guidare i destini del regno. In questo vuoto di governo, la corte godeva di molto potere, si concedeva lussi e viveva nella corruzione mentre il paese andava a rotoli. Struensee, il medico tedesco che provava tenerezza e interesse per il giovane re, viene accolto da Cristiano con fiducia, con serenità, e riesce a restituirgli un po’ di tregua dai suoi incubi. Insieme studiano riforme dello Stato che portino nella realtà danese i principi dell’illuminismo: il giovane re, che era da anni in corrispondenza con Voltaire ed aveva incontrato a Parigi i maggiori illuministi, dà carta bianca al suo amico medico, lo nomina primo ministro e permette alla Danimarca di diventare, nell’arco di una ventina di mesi, l’avanguardia in Europa in fatto di libertà, naturalità, razionalità.
Tutto troppo veloce, però, e senza curarsi dei nemici di corte, che riescono a travolgere tutto con un complotto di cui il medico, persona buona e troppo poco scaltra, non sarà l’unica vittima.
Secondo me “Il medico di corte” è un libro bello ed importante, con una scrittura particolare che aderisce – nel tono, nelle scansioni- all’atmosfera settecentesca in cui si svolge la storia. E’ un libro che sembra calmo nei suoi ritmi, mentre narra una vicenda che invece è febbrile, dove il tempo è sempre troppo poco, dove in quattro anni succedono cose che forse avrebbero avuto bisogno di almeno un decennio. E’ un romanzo in cui la parola “paura” viene a galla quasi in ogni pagina: paura di essere davvero in grado di amare ed essere amati, di osare, di guarire, di ridere, di aiutare. Il motto della giovanissima regina era “Signore, lasciami innocente, fai grandi gli altri”, ed era la stessa aspirazione del re Cristiano VII, e quella del medico di corte che, incredulo egli stesso, si era fatto statista per amore del progresso umano.
Un romanzo che consiglio molto a tutti: quelli che hanno pazienza e quelli un po’ impazienti e con la voglia di correre.
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Interessante e piacevole
L'autore, Eli Amir, nato a Baghdad, è emigrato in Israele con la famiglia quando aveva 13 anni; dopo gli studi ha lavorato per molti anni, come il protagonista di questo romanzo, nel campo dei servizi e delle politiche per l'immigrazione. Secondo me, è' proprio una spiccata sensibilità per i temi della convivenza tra culture differenti che sostiene lo sviluppo di tutto il romanzo e dà uno spessore speciale alla narrazione. "Jasmine innesta calore, umorismo, compassione e tolleranza in alcune delle pieghe più dolorose del conflitto israelo-palestinese e delle divisioni interne alla società israeliana», ha scritto Amos Oz a proposito di questo romanzo. Sono parole che condivido in pieno, per un libro che ho trovato molto bello, per la delicatezza con cui vengono avvicinati i personaggi, per i dubbi che intessono tutta la narrazione, per il pudore con il quale ci si accosta ai sentimenti e al loro svilupparsi. E' un libro forte e pieno di grazia, da leggere; per chi ama le storie corali, per chi ama quelle individuali, per chi non teme il fastidio di mettere in gioco le proprie convinzioni.
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Azione e passione: da leggere
Come quasi sempre nei romanzi di Silva che hanno per protagonista Gabriel Allon, il grande restauratore di quadri antichi che lavora saltuariamente per i servizi antiterroristici israeliani, anche ne “Il caso Rembrandt” si intrecciano vari piani della narrazione: questa volta, in parallelo con una missione di intelligence, corrono vicende legate al mondo dell'arte e linee che si dipanano fino ad affondare negli anni della seconda guerra mondiale.
Nella sinossi di QLibri è ben tratteggiata la trama, non semplice, del romanzo, che dunque non riprendo in questa breve nota. Mi sento, invece, di aggiungere qualche parola sull’impronta speciale che apprezzo sempre nei libri di Silva, la sua capacità di costruire dei romanzi in cui tutto si integra in maniera perfetta: la tensione della scrittura, la brillantezza dei dialoghi, lo scavo nei caratteri, l'amore per l'arte, la complessità dei personaggi, ognuno dei quali porta con se' i segni di tante storie diverse vissute in tante aree del mondo. Consiglio davvero questo libro a tutti quelli che in un romanzo non si accontentano dell'azione, per quanto avvincente, ma sanno apprezzare disegni e sapori più complessi.
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