Opinione scritta da Markk

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Markk Opinione inserita da Markk    03 Agosto, 2014
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Un grande vecchio

John le Carré, insieme a Frederick Forsyth e Len Deighton, costituisce la mia personalissima Triade dello Spionaggio. 1931, 1938 e 1929 sono le date di nascita di questi tre maestri, il che mi fa pensare che il decennio '29-'38 rappresenti l'età dell'oro per questo genere letterario e che scrivere spy-stories giovi molto alla salute.
"Yssa il buono" non è né il miglior libro di spionaggio che abbia mai letto né il migliore di le Carré, tuttavia resta un gran bel romanzo che vale la pena conoscere.
Deighton si è ritirato, Forsyth scrive ancora ( e quanto bene scriva ancora lo si può dedurre dalla mia recensione de "La lista nera" ) e le Carré fa lo stesso: nelle sue pagine ritrovo quello stile, nato negli anni '60, che non ha mai smesso di essere attuale e continua a contraddistinguerlo e farcelo identificare come uno dei maestri del genere.
Personalmente preferisco Forsyth ma le Carré va assolutamente letto: rispetto al primo meno d'azione e forse più incline all'introspezione ( mai come Deighton, però ), incarna a sua volta quello 'spionaggio classico' che è riuscito ad attraversare indenne la terribile prova ( per gli scrittori di questo genere ) rappresentata dalla caduta del Muro di Berlino: non oso immaginare che tripudio di capolavori sarebbero potuti essere questi ultimi 25 anni con la Cortina di Ferro ancora in piedi ma per tanta gente di quei Paesi è indubbiamente stato meglio così.
Eppure le Carré è riuscito, come Forsyth del resto, a continuare a scrivere opere di qualità abbracciando la nuova tematica del terrorismo islamico, un po' come se la Kodak fosse tuttora leader nel settore dei materiali per fotografia o la Mivar in quello delle televisioni a LED: queste aziende, come ben sappiamo, non sono riuscite a stare al passo coi tempi mentre i due artisti britannici sì.
"Yssa il buono" è una storia abbastanza verosimile da poter essere vera, pertanto del tutto credibile, a cui manca solo un colpo d'ala finale, il colpo di scena che non ci si aspetta, per essere un capolavoro: ho passato le ultime 100 pagine fantasticando su cosa potesse nascondere un certo personaggio, su cosa potesse essere di diverso a rispetto a quello che era stato fino a quel punto, ma questa trasformazione non c'è stata, e un po' mi ha sorpreso, perché sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Però c'era già così tanta sostanza nel libro che una bella tripletta di 4 gliela posso assegnare lo stesso. Non ci sono banalità bensì un'attenta descrizione dell'immigrazione, passata e attuale, diretta verso la Germania, del mondo islamico, dei servizi segreti europei ed americani e degli animi dei personaggi, il tutto realizzato con partecipazione e non asetticamente, solo per confezionare un libro destinato a diventare un bestseller. Ne è una prova il giudizio sostanzialmente negativo sull'atteggiamento degli agenti statunitensi: John è sempre vigile e non scrive giusto per guadagnare ma anche per provare a dire la sua. E tutto questo a 83 anni: giù il cappello!

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i capolavori dello spionaggio scritti dai maestri del genere ( Forsyth, Deighton, lo stesso le Carré )
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Markk Opinione inserita da Markk    05 Luglio, 2014
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Un maestro incapace di vivacchiare

Cosa dire di questo straordinario autore che, a poco meno di 80 anni, continua a scrivere storie di spionaggio di questo livello? Né la ricchezza, che sicuramente ha accumulato in tanti anni di sontuose vendite, né l'età, né il crollo del Muro di Berlino, né l'appagamento riescono ad incidere su questo fuoriclasse di nome Frederick Forsyth. E dopo 'L'Afghano' ecco un'altra fantastica storia ambientata nel mondo del terrorismo di matrice islamica, narrata con una maestria e una cognizione di causa sorprendenti: non avrei mai immaginato che un autore della sua età e specialista della Guerra Fredda potesse far così sua una tematica tanto moderna come quella del terrorismo islamico, divenuto massicciamente parte della nostra quotidianità solo dopo l'11 settembre. Credibile, avvincente, privo di cadute di ritmo, questo romanzo mi ha colpito non solo per la splendida trama, la capacità di far sentire il lettore nei luoghi teatro della vicenda e l'inimitabile stile del maestro inglese ma anche per l'abilità dimostrata condensando in sole 282 pagine una storia che altri avrebbero allungato all'inverosimile. Quanti libri di 500, 600 o addirittura 700 pagine ci fanno dire alla fine che con 200-300 pagine di fuffa in meno sarebbero stati perfetti? Non pochi e 'La lista nera' è la dimostrazione che quando c'è la classe anche meno di 300 pagine sono più che sufficienti. Continuavo a leggere e il numero di pagina cresceva lentissimamente: Forsyth mi stava trasmettendo così tanto che mi sembrava incredibile che lo stesse facendo in così poche pagine! Spero solo che stia già scrivendo un altro libro e che la sua salute sia sempre quella di un ragazzino: che il nume della letteratura ce lo conservi per sempre!

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e apprezzato i capolavori del genere di spionaggio
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Markk Opinione inserita da Markk    21 Novembre, 2013
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UN BRAVO ESORDIENTE COL TAPPETO ROSSO AI PIEDI

Ad oltre 10 anni dalla sua pubblicazione l'ho finalmente letto anch'io e ne sono lieto visto che posso infine avere un'opinione su un'opera che ha venduto la bellezza di oltre 4 milioni di copie, il che, considerato il bacino d'utenza italiano ( che immagino avrà acquistato la gran parte di questi oltre 4 milioni di libri ), è davvero una cifra enorme. Ho dato una scorsa alle recensioni degli amici che mi hanno preceduto, trovando tanti punti in comune con il mio pensiero e anche delle belle discrepanze di giudizio, cosa che mi ha confortato poiché dimostra che noi di Qlibri siamo capaci di usare la nostra testolina senza accodarci in modo uniforme a questa o quella opinione.
Partiamo con i punti positivi?
1) La creatività messa in luce dalla trama, fantasiosa e suggestiva. Questo va sicuramente riconosciuto a Faletti perché la vicenda in sé, indipendentemente da tutto il resto, non è cosa da tutti: ci vuole una certa zucca per arrivare ad escogitare una storia del genere, pertanto bravo Giorgio per la pensata che hai avuto
2) Il fascino con cui Faletti riesce ad ammantare i luoghi teatro della vicenda: alzi la mano chi ha chiuso il libro senza aver voglia di recarsi subito in Costa Azzurra. Mani tutte giù? Ne ero certo
3) La capacità di legare le diverse sotto-vicende in modo da creare un'opera unitaria che arriva alla fine senza farsi abbandonare prima del tempo ( e stiamo parlando di un malloppo di 670 pagine! )
4) Il fatto che tutto ciò sia stato fatto da un esordiente
Ma è anche pur vero che:
A) I dettagli inseriti dall'autore sono davvero sovrabbondanti, chi dice che il libro manca di concisione e agilità non ha tutti i torti, anzi
B) Il ricorso alla battuta spiritosa, al sarcasmo da dialogo di film western americano degli anni '50 è esagerato: tutti fanno gara a chi è più spiritoso ma la gente comune non parla così
C) La vicenda strappalacrime del rapporto tra Helena e il generale Parker è trattata in modo epidermico, non riesce a far battere il cuore del lettore: è come appesa a una parete e chi legge la sta a guardare senza riuscire a parteciparvi emotivamente
D) C'è qualcosa che impedisce al lettore di sentirsi parte del contesto, come se questo venisse descritto da uno che sta lontano dai luoghi dei misfatti e non addentro: io non mi sono sentito a Montecarlo ma davanti a Google Street View. Però se leggo Peter James mi sento a Brighton e se leggo Samuel Farquhar mi sento a Milano e a Pluscarden, qualcosa vorrà dire
E) Faletti è un esordiente per modo di dire: editore di prim'ordine ( e quindi anche editor e consulenti a disposizione per ogni tipo di consiglio ), agente letterario ( mica ha dovuto inviare il manoscritto a decine di piccoli editori ) e agganci, che un esordiente si può sognare solo dopo una decina di whisky doppi, con FBI, ambasciata USA. Sureté Publique del Principato di Monaco, Polizia, Carabinieri,dottori e Radio Monte Carlo. Come sarebbe stato il suo libro se l'avesse scritto con a disposizione i mezzi di un esordiente qualunque?
Tirando le conclusioni: l'ho letto tutto e ci ho trovato dei lati molto positivi però è anche vero che il dispiegamento di mezzi è stato enorme e, nonostante ciò, ci sono delle pecche ancora ben visibili.
Quindi? Quindi non è assolutamente un libro da oltre 4 milioni di copie, non è un libro che può meritarsi dei 5 ( al massimo uno, con un bel po' di generosità ) e, soprattutto, se diciamo che questo è un capolavoro secondo me ci manca un po' di background, quello che, fornendoci delle pietre di paragone, ci permette di collocare convenientemente un'opera nella sua posizione.
Buon libro ma quanti esordienti avrebbero potuto fare altrettanto con tutta questa profusione di mezzi a disposizione? Di autori con delle ottime idee ce ne sono diversi ma l'FBI la vedono solo su RAI2 quando trasmettono 'Criminal minds'...

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Markk Opinione inserita da Markk    19 Novembre, 2013
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SAMUEL FARQUHAR E IL SUO POLIZIESCO IN 3D

Deve essere proprio il periodo se, dopo Peter James, mi imbatto in un altro autore poco noto eppure da raccomandare senza tema di smentita: con l'unica differenza che, mentre Peter i suoi miliardi se li fa in giro per il mondo (ma non in Italia), Samuel non se li fa né qui né là (o almeno suppongo)!
Visto che alla fine di "Quattro luci nel buio" sono riportati i link ai profili FB e Twitter dell'autore, sono andato a dargli un'occhiata. 17 'Mi piace' su FB e 3 Followers su Twitter. Una vera e propria miseria e, detraendo i parenti/amici che sicuramente ha, a casa mia si direbbe:"Non se lo fila nessuno".
Eppure il suo poliziesco è stupefacente, senza dubbio superiore a tanti che hanno venduto milioni di copie, anche in Italia, e questo, più avanti, mi farà ricollegare a Peter James.
Ma andiamo per ordine, arricchendo la scarna introduzione che ho trovato su http://www.ibs.it/.
Cercando di rivelare il meno possibile, posso svelare che la trama è imperniata sul viaggio in Italia (Varese), nel 2008, di un ispettore scozzese, chiamato a collaborare ad un'indagine giusto per far sì che la polizia della sua contea e quella di Varese possano guadagnare punti in una graduatoria europea; in realtà dovrebbe arrivare, fare un bel niente e ripartirsene per Elgin.
Il suicidio in questione, però, non è un suicidio e di indizi non se ne trovano neanche a pagare. Le uniche dissonanze paiono arrivare dal passato remoto dell'anziana vittima, un passato che va a ritroso fino alla seconda guerra mondiale e che, pertanto, nulla ha a che vedere con il presente del tutto ordinario del placido e innocuo manutentore che ci ha lasciato la pelle (e un pezzo di testa). E qui prendono strade divergenti le indagini di carabinieri e poliziotti da una parte (che non credono alla pista che porta agli anni '40) e dello scozzese dall'altra, che in mancanza di meglio comincia ad approfondire i fatti risalenti al 1944. E come se non bastasse si getta a capofitto anche nella relazione con la figlia degli albergatori che lo ospitano al paesino. Non aggiungo altro perché ci sarebbe 'troppo altro' e quindi passo alla recensione vera e propria.
Prima di tutto è più giusto definirlo un 'poliziesco' anziché un 'giallo', non perché non sia un giallo, anzi, ma perché il colore che mi sovviene leggendolo è lo scarlatto: non quello del sangue, che non manca affatto senza oltrepassare però la dose fisiologica, ma quello di sentimenti (positivi e negativi) così brucianti e vivi che pare quasi di poterli vivere in prima persona. E anche i protagonisti sono delineati in un modo così particolare che le loro personalità, abbinate alla passionalità che pervade la storia, fanno sì che io abbia visto le vicende emergere dalle 2D delle pagine e rigonfiare proprio queste ultime, come se l'abilità dell'autore fosse stata capace di conferire alle vicende la terza dimensione mancante. L'ho letto in un giorno ( e sono 400 pagine scritte in piccolo... ) e al termine mi sono sentito protagonista di un'avventura vista come da vicino, come se su quelle rive e davanti a quel monumento funebre, in quella chiesa e sotto quella nevicata ci fossi stato anch'io.
Perché non gli ho dato tre 5? Perché dare tre 5 equivale a non sapere cosa fare quando ti capiterà un libro che ti piace di più di quello a cui hai già dato tre 5! E' una mia regola e la rispetto.
Perché il parallelo con Peter James? Perché mi sto convincendo che in Italia se sei uno scarso ma ti presenta l'editore giusto allora ti legge chiunque mentre se sei bravo ma non sei sostenuto da un battage pubblicitario adeguato rischi di restare per sempre un'occasione perduta: se poi sei Peter James e hai radici in un altro Paese ti fai la tua carriera altrove, se invece sei Samuel Farquhar o uno analogo a lui ti arrangi...

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gialli che gli hanno fatto dire che di così originali non ne aveva mai letti
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Markk Opinione inserita da Markk    10 Novembre, 2013
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UN AUTORE INGLESE DA NON PERDERE D'OCCHIO

Peter James... Devo dire la verità, sono rimasto alquanto sorpreso nell'apprendere che questo autore era ancora assente dal database del nostro forum: trattasi di un giallista inglese che ha venduto una caterva di copie e le cui opere assommano ormai a un buon numero. Il che non significa niente visto che di libri mediocri che hanno venduto un sacco è piena la storia della letteratura come anche, ne sono convinto, esistono capolavori che, privi di visibilità, sono rimasti sconosciuti. Però il fatto è che se si legge un libro di questo noto scrittore ci si rende conto che è davvero bravo: è vero, il fatto di scrivere in inglese agevola la carriera ( vogliamo mettere il bacino di utenza di un anglofono rispetto ad un italiano? ) ma Peter James ci sa fare.
Questo "Al buio"è la prima storia che vede come protagonista Roy Grace, sovrintendente investigativo di Brighton nonché personaggio divenuto poi di grande successo: la prima sensazione che ho provato cimentandomi con questo libro è stata una tremenda sensazione di claustrofobia, come si può facilmente capire leggendo la trama preparata dalla redazione di Qlibri.
Infatti, Michael Harrison viene sepolto vivo per scherzo ( wow, che simpatici i suoi amici e che buon gusto! ) ma lo scherzo si tramuta presto in ben altro visto che gli amici muoiono in un incidente stradale prima di poter porre fine alla macabra messinscena. Piccolo problema: nessun altro è al corrente dello scherzo... Ebbene sì, leggendo le descrizioni delle ore trascorse da Michael sotto terra a me mancava letteralmente il fiato, tant'è che ogni tanto dovevo chiudere il libro e rilassarmi per allontanare il fastidio che mi veniva dall'immedesimazione in Michael. Terribile!
La storia si sviluppa poi in modo appassionante grazie all'ingegno di Peter James, che si concretizza in una trama avvincente, priva di invenzioni esagerate e dotata di colpi di scena davvero pregevoli. I personaggi sono centrati, non solo Roy Grace ma anche il suo compare Glenn Branson, la responsabile dell'obitorio Cleo Moray e così via.
E poi c'è la location, inconsueta, di Brighton: abituati come siamo a Londra è una piacevole sorpresa scoprire ambientazioni un po' più originali del solito e, tuttavia, perfettamente credibili.
Cosa aggiungere se non che il miglior consiglio che posso dare è quello di dare fiducia a questo libro? Vedrete che chi leggerà questo poi vorrà procurarsi subito anche il successivo, ovvero "In rete".
Un'ultima riflessione, che è poi sempre la prima: ma qualcuno mi sa spiegare perché il mondo dell'editoria è pieno di autori favolosi misconosciuti e di scrittori sopravvalutati che vendono libri a tonnellate? E' davvero così efficace l'opera di persuasione del marketing? Purtroppo sì!

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polizieschi scritti bene!
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Markk Opinione inserita da Markk    08 Settembre, 2013
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E se riportassimo Freddy all'età di 40 anni?

Ho letto praticamente tutto di questo maestro di 75 anni, uno per il quale sarebbe giusto intercedere in modo che possa tornare ai suoi 40 anni in modo da poter continuare a deliziarci all'infinito.
Però "L'Afghano" mi mancava ancora, poco sensibile come sono a tutto ciò che attiene letterariamente al Medioriente: però mi è bastato leggere un paio di pagine di quest'opera del mio amato Freddy per dovermi ricredere alla grande. Anche in questa occasione Forsyth dà prova di una maestria ineguagliabile e confeziona un libro davvero godibile: non il suo migliore ma tuttavia di livello altissimo, in grado di farci credere ancora nel genere di spionaggio anche dopo la caduta del Muro di Berlino, che ha repentinamente eliminato dalla faccia della Terra il 99% degli spunti disponibili per gli autori di spy-stories.
Come descrivere l'abilità di Forsyth? Non è semplice: attività di documentazione, ritmo, inventiva, classe, capacità di ricreare perfettamente l'atmosfera del contesto, fantasia, assenza di banalità e dovizia di originalità creano un'alchimia così speciale che ciò che mi resta in mente è il solo risultato finale, generalmente indimenticabile ( anche se pure lui ha avuto i suoi alti e bassi ).
Un romanzo di cui non sto a descrivere la trama ( è già tutto presente nell'introduzione a questa pagina ) e che un appassionato di questo genere come il sottoscritto può tranquillamente divorare in poco più di una giornata ( o anche meno... ). Difetti? Non ne vedo, a parte quello di non eguagliare "Il giorno dello sciacallo" e "Quarto protocollo".
Qualcosa che avrei preferito fosse affrontato diversamente? Magari il fatto che in questo libro il cattivo è quello che ci aspettiamo dopo anni di news televisive e il buono idem: sarebbe stato più intrigante sfumare le responsabilità e insinuare dubbi, aumentando il tasso di mistero e indecisione.
Una sola cosa mi dispiace: quando prendo i suoi libri in biblioteca ( e non solo i suoi ma anche quelli dei suoi contemporanei non più sulla cresta dell'onda ) solitamente scopro che l'ultimo ad averli presi in prestito l'ha fatto due o tre anni prima di me e, nel frattempo, non sono più stati richiesti.
Basta che questi fuoriclasse invecchino e non sfornino più un libro all'anno perché il pubblico cominci a dimenticarsi di loro: è davvero un peccato colossale, anche perché lo spionaggio come lo faceva il buon Freddy non l'ha più fatto nessun altro...

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e amato i capolavori dello spionaggio
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Markk Opinione inserita da Markk    20 Agosto, 2013
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DISCRETO, QUASI BELLO

Inutile dilungarmi con la trama visto che chi mi ha preceduto l'ha già fatto egregiamente, quindi passo direttamente a fare una mia personale analisi del libro.
innanzi tutto devo dire che temevo molto questa lettura poiché già in passato avevo avuto modo di riscontrare una certa "caduta creativa" da parte di Grisham: ebbene, questa volta la debacle non c'è stata e ne sono molto lieto considerando il personaggio in questione, autore di veri e propri capolavori.
Siamo a livello dei suoi più meritati successi? No, ma non si può essere sempre da 100/100, soprattutto quando si ha a che fare con una carriera così lunga.
E' a mio avviso un libro scritto molto bene ( da qui deriva il 5 allo stile ), molto legal e poco thriller ( avvincente ma non un vero e proprio giallo ), con dei protagonisti davvero ben tratteggiati, accattivanti e niente affatto "aridi" bensì carichi di empatia.
Cosa gli manca per essere un gran libro?
Sicuramente Grisham avrebbe dovuto rendere più scoppiettante la vicenda principale: succede né più né meno quello che ci si aspetta, senza colpi di scena, da cui la mancanza del lato "thriller" della faccenda. Ecco, l'inventiva in quest'opera non è ai massimi livelli ma tutto poggia sulla maestria di uno scrittore dalle doti ben collaudate, che riesce a creare un qualcosa di piacevole pur senza avere in questa occasione particolari lampi di genio. Buone idee di partenza ( David che abbandona il suo primo studio legale, la vicenda del Krayyoxx, la storia della famiglia birmana, ... ) che però vengono sviluppate senza esiti memorabili.
Diciamo che alla fine, più che un giallo assomiglia a un romanzo, ma per essere un grande romanzo avrebbe avuto bisogno di coinvolgere emotivamente il lettore in modo da poter poi essere ritenuto indimenticabile.
Un bel libro ( o quasi ) che conferma le magnifiche doti narrative di Grisham senza aggiungere molto al suo palmarès: poteva andare peggio e siccome la storia scorre via piacevolmente perché non consigliarlo? Non si vive di soli capolavori, no?

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Grisham ed è appassionato di legal thriller
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Markk Opinione inserita da Markk    03 Giugno, 2013
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UN BEL POLIZIESCO VECCHIO STILE

Ecco un bel poliziesco all'americana scritto come si deve: ritmo, azione, caratterizzazione accurata del sottobosco criminale di Miami, discreto approfondimento psicologico, assenza di buonismo, un pochino di sesso e un finale che non lascia l'amaro in bocca.
Non sono necessariamente questi gli ingredienti che desidero assolutamente in una crime story però servono a costruire un tipo di poliziesco che mi piace molto e mi lascia soddisfatto pur non essendo l'unico che sono in grado di apprezzare.
Avevo un piccolo timore prima di cimentarmi con la lettura, temevo che il fatto di essere cubano portasse l'autore a conferire un tocco esageratamente "etnico" al suo romanzo e, invece, non è stato così, anzi: la sua storia, che di per sé sarebbe già stata un bell'esempio di giallo americano classico, ne ha tratto giovamento poiché ci ha guadagnato un delicato flavour caraibico che non è mai preponderante ma sfumato, un vero e proprio arricchimento garbato della già piacevole trama.
Cos'è per me un classico giallo all'americana? Quel genere di poliziesco che possiede le caratteristiche elencate all'inizio della recensione e che risulta privo di particolarità che sento come più moderne: morbosità e crudezza eccessive, forte presenza della tecnologia, figure di serial killer, personaggi con troppe "paturnie", etc.
Invece in questo libro si delinque, si spara, ci si vendica, si scappa, gira qualche bella ragazza e si viola allegramente la legge senza le complicazioni che, talora, certi autori amano inserire nelle loro storie: alle volte è proprio vero che ciò che serve per creare un bell'intreccio è molto semplice, la difficoltà, caso mai, consiste nel saper utilizzare sapientemente gli ingredienti per trarne un bel risultato.
Capolavoro assoluto? No, non stiamo parlando de "Il nome della rosa" o di uno dei migliori Jeffery Deaver, però difficilmente si resterà delusi.
Da non leggere prima di partire per una vacanza cubana: infatti, le descrizioni che Latour fa delle ristrettezze economiche e politiche in cui vive la popolazione dell'isola fanno un po' scemare l'entusiasmo per questo posto teoricamente da sogno.

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Michael Connelly e altri autori che gli assomigliano
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Markk Opinione inserita da Markk    26 Mag, 2013
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COSI' SONO CAPACI TUTTI

Questo romanzo di Elizabeth George è portatore di un peccato originale che lascio in fondo alla recensione e che condiziona i punteggi che gli ho assegnato: ne parlo dopo per dedicarmi prima a una mia analisi del testo.
Partiamo dai difetti? Sicuramente chi mi ha preceduto nelle recensioni mi trova d'accordo.
Infatti, le 650 pagine del libro sono davvero esagerate per ciò che l'autrice aveva da dire: se su un piatto della bilancia mettiamo la trama e sull'altro la dimensione del libro, non può non nascere il sospetto che la George abbia voluto proporre al pubblico un volume corposo al di là delle reali esigenze di sviluppo della storia.
E' vero che le storie indimenticabili non sono mai corte ma lo è anche che non tutte quelle lunghe sono speciali.
Altro difetto è costituito dal motivo scatenante l'assassinio della ragazza: rispetto alla portata degli avvenimenti che la circondano, la causa escogitata dall'autrice appare campata per aria, come se, in mancanza di meglio e a corto di idee, avesse preso la prima venutale in mente.
Anche la definizione dei personaggi non mi ha convinto, come sempre accade quando, dopo aver letto un sacco di pagine, in testa non mi si sono dipinte le mie immagini personali dei visi e delle fisionomie dei personaggi: nella mia esperienza privata, quando questo processo non giunge a compimento significa che lo scrittore non è riuscito a lavorare nel mio inconscio con un'adeguata descrizione dei protagonisti della sua opera.
Anche i pony e i cani alla fine mi hanno un po' stufato, danno quasi l'impressione che siano gli amori dell'autrice e che abbia voluto propinarceli ovunque a tutti i costi.
E poi il colpevole viene comunicato un bel po' prima dell'epilogo, quando, invece, una bella sorpresa finale non fa mai male ( senza contare che già da una vita si era capito chi fosse Gordon Jossie ).
Pregi? Il libro si lascia leggere, non costringe ad interrompere la lettura, e arriva alla fine regalando anche momenti di piacere e desiderio di sapere cosa succederà dopo.
Se fosse tutto qui potrei anche consigliarlo: non un capolavoro, anzi, ma un'opera che, soprattutto se recuperata da un amico o in biblioteca, può risultare piacevole a costo zero.
Ma...c'è un ma.
Ma come si fa a prendere la storia del piccolo James Bulger e usarla tale quale per scrivere un libro e farci dei soldi? O si prende la storia vera e la si utilizza nel libro citando i fatti e i nomi reali, perpetuandone il ricordo e contribuendo a non farla dimenticare, oppure si fa frullare l'ingegno e si escogita una trama originale. Quel che non si deve fare è prendere un fatto di cronaca ( tra l'altro così raccappricciante ), scopiazzarlo alla grande cambiando due o tre particolari ( numero degli assassini, genitore che si fa rapire il figlio, qualcos'altro di insignificante ) e utilizzarlo per costruirci sopra un bestseller: alla fine la George cita addirittura Jon Venables e Robert Thompson accanto agli assassini fittizi del suo romanzo, come se niente fosse.
Speravo di trovare una qualche citazione nei Ringraziamenti: non avrebbe cambiato granché ma mi avrebbe addolcito la pillola e, invece, niente di niente, del piccolo Jamie non c'è traccia.
La verità, secondo me, è che questo libro gliel'hanno dettato praticamente loro, i due assassini di James Bulger, e, COSI', SONO CAPACI TUTTI.

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Markk Opinione inserita da Markk    10 Aprile, 2013
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Un bel libro che ne ricorda però altri

Ho appena finito questo libro e prima di cimentarmi nella sua recensione mi sono voluto leggere, apprezzandole molto, le 24 recensioni degli amici che mi hanno preceduto.
Mi ha molto colpito trovare osservazioni che avevo già deciso di inserire anch'io e anche il riscontrare pareri ora entusiastici ora sensibilmente critici rafforza la mia idea circa la compresenza di pregi e ( piccole? ) pecche in questo romanzo.
I due miei concetti che ho ritrovato tra gli interventi altrui sono "danbrowniano" e "cinematografico".
"Cinematografico" perché la trama si sviluppa secondo modalità che mi hanno continuamente dato l'impressione di un incedere più da grande schermo che da carta stampata. Il meccanismo narrativo mi ha suggerito una tecnica davvero diversa da quella usuale: dipende dal fatto che Carrisi nasce come sceneggiatore? Penso proprio di sì. Per quanto mi riguarda, continuo a preferire la sensazione che mi dà un libro "che sa di libro" anziché di DVD.
"Danbrowniano" perché la combinazione Chiesa/giallo/caccia al "tesoro" non può non farcelo venire in mente. E' un fatto positivo? Per me no, sarebbe stato meglio se ci fosse venuto spontaneo definirlo "carrisiano".
Aggiungo un altro aggettivo? "Dariargentiano" ( e quindi il "cinematografico" viene ulteriormente rafforzato ): certe sequenze mi hanno rimandato immediatamente al modus operandi del famoso regista, cosa che non mi era mai capitata prima.
Mi levo il cappello dinanzi alle capacità dell'autore. Fantasia, tensione, capacità descrittiva, definizione dei personaggi e caratterizzazione della loro personalità meritano fior di complimenti e glieli faccio ben volentieri: però, per avere una bella tripletta di 5 avrei voluto un'opera che sapesse più di lui e meno di altri, che portasse impressa una sua impronta inconfondibile e unica anzichè la sensazione che i nomi di Dan Brown e Dario Argento non starebbero poi così male in un'ipotetica pagina dei credits.
C'è anche dell'altro che non mi torna del tutto ma è inutile stare a sviscerare troppo questo libro perché altrimenti si rischia di fargli un torto: è molto godibile, scorre via che è un piacere e non resterà tanti giorni sul comodino del lettore.
Un bravo a Carrisi con l'augurio che presto diventi un "bravissimo".

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Dan Brown, Glenn Cooper e tutti i loro colleghi che associano crime stories e Vaticano
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Markk Opinione inserita da Markk    23 Marzo, 2013
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UN GIALLO PARADIGMATICO

Uno svedese tira l'altro, potrei dire visto che ho appena recensito "Uccidete il drago" di Persson.
Lo confesso subito, "Freddo Sud" mi è piaciuto sicuramente di meno però leggerlo non è tempo buttato, anzi si tratta di ore spese bene sia per la piacevolezza che ne deriva che per l'analisi che permette di condurre: per questo l'ho definito "paradigmatico", perché nel bene e nel male mette in mostra delle caratteristiche che, a mio avviso, è interessante esaminare.

E' esemplare in termini positivi poiché l'accuratezza dell'attività di documentazione e la cura dedicata alle descrizioni emergono immediatamente e costituiscono le basi su cui poggia l'impianto narrativo costruito dalla Marklund: io dopo qualche decina di pagine volevo prendere l'aereo e andare a svernare in Costa del Sol.
I personaggi stessi non sono figure artificiali messe lì per svolgere il loro ruolo come dei burattini ma sono caratterizzati con attenzione e umanizzati, lo sforzo è evidente.
Parimenti, è evidente come la trama comprenda quegli elementi che a mio avviso sono fondamentali nella creazione di una storia memorabile: il passato che torna a galla per condizionare il presente, l'amore, il sesso ( ora luminoso ora torbido ), la vendetta, la verosimiglianza dei fatti e la logicità di una soluzione che deve svelarsi solo alla fine e così via.
Gli ingredienti ci sono tutti e il libro l'ho terminato alla svelta ricavandone un certo piacere.

Ma è una storia indimenticabile che mi resterà nel cuore? Ebbene no.
Quello che manca è il calore, non c'è niente da fare: le 508 pagine sono attentamente curate e rifinite ma non trasudano passione, forza dei sentimenti, squallore, disperazione. Per quanto mi riguarda non sono riuscito a vivere con trepidazione questo intreccio: con interesse sì ma senza trasporto.
E anche ciò è esemplare poiché sono presenti tutte le componenti necessarie ma manca quel quid capace di renderle anche sufficienti a generare un'opera memorabile.
E poi c'è una cosa che secondo me si nota: l'autrice fa lo stesso lavoro della protagonista e, quindi, è un po' caduta nella tentazione di indugiare troppo sugli aspetti professionali di un lavoro che conosce troppo bene.

Più leggo gialli svedesi più ravviso questa sorta di freddezza ( che non trovo, ad esempio, in tante storie di matrice britannica ): forse è per questo che il "terribile" Bäckström tratteggiato da Persson mi è piaciuto così tanto, perché lui è un personaggio pulsante.

Non è tempo sprecato, comunque, è un libro che può insegnare qualcosa.

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altri noir di matrice svedese, per avere una migliore panoramica su questa scuola
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Markk Opinione inserita da Markk    17 Marzo, 2013
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UN COMMISSARIO PER AMICO

Un'opera in cui il brio dell'autore fa sembrare ancora più avvincente una bella trama che, di per sé, non si collocherebbe tra quelle che mi hanno colpito maggiormente.

Al pianterreno di un palazzo di Stoccolma un ragazzo incaricato di distribuire i quotidiani rinviene il cadavere di un vecchio alcolizzato: è stato massacrato all'interno del suo appartamento dopo una cena in compagnia di uno sconosciuto. Dell'indagine viene incaricato il commissario Bäckström, un poliziotto sui generis, che si ritrova a dover soppesare diverse ipotesi: semplice lite fra ubriaconi finita male, collusione della vittima con la mala già sospettata di una sanguinosa rapina a un portavalori e altro ancora, con, sullo sfondo, un morto ammazzato che si rivela essere ben più di un semplice patito della bottiglia.

Il commissario Bäckström è proprio un personaggio ben disegnato, che unisce spiccate capacità professionali a una totale ignoranza del concetto di politically correct: in una donna vede come prima cosa la potenzialità sotto le lenzuola, nell'immigrato, delinquente o tutore dell'ordine che sia, individua una minaccia alla società svedese così come gli è sempre piaciuta, per le capacità investigative della maggior parte dei colleghi nutre un radicato disprezzo, i superiori sono degli incompetenti e i momenti liberi della giornata li riserva a superalcolici e sesso. Quello che dice costruisce la storia e il susseguirsi degli eventi ma è quel che pensa mentre parla che lo rende così simpatico: sarcastico, pungente, astuto, gaudente, il commissario Bäckström è un poliziotto pieno di vizi e vero, una persona prima ancora che un personaggio.
Eppure uno così è anche molto bravo nel suo mestiere e giunge alla soluzione del caso riuscendo pure a diventare un eroe dei mass media.

Il romanzo è di lettura estremamente piacevole ed è scritto con uno stile agile, senza divagazioni inutili e ricco di verve, il tutto strutturato in 94 microcapitoli che rendono comodo dedicarvisi anche quando si hanno a disposizione solo pochi minuti.
Il contenuto? Una bella storia che, come detto, non mi sento di mettere tra quelle che più mi hanno impressionato, la classica vicenda da 3,5 se solo esistesse questa votazione: chi leggerà il libro, però, molto probabilmente converrà con me che l'abilità narrativa e stilistica dell'autore riesce nell'intento di valorizzare ulteriormente l'intreccio.

Più volte mi sono ritrovato a ridere da solo alle considerazioni di Bäckström senza che, tuttavia, calasse l'attenzione per l'aspetto investigativo.
Un libro che non farà pentire chi vorrà cimentarsi nella sua lettura, questo mi sento di prometterlo.

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Stieg Larsson. Il tono brillante di quest'opera rappresenterà una piacevole variazione sul tema per chi già apprezza i polizieschi di ambientazione svedese.
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