Opinione scritta da JUNE
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quadri possibilistici
Quando un libro arriva a farsi spazio e vivida breccia in ogni tuo interstizio ti chiedi come mai il destino è stato cosi scorretto ma paziente nel fartelo incontrare solamente ora.
Una pazienza saggia, tardiva ma probabilmente consona.
Il titolo “Le città invisibili” mi ha sempre affascinato,perché in lui é già intrinseco l'antitesi di queste due parole,prese nude e crude nella loro oggettività più semantica.
E' buffo associare qualcosa di immateriale,inafferrabile alla parola“città” il cui significato é un agglomerato di materia che si manifesta su se stessa in un divenire,in un ruolo che ci circonda racchiudendoci tutt'ora.
Anche la mia fascinazione si é altrettanto materializzata in ogni singolo racconto che costituisce questo gioiello criptico ma immediato,ammaliante e leggero come la struttura del dormiveglia
Un opera nata da appunti meticolosi e poi strutturata in maniera brillante,geniale, manifestandosi in un'ampiezza corposa e sfuggente,lasciando perennemente un ritmo interlocutorio e pregno di voluttà immaginativa.
Le chiavi di letture sono molteplici e nascondono altre serrature che spero un giorno di poter aprire;man mano si sono fatti strada,in me,perimetri sconfinati,inesistenti che possono racchiudere e trasmutare le nostre paure,i nostri sogni,i nostri desideri destabilizzandoci ma dandoci anche la certezza di un concetto ambizioso del desiderio di armonia che conquista la maggior parte dei nostri cuori.
Immaginare infinite possibilità racchiude in sé un ottimismo implicito.
Annullare e mettere in discussione l'idea persuasiva di perfezione é una spinta all'umiltà degli infiniti simboli abbarbicati nella nostra mente.
Ho chiuso questi micromondi surrealistici,queste città dai nomi femminili dimenticati da far schioccare in bocca a voce alta e qualcosa in me é cambiato e non ne sono ancora del tutto cosciente
E' come aver visto realmente per una frazione di secondo in uno spazio prolungato la torre di Babele o essere incappati nella devozione della Sfinge a porci le domande fondamentali.
Non c'é un ritorno dalla bellezza sospesa e anelata perché lei ci possiede da sempre e con corteggiamenti anomali ci richiama a sé.
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dormi,di là avrai occhi per un'altra vita
“mettere la consolazione al posto del dolore é opera piu grande della creazione che ha messo l'essere al posto del nulla”
-Sergio Quinzio-
Dopo quattro anni di duro lavoro ecco che la penna pulsante di King incarna la malinconia e la volontà di riesumare i fantasmi passati e con volontà diviene,ancora una volta,una predatrice di psiche.
Incominciare ad assaporare questo romanzo,travestito da sequel, memori e pregni della scintilla di Shining potrebbe essere fuorviante ma credo che qualsiasi amante di questo autore sia già cosciente del percorso Kinghiano tanto da apprezzarlo per svariati motivi,accentando anche la godibile lettura esente dalla spavalderia buia che cavalcava il primo periodo ed é ciò che l'ha reso il più grande autore del suo genere.
Che fine ha fatto il bambino che percorreva i lunghi corridoi dell'Overlook Hotel in sella al suo triciclo? Cosa é rimasto di lui, con lui al di fuori e dentro a quel cancello di paure e angosce?
Oserei domandarmi,più in verità se mi é permesso ,che fine ha fatto l'infanzia ,il legame indissolubile con la sua figura paterna?
(Hai Promesso)
(Le promesse sono fatte per essere infrante)
Pensieri di Danny davanti alla 207
Danny ..un dono,lo stesso dono che imperversa la sua vita,una vita di demoni,di fantasmi,di cordoni ombelicali che costeggiano le ombre.
La sua vita da adulto una schiavitù nell'alcool da bravo erede di Jack Torrance,per mantenere la promessa del suo cordone ombelicale e della sua fragilità.
Rimuovere,sopprimere,azzerare,azzerarsi
Si possono rincontrare ad ogni angolo il ricordo del passsato,il non presente.Le presenze si possono rinchiudere in contenitori più o meno angusti ma in un modo o l'altro ci verranno a salutare tirandoci i capelli mentre la notte é sgombra dei sogni e della volontà.
Un lungo,imperscrutabile corridoio..
Si fa spazio tra le pagine un tragitto,un naufragare labile e inconscio e svariati incontri reali più o meno importanti che lo condurranno al ritrovo chiave:Abra,
Si,Abra lo specchio,la comunione delle menti,il riaffiorare della luccicanza,il colloquio ridondante e la lotta contro il male.
Il male un predatore affamato che si nutre del “dono” per sopravvivere,per esistere e crescere.
Si ha la perfetta idea che tutto si svolga in grande velocità,il ritmo é serrato,c'é qualcuno nella mia mente e tu stai guardando il dolore ma non sono i tuoi occhi.
Esci da me,sono in te,sto sentendo quello che pensi..non pensare,é tutto un trucco,uno scambio mentale.
Tony?
...Tony ?
......Tony,dove sei?
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No Time No Space another Race of Vibrations
Una copertina raffigurante un bambino con un mantello e il suo scudo fatto di occhiali da sole scintillanti,come un piccolo eroe in incognita.
Un passato rimosso per un futuro vergine.
..e giunse una nave,due persone con un presente riscrivibile e l'unico barlume del passato in una lettera perduta..
In un luogo indefinito,misterioso,incollocabile ed in un tempo altrettanto sfuggente approdano David,ragazzino perspicace ed un uomo, Simón , che si prenderà carico di proteggerlo,di accudirlo come un padre.
In questa nuova terra aleatoria chiamata Novilla,in cui entrambi arrivano disadorni del passato,privi di ricordi,storditi dalla spoliazione della conoscenza di ciò che il tempo ha creato in loro, cercheranno di adattarsi e di ricostruirsi una nuova identità nella ricerca della madre.
La cittadina si presenta come un vero e proprio porto di mare ma nel contempo come una società radicata in una razionalizzazione dei valori che la sostiene e con una struttura organizzativa a cui tutti partecipano in maniera quasi surreale,metodica,con un etica asettica e priva di istinti,di passioni e della fragilità umana che potrebbe metterla in discussione.
Anche se in teoria cominciano una nuova vita la sensazione che aleggia é che questa nuova vita sia un limbo momentaneo,una stazione che da tempo li aspettava ma nel contempo una tappa frugale
David si presenta come un bambino che con il suo acume metterà in discussione e scompiglierà chi gli é accanto e nel suo dispotismo,a tratti scalpitante,terrà le briglie di gran parte del racconto.
Navilla,forse, é un luogo dentro di noi dove il bisogno di chiederci chi siamo è forse la più grande spinta verso una vita più intensa,la forza motrice della nostra nave,il bisogno di non accettare passivamente la realtà imposta senza poter prendere il respiro errante che meritiamo
Nel suo porto,nel nostro embrione quel bambino indisciplinato,curioso,insaziabile che non vuole accettare regole,una creatura da accudire per il futuro,per la libertà di pensiero.
Lui con il dito in bocca e il vivace mantello diviene mago del nostro l'immaginario e l'eroe coraggioso a cui vorremo appellarci per destrutturare i nostri stessi schemi e volare verso una luce più autentica per noi stessi.
E visto che il nostro ribelle paladino ha imparato a leggere con il capolavoro di Miguel de Cervantes,a me piacerebbe leggere con lui e con voi questo passaggio..
“Anche oggi? – Chiese Sancho.
- Anche oggi. – Rispose Chisciotte.
Il vento spazzava le terre brulle, sembrava quasi che ululasse i loro nomi.
I mulini iniziarono a delinearsi all’orizzonte, Chisciotte si aggiustò il catino in testa. – E andiamo un’altra volta.
- Mi perdoni vossignoria.
- Sì, Sancho?
- Ecco, io sono ignorante e non conosco troppo le cose, ma mi chiedevo… Ecco… Insomma chi ce lo fa fare?
- Cosa?
- Tutto questo: ripetere eternamente tutti i giorni lo stesso giorno.
- Ma noi non ripetiamo tutti i giorni lo stesso giorno, ieri abbiamo ripetuto ieri, oggi ripetiamo oggi e domani ripeteremo domani, è questo che facciamo tutti i giorni.
- Quello che intendevo dire è che ieri abbiamo cavalcato fin qui, voi avete visto il mulino, avete urlato ‘Un gigante’, lo avete caricato e siete stato colpito dalla pala. E questo è successo anche l’altro ieri e il giorno ancora prima e sta per succedere anche ora, non negatelo.
- Ma quello non era ieri o ieri l’altro, era… Beh oggi, ma prima.
- E’ quello che dico io, continuiamo a rivivere sempre la stessa storia, mai un cambiamento.
- Noi non viviamo una storia, viviamo una vita."
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inutilmente si cela il teatro vitalizio
A volte ho covato l'immaginario di interfacciarmi ,in occasioni quotidiane,con grandi scrittori o personaggi storici,di volerli al mio fianco in questo tempo attuale e da questo spassoso e surreale immaginario mi nasceva un sorriso interiore di profonda consolazione..chi di noi non l'ha mai,per un momento soltanto,desiderato?
Chiacchierare alla fermata di una metropolitana con Proust dell'inquinamento mentre indossa i suoi guanti canditi e reclama una tuta iperbarica per vivere in questo suo futuro e nostro presente carico di polveri crudeli..
Lui,così ossessionato dai germi....diverrebbe il capo dell'insostenibile pesantezza dei tempi moderni!
Tutto questo per dirvi che in queste burle irreali Kundera mi è sempre stato complice,strizzandomi l'occhiolino.
Anche in quest'ultima sua opera l'autore richiama,momentaneamente all'appello,il grande dittatore Stalin,il focolaio delle sue ferite interiori,per farlo diventare,nella sua immaginativa scenetta,una suocera paranoica da orinatoio facendoci sorridere poiché,in fondo,l'ironia e l'autoironia salvifica privandoci del nostro più tenace attaccamento a noi stessi,concedendoci il segreto recondito della nostra inesistente importanza.
Ebbene si,quel Ceco inconsunto,che ci ha lasciato uno dei libri più conosciuti di sempre,ci regala una “pièce cartacea” breve ma destabilizzante.
Il suo girone umanistico é percorso e si fa percorrere in sette capitoli che sembrano celare l'apertura di quesiti già intrinsechi di risposta,una risposta beffarda e sfuggente che non può non spingerci a valutare la nostra infinita inutilità e destrutturazione.
Sedimenta tra le pieghe un entourage di nichilismo in questo sortito menage composto da cinque personaggi che ruotano sul palcoscenico come marionette ben calibrate,entrando in scena a turno e portando a compimento la sensazione fuorviante di chi muove i loro circuiti.
lo smarrimento lo si percepisce dal concetto di apertura del racconto che inizia cercando il significato di una delle forze primordiali che crea autocoscienza dopo il cibo:l'eros,un eros che é stabile come potenza inconscia ma che si veste di canoni diversificati per sedurci a seconda delle epoche.
Ci spiazza con l'omologazione di ciò che é sempre stato fonte di ammalianti pulsioni,di rottura di pudore nel corso della storia,simbolo dell'amniotica nutrizione,di ciò che é scolpito su di noi come un segno distintivo:l'ombelico.
Le occasioni,tra le pagine,sono molte per buttare sul piatto concetti che annientino e provochino in questo sceneggiato che si muove tra tre ,massimo quattro,scenografie.
Ho letto questo racconto due volte perché un passaggio non era abbastanza generoso per rubare,farmi svelare,afferrare quello che l'autore,burlandosi di me, ha voluto farmi credere depistandomi e vi dirò che il suo fascino é che ancora non ne sono totalmente convinta perché inerme.
Probabilmente la distopia é solo un'utopia che non ha ricordi di se stessa o
forse semplicemente sto dicendo un mucchio di baggianate
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Il riverbero tanto atteso
Premetto che il mio approccio con questo scrittore è del tutto verginale,quindi parto da una totale pagina bianca e immemore di “Hosseinica” non conoscenza…Chiedo venia,non me ne vogliate fans!
Probabilmente la prima parola che ha sfiorato le mie sinapsi per dare un sunto mentale una volta girata l’ultima pagina è: puzzle.
Ebbene si,tanti tasselli da ricercare per la ricostruzione e allo stesso tempo cospirazione del tessuto iniziale e finale,tra di loro,come tra i due fratelli un ponte centrale ermafrodita.
Il gomitolo del racconto parte da un lembo di filo incastrato sotto un angolo,interstizio fiabesco e mitologico preambolo che aprirà la vicenza di questi due fratelli,Abdullah e Pari,con un legame molto viscerale che verrà interrotto dallo stesso padre per la sopravvivenza della sua intera famiglia,da questa frattura le loro vite saranno catalizzate da eventi completamente diversi.
La vicenda si dipana attraverso tre generazioni,rimbalzando da luoghi diversi,lontani ed in questa matassa appaiono vari personaggi che s’intersecano tra loro ma che,purtroppo,mi hanno lasciato il retrogusto che non fossero mai completamente armonici,cooperativi e realmente unificanti per la fluidità e la cadenza ritmica del racconto.
Si intercalano giri pindarici con la sensazione di una forzatura nel voler a tutti i costi dare una forma e fare in modo che questo involucro proponga quel sobbalzo al cuore sospirato dai suoi lettori. Ma c’è un’aritmia di fondo che mi ha allontanato e un orchestrare che non mi ha del tutto avvinghiata,come se dovessi costantemente rincorrere la storia che dovrebbe invece avvolgermi e trascinarmi per mano.
Ci piace vedere un baule ricco di buoni sentimenti,di legami famigliari,di ricordi,di rincorse,di tenacia sentimentale per poi romanticamente ritrovarci alla rivincita della forza e all’immortale amore che ci romanza.Ma dal fondo della stanza ci saluta un Afghanistan percepito solo come il paesaggio dipinto per lo sfondo di un teatrino,invece che essere il coprotagonista che cambia nel camerino i suoi attori.
Mi sfuggono i tratti che potevano riverberare questi sentimenti di una luce più acuta,vivida,catalizzando il nostro cuore verso l’amato cantastorie che ha conquistato milioni di occhi pieni di emozioni ma sono sicura che sarà un eco che riuscirà comunque ad instillare il suo vento caldo in quelle grotte che l’hanno atteso con la stessa fiducia e tenacia dei suoi personaggi.
“Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù”.
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- sì
- no
La recherche di una nuvola caduta
Durante le prime pagine,per un millesimo di secondo, ho inavvertitamente ricordato il Brucaliffo di “Alice nel paese delle meraviglie” che fumando il suo narghilè pronunciava in anelli di fumo colorato:
“t-u-u ..chi esser t-u-u”
Bel garbuglio..
Perché,essenzialmente,il tema centrale di questo racconto è l’inseguimento di se stessi nella prigionia degli altri,gli stessi “altri”produttori di conseguenze,le cui aspettative e proiezioni sono sbarre che non riusciamo a limare ed il recupero della libertà ,implodendo, sembra potersi risolvere solo in uno scambio di vita.
Chi di noi non ha mai avuto l’istinto famelico di mentire per non deludere il peso della gioia e l’ambizione proiettata su di noi di chi ci vuole bene.
E più il bene profondo si incarna in guida giudiziosa,minuziosa di cui non sentiamo il bisogno e più l’angoscia sale.Genitori che riverberano,involontariamente,il loro passato sul futuro dei figli e sulle loro scelte.Un tema che sicuramente,in un modo o nell’altro,tutti noi,in fumose frazioni,in lancette che sollecitano i minuti,nell’inconsistenza di non ricordare come mai gli anni scivolano via,per motivi più o meno incisivi nel nostro percorso, abbiamo vissuto.
Filippo,figlio di cui esser orgogliosi, Bocconiano promettente,farà cadere tutta la sua famiglia dalle nuvole,quelle nuvole vaporose,morbide carcasse di zucchero filato,della stessa consistenza delle pecore che si porterà appresso in una conferenza nel più rinomato college di Oxford e che saranno il fattore scatenante di un percorso a ritroso.
Si dipana una sorta di rocambolesca recherche di quel figlio,quel nipote,quel fratello,quel fidanzato tramite i racconti di come gli altri lo hanno vissuto,delle strade che l’hanno fatto allontanare, per capire chi abbiamo osservato ma non visto realmente crescere.
Sotto questo racconto si fa spazio anche la dolcezza di chi,invece,avrebbe voluto quelle possibilità e si ritrova,per uno scambio menzioniero necessario,magicamente ad averle in pugno per poter sviluppare il proprio desiderio di aspirazione;ed è il “Proprio”il vero messaggio nella bottiglia che la buona Mastrocola,da sempre osservatrice pedagogica di giovani anime,ha voluto far scivolare in questo mare di carta.Il suo protagonista non vuole primeggiare,non vuole essere un contenitore asettico di cultura,di idee economiche o culla di futuri sicuri e si fa scudo.
In fondo il vero sbaglio non esiste,l’indirizzare non è errato,magari è semplicemente la persona ad essere nell’indirizzo sbagliato e siccome siamo ignari della via scritta nelle nostre tasche e in quelle altrui è meglio lasciare che i grandi spazi ci angoscino,ci facciano sentire completamente inesaudibili,inappagati, persi,curiosi in modo che sia l’agorafobia a guidarci.
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E L'ARROCCO DELLA TORRE
Specchio.. specchio delle mie brame,
Némirovsky,chi è che gioca nel tuo rame?
Per chi ha avuto modo d’incontrare questa scrittrice sembra quasi inutile il riaffermare il suo grande stile:lieve,penetrante,coinciso dell’umanità lisergica nel più antico metallo,con quella sua conducibilità elettrica e termica elevata.
Ascende e discende nelle piaghe del meccanismo umano come la più grande ladra ascoltatrice,non ci sono giudizi ma solo sentimenti che si muovono tra il bianco e il nero e grandi occhi e grandi mani stetoscopiche e grandi orecchie che afferrano.
In questo racconto il protagonista è il rame che si ossida,diventa lattiginoso ,una materia che in realtà non ha movenza ne risoluzione ma un'apatia vacua,diciamo pure..é quanto di più fastidioso e snervante si possa incontrare.
James Bohun,capo di un’azienda di rilevanza internazionale produttrice di acciaio,definito come Attila (“dove passa lui crescono solo rovina e guerra”) che verrà schiacciato dalla grande crisi degli anni 30,travolto dal crollo della borsa e dalle sue terribili conseguenze per tutta l’economia,riesce comunque,seppur senza grandi prospettive per la situazione disastrosa ,ad assicurare un posto da dipendente al figlio Christophe nell’azienda di famiglia che per ragioni finanziarie ha dovuto cedere al suo assetato socio Beryl.
Ed é proprio Christophe ,rinchiuso in questo ruolo da semplice impiegato che svolgerà come un automa,reiterandosi nel totale nichilismo ed assenza di ambizioni o sogni,la pedina del racconto.
Si limita a sopravvivere tra le pieghe della sua famiglia,che subisce come fosse un estraneo,una moglie che sembra ritrovarsi nella sua vita e per cui prova avversione,dimenticando prima delle necessità del tetto famigliare,la scintilla che li ha uniti,un figlio che non sopporta e Murielle la cugina da sempre innamorata di lui.Appare a sprazzi in questo meccanismo degenerativo la lucidità che la vita è oltre l’abitudine ma l’unico rimedio che subisce invece che cercare,è il dio denaro,la chiave che percepisce come la via di salvezza immaginaria ma che in termini pratici non prova nemmeno a raggiungere.
Circondato dall’ibernazione sulla visione futura ne diventa lui stesso l’emblema assoluto,scarno di ogni forma di reazione,spogliato di energie positive e lungimiranti che scavalchino il suo piccolo io assettico,prigione in cui sembra crogiolarsi e compatirsi
Alla morte del padre,però,trova nel cassetto dei documenti che potrebbe utilizzare per ribaltare completamente la sua situazione… cosa farà?
Vorresti scuoterlo,strangolarlo con le sue stesse mani ma in fondo è proprio questo che la scrittrice vuole,capire quanta lucidità può avere la totale incombenza nel pensare che tutto non ha un senso con gli occhi privi di pupille.
E’ questo che desidera:reagire mentre tu osservi
Nonostante l’allure pessimista sfogliando l’ultima pagina hai voglia di fondere quel rame con la consapevolezza che l’oro è proprio lì vicino,senza soluzioni preconfezionate,degne di una magistrale penna tinta di maestria alchemica che porta il nome di Némirovsky.
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..e il Tango Nero Più Furbo Del Mondo
Mi impunto,prendo un lazzo e mi avvicino al famigerato nome di Joe R. Lansdale, mi aggiro,non so da dove iniziare,siamo io,lui e l’esposizione dei suoi titoli come tre entità separate quando una lieve brezza mi giunge alle spalle,sento già il vento delle foresta farsi spazio e venirmi a cercare per rapirmi soltanto guardando le copertine. Palle di fieno che svolazzano tra ossa dimenticate,nubi cariche di innondazioni,sorrisi a cui manca un dente che mi stanno già servendo un caffè che sa di benzina.
E mambo degli orsi sia!
Fin dalle prima pagine mi pervade un' irrefrenabile senso cinematografico e comincio ad avvertire quasi un’ondata Tarantiniana che si spalleggia con i Fratelli Coen del grande schermo.
La corposa fisicità dell’ambiente,la predominanza degli elementi atmosferici e la particolarità dei personaggi descritti con un linguaggio incisivo,marcato,impietoso,senza peli sulla lingua e con la brillantezza di chi è viscerale nel crearli,mi avvinghiano nel classico stridio della vicenda a tinte fosche.
E poi giù nel lembo di terra texano,dove la denutrizione di bellezza ha fermato gli esseri umani,ancora più giù in quel luogo che sembra quasi indefinito che é Grovetown,dove il sangue porta l’ossigeno nel corpo e al cervello spinto solo da regole primitive,dove ti devi coprire il naso per la puzza di stantio e ogni viso è quanto di meno rassicurante possa esserci sulla faccia del pianeta mentre il razzismo è suolo predominante.
La sparizione di Florida,bellissima e testarda donna di colore trascinerà questa indimenticabile coppia di dectective Lansdaliani:Hap la parte bianca,piu posata ma testarda e Leonard “il Negro Più Furbo Del Mondo” con il suo sberleffo attaccabrighe, in questo luogo ostico,cupo,putrido che sarà teatro di un corollario di personaggi al limite del grottesco che nutriranno di verve umoristica il presagire del peggio.
Si ha la percezione che Grovetown sia un luogo remoto e che si fa strada per autoproclamarsi tra i padroni di casa,cominciando da chi detta la legge di zona,rappresentata da questa sorta di sceriffo con la fisionomia facciale che ricorda un carlino,gran masticatore di tabacco e affetto da orchite ad uno dei suoi gioielli di famiglia,passando per un gruppo di pseudo Ku Kus Klan con a capo un impomatato e che,a mio avviso, ci starebbe a pennello nel mio immaginario “tardo Tarantiniano”un Christoph Waltz senza pietà,sino alla vecchia matrona della tavola calda che subito dopo la sudditanza nel servirti una ciambella potrebbe puntarti una carabina dritta in fronte se si fa troppo baccano.. e tanti,tanti altri ancora
Si, forse più che il racconto in sé,tra scazzottane da far west e pulp avvenimenti,l’energia di Lansdale è totalmente nella capacità descrittiva,nell’accuratezza comparativa con cui riesce a dare ogni colore ai suoi attori su carta,anche le comparse che sembrerebbero meno servizievoli alla sostanza della vicenda diventano invece strutturalmente essenziali,altre arricchiscono le sfumature quando probabilmente in altre mani diventerebbero assolutamente inchiostro dimenticato.
Lui non trascura nessuno come un grandissimo cesellatore,come chi è e vive la sua storia, la palude,la pioggia incessante e si fa vaso e artigiano di ogni singolo tassello ,solo per questo un artista da incontrare anche se si rimane per un po’ con la vivida sensazione di aver preso un sacco di cazzotti e di aver bevuto un intero stagno mentre si abbozzavano delle risate
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VIOLA FROM SPOON RIVER
Cuore cavo è “una caverna franata del nostro petto,in fondo alla terra e lo si ingoia” per riutilizzzare uno dei tantissimi passaggi lirici che gorgheggiano in queste pagine e di musica in questa pulsante narrazione ce n’è davvero parecchia.
E’ un libro che lascia qualcosa di dolcemente reale,di evanescentemente palpabile forse anche lui stesso diviene,una volta terminato, un fantasma che sfiora le tue ciglia mentre tu non puoi più accarezzare la sua copertina,forse sta ancora bisbigliando e continuerà a farlo e sarà più incisivo di tutto il frastuono.
Dorotea la protagonista e non di questo libro,decide di uscire dalla vita per ritrovarsi a rientrarci a braccetto con la sua negata fisicità post-mortem con tutte le emozioni,pensieri,trepidazioni,congetture e ragguagli meditativi e melanconici che la fascinazione di un argomento che sfida l’uomo dalla sua stessa nascita sulla terra porta con sé
Per questo tema è davvero funanbolico riuscire,per me,in questo momento a scrivere una recensione,perché l’ampiezza é davvero di difficile compressione,come è davvero degno di nota che una scrittrice cosi giovane sia riuscita a dargli lo spessore frastagliato e la sensazione stratificata,fino ad arrivare alla più precisa archeologia necrofiliaca per dare ancora meno e al contempo più importanza al nostro io,alla nostra esistenza e a tutto ciò che la crea e la distrugge.
Il corpo che si sfalda e mentre ne viviamo il completo sfacelo e mentre noi stessi ci sentiamo mangiare dalla morte fisica,percepiamo l’essere cibo per la vita stessa,il dolore ci ha reso carne putrefatta,il piatto succulento di batteri e vermi e famelici di essere,questa voracitàci stringe in un abbraccio cannibale.
Il vuoto di stomaco per l’essenzialità,il valore aggiunto sopra la terra che ci nasconde ai ricordi e diventa l’incognita e la continuità del precipizio su noi stessi.
“Era una liberazione,essere finalmente fuori di me:da viva passavo troppo tempo dentro di me,segregata nel freddo monolocale del mio cervello,con tutte le finestre rotte e le serrature da oleare.Soffocavo nell’aria viziata della mia infanzia,coinquilina di tutte le me del passato senza avere le chiavi di casa.Delle me ancora vive e di quelle decrepite e di quelle già morte,a scambiarmi con loro i vestiti e la pelle ad appendermi ai lobi i loro vermi.
L’introspezione è necrofilia”
Lo stile è persuasivo ma a tratti mi ha dato l’impressione di essere troppo ricercato,come forzato,lasciandomi a volte una pastosità artificiosa e ho sentito la mancanza dell’ironia nera del precedente romanzo a parte qualche breve sprazzo come l’Oroscopo dei morti.
Questo libro è già il nutrimento del suo fantasma guardingo,chissà cosa penserà di se stesso osservando la sua copertina sgualcire a noi non resta che l’illusione di averlo letto a nostro modo.
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l'acqua dell'autocombustione
Nel mio frivolo immaginario ho sempre associato l’aurea giapponese all’immagine dei ciliegi in fiore,alla natura ricca di simboli e di codici inconsci e segreti,alle magie inviolabili di scatole chiuse concomitanti alla forte struttura tradizionale e non chiedetemi il perché o le radici di questo mio inconcreto sperperare di associazioni banalissime.
Questa “sete d’amore” è un’arsura crudele. Etsuko ,protagonista del simbolismo di un desiderio viscerale,incontrollabile ma manipolatore, è una donna che rimane vedova di un marito assettico,arido e privo d’amore nei suoi confronti ed è forse li che comincia a sedimentare il germe che poi porterà questa frustrazione ad essere la fonte delle sue successive azioni,al bisogno represso di fisicità che si intuisce velatamente durante tutta la narrazione.
Rimasta sola viene ospitata nella casa di famiglia del marito con a capo l’anziano suocero per cui silenziosamente si prostrerà nel ruolo di amante con pigra accondiscendenza ed è qui che si apre la vita di campagna giapponese,la sua struttura,i suoi silenzi e le sue contradizioni che faranno da sottofondo al desiserio sempre più palpabile che lei proverà invece per il giovane Saburo ,il servo della casa.
Questo ragazzo completamente all’oscuro di essere l’oggetto e il soggetto scatenante di tale sentimento e la cui struttura caratteriale frivola,semplice,contadina e per certi versi percepita come totalmente neutrale sembra essere terreno ancora più fertile per l'emozioni accecanti di Etsuko
Il sentimento di gelosia mista ad un sottile alleggiare di tensione sensuale per lui,chiuderanno la protagonista in un inferno vero e proprio,in un fuoco ermafrodita fino al totale soffocamento nel congeniare qualcosa per porre fine al proprio bruciante dolore di cui lei sarà immoralmente preda e carnefice.
La tensione verso il finale è davvero coinvolgente sfiorando a tratti il noir conducendoci al colpo di scena ,ci si aspetta davvero che accada di tutto e si rimane sempre nella non chiarezza di che cosa una mente melmosa come quella di Etsuko potrà fare o non fare da un momento all’altro ..ma non aggiungo ulteriori dettagli per non rovinarvi la lettura nel caso un giorno vogliate incontrare questo racconto
La scrittura di Mishima è chiara,scorrevole riuscendo nel contempo ad assumere picchi di liricità mista a sprazzi filosofici e indagatori mentre la sua creatura nera come l’abisso si autocombustiona nel cercare sempre nuovi fermenti di angoscia e dolore
“..non provava alcun rimorso,né nasceva in lei lo strenuo spirito di rivolta con cui l’animo si rinserra per concedere spazio al rimorso:si limitava a riscoprirsi seduta ineluttabilmente sulla catena delle angosce del passato,su un immobile cumulo di putridi sentimenti.Non è forse ciò che chiamiamo colpa a insegnare nuovi languori agli esseri umani?”
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..DAI GROSSI POLSI PENDEVANO PEZZI DI CARNE CRUDA.
il perché e il come si venga affascinati da un libro piuttosto che da un altro rimarrà sempre un mistero,come tra gli esseri umani. Certe storie alla fine non sono nulla di nuovo eppure,si sa,dipende tutto dalla sorgente che le fa trapelare,trasudare,trasalire e quindi “tra..” le pagine che si avvicinavano alla conclusione di questa storia facevo una pausa per non divorarlo subito. Ci sono autori che si vorrebbero accantonare ma non per una questione di noia o difficoltà ma per non doverli accomiatare cosi rapidamente
Easter Parade è scritto da uno di loro,tale Richard Yates e quel che racconta non è solo la storia di due sorelle,della loro famiglia e del loro percorso vestito del realismo Americano,è un magma caldo,vischioso che si muove sotto pelle,denso e che bisbiglia al sangue per fare breccia nello stomaco e poi salire ai bulbi oculari e scioglierli afferrando nuovi lucidi contorni.
I suoi personaggi,come in Revolutionary Road,sono personaggi che covano,il loro magma memorizza,scandisce,conserva senza ricordare il ricordabile e quello che non sanno di aver riposto lo senti ciondolare fra la possibilità di diventare elio per palloncini o un braccio pieno di accidia che farà piazza pulita della tavola ben apparecchiata.
Sarah ed Emily,due sorelle un passato comune ed un evolversi di due personalità fragili in maniera non subito parallela ma speculare.Forse Emily é davvero il personaggio chiave con il rifiuto della cecità che rende unico e speciale Yates,a costo di far male,io ho adorato Emily è lei che mi attrae,che mi commuove e lei che rinnega il vuoto,la superficialità,la solitudine fuggendo al prezzo di un profondo senso di inettitudine e del riciclo di altrettanto isolamento,ed è ancora lei che guarda i volti,i gesti scovando le smorfie distratte ma più rilevatrici del nulla che è dietro all’angolo.Eppure in tutto questo non trova soluzione,approdo o quiete,sarà poi lo stesso barlume di gettare l’ancora nel porto della serenità che darà ancora più dolore nel fallimento.
Sarah invece è la rappresentazione della vacuità,della middle class e della sua facciata dormiente,sembra a tratti,la salvezza per una buona serena esistenza con la partecipazione ai valori che inavvertitamente nel tempo si impongono nella società a costo di perdere la vera essenza della felicità.
Diciamo che non è un libro ovviamente da happy ending ma non si avverte mai la pesantezza del buio,della nullità,questo malessere cosciente e incosciente è composto di frammenti che volteggiano ,come parti di un soffione,nell’alito della commozione concedendoti la verità di desiderare il sole sapendo perfettamente che non potrai mai sentirne il calore mentre sorseggi un milkshake in questa Pasqua piovosa.
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BRACI LUCIDE E NERE COME UN PEZZO DI RASO..
Insomma era un bel po’ che Sándor Márai , vestito nella sua copertina cremisi,imbastita con il delicato ritratto di Emilie Floge di Klimt mi strizzava l’occhiolino ma io distrattamente,anche un po’ indispettita,se devo essere sincera, mi rivolgevo ad altro.Illogicamente non volevo cedere al suo civettuolo protagonismo tra gli scaffali,come se volesse ingannarmi perché lo si trovava ovunque..(che cosa terribilmente sciocca,io sono sciocca!)
Fino a quando,una settimana fa, ho ritrovato il prezzemolino di anni addietro (probabilmente aveva avuto dei mesi di protagonismo) in un angolo stropicciato e lontano,con le pagine languide e piene di malinconia ,l’ho raggiunto e ho ceduto prendendolo tra le mani, pensando “mmm ora vediamo”
Fin dalle prime pagine mi conquista,la prosa è scorrevole e ricca,un impetuoso soliloquio,una potenza emotiva,viscerale si dipana nel capire i frammenti e il mistero di che cosa sia accaduto,di che cosa sia composta l’alchimia che fa sgretolare e riconfermare nel finale un legame cosi amniotico che scorre tra i protagonisti.
Per me questo libro sorvola il semplice racconto di un rapporto d’amicizia,di un ritrovamento di due anime malinconiche in un fuoco senile e atterra in un luogo indefinito e in continuo movimento tra le sfaccettature di questo legame che nello stesso momento che si marchia a fuoco perde i contorni per farsi pretesto nel vedere il fantasma della vita che con la sua camminata dinoccolata si fa spazio nel suo autodafé quando si ama qualcuno,quando si viene profondamente feriti,quando non si possono spiegare razionalmente le pulsazioni più ineluttabili e poliedriche.
Ho adorato la lucidissima consapevolezza finale e la certezza istintuale di sapere la verità ma non una verità o la risposta a delle domande che darebbero dei responsi sicuri e concreti,se no che fantasma di cenere vivente sarebbe il fuoco della vita?
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IL SOGNATORE TRADITO DAL RADIOSO MATTINO
Breve racconto di un Dostoevskij romantico e in gestazione che non può non privarti di un sospiro una volta terminato.Ed è proprio il ricordo di questo spasmo che navigava nell’aria,chiuse le pagine ingiallite,che mi ha suggerito all’orecchio il desiderio di rileggerlo
L’atmosfera palpabile di una San Pietroburgo melliflua,ovattata,che offre la sua cornice di riflesso e contrapposizione dei sentimenti del protagonista e del suo sentirsi irreale seppur nella violenta e dolorosa presa di coscienza che il proprio “essere” vero è nei suoi sogni nelle sue fantasticherie.E’ forse questo divario e ricerca di unione tra il sogno e realtà la vera brillantezza e commozione di un racconto quasi privo di uno svolgersi d’azioni e con una coerografia essenziale tra una panchina e una ringhiera di un canale.
Il dolcissimo abbandono nel sogno che tutti noi viviamo,la cui essenza ci aiuta,ci rincuora,ci conforta e ci fa sentire vivi ma che altrettanto riesce a farci sentire disperatamente soli quando ci deve salutare dall’altra parte del fiume mentre all’altra riva ci aspetta la dura realtà
In questo continua attraversata,in quelle coordinate solitarie appare Nasten’ka,che rappresenta il pulsare dell’emozioni,quel perno concreto che sembra presagire la possibilità di una conciliazione tra questi due mondi e la rottura con quella sorta di autismo romantico interiore di cui è preda il protagonista
Il sentimento che si dipana è vissuto con una tale forza di abnegazione,di ideale incondizionato,di empatia e altruismo che faranno crollare la notte soffusa di una mestizia crepuscolare per poi ritornare al duro risveglio.
In una lettera il 18enne Dostoevskij scrisse al padre:
“l’uomo è un mistero.Un mistero che bisogna risolvere,e se trascorrerai tutta la vita cercando di risolverlo,non dire che hai perso tempo.
Io studio questo mistero perché voglio essere un uomo”
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ZWEIG A PASSEGGIO CON SCHNITZLER
Credo che non ringrazierò mai abbastanza Sharma per avermi attratto verso la scoperta di questo libro e simmetricamente verso quest'autore,che avevo sempre intravisto negli scaffali con i suoi "mignon" Adelphi ma che purtroppo per chi sa quale motivo ,che ho già riposto nell'oblio,avevo sempre rimandato nel conoscere concretamente.
Ed eccomi qui dopo 100 pagine sfuggite in poco tempo piene di flusso di coscienza e turbini di ambivalenze che ti imbrigliano e si imprimono con vigore.
La protagonista,questa moglie borghese,bella e ricca che nella sua frivola noia trova un'amante il quale é vissuto e utilizzato senza nemmeno la passione che nella maggior parte é il conforto dall'apatia e quindi la causa del tradimento, pure quello che dovrebbe essere il pagliativo é vissuto con passività,come se la "madame viennese" in questione fosse in uno stato di totale ibernazione,di autismo esistenziale.
Questo indolenzimento psicologico verrà di colpo infranto da un episodio misterioso che scatenerà una vera e propria crisi incalzante che squarcerà e ristrutturerà nuovi sentimenti e percezioni del mondo circostante.
L'angoscia e l'ansia come una metastasi arriverà in ogni angoloe e sarà inarrestabile ma l'io/lettore/osservatore man mano ha sentore che sarà anche l'ultima carta per riscuotere una vita cosi priva della sua stessa sostanza.
La scrittura riesce a farti sentire fisicamente il fantasma della paura,simbolicamente associata alla ricattatrice,che é sempre dietro all'angolo come un assassino ed é proprio qui la forza di questo romanzo breve.
Mi ha ricordato molto il filone Schintzleriano proprio per il flusso di coscienza e il marasma emotivo/cognitivo,quindi a chi si é fatto rapire dal buon vecchio Arthur troverà altrettanto calamitoso anche questo libro e io mi accingo a cercare altri scritti di questo autore ante litteram che mi aspettava da tempo....
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THOMAS MANN NOBLESSE OBLIGE
Thomas Mann é uno dei miei autori prediletti e "La Morte a Venezia" uno dei suoi racconti più poetici,penetranti e che ti lasciano un senso di dilatazione interiore inspiegabile.
Devo ammettere che erroneamente ho visto prima il film di Luchino Visconti che nei suoi colori pastello,vividi di malinconia genetica é stato il fautore di una spinta che mi ha poi fatto conoscere questo grande scrittore del 900.
Questa passione vivida che il protagonista vive come paradisiaca ma allo stesso tempo infernale,il tutto circondato da una Venezia struggente,angusta e in preda all'avvicinarsi della minacciosa peste alla quale soccombere,é riuscita a toccare le mie corde interiori.
"..le osservazioni e gli incontri dell'uomo taciturno sono insieme più vaghi e penetranti di quelli dell'uomo socievole,i suoi pensieri più gravi e bizzarri,mai senza un ombra di mestizia.
Immagini ed impressioni che,con un'occhiata,un sorriso,uno scambio di giudizi,sarebbe facile disperdere lo occupano più del dovuto,si approfondiscono nel silenzio,acquistano peso,si trasformano in episodio,in avventura,in fatto sentimentale.
Matura l'originalità,
la bellezza audace ed inquietante.
ma anche l'opposto abnorme,
l'assurdo.
l'illecito."
non vi resta che immergervi in questo breve racconto..
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