Opinione scritta da marinablu

26 risultati - visualizzati 1 - 26
 
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    14 Giugno, 2020
Top 500 Opinionisti  -  

L'ALTRO CAINO

Il libro inizia così: “Quando il signore, noto anche come dio, si accorse che ad Adamo ed Eva, perfetti in tutto ciò che presentavano alla vista, non usciva di bocca una parola né emettevano un sia pur semplice suono primario, dovette prendersela con se stesso, dato che non c’era nessun altro nel giardino dell’eden cui poter dare la responsabilità di quella mancanza gravissima, quando gli altri animali, tutti quanti prodotti, proprio come i due esseri umani, del sia-fatto divino, chi con muggiti e ruggiti, chi con grugniti, cinguettii, fischi e schiamazzi, godeva già di voce propria. In un accesso d’ira, sorprendente in chi avrebbe potuto risolvere tutto con un altro rapido fiat, corse dalla coppia e, uno dopo l’altro, senza riflessioni e senza mezze misure, gli cacciò in gola la lingua.” …e già l’incipit la dice lunga.
Josè Saramago ci ha lasciato questo romanzo meraviglioso e divertente che ha come protagonista uno dei personaggi per antonomasia più oscuri della storia biblica caino e come coprotagonista c’è dio.
Nella Genesi Caino per tutti noi è segnato come un personaggio maledetto dopo aver tolto la vita a suo fratello Abele, Caino è il primo assassino della storia umana, ma Saramago ci dà un’altra chiave di lettura, ci fa leggere questa storia da un’altra prospettiva, ossia da quella di caino stesso, quando dio lo condanna a un destino da errante per il suo atroce delitto, Caino gli fa notare che è stato dio stesso a permettere che Abele venisse ammazzato, dio, in quanto onnisciente, doveva già sapere in anticipo che la sua preferenza verso Abele e il suo disprezzo per i sacrifici di caino avrebbero innescato un meccanismo di gelosia tale da indurre caino al fratricidio, se avesse voluto dio poteva evitare tutto questo e invece no, ha lasciato fare per poi condannare e marchiare a vita caino.
Nelle sue peregrinazioni caino incontrerà Abramo il cui dio ha ordinato di sacrificargli il proprio figlio, vedrà la torre di babele che veniva costruita sempre più alto affinché gli uomini si avvicinassero al cielo e che il signore abbatté con un soffio, arriverà a Sodoma e Gomorra dove gli abitanti secondo dio avevano abbandonato il patto con l’Eterno e per opera divina venne data alla fiamme senza risparmiare nessuno, uomini, donne e bambini innocenti, poi si ritrovò sul monte Sinai dove tanti ebrei convinti che la loro guida spirituale, Mosè, non tornasse più, fecero costruire un vitello d’oro come idolo da adorare e anche lì furono sterminati tutti, in sintesi caino percorse le vicende principali riportate nell’Antico Testamento e attraverso questo viaggio ci parla di un dio crudele, vendicativo, un dio privo di ragione che alla luce delle richieste rivolte ai suoi servitori appare talvolta come un bambino capriccioso e talvolta come un tiranno.
Durante tutto il suo percorso Caino si confronterà con dio ed è come se ne diventasse la coscienza. Caino parte da condannato e arriva a essere giudice di un dio che, secondo Saramago non è il dio buono e amorevole che infonde fratellanza e carità tra i suoi seguaci, non è il dio giusto e imparziale che ragionevolmente porta il suo gregge per la retta via, no, è un dio meschino che strumentalizza gli uomini a suo arbitrio, intoccabile nella sua posizione “la morte è vietata agli dèi anche se dovrebbero farsi carico di tutti crimini commessi in loro nome o per causa loro”.
La critica di caino/Saramago è rivolta alla fede cieca, all’obbedienza incondizionata, è una parodia sull’autoritarismo religioso, porta alla luce il contrasto tra il libero arbitrio donato all’uomo e le regole imposte da un dio che dice “ti dò la libertà ma ti condanno se vivi liberamente”. Anche questa volta Saramago, dotato sempre di una straordinaria fantasia nei suoi romanzi, racconta l’animo umano rappresentando il cattivo/caino come quello buono che riflette sul valore della vita, che ha la capacità di discernere tra il bene e il male al di là del fine, che non volge lo sguardo altrove ma giudica e condanna l’azione sbagliata e poi il buono/dio che diventa il personaggio cattivo della storia, il mandante di crimini efferati pur di imporre la sua supremazia, colui che chiede a suoi fedeli sacrifici innaturali e inumani come segno di devozione. Nel suo percorso caino si eleva moralmente a coscienza divina mentre dio mostra il volto più ignobile dell’essere umano quello di un abietto tiranno.
Con coraggio e con una divertente parodia di un testo sacro, Saramago ha voluto denunciare e condannare secoli e secoli di “guerre sante” fatte in nome e per conto di un dio che, indipendentemente dal nome che porta e dalla collocazione culturale/geografica dei suoi seguaci, ha versato sangue di innocenti in scellerate guerre e Saramago ha scelto di farlo raccontare al più cattivo di tutti: Caino.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
130
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
2.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    02 Giugno, 2020
Top 500 Opinionisti  -  

OLTRE IL PASSATO ATTRAVERSO IL PRESENTE

In un giorno di neve le storie di tre personaggi molto diversi tra loro si intrecciano e ne diventano una.
Tutto inizia quando Richard Bowmaster, un accademico sulla sessantina che vive una vita regolare e a dir poco noiosa, tampona l'auto guidata da Evelyn Ortega, una giovane immigrata clandestina del Guatemala.
E’ un semplice tamponamento niente di grave, ma la sera stessa Evelyn bussa alla sua porta disperata per chiedere aiuto, Richard impacciato nel gestire la situazione si rivolge a Lucia Maraz, la sua affittuaria cilena che lavora anch’essa come professoressa nella sua stessa università.
La comunicazione tra loro tre è difficile e anche improbabile, Richard e Lucia cercano di capire cosa terrorizza Evelyn che a stento riesce a dire una parola, finché con non pochi sforzi la giovane guatelmaltese rivela che nel bagagliaio dell’auto c’è un cadavere, il corpo di una giovane donna esanime avvolto in un tappeto. Di chi è il corpo della giovane donna? Chi è stato ad ammazzarla? Cosa fare in questa situazione? Denunciare tutto alla polizia sarà opportuno? Se sì quali saranno le conseguenze per Evelyn?
Fondamentalmente è con questa trama non molto originale ma “in qualche modo” plausibile, che passeremo attraverso le storie di ciascuno dei personaggi, nello stesso momento in cui cercheremo di scoprire cosa accadrà al cadavere.
Leggeremo come eventi passati, che pochi avrebbero la capacità di superare e sopportare, segnano il comportamento di ognuno di loro. Per Richard la sua attuale quotidianità tranquilla e monotona è il frutto della sua precedente vita e del suo precedente matrimonio; il silenzio misterioso di Evelyn appare più chiaro quando veniamo a scoprire delle torture subite in patria durante l'infanzia e la giovinezza e infine Lucia che, a sua volta, porta con sé la storia di coloro che hanno bisogno di andare in esilio per motivi politici perché si sentono stranieri nel loro stesso paese, Lucia questo personaggio “dal carattere stoico come la gente del suo paese, abituata a terremoti, inondazioni, tsunami e cataclismi politici; se in un arco di tempo ragionevole non si verificava nessuna disgrazia, si preoccupava.” Lucia che in qualche modo potrebbe impersonare l’autrice stessa, dovendo andare in esilio durante la sanguinosa dittatura che portò via suo fratello e la lasciò con la sensazione permanente di essere straniera nel suo paese.
Man mano che si svolge il romanzo è chiaro quanto le personalità e caratteristiche dei protagonisti siano dovute a ciò che hanno vissuto nel passato e come tutto questo passato influisca nelle decisioni prese in quel momento.
Se il fine ultimo del libro era parlare di questioni molto importanti come i diritti umani e la situazione degli immigrati e dei rifugiati allora l’obbiettivo è stato raggiunto, il ritorno alla memoria passata dei personaggi riesce a catturare l’attenzione del lettore e meno male che c’è perché invece l’evoluzione di tutta la storia risulta davvero poco convincente, la voglio chiamare la “storia superficiale”, l’evento che fa incontrare ed avanzare i personaggi nel romanzo è un bel pò carente e manca proprio di realismo.
Diciamo che questa storia un po’ zoppica, nulla a che vedere con il grande D’amore e ombra, La casa degli spiriti o Ritratto in Seppia, ad esclusione del tema di fondo che espone una questione specifica dell’esistenza umana ahimè sempre più attuale e sempre più affrontata attraverso dinamiche politiche e non di cuore, ecco è lì che rivedo la penna dell’ Allende quando con una pacata franchezza parla delle brutture che ha visto, che le hanno lasciato il segno ma che ora fanno parte del suo passato.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
80
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    14 Settembre, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

DELL’AMORE SOLO L’OMBRA

E’ una tela, un arazzo che ha come sfondo un paese che vive di arresti arbitrari, improvvise sparizioni e esecuzioni sommarie e su questo Isabel Allende, attraverso i vari personaggi, ricama l’immagine di un preciso periodo storico. Il Cile, oppresso dalla dittatura di Pinochet, è il paese che fa da sfondo a questo romanzo.
Una storia che vede i due protagonisti Irene Beltran, giornalista e figlia anticonformista della ricca borghesia cilena, e Francisco Leal, figlio di emigrati spagnoli a loro volta scappati dalla dittatura franchista, psicologo sulla carta e fotografo per arrotondare lo stipendio, coinvolti in un mistero, devono scoprire che fine ha fatto Evangelina Ranquileo, una ragazzina affetta da strane convulsioni a cui sono attribuiti poteri miracolosi.
Sono tanti i personaggi che rendono vera e reale questa storia, Beatriz la madre ricca e superficiale di Irene, la famiglia Leal il cui cognome è ovviamente evocativo di un senso di lealtà per ciò che è giusto, Gustavo Morante il fidanzato militare di Irene (soprannominato da un Francisco segretamente innamorato il Fidanzato della Morte), il tenente Juan de Dios Ramirez colui che agisce per le ragioni di Stato,gli ospiti della casa di riposo “La volontà di Dio”, la povera famiglia Ranquileo che si vede un figlio militare sparire all’improvviso e la medesima sorte per la figlia “scambiata” Evangelina, la famiglia Flores le cui madre e figlia (“l’altra Evangelina”) si vedono decimare i propri cari dalle Forze armate, Mario il parrucchiere omosessuale che con discrezione chiude occhi e orecchie di fronte alle istituzione ma nel più intimo del suo cuore è ribelle alle ingiustizie palesi e poi c’è lui, il Generale, colui che da l’alto sposta le pedine, di lui non un nome o un’immagine, solo una voce all’altro capo del telefono.
Tra Irene e Francisco quella che inizialmente è un’amicizia, diviene mano mano una passione comune e la passione si trasforma in amore, un amore che però è solo un ombra che fa luce su un governo malato, un pretesto per raccontare la storia di persone che sono alla ricerca disperata della verità, che sono disposte a rischiare tutto in ragione della giustizia e per denunciare uno stato militare violento e corrotto. Non è una storia d’amore normale perché vissuta in un paese dove lo Stato si intromette ovunque, l’amore tra Irene e Francisco rappresenta la speranza degli oppressi, la loro passione è l’immagine delle persone che contro ogni avversità non si arrendono e vanno avanti nel nome di un ideale di giustizia e verità.
La scrittura di Isabel Allende è scorrevole ed elegante e io la percepisco come un’eleganza di altri tempi, la storia diventa anche cronaca e a questa viene dato il giusto peso per riflettere, in questo romanzo l’Allende è impeccabile nel delineare il destino dei suoi personaggi come parte indissolubile del destino di un intero paese segnato da differenze di classe, ingiustizie sociali e ricerca di una propria identità, una storia che parla dei diritti umani e della loro perdita, della difficoltà nel denunciare i soprusi e smuovere una coscienza collettiva “La rivoluzione, diceva, deve provenire da un popolo che si desta, prende coscienza dei propri diritti e delle propria forza, sceglie la libertà e si mette in marcia”. Isabel Allende tesse un vivido ritratto di cosa significa vivere in un paese che ha il pieno e arbitrario controllo delle vite altrui.
E’un grande romanzo che ho letto tanti anni fa, sulla quarta di copertina riporta ancora il prezzo in lire, e nonostante l’ho riletto tante volte e sono passati tanti anni è sempre un gran bel libro.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
150
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    08 Settembre, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

DAL SE ALL'ATMAN E' UN ATTIMO

Siddhartha , figlio del Brahmano, sembra avere tutto ciò che si possa desiderare dalla vita,ricchezza, bellezza e potere, ma tutto questo non gli basta, è alla ricerca di qualcosa di più, un qualcosa che non può essere appagato delle cose materiali e neanche dalla religione tradizionale, quel vuoto che vuole colmare è meglio rappresentato da un’illuminazione.
Pertanto il suo viaggio parte con una ricerca continua di nuove esperienze e rifiuti delle stesse, farà una serie di incontri con individui che professano di avere qualcosa da insegnare e i cui insegnamenti Siddhartha trova inadeguati, incompleti.
In primis rifiuta gli insegnamenti intellettuali e ritualistici di suo padre e degli altri brahmani, il rispetto delle tradizioni dei brahmani porta al valore intellettuale ma non alla felicità; decide di partire in viaggio con un gruppo di samana ma dopo tre anni di rigori verso il proprio corpo capisce che l'ascetismo dei samana crea solo una perseveranza stoica ma nient'altro; poi parte alla ricerca di Gotama, il Buddha ma si rende conto che essere un suo discepolo, seguire i suoi insegnamenti non è ciò che sta cercando, non è ciò che gli illuminerà l’esistenza “Molto contiene la dottrina del Buddha illuminato: a molti insegna come vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo tra le centinaia di migliaia", la ricerca continua nel Samsara dove si fa travolgere dall'arte amatoria di Kamala che però non sfocerà mai in un amore supremo e spirituale, vivrà nel mondo, nel commercio, avrà denaro, si perderà nel gioco d’azzardo, avrà possedimenti ma capirà che tutto questo possedere porta a un’insoddisfacente brama di possedere ancora di più; rifiuterà persino il ruolo di padre protettivo per suo figlio.
Pertanto verrebbe da chiedersi se la ricerca di Siddhartha sia guidata più dal desiderio di colmare un vuoto o da una prospettiva, la visione di dove sta andando.
Il primo messaggio che passa è che ogni individuo “è responsabile” ed “ha la responsabilità” di trovare la propria strada, di effettuare il proprio percorso di vita personale e spirituale, di trovare il proprio equilibrio con se stessi e con il resto del mondo anche a costo di rifiutare le nostre origini, di lasciar andare il passato con tutte le fatiche e le conquiste fatte, chiudere un capitolo e ripartire da zero, andando oltre i rimpianti o i ripensamenti, non importa l’età, l’importante è farlo, farlo comunque. Poi un secondo messaggio che arriva è che un equilibrio e una sensazione di pace non necessariamente si trovano quando si è raggiunto ciò che si cercava bensì quando l’animo è predisposto a un equilibrio e a una pace interiore “C'è solo una conoscenza, o amico mio, che è ovunque, è l'Atman, che è in me, in te e in ogni essere. Ed è per questo che inizio a credere che non ci sia più grande nemico della vera conoscenza che voler sapere ad ogni costo, per imparare ".
E’ un libro semplice, che si apre, scorre e si chiude con lo stesso flusso regolare anche nella sua stessa lettura; un personaggio, Siddhartha, che passo dopo passo accoglie prima e rifiuta poi tutti gli insegnamenti e gli imput che gli arrivano nel suo percorso, un protagonista che a capo chino intende non insegnare nulla ma che lo fa comunque fino alla vecchiaia con il compare Govinda, un personaggio che mette in discussione tutto.
E’ un libro che non mi ha entusiasmato particolarmente e onestamente non ho amato neanche molto il protagonista che a tratti appare bastian contrario per partito preso, ma neanche mi sento di sconsigliarlo, magari letto nel momento giusto e con un background giusto riesce a lasciare un solco più profondo, il punto è che secondo me il lettore deve necessariamente avere un terreno fertile per accogliere in parte i messaggi che passano in questo testo che viene definito un grande classico della letteratura.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
160
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    14 Agosto, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

IL REQUIEM POP

Con poche parole realizziamo un’immagine: Lisbona, viali alberati, l’ultima di domenica di luglio, è mezzogiorno, fa caldissimo, la città è pressoché deserta, un uomo guarda l’orologio, c’è il silenzio tipico di una città quando tutti sono al mare, fa caldo, l’uomo ha un appuntamento alle ore 12 ma ancora non si vede nessuno, fa caldo, l’uomo aveva appuntamento con un grande poeta ormai defunto, forse con le ore 12 si intendeva la mezzanotte? Se è defunto è un fantasma e i fantasmi si vedono a mezzanotte mica a mezzogiorno, ma poi si può fissare un appuntamento con un defunto? Fa davvero molto caldo, poco più in là c’è un parco con delle panchine magari lì è un po’ più freschino….
Inizia così un’avventura lunga 12 ore che porta il protagonista di questo romanzo ad incontrare una serie di personaggi che si confondono tra il reale e il surreale, “oggi per me è un giorno molto strano , sto sognando ma mi pare di incontrare persone che esistono soltanto nel mio ricordo”, sono personaggi che, ognuno per conto proprio, tessono una trama e portano il protagonista (…Tabucchi stesso) ad affrontare un viaggio nel proprio passato e nel proprio subconscio e con l’unico scopo di arrivare alla mezzanotte per incontrarsi con il grande poeta, il protagonista si gira e si vive Lisbona, in quei luoghi incantevoli , caldi e accoglienti, tra i mercatini di Carcavelos e la Brasileira e già la nostra immaginazione ci porta al più famoso caffè di Lisbona con il grande bancone di legno scuro invecchiato, i maestosi lampadari, tra le spiagge di Cascais e la Casa do Alantejo e anche lì i nostri occhi vedono una spettacolare casa in stile arabesco, con tanto di patio e sale ricoperte di azulejos, assaporando le pietanze tipiche come la feijoada, il sarrabulho (di cui anche il lettore prende nota della ricetta) o la sargalheta e poi c’è l’imbattibile sumol di ananas, bevanda tipica portoghese, l’ideale per digerire, pietanze che per i nomi che hanno sembrano esotici ma che per gli ingredienti che li compongono “fanno casa” ….
Potrebbe essere una guida turistica romanzata, un magnifico omaggio al Portogallo, o semplicemente una storia surreale che porta il lettore a vivere tutto ciò che il protagonista di questo racconto vive, tra sogni, sorrisi, curiosità, ricordi, oppure è tutto questo splendidamente assemblato insieme da Tabucchi, che ha avuto la capacità di regalarci una storia onirica ricca di personaggi genuini a partire dallo stesso protagonista che non ha nome ma sappiamo che è un italiano che ama profondamente il Portogallo e il portoghese e che quindi associamo a Tabucchi stesso, per poi passare ai vari personaggi che popolano questo romanzo dove inevitabilmente ti scegli i preferiti, io ad esempio ho amato il tassista, la moglie del signor Casimiro e il barman del Museo di Arte Moderna (questi ultimi due danno due ricette che promettono bene).
Come lo definisce Tabucchi stesso, questo è un Requiem che non ha la solennità delle orazioni eseguite con un organo e con l’acustica delle cattedrali, bensì è un Requiem suonato con un’armonica che si può tenere in una tasca o un organetto che si può portare per strada, pertanto è un’orazione alla semplicità di Lisbona e dei lusitani .
Io personalmente amo molto Lisbona e anche Antonio Tabucchi l’ha amata molto, il suo amore verso questi luoghi si percepisce, attraverso le sue parole riesci vedere luoghi e a sentire sapori, per me è una ragione in più per apprezzare questo grandissimo autore che ha una capacità descrittiva unica, ecco un’altra fotografia che questo romanzo ci regala: “La notte è calda, la notte è lunga, la notte è magnifica per ascoltare storie, disse l’uomo che venne a sedermisi di fianco sul muro del piedistallo della statua di Don Josè. Era davvero una notte magnifica, di luna piena, calda e tenera, con qualcosa di sensuale e di magico, nella piazza quasi non c’erano macchine, la città era come ferma, la gente doveva essere rimasta alle spiagge e sarebbe tornata più tardi, il Terreiro do Paco era solitario, un traghetto fischiò prima di partire, le uniche luci che si vedevano sul Tago erano le sue, tutto era immobile come in un incantamento,…..Questa è la notte dei poeti , disse, dei poeti e dei fabulatori, questa è una notte ideale per ascoltar storie, per raccontarle anche, non vuole ascoltare una storia?”

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
130
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    28 Luglio, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

IN QUELL'ISOLA CHE E' IL CUORE

“Tutti, prima o dopo, hanno bisogno di una locanda della tregua. Di un luogo che accolga quello che ci portiamo addosso: ferite, sensi di colpa, rimpianti, disperazioni, dolori, indecisioni, rimorsi, perdite, paure. Un posto dove il tempo si fermi accanto a noi per sostenerci, senza sfidarci, incolparci o incalzarci. Dove non ci sono ieri e nemmeno domani. Soltanto una lunga riga di oggi, di adesso, di ora in avanti”.
Lo scenario è l’isola di Gozo, le prime descrizioni ci portano a un luogo con ha i colori caldi della terra, un mare azzurro, la maestosità delle scogliere, i pomodori esposti al sole a seccare, il profumo dei campi di finocchietto selvatico, un’aria che porta con sé un calore piacevole, quel caldo che fa bene e lì è situato il B&B delle Sirene Stanche, ad accoglierci ci saranno Dana e Tamara che, come spesso avviene nei romanzi, sono due personalità diverse ma che ben si compensano tra loro, cinque saranno i prescelti ospiti (…e nostri compagni di viaggio) di questa “locanda della tregua”, il tempo di permanenza sarà di dieci giorni: tre giorni per piangere, tre per guarire, tre per gioire…e uno per far festa.
Tra i personaggi che popolano questo racconto qualcuno non sa più chi è, qualcuno finge di essere chi non è e qualcuno deve accettarsi per quel che è…
E’ uno di quei romanzi che quando sta per finire un pò ti dispiace, la scrittura è lieve e intima, oserei dire è una carezza, il messaggio però arriva dritto e chiaro: è necessario vivere e non sopravvivere, il primo luogo dove puoi stare bene, la prima isola di pace è dentro di te. E’ un libro che, come una brezza leggera, con delicatezza sussurra al cuore e invita a comprendere che in fondo non c’è viaggio più bello se non il viaggio alla riscoperta di noi, del nostro amor proprio, del rispetto verso noi stessi, un viaggio che ci porta all’accettazione scevri da ogni forma di giudizio o colpe, un viaggio la cui meta è trovare un contatto con la parte più intima e vera di noi stessi.
Piacevolissima la straordinaria capacità descrittiva dell’autrice, giusto un cenno “ Il cielo sosteneva il telo nero della notte con l’aiuto dei chiodi delle stelle. La luna, invece, non si sarebbe presentata ma, al posto suo, ci sarebbero state le lanterne. Intanto c’erano i falò, che decoravano la spiaggia come candeline su una torta di mandorle sbriciolate, le fiamme sotto i barbecue, le luci sparate dai generatori, le lucciole dei cellulari”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
80
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    22 Luglio, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

FANTASIA, REALTA' O REALTA' FANTASTICATA

Siamo in una Gerusalemme degli anni ’50, Michael è uno studente di geologia del terzo anno, Hannah è una maestra d'asilo e la sera studia letteratura ebraica. Hannah orfana di padre è cresciuta con la madre e il fratello in un kibbutz, Michael orfano di madre è cresciuto con il padre e la costante presenza delle sue quattro zie. Nell'inverno del 1950 Hannah inciampa per le scale tra il primo e il secondo piano dell’università Terra Sancta e lì incontra Michael che la sorregge per un braccio, segue un primo appuntamento, poi un secondo, poi la voglia e/o la fantasia di una vita insieme li travolge e nel marzo 1950 sono già sposati, pochi mesi dopo Hannah aspetterà il loro bambino Yair. Hannah è una romantica, ha un temperamento forte, è una donna che travolge e si lascia travolgere dagli eventi, è volitiva ma anche piena di insicurezze, Michael ha un temperamento più mite, è affidabile, parla poco e pone molta attenzione a ciò che dice e quando non ha parole con cui rispondere, restituisce un sorriso a una domanda che rimane senza risposta. Se dovessimo raffigurare entrambi i personaggi come delle linee all’interno di un grafico, Hannah sarebbe una linea che fa su e giù in continuazione, Michael una linea retta e costante, queste due linee si intersecano, per poco e solo ogni tanto.
Nella loro vita di coppia non ci sarà un evento scatenante che possa essere la causa di una rottura, non accadrà nulla che si possa ritenere particolarmente grave, se non sul piano psicologico, infatti basta davvero poco, qualche mese, ad Hannah per scoprire che vivere con Michael al proprio fianco è diverso da ciò che si aspettava, che l’idea di vita matrimoniale fantasticata è ben lontana dalla “reale routine matrimoniale” e che lei stessa è diversa da ciò che credeva di essere come donna, come moglie e come madre. Che cosa aveva trovato in quell'uomo e che cosa sapeva di lui prima di sposarlo?" E se qualcuno diverso da lui l’avesse presa per un braccio quando stava inciampando per le scale dell’università? Queste sono domande che Hannah si porrà spesso. Nel corso del tempo il divario tra i due si allarga e Hannah inizia a vagare con la mente altrove, in altre realtà e noi lettori siamo spettatori di questo anti rivieni di fantasie al limite del bipolarismo tanto da perdere anche noi ogni tanto il filo tra ciò che è la storia narrata e quella raccontata nella mente di Hannah.
A far da sfondo a questo romanzo è una nuova e splendente Israele, una nazione che combatte con se stessa e con gli altri per sopravvivere, per mantenere la sua indipendenza. Una nazione dove la situazione politica è problematica, dove questo giovane paese deve lottare incessantemente, proprio come la giovane Hannah deve lottare con la sua nuova vita coniugale, il conflitto interiore della protagonista si riflette su Gerusalemme e verso Gerusalemme: “Questa non è una città, è un’illusione. Da ogni parte siamo circondati dalle colline: Castel, Monte Scopus, Augusta Victoria, NebiSamwil, Missa Carey. A volte sembra che la città non esista”.
Il libro parla della relazione di coppia tra i due protagonisti, dove c’è una vittima e un carnefice, dove il carnefice non è chi credi e neanche la vittima è davvero tanto vittima, parla delle loro differenti personalità e di come queste, seppure con le migliori intenzioni, non si incastrano, parla dello scontro passivo tra un soggetto che ha una conformazione psicologica umanistica e uno che ha una forma mentis scientifica. Mi è piaciuto perché Amoz Oz è stato molto onesto nel rappresentare questo matrimonio, i protagonisti entrambi sono stati molto onesti nell’esprimersi. E’ altrettanto vero che ogni tanto mi sono persa tra le elucubrazioni di Hannah, davvero tante, troppe, tanto da distrarti, fortunatamente poi rientrava in scena Michael che portava un po’ d’ordine al racconto, si perde l’orientamento con Hannah e si ritrova la retta via con Michael, sarà stata questa l’intenzione dell’autore? Mostrare al lettore le differenze tra i due protagonisti in un modo così tanto subdolo e sottile? Merita di essere letto e quando è necessario bisogna fare un passo indietro e riprendere la lettura da qualche pagina prima.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
120
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    19 Mag, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

MARIA, ISABELLA E LA NOSTRA ITALIA

“Mi chiamo Maria e il nome di mia sorella è Isabella. Ma la differenza dei nomi è solo apparente. I nostri genitori ci avevano dato lo stesso nome: a lei Isabella Maria e a me Maria Isabella”.
Maria è la voce narrante di questo romanzo che ripercorre la storia di un’ Italia che ha visto i cambiamenti tra gli anni ’50 fino agli anni ’90 e fiutando i sentimenti e gli stili di vita dell’epoca ripercorriamo le vite di due sorelle, Maria e Isabella, le cui personalità opposte si compensano e bilanciano tanto da arricchire l’una all’altra. Maria, la maggiore tra le due, responsabile, zelante negli studi, prudente, razionale e sempre protettiva nei confronti della sorella più piccola Isabella che al contrario è avventurosa, imprevedibile, con quella leggerezza che affascina e coinvolge e che spesso si esprime come una ricerca continua ed esasperata di emozioni forti.
A fronte di un’infanzia e un’adolescenza che le vede molto unite durante il periodo del boom economico tra gli anni ‘50 e inizi anni ’60, seguono il ’68 e gli anni ’70, gli anni delle sommosse e dei cambiamenti e, prevedibilmente, è Isabella la prima ad avvicinarsi alle lotte dell’epoca coinvolgendo la sorella, ma rispettando il personaggio dalla natura incostante Isabella sarà anche la prima tra le due ad abbandonare la scena per affrontare nuove avventure girando per il mondo e lasciando Maria sola ad affrontare quel periodo duro fatto di scelte forti e di coraggio.
Per molto tempo saranno distanti le due sorelle, ma la distanza sarà solo fisica perché Isabella farà sempre in modo di essere presente nella vita di Maria, in modo diretto o indiretto come ad esempio attraverso Mehmet, un fuggitivo turco mandato da Isabella, che si presenterà a casa di Maria, così all’improvviso. Tra i due nascerà una storia d’amore profonda di quelle che non vede solo un coinvolgimento fisico ma anche mentale, “Ho parlato con lui come parlavo con te” dirà Maria a Isabella, e così come è arrivato altrettanto all’improvviso Mehmet se ne andrà lasciando a casa di Maria un cappotto che farà da filo conduttore per riunire in qualche modo le vite delle due sorelle, sono gli anni ’80, quelli successivi alle lotte di classe, alla riforma del diritto di famiglia, gli anni in cui i sessantottini rinnegano il loro passato di rivoluzionari e cercano di costruirsi uno stile di vita che persegua la stabilità economica, il benessere e l’affermazione personale.
La storia di quei quarant’anni dell’Italia che fa da sfondo in questo romanzo , è più che altro uno strumento per scadenzare le tappe fondamentali delle vite delle due protagoniste, attraverso gli umori dell’epoca viviamo le emozioni e i turbamenti di Maria e Isabella. E’ un romanzo piacevole, che si legge velocemente e che affronta un tema che in qualche modo accomuna molti di noi, gli unici esclusi forse potrebbero essere i figli unici, perché la vera storia di questo romanzo è il rapporto tra fratelli, le uniche figure davvero costanti nella nostra vita, i genitori sono di un’altra generazione, invecchiano e poi non ci sono più, gli amici col passare degli anni si costruiscono le loro famiglie e la loro vita, l’amore per il proprio coniuge nasce ma può anche finire, i figli, il cui amore è immenso ed eterno, crescono e vanno via, l’unica figura che è una costante, è tua contemporanea e con la quale si ha un legame di sangue e di passato trascorso insieme è quella del fratello e della sorella, quella persona con cui ci possono essere distanze di spazio, distanze caratteriali, ci si puo’ scontrare e non parlarsi più per molto tempo , ma c’è un filo invisibile (in questo romanzo rappresentato da un cappotto turco) che non si stacca mai, spesso è un rapporto fatto di amore e tensioni, di cose non dette, di cose dette in modo sbagliato, di conflitti in tempi di pace e ricongiungimenti nel momento del bisogno . Questo romanzo ha un sapore familiare, ma non raffigura “la famiglia del mulino bianco” bensì quella vera dove ci sono i sentimenti più istintivi di noi che si riflettono nei cicli di una vita e se la vita delle persone fosse un albero, il fratello sarebbe quel ramo che cresce in modo costante con noi, che man mano che passano gli anni si allunga e prosegue il suo percorso, ma non sarà mai così distante perché è nato dalla stessa radice da cui siamo nati noi ed è percorso dalla stessa linfa.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
120
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    04 Aprile, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

ANNO NUOVO VITA NUOVA

Qual è tra i desideri più anelati dall’essere umano? Quello più insito in ognuno di noi?.... Forse la vita eterna, ebbene cosa succederebbe se la morte smettesse all’improvviso di fare il proprio dovere? In perfetta linea con il suo stile narrativo, Saramago ci racconta di una favola moderna, ambientato in un luogo non precisato ragion per cui potrebbe essere ovunque e per tutti. Il primo giorno del nuovo anno, così all’improvviso senza nessuna avvisaglia, le persone smettono di morire, tra le prime reazioni sicuramente c’è stupore ma anche gioia tra la popolazione in generale che finalmente ha ottenuto ciò in cui ha sempre sperato, ma poco alla volta non manca anche la costernazione tra politici e religiosi. Poi arriva il dover fare i conti con la realtà, le famiglie sono costrette a prendersi cura di persone la cui vita non ha fatto il suo “naturale” o “innaturale” corso, persone che pur essendo in uno stato terminale non possono e non riescono a morire, le polizze di assicurazione sulla vita diventano prive di significato, le agenzie funebri sono ridotte a organizzare sepolture per cani, gatti, criceti e pappagalli, che ne sarà della fede quando non si ha più paura della morte, quando non ci sarà più la necessità di sperare almeno di continuare a vivere nell’aldilà? Ma giusto il tempo di far assaporare la vita eterna con gli annessi e connessi che la morte rientra in campo con un nuovo colpo di scena, dopo qualche mese infatti la morte rientra a far parte di nuovo della vita delle persone inviando una serie di letterine viola con le quali annuncia e preavvisa la dipartita dei destiantari....
In questo testo Saramago si riconferma “Saramago” caratterizzato dalla sua solita scrittura dove la punteggiatura è scarsa e all’improvviso, da bravo narratore quale è, interviene nel racconto per meglio spiegare il susseguirsi degli eventi e con opinioni al limite del personale, sembra quasi che al sorgere di un pensiero nella sua mente d’impulso questo venga scritto, cosicché il racconto nasce, cresce e si sviluppa dinanzi al lettore. Si riconferma “Saramago” perché da una situazione totalmente assurda (in questo caso la morte che cessa di esistere, ma anche in Cecità dove un’intera popolazione poco alla volta smette di vedere) riesce a raccontare l’essenza dei comportamenti umani nel bene e nel male e a fronte di un’iniziale situazione imprevedibile la serie di eventi che ne sussegue rende la situazione stessa perfettamente credibile. E’ “Saramago” perché riesce a dare personalità alla morte, una morte che, in prima persona, ci tiene a precisare che è una morte con la “m” minuscola non con la “M” maiuscola perché la Morte, quella vera, è qualcosa di talmente terribile che l’essere umano non riesce neanche a immaginare perché sarebbe la fine di tutto e non un naturale “rigenerarsi” della vita, è una morte umile che si cala nei panni dell’umanità, è un personaggio verso il quale, attraverso la potenza della parole di Saramago, si riesce a provare empatia.
E’ “Saramago” perché con geniale ironia, una pungente satira e una penna brillante ci fa riflettere su uno dei temi che più tocca la nostra sensibilità, un tema che per noi è faticoso comprendere e accettare quando tocca la nostra pelle e ancor di più quella delle persone che amiamo. Vorremmo che la morte non esistesse più ma saremmo in grado di gestire l’eternità? Per quanto ingiusta ci sembri la morte, sarebbe altrettanto giusta la vita eterna? Abbiamo il diritto, per noi stessi e per altri, di scegliere tra la vita e la morte?
E’ inutile aggiungere altro per spiegare quanto mi sia piaciuto questo romanzo, SARAMAGO (scelgo volontariamente tutto maiuscolo per la sua grandezza) egli stesso è la prova che una sorta di eternità esiste, in quanto nonostante fisicamente non sia più tra noi, la magnificenza e il suo genio rimane presente e vivo attraverso le sue opere.


Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
130
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    24 Febbraio, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

TROPPO SALE FA MALE

Milano 13 febbraio, ore 19:36…Giada Carrara, trent’anni, capelli lunghi, lisci e biondi, un filo di trucco leggero, addosso il profumo fresco di una crema per il corpo al bergamotto e abito da sera, nonché le sue décolleté con tacco alto…e’ tutto pronto per la sera che le cambierà la vita… la cena comprata alla migliore gastronomia di Milano…la casa è perfetta, Giada è perfetta, è “quasi” tutto perfetto …manca un solo piccolo particolare che nell’immediato diviene indispensabile, il famoso sale rosa dell’himalaya che darà un sapore esotico a quel cibo servito su eleganti piatti di porcellana bianca, quel tocco in più che con il senno di poi doveva essere evitato …” A tutti capita un giorno a partire dal quale niente sarà più come prima. Per alcuni è un giorno felice, memorabile: nasce una bambina dopo tanti figli maschi; oppure ricevono un’eredità inattesa che sapranno far fruttare; può persino capitare che escano dal coma e parlino inglese meglio dello sperduto dialetto cinese con cui sono cresciuti. Sono cose possibili, si leggono nei giornali. Ma la maggior parte degli esseri viventi quella giornata fatidica vorrebbe ridisegnarla, dimenticarla, cancellarla perché vi accade un incidente irreversibile, che innesca una catena di vicende sciagurate”…per Giada il punto di non ritorno è proprio quella sera del 13 febbraio, quando esce, tra la pioggia, per comprare il sale rosa dell’himalaya viene aggredita da uno smilzo e uno sfregiato, che la caricano in macchina e la rapiscono, per un mese intero Giada vivrà letteralmente segregata in una baracca nella periferia milanese….
Con una scrittura scorrevole, priva di giudizi, limitandosi a raccontare i fatti, Camilla Baresani è abilissima a far descrivere a famigliari, amici e colleghi la personalità di una Giada “pre-sequestro” e tra loro la superficialità, il cinismo e il tornacontismo se la giocano così che stringi stringi esce fuori il ritratto di una trentenne bocconiana e arrivista, maniaca della perfezione e attenta alle apparenze, una che sa quel che vuole e lo ottiene sempre, una che è sempre un passo avanti agli altri, una che, in questa faccenda, è un pò "meno vittima" delle altre vittime, una che ha sempre avuto tutto quindi in fondo le sta anche bene quel che è successo, … a controbilanciare ciò c’è Giada, sola, che ha paura e che subisce la violenza, il freddo, la fame, la sete, il sonno, c’è la sua voglia di sopravvivere e poi i giorni che passano e le cose che non cambiano, la voglia di morire e di nuovo la forza per continuare a vivere, catalogare tutto nella sua mente, anche il più piccolo particolare, da poter poi raccontare agli inquirenti quando l’avrebbero trovata, c’è il suo concentrarsi per non uscire di senno, per essere presente almeno a se stessa, per non dimenticare chi è e chi avrebbe potuto essere.
L’autrice racconta di una civiltà sciacalla delle disgrazie altrui, il cavalcare la notizia alimentandola con illazioni per poi passare a notizie più fresche che fanno più audience, ci sbatte in faccia luoghi comuni parlando di un atteggiamento chiuso e provinciale per chi proviene da una piccola città e al contrario si passa alla vita delle grandi città dove i rapporti umani hanno perso ogni valore e “morte tua = vita mia”, ci racconta di una donna che trova il coraggio di dover sopportare i due esseri sciagurati e meschini che l’hanno sequestrata, ma ci racconta anche del suo essere ignara che altrettanta meschinità e miseria d’animo è presente tra coloro che fino a trenta giorni prima abitavano il suo mondo.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
90
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    06 Febbraio, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

L'AMORE ADULTERATO

Linda che è giovane e bella, Linda che è una giornalista, Linda che ha due splendidi bambini, lei che ha un marito perfetto, ricco e amorevole, Linda che vive nella sicura e prospera Ginevra….Linda, che praticamente è il cliché della vita perfetta, vive la sua situazione, lo stereotipo del benessere, con “difficoltà”, combattuta tra la noia più assoluta, il pensiero ricorrente che la vita possa essere sempre così, una linea piatta dove le emozioni si intorpidiscono e a controbilanciare ciò la paura di perdere tutto quello che ha, quel microcosmo di paradiso affettivo e terreno di cui lei è cittadina, la mancanza di certezza che questo altissimo stato di benessere possa rimanere immutato in futuro…e quando si ha paura di perdere qualcosa o qualcuno che si fa? Quando la situazione in cui vivi comincia a starti stretta, quando ciò che hai incomincia a pesarti come un mattone sullo stomaco (sebbene l’intera umanità consideri proprio la vita di Linda un’utopia irrealizzabile) e nonostante tutto hai paura di perderlo, quando il tuo tutto lo percepisci come un vuoto, come lo colmi quel vuoto?
…Ebbene Linda sceglie di colmarlo con l’ebbrezza dell’adulterio consumato con l’ex fidanzatino dei tempi del liceo, Jacob, che nel frattempo è diventato un potente uomo politico consumato dalla società, la cui parte più intima è stata grattugiata dalla necessità di dover apparire con un immagine che non gli appartiene e l’indolenza nei rapporti umani ha preso il posto dei sentimenti.
Allora…l’argomento di fondo, come dice il titolo, è l’adulterio….è ovvio che per chi si approccia a un libro con un titolo così sarebbe semplicistico soffermarsi a giudicare le scelte della protagonista, ma inevitabile è stato per me fare paragoni con i grandi esempi di adulterio che troviamo in letteratura, si pensi a Madame Bovary, ad Anna Karenina o all’ intreccio nelle Affinità elettive di Goethe, per non parlare di Stella in Follia di Patrick McGrath…insomma la letteratura, e non solo, ci offre delle vere e proprie “eroine” del campo, sebbene facciano scelte non condivisibili, nonostante siano personalità lontane da chi legge e in taluni casi si possa addirittura provare antipatia per loro, comunque restano e sono “Protagoniste”; invece la Linda che ci propone in questo romanzo Coehlo è “poco vivibile”, misera di consistenza e in realtà anche molto banale.
Il tema principale, l’adulterio, forse è stato trattato con un po’ di superficialità, che insieme a un’ambientazione poco credibile e a una protagonista poco-protagonista rende nel insieme questo romanzo disarmonico e debole di contenuti.
La vena mistica di Coehlo è, a tratti, appena accennata e anche in questo caso (….scusate ma io stavolta proprio non sono riuscita a farne a meno) paragonandolo al Coehlo di Undici Minuti, di Brida, Lo Zahir o Veronica decide di morire e tanti altri dei suoi romanzi, sembra quasi che abbia usato un’altra penna, forse più commerciale, non sono riuscita a riconoscere quelle parole che ti entrano dentro come una lama, riescono a coinvolgerti e a farti vivere con il protagonista il susseguirsi degli eventi, è come se il Coehlo che parla alla pancia del lettore fosse andato in ferie, solo nelle pagine finali sembra ci sia stato un moto di ribellione, dell’autore intendo, in cui è voluto uscir fuori a tutti costi e ha, in parte, salvato il romanzo addolcendo il gusto che lascia in bocca al lettore.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
80
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    13 Gennaio, 2019
Top 500 Opinionisti  -  

TRIS FREUDIANO

Tre vite, tre confessioni, tre voci intime
Es, Ego e Super-io
Siamo nella periferia di Tel Aviv, un'area "borghese", un’oasi di pace dove tutto è perfetto e in ordine....questo romanzo si divide in tre linee narrative, ciascuna corrispondente a un personaggio che vive su uno dei tre piani dello stesso edificio...ma dietro quelle porte blindate cosa c’è? Al primo piano, c'è Arnon, un padre ossessionato dall'idea che la sua bambina possa essere stata molestata. Al secondo piano c'è Hani, una madre e una moglie il cui marito è sempre fuori per lavoro, profondamente infelice per la monotonia della sua vita. Dvora, un giudice in pensione, vive al terzo piano, suo marito è morto, per suo figlio lei, “Dvora”, è un’estranea , e ora deve costruirsi una nuova vita e lo deve fare per se stessa.
Attraverso il modello di coscienza di Freud, Nevo ci racconta le vite interconnesse di questi tre personaggi, ci confida le loro coscienze turbolenti, ci sussurra i loro segreti, ci fa leggere le loro confessioni…. Ma le loro confessioni sono ingannevoli? I tre narratori promettono di dirci "tutto". Ma cos'è esattamente "tutto"? È tutto ciò che è successo? O tutto ciò che ci diciamo per giustificare ciò che è successo?
Di personaggio in personaggio abbiamo l’es la parte più oscura della nostra personalità, vivere di istinti e di impulsi, abbiamo l’ego che cerca di conciliare i desideri con il principio di realtà e infine c’è il super-io la voce autocritica, quella coscienza morale che mette un freno agli impulsi.
Scritto con uno stile sobrio è un racconto coinvolgente e pieno di suspense perché l’autore ha la capacità di far “brillare” i suoi personaggi caricandoli di tensione proprio nel bel mezzo della loro vita apparentemente tranquilla , così appena ogni personaggio inizia, a modo proprio, a raccontare sorge nel lettore la voglia di capire come va a finire e si percepisce proprio la voglia che ognuno di loro ha di parlare, di confidarsi, come se traducendolo in parole un peso fosse meno pesante…“L’importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperati nel buio, nell’atrio, in cerca del pulsante della luce”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
110
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
5.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    13 Mag, 2017
Top 500 Opinionisti  -  

CINQUE PADRI IN SETTE GIORNI

Tutto iniziò in un tranquillo giovedì.
Harold è un uomo taciturno, che vive la quotidianità circondato dalle sue certezze che sono gli autobus che tutti i giorni deve prendere per recarsi a lavoro, il suo lavoro nel reparto macelleria, la partita a bridge con la sua vicina di casa dove puntualmente perde, per diletto conta tutto ed espertissimo di suicidi, una pratica che, con estrema sapienza, inscena almeno una volta al mese tutti i mesi. A rompere questa routine ci pensa Melvin, un bambino di 11 anni alla cui madre, nonché nuova vicina di casa di Harold, viene la brillante idea di affidarlo per una intera settimana.
Da questo momento in poi il mondo di Harold non è più al sicuro.
Melvin è un piccolo un genio, parla correttamente 7 lingue, conosce a memoria tutte le sonate di Beethoven e non ha alcun problema a discorrere con linguaggio forbito sui temi politici, storici e andropologici…. Passati i primi giorni di conoscenza tra scommesse alle corse dei cavalli e uso di stupefacenti, Melvin coinvolge Harold in una vera e propria impresa ossia farsi scorazzare in giro per la Gran Bretagna alla ricerca del padre mai conosciuto, Jeremiah Newsom questo è il suo nome. Il punto è che in tutto la Gran Brategna ci sono ben cinque persone, a dir poco stravaganti, candidate al ruolo di padre biologico.
Harold e Melvin diventano quindi una coppia quanto mai insolita che ci accompagnerà nella lettura di questo romanzo spassosissimo che muta e si trasforma in un’avvincente storia on the road. Scadenzato dai giorni della settimana, il romanzo mantiene un bel ritmo e in un continuo di gag comiche a far da padrona è un humor tipicamente british che a tratti riesce farci provare compassione per il povero “sfigato” Harold e a provare tenerezza per la sua spalla, il piccolo saccente Melvin. L’ennesima storia che racconta una verità, ossia la capacità che hanno i bambini con la loro forza vitale di scardinare le nostre vite abitudinarie e in questo caso con avventure rocambolesche.
Il lavoro di questo autore sconosciuto, che si presenta con lo pseudonimo di "einzlkind", può tranquillamente essere descritto come un pot-pourri di vari modelli letterari e cinematografici, ma nella sua semplicità riesce a strappare più di un sorriso e seguendo le avventure dei due protagonisti si legge che è un piacere.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
130
Segnala questa recensione ad un moderatore
Gialli, Thriller, Horror
 
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    30 Aprile, 2017
Top 500 Opinionisti  -  

IL FOLLE AMORE

“Le storie d’amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale ormai da molti anni…La storia di Stella Raphael è una delle più tristi che io conosca”. Inizia così Peter Clever, amico della famiglia Raphael, psichiatra e voce narrante di questo romanzo, a raccontarci la storia di un amore folle, passionale, disperato, illimitato, distruttivo.
Stella Raphael è la moglie di uno psichiatra-aspirante direttore del manicomio dove è ricoverato Edgar Stark, un artista uxoricida. Edgar è l’uomo che attrae per la sua vitalità animale, per l’intelligenza sottile e superiore, è un uomo dal fascino ombroso, è l’uomo la cui follia dichiarata dagli esperti viene negata da chi, in lui, ha visto l’opportunità di dare una svolta alla propria vita. Stella è una donna di una bellezza sublime e delicata, una donna dalla risposta brillante, una mamma dolce, una moglie finora devota, che vive una vita ordinata e ordinaria, una vita che comincia a starle stretta. Stella è la “Protagonista” per eccellenza, la si vede virtuosa e macchinatrice, audace e debole, di fondo è vittima e carnefice di se stessa, è un personaggio che non lascia indifferenti, nel lettore è capace di suscitare comprensione, antipatia, rabbia, compassione ma forse molto dipende dal background di chi, leggendo, viene catapultato tra gli eventi di questa storia.
L’incontro tra i due fa insinuare giorno dopo giorno una passione che cresce e diventa complicità, la complicità si nutre di speranza per un futuro migliore che a sua volta si concretizza fino a divenire amore. Un amore opportunista? Un amore folle? Un amore impossibile? Chi può dirlo? Chi ha la definizione certa e assoluta di questo sentimento tanto raccontato?
A rendere luminoso questo romanzo è la straordinaria capacità di Patrick McGrath nel far coesistere uno stile fluido ed elegante con una racconto che ci travolge in un turbinio di lotte d’animo, emozioni forti e violente, di pensieri che si vogliono scacciare ma che alla fine hanno la meglio sulla razionalità, di desideri nascosti che esplodono, l'autore fa un attenta analisi psicologica di tutti i personaggi che popolano questo romanzo e di come ognuno, a modo suo, vive con la parte più oscura di se, con la sua bestia nera e come ognuno di loro vede la follia solo negli altri ma non in se stesso.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
140
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    07 Novembre, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

LE MEMORIE DI TERESA

Immaginiamo di essere in una stanza spoglia, grigia e fredda, siamo seduti a un tavolo con due sedie e di fronte a un noi una donnina minuta, l’accento è laziale e ha la carnagione chiara chiara, i capelli castano-rossiccio e due occhi allegri, vispi ma tanto soli…lei è Teresa Numa e a dar voce alle sue memorie è la penna di Dacia Maraini. Teresa è una donna del popolo che non ha nulla sin dalla nascita, diseredata dalla famiglia, si barcamena tra uomini sbagliati, manicomi e il carcere, piccoli furti, borseggi e il carcere, manicomio criminale, prostitute, truffe e di nuovo il carcere. Una storia fatta di povertà, ignoranza, violenza, abbandono in un periodo in cui l’Italia viveva le trasformazioni dalla grande guerra fino agli anni ‘70 e dove Teresa ha un posto in questo mondo ed è tra i bassifondi della società.
Questa è una storia tragicomica perché Teresa è una che vive con una disarmante ingenuità, per sopravvivere alla povertà e all’abbandono diventa una ladruncola buffa e un po’ goffa, una ladra che non ruba per vivere nel lusso ma per affittare una camera in una squallida e sporca pensioncina, si inventa mille peripezie per riempire lo stomaco, Teresa è l’esatto opposto di quei furboni che rubano senza sporcarsi le mani, non ruba per nascondere il bottino in qualche paradiso fiscale ma per pagare quello zingaro usuraio che adesso vuole tre volte la cifra che le ha prestato, Teresa passa da un carcere all’altro perché è una che si fa baccare, nonostante non conduca una vita "tecnicamente proba” Teresa è anche una donna di sani principi, lei è una che non fa la spia, anche se è senza una lira, senza un posto dove dormire e ha fame è una che proprio non ce la fa a vendere il proprio corpo.

Con un linguaggio schietto, grezzo e profondamente verace Teresa ci racconta una storia straziante che proprio perché vera e incredibilmente attuale, anche a distanza di tanti anni (il libro è stato scritto nel 1973…quindi a distanza di ben 40 anni!!!), arriva dritta al punto e leggendo le sue poco eroiche gesta rabbrividiamo e riflettiamo, ecco un passaggio in cui Teresa ci racconta quando viene trasferita per “punizione” al manicomio criminale di Pozzuoli:
“Mi portano in questo manicomio tutto bombardato, macchiato, con le mura grosse, fitto fitto di donne. Dico, ma qui ci stanno le matte, io mica sono matta! Qui ci stanno le assassine, quelle che hanno ammazzati i bambini con la lametta, bollito il marito dentro una pentola, strangolato i genitori con una calza. Dice: questi sono gli ordini e basta così. (…)Dico: ma dove sono capitata madonna mia! La mattina avevo una fame terribile! Ci fanno vestire, lavare niente perché non c’era acqua. Da sei giorni stavano senza acqua. (…) Queste pazze facevano la merda dappertutto e poi restavano tutto il giorno sporche così e se protestavano gli mettevano una pillola in bocca e rimanevano rinscemite fino a sera. (…) Una di queste è morta e l’hanno seppellita senza un funerale e non è venuto nessuno a vederla. Anche le altre detenute non ci hanno fatto caso a questa morte. Stavano buttate là dentro al ricreatorio, con la solita puzza di merda perché molte se la fanno addosso e per quanto le lavi, per quanto strofini, c’è sempre un po’ di merda appiccicata al grembiule, alla sedia, alle gambe, alle scarpe. Stavano buttate dentro quello stanzone, alcune legate, altre intontolite dai calmanti, un calderone di carne.”
Oppure in un’altra occasione quando è stata nuovamente arrestata:
“A Perugia mi toccava il giudiziario. Invece m’hanno mandato in mezzo alle ergastolane. Con la scusa che non c’era posto m’hanno schiaffata in mezzo alle criminali incallite…siccome devono stare dentro tutta la vita sono diventate acide, dure e perverse…… dicevo: ma io non ho ammazzato nessuno e non ci voglio stare tra le ergastolane”.

…ma Teresa è anche una donna di buoni propositi: “Quando esco basta, voglio smettere di fare la ladra, mi voglio trovare un lavoro come sarta, anche se non so cucire, che ci fa, imbroglierò qualcosa, comprerò la stoffa a rate, e dopo la prima rata cambierò indirizzo. Voglio mettere su casa, tranquilla, quieta, in un posto bello, pacifico. In carcere non ci voglio tornare più”
Allora io dico: “Teresa vuoi cambiare? Voi diventare una sarta? Bene, io sono dalla tua parte! Ma quando arriva la prima rata da pagare non cambiare indirizzo e pagala sta benedetta rata…… che magari è la volta buona che in galera davvero non ci vai!!!”

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
230
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    25 Agosto, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

VIA CABALA, 88 - ISTANBUL

Ancora una volta Elif Shafak ci presenta una spaccato di vita di una città che da sempre è in bilico tra l’Oriente e l’Occidente, tra il passato e il futuro: Istanbul. Questa volta a rappresentarla sono gli inquilini di quello che oggi viene chiamato il Palazzo delle Pulci ma che un tempo era stato battezzato come “Palazzo Bonbon” e prima ancora che si edificasse su quel terreno c’era un cimitero diviso in due, una parte per i turchi e una per gli armeni ma il lievitare della cementificazione e la necessità di costruire nuove abitazioni e nuove strade ha fatto sì che i cimiteri venissero “sgomberati”. Così negli anni ‘60 un emigrato russo costruisce proprio sul quel terreno una palazzina signorile come dono d’amore per la moglie che emigrata anche lei con il marito a Istanbul ha perso la figlia e anche il senno. Alla morte dei due proprietari per il Palazzo Bonbon inizia il declino fino ad arrivare ai giorni nostri dove troviamo una struttura fatiscente, infestata da scarafaggi e un’incredibile puzza di immondizia. Via Cabala, 88 a Istanbul da luogo sacro che era si è trasformato in un simbolo di amore e di ricchezza per divenire infine una discarica a cielo aperto nel pieno centro della città.
Come in ogni condominio che si rispetti non mancano gli altarini da scoprire, gli intrighi e gli intrecci delle vite personali, attraverso le storie degli inquilini che hanno abitato e abitano il Palazzo Bonbon vediamo come il passato ritorna mescolandosi prepotentemente con il presente. Ognuno di questi condomini può dare un volto, nel bene e nel male, a Istanbul: contraddittoria come i gemelli Celal e Cemal dell’interno 3, affascinante e che scende a compromessi come l’Amante Blu dell’interno 8, nevrotica ed esasperata come la signora Igiene Tiejn o desiderosa di vivere e di affacciarsi al mondo come sua figlia Su dell’interno 9, solo ed esistenzialista come Sidar e il suo cane Gaba dell’interno 2, custode di storia e di segreti come Madama Zietta dell’interno 10.
Istanbul ci viene proposta come una città che per molti è stata un porto di salvezza che permetteva di fuggire da tutto ma può diventare essa stessa una ragione di fuga, una città ammaliante il cui passato non è mai passato ma è ancora presente (…”In questa città, i morti stavano gomito a gomito con i vivi”).
Suddividendo il libro in capitoli e dove ogni capitolo è un interno della palazzina si racconta una storia formata da tante storie, Palazzo Bonbon diventa un luogo in cui tutto si compie e prende forma e le differenze convivono tra loro senza per questo annullarsi.
Elif Shafak risulta straordinaria nella descrizione dei personaggi e nel raffigurare attraverso loro la città di Istanbul, ha il dono di dare un tocco di magia alla storia di questa terra senza però truccarla o abbellirla ma “semplicemente” facendo intravedere le sue virtù e le sue imperfezioni.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
170
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    01 Agosto, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

L'IO EGEMONE

Lisbona, 25 luglio 1938.
“Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare,….il “Lisboa” aveva ormai una pagina culturale e l’avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d’estate, con la brezza atlantica che carezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte.”

E’ con una descrizione così straordinaria che ci approcciamo ad assistere all’evoluzione di un uomo, il dottor Pereira, un uomo ormai avanti negli anni, vedovo e con la cui obesità convive nel quotidiano, un giornalista che si occupa della pagina culturale di un nuovo giornale, il “Lisboa”, che Pereira ama definire come “libero e indipendente”, il suo piccolo mondo è ordinario, è fatto di battibecchi con la portinaia, di limonate e frittate, del ritratto della moglie deceduta e di una sorta di apatia nei confronti di una politica che sta diventando man mano sempre più repressiva, ma proprio questo piattume varrà totalmente sconvolto dall’incontro con Monteiro Rossi un giovane filosofo (..e rivoluzionario) a cui vuole affidare la pagina dei necrologi di scrittori importanti e quello che dovrebbe essere un rapporto di collaborazione professionale muta e si evolve fino al punto che Pereira prova un senso di protezione nei confronti di questo ragazzo e partecipazione agli ideali di libertà. Poco alla volta riesce ad aprire gli occhi e a vedere la realtà per quella che è, e allora vede un Portogallo dove la polizia di Salazar ammazza chi è contrario al regime, censura qualsiasi cosa sia antinazionalista, la gente non conta nulla, l’opinione pubblica non conta nulla.
Pereira inizia a provare il desiderio di pentirsi non sa ancora bene per cosa, lui lo chiama “pentimento limitrofo” perché da una parte è contento della vita che ha fatto, però nello stesso tempo è come se avesse voglia di pentirsi della sua vita, è una piccola fiammella che man mano cresce dentro lui, a far luce su questa strana sensazione e ad arricchire il lettore ci pensa il dottor Cardoso spiegando la fantastica teoria della ”confederazione delle anime”: ognuno di noi ha varie anime dentro di sé e queste anime sono sotto il controllo dell’IO EGEMONE che dirige i nostri pensieri e la nostra personalità, però questo io egemone, per il trascorrere del tempo o per un evento particolare, può cambiare, allora “sale al potere” un altro io egemone, più forte del precedente, che influenzerà la nostra vita, ed ecco spiegata l’evoluzione dell’animo umano, ora capiamo perché si cambia, nel caso di Pereira possiamo ben dire che più la narrazione va avanti più prevale l’uomo coraggioso e cosciente che è in lui.

Strutturato come una deposizione (verso chi? Forse a favore nostro che leggiamo) e seppur ambientato agli albori del secondo conflitto mondiale Tabucchi ci propone un romanzo più che mai attuale, riesce a smuovere le coscienze, attraverso Pereira ci invita ad aprire gli occhi per vedere ben oltre il nostro piccolo orticello, uno stimolo a non smettere di porci delle domande, a non anestetizzare la nostra anima rischiando di accettare per apatia tutto ciò che ci viene imposto per poi pentircene in futuro, ci invita ad aver coscienza di noi stessi, della vita e delle scelte che facciamo, a non abbassare la cresta e a rivendicare ciò che è giusto ….magari facendo prevalere l’io egemone un po’ più coraggioso che c’è in noi.

(Alla fine del romanzo c’è una nota tratta da un testo pubblicato su Il Gazzettino nel 1994 in cui Tabucchi rivela come nasce il dottor Pereira, il valore simbolico che attribuisce al personaggio e al nome che porta. Un ulteriore prova di quanta passione e amore ha provato nel creare questa storia.)

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
220
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    20 Luglio, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

"I SAPORI DI UNA VOLTA"

Il Maestro, la vedova Bartoli, Ideale, Mikhail, Libertà, Cafiero e poi i Bertorelli con l’Ulisse, la Rosa, Sole e l’Annina, con un altro Sole e Natalia e Telemaco, l’Isolina, Enea, Oreste, l’Ettore e la Rina, gli abitanti del Colle e la gente del Prataio… è un click ed ecco una magnifica fotografia dell’ Italia del secolo scorso, quando i racconti venivano tramandati, quando la gente credeva nell’ideale di libertà, quando la vita per tutti era basata sulla semplicità e sull’essenziale. Una strada che sale verso un paesino arroccato da millenni su una collina, un piccolo borgo diviso in due dai primi binari di una ferrovia che stanno costruendo, file di cipressi a delimitare le aree dei pochi poderi sparsi, il tramonto sul Palude Lungo quando il sole cala e accende l’acqua di una luce rossa, qualche carrozza e il sorriso garbato e gentile di un contadino su un carro trainato dai buoi. Ambientato in Toscana le vite di due famiglie i Bartoli e i Bertorelli si incontrano e si intrecciano grazie all’amore di Cafiero e Annina, una parte importante della storia dell’Italia viene raccontata attraverso le vite dei protagonisti, si inizia a conoscere il Maestro un giovane rivoluzionario che trasferitosi a Colle da un paesino del sud Italia conosce e si innamora della vedova Bartoli, spinto da ideali di libertà sarà disposto a rimetterci la vita (“…giunse alla fine del respiro, in quel momento minuscolo, in cui tutto è sospeso, si rese conto di essere solo, e un dolore perfetto lo avvolse come un abbraccio”), poi abbiamo i Bertorelli più inclini al lato pratico della vita, allevatori e commercianti di maiali, con Ulisse che sposa Rosa, la quale darà alla luce due gemelli, Sole e Annina, ma sarà un matrimonio senza amore(“… le cose son cose e hanno una vita loro, hanno forme, pensieri, hanno età e persino un colore. Siamo noi a dividere, a costruire barriere, ad alzare, abbassare, a dire chi è buono e cosa invece è peggiore. L’Annina capì così la distanza tra la madre e l’Ulisse. La sentì forte, batterle il petto. Una botta improvvisa, una crepa sul cuore. La ferita bruciante di un dolore perfetto”). Queste due famiglie saranno inevitabilmente travolte da un destino comune e dalla storia che avanza, prima i moti rivoluzionari del risorgimento, passando per la prima guerra mondiale e per finire al secondo conflitto mondiale che vide la nostra terra, i nostri nonni provati da un dolore incredibile ma ricchi di esperienza e di storie da raccontare. Esattamente come la macchina del moto perpetuo che Ideale voleva costruire, le vite delle famiglie vengono raccontate di generazione in generazione e inevitabilmente, come un destino ineluttabile al quale non si può sfuggire, sembra quasi che la storia si ripeta e si riversi sui giovani delle famiglie mostrandoci le varie forme e sfumature che può assumere il dolore, per ognuno dei personaggi il dolore si è presentato in forme e in situazioni diverse ma sempre nella sua completezza.

Sembra quasi di guardare una fotografia in bianco e nero, una di quelle dove la famiglia è numerosa e tutta riunita, dove riesci sempre a dare un ruolo ben definito a ogni personaggio e rivedi un po’ di te in ognuno di loro. Riccarelli ci racconta una favola profondamente realistica, ricca di descrizioni in cui è facile abbandonarsi per quanto siano forti e delicate allo stesso tempo, è poesia pura travestita da racconto che porta il lettore a fluttuare nel passato. Con uno stile elegante ma senza essere pretenzioso, con un linguaggio intimo e vicino a chi legge questo è un romanzo che nella sua semplicità sa di buono, di valori sani, leggerlo è stato come assaporare una pietanza di altri tempi quando si cucinava con i prodotti della propria terra e grazie al suo gusto genuino si ritorna con i ricordi a un passato che può ben raffigurare quello di tante famiglie italiane…..al giorno d’oggi potrei addirittura definirlo un romanzo “biologico”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
180
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    28 Giugno, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

COM-PASSIONE O SOUCIT?

Leggerezza e pesantezza; anima e corpo; amore e sesso; luce e buio; spesso e sottile; caldo e freddo; essere e non essere. In queste coppie che si oppongono tra loro cosa intendiamo come positivo e cosa come negativo?

Tomas e Tereza, due anime che si incontrano tra queste righe scritte da Kundera, possono rappresentare la parte più intima e contrastante dell’essere umano, con la loro forza e con la loro fragilità, nelle loro certezze e nelle loro insicurezze ci possiamo specchiare e riconoscervi una parte di noi.
Tomas è un affermato medico in carriera, forte nel suo essere libero da ogni legame sentimentale. Una serie di coincidenze faranno sì che nel cammino della sua vita incontri Tereza, “anima fragile” di cui prendersi cura proprio come un bambino, che messo in una cesta per essere trovato e salvato, è stato condotto dritto a Tomas attraverso un fiume chiamato Destino.
E’ con Tereza che Tomas imparerà l’amore, una passione sì ma quasi diametralmente opposta al sesso, per Tomas quest’ultimo è un desiderio che si applica a una quantità infinita di donne, mentre la voglia di dormire insieme è un desiderio che si applica a un’unica donna.
Nonostante Tomas abbia accolto nella sua vita l’Amore/ Tereza, non rinuncia al suo opposto, alla parte più libera di sé, non vuole rinunciare neanche per un attimo alla passione per le donne, è così che le piccole bugie per nascondere i suoi tradimenti poco alla volta vengono a galla e con loro anche tutte le paure e le insicurezze di Tereza, ma il loro è un rapporto aperto, Tomas vive liberamente le sue avventure e Tereza liberamente vive le sue angosce, di nuovo grazie a Tereza Tomas imparerà il significato della parola COMPASSIONE.
Per tutte le lingue che derivano dal latino la parola compassione è formata dal prefisso “cum” e la radice “passio” che significa originariamente SOFFERENZA, quindi avere compassione significa che non rimaniamo indifferenti al dolore altrui o addirittura che partecipiamo al dolore di chi soffre. Amare qualcuno per compassione significa amarlo realmente? In altre lingue come ad esempio il polacco (wspot-czucie), il tedesco (mit-gefuhl) o il ceco (soucit), questa parola viene tradotta con un sostantivo composto da un prefisso con lo stesso significato seguito dalla parola SENTIMENTO. Questo termine viene normalmente utilizzato con un significato quasi identico ma grazie all’etimologia della parola stessa riesce ad avere un raggio di applicabilità molto più ampio, provare compassione (CO-SENTIMENTO) significa vivere con qualcuno le sue disgrazie ma anche provare insieme a lui qualsiasi altro sentimento: gioia, angoscia, felicità o dolore. Come la definisce Kundera questa è “l’arte della telepatia delle emozioni, è la capacità massima di immedesimazione affettiva, nella gerarchia dei sentimenti è il sentimento supremo”. Questa compassione o se vogliamo (co)sentimento, non è forse una forma di amore immensa?
Ogni angoscia o paura, ogni incubo vissuto da Tereza, Tomas lo vive sulla sua pelle, è come se quell’angoscia, paura o incubo bruciasse dentro di lui anche se, in fondo, ne è lui stesso l’artefice.
A rendere impervia la strada del loro amore ci pensa anche il regime comunista che occupa la città di Praga, la totale mancanza di ogni forma di libertà costringe la coppia a trasferirsi all’estero, ma non è cambiando aria che si risolvono i problemi, Tereza si rende conto che mentre a Praga dipendeva da Tomas per ciò che coinvolgeva il suo cuore, sola e in una terra straniera, Tereza capisce che dipende da Tomas per tutto, lui è la sua casa, lui è la sua famiglia, lui è il suo tutto, lui però non ha mai smesso di frequentare altre donne…e se lui l’abbandonasse cosa sarebbe di lei?

In prima persona l’autore ci racconta la storia di Tomas e Tereza e lo fa con una naturalezza unica, è come se il lettore si facesse una chiacchierata con lui alternando la storia a profonde riflessioni.

“L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa?.... La vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un’ombra, è priva di peso….. sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla”( ….e in questi termini è insostenibilmente leggera).

Kundera scava con una trivellatrice l’animo e la psiche dei protagonisti permettendo al lettore di affacciarsi in questo enorme buco e poter sezionare insieme tutto ciò che provano e pensano, ci presenta e ci spiega il dualismo presente nell’animo di questi due esseri. Kundera ci offre la possibilità di riflettere su di loro, di giudicarli addirittura ma non senza i giusti parametri di giudizio anche perché ci coinvolge talmente tanto nella loro vita che non possiamo non essere participi delle loro gioie e dei loro dolori, riesce a farci immedesimare ora in Tomas , ora in Tereza tanto da provare per loro “soucit”.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...

Trovi utile questa opinione? 
140
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    22 Mag, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

IL BOSFORO: UN PONTE TRA IL PASSATO E IL PRESENTE

Asya Kenzaci è turca, vive a Istanbul, ha 19 anni ed è una personalità istintiva, è ribelle e disillusa, non conosce una parte del suo “passato personale”, non sa chi è suo padre. Quella parola: bastarda la prima volta che l’ha sentita non aveva alcun significato, col tempo però ha incominciato a bruciare e questo per lei è sempre stato un motivo per non voltarsi mai verso il “passato in generale”. Vive in una casa popolata da sole donne che lei chiama tutte (ad esclusione della nonna) “zie”, persino nei confronti della madre, Zeliha, usa questo appellativo…non sa perché, è sempre stato così, alla fine per lei è come essere figlia unica di tutte quelle donne. Negli anni, come una maledizione, gli uomini della famiglia Kenzaci hanno sempre avuto vita breve, così, memore dell’esperienza altrui, la madre ha optato che l’unico figlio maschio di casa, Mustafa Kenzaci, proseguisse la sua vita in Arizona, negli Stati Uniti.
Armanoush è armeno-americana, anche lei ha 19 anni, si divide tra una vita a stile stelle e strisce con la madre Rose e il patrigno Mustafa Kenzaci (sì proprio lo zio di Asya) e una vita avvolta nella cultura, nella storia e nelle tradizioni armene con il padre e la sua famiglia che anni addietro sono emigrati negli Stati Uniti per salvarsi dal genocidio degli armeni messo in atto dall’Impero Ottomano. Al contrario di Asya, per Armanoush il passato ha una rilevanza importantissima ed è proprio per (ri)trovare le sue radici, la storia della sua famiglia paterna che intraprende un viaggio verso Istanbul ed essere ospitata dalla famiglia Kenzaci.

Scopriremo così che le vite di Asya e Armanoush sono intrecciate tra loro da una trama fittissima che ha origine da un passato ben lontano. Un romanzo popolato principalmente da donne, dove ognuna di loro svolge un ruolo ben preciso nella costruzione della storia ed è artefice del proprio destino e di quello della sua progenie.
Con maestria il passato si alterna con il presente offrendo fortuna con una mano e sciagura con l’altra.
Il dramma personale si mescola e si confonde con il dramma sociale. Asya e Armanoush, due facce della stessa medaglia, rappresentano l’una il popolo turco che non vuole volgere lo sguardo al passato “ciò che è avvenuto nel 1915 è stato sotto l’Impero Ottomano, ora siamo la Repubblica Turca” e l’altra il popolo armeno che, anche a distanza di generazioni, non vuole dimenticare e la negazione di ciò che è avvenuto è ancora più doloroso e oltraggioso del genocidio stesso.

A sovrastare tutto ciò c’è la città di Istanbul che come una vera prima donna ci viene descritta nelle sue varie sfumature, calda, magica e accogliente ma anche profondamente cruda e caotica, riusciamo a sentire i rumori, gli odori e i sapori di un luogo che ti avvolge e travolge nella sua storia e tradizione. Come se non bastasse, alla scrittura leggera ma precisa nelle descrizioni si aggiunge la scelta dell’autrice di intitolare ogni capitolo con il nome di un ingrediente della cucina tipica del luogo: cannella, ceci, zucchero, nocciole tostate, vaniglia, pistacchi, grano, pinoli, scorze d’arancia, mandorle, albicocche secche, semi di melagrana, fichi secchi, acqua, uva passa, acqua di rose, riso e dulcis in fundo cianuro di potassio…ma non fatevi ingannare perché proprio quest’ultimo ha l’odore invitante delle mandorle amare!
Ecco un piccolo assaggio:
“C'era una volta, o forse non c'era.
Molto, moltissimo tempo fa, in una terra non troppo lontana, quando la paglia veniva passata al setaccio, l'asino era il banditore della città e il cammello era il barbiere... quando io ero più vecchio di mio padre e lo dondolavo nella culla se lo sentivo piangere... quando il mondo era sottosopra e il tempo era un cerchio che girava e girava. Così che il futuro era più vecchio del passato e il passato era integro come un campo appena seminato...
C'era una volta, o forse non c'era. Un tempo le creature di Dio erano numerose come chicchi di grano e parlare troppo era peccato, perché potevi dire ciò che non dovevi ricordare, e potevi ricordare ciò che non dovevi dire.”

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
170
Segnala questa recensione ad un moderatore
Classici
 
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    01 Mag, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

TRA LE CAMPANE DEL BIG BEN

Leggendo questo romanzo ho avuto la gradita occasione di trascorrere un’intera giornata con una piacevolissima Signora Clarissa Dalloway , tutta presa ad organizzare una grandiosa festa che avverrà in serata e accoglierà l’alta società londinese.
In un unico giorno Mrs. Dalloway vede intrecciarsi nella sua vita le esistenze di tanti altri personaggi, conosceremo così Peter Walsh, (ex) spasimante durante il periodo della gioventù, che ritorna a Londra dopo un lungo viaggio in India; Sally un’amica d’infanzia della protagonista; Mr. Dalloway marito amabile e devoto al proprio lavoro e alla propria famiglia, Elisabeth, figlia di Mrs. e Mr. Dolloway, una giovane donna che proprio come un fiore sta sbocciando, Semptimus Warren Smith, reduce di guerra, che incrocerà solo lo sguardo di Clarissa per le strade di Londra, ma anche lui per via indiretta parteciperà questo evento.
Clarissa Dalloway, vera e unica protagonista di questo romanzo, è una donna sulla cinquantina che avverte dolorosamente il passare del tempo e della vita, lo scorrere degli anni sembra, ma solo superficialmente, averle appesantito lo spirito e il corpo, ma l’incontro con tutte queste persone le permette di riflettere sulla fugacità della vita e grazie a questo acquisisce la consapevolezza di quanto sia necessario apprezzarne appieno ogni attimo. Le festa dunque dovrà essere sì l’esaltazione di se stessa ma, circondata dai suoi cari, sarà soprattutto un omaggio all’esaltazione della vita.

Il ritmo di questo romanzo, gradevolmente scandito dai rintocchi del Big Ben, è serrato e non permette distrazioni, attraverso i suoi personaggi sembra che l’autrice ci riveli i suoi pensieri e le sue riflessioni nell’attimo stesso in cui li genera, ed è proprio questa immediatezza e questa originalità che me la rende cara e unica. Grazie alla narrazione arguta e sensibile di una grandissima Virginia Woolf la disperazione e le visioni allucinatorie di Septimus Warren Smith sono profondamente vere, la fragilità (prima) e la forza (poi) di Mrs. Dalloway la rendono un personaggio vivo e reale, nel suo vestito verde (…chissà perché nella mia immaginazione è un bel verde smeraldo!?!) Mrs. Dalloway ci appare bellissima, ma non perché rispecchia i canoni estetici del periodo bensì per quella bellezza che trova la sua origine nel fascino di chi è pieno di vita.
Una volta entrati nel turbinio degli eventi e dei pensieri dei personaggi che compongono questo romanzo è facile accompagnarli fino alla fine per riconoscere di possedere il dono di esistere.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
250
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    09 Aprile, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

Saluti da Firenze

Una cartolina da Firenze, proprio questo è stato il mio primo pensiero mentre leggevo questo bellissimo romanzo di Forster.

Lucy Honeychurch, una giovane donna “very british” intraprende un viaggio a Firenze con l’anziana cugina, devo dire proprio un bel po’ “zitella” soprattutto nel modo di vedere e affrontare la vita, Miss Charlotte Bartlett. Pur trovandosi in Italia alloggiano alla pensione Bertolini che di italiano ha solo il nome perché i turisti che vi soggiornano sono tutti inglesi, appesi alle pareti i ritratti della defunta regina, l’arredamento è stile inglese, …beh allora abbiamo fatto tutto il viaggio per venire in Italia e poi è come essere a Londra? Inoltre a rendere meno piacevole l’arrivo c’è che le camere a loro assegnate non hanno la vista del panorama che si aspettavano, per porre rimedio a ciò il simpatico ed estroverso Mr. Emerson, in vacanza a Firenze con il figlio George, offre di scambiare le proprie camere con quelle delle gentildonne inglesi….e così che questa camera con vista, questa finestra che si affaccia sull’Arno fa da cornice a un quadro meraviglioso, come una cartolina, che ci invita a visitare piazza della Santissima Annunziata, la basilica di Santa Croce con la sua facciata bianca e nera, ad ammirare i quadri di Giotto, Piazza della Signoria con la sua torre che agli occhi di Lucy non pareva più come una torre appoggiata a terra ma come un tesoro irraggiungibile che pulsa nel cielo tranquillo, il mare di violette sulle colline di Fiesole.
Durante il suo soggiorno Lucy impara ad apprezzare la città e le sue meraviglie ma impara anche a conoscere meglio i signori Emerson che, se pur non molto apprezzati dalla borghesia inglese a causa dei modi poco convenzionali e delle idee liberali che non esitano a esporre, riescono a conquistare il suo cuore, soprattutto il timido e allo stesso tempo passionale George. Ma la cosa più importante è che durante il suo soggiorno in Italia Lucy apre gli occhi alla vita.
A questo punto inizia un conflitto interiore per Lucy perché le sensazioni che prova per George poco si sposano con l’etichetta del perbenismo tipicamente inglese dell’epoca vittoriana e la triste realtà l’aspetta al rientro in Inghilterra dove mentendo a tutti, anche a se stessa, si crea una finta corazza che rischia di farla diventare una futura “Miss Bartlett”….ma in un angolo remoto del suo cuore c’è sempre Firenze.
“Non è possibile amarsi e separarsi. Si vorrebbe che lo fosse. Ma l'amore lo si può trasformare, ignorare, confondere, ma non estirparlo da dentro di sè.”

Ho trovato questo romanzo elegante e delicato, sono bellissime le descrizioni che Forster fa dei suoi personaggi e dei luoghi, mai ridondanti ma sempre esaurienti, sai perfettamente dove ti trovi e chi hai di fronte. Una fantastica Firenze descritta egregiamente da un inglese in cui non solo esalta il valore artistico della città ma addirittura la eleva a luogo in cui il personaggio prende coscienza di sé stesso, dove Lucy sale quello scalino che porta alla maturità di scegliere per se stessi il proprio futuro anche se in contrasto con le aspettative sociali del suo ambiente. Sicuramente Forster tramite la spontaneità di Mr. Emerson e l’istinto libero e ribelle di Lucy punta il dito contro l’ipocrisia e il finto perbenismo inglese dell’epoca che condannava l’amore nato per passione e preferiva quello combinato sulla base di interessi economici e di classi sociali, ed ecco che dalla bocca di Mr. Emerson sentiamo: “Credete che ci sia differenza tra la primavera della natura e la primavera dell’uomo? Eppure eccoci qua, a celebrare l’una e a condannare l’altra come sconveniente, e a vergognarci ad ammettere che alla base di entrambe vi siano le stesse leggi eterne”.
Un messaggio positivo che attraverso i suoi personaggi e attraverso questa Italia, rappresentata come simbolo della libertà dell’animo, ci invita ad accettare la vita e l’amore nella loro interezza e libertà.
“Sappiamo di venire dal vento e di doverci ritornare. Sappiamo che tutta la vita non è che un nodo, un garbuglio, una macchia sulla superficie liscia dell’eterno. Ma perché mai questo dovrebbe renderci infelici? Amiamoci piuttosto! Affianco dell’eterno Perché c’è anche un Sì…un Sì effimero, magari, ma pur sempre un Sì.”

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
230
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    04 Aprile, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

OVERDOSE DI VITAMINA C

Sembrerebbe quasi autobiografico questo romanzo che parla di una piccola Jeanette adottata da una famiglia molto religiosa dove abbiamo la presenza una madre ingombrante, ossessiva che cresce la figlia all’interno di una cupola immaginaria fatta di canti liturgici, indovinelli sulla Bibbia e “arance”, che pur di proteggere la figlia della contaminazione peccaminosa la manderà a scuola molto più tardi rispetto a tutti gli altri bambini.
Jeanette ha una “forzata vocazione” per diventare missionaria di Dio e qualsiasi problema, dubbio o incertezza si risolve mangiando un po’ di arance perché così come la mamma insegna “non c’è nulla come le arance”.
Cresce in una comunità bigotta, dove il Diavolo è ovunque e può manifestarsi in chiunque e in qualsiasi forma….. e infatti durante il periodo della sua adolescenza sarà proprio Jeanette a essere posseduta dal demonio quando per la prima volta incontra l’amore e per lei è un amore puro e semplice. Avete presente quella forma di amore libero e incontaminato, senza malizia tipico dell’adolescenza, quando ami ma non sei sicura che ciò che provi si chiami amore? Ecco, proprio quello!….. Allora di fronte alla reazione sconvolta della madre e dell’intera comunità Jeanette con una semplicità unica si pone una domanda: “Ma come è possibile che l’amore sia opera del diavolo?” Tutto dipendeva dal fatto che le piacevano le persone sbagliate. Per carità! Persone in realtà degnissime sotto ogni aspetto, salvo che per un piccolo particolare: l’amore per un’altra donna era peccato! E cosa c’è di più efficace di un esorcismo, di rinchiuderla in una stanza buia e senza cibo per indebolire i demoni che hanno preso possesso della povera Jeanette?! …E poi ovviamente quando ormai è affamata e debilitata arriva la madre con un cesto di arance e tutta torna come prima!!! Di fronte a questo assurdo, psicologicamente violento e incomprensibile fanatismo Jeanette non riconosce più nessuno, non riconosce la madre, non riconosce tutte quelle persone che da sempre hanno fatto parte della sua vita, in tutto ciò non riconosce e non riesce a vedere neanche quel Dio che ama tanto e a cui non vuole rinunciare, ma in fondo non può rinunciare neanche a se stessa.
Sarà proprio un’impresa ardua per Jeanette affrontare un percorso interiore per trovare se stessa, per rispettarsi e farsi rispettare per quello che è, per scoprire che ci sono varie forme d’amore e quindi per ritornare al titolo “non ci sono solo le arance”!!!
Per rafforzare l’immagine religiosa della protagonista questo romanzo è diviso in capitoli che riportano il nome di alcuni libri del Vecchio Testamento, durante tutto il percorso di crescita di Jeanette anche il modo di esporre i fatti cambia, si inizia con il linguaggio semplice di una bambina, passando a un registro più ostinato e ribelle fino ad arrivare alle riflessioni profonde e strutturate di una donna adulta. Una leggera ironia tipicamente inglese permette, ogni tanto, durante la lettura l’accenno di un sorriso, nonostante tratti temi piuttosto importanti è scritto con estrema semplicità e leggerezza, non c’è mai rancore nelle parole di Jeanette, caso mai c’è stupore, persino nei momenti più duri lei non condanna e non giudica nessuno accetta la realtà e le persone per quelle che sono, senza volerle convincere e plasmare al proprio volere.
E’ piacevole inoltre che il racconto sia intervallato con accenni a personaggi leggendari che magicamente rivivono in chiave pseudo-moderna le vicende che vive la protagonista.
Una piccola perla è il capitolo di Deuteronomio, di fronte all’incapacità altrui di accettare la realtà dei fatti e quindi di fronte alla negazione, al voler far finta che certe situazioni non esistano, Jeanette arriva a una riflessione ahimè, in alcuni casi, tristemente vera: “La gente non ha mai avuto troppi problemi a cancellare il passato quando dava troppo fastidio. La carne brucia, la foto bruciano e la memoria cos’è? Nient’altro che il vaneggiamento di stolti che non vogliono convincersi della necessità di dimenticare. Quello che poi non si può distruggere si può alterare.”

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
200
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    16 Marzo, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

IL FASCINO DELL’INNOCENZA CADUTA IN TENTAZIONE

“….Dobbiamo scoprire la Bellezza che, caduta in errore, ha ceduto alla tentazione ed è rimasta nuda e senza amici, eppure resiste”

Straordinario questo romanzo che vede come protagoniste due sorelle gemelle legate da un vincolo indissolubile, Nutan e Zeenat appartengono l’una a l’altra.
Nutan forte e determinata, Zeenat dolce e remissiva, nascono e crescono in una Bali che non è solo quell’immagine paradisiaca che noi tutti conosciamo perché catturata nelle fotografie dei turisti, ma è un luogo magico, ricco di cultura e tradizioni, dove la natura umana è rimasta incontaminata dal degrado del vizio e del consumismo e la purezza è rappresentata da due gemelline bellissime che danzano con buganvillee tra i capelli. Per tutta la loro esistenza sarà importante il ruolo della nonna Nenek, una donna forte, provata dalla vita e ricca di spiritualità, sarà un punto di riferimento per ciò che è puro e sacro, un dolce richiamo alle proprie origini. Alla morte delle madre, Nutan e Zeenat vengono convinte dal padre a intraprendere un vacanza a Londra di solo tre o quattro mesi. Tra l’eccitazione per la scoperta di un mondo nuovo e un vago senso di tristezza per l’abbandono della propria terra e della tanto amata nonna, scopriranno sulla propria pelle che questa vacanza si rivelerà un viaggio che avrà come destinazione l’inferno.
- “E’ solo una vacanza” mi dicevo per mettere a tacere il mio senso di colpa.(Nutan) -
Arrivate in una caotica Londra incontreranno Ricky, personaggio cardine del racconto, un uomo che dal nulla si è creato un impero economico, una personalità carismatica e sprezzante delle virtù altrui, un diavolo tentatore sempre pronto a raccogliere e trascinare chi lo circonda in un baratro di infelicità e di dissoluzione. Ricky avrà il ruolo di traghettatore di anime perdute donando loro le chiavi per accedere al “Tempio del Ragno”.
In un mondo dove tutto ruota tra droga, sesso e superficialità ci saranno anche Francesca, Elizabeth, Maggie, Anis e Bruce tutti vittime e carnefici di loro stessi. Tutti arriveranno al punto di vendere la propria anima e/o il proprio corpo pur di ottenere un po’ di quella felicità effimera e fasulla.
La debolezza alle facili tentazioni si alternerà con un desiderio di rinascita e liberazione.

Bellissima l’analisi psicologica dei personaggi, che in prima persona ti raccontano i loro stati d’animo, coinvolgendoti così nelle situazioni che vivono e come le vivono, cosa li porta ad avvicinarsi all’oscuro e a volerne far parte fino ad arrivare all’autodistruzione.
Attraverso le vite dei protagonisti, che raccontano dettagliatamente e in modo molto crudo le loro realtà, riesci a vedere con occhi smaliziati quanto può essere facile toccare quel punto di non ritorno, ma vedi anche quanto caro puoi pagare quel singolo attimo di debolezza che è l’inizio di un vortice maligno che sembra senza fine. Coinvolto nei loro eventi e cercando un barlume di speranza hai la possibilità di riflettere sulla continua lotta tra il male e il bene, l’inferno e il paradiso, il senso di abbandono verso il nulla e la volontà di riprendere la propria vita tra le mani….e chi tra loro è realmente coraggioso “forse” riuscirà finalmente a rivedere la luce.



Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
210
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    30 Gennaio, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

IL TEMPO CHE VORREI?!?

Il protagonista di questo romanzo è un uomo che affronta un rapporto difficile con un padre presente ma anche assente e una donna, una Lei che lo ha lasciato, se n’è andata e sta sposarsi.
Fabio Volo ripercorre sin dall’infanzia la vita del protagonista e tre sono i temi principali: 1-il disagio del giovane Lorenzo che proviene da una famiglia umile che a stento riesce arrivare a fine mese, il senso di inadeguatezza che prova quando si confronta con gli altri perché non ha ciò che hanno loro e non è come loro, perfino quando sarà adulto e affermato professionalmente continuerà a trascinarsi quest’ombra che diventa un senso di colpa nei confronti della famiglia; 2-il rapporto difficile con un padre che è fisicamente presente ma umanamente è distante, lavora e basta, la fatica che fin da piccolo fa per conquistare anche un solo cenno della sua attenzione o approvazione; 3-Lei, una donna il cui nome non verrà mai pronunciato all’interno del romanzo se non alla fine, Lei che lo ha lasciato se n’è andata e sta per sposarsi perché lui è sentimentalmente immaturo o incapace di amare.
Le basi questo libro le ha tutte e alcune sono anche particolarmente toccanti, non di certo quando un capitoli si e uno no, come un mantra che ti perseguita, parla di Lei che lo ha lasciato, se n’è andata e sta per sposarsi . Se per il protagonista LEI è un’ossessione per il lettore è un incubo! Arrivata ben oltre la metà del libro ti fai una domanda: ma la storia quando inizia?
A differenza degli altri, in questo libro Fabio Volo non è particolarmente ironico o scanzonato (escluso l’attore non protagonista Nicola) ma va benissimo così! Il punto è che manca la storia o al massimo ha una struttura molto debole, sembra tutto una premessa, potresti tranquillamente leggere le ultime pagine del libro e hai letto tutto. Bisogna dargli atto che la lettura è molto fluida e semplice, come in tutti i suoi libri non è mai pretenzioso….ma una volta finito il libro sembra quasi incompleto, bastava sforzarsi un po' di più.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
130
Segnala questa recensione ad un moderatore
Romanzi
 
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
marinablu Opinione inserita da marinablu    26 Gennaio, 2013
Top 500 Opinionisti  -  

BELLO, BELLO, BELLO

Questo libro è un quadro che raffigura l'incontro di due mondi e due culture totalmente differenti. E' una storia straordinaria che racconta come la società con i suoi estremismi influenza le azioni dei protagonisti, le scelte (spontanee o forzate) che fanno cambiano radicalmente la loro vita e le pagano a caro prezzo.
Secondo me è l'ideale per chi cerca un buon libro che faccia riflettere, che abbia un gusto un po' retrò (è ambientato tra gli anni '40 e fine anni '70) e che racconti di una cultura diversa dalla nostra.
Io non ho ancora letto altri libri di questa autrice, sicuramente il prossimo sarà La bastarda di Istanbul, ma se lo stile è questo allora è una grande

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Trovi utile questa opinione? 
131
Segnala questa recensione ad un moderatore
26 risultati - visualizzati 1 - 26

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
3.0 (2)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (2)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Chimere
Valutazione Utenti
 
3.5 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
3.0 (2)
Quando ormai era tardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La fame del Cigno
Valutazione Utenti
 
4.8 (2)
L'innocenza dell'iguana
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Long Island
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.1 (2)
Assassinio a Central Park
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

L'antico amore
La famiglia
Fatal intrusion
Il grande Bob
Orbital
La catastrofica visita allo zoo
Poveri cristi
Se parli muori
Il successore
Le verità spezzate
Noi due ci apparteniamo
Il carnevale di Nizza e altri racconti
Delitto in cielo
Long Island
Corteo
L'anniversario