Opinione scritta da antares8710
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Il romanzo-inchiesta sulla cocaina
L'ultima fatica letteraria di Roberto Saviano, a distanza di sette anni dalla pubblicazione del capolavoro "Gomorra", viene presentata come un'indagine sul narcotraffico internazionale e sul mondo che ruota attorno alla cocaina. In realtà così non è. "ZeroZeroZero" non ha nulla dell'indagine giornalistica nel senso proprio del termine. E' un libro sui generis, che si permette il lusso di non rispettare nessuna delle convenzioni tipiche dell'inchiesta giornalistica: non c'è un filo narrativo unico, per prima cosa, non c'è una bibliografia e manca di approfondimenti specifici sulle indagini delle autorità giudiziarie (italiana e straniere). Ma proprio per questo che si rimane affascinati da questo libro. Perchè il lettore capisce subito di trovarsi di fronte ad un testo sui generis, un testo che non si vede spesso sugli scaffali delle nostre librerie. Si tratta, a mio avviso, di un viaggio personalissimo e a tratti anche intimistico dell'autore nell'universo infinito delle sostanze stupefacenti, di come vengono prodotte e coltivate, di come vengono consumate e di come l'economia criminale sia il carburante, il propellente dell'altra economia, quella visibile e tangibile, quella che riguarda noi comuni mortali.
La struttura del libro è ad incastro. Saviano decide di concentrarsi su una decina di storie più significative e di approfondire personaggi o episodi di maggiore interesse. Ci sono molteplici filoni narrativi, apparentemente slegati, ma che in realtà hanno una profonda connessione sotteranea che si staglia davanti agli occhi del lettore con l'avanzare della lettura. Ogni storia richiama quella precedente e viene a sua volta richiamata da quella successiva: è come trovarsi davanti a migliaia di fili sapientemente intrecciati fino a comporre una sola fune. Questo è "ZeroZeroZero" di Saviano.
Ci sono pochi autori che riescono a catapultare il lettore in una dimensione e in un tempo totalmente sconosciuti. Uno di questi è Saviano.
Ed è così che il lettore si ritrova faccia a faccia con storie incredibili, come quella del boss messicano Don Arturo, re dell'oppio, che capisce il potere distruttivo della droga e decidere di convertire tutte le piantagioni di papavero nel più semplice ma meno redditizio frumento. Oppure la storia del poliziotto onesto e bravissimo nel suo lavoro, responsabile di centinaia e centinaia di arresti di narcotrafficanti, che all'improvviso decide di passare dall'altra parte della barricata diventando il più grande narcotrafficante di tutto il Centro America con il nome di El Padrino.
Dalle pagine di Saviano emerge con forza la brutalità gratuita e immonda dei cartelli messicani e colombiani, capaci delle più efferate uccisioni, che si divertono a mutilare e a decapitare i corpi di uomini, donne e bambini. Sono pagine dure da ingoiare. E' forte la tentazione del lettore di chiudere gli occhi e di passare oltre, ma Saviano lo obbliga a tenerli aperti per capire le ragioni e i meccanismi sociali che si nascondono dietro quell'esaltazione della violenza.
Un'altra storia che personalmente mi ha colpito molto è quella di Bruno Fuduli, piccolo imprenditore calabrese di grande onestà che decide di accettare l'aiuto della 'ndrangheta per far fronte ai numerosi debiti. Grazie alla sua intelligenza diventa un uomo di punta delle cosche calabresi ma alla fine decide di saltare il fosso e aiutare la giustizia italiana: diventerà un infiltrato. Grazie alle sue rivelazioni, la 'ndrangheta riceverà una tremenda batosta. Ma questa storia non ha un lieto fine. Dopo essere uscito dal programma di collaborazione con la giustizia, Bruno Fuduli non ritorna a fare l'imprenditore come sempre aveva fatto. Bruno Fuduli si trasforma in narcotrafficante e viene arrestato dalla polizia italiana.
Così si conclude una parabola umana incredibilmente istruttiva e complessa: un uomo, venuto a contatto con il Male, che non riesce a divincolarsi da quei demoni, come se il Male che ha visto avesse impregnato e sporcato irrimediabilmente la sua anima.
L'effetto che fa il libro una volta chiuso è veramente particolare. Si ha la sensazione di aver aperto una porta e di aver visto un universo enorme, sconfinato e caotico ma di non aver compreso bene i meccanismi, le leggi che regolano quell'universo. Si pensa di aver capito una storia, un episodio, uno snodo cruciale, ma ecco che una volta girata la pagina si viene smentiti. Quello che tu credi sia un personaggio positivo, in realtà è il "cattivo" della storia successiva. Per questo si prova una sottile inquietudine.
La narrazione è vorticosa e finisce quasi per tramortire il lettore. In alcuni punti il libro si fa ripetitivo e disorganico, ma nel complesso mantiene sempre alta l'attenzione di chi legge. In alcune parti il libro, a mio parere, indugia un pò troppo nei dettagli di alcune inchieste, specie quelle condotte dalla magistratura italiana, finendo per diventare un pò pedante.
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Itaca. La realtà e il mito
Un libro che ogni amante della cultura greca dovrebbe conoscere. Un viaggio imperdibile nel mondo di Omero, fatto dai personaggi, dalle eroine e dalle figura mitologiche che affollano i due immensi capolavori dell'Iliade e dell'Odissea. E' incredibile come la Cantarella riesca a far immedesimare il lettore nella società dell'VIII secolo, nel modo di pensare e di vivere di quei personaggi sospesi tra mito e Storia. Dopo poche pagine, il lettore si ritrova, come per magia, catapultato nel mondo di Ulisse e di Agamennone, delle poleis greche, di Itaca e di Penelope. Un mondo che Cantarella ci insegna a conoscere e ad amare, insegnandoci i valori che lo animano. Questa è la grande bellezza di un libro che classificare come "saggio" sembrerebbe piuttosto riduttivo: l'autrice parte dalle pagine dell'Odissea per spiegare la società in cui quell'opera è stata concepita. Solo comprendendo a pieno la concezione che i greci avevano dell'amore, dell'amicizia, del destino e della morte, dell'agathos, dell'ibrys, possiamo capire l'Odissea.
Tutti noi, solitamente, siamo portati a pensare che quei curiosi, affascinanti e a volte spaventosi personaggi dell'Odissea, che tanto hanno colpito la nostra immaginazione in gioventù, siano delle figure mitologiche. Personaggi che non esistono nella realtà e mai potrebbero. Personaggi frutto dell'immaginazione creativa e della fantasia fervente di un popolo. Ma così non è.
Dobbiamo capire che quei racconti sono incanalati in una determinata realtà sociale, in un determinato universo di valori. E' la storia e la cultura di quei popoli che "spiegano" e giustificano la mitologia.
Polifemo, Scilla e Cariddi, Calipso, la maga Circe, Nausica, i Mangiatori di Loto, Telemaco e Penelope non sono solo dei personaggi inventati. Sono i portatori di un sistema di valori e di credenze che sono alla base della nostra cultura, del nostro modo di essere.
I protagonisti del poema omerico sono i nostri diretti antenati. Quegli esseri fantastici, mostruosi o nobili che siano, ci sono vicini più di quanto possiate pensare.
Questo ci vuole spiegare Eva Cantarella.
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La solitudine del potere
Ho avuto il piacere di leggere quest'opera in francese e devo dire che ne sono rimasto piacevolmente impressionato. Un'opera ripresa e ritoccata più volte dallo scrittore francese, deciso a portare in paloscenico lo spettacolo dell'assurdo. Uno spettacolo che ci porta dentro la solitudine e il delirio di un uomo, posseduto dal demone del potere. Sì perchè per Camus il potere è una possessione maligna che porta l'uomo alla ricerca continua e disperata dell'impossibile, di una realtà distorta e disumana, in cui trovare finalmente la libertà dalla ragione, dalla logica e dalla contingenza. Il viaggio che Camus compie all'interno dei meccanismi umani del potere, è un viaggio nella razionalità dell'uomo occidentale.
Molti critici hanno visto nell'opera di Camus, un costante riferimento a Hitler e alla tragedia del nazismo (la prima stesura dell'opera risale al 1938). In realtà, io credo, sia riduttivo parlare di quest'opera come un manifesto di denuncia contro le follie del nazismo e dei totalitarismi novecenteschi in genere. Il fine di Camus è molto più ampio e i suoi destinatari sono più di uno. Si tratta invece di una lucida e fredda analisi degli ingranaggi del Potere, inteso come esercizio di un dominio su altri essere umani, che prescinde dall'epoca e dall'humus culturale nel quale è stata scritta. Si tratta di un monito che Camus ha voluto indirizzare non tanto nei confronti degli europei appena usciti dal gorgo degli autoritarismi, quanto piuttosto nei nostri confronti, che viviamo in un'epoca dove il Potere è molto più sottile, subdolo e gelatinoso. Il Potere della nostra epoca non si manifesta nell'effigie di una persona o in un simbolo, come può essere una svastica o una falce e martello. No. Il Potere che noi conosciamo e di cui ci circondiamo è molto più pervasivo e non ha nemmeno il bisogno di nascondere la sua volontà di potenza e dominio. Ed è questo il nostro vero nemico. Come ci suggerisce lo stesso Camus, in maniera nemmeno troppo velata, non è l'Uomo il nostro nemico, non è l'imperatore Caligola che va abbattuto, ma il Potere che lo possiede. L'uomo Caligola, in fondo, non è altro se non un involucro, un'immagine vuota dentro la quale si concretizza il desiderio dell'assoluto.
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Il mondo fantastico di Borges
E' molto difficile fare una recensione su un libro come questo. Così come è molto difficile parlare di un autore complesso come Jorge Luis Borges. Sicuramente "Finzioni" non è un libro facile da affrontare e spesso si fa l'errore di affrontarlo con un eccesso di disinvoltura. Ma così non si può fare perchè Borges merita il massimo dell'attenzione e della dedizione.
In questo libro composto da diversi racconti, si compone davanti al lettore, come una mirabile visione, il mondo evocativo di Borges: un mondo dove l'erudizione, la letteratura e il fantastico si intrecciano e si fondono per creare una dimensione onirica, dove è facile non ritrovare più la via del ritorno. Ci si sente quasi smarriti davanti alla favola di Borges: si tratta di una favola incantevole e meravigliosa, tanto cara alla lettaratura sudamericana (come si fa a non pensare a Gabriel Garcia Marquez). Il titolo "Finzioni" spiega tutto. Si tratta di una realtà labirintica e meravigliosa, in cui il reale sfuma nella finzione, in cui la quotidianeità si infrange nel sogno. La realtà di Borges, infatti, è un enigma retto da leggi e regole proprie, rigorose e inafferabili al tempo stesso.
Se intendete fare un viaggio nel mondo di Borges, questo è il libro che fa per voi.
Buona lettura!
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Sguardo lucido sulla follia
Si tratta sicuramente di uno dei libri più importanti, se non addirittura il più importante, di quel particolare filone letterario dedicato alla follia del Nazismo e alla tragedia dei campi di concentramento. Questo libro fu scritto nel 1947, epoca in cui il neorealismo italiano si sviluppò ai massimi livelli, raggiungendo dei picchi narrativi che porteranno la nostra nazione alla ribalta del mondo letterario (quanto tempo...). Il racconto, però, si discosta in maniera decisa dai canoni stilistici del neorealismo, assumendo una propria ed autonoma fisionomia, che lo porta ad essere uno dei grandi classici del Novecento. L'aspetto che maggiormente colpisce il lettore è la fredda lucidità con la quale Levi racconta le atrocità naziste: l'analisi del lettore è priva di ogni retorica o emotività, il suo sguardo, lucido e preciso, rispecchia la volontà di raccontare in modo documentaristico le immani crudeltà a cui Levi ha assistito personalmente. Il suo approccio "giornalistico", se mi passate il termine, si realizza soprattutto nella narrazione sobria e asciutta, priva di qualsiasi manierismo e spogliata da qualsiasi tentativo di abbellimento o di cesellatura. Ed è proprio questo l'aspetto che, secondo me, colpisce a pieno l'immaginazione del lettore. "Se questo è un uomo" non è solo un diario o una memoria. Ma è anche uno studio attentissimo alla società e alla antropologia di quel mondo assurdo chiamato "campo di concentramento". Sembra quasi che Levi sia interessato a capire, analizzare e sviscerare scientificamente le leggi che regolano quel mondo e i suoi abitanti. La sua chiarezza da scienziato (non dimentichiamoci che Levi era un chimico), ci aiuterà a comprendere con la massima razionalità possibile il mondo dei Lager e le bestialità dei suoi aguzzini.
Per questo penso che ci troviamo di fronte al libro che meglio di tutti è riuscito a far comprendere al mondo intero, l'orribile abisso di follia nel quale eravamo precipitati. Le pagine di Levi scorrono velocemente e la lettura si mantiene sempre interessante e coinvolgente.
Se già non avete letto questo libro, fatelo immediatemente...
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Una ventata di ottimismo
Immancabile l'appuntamento con l'ultimo libro di Beppe Severgnini, da sempre uno degli scrittori più amati dal pubblico italiano, che questa volta si cimenta in consigli non richiesti a tutti i giovani italiani. L'editorialista del Corriere della Sera si diverte a costruire un libro, pieno di spunti di riflessione e di consigli interessantissimi, intorno a un elenco di 8 parole secondo lui fondamentali per uscire dal pantano in cui si trova il nostro Paese (non solo economico). Sono le 8 T, T come il Tempo che viene: Talento, Tenacia, Tempismo, Tolleranza, Totem, Tenerezza, Terra, Testa. Ad ognuna di queste parole chiavi dedica un capitolo, una riflessione, dei consigli che tutti noi dovremmo imparare a seguire e a non dimenticare mai.
Lo stile è sempre lo stesso, asciutto e brillante, mai noioso e con la capacità di catturare l'attenzione del lettore fin dalle prime pagine.
Bellissime alcune frasi, come quelle dedicate alle esperienze all'estero e alla necessità di conoscere nuove realtà:" Se siete attirati dal mare del mondo, andate. Partite. Scappate. Ma ricordate che una nazione, una regione, una città, un quartiere, una scuola, un'associazione, un gruppo di amici ed una famiglia sono il porto da cui siete partiti; e dove,magari, tornerete. Anche nomadi e marinai hanno patria".
Vi consiglio di leggere questo libro, anche perchè potrebbe essere un ottimo manifesto politico per i prossimi anni...
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"La storia di una verginità che si difende"
"La storia di una verginità che si difende". Questa è la frase con la quale Cesare Pavese ha cercato di riassumere e spiegare la sua opera, uscita nel 1949 sempre con Einaudi. La frase ci fa capire come l'intero romanzo ruoti attorno all'idea del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, dalla stagione dei sogni e delle illusioni, a quella di una più matura consapevolezza. Il mito della festa, sempre presente nella narrativa pavesiana, qui si palesa con tutta la sua forza, lasciando negli occhi del lettore un velo di malinconia e nostalgia, come quando finisce una festa...
La protagonista del racconto è una giovane ragazza Ginia, piena di vita e di allegria, che stringe amicizia con un'amica di qualche anno più grande che ogni tanto posa nuda per pittori e scultori. Grazie a questa amicizia Ginia entrerà nel mondo artistico di Torino e conoscerà un pittore di cui si innamorerà perdutamente, Guido. La storia tra Ginia e Guido, sarà travagliata e passionale, devastante e totalizzante, fino a quando Ginia deciderà di concludere quella storia fantastica, quel sogno di una "bella estate"...
Anche in questo romanzo, Pavese insiste con grande precisione nel racconto della borghesia torinese e della sua irreversibile crisi di valori morali e civili. La Torino di Pavese, è una città fatta più di ombre che di luci, rappresentata da una atmosfera cupa e malinconica...
Consiglio di leggerlo.
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Ogni guerra è una guerra civile
"Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo in terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Ci si sente umiliati perchè si capisce-si tocca con gli occhi- che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato".
Queste parole provengono dal capitolo conclusivo di "La casa in collina" e meglio di tutte possono spiegare la trama e le tematiche del romanzo di Pavese. La meditazione filosofica-esistenziale sul significato della guerra, sull'impegno civile, sul disinteresse e l'indifferenza per il mondo circostante, sono al centro del racconto di Cesare Pavese. Tutti i romanzi di Pavese, a cominciare dal suo più noto "La luna e i falò", hanno una forte componente autobiografica; e anche "La casa in collina" rispecchia molto della vita travagliata dell'autore.
Il protagonista principale della vicenda è Corrado, un professore che si disinteressa completamente della guerra e dei bombardamenti devastanti che la Seconda Guerra mondiale sta portando nella sua regione, tra la sua gente e le sue colline. Egli vive con apatia questo momento storico drammatico e sembra quasi che la realtà a lui intorno non gli interessi affatto. Per questo decide di ritirarsi in un paese rurale in cima ad una collina, luogo mitico e fortemente simbolico sempre presente nell'universo pavesiano. La collina rappresenta il grembo materno. Il ritorno a un luogo sicuro, che dà protezione e sicurezza, che ti isola completamente dal mondo esterno. Un rifugio che però, alla lunga, non sembra offrire al protagonista quella sicurezza cercata. In questo mondo ovattato e lontano dalla Storia, Corrado trova conforto frequentando gente allegra e semplice che passa le giornate in una vecchia osteria del paese. In questo quadro si inseriscono anche la madre e il suo grande amore del passato, Cate, madre di Dino, che Corrado sospetta essere suo figlio.
Un giorno però, la Storia farà il suo ingresso prepotente e violento in quel mondo contadino, distruggendo qualsiasi sembianza di serenità e indifferenza...
Al centro del romanzo c'è la guerra. Corrado riflette sul significato della guerra e del profondo abisso nel quale sembra essere precipitato l'uomo moderno. La riflessione esistenziale del protagonista, sembra quasi annullare ogni convinzione o credo politico, come se questo fosse del tutto inutile di fronte alla barbarie e al sangue dei caduti. Le idee politiche e l'adesione ad un'ideologia, si sbriciolano davanti al recupero degli antichissimi valori di solidarietà, di fratellanza e di pietà. Valori che ci portano a pensare che i morti non abbiano colori; che il sangue da loro versato non verrà dimenticato perchè, come ci ricorda alla fine Pavese, "ogni guerra è una guerra civile: ogni cadavere somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione".
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L'inettitudine secondo Svevo
Io penso che questo sia uno dei più grandi capolavori della letteratura italiana di fine Ottocento. Lo penso fin da quando ho studiato Italo Svevo sui banchi di scuola, quando la mia professoressa (grande prof!) ci faceva appassionare e divertire facendoci entrare nei meandri meravigliosi della letteratura italiana, una delle più belle del mondo. Da allora, come tutta la letteratura in genere, non ho mai smesso di amarla.
Chiusa questa piccola parentesi autobiografica, mi concentrerò nella recensione del romanzo. Non si tratta di una recensione facile, perchè il romanzo non è facile. Quando si parla di Italo Svevo si pensa subito alla Coscienza di Zeno (giustamente), considerato da alcuni critici addirittura come il miglior romanzo del Novecento, abbandonando all'oblio gli altri due romanzi: Una vita e Senilità.
In realtà questo romanzo uscito negli ultimi anni dell'Ottocento (1898) merita grande attenzione in quanto l'autore, a differenza di "Una vita", si disinteressa del quadro sociale dell'epoca concentrandosi maggiormente sulle vicende dei quattro personaggi principali.
La trama ruota attorno a Emilio Brentani, modesto impiegato di una società di assicurazioni, con un passato da scrittore fallito. E' un sognatore, un idealista, che viene continuamente accudito dall'amorevole sorella Amalia, la quale si prodiga con tutte le forze per aiutare il fratello. Un'altra figura centrale della vita di Emilio è invece Stefano Balli, scultore, con una personalità d'acciaio che ha una grande fortuna con le donne. Ed è proprio il dongiovannismo di Stefano che convince Emilio a gettarsi in una relazione con una donna del popolo, Angiolina, con la quale spera di trovare quel pizzico di avventura e follia che serve alla sua vita monotona. Ma le cose non vanno così bene come sembra: con il passare del tempo Emilio si innamora perdutamente di Angiolina fino ad idealizzarla e ad esaltarla quale simbolo di bellezza e di grazia, trasformandola, nella sua mente, in una sorta di creatura angelica. La scoperta della vera natura di Angiolina, fatta di menzogne, volgarità, cinismo e un gran numero di amanti, porterà Emilio a nutrire una gelosia morbosa e patologica, fino a farlo impazzire del tutto. In questo turbinio di emozioni forti, faranno il loro ingresso la sorella Amalia e l'amico bohémien Stefano; le vite dei quattro protagonisti si intrecciano in maniera inestricabile, fino a giungere, inevitabilmente, alla distruzione e all'annientamento finali...
Le vicende dei quattro protagonisti sono al centro del romanzo. Come dicevo prima, il quadro sociale è del tutto assente, così come gli altri personaggi rivestono una funzione praticamente ancillare. Ciò che veramente interessa a Svevo in questo romanzo, è l'indagine psicologica dei protagonisti: si può dire, infatti, che tutta la trama si sviluppi intorno alla psiche di Emilio, ai suoi turbamenti e al suo modo di vedere la realtà. Egli è il vecchio, il debole, l'inetto che cerca disperatamente di fuggire dalla realtà: ed è per questo che si è creato un mondo di fantasie e di ideali, dove al centro sta la figura di Angiolina, simbolo di quella vitalità e di quella gioventù che cerca in tutti i modi di dominare e possedere. Ma non si tratta del desiderio di una possessione fisica. Il rapporto sessuale tra lui ed Angiolina, infatti, lo lascerà profondamente turbato e disgustato, in quanto quella carnalità ha avuto solo l'effetto di contaminare il suo ideale di purezza e di grazia angelica nel quale aveva trasformato la donna del popolo.
Ed è in questo quadro che si inserisce l'altro protagonista, Stefano Balli, esatto opposto di Emilio: tanto è debole e immaturo Emilio, tanto è forte e dominante Stefano. Quest'ultimo viene descritto come un piccolo superuomo che ha il pieno controllo della sua vita, che conquista una donna dopo l'altra, grazie alla sua incredibile vitalità e forza d'animo.
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La fine di un Impero
L'ultima legione di Manfredi è sicuramente è uno dei suoi libri più famosi e meglio riusciti. Lo testimoniano tra l'altro le tante traduzioni che ne sono state fatte all'estero e la sua (non molto fortunata) trasposizione cinematografica.
Questa volta Manfredi ha voluto confrontarsi con un periodo storico assai delicato e molto dibattuto sui libri di storia: il passaggio dalla caduta dell'Impero Romano Occidente ai regni barbarici sulla nostra Penisola, che segneranno più tardi l'inizio dell'Alto Medioevo. Si tratta di un'epoca storica di grande importanza per lo sviluppo dell'Occidente, ma molto spesso viene sottovalutata o ignorata del tutto. Ed è per questo che lo sforzo compiuto da Manfredi merita grande attenzione.
La storia dell'ufficiale dell'esercito romano Aureliano si intreccia con quella dell'ultimo imperatore romano Romolo Augustolo, il quale, insieme ai due veterani Batiato e Vatreno, tenteranno di raggiungere la salvezza sfuggendo alle orde dei barbari che hanno invaso e distrutto l'Italia. L'impresa si rivelerà più ardua del previsto e infinite insidie dovranno affrontare i nostri quattro protagonisti. Tutto questo mentre il mondo vecchio, che sembrava forte e immortale, piano piano si spegne, si eclissa, lasciando l'Europa e tutto l'Occidente in mano al caos e alla distruzione. La Città Eterna sembra esalare il suo ultimo respiro. Il sogno dell'Impero Romano sembra finire per sempre. Ma è proprio in questo momento che un nuovo mito, una nuova Storia da raccontare, si affaccia all'orizzonte...
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Io sono Arturo Bandini!
Scritto alla fine degli anni '30, Chiedi alla polvere è uno dei romanzi che mi hanno convinto ad avvicinarmi e ad approfondire il mondo complesso e multiforme della letteratura americana. E' passato del tempo da quando ho letto il romanzo e ancora oggi mi sento in debito con esso per avermi fatto conoscere John Fante, scrittore Usa di origini abruzzesi, grande talento narrativo e stile asciutto.
Questo romanzo in realtà non andrebbe letto da solo, in quanto fa parte di una trilogia di romanzi, incentrati sulla figura del protagonista Arturo Bandini.
Il romanzo tratta la storia di Arturo Bandini, un immigrato italiano con il sogno di diventare un grande scrittore, nella California ancora traumatizzata dalla Grande Depressione. Proprio in California Bandini incontrerà una cameriera messicana, Camilla Lopez, con la quale inizierà un'intensa e assurda storia d'amore. Una storia d'amore travolgente e irrazionale dominata dalla paura dei due di non farcela, di non riuscire ad affermarsi nella società, e di vivere una vita povera e infelice. Una cappa di tristezza e di ansia cade sopra Arturo e Camilla, che alternano momenti di grande sentimento e vicinanza spirituale, ad altri conditi di insulti e incomprensioni. Il loro amore è tragico e la loro urgenza di affetto non potrà mai essere soddisfatta.
Il racconto, caratterizzato da momenti di grande lirismo ad altri di realismo quasi brutale ed esasperato, si conclude con la giovane Camilla che si lascia andare in un abisso di autodistruzione e negazione, fino a scomparire del tutto nel deserto che costeggia la città. Il deserto, simbolo dell'annientamento finale dell'uomo e dei suoi sentimenti, con la sua polvere tutto annulla e tutto dimentica...
Charles Bukowski, grande ammiratore di Fante e del suo romanzo, ammetterà la grande influenza che ha avuto nelle sue opere Chiedi alla polvere. Si sentiva talmente immedesimato nel protagonista del romanzo, che arrivò a dichiarare: "Io sono Arturo Bandini! Io sono Arturo Bandini!"
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Riflessione contro la pena di morte
Piccolo romanzo del grande scrittore francese Victor Hugo, L'ultimo giorno di un condannato a morte ripercorre le ultime sei settimane di vita del protagonista condannato alla ghigliottina. L'uomo, accusato di omicidio, trascorre gli ultimi giorni della sua esistenza in un turbinio di emozioni, riflessioni e ricordi, lontani e vicini, legati alla sua famiglia e alla sua vecchia madre. In questi giorni contrassegnati dall'inquietudine e dalla disperazione, l'uomo inzia a scrivere la sua storia nella speranza che quei pochi fogli possano in qualche modo essere un insegnamento per l'avvenire. Egli spera con tutte le sue forze che quelle pagine possano diventare un manifesto contro la pena di morte.
Di lui non sappiamo niente: non sappiamo il nome, l'età, l'aspetto, la condizione sociale, il lavoro che svolgeva prima di entrare in carcere. Niente. Non sappiamo nemmeno se la sua condanna è giusta oppure no, se veramente ha commesso l'omicidio di cui è accusato oppure no.
L'unica cosa che rimane, è la solitudine di un uomo davanti alla morte.
Scritto nella metà dell'800 da un Hugo poco più che trentenne, questo piccolo romanzo può sembrare un piccolo manifesto contro la pena di morte, tema che già in quell'epoca suscitava grandi dibattiti. E' un romanzo duro, un pugno che colpisce lo stomaco con violenza, grazie all'abilità dello scrittore di trasmettere al lettore il panico, la rassegnazione, l'angoscia e l'abbandono che prova il protagonista.
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Il coraggio e l'onore nell'antica Sparta
Molti ritengono che questo sia il migliore romanzo storico di Valerio Massimo Manfredi insieme alla trilogia Alexandros. Anche io penso che sia così. In questo racconto l'autore ha dato il massimo, preparando una trama raffinata ed efficace, arricchita da personaggi ben definiti e caratterizzati, ambientandola in un periodo storico di grande fascino. Un periodo storico che spazia dalle Guerre Persiane con la famosissima battaglia delle Termopili fino alla rivolta degli Iloti (gli schiavi di Sparta) contro gli Spartani.
In questo contesto storico ricco di colpi di scena e battaglie memorabili, troviamo la figura di Talos, un giovane spartano nato in una ricca famiglia della città, ma abbandonato dal padre sul monte Taigeto (il monte vicino Sparta dove, secondo le leggi spartane, dovevano essere abbandonati i bambini deboli o malformati) perchè con un piede zoppo. Uno spartano storpio non poteva servire la sua città in guerra: quindi doveva essere abbandonato. Talos fortunatamente viene raccolto da un pastore ilota che lo renderà un giovane forte e coraggioso, senza che venga a sapere delle sue origini nobiliari.
Un destino fatto di guerre, glorie e onori lo porterà a diventare uno dei generali più forti e coraggiosi di tutta Sparta. Ma quando si inaspriranno le tensioni tra i padroni spartani e i servi iloti, Talos dovrà compiere la sua scelta...
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Il mistero di una statua estrusca
Il romanzo di Valerio Massimo Manfredi questa volta è ambientato in Italia ai giorni nostri. L'archeologo Fabrizio Castellani, esperto di storia etrusca, si trova nella cittadina toscana di Volterra, impegnato negli scavi di una importante zona archeologica. Le sue indagini si concentrano soprattutto su una misteriosa statua etrusca "L'ombra della sera", quando una telefonata lo mette in guardia dal continuare le sue ricerche archeologiche. Nel giro di pochi giorni, l'archeologo Fabrizio si troverà coinvolto in una spirale di sangue, morti ammazzati, maledizioni antiche e divinità vendicative. Tra misteri insondabili e continui colpi di scena, il nostro protagonista si affiancherà al tenente Reggiani per cercare di venire a capo del mistero, trasformandosi in una sorta di detective del passato...
Si tratta di un romanzo assai diverso da quelli precedenti dell'autore. Il ritmo della narrazione è come sempre coinvolgente e ricca di repentini colpi di scena che lasciano di sasso il lettore, ma...c'è qualcosa che non torna. Il romanzo viene considerato "storico" ma, a differenza degli altri libri di Manfredi, di storico c'è ben poco, e anche la scoperta della statuetta sembra semplicemente un pretesto, tra l'altro non molto efficace a mio avviso. Si tratta allora di un poliziesco? O di un giallo con venature di horror? Oppure addirittura di una sorta di Indiana Jones all'italiana?
Si ha quasi la sensazione che l'idea che sta dietro il libro sia confusa e priva di un orientamento ben preciso. Mi dispiace dire queste cose perchè io sono molto affezionato a questo autore, ma è questa la sensazione che ho avuto nel leggere Chimaira...
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Il proletariato urbano del Dopoguerra
I protagonisti di questo romanzo sono gli adolescenti delle periferie più degradate di Roma, proletari con alle spalle famiglie distrutte e disperate, che vivono in baracche malfamate e fatiscenti o ritrovi di fortuna.
Questi ragazzi non sono inseriti in nessun contesto sociale; a differenza dei loro coetanei più fortunati, non hanno una scuola o un lavoro come punto di riferimento delle loro esistenze. Loro non giocano mai. Non ne hanno voglia perchè non sono mai stati bambini, perchè non hanno mai conosciuto l'età dell'innocenza. La strada è la loro famiglia, la piccola criminalità è il loro divertimento. Passano le giornate vivendo di espedienti, come rubare oggetti comuni (tombini, copertoni di auto, alimenti) per poi rivenderli nella speranza di ricavarne un guadagno. In loro la malignità, l'arroganza verso i più deboli, le crudeltà gratuite sembrano delle caratteristiche congenite della loro natura: il Riccetto, il Lenzetta, Alduccio, il Begalone, non si rendono conto della loro condotta perchè non hanno una moralità. I loro comportamenti non sono per loro fonte di indignazione o di pentimento, perchè questa è la loro natura e non fanno nulla per cambiarla. D'altronde, la famiglia non rappresenta mai un punto di riferimento ma un luogo da cui scappare: padri violenti o ubriaconi, madri inesistenti, fratelli che entrano ed escono dalla galera, non possono rappresentare mai dei punti di riferimento. Così come la scuola, spesso descritta come una catapecchia abbandonata, non è mai in funzione e viene usata come rifugio per sfollati e delinquenti di strada.
La rabbia, la frustrazione, la miseria, la violenza gratuita e immotivata, popolano le anime di questi personaggi che non fanno nulla per migliorare la loro condizione: per gioco possono decidere di dar fuoco a uno di loro, per pochi spiccioli possono decidere di accoltellare la madre o magari di rubare all'amico più caro. Tutto è violenza e miseria...
Il linguaggio usato è il romanesco fatto di parole smozzicate ed espressioni scurrili che descrivono bene l'ambiente in cui si trovano i protagonisti del racconto. E' una lettura che genera angoscia e richiede una grande attenzione da parte del lettore. Come tutti i racconti pasoliniani, anche Ragazzi di vita è un romanzo che va dritto al cuore, senza intermediazioni, e che ti lascia un sapore amaro in boca. E' impossibile rimanere indifferenti alla scrittura di Pasolini.
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L'America dei puritani
Pubblicato nella metà del Diciannovesimo secolo, La lettera scarlatta è uno dei grandi capolavori della letteratura americana. Nathaniel Hawthorne ambienta il suo racconto nel Seicento, quando le colonie americane vivevano sotto la dittatura morale, religiosa e politica di Puritani. In questo romanzo, l'autore riesce con grande abilità e maestria a descrivere la società puritana dell'epoca, con le sue leggi e le sue ipocrisie, che porteranno alla condanna Hester Prynne, rea di aver commesso un adulterio, e di non aver voluto rivelare il nome del padre. Per questo l'inflessibile autorità del paese in cui vive, decide di costringerla a portare, vita natural durante, una grande lettera A, di colore rosso, cucita nell'abito all'altezza del petto. Da quel momento Hester condurrà una vita all'insegna della bontà e della carità, riscattandosi così da una condanna assurda e ridicola. Questa è la tematica al centro del libro: il riscatto di una giovane donna, che da sola combatte contro le ipocrisie della legge e della religione, fino ad elevarsi moralmente e spiritualmente. Ed è a questo punto che davanti al lettore si apre una prospettiva coinvolgente: da una parte la crescita morale dei protagonisti della storia e dall'altra la pessima opinione che la società ha di loro. Grazie a questa contraddizione insanabile, la società puritana viene smantellata e distrutta da Hawthorne, abile nel descrivere il mondo autoreferenziale, chiuso e bigotto di quell'epoca.
Il romanzo mi è piaciuto abbastanza. Devo dire che a volte mi sono annoiato (a causa dell'insistenza da parte dell'autore su alcune tematiche), anche se l'idea di una donna eroina che da sola combatte la società, è molto interessante. Credo che questo romanzo è fondamentale soprattutto per la grande importanza che viene data ad un personaggio femminile, Hester, le cui vicende non lasciano indifferente il lettore. E' un romanzo fondamentale nella cultura americana (tant'è vero che nelle scuole statunitensi viene proposto come lettura obbligatoria); ed è il primo vero romanzo americano, in cui trovano spazio tutte le tematiche che poi saranno sviluppate ampiamente dalla letteratura e dal cinema americani: il tema della colpa, della legalità, il concetto di moralità, il puritanesimo e l'idea di riscatto sociale.
Molti critici in passato hanno proposto un accostamento tra questo romanzo e I promessi sposi di Alessandro Manzoni, pubblicato una decina d'anni prima.
Su questo non sarei tanto d'accordo...
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Vita e morte nelle periferie romane
Finalista del premio Strega del 1959 (assegnato poi al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa), Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini è successivo al più famoso Ragazzi di vita del 1955. I due romanzi hanno come obiettivo quello di raccontare, nella maniera più cruda e diretta possibile, la miseria e la disperazione del proletariato romano del secondo dopoguerra. Un proletariato rozzo e animalesco che vive di espedienti nelle periferie allora malfamate di Roma, fatte di sporcizia e baracche, dove la miseria dei luoghi riflette la miseria umana di chi ci abita. Pasolini descrive benissimo questo universo primitivo: i personaggi che compaiono nel romanzo sono ladri, assassini, prostitute e ragazzi poco più adolescenti che vendono il loro corpo per pochi spiccioli. La descrizione di Pasolini, nonostante risenta dei canoni del neorealismo, si discosta decisamente da questa corrente, per abbracciare una raffigurazione della realtà ancora più cruda e più feroce. Non c'è ideologia nel racconto di Pasolini. C'è solo l'inifinita tristezza e l'immoralità di questi personaggi, animati da uno spirito di sopravvivenza animalesco, uno spirito di sopravvivenza che li porta ad vivere una vita di violenza e nefandezze.
Le vicende del protagonista Tommaso Puzzilli, seguono la sua crescita morale e sociale, dall'infanzia fatta di furti e bravate con altri coetanei, fino al sacrificio finale, che lo porterà a riscattare la sua condizione umana. Tommaso vive il suo "stato di natura" (per dirlo alla maniera di Rousseau) ma cerca sempre in tutti i modi una forma di riscatto, che all'inizio sembra provenire dall'amore sincero e genuino che prova per la bella Irene, per la quale fantasticherà una vita matrimoniale insieme. Ma un'altra occasione di riscatto si presenta per la famiglia di Tommaso, che rientra in un progetto per l'assegnazione delle case popolari. Il nostro protagonista è felice perchè si sente, finalmente, appartenere al ceto medio. Tommaso è convinto che quella casa dignitosa possa, una volta per tutte, cancellare il suo passato e la sua povertà. E' l'imborghesimento del proletario, tematica molto cara a Marx e molto presente in tutti i racconti pasoliniani.
Mi sento di consigliare questo romanzo per il grande affresco che ci presenta sulla realtà proletaria e periferica della Roma degli anni Cinquanta. E' un libro crudo, spietato, senza compromessi, che può dar fastidio a più di qualche lettore. Pasolini non cerca in nessun modo di drammatizzare o, al contrario, edulcorare la realtà che ci racconta: il suo stile è asciutto e racconta i fatti con un approccio quasi giornalistico. Interessante poi è l'uso che fa del dialetto romanesco, sul quale si fece consigliare anche da Franco Citti.
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Il diverso
E' incredibile come Franz Kafka riesca a trasmettere al lettore una sensazione di angoscia e di orrore tramite le pagine dei suoi racconti. Ed è altrettanto incredibile come il lettore non riesca in nessun modo a districarsi da quella dimensione surreale e onirica, in cui l'abile scrittore è riuscito a proiettarlo. E' come se il lettore rimanesse imprigionato in quelle pagine e fosse obbligato a riflettere, ad analizzare la condizione del protagonista Gregor Samsa, fino ad immedesimarsi nel personaggio. Queste sono sensazioni che solo i grandi della letteratura (e Franz Kafka sicuramente lo è) riescono a trasmettere.
Le tematiche del diverso e dell'alienazione, trovano espressione nell'improvvisa metamorfosi che colpisce il protagonista, Gregor Samsa, normale impiegato con una vita altrettanto normale: una mattina svegliandosi si accorge di essersi trasformato un orribile insetto. Dapprima cerca in tutti i modi di nascondere il suo stato alla famiglia, ma alla fine la verità verrà a galla. La famiglia lo isolerà del tutto rinnegandolo e cercando di ignorarlo il più possibile. L'unica persona che gli resta vicino, è la sorella, che lo accudisce e lo nutre. A poco a poco, i genitori si dimenticano dei giorni felici passati insieme al figlio prima della metamorfosi e si dimenticano perfino dell'amore e dell'affetto che provavano per lui. Ormai tutto è finito. La metamorfosi ha cancellato ogni sentimento, ogni emozione, ogni ricordo. Gregor Samsa è il "diverso", è l'altro, è il reietto. Non c'è spazio per lui nella società. E sarà così che alla fine il triste epilogo, verrà accolto con sollievo dai genitori, felici di essersi liberati una volta per tutte di un peso intollerabile.
Tutti i racconti di Kafka hanno una forte componente autobiografica. Nel "Processo", ad esempio, Kafka potè esprimere, tra l'altro, quella frustrazione e quelle difficoltà che incontrava nello studio del diritto, materia che detestava profondamente. In questo piccolo racconto, invece, si evince il rapporto conflittuale che il grande scrittore nutriva nei confronti dei genitori, specie nei confronti del padre. L'unica persona che sembrava capirlo, era l'amata sorella, come si può vedere dalla lunga e fitta corrispondenza che intercorse tra i due.
E' inutile aggiungere che consiglio vivamente la lettura di questo romanzo. Forse avrete capito dalla recensione che ho fatto, il grande debole che ho nei confronti di Franz Kafka, uno degli scrittori da me più amati, fin dal tempo del liceo. Ed è per questo che vi incito ad avvicinarvi a questo scrittore, se già non lo conoscete, perchè di una cosa sono sicuro: non resterete delusi!
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Il disagio di un giovane critico
Scritto agli inizi degli anni '50, Il giovane Holden rappresenta uno dei libri più importanti della letteratura americana del Novecento e un passaggio obbligato per chiunque si interessi di narrativa. Senza contare, tra l'altro, la grande influenza che il romanzo ha avuto nella cultura popolare nei decenni successivi.
Si tratta, a mio avviso, di uno di quei libri che dividono l'opinione dei lettori: ho sentito da una parte persone che lo esaltano come un grandissimo capolavoro, e dall'altra invece persone che lo considerano pesante o noioso. Sicuramente è un libro che non passa indifferente.
La trama si sviluppa intorno alla figura dell'adolescente Holden Caulfield, un ragazzo particolarmente acuto e sensibile, senza troppa voglia di studiare, che guarda alla realtà con forte spirito critico. E' fondamentalmente un ribelle, che non accetta il mondo degli adulti, che disprezza le convinzioni e gli atteggiamenti superficiali dei suoi coetanei. Il giovane Holden non riesce a sentirsi parte integrante di una società costruità sull'apparire e su falsi valori come il denaro. L'unica persona che sembra capirlo è la piccola sorella Phoebe, la quale nutre nei confronti del fratello un'ammirazione sconfinata.
La narrazione dell'autore si concentra sul disagio dei giovani e sulla loro difficoltà di comunicare con il mondo che li circonda: per questo lo considero un libro attualissimo che merita di essere letto.
So che può risultare noioso e poco coinvolgente ma nonostante una lettura non proprio facile, credo che questo libro merita attenzione per l'importanza che ha avuto nella letteratura del Novecento.
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Gli ultimi giorni di Giulio Cesare
Prima di iniziare a recensire questo libro devo farvi una confessione. Ho un debole per Valerio Massimo Manfredi. Ho letto moltissimi suoi libri e l'ho sempre ritenuto il migliore in questo genere di romanzi ad ambientazione storica. E' impossibile non rimanere avvinghiati dalle sue trame e dai suoi personaggi così ben delineati e raccontati. Così come è impossibile non rimanere affascinati da quelle ambientazioni e da quelle atmosfere che riescono a catapultare il lettore in un'epoca storica lontana: dopo poche pagine che si legge Manfredi, il lettore si immagina di cavalcare vicino ad Alessandro Magno (Aléxandros), o di ritrovarsi nella crudele Sparta (Lo scudo di Talos) oppure di assistere impotente al disfacimento dell'impero più importante della storia (L'ultima legione). Stesso discorso per le Idi di Marzo, dove ci ritroviamo spettatori degli ultimi giorni di vita di Giulio Cesare. Più ci avviciniamo al fatidico 15 marzo, più la trama si fa vorticosa e interessante: da una parte abbiamo i fedelissimi amici del "dittatore perpetuo" che cercano di sventare la congiura, dall'altra invece abbiamo una sorta di consapevolezza mista a rassegnazione da parte di Cesare. Lui sa che la sua ora si sta avvicinando, eppure sembra quasi che non voglia fare niente per evitare la sorte; perchè lui sa che questo è il suo destino e vuole andargli incontro.
L'episodio dell'uccisione di Giulio Cesare è sicuramente uno dei più noti della Storia, ed è stato raccontato da centinaia di autori nel corso dei secoli. Eppure è una storia che non annoia mai, che non ci si stufa mai di leggere. Ha sempre esercitato un grande fascino su di me. Così come mi ha sempre spinto a chiedermi perchè Cesare si è comportato in quel modo nei momenti precedenti all'uccisione.
Ma soprattutto perchè, sapendo che sarebbe stato ucciso prima o poi, non ha fatto nulla per impedirlo, pur avendone il potere? Perchè si è rassegnato a non combattere il suo destino?
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La cultura secondo Citati
Questo libro mi è stato regalato qualche mese fa da un mio caro amico, il quale conosce la mia passione per la letteratura e la poesia del Novecento. Mi sono avvicinato con una certa diffidenza a questo saggio abbastanza imponente di Pietro Citati, raffinato intellettuale che ogni tanto scrive su "La Repubblica".
La mia diffidenza era dovuta alla grande mole del libro ma soprattutto al modo in cui si presentava. Il saggio,infatti, è una insieme di ritratti dei personaggi più importanti e in vista nel panorama culturale del Ventesimo Secolo. Si tratta di poeti, pensatori, romanzieri, letterati ma anche registi che, a giudizio dell'autore, hanno lasciato un segno profondo nella nostra cultura.
L'operazione che compie Citati è una sorta di viaggio attraverso la conoscenza e lo studio delle opere dei grandi intellettuali, per creare una libreria immaginaria che rappresenta il nostro modo di pensare, il nostro modo di essere occidentali. Da Pirandello a D'Annunzio, dalla Woolf a Kundera, da Luzi alla Merini, da Ungaretti a Montale passando per Pasolini, fino ad arrivare al recentissimo Pamuk.
Senza dimenticare quei personaggi che ha conosciuto personalmente l'autore come Italo Calvino (molto presente nel libro), Federico Fellini, Giorgio Manganelli o Gesualdo Bufalino...
Per concludere è un libro molto completo che offre una prospettiva particolare della storia della letteratura e della poesia novecentesca. Ma è anche un saggio che a volte può risultare pesante e indigesto. Non si tratta affatto di una lettura scorrevole e so che molte persone di mia conoscenza hanno abbandonato il libro dopo poche pagine. Sicuramente ci vuole una grande determinazione per portare avanti il libro e concluderlo; ed è per questo che mi sento di avvertire il lettore, che si voglia cimentare nella lettura, di affrontare il testo con una buona dose di caparbietà...
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Riflessione sul Male degli occidentali
Scritto agli inizi del Novecento da Joseph Conrad, "Cuore di tenebra" è considerato uno dei grandi capolavori della letteratura del Ventesimo secolo. E' un romanzo breve e potente, con una trama che si sviluppa in gran parte in Africa, il continente nero, che tanto fascino e curiosità suscitava nelle società occidentali dell'epoca. Il libro trae spunto da un viaggio che il signor Marlow compie nel cuore più misterioso e suggestivo dell'Africa, per proporre una riflessione su uno dei grandi mali della Storia: il colonialismo. Si può, quindi, a pieno titolo, considerare questo piccolo romanzo come un manifesto contro l'avidità e la sete di potere che guida gli occidentali alla conquista e alla distruzione del continente africano. Marlow incontrerà nel suo viaggio il misterioso e inquietante Kurtz, un personaggio che grazie al suo carisma e alla sua crudeltà, è riuscito a farsi adorare come un dio dalle popolazioni autoctone. Kurtz è un dio spietato e crudele, il cui unico desiderio è quello di dominare i selvaggi e conquistare quantità sempre più grandi di avorio.
Il viaggio di Marlow è un viaggio nel cuore del male, nel "cuore di tenebra" della malvagità degli occidentale e del loro desiderio di dominio, conquista e distruzione delle popolazioni indifese. Il viaggio che compie il protagonista lo porterà a conoscere questa oscurità, che non si trova tra le tribù africane, ma a Londra, simbolo dell'Occidente, luogo dove inizia e dove si conclude il libro.
E' un libro che voglio consigliare soprattutto come riflessione sul Colonialismo e sul male compiuto, in nome della "civiltà", da noi occidentali; un male che ancora adesso continua a farsi sentire.
Affascinante e insieme spaventoso il personaggio di Kurtz che, una volta arrivato tra le tribù povere africane, non ha resistito alla tentazione della conquista e del terrrore, al fascino della distruzione e del potere assoluto. Questo è il cuore di tenebra che alberga negli Occidentali.
Il libro è stato fonte di ispirazione del personaggio del Colonnello Kurtz, interpetato da Marlon Brando, in Apocalypse Now.
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Come si viveva nell'antica Roma?
Un libro divertente e appassionante che ci proietta nell'atmosfera dell'antica Roma, tra plebei e patrizi, schiavi e liberti, senatori e legionari, grazie ad Alberto Angela e al suo stile narrativo leggero e mai banale.
Devo dire che ho letto molti libri sull'antica Roma, argomento che ha sempre destato in me una curiosa quasi morbosa, ma questo di Alberto Angela, pur essendo un teso divulgativo, è qualcosa di particolare sul quale vale la pena soffermarsi. Uno dei più bravi divulgatori scientifici e storici della televisione italiana, permette al lettore di vivere una giornata completa nell'antica Roma, dal risveglio fino alla notte tarda. In mezzo a questo troviamo scene e personaggi raccontati in modo talmente convincente ed appasionato, da sembrare quasi di conoscerli nella realtà. Il lettore che procede nella lettura del libro troverà i banchetti luculliani, le domus fastose dei ricchi senatori, il mondo dei lenoni e delle prostitute, i lanisti che allenano i loro gladiatori...A volte la descrizione si fa talmente coinvolgente che sembra veramente di camminare per le vie di Roma, o di trovarsi nella maleodorante Suburra, o di deambulare nei maestosi fori dell'Urbe, o magari di entrare nel peristilio della domus di un ricco nobile.
Per questo io mi sento di consigliare la lettura di questo saggio sulla vita quotidiana della Roma antica, un saggio gradevole e divertente che non annoia mai. Sarà perchè sono appassionato di storia, ma devo dire che mi sono divertito molto. Anche perchè, in fondo in fondo, è come guardare una puntata di "Superquark" o di "Ulisse"...
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Come nasce una religione?
Il saggio scritto da Corrado Augias e Remo Cacitti (docente di Storia del cristianesimo antico) si colloca sullo stesso solco tracciato dal libro precendente di Augias, "Inchiesta su Gesù", scritto con Mauro Pesce.
Mentre nel libro precedente, che ha scatenato feroci polemiche nel mondo cattolico, si tentava di ricostruire la figura di Gesù di Nazareth in base a documenti storici più meno attendibili, questo libro spiega la lunga e travagliata genesi del Cristianesimo dal momento della morte di Gesù fino ai giorni nostri. Che cosa fecero i primi discepoli di Gesù immediatamente dopo la sua morte? E le comunità cristiane come si organizzarono? Come riuscirono nell'impresa di conquistare un largo seguito popolare nell'Impero di Roma?
Sono queste le domande alle quali i due autori cercano di dare una risposta, appoggiandosi a documenti, papiri e testi dell'antichità. Il libro prende la struttura dell'intervista, con le domande di Augias e le risposte di Cacitti, che cercano di trovare o azzardare delle risposte se non vere perlomeno verosimili. La loro indagine, infatti, si concentra soprattutto sui 4 Vangeli che, contrariamente a quello che pensano in molti, furoni scritti molti decenni dopo la morte di Gesù da persone che non lo conobbero direttamente...
Il libro procede abbastanza velocemente tentando di tenere separati i due aspetti: da una parte quello più strettamente religioso, dall'altra quello storico-bibliografico. Per questo, pur essendo un libro ben documentato e analitico, a volte può risultare un pò pesante. Ma è anche vero che offre degli spunti di riflessione molto interessanti sia per i credenti che per i non credenti.
Il mio consiglio è di leggerlo.
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La solitudine di un amore
AVVISO SPOILER In un piccolo paese della campagna francese di nome Saumur vivono i protagonisti di questa storia: Monsieur Grandet, sua moglie e la loro unica figlia Eugénie. Il padre di Eugénie è un uomo famoso per la sua avarizia e per il fiuto negli affari: nonostante le sue umili origini (è un vignaiolo), infatti, ha ereditato una grossa somma di denaro dopo la morte del padre e, con grande scaltrezza e senso pratico, è riuscita ad investirla in speculazioni finanziarie altamente redditizie. Ma l'uomo, ossessionato dal denaro fino a farne una ragione di vita, convive con l'angoscia che qualcuno venga a sapere della sua incredibile fortuna e possa in qualche modo approfittarne. Per questo motivo, si veste sempre con abiti poveri e logori, costringendo sua moglie, le figlie e la fedele serva Nanon a vivere in una casa spoglia, triste e fredda d'inverno. La vita monotona all'interno della casa, viene scandita dalle visite delle famiglie Cruchot e des Grassins che ambiscono alla mano della piccola Eugénie per impossessarsi della grande fortuna del vecchio bottaio.
Un giorno, però, la quieta esistenza dei protagonisti viene interrotta, durante una serata, dall'arrivo del bellissimo e raffinato giovane parigino di nome Charles. Questi non è altri che il nipote del padre di Eugénie, inviato dal fratello del bottaio, perchè la sua azienda a Parigi sta andando incontro al fallimento (cosa che poi porterà il padre di Charles a suicidarsi per la disperazione). Il vecchio vignaiolo decide di accogliere il giovane nipote in casa sua, anche se è preoccupato non tanto per la sorte del fratello, quanto per il rischio di doverlo aiutare economicamente per evitargli il disonore del fallimento.
Le donne di casa Grandet, inevitabilmente, cadono affascinate dall'eleganza e dall'affabilità del parigino: ed è così che Eugénie si innamorerà perdutamente del cugino. Ma proprio a questo punto che papà Grandet decide di inviare Charles nelle Indie per far fortuna. Charles ed Eugénie si giurano amore eterno e si promettono di ritrovarsi un giorno per coronare il loro sogno d'amore e sposarsi.
Il giovane Charles dopo tanti anni ritornerà, ma purtroppo per Eugénie, non sarà lo stesso Charles che lei aveva conosciuto e amato...
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L'uomo, il robot e la morale
Non è mai facile fare la recensione ad uno dei più grandi capolavori della fantascienza. E Io robot sicuramente è un grande capolavoro, contenente 9 racconti, scritto nel 1950, dal biochimico russo Isaac Asimov, giustamente considerato come uno dei fondatori della letteratura fantascientifica. Uno scrittore molto prolifico (ha pubblicato quasi 500 libri) che ci ha regalato un libro interessante e mai noioso sul rapporto tra l'uomo e i robot, sulle applicazioni delle tre leggi della robotica e i pericoli che da esse possono derivare. Senza dimenticare quelle che possono essere le lacune o le mancanze di un sistema apparentemente perfetto. Interessante, a mio avviso, una delle tematiche più presenti e maggiormente trattate nei racconti, ovvero il rapporto tra i robot e la morale umana.
Un'altra tematica molto cara allo scrittore riguarda il robot inteso come possibile minaccia per l'uomo, l'automa che decide di ribellarsi all'uomo-padrone. Questa idea era molto diffusa nella letteratura dei primi del Novecento (si pensi al Frankestein di M.W.Shelley del 1918 o R.U.R. di Karel Capek del 1920) e Asimov cercò di opporvisi con grande convinzione. Prendete ad esempio il primo dei 9 racconti di Io robot, dal titolo Robbie, in cui una bambina di nome Gloria ha per compagno di giochi un robot di nome Robbie. Per paura che l'androide possa far del male alla sua bambina, la madre di Gloria decide di disfarsene. La bambina però, era talmente affezionata al suo robot, da cadere in uno stato di depressione e tristezza. Ma durante un percorso guidato dentro una fabbrica di robot, un macchinario sta per investire la piccola Gloria, quando interviene con prontezza Robbie, che abbraccia la bimba e la porta in salvo...
Non vi parlo degli altri racconti per non togliervi il gusto della scoperta, come questo libro è stato per me. Mi è stato regalato diversi mesi fa e l'ho sempre guardato con diffidenza, in quanto a me i libri sulla robotica in genere non piacciono molto. Ma una volta sconfitto il mio atteggiamento diffidente, devo dire che mi sono davvero divertito a leggere le storie di Asimov, e l'ho finito in pochissimi giorni.
So che molti hanno già letto questo libro, essendo un cult della fantascienza. Ma se non l'avete fatto, ve lo consiglio caldamente.
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La caverna dei misteri
Secondo romanzo della serie del commissario Salvo Montalbano uscito nel 1996, Il cane di terracotta è un romanzo avvincente e simpatico come tutti quelli dello scrittore siciliano. La trama inizia con le indagini che ruotano attorno a un traffico di armi di origine mafiosa, per poi indirizzarsi su una storia d'amore finita tragicamente in un passato lontano. La tematica centrale di questo racconto è una caverna. Una caverna che compare e scompare durante tutto il romanzo rivelando alla fine un segreto che custodiva gelosamente per più di cinquantanni...Non dico di più per non rovinarvi la sorpresa.
In questo racconto, inoltre, scopriremo un'amicizia un pò particolare per il nostro commissario: si tratta di Gegé, protettore di prostitute, che conosce da una vita Montalbano e gli chiede un appuntamento in un luogo segreto. Qui, il malvivente dirà al poliziotto che il grande latitante mafioso Tanu ha deciso di costituirsi e di consegnarsi solo a lui. Tanu però, per salvare il suo "onore", chiede che venga organizzata una sceneggiata in cui si finga l'arresto del latitante. Durante il trasferimento la mafia, che ha saputo del finto arresto, organizza un agguato e uccide i due agenti di scorta, riducendo in fin di vita Tanu. A questo punto il latitante, prossimo ormai alla fine, decide di vendicarsi quei mafiosi che hanno voluto la sua morte: confessa al commissario Montalbano l'esistenza di un grosso traffico di armi depositate in una caverna nascosta. Ma la caverna sembra proteggere altri e più inquietanti misteri...
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La morte o la bellezza
Il libro più famoso di Thomas Mann, scritto nel 1912, è questo piccolo e prezioso racconto ambientato a Venezia nel Novecento (l'autore non dice la data esatta, si limita a dire "Venezia 19..).
La trama è molto efficace come tutte le trame semplici: l'anziano scrittore tedesco Gustav von Aschenbach, rimasto vedovo e solo, dopo una vita intera spesa alla ricerca dei canoni di perfezione e bellezza, vuole provare nuove esperienze nuove sensazioni che lo facciano sentire di nuovo giovane e in forze. Per questo decide di fare un viaggio a Venezia, dove il clima migliore può aiutarlo a migliorare il suo stato di salute, oramai profondamente debilitato. Decide quindi di alloggiare in un grande e lussuoso albergo, dove la sua attenzione sarà su un bellissimo giovanotto polacco di nome Tadzio, in vacanza con la sua famiglia. Agli occhi dell'anziano scrittore tedesco, quel giovane è l'archetipo della Bellezza, un esempio mirabile della Kalokagathia greca, il simbolo di quei canoni estetici alla cui ricerca ha dedicato tutta una vita. Durante il soggiorno nella città lagunare, Gustav si lascia prendere da forti impulsi omosessuali nei confronti del ragazzo; impulsi che nemmeno lui sapeva di avere. Questa attrazione però non si concretizzerà mai in un rapporto sessuale.
Il racconto si concluderà con lo scrittore tedesco seduto su una sdraio in spiaggia, morente, intento ad ammirare una volta ancora la bellezza ineffabile del giovane Tadzio mentre gioca con gli amici. Con questa ultima immagine di estasi e bellezza, lo scrittore esala il suo ultimo respiro...
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Esempio di avanguardia letteraria
Scritto nel 1999 da David Foster Wallace (tradotto in italiano da Fernanda Pivano), Brevi interviste con uomini schifosi è una raccolta di 23 racconti che raccontano un campionario di umanità assurdo e privo di morale, dove ogni forma di redenzione o di riscatto sembrano non esistere affatto. Sono uomini ai margini della società, che vivono la loro vita in modo laido e disgustoso: sono gli uomini schifosi del titolo.
C'è un racconto dedicato a un focomelico che sfrutta la sua menomazione per portarsi a letto le donne; un altro racconto narra invece della depressa sotto terapia di psicofarmaci che alla fine costringe al suicidio il suo terapista. Sono racconti ironi e buffi, tragici e malinconici, scritti con uno stile visionario e fantasioso, da uno degli scrittori più talentuosi della letteratura america, morto suicida nel 2008. La particolarità di questo libro, sta nel fatto che le storie vengono narrate sotto forma di intervista; ma si tratta di interviste particolari in quanto il lettore non conosce le domande che vengono poste ai protagonisti, ma sono le risposte che essi danno.
Il libro riesce ad esprimere in modo molto efficace il disagio e il malessere vissuto dall'uomo contemporaneo, attraverso una narrazione a volte un pò ostica, ma sicuramente molto evocativa.
Personalmente ho indicato questo libro come lettura consigliata, anche se mi rendo conto del fatto che non si tratta di un libro facile da leggere. E' un libro scritto da un esponente di un'avanguardia letteraria che si chiama "Avant Pop", e di conseguenza lo stile narrativo può dare qualche fastidio al lettore...
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La scoperta della modernità
Gli amanti della letteratura e della filosofia si sentiranno a casa leggendo questo saggio. O forse sentiranno una nostalgia per gli anni del liceo, ricordando le gioie e i dolori provati sui banchi di scuola.
Questo libro racconta un viaggio. Un viaggio che il fondatore della Repubblica Eugenio Scalfari fa alla scoperta della modernità attraverso i quattro secoli che vanno dal pensatore francese Montaigne del Seicento fino ai giorni nostri. In questi quattro secoli è nata la modernità; si è evoluta e sviluppata attraverso il razionalismo di Cartesio, la ragion pura di Kant, la restaurazione di Hegel, i versi di Leopardi, il nichilismo di Nietzsche, il Romanticismo e il decadentismo novecentesco.
Il libro si apre con un incontro immaginario tra lo stesso Scalfari e Diderot, simbolo dell'Illuminismo francese, che decide di fare da Virgilio al nostro Scalfari, accompagnandolo lungo i sentieri della modernità. Insieme faranno un viaggio letterario e filosofico in cui attraverseranno idee, concetti e sogni dei grandi dell'umanità. Grande risalto verrà dato ai romanzieri come Kafka, Tolstoj, Proust e Dostoevskij, fino ad arrivare ai nostri giorni con Italo Calvino, amico e compagno di scuola dello stesso Scalfari.
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Lezioni spirituali di un grande cristiano
Un libro piacevolissimo, come tutti quelli dell'autore, del grande cardinale Carlo Maria Martini che si interroga, insiema al suo amico anch'egli gesuita Georg Sporschill, sul significato della fede e sul rapporto tra Dio e l'uomo, nei giorni nostri. E' un dibattito aperto e franco tre due amici di vecchia data, che comprende le tematiche più care del cristianesimo come la misericordia, la carità, l'amicizia, la fede, il dialogo con i non credenti. Un dibattito che non risparmia critiche, anche molto dure, alla Chiesa Cattolica e alle sue recenti prese di posizione. Un dibattito che ruota attorno alle difficoltà della Chiesa di oggi di interloquire con i giovani e con il mondo occidentale in genere che nutre, ormai da diversi decenni a questa parte, una profonda diffidenza verso le istituzioni ecclesiastiche.
Ma il libro non si limita a questo: Martini cerca di indicare un percorso che la Chiesa deve seguire per ritrovare il dialogo non solo con i cattolici, ma anche coloro che sono all'esterno della Chiesa, come laici, agnostici o atei. Ed è in questo senso che il cardinale arriva a criticare direttamente l'enciclica "Humanae Vitae" di Paolo VI dove si fa divieto della contraccezione; un'enciclica che ha fatto sì che le persone "non prendessero più in seria considerazione la Chiesa come interlocutrice o maestra".
Di questo piccolo saggio mi ha poi colpito molto, per profondità di pensiero e lungimiranza, il capitolo dedicato alla sessualità e al modo in cui viene vissuta dai giovani, e l'importanza dell'uso del preservativo come "male minore" per la diffusione dell'Aids nei paesi del Terzo Mondo.
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Il mito o l'origine della Cultura
Uno dei libri più importanti di Roberto Calasso, figlio del grande giurista Francesco e fondatore della casa editrice Adelphi, Le nozze di Cadmo e Armonia è una dichiarazione d'amore per la mitologia greca, per quei personaggi fantasiosi e assurdi del Mito, che grande importanza hanno avuto nella cultura occidentale.
Il libro attraversa alcune storie famose del mito greco,che molte volte abbiamo amato (a volte anche odiato...) sui banchi di scuola. La prima storia che incontriamo è quella di Cadmo, figlio di Agenore, che si mette alla ricerca della sorella Europa, rapita dal padre degli dei Zeus, che per l'occasione ha assunto la forma di un toro. Ed è sempre con Cadmo che si chiude il libro: l'ultima storia raccontata è il matrimonio tra lui e la bellissima Armonia, datagli in sposa dallo stesso Zeus come premio per aver liberato Tebe dal terribile mostro Tifeo. Per celebrare le nozze, le prime nozze della storia dell'umanità secondo il mito, scesero dall'Olimpo tutti gli dei e insieme banchettarono con gli uomini. Questa è la prima e ultima occasione che gli dei si troveranno insieme agli uomini per festeggiare.
In mezzo a queste due storie con protagonista Cadmo, ci sono un'infinità di personaggi, racconti, storie, aneddoti che popolano quel mondo meraviglioso e complesso della mitologia greca. Vastissime sono le fonti letterarie da cui Calasso attinge: Omero, Esiodo, i tragici (Eschilo, Sofocle, Euripide), i poeti ellenisti. La scrittura dell'autore è meravigliosa: morbida, precisa e suadente, arricchita con figure retoriche rare e termini ricercati e cesellati con la grande cura e abilità di una mano esperta. E' come incontrare una bellissima donna e innamorarsene perdutamente...
Perchè comprare questo libro? Semplice: per capire il nostro presente, dipinto con gli stessi colori del passato; e per capire che la nostra cultura, il nostro modo di ragionare, il nostro essere raziocinante è figlio del Mythos. E' figlio di quei protagonisti curiosi e onirici, di quei dei vendicativi e umani, di quelle ninfe graziose e di quei mostri orribili...
Vorrei chiudere questa recensione riportando la frase di un filosofo del IV secolo dopo Cristo, Salustio, ricordato dallo stesso Calasso nel suo libro:
"Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre"
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Il sogno, la realtà e le nostre convinzioni
Il libro racconta la crisi di coppia che colpisce due giovani borghesi della Vienna degli anni '20 del Novecento, il medico Fridolin e la moglie Albertine. I due per la prima volta si confessano di aver provato attrazione per delle persone sconosciute incontrate in un ballo mascherato al quale hanno preso parte. Si tratta di una crisi di coppia che agisce su due piani differenti ma correlati: sul piano della realtà monotona e uguale di tutti i giorni e sul piano della realtà onirica, del sogno dove tutto è possibile e lecito. Può un sogno, un desiderio inespresso, mettere in crisi una coppia nella realtà?
Il romanzo psicologico si apre con i due protagonisti della vicenda che rimangono soli, uno davanti all'altra, entrambi sconvolti ed eccitati dalle fantasie erotiche vissute durante una festa mascherata tenutasi la sera prima. Ed è a questo punto che decidono di confessarsi tutto, di essere sinceri e leali fino in fondo, nella speranza che quella reciproca confessione possa sconfiggere la noia e la diffidenza che regnano nella coppia. Una volta rivelate quelle fantasie, le convinzioni sulle quali si fondava il loro amore piano piano si sgretolano, lasciando Fridolin e Albertine smarriti e confusi...
Il romanzo, che fu molto apprezzato dal padre della psicanalisi Sigmund Freud, amico stretto dell'autore, sicuramente appassionerà gli amanti dei racconti psicologici dalle trame complesse. Un libro che si muove continuamente tra il piano onirico e quello reale, togliendo qualsiasi punto di riferimento fisso al lettore, il quale verrà accompagnato in un viaggio nei meandri della psicologia dei due personaggi principali. Un libro che però, bisogna ammetterlo, non risulta mai spiacevole o fastidioso.
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Un piccolo gioiello della Woolf
Ho avuto sempre molte difficoltà con i libri di Virginia Woolf (Gita al faro e La signora Dalloway) e anche questo non è da meno. Orlando è un perfetto esempio di letteratura sperimentale, dove la scrittrice quasi si diverte a provare nuove soluzioni narrative che, all'epoca della stesura del romanzo, suscitarono un vivace dibattito negli ambienti letterari londinesi. La trama è molto articolata e ruota attorno alla figura androgina di Orlando, eroe-eroina che attraversa ben quattro secoli (dal XVI fino a XIX) scontrandosi spesso con la società inglese di quei secoli, che da bel giovanotto si trasforma in un'incantevole dama.
Il tratto essenziale di questo romanzo è la grande originalità della trama. Originalità che può mettere in grosse difficoltà anche il lettore più "smaliziato" e forse può indurre qualcuno a chiudere il libro e passare a qualcos'altro. Vi confesso che più volte ho avuto questa tentazione. Alla fine però, la mia determinazione ha vinto e sono andato avanti nella lettura. E devo dire che l'aspetto che più di tutti mi ha colpito è stata la grande capacità della Woolf di variare il suo stile narrativo a seconda del momento storico che decide di raccontare. E' come un pittore che non si limita sempre agli stessi colori, ma gioca ad usare nuovi temi, nuovi personaggi e nuove colorazioni. A volte la narrazione richiede toni cupi e malinconici, altre volte richiede ironia e leggerezza e ilarità. Sono elementi difficili da combinare insieme, elementi che richiedono grande genialità. E Virginia Woolf è geniale.
Non si tratta di una lettura facile anche per la narrazione, ora onnisciente in terza persona ora in prima persona, con periodi molto lunghi ed evocativi. A volte le digressioni molto lunghe e minuziose possono annoiare il lettore. A volte, invece, per non perdere il filo della storia si è costretti a tornare indietro di qualche pagina per non perdere il filo del discorso…
Io spero che questa recensione non abbia l'effetto di scoraggiare chi vuole avvicinarsi a questo romanzo e al mondo della Woolf. Lo spero perché il romanzo, come ho già sottolineato, non è facile e richiede grande pazienza e caparbietà per portarlo a termine. Ma questo piccolo gioiellino merita attenzione perché non è facile trovare in giro un libro di questo tenore.
Sono sicuro che saprà stupirvi e saprà farvi riflettere...
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Viaggio nel misterioso mondo degli Italiani
La testa degli italiani è una regione inesplorata per gli stranieri. Ecco perchè ci serve un viaggio per conoscerla meglio. Un viaggio che spieghi agli ignari e confusi stranieri il modo di vivere e di ragionare degli italiani, che per molti possono sembrare un mistero insondabile: "Are you ready for the Italian jungle?".
Si, perchè si tratta di una vera giungla quella in cui si addentra, con ironia e intelligenza, il nostro amato autore: tra uffici chiassosi, treni dove persone parlano al telefono a voce alta per farsi sentire dagli altri, macchine che sembrano prendere vita e parlare con il clacson, file sterminate alle poste con chi cerca di fare il furbo e saltare la fila, le famiglie che si assembrano tutte nel tinello di casa, deputato a luogo d'incontro e discussione. Per non parlare degli incroci, dove guidatori indisciplinati passano con il semaforo rosso, perchè, come spiega l'autore, non tutti i "rossi" del semaforo sono uguali: c'è il "rosso" che ci permette di passare lo stesso e poi il "rosso rosso" che ci obbliga lo stop. Severgnini non ha un atteggiamento altezzoso nel raccontare questi piccoli difetti del nostro popolo, ma non ha nemmeno un atteggiamento, per così dire, assolutorio o apologetico. Si limita semplicemente a osservare e raccontare con fare divertito e lieve le contraddizioni, le sfumature e le assurdità del nostro modo di comportarci.
Non mi stupische che il libro è stato tradotto in molte lingue e ovunque si sia rivelato un successo.
Anche in Italia il libro ha avuto un grande riconoscimento come quasi tutti dello stesso autore.
Ovviamente, considerato che si tratta di Beppe Severgnini, il divertimento è assicurato e il tempo passerà veloce in compagnia di questo piccolo e spassoso saggio antropologico.
Leggetelo!
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Le nostre bellezze sotto attacco!
Ritorna una delle coppie più collaudate del giornalismo italiano, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, tutti e due del Corriere della Sera. Questa volta l'oggetto della loro inchiesta è il patrimonio culturale italiano e il modo in cui non riusciamo a valorizzarlo e a proteggerlo. Chiese, templi pagani, siti archeologici, musei, gallerie d'arte, palazzi nobiliari, centri storici, borghi medievali: è sterminato il numero delle bellezze del nostro Paese ed è incredibile la loro capillare diffusione, dalla grande città d'arte fino al paesello sperduto di poche anime. Sono molti i mali che affliggono queste meraviglie: il degrado, l'incuria, l'abbandono, la speculazione, la stupidità delle persone del luogo che non sanno o non vogliono valorizzare un bel nulla, per non parlare della cecità e dell'ignoranza della politica, locale e nazionale. Questi mali sono una delle poche cose che riescono ad unire il Nord con il Sud, le isole con il Centro.
Gli esempi portati dai due autori di questo sfascio culturale sono tantissimi, diffusi in tutto il territorio italiano: quando leggi queste storie di inciviltà, un sentimento di rabbia mista a indigazione sale dal profondo del cuore. Un sentimento che si accentua quando, una volta chiuso il libro, esci di casa e vedi con i tuoi occhi ciò che è raccontato nel libro.
Abusi edilizi, allagamenti o incendi, siti archeologici usati come discariche, il crollo della Scuola dei Gladiatori a Pompei, i mosaici che perdono i pezzi, le chiese dove gli affreschi si staccano a causa della muffa e tanti altri sono gli esempi raccontati da Stella e Rizzo.
Ma non si tratta solo di un libro denuncia. Il libro, infatti, fa delle proposte serie e innovative per valorizzare le nostre bellezze e migliorare le strutture ricettive, come già è stato fatto in molti Paesi europei ed extra-europei, migliorando esponenzialmente i ricavi e l'occupazione.
E' un libro che consiglio vivamente come tutti quelli di Stella e Rizzo perchè ci fa capire quanto dobbiamo sentirci fortunati ad avere un patrimonio culturale così sterminato, e quanto ci dobbiamo sentire obbligati a proteggere e tutelare i nostri tesori e la nostra Memoria. Senza contare che la valorizzazione delle nostre ricchezze culturali può essere un eccezionale volano per la nostra economia e per l'occupazione.
Un giorno ci fu un ministro che disse che con la cultura non si mangia. Forse quel ministro non sapeva che il museo del Louvre, ogni anno, totalizza 9 milioni di visitatori e un fatturato di 40 milioni di euro...Alla faccia della crisi!
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La vera cristianità nemica del potere
L'avventura di un povero cristiano è l'ultima opera di Ignazio Silone, uno dei grandi interpreti della letteratura neorealista italiana di metà Novecento. Vincitore del premio Campiello del 1968, il libro racconta la storia dell'eremita abruzzese Piero da Morrone, divenuto papa con il nome di Celestino V e costretto ad abdicare, disgustato dalle logiche di potere e di corruzione all'interno della Chiesa.
E' forse il libro più intimo di Ignazio Silone: egli si definiva come "un cristiano senza Chiesa e un socialista senza partito" e sentiva forte la sua personale contraddizione tra il sentimento religioso da una parte e l'ideologia marxista dall'altra. Il suo sentimento religioso e cristiano, ma non cattolico, era sincero e genuino. E la sua provenienza abruzzese spiega molto bene questa religiosità: l'Abruzzo, terra di eremiti e asceti, è la regione dove si sente forte la spiritualità; le alte montagne, le foreste enormi e spaventose, i borghi isolati e gli eremi sperduti costituiscono un paesaggio unico, indimenticabile che fa sentire un uomo più vicino a Dio. E' in questo contesto che deve essere inquadrato il libro di Silone.
Il libro si presenta in tre macrosequenze narrative: la prima serve a introdurre e spiegare il personaggio di Celestino e i suoi compagni di predicazione. La seconda è dedicata alla sua elezione al soglio pontificio e le difficoltà che incontrerà, le quali alla fine lo convinceranno ad abbandonare la carica di Pontefice. L'ultima macrosequenza invece è dedicata all'ultimo anno di vita dell'eremita che cerca, invano, di sfuggire alla persecuzione del nuovo papa, Bonifacio VIII.
La figura di Celestino V è decisamente diversa rispetto a quella descritta da Dante Alighieri il quale, nella Divina Commedia, colloca addirittura il papa all'inferno, e giudica il suo gesto come simbolo di viltà e mancanza di coraggio. Silone invece vede nel gesto di Celestino l'umiltà di un uomo che capisce di essere inadatto a quel ruolo di grande responsabilità e non può non fare altro che dimettersi da quella carica.
Il racconto della vita di Celestino V, dalla predicazione delle montagne abruzzesi passando alle dimissioni da papa e fino alla persecuzione di Bonifacio VIII, rappresenta una biografia molto attendibile del personaggio travolto da un momento storico non facile per la Chiesa Cattolica.
L'eremita Pietro, viene visto come un asceta interessato alla ricerca spirituale di Dio e alla carità verso i più deboli e indifesi, in un cristianesimo puro e autentico, distante anni luce dal Vaticano e dai suoi intrighi politici.
Simbolo della corruzione e dell'avidità che spadroneggiavano nella Chiesa di allora, è il personaggio antagonista principale del nostro Celestino: il cardinale Caetani, successivamente eletto papa come Bonifacio VIII, passato alla storia per aver istituito il Giubileo ma anche per la sua enorme ambizione, la sua sete di potere e la sua famosa crapuloneria.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro per l'importanza che ha avuto nel cammino intellettuale del suo autore, ma anche per l'estrema amabilità della lettura. Da non perdere!
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L'Eros dei Romani
In questo piccolo e gustoso saggio, la professoressa Eva Cantarella ripercorre l'amore e il sesso al tempo dell'antica Roma. Gli antichi Romani tenevano molto alla loro virilità; questo perchè la virilità e la potenza sessuale avevano una valenza politica: ai giovani dell'epoca, infatti, veniva insegnato di dominare e assoggettare sia in amore che in guerra. Tant'è vero che nella Roma arcaica c'era l'usanza di sodomizzare i nemici sconfitti in battaglia. Ed è proprio da una violenza sessuale che nasce la leggenda di Roma: Marte, il dio della guerra, attratto irresistibilmente dalla ninfa Rea Silvia la possiede, e da quella unione violenta nascerà Romolo, fondatore dell'Urbe.
Questa esuberanza sessuale degli uomini romani, veniva sempre esaltata: graffiti, scritte (come si può vedere nei muri delle case pompeiane) e carmina licenziosi dedicati a Priapo, dio della sessualità, che spesso veniva raffigurato in statuette votive e affreschi.
E le donne? Che ruolo avevano le donne in questo contesto? Potevano vivere la loro sessualità?
La Cantarella cerca di dare una risposta a queste domande, mettendo in risalto una delle grandi contraddizioni della società romana. Da una parte c'era la continua esaltazione della virilità e dall'altra donne di grande moralità (come Lucrezia, moglie di Collatino) venivano glorificate come esempio di virtù. Ma non tutte le donne erano come Lucrezia: basti pensare a Giulia, la figlia dell'imperatore Augusto, condannata dal padre in esilio per la sua condotta sessuale allegra.
Il libro è molto piacevole, e l'autrice è molto abile ad alternare la trattazione della materia con la narrazione di alcuni aneddoti davvero divertenti ed interessanti. L'aspetto più importante di questo libro sta nel fatto che ci fa conoscere personaggi della storia romana che, magari, con il tempo abbiamo dimenticato o forse non abbiamo mai conosciuto. Essendo un libro divulgativo, non mi sento di consigliarlo a chi si occupa direttamente, per motivi di studio o di lavoro, di storia romana o letteratura latina. Mi sento di consigliarlo, però, a tutti coloro che amano la storia in generale e vogliono approfondire alcuni aspetti della vita quotidiana della Roma antica. Leggetelo e scoprirete che molte cose che sapete, o che pensate di sapere, della storia di Roma antica, sono soltanto dei luoghi comuni. E questo libro vi darà l'opportunità di sfatarli...
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Tutto il mondo di Sepúlveda
La lampada di Aladino raccoglie alcuni racconti brevi che lo scrittore cileno ha scritto nel 2008 e rappresenta una sorta di summa di tutte le tematiche care a Sepúlveda: l'amore, il viaggio, la politica, la Patagonia. Chi è appassionato di questo scrittore e ne conosce le opere, sicuramente troverà un'atmosfera familiare nel leggere questi racconti. Anche perchè, a mio giudizio, poche persone in questa epoca hanno una capacità narrativa e un'ironia nel raccontare le storie come Luis Sepúlveda.
Questa raccolta di romanzi segna, tra l'altro, il ritorno di un personaggio caro a tutti i lettori di Sepúlveda: il Vecchio che leggeva romanzi d'amore si mette in viaggio con un suo amico dentista per raggiungere un posto misterioso. Un altro racconto, "Le cose dell'amore", tratta invece dell'incontro tra un ragazzo ed una ragazza che insieme hanno condiviso le lotte del mondo studentesco ma alla fine si perderanno di vista: il protagonista espatrierà e la dittatura si impadronirà del Paese.
Un libro assolutamente da non perdere per gli appassionati di Luis Sepúlveda.
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Storia di una catastrofe politica
Uno dei più brillanti redattori della Repubblica e dell'Espresso, scomparso circa due anni fa, affronta in modo ironico e critico la sconfitta del centrosinistra alle elezioni del 2008 e la naturale incapacità di quei dirigenti di comprendere a pieno gli umori della società italiana.
Edmondo Berselli è stato una delle penne migliori del giornale fondato da Eugenio Scalfari e uno dei politologi più attenti e raffinati del giornalismo italiano. In questo piccolo libro di duecento pagine, a volte divertentissimo a volte caustico nelle analisi, l'autore è il testimone addolorato e diretto di un disastro politico che ha saputo prevedere con largo anticipo. Il sottotitolo del libro in questo senso è inequivocabile: "Storia sentimentale di una catastrofe politica".
Il libro si presenta come un racconto di una lunga serie di errori madornali, sviste clamorose, tendenze masochiste di un partito e di un gruppo dirigente che, un po' per arroganza un po' per cecità intellettuale, non ha saputo capire a pieno i problemi della società italiana, offrendo la vittoria alle forze di destra e condannandosi ad un lungo esilio all'opposizione. La totale assenza di un programma politico serio e attuabile, la mancanza di idee e prospettive per il futuro, le risposte vacue e inutili ai problemi del Paese sono solo alcune delle colpe della sinistra italiana. Una sinistra italiana confinata nel suo universo chiuso fatto di autoreferenzialità e narcisismo, in cui la vittoria elettorale e il governo del Paese sembrano essere un miraggio nel deserto.
Berselli è un politologo molto raffinato e sottile. I suoi articoli erano i primi che leggevo quando aprivo i giornali. E' difficile restare indifferenti al suo stile di scrittura, fatto di ironia tagliente, sarcasmo e capacità di lucida analisi. Anche leggendo questo libro ogni tanto ci sfugge qualche risata amara ed è impossibile non condividerne alcune affermazioni.
E' un libro che si legge facilmente e si rivolge a tutti coloro che, a prescindere dal loro orientamento politico, si appassionano all'attualità e alla politica di oggi. Per chi ama questo genere ma non ama i libri di Bruno Vespa, questo libro fa al caso suo…Buona lettura!
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Due donne per Montalbano
Pubblicato nel 2005, "La luna di carta" è il nono romanzo di Camilleri dedicato alla serie del commissario Montalbano. Come tutti i romanzi di Camilleri anche questo si legge tutto d'un fiato, presentando una trama semplice ed efficace, che riesce ad appassionare il lettore dalla prima all'ultima pagina.
In questo libro Camilleri affronta ancora una volta la vecchiaia del nostro amato commissario. Montalbano si fa sempre più svagato e smemorato, tanto da essere costretto a prendere, vergognandosi, continuamente appunti per non dimenticarsi le cose. Come se non bastasse, viene regolarmente assalito da paure e dubbi irrazionali che lo fanno sentire tremendamente solo e invecchiato.
Ma un evento obbligherà il commissario a rientrare nella vita di tutti i giorni: un uomo, noto sciupafemmine, viene trovato ucciso con un colpo di rivoltella in pieno volto. A denunciarne la scomparsa, si presenta la sorella Michela, donna di incredibile bellezza, che provava nei confronti del fratello un amore insano e morboso. Le indagini coinvolgeranno un'altra donna, Elena, l'amante dell'assassinato, sposa infedele, dotata di una sensualità travolgente. A poco a poco, il commissario si troverà schiacciato da queste due donne, portandolo a dimenticare la fidanzata Livia. Come si comporterà il commissario tra queste due "fimmini" irresistibilmente belle?
La soluzione del caso, rappresenterà per il nostro commissario una sconfitta, sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista professionale.
Mi sento di indicarlo come lettura consigliata.
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La malattia della morte
« O quando tutte le notti - per pigrizia, per avarizia - ritornavo a sognare lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe, strapiomba sul vuoto. »
Mi è sembrato doveroso scrivere questa recensione partendo dall'incipit di questo romanzo, pervaso da un'atmosfera onirica e surreale. Un'atmosfera che trova la sua spiegazione già nel titolo: il termine "diceria" viene spiegato dallo stesso autore come un "racconto, dettato, monologo con in più un’insinuazione di scarsa credibilità, come di uno sproloquio mormorato all’orecchio". E cos'è il sogno, il magico, il mitologico, se non un'insinuazione di scarsa credibilità? Perché questo è il mondo della fantasia: un mondo dove le leggi e le convinzioni del reale cessano di esistere. Perché questo è il mondo della letteratura.
Il riferimento all'untore, infine, non può non farci ritornare in mente il mondo degli appestati, degli infetti e dei sanatori di manzoniana memoria. Ed è proprio in un sanatorio dove si svolge la trama del libro.
Siamo nel 1946 e un reduce delle seconda guerra mondiale si ritrova ricoverato in un sanatorio della Conca d'Oro, vicino Palermo. Il sanatorio è popolato da donne, bambini, reduci di guerra e malati cronici. Tutti accomunati da un identico destino: l'attesa della morte. E' la morte, infatti, la tematica dominante di questo romanzo. La paura (o forse la speranza?) di morire viene esorcizzata da questi curiosi personaggi che si intrattengono a vicenda con discorsi, monologhi interminabili e dispute filosofiche. Si tratta di dicerie, appunto. Si stringono amicizie, ci si innamora, si tentano delle fughe. Tutta l'atmosfera del romanzo è onirica e fittizia. Anche il sanatorio sembra un luogo surreale, che non esiste nella realtà, dove lo spazio ed il tempo sembrano essere stravolti. Un luogo che sembra più che altro un palcoscenico dove i malati e i medici sono attori e i loro dialoghi, le loro dicerie, sono parti di un copione già scritto.
Il linguaggio dell'autore è colto, ricercato, con l'utilizzo di termini desueti e raffinati. I periodi sono cesellati con estrema cura dall'autore, quasi alla ricerca di una perfezione letteraria, che si sposa con l'uso di citazioni estremamente fini.
Non si tratta di un romanzo facile da leggere. E' un libro che richiede uno sforzo di concentrazione e un impegno da parte del lettore non indifferente. Io stesso, ingannato dalla brevità del romanzo, ero convinto che l'avrei letto in pochissimo tempo. Così non è stato, ovviamente. Questo perché è un romanzo che richiede una lettura ragionata, né superficiale né tantomeno distratta.
Ma nonostante queste difficoltà, io mi sento di consigliarne la lettura.
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Divertirsi con l'italiano, si può!
Ho sempre avuto un debole per Beppe Severgnini. Lo ritengo uno degli scrittori di attualità più efficaci e divertenti che ci sia in questo momento in Italia. Anche la sua rubrica su Sette del Corriere della Sera, è sempre una delle prime cose che leggo quando apro quel periodico.
Fatta questa piccola premessa, devo dire che il libro è diverso dagli altri dello stesso autore: è divertente e spassoso come lo poteva essere "Nella testa degli italiani" o "Italians", ma allo stesso tempo è completamente diverso.
«Ho scritto L’italiano — Lezioni semiserie per denunciare le violenze contro la nostra lingua, ma non chiedo condanne. Lo scopo è la riabilitazione. Scrivere bene si può. L’importante è capire chi scrive male, e regolarsi di conseguenza". Questa è la dichiarazione d'intenti dell'autore che racchiude uno scopo ben preciso: "raccontare" quelle regole della grammatica e dello stile, che ci sono indispensabili per scrivere una email, una lettera, una relazione o una tesi. L'uso della punteggiatura (aspetto trascuratissimo da molti), degli avverbi, la scelta dell'aggettivo adatto, dei congiuntivi, sono tutti aspetti che vengono trattati dall'autore con grande brio, vivacità e simpatia. Non c'è in Severgnini un noioso e pedante intento padegagico; c'è più che altro il desiderio di spiegarci alcuni "trucchi dell'italiano"(come dice lui stesso) che sicuramente torneranno utili al lettore.
Divertentissimi i suoi "Sadoquiz" e i suoi "Masotest": sono delle domande sull'italiano poste alla fine di ogni capitolo, le cui risposte si possono trovare in fondo al libro.
Personalmente mi sono divertito molto a leggere questo libro ed è riuscito anche a strapparmi qualche risata ogni tanto. Sono 200 pagine circa all'insegna della leggerezza e del divertimento. Ve lo consiglio! Sicuramente non vi annoierete...
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La vera storia dell'Unità d'Italia
Finalmente da qualche anno a questa parte stiamo assistendo a un nuovo fenomeno storiografico che punta a rivedere molte convinzioni che abbiamo sull'Unità d'Italia e la lotta al brigantaggio. Il libro di Giordano Bruno Guerri, appartiene a questo filone storiografico che, grazie ad una ricca ed analitica esposizione di documenti storici, sta pian piano rendendo giustizia a quel fenomeno complesso e sfaccettato che spesso viene ricondotto sotto il nome di brigantaggio. Ma veramente l'Unità d'Italia rappresentò la vittoria dei "buoni" sui "cattivi" briganti? E' vero che, come spesso viene insegnato nelle scuole, il Meridione ha tratto solo vantaggi dall'Unità? Non sarebbe meglio, invece di parlare di processo di unificazione di un Paese, trattare l'Unità d'Italia come un'occupazione militare da parte dei Savoia?
Il libro cerca di rispondere a queste domande nel modo più esaustivo possibile e devo dire che ci riesce molto bene. L'autore affronta argomenti, alcuni anche molto forti, accompagnati da fonti storiche attendibili e certe, cercando di ricostruire la vera storia del brigantaggio e cercando di capire soprattutto chi fossero i briganti, senza farne un santino. Pochi sanno ad esempio che tra i briganti, pur essendoci una buona percentuale di delinquenti comuni, molti erano mossi da ideali patriottici e libertari. Furono molti i briganti che si dettero alla macchia per combattere quelli che consideravano degli invasori, che ingiustamente avevano usurpato il trono del Re. Il Regno delle Due Sicilie, con tutte le sue contraddizioni e miserie, fu vittima di una vera e propria invasione da parte dell'esercito piemontese. Invasione che poi la storiografia ufficiale farà passare per unificazione...
Il libro appare, come dicevo, ben documentato e ben strutturato. E' apprezzabile il tentativo da parte dell'autore di scrostare quella patina di buonismo e luoghi comuni che accompagna da sempre l'idea dell'Unità d'Italia e dei piemontesi "portatori di civiltà". La lettura è scorrevole e piacevole come un romanzo. Se si ha una passione per la storia (come nel caso del sottoscritto) e si vuole cercare di capire un pò meglio un periodo storico per certi versi ancora oscuro, questo libro è l'ideale.
Io mi sono appassionato molto a questo libro: pur non essendo meridionale, devo dire che leggendo questo libro ho sentito dentro di me un senso di indignazione e di ingiustizia verso quello che hanno dovuto subire le popolazioni del Sud Italia.
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Un mondo fuori dal tempo e dalla Storia
Non è facile scrivere una recensione su questo libro. Non lo è mai quando ci si trova davanti a un capolavoro della letteratura del Novecento. Qualsiasi cosa si scriva, potrebbe sembrare inutile o inefficace. Questo capolavoro di Carlo Levi suscitò un vivace dibattito nell'Italia di quell'epoca e ancora adesso è uno dei libri più discussi e commentati nelle scuole italiane.
Una volta venivano chiamati dai professori "romanzi di formazione", quelle letture obbligatorie, che dovevano far parte necessariamente del bagaglio culturale di ognuno di noi. Io penso che quella definizione sia più che pertinente per questo libro.
Si può vedere questo libro come un romanzo di impronta memorialistica, come un diario personale, come un saggio di inchiesta, come uno dei tanti romanzi di critica che la letteratura meridionalista ci ha regalati. Oppure può essere visto come uno studio dei costumi, dei luoghi e dei paesaggi della Lucania più sperduta e isolata. In realtà Cristo si è fermato ad Eboli, è ognuno di queste cose.
Levi in questo racconto ripercorre la sua condanna al confino a causa delle sue convinzioni antifasciste, a Gugliano, un piccolo paese della Lucania. Appena arrivato, il protagonista viene preso dallo sconforto e da un senso di morte che la vita oziosa e monotona del paese sembra suggerirgli. Si avverte subito, fin dalle prime pagine, il contrasto tra il protagonista da una parte, medico settentrionale, colto ed evoluto, e dall'altra parte l'ignoranza, le superstizioni e la grettezza che non riguardano solo i poveri contadini ma anche le "autorità" del paese (sindaco, segretario comunale, farmacista). E' bravissimo Levi nel far capire a pieno la distanza e l'alterità che c'è tra questi due mondi, destinati a non comunicare. Particolare importanza lo scrittore darà alle magie e alle credenze popolari che inevitabilmente sconvolgeranno il protagonista, forte della sua razionalità e delle sue convinzioni positivistiche.
Come dice il titolo, Cristo si è fermato ad Eboli, una cittadina campana dell'entroterra dove si fermano la strada e la ferrovia. Oltre Eboli c'è il nulla. Oltre Eboli non si è spinta la Storia e la civiltà.
Oltre Eboli c'è un altro universo, fatto di paganesimo e magia, di esseri umani la cui vita segue i ritmi della natura e della campagna. In loro non c'è nessun desiderio di riscatto (come possiamo trovarlo nei "cafoni" di Fontamara), e anche il fenomeno del brigantaggio viene focalizzato con estrema chiarezza da Levi come "un accesso di eroica follia, e di ferocia disperata: un desiderio di morte e distruzione, senza speranza di vittoria…". Il mondo di Gagliano è solo un universo a sé, popolato da personaggi estranei alla Storia, dove anche il Tempo non è più lo stesso…
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Le contraddizioni della Turchia di oggi
Prima di avvicinarmi a questo romanzo avevo già letto due libri dello stesso autore, "Istanbul" e "La casa del silenzio", ma devo dire che "Neve", a mio avviso, è di gran lunga il più scorrevole degli altri.
Un poeta di Instanbul di nome Ka, emigrato a Francoforte, decide di fare ritorno in Turchia in occasione del funerale della madre. Una volta arrivato nel suo paese d'origine, un giornale decide di inviarlo in qualità di corrispondente nella cittadina di Kars, per indagare su dei fatti misteriosi che avvengono in quel posto. Da alcuni mesi, infatti, alcune studentesse si sono suicidate senza apparente motivo. Lì, Ka incontrerà la sua vecchia compagna di università, Ipek, di cui si innamorerà perdutamente e che lo porterà a comporre una raccolta di poesie.
Durante l'arrivo del protagonista a Kars, una violenta nevicata si abbatte sul paese isolandolo completamente dal resto del mondo (notare come in turco neve si traduce con la parola "Kar", simile al nome della città Kars, e al nome del poeta Ka). La città di Kars si trova nelle montagne della Turchia orientale, vicina al confine con l'Armenia, ed è una rappresentazione in piccolo delle contraddizioni presenti nella Turchia dei giorni nostri. La città, infatti, è un miscuglio di etnie e fazioni politiche diverse: armeni, curdi, georgiani, turchi laici "kemalisti" e integralisti islamici. Ora che la tormenta di neve li costringerà in una forzata convivenza, la pace non è più assicurata...
A questo punto il nostro poeta Ka inizierà una sorta di "peregrinazione" incontrando e cercando di dialogare con le varie fazioni presenti nella città: incontrerà un candidato sindaco del partito islamico moderato, i giovani estremisti islamici guidati dal misterioso Blu, i servizi segreti, la polizia, le giovani studentesse. Ka, conoscendo queste fazioni, è come se compisse una sorta di viaggio che lo porterà a conoscere le grandi contraddizioni della Turchia. Grande importanza dà Pamuk al dialogo tra Occidente e Oriente, e il posto che la Turchia occupa in questo dialogo.
La situazione però precepiterà quando, in occasione di uno spettacolo teatrale, ci sarà un colpo di stato che farà piombare il paese nel caos (non a caso la Turchia nell'ultimo secolo ha conosciuto ben tre colpi di stato...).
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Il viaggio come conoscenza...
Uno dei migliori libri del grande scrittore Paulo Coelho riprende ed esalta alcune tematiche classiche della letteratura: il viaggio, la crescita personale e la dimensione onirica. Temi mescolati con sapienza e abilità dallo scrittore e poeta brasiliano, grande esploratore dei sentimenti umani. L'alchimista ha venduto milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in decine di lingue, garantendogli un successo (più che meritato secondo me) che non accenna a diminuire.
Il libro racconta della storia di un pastore dell'Andalusia di nome Santiago che, grazie ad un sogno ricorrente, è convinto che ai piedi delle Piramidi d'Egitto si nasconda un grande e ricco tesoro. Forte di questa convinzione, il nostro giovane protagonista intraprende un lungo viaggio fino all'Egitto.
In questo viaggio tra terre sperdute e lontane farà incontri con personaggi bizzari e interessanti, alcuni lo aiuteranno, altri gli faranno dl male. Ma ognuno di questi personaggi è la rappresentazione allegorica della conoscenza e della crescita.
Il primo personaggio che incontra Santiago è il re Melchisedec, un vecchio saggio che dispenserà consigli al giovane pastore e dimostrerà di conoscere tutta la sua vita. L'anziano re lo incita a vendere le sue pecore ed a intraprendere il viaggio dei suoi sogni, facendogli dono di due pietre magiche che gli indicheranno il cammino da compiere, aiutandolo nelle scelte (una pietra indica il "si", l'altra il "no").
Un altro personaggio, che Santiago incontrerà a Tangeri, è il triste e malinconico Mercante di cristalli, che gli offrirà un posto di lavoro nel suo emporio oramai dimenticato da tutti. Ma proprio grazie all'entusiasmo e a quell'alone di "magia" che sta intorno al giovane, gli affari cresceranno e il negozio diventerà uno dei più importanti della città marocchina.
Oramai vicino alle Piramadi in un'oasi del deserto incontrerà l'Alchimista, che sta aspettando proprio lui, e Fatima, una bellissima ragazza araba della quale Santiago si innamorerà perdutamente.
Non voglio svelarvi la parte conclusiva del racconto, forse la più bella e simbolica, che sicuramente non vi deluderà.
Lettura consigliata? Si e senza ombra di dubbio: il libro presenta un forte contenuto filosofico che quasi ci obbliga alla riflessione. Ma nonostante questo, il romanzo è estremamente piacevole e la lettura molto scorrevole. Per esperienza vi dico che non è facile coniugare questi due aspetti...
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Storia di un arrampicatore sociale
Il "Bel-Ami" di Maupassant è senz'altro uno dei più grandi capolavori che ci ha regalato la letteratura francese sul finire dell'Ottocento. Un romanzo che ancora adesso viene citato e discusso per la sua incredibile attualità e per la sua capacità di non perdere mai smalto. Tante sono state le trasposizioni cinematografiche di questo romanzo ma questo non ci stupisce, avendo una trama che ben si adatta al grande schermo.
Il protagonista di questo romanzo si chiama Georges Duroy ed è un militare in congedo con un piccolo impiego nelle Ferrovie del Nord. Nonostante questo, il nostro protagonista è roso dall'invidia per chi ce l'ha fatta, per chi è arrivato in alto, in mezzo a ricchezze, lussi e belle donne. E' un uomo, nonostante la precaria situazione economica, arrogante e pieno di sè con la "fame" tipica degli arrampicatori sociali.
Bellissime le parole che lo introducono: "procedeva arrogantemente nella via affollata, urtando spalle, spingendo la gente per non uscire di rotta. Portava un cilindro piuttosto sfatto appena inclinato sull'orecchio, e batteva i tacchi sul selciato. Sembrava sempre in atto di sfidare qualcuno, i passanti, le case, la città intera..."
La sua vita cambierà di colpo quando incontrerà il suo amico ex commilitone, Charles Forestier, il quale lo introdurrà nel mondo del giornalismo e delle serate mondane di Parigi. Sfruttando le sue abilità di seduttore, conquisterà le donne più ricche e importanti, arriverà a sposare una giovane ragazza, figlia del direttore del suo giornale, che porta con sè la dote più ricca di tutta la Francia. La scalata sociale è conclusa.
Maupassant è eccezionale nel raccontare gli ambienti dell'alta borghesia parigina di quel tempo, dando notevole rilievo ai personaggi, ben definiti e strutturati, che popolano il suo romanzo. E' un mondo fatto di cinismo, di vanità in cui vince chi è più arrogante e privo di scrupoli. Un mondo dove l'unica cosa che conta è l'apparenza. Emblematica una frase che Forestier rivolge al protagonista, dopo avergli dato del denaro per comprarsi un abito da sera: "A Parigi è meglio non avere un letto che un abito da sera".
Il protagonista, con il suo cinismo e arroganza, non si accattiva le simpatie del lettore. Anche se, in fondo, questa sua ardente vitalità che si manifesta anche nel sedurre con facilità le donne di Parigi, nasconde un desiderio di fuggire dalla morte, di esorcizzare i dubbi e i conflitti che si manifestano in lui. In ossequio ai principi della letteratura realista francese,infatti, Maupassant si astiene dall'esprimere critiche morali e valutazioni sul comportamento di Duroy. Egli, come il suo grande amico Flaubert, si limita a raccontare il "vero", senza giudizi e senza abbandonarsi ad intenti pedagogici.
Alla fine Georges Duroy ce la fa. La sua scalata sociale si compie. Il matrimonio con la la piccola Suzanne, la figlia del direttore, è la celebrazione del suo trionfo, l'esaltazione del figlio di contadini di una piccola città della Normandia che conquista Parigi: "Du Roy lo ascoltava, ubriaco d'orgoglio. Era un prelato della chiesa romana che parlava così, proprio a lui. E avvertiva dietro le sue spalle tutta una folla, una folle illustre venuta per lui. Gli sembrava che una folla lo spingesse, lo sollevasse. Diventava uno dei padroni della terra, lui, lui, il figlio dei due poveri contadini di Canteleu".
Assolutamente consigliato!
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L'uomo e l'assassino
Un serial killer viene ingaggiato dal suo datore di lavoro per portare a termine una missione, proprio nei giorni in cui viene lasciato dalla sua fidanzata francese con la quale stava insieme da tre anni.
Di lui non sappiamo niente: l'autore non accenna minimamente al suo aspetto fisico, al suo nome, così come della donna francese sappiamo solo che è di grande bellezza. Solo del personaggio che deve uccidere sappiamo il nome e la descrizione.
Questa è una delle peculiarità di questo piccolo romanzo (meno di 100 pagine): i personaggi sono appena abbozzati e la trama si sviluppa con poche pennellate grazie ad uno stile veloce, scarno e minimalista.
La trama è abbastanza prevedibile (solitamente è questa la critica più ricorrente che viene fatta a questo racconto) e mostra, senza dare giudizi morali, la vita di un killer "sdoppiato": da una parte la delusione e la rabbia per come è stato lasciato da quella donna che in fondo in fondo amava profondamente, dall'altra però ci sono da rispettare le regole rigide del lavoro del killer, che vietano qualsiasi legame sentimentale. Sarà propio questo legame sentimentale a provocare grandi turbamenti nel protagonista (rappresentati efficamente con i dialoghi allo specchio) e a portarlo a compiere una scelta tragica e definitiva...
E' un libro che va letto per la sua brevità e leggerezza, ma non va sottovalutato: dietro una trama spoglia e dei personaggi vagamente accennati, si nasconde una riflessione sul sentimento, capace di lasciare una traccia profonda, anche nella vita di un serial killer.
E poi come dice lo stesso protagonista: "Il volto umano non mente mai: è l'unica cartina che segna tutti i territori in cui abbiamo vissuto".
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Un'iniezione di autostima
Si sentiva proprio il bisogno di un libro di attualità che non parlasse dei problemi e delle negatività degli italiani. "Cosa tiene accese le stelle" di Mario Calabresi, è il classico libro al posto giusto nel momento giusto. Non dico che si debbano ignorare i libri di critica sociale, di analisi delle tante piaghe della nostra nazione (io stesso ne ho letto molti di questo genere), ma ogni tanto un libro che ti mette il buon umore e che ti fa capire che non tutto è perduto, ci vuole. E' un'iniezione di autostima, una ventata di buonumore.
Non è un romanzo nel senso stretto del termine. E' più che altro un saggio dove l'autore raccoglie le opinioni di tanti italiani di successo nel loro campo che, capitolo dopo capitolo, racconto dopo racconto, ci spiegano l'evoluzione dei costumi e della società italiana in modo sorprendente e per nulla ovvio. Non si tratta di una semplice storia della società italiana dal dopoguerra ad oggi, ma di un insieme di punti di vista di tanti testimoni di questo paese. E' questa l''aspetto più interessante del libro che mi ha convinto a comprarlo.
Ve lo consiglio per la piacevolezza della scrittura e per quella "botta" di felicità e di autostima che proverete nel leggere queste pagine
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