Opinione scritta da -Francy-
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Che fate ancora lì? Correte a leggere Calvino! ;)
Molte cose mi commuovono, e se in gioventù potevo vantare un cuore di ghiaccio ora posso affermare che il ghiaccio si scioglie spessissimo per scendere senza controllo dai miei occhi, come acqua piovana a sud dell’equatore nella stagione delle piogge.
Tre cose però mi emozionano più delle altre, e sono tutte e tre in qualche modo collegate: la vita di Cesare Pavese, la bontà di Gianni Rodari e il viso di Italo Calvino. Tre persone meravigliose, amiche.
Ho una foto di Calvino, stropicciata, che guardo senza ritegno, e se mai dovesse esistere il Santo Graal, ai miei occhi sarebbe senza dubbio meno confortante e sacro di questa foto.
Io Calvino lo sento dentro, ogni sua parola è un tatuaggio all’anima, è uno schiaffo dato da un padre al proprio padre, una cosa fortissima. E ogni volta che leggo, o rileggo, un suo libro ringrazio silenziosa il creato per averci donato un Essere del genere.
Vi rendete conto? Abbiamo avuto Calvino. E’ per questo che spero ancora nel genere umano.
Il Visconte Dimezzato si legge in un’ora, un’ora che, però, una volta assimilata, diventa eterna.
E chi se lo scorda più il Visconte Medardo di Terralba?
E, soprattutto, SIAMO tutti il Visconte Medardo di Terralba. Ok, non abbiamo combattuto contro i Turchi (almeno non io, non so voi) e il nostro corpo non è stato diviso in due da una cannonata ma, diamine, è chiaro che in ognuno di noi, giornalmente, ci sia una battaglia tra il bene e il male.
In tutte le cose, nelle stupidaggini, a cominciare dalla mattina quando vi alzate e vi accorgete che c’è una sola mela e il latte basta solo per una persona. Che decidete? L’altruismo o il menefreghismo?
Io normalmente non ho neanche il tempo di pensare che, dalla fame che ho, ingurgito ogni tipo di cosa anche contemporaneamente, senza preoccuparmi affatto di cosa mangerà il mio compagno. Ma io mi giustifico dicendo che la mia parte destra la mattina si sveglia prima della sinistra, e quindi che se la prenda con Calvino, non con me. Lui ride, ma lo so che la sua parte destra vorrebbe, quantomeno, tirare un calcio negli stinchi alla mia.
D’altro canto anche la parte buona può fare danno. Mettiamo il caso che io, mossa dalla pietà e dalla gentilezza, assicuri al mio compagno ogni mattina tutti i tipi di prelibatezze zuccherose e lo obbligassi a mangiarne abbondantemente (senza lasciare alcuna briciola, sapete: la fame del mondo), lo porterei al diabete nel giro di qualche mese.
La parte buona di ognuno di noi può essere anche molto banale e pesante.
Non c’è preferenza tra le due parti, ci deve essere una giusta proporzione, ma non cantiamo vittoria, perché tante volte neanche un uomo intero può bastare.
Anche i personaggi secondari hanno molto da dire, e, ascoltandoli bene, ci faranno riflettere su quale sia il modo giusto di prendere la vita.
Quando morì Gianni Rodari, Calvino scrisse: “Rodari è morto, il mondo si è impoverito”. E’ vero ma quando, dopo cinque anni, morì lui, tutta l’Italia mise il lutto, e il mondo diventò, se possibile, ancora più povero.
La sua esistenza, però, mi rende fiera e quando tutto va male, nel silenzio più fino, si sente la mia voce che, magari sussurrando, esclama: “Oh ragazzi, dai, fa niente. Noi abbiamo avuto Calvino!”.
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Soffro di graforrea, perdonatemi.
La lettura di questo libro mi ha sorpreso più della scoperta dell’esistenza dei soffioni boraciferi…per dire.
Mi è capitato più volte di sentirne parlare e lo collocavo nella libreria mentale alla sezione “Libri da leggere, con calma, ce ne sono altri più belli”.
E’ stato amore a prima riga.
Da piccola giocavo a scacchi. Ho fatto qualche torneo, niente di speciale. Mi piaceva molto giocare e il mio Maestro diceva ai miei genitori che ero molto brava.
Non sono molto scaltra nella vita ma gli scacchi a me, già all’età di nove anni, non me la contavano giusta. Percepivo il loro pericolo. Attiravano troppo la mia attenzione e, notavo ai tornei, l’attenzione di troppa gente che non mi sembrava tanto a posto.
Ho avuto la conferma della mia sensazione in due occasioni in particolare.
Durante un torneo, in cui ero nella categoria “pulcini” avevo già sconfitto il mio avversario così, siccome c’era uno dei “cadetti” liberi mi hanno chiesto di scontrarmi con questo “ragazzo più grande” (due anni in più, mica Matusalemme!). La gente aveva preso la nostra sfida come chissà quale evento, attiravamo l’interesse della folla (crescendo, l’avevo soprannominata la partita Kasparov-Karpov de noiartri) manco ci fosse il Papa a distribuire grazie. Giocavo e mi chiedevo: “Ma questi qui? Ma che problemi hanno? Devo dire a mamma e papà che qua c’è gente pazza, e di vestirmi magari un po’ meglio in queste occasioni perché questi squadrano più della mia squadra geometrica” (ai tempi mi sembrava una battuta divertente). Vinsi, ma perché il tipo era veramente incapace, non perché io avessi fatto una partita brillante. La cosa provocò molto scalpore al momento. Si complimentarono tutti e io, incapace di sostenere tutta quell’attenzione per una cosa da niente, me ne andai a casa con la sola voglia di sentire il racconto dell‘uscita di mia sorella con le sue amiche, allontanando il più possibile il mondo scacchistico.
La volta successiva mi scontrai con la campionessa italiana. Avevamo un punto di differenza. Per vincere a lei bastava una patta.
C’era una tensione pazzesca nell’aria che la ricordo tuttora. Il mio Maestro, che era anche il suo, tifava chiaramente per me ed era inquieto.
Si guardavano tutti di sottecchi, come a voler nascondere chissà quale segreto.
Non mi è mai piaciuta la competizione, soprattutto nei bambini, e trovavo quella situazione assurda. Durante la partita, in cui io giocavo coi neri, mi guardavo in giro affascinata e perplessa, tanto che mia madre (erano tutti accanto alla nostra scacchiera) mi diceva spesso di non distrarmi. Il mio Maestro mi lanciava sguardi assassini, mi sembrava di sentirlo: “Francesca, concentrazione, diamine!”
Ricordo che lì capii ciò che gli scacchi potevano diventare. Guardavo quei volti in tensione per due bambine che giocavano a scacchi. Cavoli, stavamo GIOCANDO.
La mia avversaria mi chiese la patta. Gliela concessi, sapendo che sarei arrivata seconda ai campionati.
Non avrei dovuto, mi dico spesso, ma fu lo sguardo dei miei genitori quello che mi preoccupò maggiormente. Erano agitati, impazienti, seri, e i loro occhi erano diventati tetri come quelli degli altri. Quella situazione ci faceva male.
Ho smesso di fare tornei ma invece che giocare al Sega Master System come tutti gli altri bambini io giocavo a scacchi, da sola. E MI PIACEVA.
Sono passati molti anni e ancora adesso mi capita, di notte, di fare tardi con la mia scacchiera elettronica. Gli scacchi sono incantesimi, ci giochi e non te ne liberi più.
Tutte queste parole per portarvi a credere che davvero questo gioco ti cambia, ti fa uscire di senno se gli dedichi la vita. L’ho passato io nel piccolo, piccolissimo, figuriamoci a livelli superiori.
Il fatto che in questo libro alcune vite dipendano da una partita a scacchi è da brividi ma dannatamente vero. In un modo o nell’altro è così.
Mi permetto di dire che però, se dovessi scegliere tra il non conoscere affatto il gioco o l’uscirne pazza sceglierei senza ombra di dubbio la seconda, non si può vivere e non provare il brivido di una partita, non si può non fermarsi a riflettere su quanto questo gioco sia simile alla vita umana: pedoni, alfieri, cavalli, Re e Regine (che rappresentano i ruoli che si possono avere nella vita) interagiscono ognuno col proprio “carattere” ma alla fine della partita tornano insieme nella stessa scatola. Un po’ come noi uomini, esiste un’unica fine per tutti. Anche per chi, per cause maledettamente ingiuste detiene il potere.
Anche per persone che, credendosi nel giusto, nascondendosi dietro la propria fittizia superiorità calpestano la vita umana. Un’unica fine gente, proprio per tutti. Non si è superiori a nessuno. MAI.
S parla anche di Olocausto in questo libro, e io non me la sento di parlarne perché è una cosa che mi lascia senza fiato. Le ultime pagine le ho lette piangendo.
Leggetelo, fa bene all’anima.
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Per incontrarla.
Torno sempre a Oz.
Per incontrarla, anche se fa male.
I pomeriggi passati con questo libro nelle mani non me li può togliere nessuno, non potrò mai dimenticarli e se un giorno dovesse cogliermi l’alzheimer so che questo libro sarà uno dei miei punti fermi.
Io e lo Spaventapasseri che vuole a tutti i costi un cervello siamo diventati amici subito e mentre leggevo, come una voce fuori campo, dicevo, sorridendo quasi per prenderlo in giro:”Ma tu sei l’essere vivente più sveglio e furbo che io abbia mai conosciuto!”, a otto anni era molto divertente, ricordo che mi facevo certe risate!
L’uomo di latta che voleva un cuore per amare di nuovo la sua fidanzata mi faceva molta tenerezza e mi immedesimavo così tanto da pensare che io, senza amore per mia madre e mio padre non so se avrei voluto vivere ancora.Tifavo tantissimo per lui e la sua situazione mi preoccupava non poco ma mentre attraversavamo il regno di Oz (perché anche io ero col loro in questa avventura), il suo cuore lo sentivo battere, e mi tranquillizzavo.
Il leone poi! Lui l’avrei abbracciato tantissimo. Era il più tenero e ogni Natale speravo potessero regalarmene uno vero, proprio come lui.
Dorothy era un’amica. E le dicevo di non preoccuparsi, che sarebbe riuscita a tornare a casa, tanto i libri per bambini finiscono sempre bene.
Ora ho 30 anni e se potessi tornare indietro nel tempo andrei a casa dei miei genitori, in camera mia, nel 1990, e direi a quella bambina con un libro buffo e consumato tra le mani che davvero, in ogni occasione, bisogna credere in se stessi, non è una frase fatta, le direi di non dimenticarlo mai perché è un attimo e la vita ti inghiotte. Per abitudine si vive e si accettano i propri limiti senza nemmeno accorgersi di averne…Francy, le direi, ricordati questi tuoi amici quando hai paura, perché da grande sarai veramente sbadata e le cose che ti piacciono o ti piaceranno non sempre riusciranno a tirare fuori la tua grinta, le vedrai passare e ti accorgerai, quando ormai è tardi, che erano le uniche cose che ti hanno dato la forza di crescere.
I treni passeranno ma tu non sempre riuscirai a salire perché le tue valige saranno troppo pesanti.
Questo le direi.
La morale sembra infantile e fin troppo naturale perché noi uomini cerchiamo le cose difficili e alternative, i messaggi semplici non ci interessano, sono da sfigati. Credere in se stessi? Che cosa banale! Eppure, pensateci bene, chi lo fa davvero?
A parte il racconto, che è molto piacevole, sono particolarmente legata al Mago di Oz.
In questo libro c’ho rinchiuso il bene per una persona che non c’è più. Ci si salva con poco, sono trucchetti stupidi ma un modo dovevo inventarmelo per rincontrarla qualche volta.
Già a otto anni la Strega del Nord l’avevo disegnata mentalmente come mia nonna. Quel bacio che protegge Dorothy durante la sua avventura io lo ricevevo ogni sera, insieme ai ”Sogni d’oro”.
La mattina andavo a scuola sapendo che niente di male poteva accadermi perché io portavo stampato sulla fronte il suo bacio. I cattivi lo vedevano e scappavano a gambe levate. Che ridere.
Mi proteggeva, leggevo e la vedevo lì, nella storia. Lei ha sempre vissuto in quel libro, era la mia strega buona.
“E’ una simpatica vecchietta, col volto coperto da rughe, dai capelli bianchi, con un portamento alquanto impacciato”.
La sua perfetta descrizione.
E quando è morta il primo pensiero che ha attraversato la mia mente sconvolta è stato quanto fosse fortunato l’uomo di latta a non averlo più un cuore, perché il mio scoppiava, e scoppia ancora, di tristezza.
E’ per questo che torno sempre a Oz.
Per incontrarla, anche se fa male.
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La paura, è lei l'unico vero avversario.
Avete presente quando si guarda il sole? Per qualche minuto, dopo, rimane una macchia nera davanti agli occhi. E’ il prezzo da pagare per aver assaporato un qualcosa di molto bello. Ne vale la pena. Le cose belle, a me, lasciano sempre quel retrogusto amaro. Sarò paranoica ma vedo sempre il rovescio della medaglia. La storia narrata in questo libro mi ha lasciato la stessa sensazione. Un qualcosa che, pur avendo la sua bella morale, lascia molte domande. Io non ho scoperto Dio con questo libro, magari fosse così semplice ma mi ha fatto riflettere su molte cose. Cose che, vivendo affannosamente (come tutti purtroppo facciamo), sono diventate una debole patina invece di essere la parte principale e materiale di noi stessi.
E’ facile perdere la spiritualità nella vita. Non dico la fede, perché quella non tutti ce l’hanno o ce la vogliono avere, intendo proprio quella scintilla che ci permette di elevarci a Essere pensante. E’ raro che ci si metta a pensare. “Bisogna produrre, ragazzi!” questo è il motto dei nostri tempi.
E sia chiaro, ben venga l’affannarsi a vivere per concludere qualcosa di concreto ma, diamine, respiriamo ogni tanto.
Il libro pullula di spunti di riflessione, leggetelo, è una bella storia. (che personalmente, non me ne voglia l’autore, poteva finire almeno una cinquantina di pagine prima, ma vabbè)
Un’unica cosa: di “soldati romani” ne troveremo tanti nella vita, che faranno vacillare le nostre certezze, ci derideranno, ci umilieranno…impariamo a ignorarli, continuiamo per la nostra strada e soprattutto facciamo in modo anche noi di non essere il “soldato romano” di qualcuno, perché non sempre ce ne rendiamo conto.
E alla fine, come nella vita, spetta a noi scegliere. Perché dobbiamo capire che si ha sempre la possibilità di scegliere. Ricordiamocelo.
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Era un numero, adesso è un nome.
Parlare di Novecento è un po' come parlare della vita in generale. Si finisce per dire una marea di cose scontate che rischiano di sminuire ciò di cui si sta parlando.
Io però non ce l'ho addosso quella malinconia che c'avete voi quando scrivete di questo libro. No. Io la fine non l'ho letta. Io posso ancora sperare che lui da quella nave sia sceso, perché magari non era giusto lo facesse ma per un amico, a volte, si fanno cose inimmaginabili. E io me li vedo, lui e Tim, in qualche birreria malfamata a brindare sbiascicando:"Eeeee in cuuuulo anche la mooorteee!".
E lo so che qui da noi non si vede la fine di niente ed è difficile scegliere, ha ragione Novecento, ma ha più ragione Buster il contadino quando dice:"Banda di cornuti, la vita è una cosa immensa, lo volete capire o no? Immensa".
Mi emoziono sempre tantissimo a parlare di questo libro, non mi riesce per niente di dire parole sensate. L'unica cosa che posso fare è consigliarne la lettura, perché se esiste un libro che ti strega e ti entra nelle viscere, ecco, è proprio questo. E davvero nella vita può capitare di non incontrare mai cose così profonde, quindi non fatevi scappare questa occasione, prendetevi un'oretta e andate a conoscere quest'uomo, Novecento, perché diventerà uno dei vostri migliori amici. Ne sono certa.
Anch'io come lui mi sono voluta fermare al terzo gradino: non ho voluto leggere le ultime pagine. Ma io l'ho fatto per il motivo contrario, perché io, per lui, una fine certa non la voglio. Voglio essere io a immaginarla.
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Svelato l'arcano
Porco il porco! Chiedo umilmente perdono ma no. Non mi è piaciuto neanche un po'. E mi ha annoiato a morte. Ma senza ombra di dubbio il problema sono io, figuriamoci se è colpa di Ammaniti. Santo cielo, no. Non è colpa sua. Lo venero peggio della mia collezione di streghe. Sarei disposta a massaggiargli i piedi tutte le sere anche se soffrisse di sudorazione eccessiva piedesca (e mica solo Shakespeare può inventare termini). Scriverei sotto dettatura con l'orecchio sinistro ogni suo singolo pensiero anche nelle notti di luna piena. Gli spolvererei i mobili usando come straccio la mia amatissima felpa di Gargamella. Non mangerei più nutella per avere un suo autografo (beh, qui ho esagerato un po'). Insomma, avete capito. Quindi, in poche parole, è tutta colpa della lasagna, dell'arrosto, e delle vagonate di cibo che ho ingerito in queste feste. Per questo non sono riuscita a digerire il libro, perché avevo già lo stomaco indisposto.
Ommmiodddiooooo. Stavo per inviare la recensione quando ho capito.
Non l'ha scritto lui!
E' un caso di omonimia.
E il vero Ammaniti ancora non ha smentito perché probabilmente ha acquistato un pacchetto "all inclusive" per Venere (con escursioni su Marte, Giove e compagnia bella) essendosi visto accreditare una cifra a millemila zeri sul conto corrente.
E' così. Lo so.
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Manco prendessi una provvigione sulle copie vendut
Stupefacente. In tutti i sensi. Non credo si possa togliere dai piaceri della vita la lettura di questo libro. Sarebbe, seriamente, un peccato. Non veniale belli miei, ma mortale! Personalmente ritengo inappropriato paragonare questo capolavoro ai vari Twilight, New Moon etc. etc. etc., non per disdegnare questi libri (anche se francamente a me non dicono molto) ma per il semplice fatto che REALMENTE non c’entrano nulla. E’ come paragonare “Il manuale della cucina di base” a “Chocolat”. Nessuno si sognerebbe mai di farlo. O almeno, nessuno con un minimo di sanità mentale. Dracula di Stoker è incommentabile talmente è bello. E’ indiscutibile il fatto che qualsiasi libro arrivi ad ognuno di noi in modo diverso, è naturale anche che qualcuno preferisca la storiella d’amore impossibile tra vampiro ed essere umano, ma solo l’inquietudine adrenalinica che ti si appiccica addosso leggendo “Dracula” è nettamente superiore a qualsiasi storia d’amore. Che poi io mi sia follemente “innamorata” di Van Helsing è un’altra storia. E che me lo raffiguri mentalmente come Giancarlo Giannini è ancora e ancora e ancora un’altra storia. Più assurda, me ne rendo conto.
E poi il fatto che quel paciarotto di Bram Stoker avesse avuto l’idea di tutto ‘sto patatrac di libro da un incubo venutogli grazie ad un condimento eccessivo a base di granchio mangiato a pranzo me lo rende…come dire? ancora più gustoso…(lunga questa frase eh? Si fa fatica a leggerla. Cosa dite? Punteggiatura?! Oddio, e come si usa?).
Facendola breve, a parer mio su questo libro aleggia molto, oltre l’ombra del vampiro, quella del pregiudizio. Si fa fatica a consigliarlo perché si passa per quelli dark (cosa assurda peraltro), e quando mi capita di regalarlo la reazione che provoca è paragonabile solo all’espressione facciale di Barbara D’Urso quando racconta una delle sue proficue storie, tant’è che sento fin qui il povero Bram che si rigira nella tomba…motivo per cui, non me ne voglia il protagonista, tendo a regalarlo molto meno.
Ma vi prego, leggetelo, leggetelo, leggetelooooooooo!
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