Opinione scritta da Mario Inisi
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L'argine
Nina sull’argine è un romanzo bellissimo che riesce ad appassionare il lettore a un problema insolito, la costruzione di un argine in contrada Spina. A seguire i lavori troviamo Caterina, giovane ingegnere, alle prese con il suo primo incarico importante, con la difficoltà di farsi valere in un mondo dove le donne non sono ben viste. Assessori, geometri, colleghi e superiori sono tutti prevenuti sulle sue capacità, in quanto lo studio e il lavoro sono due diversi mondi e finita l’università i brillanti risultati conseguiti da una donna non contano più nulla.
La descrizione del cantiere e dei lavori è affascinante, innestata nel contesto non urbanizzato in modo all'inizio invasivo. Alla fine però l’argine quasi scompare integrandosi pienamente nel paesaggio. In tutte le pagine del romanzo la natura con le sue nebbie, istrici, uccelli, lepri e con i suoi alberi arbusti è sempre presente. In un certo senso la natura è il primo giudice di Caterina e della sua capacità e volontà di difenderla da se stessa e dalla rapacità del mondo. Sono descrizioni malinconiche, perché il cantiere e il paesaggio si armonizzano con l’umore di Nina, in crisi con il compagno, in crisi con il lavoro che ama, tesa nella gestione dei rapporti di lavoro. Nina non si sente perfetta, non si sente di acciaio ma ha un'anima di ghisa, fragile: giovane, puntigliosa, pignola. E' fuori posto in un mondo senza scrupoli con il collega che non esita a mettere in giro voci false sulla sua inesistente gravidanza. Un romanzo davvero molto bello. Non pensavo di appassionarmi tanto alla costruzione di un argine, anche se non è la prima volta che mi faccio prendere dai lavori edili, mi è capitato anche con il cantiere di Onetti e con la costruzione della strada di Eggers.
Un libro finalista allo Strega che si sarebbe senza dubbio meritato.
Ho letto con sorpresa recensioni critiche nei confronti dello stile e del linguaggio tecnico usato dall'autrice. Io non sono assolutamente d'accordo. Il linguaggio e lo stile sono perfetti e rendono il libro molto originale anche dal punto di vista stilistico, cioè meno convenzionale. Unico pelo nell'uovo a volerne proprio trovare uno: l'operaio. Avrei preferito che fosse di carne e ossa.
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Fragilità umana
Interessante di questo romanzo è la descrizione del rapporto madre-figlia che sono come sole-luna, giorno -notte e dei rapporti di vicinato. Però il fatto di cronaca è così ingombrante da sovrastare del tutto i fili più esili della trama. E anche se si parla di un delitto efferato non c'è mistero nè nella soluzione del caso giudiziario nè del caso umano, cioè nel capire cosa è passato per la testa del colpevole.
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Dipendenze
Tove ci racconta Tove, la sua necessità di scrivere. Gli unici momenti in cui si sente serena sono quelli passati alla macchina da scrivere. La sua felicità non è legata al successo di critica o di pubblico, che comunque ottiene, ma al magico allontanamento dal mondo per entrare in un territorio di pura bellezza. Da come ne parla, la sua scrittura è veloce, sicura e senza ripensamenti. Anche il rapporto con l'editore e l'ambiente letterario non sembrano darle troppi problemi o troppe delusioni e non sembrano avere nemmeno troppa importanza se non per il fatto di costituire una fonte sicura di reddito. Invece nella vita affettiva Tove non ha la stessa facilità e felicità di scelta. Non sembra nemmeno guardarsi intorno. Ogni volta si lega al primo che le capita con una rapidità spensierata e sorprendente, che tradisce un bisogno assoluto e impellente di sicurezza affettiva. Fin da ragazza Tove ha un forte desiderio di una relazione stabile di amore vero (non riesce a guardare le coppie di fidanzati o le coppie con bambini). Eppure passa da una relazione priva di ogni comunicazione con un uomo troppo anziano e egoista a una relazione con un narcisista ancora più egoista. Infine si lega a Ebbe, uomo debole e incapace di esserle di aiuto in nessun modo, che la spinge a un aborto clandestino. Credo che questa esperienza porti poi al passo successivo, cioè alla necessità di qualcosa che la renda felice in modo più stabile e sicuro, e cioè alla dipendenza da sostanze chimiche. Allo stesso tempo Tove sembra volersi autopunire privandosi di Ebbe che in qualche modo ama, tuffandosi in una relazione peggiore di tutte le precedenti. In mezzo a tante fragilità, debolezze, in mezzo a tanto disastro spicca la figura forte e confortante della prima figlia Elle, in grado di osservare le cose con saggezza e di prendersi cura della famiglia e dei fratelli più piccoli, che suggerisce quale relazione sia buona e quale da tagliare con uno spirito di osservazione sorprendente in una bambina così piccola. Tove ci descrive anche il suo cammino per uscire da queste dipendenze. Ce la fa, perchè rispetto ad altri ha più ragioni di vita: figli, un nuovo amore e la scrittura, incompatibili tutte con la dipendenza da farmaci.
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Artista vendesi
Ho recentemente riletto Le illusioni perdute di Balzac, romanzo che decenni fa, non mi aveva colpito particolarmente. Stavolta la lettura è stata molto più interessante. Lucien, giovane poeta pieno di grandiose speranze, pensa che gli siano dovuti amore e successo per il suo indubbio talento letterario. In realtà amore e piacere corrono su binari divergenti, così come arte e successo. Se si cercano piacere e successo è inevitabile oltre che necessario scendere a compromessi con la società, compromessi che svalutano umanamente chi li accetta. Arte e artista non meritano un piedistallo per la superiorità conferita dall'Arte, ma per la loro capacità rapace di saltarci sopra imponendo la propria opera alla società che la rifiuterebbe. Tuttavia questa imposizione a fin di bene comporta la realistica desolante constatazione della propria pochezza umana, la perdita di ogni illusione su se stessi, e uno stravolgimento della propria natura. . Per ottenere ciò a cui pensa di avere diritto , l'artista deve sacrificare la propria purezza e i propri valori. A quel punto può ottenere quello che vuole, ma non quello che merita, perchè il compromesso lo ha reso simile alla società su cui si erge, e dunque la società non ha più motivo di temerlo e di tagliargli le gambe.
Triste, realistico, cinico. I personaggi non sono simpatici: Lucien è troppo vanitoso e egoista, la sorella troppo pronta al sacrificio come il marito David, i rapporti umani sono conditi di cinismo che è come il peperoncino e rende tutto più interessante. Il poeta scrive poesie d'amore e sembra non sapere nulla d'amore. Sembra destinato all'inquietudine e al tradimento delle persone che lo amano e che forse, a modo suo, ama. La società è descritta in modo molto realista, e la funzione dei giornalisti è molto interessante. Il potere dell'informazione li rende potenti, quindi appetibili sul mercato delle notizie e ovviamente in vendita. Certi dialoghi sono un po' datati, ma non superati. Alla fine del romanzo sembra che l'artista se vuole esserlo con la a maiuscola deve avere forza di carattere e deve rifiutare ogni compromesso, a costo di non pubblicare niente. In un certo senso i due modelli opposti sono rappresentati dai due amici. Lucien in vendita e David integerrimo. Quest'ultimo verrà imbrogliato da tutti, ma alla fine del romanzo si guadagnerà pace interiore e solidità affettiva.
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La bestia umana
Mi sono ritrovato questo libro in casa e ho voluto conoscere l'autore di cui non avevo mai letto niente. Non riesco a trovare punti di forza in questo romanzo se non la morbosità che la rende, forse, commerciale. La psicologia dei bambini delle elementari è poco credibile, soprattutto quella del bambino più grande. Si capisce subito dove si va a parare se vuole essere un noir. Lo stile non ha niente da dichiarare. Vorrebbe essere forse un romanzo introspettivo di formazione, ma non ci riesce anche se ci sono alcune intuizioni che riguardano il protagonista e il suo disagio nella situazione iniziale dell'arrivo in ritardo e della mancanza dello zaino che sono interessanti. Per me è un tipo di storia di cui si può fare a meno.
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La intelligenza delle persone semplici
Matilde, donna semplice, cuore contento, riesce a vedere sempre e solo il lato buono delle cose, anche quando è così piccolo che non è facile notarlo. La vita però nei panni di persone scafate riuscirà alla fine a scalfire la sua bontà stupida di chi dà tutto quello che ha subito e senza tornaconto.
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Che bella infanzia!
Frank ci racconta la sua infanzia fino alla partenza per l'America a 18 anni circa. La famiglia di Frank è bellissima, piena di difetti e piena di vita. Il cuore della famiglia è la madre Angela, ma anche il padre è un uomo debole ma pieno di fantasia. Nonostante l'alcolismo e la incapacità a mantenere un lavoro, Frank lo descrive come un uomo meraviglioso e capace di raccontare storie e dare un esempio ai figli, anche se solo un paio di volte riesce a portare uno stipendio a casa. Il libro è pieno di affetto per la madre e per i fratelli. Certo, le figure che girano intorno alla famiglia, nonna, zii e parenti vari non sono altrettanto luminosi. A Frank manca cibo quasi per tutto il libro ma mai l'affetto, e sembra che lui e i suoi fratelli crescano con tutto il necessario per affrontare la vita nel modo migliore e per raccontarla agli altri facendola sembrare meravigliosa.
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...ma c'è chi ha il fiammifero in mano
Una bellissima testimonianza storica e umana. La madre e il padre di Lina sembrano persone di un altro mondo. E' bello vedere come in una situazione di grandi privazioni siano rimaste vive solidarietà e bontà. Vedere il bene nell'altro, vedere l'uomo e non il nemico riesce a sciogliere i cuori più duri.
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A ciascuno la sua ora
Una ricostruzione interessante, forse non pienamente convincente, della figura di Giuda. Giuda racconta con una certa piacevole ironia il suo Gesù: un Messia originale, il migliore in un'epoca brulicante di messia, ma che non riesce appieno a entrare nei propri panni e dice sempre qualcosa di strano o di sbagliato lasciando sbigottito o incredulo l'interlocutore. E' un Gesù che scaccia i demoni mandando in rovina l'allevatore di porci ma simpatizza con i romani, che litiga al tempio con i poveri mercanti, che con tutti non ci sa fare, non risponde alle aspettative, che in casa sua a Nazareth è trattato da impostore. Il più fedele e ardito dei discepoli, Giuda, fiducioso fino alla fine, fedele alle sue direttive fa più bella figura di Giovanni invidioso, ma non bugiardo. In cielo un Dio nascosto molto bene a tutti. A me è piaciuto, soprattutto il finale e l'ironia dei tempi: Gesù risulta ogni volta con le sue uscite o fuori luogo o fuori tempo, stonato rispetto alle aspettative.
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Ciclisti con le ali
Parise ci fa entrare nei pettegolezzi di un condominio pieno di zitelle innamorate del prete bello del titolo. Il prete oltre a essere bello pare avere poche altre qualità, ma nel corso della storia si umanizza e sembra nutrire veri sentimenti nei confronti dei due ragazzini protagonisti. La cosa più bella del romanzo sono i due ragazzini e la loro amicizia. Il libro ha un finale poetico e bellissimo che vale l'intero libro.
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Non giudicare
Questo romanzo mette il dito sulla tentazione tutta umana, dell'uomo mediocre, di ergersi a giudice morale del suo simile, trattandolo tanto più duramente quanto maggiore è il suo grado di evoluzione spirituale, per una sorta di inconscia rivincita e compensazione. Sven Elversson, svedese educato e adottato da una facoltosa famiglia inglese, torna a casa dai suoi genitori naturali dopo che la sua spedizione rimasta bloccata nei ghiacci polari è stata salvata. Ai festeggiamenti iniziali segue infatti la gogna mediatica, dato che si scopre che i membri della spedizione si sono macchiati di necrofagia, cioè per sopravvivere hanno mangiato il braccio di un compagno morto. Sven torna in Svezia dove viene bandito moralmente anche da quella comunità e è costretto a isolarsi sempre di più. Nemmeno le cose che fa per gli altri sono gradite. L'unica persona che mostra di tollerare la sua compagnia è Sigrum, giovane moglie del parroco. Il parroco rappresenta simbolicamente la comunità. Di lui si scopre che la sua famiglia ha una specie di maledizione da scontare, di peccato originale. La maledizione del parroco si cancellerà quando anche lui diventerà meno rigido e severo con gli altri e più esigente con se stesso. Il suo cambiamento gli ridirà la pace. L'amore poi è qualcosa di molto vicino alla pace e alla gioia del cuore e molto lontano dal possesso fisico. Perciò il suo cambiamento avvicinerà il parroco anche all'amore che prima non conosceva, anche se era sposato con l'oggetto dei suoi desideri. Ma l'amore vero si nutre soprattutto della libertà e della felicità dell'altro e non è cosa materiale.
Le storie di questa autrice sono belle perché sono buone e leggendola ci si rende conto che ci sono molto pochi libri buoni. La maggior parte dei romanzi che escono oggi sono dedicati al corpo che non è nè buono nè cattivo ma se diventa un protagonista assoluto il libro ha spesso qualcosa di inappagante.
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La bestia umana
Sirene è un breve romanzo postapocalittico, che ha le sirene, animali e non esseri semiumani, come protagoniste. Questi animali sono descritti con un linguaggio da biologo, classificate e descritte in tutti i loro comportamenti: accoppiamento, riproduzione, allattamento, eccetera. Le sirene sono animali , con la bellezza e la purezza delle creature di questo mondo. L'uomo invece, protagonista compreso, è descritto come una bestia schiavo delle sue passioni (cibo e sesso spesso entrambi a base di sirene) e non suscita che repulsione nel lettore, una repulsione tanto forte che potrebbe allargarsi al romanzo che però è scritto bene, tanto bene che fa entrare il lettore nella testa di questa gente fino a risultare rivoltante.
Per gli uomini non c'è speranza. La speranza sta in questi animali innocenti, che ibridati con l'uomo, possano ricreare una razza meno bestiale. Il finale è espiatorio. Il protagonista dopo avere mangiato carne di sirena, ucciso migliaia di sirene eccetera, permette alla sirena sua figlia e alla figlia di sua figlia anche lei sua figlia di sopravvivere grazie a lui. Nonostante il finale, il barlume di umanità resta solo nelle sirene e non negli uomini.
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Respira!
Gerard e Michaela si s stabiliscono a Santa Tierra in Messico per un periodo limitato di tempo, perché hanno avuto entrambi un incarico di lavoro lì. Dovrebbe essere una specie di vacanza, l’occasione per visitare posti nuovi, invece le cose prendono una piega diversa. Lui, è un uomo che condivide ogni cosa con la compagna e che con lei parla di tutto, ma che ha una riluttanza patologica a affrontare argomenti che concernano la sua salute. Naturalmente evitare un problema non ha mai aiutato nessuno a risolverlo, per cui Gerard si ritrova in ospedale malato terminale, con un tumore al polmone e metastasi ovunque con Michaela al suo capezzale a dirgli Respira ogni volta che sembra fare una pausa respiratoria più lunga, ogni volta che sembra stia per andarsene.
Respira è una specie di memoir,in cui la Oates utilizzando personaggi con nomi di fantasia, attinge alla sua vicenda personale a piene mani e ripercorre la perdita dell’amato marito malato di cancro. Il narratore si rivolge a se stesso, non al lettore, come se cercasse di ritrovare il bandolo della sua vita.
L’ordine Respira percorre tutte le pagine, anche dopo la morte del marito.
E Gerard, dopo morto, sembra moltiplicare la sua presenza come luce riflessa da mille specchi.
“Ti amo. Oh io ti amo!
Sento l’illusorietà di questo mondo che balugina, freme, tremola, come onde concentriche su uno specchio d’acqua di insondabile profondità c’è l’altro mondo che Gerard aspetta Cerca di alzare gli occhi per vedere il volto di Gerard. Ma anche questo volto ha perso la propria nettezza”.
MIchaela viene scaraventata dalla malattia e dalla morte di lui Fuori dal tempo, espressione che ci rimanda a Grossman anche lui caduto fuori dal tempo,anzi scaraventato fuori dal tempo dalla morte del figlio amato.
Ma Michaela oltre ad avere perso l’amato, ha perso l’amore, ogni possibilità di amore,
“Così sola. Sola da non poter essere toccata. Da non poter essere abbracciata, protetta. Nominata. “
Cosa succeda veramente a Michaela dopo la morte del marito non è sempre chiaro. Viene-non viene ricoverata in ospedale per encefalite? Oppure per depressione? Vive o muore?
Però i fatti non hanno nessuna importanza. La luce da seguire nella notte di questa narrazione che attraversa il dolore e la disperazione è l’amore per Gerard, la fedeltà a Gerard e cosa significa esattamente essergli fedele. Lei è pronta a tutto.
Del resto in certe condizioni particolari può capitare che l’occhio sia cieco ma il cervello veda ciò che non appare agli occhi in una visione. Dopo la morte del marito, Michaela non usa più gli occhi per guardarsi intorno, avendo perso interesse per il mondo, ma a volte le capita di vedere cose…cioè Gerard, oppure fatti legati a divinità locali, terribili e assetate di sangue.
Ma la presenza incombente di qualcosa di oscuro e di terribile che caratterizza i romanzi della Oates, qui manca. Nel senso che tutto è terribile fin dalla diagnosi e niente che minacci la vita di Michaela può toglierle qualcosa di più. Le divinità sono più che altro citazioni, allucinazioni, ma fondamentalmente la morte è desiderata da “Orfeo che insegue Euridice” che non si volta a guardarlo in un bellissimo ribaltamento del mito.
Per tutto il romanzo infatti Michaela insegue il marito Gerard, direzione inferi: lo accompagna all’ospedale, continua a vederlo a tratti fuori dall’ospedale dopo la sua morte, continua a seguirlo mentre il suo mondo vacilla e va in frantumi, mentre le allucinazioni diventano più reali dei sogni fino al bellissimo finale. Il lettore è in un certo senso autorizzato a scegliere il finale che preferisce relegando tra le allucinazioni le altre possibilità. L’ultima riga lascia persino aperto uno spiraglio alla speranza. Io ho amato tutto il romanzo, a parte quella riga.
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Bolzano dentro di noi
Un libro interessante, in cui la metafora linguistico-geografica mi sembra che rimandi al vero problema che non è di luogo o di modo di esprimersi, ma di relazione famigliare . La madre di Paolo è quella che sporca le parole. Sporcare le parole significa introdurre il baco del controllo o dell'apparenza nelle relazioni affettive che dovrebbero essere improntate alla libertà e alla gioia di stare insieme. Per lei Paolo ha un rifiuto totale e a prescindere, rifiuto ereditato dal padre afasico, che ha smesso da tempo di comunicare con la metà femminile della famiglia. Il segnale che manda il padre con l'atto finale della sua vita, il suicidio, è non solo di rifiuto ma di condanna. Paolo si sente libero solo lontano da casa. E anche se la madre e la sorella non brillano per empatia e nemmeno per simpatia lui certamente raccoglie a modo suo l'autismo paterno portandolo sino alle estreme conseguenze. Il finale sembra spingere all'estremo il giudizio negativo sulla famiglia istituzione e sulla impossibilità di vivere relazioni d'amore in tale sede. Da qui, l'incrinatura (dovuta al cambio di città? Difficile pensarlo) nel rapporto di Paolo con la compagna, a sua volta madre, fino alla "purificazione" finale che sancisce l'impossibilità di amore vero, perlomeno tra le mura domestiche. Forse Bolzano con la sua lingua mista è la metafora geografica della perdita della capacità di comunicare tra due persone pur conoscendo la lingua altrui, perchè la conoscenza senza l'affetto o l'empatia svuota o sporca le parole.
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L'Amore prima della caduta
Questo romanzo è profondamente autobiografico e ci mostra una Simone molto diversa da come la conosciamo e ci spiega come è nata l'altra Simone. Le inseparabili racconta l' amicizia tra Simone e Zaza (Andrè nel romanzo), un'amicizia dolce, assoluta, fortissima, di un amore totalmente disinteressato da parte di Simone. Zaza intelligentissima, brillante, apparentemente ribelle è in realtà succube della famiglia e soprattutto della madre, il cui amore desidera sopra ogni cosa. La madre è una figura terribile, manipolatrice, utilizza il potere che le deriva dall'amore delle figlie, per decidere arbitrariamente delle loro vite. Andrè si innamora perdutamente di un amico di Sylvie, ma la madre decide che non potrà rivederlo a meno che non ci sia un fidanzamento ufficiale. In caso contrario dovrà partire. Simone-Sylvie cerca di salvare Zaza dalla famiglia e dalla partenza ma non riesce, Io credo che alla fine lei stessa abbia pensato che la partenza poteva essere per l'amica un'opportunità per sganciarsi dalla famiglia e anche per ripensare bene il futuro matrimonio con un uomo intelligente sì, ma di vedute ristrette. Quello che Simone non dice lo possiamo immaginare, come possiamo sentire il peso del senso di colpa per non avere impedito il corso delle cose. In questo romanzo la vediamo atea, ma non lontana dalla religione. A fine romanzo, immagino che il suo atteggiamento debba essere cambiato. Non più atea ma in guerra aperta con Dio. Ho sempre immaginato che Sartre avesse avuto un'influenza negativa su di lei, ma ora dopo questa lettura credo che lo strappo sia stato diverso, non intellettuale ma del cuore. Nelle pagine del romanzo Simone-Sylvie vive in una specie di paradiso dell'infanzia, in un mondo puro e bellissimo, come lo è questa amicizia.
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Senza coda
Questo romanzo semplice e diretto, scritto alla perfezione mi ha ricordato un altro capolavoro, forse più famoso, Io non ho paura di Ammaniti. La scrittura è semplice, essenziale, non annoia mai e riesce a tenere sempre il lettore sotto tensione perchè le dinamiche della famiglia di Pietro, il protagonista dodicenne, si chiariscono poco alla volta, fino al necessario finale. Non conoscevo l'autore, forse alcuni suoi titoli avevano creato in me un pregiudizio, ma ora dovrò rimediare.
Il titolo richiama il rapporto del ragazzino con il padre e con l'ambiente del padre: una lucertola in certe condizioni per salvarsi rinuncia alla coda, ma un ragazzino che deve lasciare al padre? Il padre di Pietro pretende oltre al sacrificio degli affetti l'anima.
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Lotta vegana armata
Premetto che non sono un amante dei gialli, ma questo è molto originale. L'aspetto più affascinate è l'ambientazione nordica, i paesaggi sperduti e innevati. L'inverno nel villaggio con tre case abitate e tre abitanti: il primo morto, l'io narrante-una donna eccentrica anziana e fanatica di oroscopi, amante degli animali, Bietolone energumeno enorme precisissimo e di poche parole.
Di questo libro colpisce il rapporto profondo con la natura , l'amore e il rispetto per tutti gli Animali, uno escluso l'Uomo. Tenerissime le Bambine e le Cerve dagli occhi verdi e le volpi bianche che sembrano elfi dei boschi, creature magiche e intelligenti. Una visione del mondo antropoperiferica che trova la sua Bibbia tra le pagine di Blake.
Ritratto di una madre
Ritratto di donna è un romanzo in tre movimenti. Il primo è una fuga, della figlia dalla madre, la donna del ritratto. Il secondo e il terzo movimento hanno un andamento opposto di riavvicinamento. La parola movimento anziché capitolo suggerisce una commistione con la musica. In effetti, da un punto di vista stilistico c’è una ricerca linguistica che ho riscontrato anche in Maria di Isili, anche se condotta con modalità diverse. In Maria di Isili Cristian ricorreva alle sonorità del dialetto con un testo in cui la musicalità della lingua non pregiudicava la comprensione. Qui niente dialetto. Ma il modo cadenzato di procedere nella narrazione la avvicina alla melodia musicale e alla poesia. Il primo movimento ha come narratore un io che si rivolge a un tu. E possiamo immaginare che sia la madre a parlare. La figlia non la conosce, ha un rifiuto per la madre che pregiudica la comprensione e la conoscenza, dato che nei rapporti umani si può comprendere solo chi si ama. La scrittura è lenta, ricorda il movimento delle onde. Pian piano il lettore arriva a comprendere un mondo femminile fatto di abnegazione e sacrifici, di luci tenute accese con il proprio sangue. Nel ricordo la figura di chi ha cercato nella vita la propria felicità personale si smorza. Alcuni personaggi che sono stati presenti con il loro sorriso amorevole e disinteressato senza un tornaconto (Luigi, la signora Maria) diventano angeli che tengono in piedi con il loro modo di essere questo mondo pieno di ferite che nessun altro medica e vede. Il romanzo è di grande sensibilità. Ci siamo talmente scordati che esistono persone buone e libri buoni che trovarne uno è un toccasana per lo spirito.
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Gelosia e tradimenti
Con uno stile impeccabile, ritmo, suspense Mason costruisce una specie di giallo psicologico, o comunque scrive un libro di memorie che conserva qualche sfumatura del giallo. Al centro della vicenda raccontata da James in prima persone c'è l'amore di James per Ella, un amore unico e insostituibile, anche se Ella ha una cugina praticamente identica, Sara. Il fatto che le due siano uguali e che il protagonista possa amare una e non l'altra sottolinea il tipo di rapporto dell'anima e non di attrazione fisica. Purtroppo la storia è complicata dalla gelosia morbosa e reciproca tra le due cugine e dall'insicurezza patologica di Ella e soprattutto dalla mancanza di carattere del protagonista che a un certo punto cede all'amata su questioni non trattabili quali l'amicizia e il rispetto umano. La debolezza di lui porta a una successione di errori e di sensi di colpa fino al finale un tantino esagerato dal mio punto di vista, ma che piacerà agli amanti del giallo. Secondo me la svolta finale di Sara è abbastanza inutile e serve soprattutto a riabilitare i due protagonisti trovando per loro una specie di capro espiatorio morale. Mi pare anche che la cattiveria di Ella nell'episodio cruciale (che rappresenta il peccato originale dei due) sia eccessiva e sfacciata e che il menefreghismo di lui sia altrettanto poco credibile. Però la lettura è così avvincente che tali sfumature passano inosservate, come pure l'ambientazione ibrida tra moderna e ottocentesca.
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Manca qualcosa
Questo romanzo di Flanagan contiene tanti temi importanti e interessanti, ma manca di qualcosa. Intanto manca di omogeneità: nello stille, nelle tematiche, nella definizione dei personaggi, nell’essere-non essere onirico o surreale. Lo è in parte e mai abbastanza, per cui risulta un’accozzaglia di cose male amalgamate.
Per esempio nelle prime pagine c’è una stranezza stilistica che poi viene accantonata per una scrittura tradizionale.
“Me-merdosissime prigioni fi-fi-fingono festa fendendo le onde di Hobart sembra il paese dei balocchi vogliono tutti avere sette anni? Sì no chissà
Il tema: sembrerebbe la morte e l’accompagnamento alla morte con le sue problematiche (accanirsi nelle cure o lasciar andare?) per virare all’ambiente e al senso della vita e delle cose.
Oppure i personaggi: c’è la madre moribonda Francie con i tre figli Anna, Tommy e Terzo. Tommy è definito schizofrenico nelle prime pagine ma fa i discorsi più sensati ed è lui ad accudire la madre e ad avere con lei il rapporto più empatico. Poi è il figlio di Tommy ad essere definito schizofrenico ma lo troviamo al capezzale della nonna mano nella mano come una persona affidabilissima. Poi è Anna che vede sparire parti del suo corpo. I temi sono tanti, forse troppi: la morte, l’accanimento terapeutico, il senso della vita, il rapporto uomo-ambiente, i rapporti famigliari. Ci sono gli incendi che hanno afflitto quella parte del mondo. Un’ornitologa Lisa Shahn piomba sul finale del romanzo quasi dal nulla. Tanti argomenti anche interessanti ma sorvolati. La chiusa surreale che si impianta su una storia non abbastanza surreale e che resta un po’ a sé. Come l’idea di Anna di lasciare il lavoro per fare altro che cade come fulmine a ciel sereno sul lettore. O il suicidio del fratello più pragmatico ipotizzato dal niente dei suoi discorsi. Mi pare un minestrone di tante cose poco amalgamate che fatica ad avere uno stile definito e una personalità.
A me piace molto il surreale e anche le tematiche impegnate, o l’inserimento di dettagli irrealistici in una trama realistica come fa Bolano. Ma a questo romanzo manca qualcosa. Non ha spina dorsale, non ha una personalità sua definita e anche se lo stile come proprietà di linguaggio è buono, poi però si perde in mille rivoli. Non riesco a cogliere la profondità e la poesia e l’impegno che vorrebbe avere. Manca di qualcosa che si è cancellato come è successo al corpo di Anna. Andava ripensato meglio e integralmente.
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La gemma, ovvero la rinascita
Il romanzo si può dividere in due parti. La prima ha un andamento realistico-lineare e secondo me è la migliore. Un reduce torna a casa orribilmente sfigurato. Ha dolori atroci e necessita di una persona che lo assista ma nessuno riesce a sopportare la sua presenza. Dopo tanti tentativi e colloqui trova ben due assistenti e tutti e due stabiliscono un legame particolare con lui che va oltre la formalità di un rapporto di lavoro, e che a tratti diventa molto schietto, quindi in qualche modo intimo. Uno dei doveri dell’assistente è recapitare lettere d’amore a una giovane bellissima vedova, Georgina.
Il primo degli assistenti Quintus, il lettore, è un ragazzo nero molto leale. L’altro Daventry ha dei segreti, ma almeno nella prima parte del romanzo ci si aspetta che abbia commesso qualche delitto e si viene persino a sapere quale. Il reduce, Garnet, ha anche lui dei segreti. Oltre all’amore per Georgina, che in effetti non è cosa segreta, c’è il fatto che di notte va in una vecchia balera in rovina a ballare quando nessuno lo può vedere. Ovviamente da solo. Lui tiene tantissimo a questo segreto, e questo fa supporre che la balera con la luna e la musica sia un posto simbolico, una specie di paradiso perduto.
La seconda parte del romanzo, meno bella, diventa molto simbolica e surreale, nel senso che la chiave di lettura non può essere realistica. Daventry, che nel frattempo è diventato l’amante di Georgina, sembra una figura angelica, a tratti cristologica. C’è una scena in particolare in cui lui deve donare il suo sangue per salvare la proprietà di Garnet, oppure la descrizione di quello che gli capita durante l’uragano in quell'albero che rafforzano questa impressione, come pure il sogno di Quintus verso la fine. In questo romanzo Purdy esprime la sua necessità di un amore sovra-umano. Non si tratta di una scelta di genere come si potrebbe pensare, cioè la scelta tra l’amore per un uomo o per una donna, ma di una scelta tra amore relativo e assoluto, quindi divino. E la scelta di Garnet è per quest’ultimo. L’amore per Georgina (umano) tende all’amore divino soprattutto finchè resta un desiderio inappagato. L’amore assoluto non ha bisogno di un corpo, anzi non deve averne uno. Solo l'amore assoluto guarisce. Grazie al fatto di essere amato in questo modo, Garnet da mostro com’è all’inizio del romanzo, riacquista le sue fattezze umane.
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Marciume
Questi racconti di Purdy sono bellissimi e spietati. La cosa che colpisce è che tutti i rapporti umani di tutti i tipi sono basati sull'interesse, anche se non sempre sul calcolo. L'amore, l'affetto, l'amicizia non esistono. I protagonisti faticano a stare al mondo in qualsiasi ruolo. Spesso nei rapporti di coppia uno dei due non lavora per cui la dipendenza economica complica la situazione creando dipendenze che inducono all'ipocrisia. Sia i rapporti omo che eterosessuali sono similmente bacati fino ad arrivare all'ultimo racconto che è il più terribile perchè i protagonisti sono due bambini orfani, vagabondi e senzatetto. Il più grande dei due Fenton è un adolescente molto bello su cui molte persone hanno messo gli occhi. Fenton si trova in una situazione di estremo bisogno, di disperazione dopo la morte della madre, di solitudine. E' questo il momento in cui il mondo prova a corromperlo offrendogli qualcosa, ovviamente di materiale. Claire è il fratellino più piccolo che rifiuta ogni compromesso, è quasi un angelo e parla con Dio. Claire è di ostacolo al fratello nella sua nuova vita. Il libro trasuda disperazione. Non è il libro del classico gay rifiutato dalla società o con problemi di identità o di emarginazione. Ogni protagonista gay o etero non si trova mai a suo agio, a volte l'identità sessuale dei personaggi è dubbia nel senso che manca o è sfumata, in ogni condizione il personaggio si trova fuori posto in una condizione di estrema sofferenza. E' terribile che non ci sia nei racconti nessuna persona buona. E' un mondo di lupi, dove le pecore fanno una brutta fine. I ricchi non sono uccisi e rapinati, perchè i malintenzionati uccidono i bambini come Claire che non hanno cibo e un letto per dormire. La debolezza e l'essere senza macchia lo rendono un bersaglio. Mi sembra impossibile che Purdy abbia scritto anche un libro come il nipote dove invece tra tutti i personaggi si crea una specie di armonia che porta alla realizzazione di un posto che è una specie di paradiso in terra, un posto che non per niente si chiama Rainbow cioè Arcobaleno. Ma questo è un altro libro. Comunque i racconti sono bellissimi.
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Il dopoguerra
La cosa bella del libro è che ci riporta a un'Italia del dopoguerra dove c'era più solidarietà e dove l'amicizia e i rapporti umani significavano ancora qualcosa e le persone non erano troppo concentrate su se stesse. Nel romanzo sono affrontate varie problematiche: dalla malattia mentale alle ragazze madri ai diritti dei lavoratori e c'è pure il crollo della diga di Longarone. Importante è il tema dell'emigrazione e delle condizioni di vita spesso disumane degli emigrati sia lavorative che di integrazione sociale. Ricordarci come eravamo ieri può aiutare a essere più umani oggi. I temi sono tanti, tutti interessanti, forse un po' troppi.
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Quello che so di mio padre
In questo libro Murakami condivide con il lettore alcuni ricordi. Il primo è quello quasi magico del tentativo di abbandono di un gatto su una spiaggia lontanissima da casa. Padre e figlio lo ritrovano magicamente a casa al loro ritorno. Il ricordo è catartico per il padre che ha vissuto un'esperienza di abbandono simile a quella del gatto, anche lui è tornato a casa, per cui da quel momento decide di non liberarsi più del gatto. Poi ci sono i ricordi imperfetti e imprecisi dell'esperienza di guerra del padre e della sua mancata carriera universitaria e letteraria. Il padre vorrebbe che fosse il figlio a portare avanti gli studi, invece Murakami non ne ha nessuna voglia nè predisposizione. Il padre deluso dai suoi modesti risultati scolastici si allontana dal figlio. Ma per diventare scrittore non occorre intelligenza e studio, ma intuizione e libertà di spirito. Per cui inaspettatamente Murakami riesce a sfondare nella letteratura, ma troppo tardi per il suo rapporto con il padre. Termina il romanzo il racconto di altro gatto, che si è arrampicato tanto in alto su un altissimo pino, da non riuscire più a scendere. Non so se quest'ultimo gatto rappresenti Murakami stesso che con la sua fulminante carriera è andato tanto in alto e non si sa più che ne sarà di lui, non si sa se riuscirà a riportare i piedi a terra o se morirà lassù.
Dalle tante casualità della vita Murakami deduce che siamo come gocce di pioggia ognuna con la sua individualità ma non indispensabili e in balia del caso.
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Meraviglioso!
Che bel romanzo, diretto schietto sincero incisivo toccante. Non c'è una parola di troppo. Una storia di abbandono ma anche di riappropriazione delle proprie radici. Di perdita ma anche di incontro e di rinascita in una forma forse meno elegante ma più vera. Ritrovare una sorella come Adriana non è cosa da poco.
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Piccole gentilezze famigliari
La treccia alla francese è un romanzo di una grande scrittrice americana che ha il dono di dare ai dialoghi la leggerezza e la naturalezza che li rende spontanei, per cui spesso i suoi personaggi vivono e respirano. Il suo tallone d’Achille sono i finali, anche se non in questo caso. Alcuni dei suoi romanzi come Lezioni di respiro e il turista involontario sono dei capolavori, altri come questo sono romanzi carini ma non eccezionali. Sono come i film di don Matteo, che non entreranno nella storia del cinema ma sono rilassanti e pieni di buoni sentimenti, il che è già una ottima cosa. Anne trasmette al lettore il suo modo tranquillo e benevolo di vedere le cose e di intendere le relazioni. La famiglia è centrale nella sua esistenza. La famiglia che ci descrive non è perfetta, ci sono persone difettose che cercano di essere tolleranti e inclusive, che a volte non si capiscono, per cui hanno comportamenti strani e al limite dell’offensivo, un offensivo però assolutamente privo di calcoli. In genere se qualcuno ferisce qualcun altro è solo per legittima difesa. Nonostante gli errori, il bene che è circolato in famiglia non è perduto, lo si ritrova anche a distanza di tempo in tracce come le conchiglie sulla spiaggia. Questo romanzo mi è sembrato un pochino dispersivo, tanti parenti, senza una vera storia che tenga avvinto il lettore. Il covid arriva anche qui verso la fine del romanzo. Rispetto ad altri testi di Anne, la treccia ha più una dimensione casalinga anche nei suoi aspetti claustrofobici. Mi è sembrato meno penetrante e interessante di altri testi, anche se scorrevole. L’incipit è bellissimo e secondo me è stato un peccato abbandonare i due personaggi dell’incipit per entrare nelle loro famiglie, in particolare in quella di Serena. Avrei preferito seguire quei due.
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La famiglia
La famiglia è un carapace che ti accoglie, ti protegge, ti fa sentire amato. La famiglia di Nina e Maddalena però a un certo punto si rompe. La madre non ne può più di vivere sola, con la suocera ad aspettare il marito che lavora fuori, senza una vita sua. Lo lascia per un altro e le figlie vengono affidate al padre dal giudice, e la madre può vederle solo pochissime volte e mai a casa delle bambine. Le due sorelle hanno infatti una casa solo loro. comprata con i soldi ricevuti in eredità dalla nonna. La cosa incredibile e forse poco credibile è che la casa sta a Roma e il padre lavora a Milano per cui le bambine non vedono nemmeno il padre, ma sono affidate a una ragazza che fa loro da badante- babysitter, più badante che baby sitter dato che vive con loro sostituendo i genitori. Il fatto che la madre non vada dal giudice a protestare e non si preoccupi per le figlie lasciate a estranei non mi pare plausibile, così come la decisione del giudice di accettare che le bambine vivano con una babysitter-estranea e poco più grande di loro. Però. a parte questo dettaglio, il libro è incentrato sul rapporto tra le sorelle, timida e introversa Maddalena, fascinosa, esuberante Nina. Maddalena ha un rapporto stabile con Pierre, la sorella ama cambiare e ogni tanto butta all'aria la vita precedente e ne inizia una nuova. Finché nel finale le due sorelle appaiono più simili di quanto il lettore aveva finora pensato. Il libro è stato candidato al Premio Strega.
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L'abbronzatura
Non conoscevo questa meravigliosa scrittrice delle mie parti. Ho letto che ha faticato tanto a trovare un editore e che ha iniziato a scrivere bene dopo gli 80 anni. Scottature è un racconto più che un romanzo, breve ma bellissimo. Dolores ha uno stile espressivo e efficace come a volte hanno le donne, con immagini: la rosa, il mare che mi sono rimaste nel cuore.
Le scottature di Dolores sono di vario tipo e il mare rappresenta la bellezza, la vita, la madre, l'arte, la musica, la gioia: tutto quello che è lontano da lei, inafferrabile, misterioso, pieno di fascino, forse non alla sua portata.
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Ulisse torna a Roma
Sempre tornare descrive il viaggio di Daniele 17enne da Misano a Roma in autostop. Incipit bellissimo, il resto meno appassionante di altri suoi romanzi, però non male. Spicca il desiderio di nuovo, di conoscere e di esplorare dell'adolescente. Daniele-Ulisse ha radici ben piantate nella famiglia, per fortuna. Si sente che è un bravo ragazzo che a molti fa piacere incontrare e aiutare. Emma invece, la solare Emma che ospita Daniele in una tappa del suo viaggio, Urbania, ha perso la madre e a differenza di Daniele non le importa di avventurarsi in acque pericolose da cui sarà più difficile, anzi forse sarà impossibile il ritorno.
Il viaggio di Daniele non pare esplorazione di luoghi ma di tipi umani, per cui il libro sembra quasi una visita allo zoo dove nelle varie gabbie si incontra l'uno o l'altro tipo umano, tra questi Emma che in gabbia non ci vuole stare e dunque viaggia anche lei, ma chiusa nella cabina della sua dipendenza da roipnol e in fuga dai ricordi.
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Fame di bellezza
Ho faticato a leggere questo libro in cui la prima parte è stata per me respingente. Però superata la metà, la scrittura mi ha catturato per la bellezza e di leggerezza che pervade sia il contenuto (anoressia, rapporto con il corpo) che lo stile: frasi brevi, eleganti e pieni di immagini: libellula, farfalla rondine. Lo stile mi ha ricordato un pochino la bravissima Redoreda. Il cibo è descritto in modo da risultare qualcosa di brutto e squallido, mentre il corpo magro, magrissimo leggerissimo con le ossa che spuntano e diventano quasi ali, tende alla perfezione , che è la leggerezza del volo, la metamorfosi uomo insetto alato. In una delle ragazze protagoniste, Erica, si incrociano le pulsioni di vita e di morte: l'amore per Vanessa la spinge alla magrezza, al rifiuto del cibo, alla situazione di libellula e alla morte, mentre l'amore per Diego la riavvicinerebbe alla vita, se solo potesse mantenere l'intensità iniziale. Il romanzo ci fa entrare nella mente di chi soffre di anoressia, nel suo modo di percepire corpo e cibo.
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Radici
Eleanor perde entrambi i genitori a 16 anni per un incidente stradale, va a vivere in casa dell’amica Patty. La madre di Patty è accogliente con lei, ma il fratello di Patty inizia un rapporto fuori luogo che Eleanor in seguito vedrà come una violenza anche se lì per lì non fa nessuna resistenza alle sue avances. In seguito a questa squallida relazione è costretta ad abortire. Dopo questo brutto periodo della sua vita riesce a guadagnare dei soldi grazie alla sua abilità nel disegnare fumetti che descrivono una ragazzina a cui muoiono i genitori (come a lei) ma che incontra solo persone buone. Guadagna bene, si compra la fattoria dei suoi sogni in un posto incantevole, incontra l’uomo perfetto e cerca di formare con lui una famiglia piena di calore e gioia, come non è mai stata la sua, dato che i genitori di lei erano alcolisti e anaffettivi. Il libro per metà descrive questa bella famiglia, gravidanze e figli. Al suo interno c'è però una strana divisione dei ruoli, nel senso che lei si sobbarca interamente la cura della casa e dei figli, orto, cucina di piatti sani e sostanziosi, educazione, giochi, favole, e anche il lavoro e i problemi finanziari. Lui non vuole sentire parlare di soldi né di doveri, per cui la splendida relazione risulta abbastanza squilibrata fin dall’inizio. In ogni caso lui è un uomo amorevole e gentile, divertente e fedele, finché a un certo punto, gli viene chiesto per una volta di guardare il figlio, si addormenta e succede l’imprevisto. A questo punto Cam si dà da fare per la famiglia ma comprensibilmente il rapporto tra i coniugi si è rovinato. Da qui in avanti la trama prende una piega coinvolgente per il lettore, ma di pancia. Nel senso che tutte le difficoltà di coppia non vengono analizzate. Le strade dei coniugi si separano ma non trovo logico che lei se ne vada di casa senza dare una spiegazione ai figli e soprattutto accettando il fatto che non ne dia lui. Il romanzo costruisce a questo punto due personaggi in cui lui diventa uno stronzo terribile e lei la vittima. Ma questa semplificazione impoverisce tutto. Non si scava nelle relazioni, c’è una storia che porta a individuare vittima e colpevole, a simpatizzare con lei e ad avercela con lui. Pure i figli infieriscono contro la madre consolidando il suo ruolo di vittima innocente e si allontanano e inspiegabilmente lei tace difendendo le ragioni del marito finché la vita non “le rende giustizia”. C’è troppa falsità nel romanzo. Troppo vittimismo. I rapporti sono tutti poco chiari. Anche quelli con gli amici. Tutte le relazioni non sono analizzate. Avrei preferito un percorso più introspettivo e meno semplice.
L'albero del titolo fa riferimento all'albero genealogico, che è un fumetto scritto da Eleanor, ma anche al frassino di casa che probabilmente vorrebbe richiamare la quercia del Do sconosciuto di Steinbeck il cui abbattimento ha implicazioni simboliche.
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Follia al potere
Il romanzo, in parte di invenzione, racconta la vita terribile in Venezuela e spiega come mai la protagonista, come credo l’autrice abbia lasciato il suo paese per la Spagna. Leggendo queste pagine folli, di gente che ruba gli alimenti razionati, occupa con la violenza appartamenti altrui, uccide bambini e innocenti per strada, di polizia che arresta e tortura studenti innocenti e gente indifesa per esercitare il suo potere ho avuto la sensazione di precipitare nello stesso gorgo di follia di questi giorni. Ho condiviso le emozioni e le sensazioni dell’autrice, il sentirsi conniventi con il male per la propria vigliaccheria, incapacità di sostenere prese di posizione forti sopportandone le conseguenze, per il fatto di pensare al proprio comodo un po’ prima che alla giustizia. Il libro è molto bello, terribile e bello. Ci ricorda come ci possiamo ridurre e come basti poco, non lo avessimo già capito in questi giorni. Forse l’idea che il folle non sia uno ma una moltitudine di persone, come se la follia possa diventare una malattia contagiosa è più sconcertante della follia omicida del singolo e del suo entourage. La conclusione (poche pagine) si poteva tagliare dato che non era necessaria, anzi sottrae qualcosa. Il romanzo poteva finire in aereo o in aeroporto.
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L'umanità è di chi ne è all'altezza
Il romanzo di Ishiguro è ambientato come Non lasciarmi in un tempo futuro. Ma è ancora più bello di non lasciarmi, commovente, trascinante e perfetto. Ishiguro non ha fiducia nella scienza. Scienza e umanità seguono strade opposte che non si incontrano e anzi, piuttosto si ostacolano a vicenda. Anche in questo romanzo troviamo l’ingegneria genetica usata per potenziare i ragazzi e renderli geniali. Ovviamente la terapia ha dei rischi, primo tra tutti quello di introdurre nel paziente delle malattie che lo potrebbero portare rapidamente alla morte. Tuttavia è opinione comune che niente sia peggio della mediocrità e che l’implementazione apportata dalla terapia sia assolutamente necessaria. La maggior parte dei college non prende alunni non potenziati, per quanto brillanti possano essere. In questa società del futuro esistono dei robot umanoidi come gli AA o i B3 (ultimo modello) che sono quasi identici agli uomini, compresi i processi mentali. Riescono a provare quasi sentimenti e alcuni di loro arrivano a concepire quella che viene considerata la più grande forma di amore: il sacrificio.
In questo romanzo si parla del rapporto di grande amicizia tra una bambina Josie che è stata potenziata e che sta molto male a causa di tale terapia che ha subito e a causa della quale è già morta sua sorella, e Klara il suo robot di tipo AA quarta generazione.
Nel romanzo ci sono due antagoniste, contrapposte in modo velato e non percepito nemmeno da loro stesse: Madre e Klara. Per quanto Klara sia solo un robot, e Madre la persona di cui Josie ha assoluto bisogno, tuttavia il bene di una persona cara passa attraverso il sacrificio dei propri desideri e l’essere umano non è sempre pronto a tale sacrificio. Ci sono nel romanzi dei momenti terribili descritti con tale verosimiglianza da lasciare inorridito il lettore. Eppure il male resta sotterrato nascosto, come anche il bene. L’unica traccia è la serenità di Klara anche nel malinconico finale, il suo rapporto con il sole, che forse è una sua fantasia forse no.
A Klara è stata presentata la mela dal serpente: poter diventare come Josie. Ma lei nel suo animo semplice non è mai riuscita a farsi guidare dal desiderio di potenziarsi,desiderio che affligge la comunità umana, ma da quello di servire la sua padrona mettendo il bene di lei, che a volte non riesce a individuare, al primo posto.
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La solidarietà
Karina con il suo bellissimo romanzo ci porta in un paese del Sudamerica, il Venezuela.
Angustias, la protagonista, è una donna giovane e forte. Le donne di questo romanzo sono le figure più belle. Sono tenaci, coraggiose, non si arrendono, sono capaci di generosità e di sentimenti disinteressati, mentre gli uomini sono minuscoli al confronto. Angustias e suo marito Salveiro vendono tutto e se ne vanno dalla sierra orientale dove l’epidemia sta facendo strage di bambini per salvare i loro figli gemelli appena nati. Purtroppo come andranno le cose lo scopriamo fin dalle prime righe.
“Arrivai a Mezquite perché cercavo Visitation Salazar, la donna che avrebbe seppellito i miei figli e mi avrebbe insegnato a sotterrare quelli degli altri. Camminai fino alla fine del mondo, o dove credevo che finisse il mio. La trovai una mattina di maggio accanto a un tumulo di loculi. Indossava un paio di leggins rossi, gli stivali da lavoro e un foulard colorato annodato alla testa. Una corona di vespe le svolazzava intono. Aveva l’aria di una madonna nera persa in una discarica”
L’incipit come vedete è stupendo e il romanzo è sorprendente, nel senso che entriamo in una realtà di grande povertà e violenze. Visitation è esattamente quello che dice Karina, una madonna laica, in quanto porta in un paese dove dominano oro e violenza una cosa sconosciuta che è la compassione gratuita. Visitation senza che nessuno glielo abbia chiesto e anzi con tanti rischi da parte sua e comunque non per soldi seppellisce i morti e si prende cura di loro. Ma anche se fa un lavoro mortifero, e il romanzo è pieno di descrizioni di morti e di preparazione di cadaveri, Visitation è una donna piena di vita e di energia.
Dopo che ha seppellito anche i gemelli chiusi nella scatola di scarpe, anche Angustias resta a darle una mano per starsene vicina ai suoi figli.
Visitation non è particolarmente religiosa. Ma anche se Dio sembra non accompagnare personalmente i poveri migranti, fa sentire ancora la Sua presenza grazie a donne come queste.
La religione in questo paese è legata soprattutto alla superstizione e la superstizione fa comodo.
“Sulla sierra le cose funzionavano così. Le anime dei morti e quelle dei vivi si mescolavano in una cortina di bruma fino a formare un plotone di disgrazie che servivano ad allontanare i curiosi e a coprire i carnefici”.
Con questo libro si entra davvero in un nuovo mondo. Questo di Karima è certamente un romanzo, un’opera di fantasia, ma credo che voglia farci toccare con mano il caos che regna a livello politico e sociale in Venezuela, la grande povertà e la violenza che è la regola. Anche il gioco è violento: i combattimenti tra galli, i cani rabbiosi, gli uomini irregolari, cioè senza documenti che hanno formato un esercito loro, che girano armati di machete e di fucili e che sono fuori controllo. Ma se la situazione generale è terribile, la situazione peggiore è quella delle donne che vengono dalla sierra orientale.
“Le donne che fuggivano dall’epidemia venivano violentate sui sentieri e nei valichi clandestini. Era il pedaggio tra il mondo dal quale fuggivano e quello in cui arrivavano. L’aborto non era legale. Quelle che ci provavano, finivano per dissanguarsi negli ambulatori clandestini. Se riuscivano a partorire, lasciavano l’utero in qualche pronto soccorso, e le più fortunate venivano rapite e costrette a mettere al mondo le creature per alimentare il traffico dei neonati. I bambini erano redditizi. Costava poco crescerli e imparavano presto qualunque mestiere. Erano una manodopera crudele ed economica per la malavita. I contrabbandieri e gli irregolari avevano creato un mercato nero apposito: rendevano più dei camminanti”.
Queste parole non sono della romanziera ma della giornalista.
Nel romanzo si respira grazie alla solidarietà tra donne. I nomi delle tre protagoniste Visitation, Angustias, e Consuelo esprimono bene il ruolo del personaggio. Il libro è duro, a volte difficile da leggere per certe descrizioni di morti o di ammazzamenti vari, il finale non è molto credibile. Però è bello: non perché lo stile sia straordinario o la storia ben costruita, ma perché finalmente c’è un romanzo che ha qualcosa da dire.
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La cultura che non ti cambia dentro
Il libro ha un bellissimo incipit, davvero molto interessante. Mi piace anche il genere, ma mi disturba la mancanza totale di empatia di Archi, la faina protagonista della storia. Il suo non è un cammino di evoluzione o di apprendimento, di umanizzazione, lo sembra ma non lo è. Archi resta quello che era, anche dopo che ha imparato a leggere e a scrivere e dopo che ha incontrato Dio. Anzi l'incontro introduce nella sua vita, come in precedenza in quella di Salomon, un livello di finzione e di ipocrisia ulteriore. La cultura rende Archi più subdolo e non ha la meglio sull'istinto, ma è al servizio dell'istinto sia in Archi che nel suo maestro Solomon. L'istrice che a un certo punto della storia ospita Archi è evidentemente un ingenuo e la compagna ha ragioni da vendere a volere la faina fuori della porta di casa e a guardarla con sospetto. La totale mancanza di slanci in questi animali rende la storia ossessiva e senza aperture. Mi aspettavo un libro duro come la collina dei conigli ma con gli stessi slanci invece no. Per me al libro manca qualcosa di necessario a livello di sostanza anche se la scrittura è ottima, l'incipit bellissimo.
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Mia nonna
Il libro mi è piaciuto più di altri più famosi di Starnone. Bella la descrizione dei giochi, dei dialoghi e delle dinamiche infantili e anche il rapporto con la nonna. Il finale secondo me è interessante e anche inaspettato, mentre il rapporto con la fidanzata mi ha riportato a Lacci. Mi sembra anche che la bambina e la nonna che niente hanno a che fare tra loro si sovrappongano inaspettatamente nel finale in modo curioso come se il cuore o la fantasia potessero mettere insieme due persone amate facendone un unico fantasma.
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L'amore vero ti rende libero
Il romanzo è molto bello e ci a entrare nella vita di una famiglia nigeriana agiata, padre imprenditore nonché responsabile dell'unico giornale che si permette di dire la verità in un paese dove i colpi di stato sono all'ordine del giorno e chi dice la verità rischia la vita. In effetti il racconto si svolge in un momento politico in cui l'ennesimo dittatore ha preso il potere e nessuno osa alzare la voce contro di lui a parte Eugene. Eugene oltre che ricchissimo è anche cattolico. L'educazione cattolica impartita dai missionari è qualcosa di simile alla presenza dell'uomo bianco in Nigeria. Qualcosa che non porta pace e amore e nemmeno libertà, tutt'altro. A questo punto viene da chiedersi se c'è qualcosa di sottinteso nel romanzo. Come mai in un paese dove tanti sembrano morire di fame e non avere l'essenziale, un uomo possa arricchirsi vendendo biscotti e pessime bibite. Se dietro al giornale locale e alla sua voce così libera non ci sia lo zampino dell'uomo bianco. Da dove venga a Eugene il suo coraggio e se si sente in parte le spalle protette. Eugene è come figura contrapposto a padre Amadi, prete nero che va a riportare la religione cristiana in Europa. Il suo cristianesimo è molto più colorito e vivo, rinfrescato dalla promiscuità con la religione africana pagana, i suoi canti e la sua umanità. Padre Amadi è in grado di comunicare calore umano e amore, non solo regole rigide e castranti. La figura del padre padrone è molto ben costruita, accostata alla moglie fedele fino in fondo o quasi. La cosa del libro che mi ha un pochino deluso è il finale, secondo me poco coerente con la psicologia di tutti i personaggi. E' stato molto interessante sedersi alla tavola nigeriana assaggiando il cibo locale.
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Via dell'alba
Il cielo è al di sopra del tetto,
così azzurro, così calmo!
Un albero, al di sopra del tetto,
culla il suo ramo.
Inchiostro simpatico è un romanzo che parte dall' indagine su una donna scomparsa. Su di lei si hanno poche informazioni, quasi tutte sbagliate. Il capo dell’agenzia investigativa dà lui stesso informazioni inesatte al narratore, e più che un investigatore sembra qualcosa di diverso, a me sembrava una specie di angelo che indica una direzione e un destino o una missione. Il narratore lavora nell’agenzia solo per breve tempo, ma ruba il fascicolo quando si licenzia avendo per il caso una sorta di fascinazione.
In realtà il romanzo non è poliziesco, l’indagine è un pretesto per percorrere quello stato d’animo particolare che subentra nella mente quando i ricordi si cancellano e si cercano tracce de passato. E’ uno stato sospeso che ricorda una giornata di nebbia, una giornata che sembra prolungarsi nel tempo o essere senza tempo e tendere all’infinito. Così come il passato perso nella memoria non è perso ma è come scritto in inchiostro simpatico, per cui c’è una tensione in noi che sfugge al presente e tende all’eterno. Questa tensione è resa non con riflessioni filosofiche ma con una scrittura malinconica e piena di echi emotivi, molto interessante. Nelle ultime pagine il narratore cambia e si viene a capo del mistero. A me invece sarebbe piaciuto continuare a sentire la voce di lui fino alla fine.
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Un romanzo tutto verde
Libera, la bambina senza genitori che vive da tempo immemorabile in luoghi dai nomi bellissimi popolati da spiriti dei e semidei, che vaga alla ricerca del mezzo patriarca scomparso in compagnia dello zietto suo amico, l'uomo-somaro: un libro girovago e libero. La trama è un po' strampalata, quello che colpisce sono i luoghi, il rapporto con la natura, la libertà estrema di libera, libertà che sta in un rapporto di armonia profonda con luoghi e personaggi di tutti i tipi compresa la terribile lince. Molto interessante il linguaggio particolare che mi ha ricordato Horcinus orca di Darrigo.
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L'isola di Varsavia
Un libro per ragazzi che descrive in modo semplice e poco cruento la vita nel ghetto di Varsavia. Adatto a ragazzi dalle scuole elementari fino alle medie e superiori, anche se per le superiori è molto meglio proporre altre letture, ad esempio Primo Levi.
Un bambino di dodici anni riesce a sfuggire a un rastrellamento, ma si ritrova solo senza i genitori e deve sopravvivere aspettando il ritorno del padre senza cibo e senza poter chiedere aiuto a nessuno. Diventa un piccolo naufrago ebreo in un mondo ariano, un piccolo Robinson tutto solo con un unico amico, il suo topolino bianco.
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Solo l'amore giustifica il sacrificio
Questo saggio di Recalcati vuole fare chiarezza sul sacrificio distinguendo tra l’idea cristiana di accettazione della croce come base della salvezza e l’idea di DOVERE dare la vita per una causa che è alla base di ogni fondamentalismo religioso da quello islamico all’ideologia Hitleriana.
L’idea sana del sacrificio è quella di chi si getta nel fiume in piena per salvare chi ama. E’ l’amore che implica la piena identificazione con l’oggetto amato. il sacrificio (simbolico) serve all’inclusione nel contesto umano e non c’è nessun fantasma sacrificale, nessun amore mortifero per il gesto del sacrificio in sé.
Il sacrificio di parte del godimento pulsionale in questo caso è il prezzo da pagare per accedere alla dimensione umana della vita, cosa che manca in certe patologie psichiatriche. Il folle e il perverso rifiutano di rinunciare a questa parte del godimento e perciò rifiutano la dimensione umana dell’esistenza a favore di un godimento totale e non vincolato a leggi. Non distinguono cioè tra castrazione e dimensione simbolica del sacrificio.
Il cammello è l’animale simbolo di chi accetta di essere schiavo adorante di chi lo sfrutta, per paura della libertà.
Nel momento in cui Dio vieta ad Adamo di mangiare un frutto nasce l’angoscia del limite e la necessità di sacrificare l’innocenza a favore della libertà. Il cammello rinuncerebbe alla libertà per tornare all’innocenza.
L’uomo cammello è soggetto alla segreta tirannide di se stesso che fa del sacrificio una meta per paura della libertà. Ma il peccato più grande è il venire meno al proprio talento per paura. Nel fanatismo religioso non c’è il ritrovare Dio nell’uomo, ma il cancellare l’uomo nel nome di Dio. Il sacrificio ha un valore commerciale, e vorrebbe fare sentire in debito Dio e pagare l’accesso all’aldilà. Inoltre si crea dipendenza dall’altro a cui si sacrifica il proprio desiderio rinunciando alla libertà. Il sacrificio invece andrebbe vissuto come dono, non con calcolo. In questi soggetti “più calcolatori” l’io si raddoppia e si sdoppia in un super io esterno alla coscienza che ingloba la legge e in un io che viene costantemente maltrattato dal super io. La legge della parola del Padre, serve a ridurre la potenza malefica del superio. Il soggetto melanconico vive nell’autoaccusa perpetua.
Il sacrificio rafforza la spinta del super io. All’opposto il sacrificio di Cristo è il sacrificio del sacrificio. Lui è venuto a completare la legge andando oltre la legge in direzione antisacrificale. La parabola più antisacrificale è quella del padrone che retribuisce allo stesso modo tutti i lavoratori indipendentemente dall’orario di lavoro.
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11 settembre
Il mio anno di riposo e oblio tratta di un anno di abuso di psicofarmaci da parte della protagonista, una giovane donna ricca, magra, più bella di Sharon Stone a cui a prima vista non manca nulla, solo che le sono morti entrambi i genitori, ha un'unica amica che non può soffrire e un fidanzato Trevor con cui ha un rapporto affettivo appiccicoso, fatto solo di sesso, poco soddisfacente sotto qualsiasi punto di vista. Ora l'idea dell'anno di oblio non è del tutto peregrina, in quanto anni fa il sonno veniva usato come estrema ratio per la cura delle malattie psichiatriche nella speranza che il riposo prolungato facesse recuperare al paziente le sue scorte di neurotrasmettitori ormai sbilanciate. La psichiatra che ha in cura la protagonista è però peggiore e di molto dell'analista di Sara Gamberini (Maestoso è l'abbandono). Per cui prima di arrivare a un maestoso e necessario abbandono della psichiatra la protagonista passerà per cocktail di psicofarmaci di tutti i tipi in un delirio chimico. Oltre ad abbandonare la psichiatra, la protagonista necessita di lasciarsi alle spalle il pessimo fidanzato Trevor e forse Reva, l'amica che non sopporta, che ha lei pure un legame pessimo con il suo superiore, naturalmente sposato. Purtroppo a tagliare i rapporti con Reva ci penserà qualcosa d' altro. Il libro è ben scritto, cinico, senza tracce di empatia umana. Forse per questo la lettura risulta a tratti pesante. Il finale è particolare e interessante. E' un bel libro cui manca qualcosa, ma che con quel qualcosa avrebbe potuto essere bellissimo. Il finale quasi lo è.
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Malinconia americana
Un libro bellissimo che mi ha ricordato non so perchè Qoelet per quell'intercalare Prima che il vento si porti via Questa polvere... polvere americana che mi ricorda per il suo senso Vanità delle vanità eccetera. E c'è in effetti per tutto il testo un senso di vanità delle cose, di vacuità e di distacco dalla realtà e dalla società. Distacco che si accresce andando verso il finale in cui sogno e realtà si confondono, in cui cui forse si cambiano di posto per cui quello svanire del ragazzino dal raggio visivo della coppia in riva al lago è un colpo di genio, un finale meraviglioso, come meravigliosa è l'atmosfera della casa trasferita sulla riva del lago con tanto di orologio, centrini, divano eccetera. E anche nei discorsi della coppia sull'altra coppia, forse un figlio trasferito chissà dove, c'è un senso di nostalgia e di malinconia che come in un gioco di specchi insegue quella del protagonista. Il tono sembrerebbe all'inizio quello di un John Fante o del Giovane Holden, ma poi si percepisce la diversa tonalità della voce, lo scollamento e la malinconia che la rendono unica e poetica. Semplicemente bellissimo!
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Il male minore
Nella jugoslavia di Tito una donna ebrea deve scegliere se accusare il marito di tradimento o lasciare sola la figlia di sei anni. In ogni caso deve tradire: o la figlia piccola che ha bisogno di lei o la memoria del marito. Sceglie di dire la verità e di essere fedele alla memoria del marito. Ogni decisione del genere ha un costo enorme e non c'è nemmeno la tranquillità di aver fatto la cosa giusta dato che ogni scelta sarà ingiusta nei confronti di qualcuno che si ama più della vita.
Nel cuore di Vera c'è infatti il dubbio atroce che il marito (morto) potrebbe non approvare la sua decisione: l'amore ama solo se stesso, si sente sussurrare. Perciò inseguire l'Amore di un morto potrebbe essere più illusorio che accudire una figlia piccola. A volte il male nel mondo è così soffocante che non si vede più la strada e si perde la direzione del cuore. Vera pur nella oscurità cerca di non perdere la sua capacità di orientarsi che è la fedeltà all'amore e alla verità. "Sarò come un albero nell'oscurità della foresta che la luce ha scelto di illuminare".
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Resilienza
Questo libro, un memoir, è bellissimo. Leggendolo capisco perché altre letture mi sono sembrate così sciape e scialbe. Le pagine brillano di vita e di affetto, è scritto da una persona con un cuore oltre che con un bella testa. Forse davvero ci vuole verità per fare arte o forse è vero che l’arte nasce dalla sofferenza.
Jesmyn racconta la sua vita nel Missisipi, una vita povera, tradita- il padre se n’è andato di casa con una ragazzina, la madre si è ammazzata di lavoro per sfamare i figli. Eppure la sua vita è stata meravigliosa, piena di affetti veri, di calore, di fratelli, di amici, di gente che per motivi culturali oltre che caratteriali ha a cuore gli altri, apre la casa agli altri, un mondo in cui c’è chi ha 14 figli e chi ne cresce qualcuno come se fosse suo. Le cose più false nella vita di Jesmyn sono le sue relazioni con amici bianchi e ricchi. Una vita così bella e calda che Jesmyn non riesce a staccarsene per andare a fare carriera a New York. Una vita dove la persona a lei più vicina e a lei più cara è il fratello Josh. Stranamente, il distacco dalla famiglia, l’emancipazione culturale, porta Jesmyn a riavvicinarsi alla famiglia, a capire che sua madre che si è sacrificata e ha rinunciato alle sue aspirazioni che ha passato la vita a pulire cessi e pavimenti, rappresenta l’esempio più fulgido e il più grande insegnamento ricevuto nella sua intera vita. Un esempio umano di resilienza, di sacrificio e di bontà necessari a costruire qualcosa di buono per sé e per gli altri. Nonostante l’ingiustizia della povertà e della morte giovanissima del fratello,del cugino e dell’amico, il dolore per la loro mancanza rappresenta paradossalmente il segno più evidente di una vita che ha lasciato il segno e che aveva un valore. Perciò è proprio attraverso l’annientamento dell’io, Io non sono niente, che si costruisce un noi così accogliente, tenero, appagante, inclusivo.
E la grande oscurità che sembra incombere sulle vite dei neri del Missisipi è calda e luminosa come un sole d’agosto.
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L'integrazione
Melody è una bambina tetraplegica intelligentissima e con una memoria prodigiosa, ma non potendo articolare le parole viene esclusa dai normali percorsi scolastici per mancanza di preparazione dei docenti ad affrontare e capire i bisogni speciali di alunni speciali. Per fortuna la tecnologia viene in aiuto a Melody. Però la vera amicizia e la vera integrazione non dipendono solo dal computer e da un buon insegnante e sono cosa rara. Il libro mi ha ricordato il film Wander, ma forse Wander è più positivo. Melody ha una splendida famiglia ma non trova l'amicizia con la A maiuscola, come meriterebbe, anche se incontra persone meravigliose.
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Gli effetti secondari dell'oppio
Vieni a bere con noi il vino di Rey se non ora quando?
Questo è il ritornello che percorre tutto il romanzo che ha un andamento spiraliforme con i protagonisti che si rincorrono nel tempo come immagini che scorrono su una parete in quei teatrini fatti con le ombre.
…forse è stato questo disegno a costringermi a scrivere: un albero di cipresso sotto il quale sta accovacciato, come un fachiro indiano, un vecchio ricurvo, inturbantato, avvolto in un manto, l’indice della mano sinistra sulle labbra. Davanti a lui, una ragazza con un abito nero, forse una danzatrice sacra, danza con gesti innaturali. In mano tiene una calistegia. I due sono separati da un rivolo d’acqua.
La danzatrice è la donna che ritorna in tutto il romanzo, in tutte le vite e in tutti gli universi, riconoscibile dagli occhi allungati e neri, sacerdotessa in una delle storie di una divinità pagana. Il disegno illustra la vicenda: due amanti separati dal torrente, che probabilmente è la morte. Lei che porge a lui il fiore di calistegia che deve avere un significato simbolico forse di morte e rinascita spirituale.
Ogni vita, dato che il romanzo si avvita su se stesso e ogni volta il protagonista subisce la fascinazione degli occhi di lei, parte con lui chiuso in una stanza che subisce senza ancora saperlo il vuoto della mancanza di lei. Come un presagio. Poi lei si presenta.
La mia camera simile a una tomba si stava progressivamente restringendo e diventava sempre più buia, e la notte mi circondava con le sue ombre spaventose. Ero accovacciato davanti alla lampada fumosa che proiettava la mia ombra muta sul muro, la mia ombra che indossava la mia giacca di montone e la mia sciarpa.
Tornano come simboli l’ombra la giacca e soprattutto la sciarpa che tanto ricorda il movimento del serpente Naga.
E’ come se il serpente Naga prima di mordere la sua vittima la incantasse. E in effetti il vino di Rey della filastrocca contiene il veleno del serpente Naga. Tutta la storia si dipana e si ripete io direi nei secoli o in altri universi e chi scrive va indietro nel tempo per ritrovarsi sempre in una situazione simile.
Osservai la mia ombra sui muri percolanti umidità; era esile e delicata come dieci anni fa, quand’ero solo un bimbo. Sì, mi sovvenne che dieci anni or sono l’ombra si profilava identica su quei muri madidi di vapore. Osservai con attenzione il mio corpo, le cosce, i polpacci, la zona inferiore del ventre, una vista vanamente lasciva. Anche le loro ombre erano uguali a quelle di dieci anni prima, quand’ero fanciullo. Sentii che la mia vita era scivolata via proprio come quelle ombre erranti, quelle ombre tremule
La fascinazione parte da lei e dal corpo di lei (il serpente Naga) che cerca di avvolgere lui coinvolgendolo in un gioco di seduzione e morte, infatti la seduzione è non tanto allo scopo di un amplesso, ma di un amplesso come quello della mandragora in cui lui uccide lei, perciò anche se lei è la personificazione del serpente Naga alla fine del diciamo corteggiamento, lui diventa il serpente e uccide lei con un coltello per poi bere il vino di Rey, quello con il veleno del serpente Naga. C’è un continuo riavvolgersi della vicenda per cui il protagonista ricorda una vita precedente in cui però ci sono gli stessi personaggi.
Quand’ero sull’orlo di una crisi avvertivo un’inquietudine strana, un nodo che mi stringeva il cuore, momenti di tristezza e di angoscia come negli attimi che precedono un temporale. Il mondo terreno mi abbandonava e io mi trasferivo in un universo scintillante, lontanissimo dalla terra.
E’ come se un demone si impossessasse dell’uomo che si muta pure fisicamente in un vecchio con il labbro leporino. E una maledizione costringe l’uomo a descrivere la vicenda o dipingendola o scrivendola insomma riportandola in qualche forma artistica.
La morte mormorava quietamente la sua canzone, come un balbuziente costretto a ripetere due volte ogni parola, e che, appena giunto alla fine di un verso, debba ricominciare da capo. Il canto della morte mi penetrava la carne come il cigolio di una sega che stride e poi, improvvisamente, taceva.
Avevo il labbro leporino come il vecchio rigattiere. Non avevo più le ciglia, mentre un ciuffo di peli bianchi spuntava dal mio petto. Nel mio corpo era scesa una nuova anima.
Credo che la prima vicenda descritta nelle prime pagine del racconto descriva la fine della maledizione perché lui non si accoppia con lei, le dimostra un amore puro e le porge il vino di Ray come dono ignorando che esso contiene il veleno di Naga e poi la seppellisce utilizzando il coltello, ma non per ucciderla. E’ come se la maledizione fosse finita con l’inizio del romanzo e il parente- demone fosse stato liberato dalla sua schiavitù. Però questa è solo una mia interpretazione. Per cui il fiore di callistenia che la ragazza porge al vecchio satiro potrebbe essere il fiore dell’amore puro. Per cui alla fine della storia lui si libera del demone e il fiore potrebbe essere un simbolo di rinascita anche spirituale.
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Rinascita
Taro viene trovato in una scatola, assieme a un rametto di hozuki, appena nato in una freddissima giornata e viene salvato da Mitsuko, donna che aveva già abortito e lasciato il compagno che amava perché non voleva figli né una relazione stabile. Inspiegabilmente Mitsuko fa di tutto per tenere il bambino che è anche disabile, cioè sordo, fino a prostituirsi per mantenerlo. Il nome Hozuki significa anche menzogna. Un giorno una donna viene nella sua libreria con sua figlia e tra i due bambini nasce una intesa stupefacente. La storia è gradevole, fatta di dialoghi, piena di riservatezza giapponese e di significati legati alle parole e al modo di scriverle o disegnarle per cui una parola finisce per avere più possibilità di lettura a seconda di come è scritta. E’ come se ci fosse una storia scritta dentro le parole, nei nomi in particolare. Questo aspetto è molto interessante.
Attraverso i nomi e dietro i nomi c'è un destino e se c'è un destino c'è Qualcuno che pensa a noi, per cui è giusto che quello che si chiama hozuki e che significa letto in un certo modo menzogna significhi pure letto diversamente anche preghiera. E' come se Taro fosse nato per essere figlio della sua madre adottiva, per salvarla e permetterle di vivere, forse grazie alla preghiera della nonna.
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La fede
Il libro di Giobbe contiene il grido dell’uomo giusto abbandonato da Dio che alza al cielo la sua voce in quello che è un ibrido tra bestemmia e dolore. Giobbe chiede di vedere Dio e di parlarGli guardandoLo in faccia per avere non un rimedio ai suoi mali, ma una spiegazione. Infatti il male che colpisce l’innocente mina la fiducia nell’onnipotenza e nella giustizia di Dio, forse persino fa dubitare della Sua estraneità al male, oltre a togliere fiducia nella convenienza del bene (teoria retributiva).
In ogni caso, all’inizio della disgrazia di Giobbe c’è Satana che suggerisce proprio questo: Giobbe è tanto retto per una questione di calcolo, cioè perché conta sulla giustizia retributiva di Dio. Ma se Dio non lo ripagasse, sarebbe fedele allo stesso modo?
L’invidia dell’uomo che vuole tutto (Adamo ed Eva) è l’altra faccia della stessa medaglia della disperazione dell’uomo che perde tutto. Ma Giobbe pur nella disgrazia, pur invocando la morte non la cerca.
L’angoscia di Giobbe nasce dalla mancanza della mancanza, cioè dalla impossibilità di sottrarsi alla persecuzione del male e al suo eccesso. Il fatto che Dio diventi un nemico, svuota la vita di senso togliendole ogni valore. Infatti di tutte le disgrazie e i lutti che gli capitano, il peggiore è l’abbandono di Dio. Giobbe però non chiede perdono come gli consigliano gli amici, non ha mai dubbi sulla propria innocenza. Chiedere perdono di qualcosa che non ha fatto sarebbe venire meno alla verità. In nome della verità chiede conto a Dio del suo allontanamento. Non è Dio a dire “Dove sei?” come fece con Caino o Adamo, ma è Giobbe che dice a Dio: “Dove sei”. Infatti, per quanto ad Abramo fosse stato chiesto il sacrificio del figlio, aveva almeno potuto dialogare con chi lo pretendeva. E’ l’assenza la cosa peggiore per Giobbe.
Quando viene accontentato e vede Dio, Giobbe si converte prima di avere una retribuzione e indipendentemente da questa. Decide di fidarsi di Dio perché capisce che il rapporto con Dio non può contenere nessun tipo di calcolo. La fede di Giobbe disarma Dio placando la sua ira verso l’umanità infedele (così come farà quella di Cristo).
La risposta di Dio non risponde direttamente all’interrogativo sul significato della sofferenza. Essa resta un mistero. La sofferenza nasce dalla volontà di Dio e ha una finalità di bene che è incomprensibile alla mente limitata dell’uomo. La risposta di Dio è nella sua presenza. Dopo averLo visto Giobbe deve rispondere a quella presenza con la fede incondizionata, perchè la fede è tutto.
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Mio fratello
Un doppio omaggio al Bartleby di Melville e al fratello Bernard, la persona di famiglia migliore e più capace ma non quella che ha avuto più successo, sempre protettivo e tenero con il fratello Daniel , accomunato a Bartleby da una certa ritrosia. oltre che da reciproca simpatia. Un uomo Preferire di no di fronte al successo agli occhi di Daniel. Una figura mite e piena di fascino come Bartleby, che con Bartleby ora riposa tra re e consiglieri.
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