Opinione scritta da Fr@
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Un cold case per il vicequestore Schiavone
Manzini torna in libreria a poca distanza dalla sua precedente uscita (“Vecchie conoscenze”), e ammetto di esserne particolarmente felice. La conclusione del precedente romanzo mi aveva lasciato con tante domande a cui speravo di avere una immediata risposta: fortunatamente non abbiamo dovuto aspettare troppo tempo per leggere di Rocco Schiavone e delle rotture che gli si presentano quotidianamente.
In “Le ossa parlano” Rocco indaga su un crimine avvenuto anni prima, un crimine particolarmente efferato, che sconvolge nel profondo non solo il vicequestore. La morte di un bambino è un evento estremamente drammatico, se poi si ipotizza anche la violenza sessuale…
L’intera squadra verrà coinvolta nelle indagini per risolvere il “cold case”: Manzini approfondisce molto ciascun personaggio, ognuno ha i propri problemi, i propri pensieri e desideri. Mi sono sembrati tutti più maturi, più riflessivi, in alcuni casi anche più gentili (e non sono la sola ad averlo notato, anche lo stesso Rocco commenta: “Da quando Alberto frequentava Michela, aveva aperto uno spiraglio al resto dell’umanità, era gentile e a volte affabile”).
In questo romanzo abbiamo un Rocco addirittura più romantico se posso dirlo. Ma è un romanticismo “triste” quello che caratterizza il nostro vicequestore: una tristezza che permea non solo le sue relazioni amorose, ma anche le sue amicizie, i suoi affetti, i suoi ricordi e le sue speranze per un futuro che non potrà esserci (“I figli sono un’ipoteca, ti costringono a chiedere amore per tutta la vita, e spesso non te lo vogliono dare. Diventi un mendicante. Poi sono fragili, delicati, basta un niente e se ne vanno”).
“Le ossa parlano” non ha risposto a tutte le domande che avevo, e sicuramente me ne ha fatte nascere molte altre. Speriamo in una nuova indagine di Rocco a breve, ma, nel mentre, cosa vi posso dire se non “Buona lettura”? :))
“Se devo scegliere direi la natura. Ma quella ha regole troppo dure per gli esseri umani, ecco perché dobbiamo dare la colpa a qualcuno di averla creata.”
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Non bisogna accettare palloncini dai pagliacci.
Tre parole chiave per IT: psichedelia, terrore, speranza.
Quando ero piccola il pagliaccio di McDonald’s non mi piaceva, lo trovavo inquietante.
Non riuscivo proprio a capire perché i bambini volessero addirittura farci foto assieme, con un cartonato, un pupazzo o uno sfortunato ragazzo che ne doveva indossare il costume.
Poi ho conosciuto Pennywise, il Clown Danzante, e mi sono convinta che non avevo tutti i torti.
A parte gli scherzi, chi guardando la prima versione cinematografica o anche quella più recente non ha pensato a Ronald McDonald? Lo stesso Stephen King suggerisce la somiglianza all’interno del romanzo (“se tutto questo fosse avvenuto solo qualche anno dopo, George avrebbe certamente pensato a Ronald McDonald prima che a Bozo o Clarabella”).
Mi sono sempre chiesta il perché King abbia deciso di identificare forse la sua creatura mostruosa più famosa con un pagliaccio, ma sicuramente ci ha azzeccato. Molte persone hanno il terrore dei clown, quindi forse è quello il motivo. IT è capace di incarnare le nostre più profonde e terribili paure, per cui non mi sono sorpresa più di tanto quando compariva nel racconto sotto forma di un pagliaccio con i bottoni arancioni.
La lettura del romanzo è stata lunga, a tratti pesante. Ammiro chi è riuscito a leggerlo tutto in poco tempo, io ammetto che ho faticato, e tanto. Non fraintendetemi, IT è un classico del genere horror che a mio parere va letto prima o poi. Sicuramente è una delle opere più riuscite di King, e lo dimostra sicuramente il fatto che Pennywise sia entrato nell’immaginario comune (anche chi non ha letto il libro e/o visto uno dei film sa chi sia).
Ho interrotto più volte la lettura del romanzo perché avevo bisogno di una pausa, avevo bisogno di leggere altro. E’ forse la prima volta che mi capita, tendo a divorare i libri che inizio a leggere, ma con questo non ci sono proprio riuscita.
Detto questo, sicuramente lo consiglio. Non voglio dilungarmi sulla trama, mille pagine di romanzo sono piuttosto difficili da riassumere in una recensione.
Penso che leggerò ancora IT in futuro. Sono sicura che l’interpretazione che ho dato al racconto, a ogni singolo personaggio, al Maine (credo che a furia di leggere i racconti di King non vorrò mai andare in questo stato americano) saranno diverse in futuro. Interpreterò sicuramente in maniera diversa i concetti di amicizia, di promessa, di paura, tutti alla base di questo romanzo.
Allora, che dire se non “buona lettura”? :)
“L’odio era un novità. Il dolore era una novità. Sentirsi ostacolato nei proprio proponimenti era una novità. Ma al verità più terribile era quella paura. Non paura dei bambini, perché quella era una paura ormai passata, ma la paura di non essere solo”.
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Rimpiango Maigret
Importante ammissione: ho fatto fatica a concludere la lettura.
Non ho letto tanto di Simenon, qualche avventura del commissario Maigret, ma niente di più. Ho sempre apprezzato il suo stile, i suoi personaggi, così che quando mi è stato proposto questo romanzo non ci ho pensato troppo ad accettare.
Eppure, iniziata la lettura, terminare il primo capitolo si è rivelato complicato.
Estremamente lungo, non riuscivo a concentrarmi sulla storia.
Ed è stato cosi per tutto il romanzo in realtà.
Già nel primo capitolo incontriamo il protagonista, il grande attore francese Maugin che, arrivato a sessant’anni osannato dal pubblico e dalla critica, ripercorre la sua vita, dalla misera infanzia fino al raggiungimento della fama, presentando anche tre figure femminili che hanno segnato la sua vita.
E’ un attore con un ego sproporzionato, un forte amore per il vino e un problema al cuore da poco scoperto: si muove così in maniera goffa, senza sapere bene come comportarsi, nella piovosa Parigi fra colleghi, spettatori, assistenti e donne.
Più di questo purtroppo non riesco a dire, mi stupisce come Simenon ne fosse così orgoglioso (“Forse questo è il libro che i critici mi chiedono da tanto tempo e che ho sempre sperato di scrivere”). Possiamo considerarlo un romanzo psicologico, l’intento è sicuramente quello, ma manca di una trama, un filo conduttore. Il protagonista non mi ha lasciato nulla, cosa che invece mi aspetto da un romanzo, in particolare se incentrato sul personaggio principale, sui suoi pensieri e le sue emozioni.
Anche lo stile di Simenon mi è sembrato meno brillante, piatto, a volte ripetitivo, addirittura noioso.
Non so se effettivamente lo consiglierei, in particolare chi non ha mai letto nulla di Simenon dovrebbe evitarlo, giusto per non farsi una pessima idea di questo incredibile autore. Non posso dire che sia brutto, sicuramente esistono romanzi peggiori, ma nella carriera di Simenon forse questo non è il più riuscito.
Peccato.
Quindi, non posso dire altro che buona lettura (per chi volesse) :)
“Finalmente Biguet alzò la testa e guardò l’attore, che stava in piedi davanti a lui, monumentale, con la fisionomia che tutti conoscevano, la faccia larga, i lineamenti da imperatore romano, i grandi occhi, che per la stanchezza sembravano posare sulle cose uno sguardo immobile, e infine quella sua smorfia così particolare, che faceva pensare al tempo stesso a un mastino ringhioso e a un bambino felice”
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Ironia nello Studio Ovale
Ho iniziato a leggere questo libro in un momento estremamente delicato per gli Stati Uniti: le MidTerm Elections sono ormai alle porte e il popolo americano è chiamato a votare, un voto che mostrerà il consenso o meno per ciò che Trump ha fatto in questi due anni di presidenza.
Ancora mi ricordo quando è stato annunciato che il nuovo presidente di una delle più grandi potenze mondiali era proprio il magnate a cui a inizio campagna elettorale nessuno dava fiducia.
Eppure Trump si è insediato nella Casa Bianca, ha preso posto nello Studio Ovale, in quello studio che fino a poco tempo prima aveva ospitato per ben otto anni il primo presidente afroamericano degli USA.
Il saggio parla di Obama, ma Obama non è il protagonista: come specifica il sottotitolo abbiamo tra le mani delle memorie e il protagonista effettivo è proprio l’autore, David Litt, poco conosciuto, abituato a stare nell’ombra, dietro il sipario, ma comunque considerato uno dei più importanti scrittori di discorsi per il presidente. David Litt è stato definito dalla stampa “la musa comica del presidente”, colui che ha riempito di battute argute, ironiche, efficaci, molti dei discorsi di Obama, collaborando già dal lontano 2009.
La comicità impregna ogni pagina, non a caso in copertina possiamo leggere come lo stesso Litt definisce le sue memorie “semiserie”. Tuttavia, dietro la comicità, possiamo comprendere la grande dedizione di Litt per il suo lavoro: Litt ha preso parte all’amministrazione Obama, ha dedicato buona parte della sua vita a ciò, ma soprattutto ci ha creduto fermamente, dedicando anima e corpo alla promozione di Obama già dalla prima campagna elettorale.
E’ particolarmente interessante come Litt sviluppa l’intera opera: Obama compare rare volte nel corso della storia, più come un ospite che come un protagonista. Litt si concentra nel presentare la struttura dell’amministrazione Obama e per spiegare l’assenza del presidente fa un riferimento a Star Wars. Questo tipo di riferimenti sono presenti in tutto il racconto e vorrei in particolare complimentarmi con il traduttore che è riuscito con la sua traduzione e le sue note a mantenere il tratto comico del saggio: chapeau, compito davvero arduo ma passato a pieni voti!
“Grazie, Obama” segue l’ascesa di Litt, da semplice studente sognatore, appena convertitosi alla fede Obama (un vero Obamabot come si definisce) a nervoso e ironico autore dello staff senior della Casa Bianca. C’è un capitolo che segna questo passaggio: le re-elezioni di Obama segnano la promozione di Litt, il tono del saggio cambia leggermente, adattandosi a questo suo nuovo ruolo, cambiamento che si avverte anche nei toni dei discorsi scritti per il presidente.
Vale la pena leggere “Grazie, Obama”: si capisce che Litt ha sempre preso con grande serietà il suo lavoro, ma non si è mai preso sul serio: è proprio questa autoironia che rende tanto piacevole la lettura. Unica nota negativa, di sicuro non così grave, è che non conoscendo tutti i componenti dell’amministrazione Obama o di diversi soggetti citati durante il racconto, ho dovuto spesso ricorrere a internet per chiarirmi le idee.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Obama non lottava semplicemente per il cambiamento. Obama era il cambiamento. Era al tempo stesso il messaggio e il messaggero. Un conto è seguire un profeta che parla appassionatamente di terra promessa. Un altro, e ben diverso, è unirsi a lui quando separa le acque. Date le circostanze, sembrava egoistico non diffondere la parola. Da un giorno all’altro i miei amici si ritrovarono a vivere con un evangelista, un Testimone di Obama che non si preoccupava della tua anima ma voleva disperatamente il tuo voto”.
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Un viaggio nel passato per capire chi siamo
Nella Bologna degli anni Ottanta (che sembrano così vicini e così lontani allo stesso tempo) Tommy Bandiera cresce con la mamma Alice dopo la morte del padre. L’infanzia trascorre con la mamma, la nonna, gli zii, in particolare l’avventuroso zio Ianez (un nome, una garanzia), i giochi e le gare in bici con gli amici - fratelli Athos e Selva fra cortile e parrocchia, e le prime relazioni con le coetanee, in particolare con Ester, conosciuta per un caso particolare al cinema.
Di Ester, bella e impossibile, si invaghisce anche il nuovo arrivato a scuola Raul, che sarà per Tommy una vera propria nemesi ma anche un modello di vita irraggiungibile. L’adolescenza alle superiori, vissuta nel tentativo di capire chi si è e cosa fare nella propria vita, vede protagonista questo triangolo, assumendo così il racconto le tendenze a essere quasi una educazione sentimentale, iniziata con la giovane età del protagonista e terminata nell’estate dei diciotto anni.
“Tu che sei di me la miglior parte” edito da Mondadori è un romanzo corposo, da non sottovalutare leggendo la trama, il titolo o osservando la copertina. L’autore Enrico Brizzi, noto ai più per “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” realizza un incredibile dipinto dell’Italia anni Ottanta e Novanta, gli oggetti, i luoghi, le abitudini. Per me che non ho vissuto quegli anni è stato un vero viaggio nel tempo, come se invece li avessi provati sulla mia pelle: non riesco nemmeno a immaginare cosa possa essere la lettura di questo romanzo per chi come Tommy ci è nato, cresciuto, vissuto.
Ma il romanzo è più di una semplice presentazione di chi eravamo una trentina di anni fa, è davvero molto di più. Accompagnando Tommy in tutta la sua infanzia possiamo quasi considerarlo un vero romanzo di formazione, a tratti dolce e a tratti spietato…. Un po’ come è la vita.
Infatti l’autore ci fa vivere in prima persona, un’altra volta per molti lettori probabilmente, tutte le avventure, i problemi, i sentimenti che abbiamo dall’infanzia fino all’adolescenza. Ci fa scoprire come se fosse per la prima volta cosa è l’amicizia, la fiducia, l’amore, il sesso, le feste, la necessità di stare soli e capire cosa fare e cosa essere. L’autore ci racconta cos’è la vita, che, purtroppo o per fortuna non è mai bianca o nera, ma piena di sfumature, tutte diverse.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
"Sedevamo sull'erba a due passi dal laghetto, e mentre mangiavo il mio trancio di pizza non potevo levare gli occhi di dosso a Ester. Ogni suo gesto esprimeva la fierezza diuna giovane donna che comincia ad aprirsi la strada da sola. Mi faceva pensare a sua madre, così come mi era apparsa la prima volta; ormai la bellezza dell'una era quella dell'altra, e mi dissi che appartenevano a unaspecie rara e speciale, una stirpe di creature mandate sulla terra a far sognare e disperare gli uomini".
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Soffrire per essere liberi: ne vale la pena?
Questo romanzo è un pugno allo stomaco.
259 pagine divorate, lette più e più volte per cercare di capire ogni parola, ogni frase.
Letto un capitolo passavo immediatamente al successivo, ma più volte mi sono fermata nel mezzo della lettura per tornare indietro e rileggere un passaggio. Questo romanzo è violento, diretto, ti apre gli occhi.
“L’animale femmina” è il romanzo d’esordio di Emanuela Canepa, vincitrice con la sua opera del premio Calvino 2017, il premio italiano più importante assegnato ai nuovi autori. Seguiamo la vita di Rosita, studentessa fuggita dal suo paese e dal controllo della madre, fuori sede e fuori corso a Padova. Le prime pagine ci mostrano una ragazza che cerca di concludere qualcosa nella sua vita ma il lavoro al supermercato non ha fatto altro che rallentare il suo percorso di studi in medicina e non l’aiuta a vivere serenamente e decentemente. In più, l’unico uomo che frequenta è sposato e, quando va bene, lo vede una volta al mese.
Per questo, l’incontro alla vigilia di Natale con l’avvocato Lepore che le offre un posto di lavoro nel suo ufficio legale come segretaria part – time le sembra quasi un sogno. Non ha capito che invece si tratta di un incubo. Lepore inizia ben presto a esercitare una “sottile” manipolazione psicologica nei confronti della giovane, tormentandola con discorsi sempre più misogini.
Nel mentre seguiamo anche la storia di due ragazzi alla fine degli anni ’50, inizio anni ’60:Ludovico e Guido sono giovani, vorrebbero vivere una vita spensierata ma devono presto affrontare i doveri (e i dolori) della vita adulta.
Questa breve descrizione non rende giustizia alla complessità del racconto. Anche i personaggi sono estremamente complessi, ma sono veri. L’autrice è riuscita a caratterizzarli in maniera impeccabile per quanto riguarda i loro pensieri e le loro azioni.
Rosita è una donna complessa di cui ho apprezzato alcuni comportamenti e di cui non ne ho compresi altri. E’ una ragazza che soffre a causa di una madre oppressiva, di un amore impossibile ma che la fa stare bene (“Il problema tra di noi è che non esiste nessun spazio di negoziazione. Non ci sono occasioni per smussare gli spigoli, o provare a costruire una rete di cura per i bisogni dell’altro. Ogni volta è come se fosse la prima, si ricomincia da capo, due perfetti sconosciuti che devono imparare tutto l’uno dell’altra. Magari è anche per questo che continua a piacermi tanto. Forse la chimica e l’intimità sono inversamente proporzionali”), per gli studi arretrati, per non riuscire ad arrivare a fine mese… ma nel corso del romanzo subisce una vera metamorfosi: stranamente una scelta sbagliata si rivela la migliore per imparare a essere libera.
Per descrivere l’avvocato Lepore vorrei usare una parte di intervista alla stessa autrice, che lo dipinge cosi: “L’avvocato Lepore è un uomo ombroso e cinico, innamorato della sua visione del mondo sulla quale non ammette contraddittorio. Pensa male di tutti, non ha stima per nessuno, il suo unico piacere è catalogare gli individui. Ma gli uomini lo interessano meno. È sulle donne soprattutto che riversa la sua insoddisfazione e la sua smania aristotelica di classificatore”.
Lo stile del romanzo è semplice, mai pensante nonostante un lessico ricercato, mai banale. Alcune frasi sono vere e proprie perle che ho letto più volte per poterle comprendere al meglio: “Non importa se stai bene o male, se sei infelice o pensi a te come un miserabile senza speranza. A livello cellulare il ciclo di riproduzione si svolge per tutti allo stesso modo. A livello cellulare l’inadeguatezza non è codificata”.
Il romanzo potrebbe apparire a una lettura superficiale come un libro femminista, pro – donna e contrario al maschilismo. Non è (solo) questo, è molto, molto di più. E’ una indagine psicologica della mente femminile ma, come scoprirete leggendolo, anche maschile. Terminato il romanzo ho pensato che la conclusione fosse stata troppo rapida, ma in realtà non avrei potuto immaginare un finale diverso.
Spero presto di leggere una nuova opera di questa autrice, merita davvero. Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Capisce cosa significa desiderare, commutare la fantasia in atto, riversarla sul corpo, integrarla nelle percezioni. E gli si rivela il senso dell’ossessione, l’esigenza della pelle. Lo appaga il vigore delle fasce muscolari tese sotto le sue mani, le venature dei tendini affilati al posto della carne morbida che affonda, e che è l’unica pratica di un corpo diverso dal suo che ha fatto fino a quel momento. E’ un impulso violento, una colluttazione. Ludovico è dominato dall’ossessione di sperimentare, stringere e mordere, mettere alla prova il vigore del corpo che fa male, fa bene, si contrae, si contorce”.
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Un vita ingegnerizzata
Immaginatevi a letto, desiderosi di leggere qualche pagina del romanzo che vi sta tanto appassionando e che vi ha aspettato tutto il giorno sul comodino. Vi state pregustando il momento in cui inizierete a sfogliare le pagine del libro quando, all'improvviso, la lampadina si fulmina. Vi disperate, non potete più leggere. All'improvviso vedete muoversi per la stanza una luce. In quel momento vi ricordate che il vostro gatto si illumina al buio e che potrete gustarvi la lettura del vostro libro mentre coccolate il vostro amico felino.
No, non sono impazzita. I gatti luminosi esistono: ne è la dimostrazione Green Genes, gatto di New Orleans che si muove per le strade della città emettendo luminescenza. E già ha avuto un figlio, Kermit, capace di fare lo stesso.
Green Genes emette luce verde perchè in ogni cellula del suo corpo è stata inserita una piccola porzione di DNA di una medusa. Questa è una delle tante attività dell'ingegneria genetica. Attività che potrebbe suscitare stupore, addirittura rabbia e paura: perchè mai l'uomo dovrebbe fare una cosa così? Cosa stanno facendo gli scienziati con queste creature? Si stanno divertendo a giocare a essere Dio? Non direi. Forse lo dico perchè sono molto di parte ma i biologi e i biotecnologi non conducono questi esperimenti per manie di grandezza ma il più delle volte per aiutare.
L'autrice Emily Anthes spiega al lettore come l'ingegneria genetica, in particolare sugli animali, possa sembrare assurda, pericolosa ma in realtà questa ci permette di clonare specie che rischiano di estinguiersi, installare protesi in soggetti con problemi di motilità e curare malattie genetiche.
Potremmo fare un discorso anologo anche per le biotecnologie vegetali e i cosiddetti OGM: ne abbiamo tanto sentito parlare, il più delle volte in negativo. Eppure recenti dati di analisi confermano che anche le biotecnologie vegetali hanno aiutato la popolazione mondiale.
Questo saggio (e lo stesso vale per questa recensione) non cerca di convincere il lettore, in particolare se scettico e contrario alle biotecnologie, a ricredersi, ma semplicemente lo guida in un mondo ancora poco conosciuto ai più, quasi fantascientifico, che può piacere o meno, ma che sicuramente sta acquistando sempre maggiore importanza nella nostra vita.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
"Ma anche se non sentite un particolare affetto per le creature con cui condividiamo questo pianeta, la riprogettazione degli animali ci tocca tutti quanti, perché ci fornisce uno sguardo sul futuro, sul modo in cui potremmo fortificare o modificare la razza umana. Soprattutto, questi esperimenti rivelano quanto ormai siano intrecciate le vite degli esseri umani e non umani, quanto siano legati i nostri destini. Intraprendenti scienziati, imprenditori e pensatori stanno lavorando a progetti in grado di modificare il futuro collettivo".
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Dublino Rosso Sangue
Ho una confessione da fare: ho faticato tanto a completare la lettura di questo romanzo.
Ho letto tanti gialli, ne ho recensiti altrettanti. Tuttavia, per questo poliziesco faccio fatica a trovare le giuste parole. Ho impiegato più tempo del previsto per concludere la lettura; a mia giustifica potrei dire che il romanzo è davvero corposo (624 pagine) ma so che sarebbe una mezza bugia.
In questo romanzo pubblicato nel 2016 ma arrivato in Italia solo ora seguiamo le indagini di Antoinette Conway e del suo partner Stephen Moran, investigatori della squadra omicidi d Dublino. Nettamente isolata all’interno di una squadra prettamente maschile e maschilista, la detective deve indagare su quello che sembra l’ennesimo caso di una lite tra innamorati finita male.
La vittima si chiama Aislinn Murray, trovata morta in casa. Bionda, molto carina, una fine terribile: qualcuno le ha tirato un pugno e cadendo la donna ha sbattuto la testa contro il caminetto. Immediatamente le indagini sono dirette verso Rory Fallen, con il quale la giovane aveva un appuntamento quella sera. La cena che la giovane stava preparando, la casa preparata nel migliore dei modi fanno pensare a una cena romantica terminata nei peggiori dei modi. Il ragazzo si difende, sostiene che nessuno gli ha aperto la porta quando è arrivato e ha deciso di allontanarsi dalla casa, triste per la delusione d'amore. Nessuno gli crede, nemmeno il detective Breslin, incaricato dal capo della sezione di seguire i due nelle indagini. Anzi, il detective sembra intenzionato a chiuderle il prima possibilei, sicuro che il giovane stia mentendo. Ma è davvero così?
In questo romanzo scritto in prima persona, il racconto delle indagini si intreccia con la storia e la vita della giovane protagonista. Normalmente mi piacciono i racconti in prima persona e tendo a provare una naturale simpatia per i detective dei gialli che leggo. Ammetto però che ho avuto grandi difficoltà ad apprezzare la detective Conway. Forse è proprio per questo che ho avuto bisogno di un po’ di tempo per completare la lettura. Non riuscivo a stare dietro ai suoi discorsi, ai suoi pensieri, molto spesso mi sembrava sapesse solo lamentarsi e arrabbiarsi. Paranoie più che giustificate data la squadra in cui si è trovata a lavorare, eppure a volte mi sembrava solo autocommiserarsi, piangersi addosso, o addirittura trattare male l’unica persona che in quella squadra vorrebbe aiutarla.
Alla fine sono comunque riuscita a completare la lettura e il romanzo nel complesso è un bel poliziesco. Probabilmente ho apprezzato particolarmente più le descrizioni della città di Dublino che la storia in sé. Una città affascinante e crudele allo stesso tempo, con tanti scheletri da nascondere nell’armadio.
Che dire ancora se non “Buona lettura?” :)
“La Omicidi non è come le altre squadre. Quando funziona bene ti toglie il fiato: precisa e feroce, agile e svelta, è il balzo di un grosso felino, o un fucile così perfetto che praticamente spara da solo. (…) Quando sono riuscita ad entrare in squadra le cose erano già cambiate. Il livello di stress adesso è più alto e l’equilibrio interno è cosi delicato che bastano poche teste nuove per spostare tuto: trasformare il grosso felino in un animale indisciplinato e nervoso, far inceppare il fucile in modo che prima o poi ti scoppi in faccia. Io sono arrivata nel momento sbagliato e sono partita con il piede sbagliato”
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Un viaggio nel tempo... nel presente.
Premessa: purtroppo non ho mai letto molto di fantascienza. Un po' me ne pento, ma per una ragione o per un'altra, non ho mai avuto davvero l'occasione di dedicarmi a questo genere letterario.
Per questo, quando spulciando tra gli scaffali in biblioteca ho trovato questo libro di fantascienza, all'inizio ero molto titubante. E invece ora non mi pento di questa lettura, per niente.
Un classico tema nel mondo della fantascienza è, a mio parere, il viaggio nel tempo, magari per cercare di cambiare il proprio destino. Niente di nuovo su questo per quanto riguarda "Tutti i nostri oggi sbagliati". Eppure, allo stesso tempo, il romanzo è estremamente nuovo, già nelle prime pagine in cui il nostro protagonista si presenta (o meglio, confonde ancora di più le idee al lettore con tutti i suoi discorsi, inizialmente senza senso).
Tom Barren, il nostro uomo, è un personaggio a cui vi affezionerete sicuramente. La geniale idea di usare la prima persona da parte di Elan Mastai, autore del romanzo, fa sì che si costruisca un legame sentimentale con il protagonista mano a mano che la lettura procede. Tom vive in un 2016 che non è il nostro 2016, ma il 2016 come gli uomini e le donne pensavano sarebbe stato negli anni '50. In questo alternativo 2016 tutto è perfetto grazie al Motore di Goettreider che sfrutta la rotazione costante del pianeta permettendo così di avere un quantitativo illimitato di energia. Sembrerebbe tutto incredibile; non è così per Tom che in quel 2016 si sente inadeguato ma nel nostro disastroso mondo si sente realizzato. Infatti s'innamora, è felice, si costruisce una famiglia. E per di più non si sente disprezzato dal padre, il creatore del Motore di Goettreider.
Tom si trova davanti a un importante dilemma da risolvere, dilemma su cui si basa l'intero romanzo: cosa dovrebbe fare Tom? Rimanere nel nostro 2016, essere felice danneggiando così l'intero mondo o tonare nel suo 2016, tornare alla sua vita disastrosa assicurando all'umanità un mondo perfetto?
Per scoprirlo non posso che dirvi: Buona Lettura! :)
“Dunque, il fatto è questo: io vengo da un mondo che avremmo dovuto avere. Il che per voi non significa nulla, ovviamente, visto che vivete qui, in questo schifo di mondo che invece abbiamo”.
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Omicidi ieri, sangue oggi
Ci sono lavori che non avrei mai potuto fare: il chirurgo, l’infermiere, il macellaio… e direi anche il giornalista di nera. Perché io, a differenza dei due protagonisti di questo nuovo thriller tutto italiano, non potrei mai e poi mai avere “nostalgia del sangue”.
“Nostalgia del sangue” è un romanzo giallo-noir-thriller scritto da due autori italiani che si celano dietro lo pseudonimo di Dario Correnti. Quindi il lettore non solo è posto davanti al terribile caso che sta sconvolgendo la zona della Bergamasca, ma è anche desideroso di capire chi siano questi due scrittori che vogliono rimanere nell’ombra.
Il protagonista del romanzo è il giornalista Besana: non più nel fiore dei suoi anni, ormai prossimo alla pensione, si ritrova a scrivere del suo ultimo caso, forse uno dei peggiori di tutta la sua carriera. Un serial killer (solo uno?) ha iniziato a mietere vittime ispirandosi al primo serial killer italiano, Vincenzo Verzeni, studiato anche da Lombroso. Verrà accompagnato nelle sue indagini da Ilaria Piatti, giovane (ex) stagista da tutti soprannominata “Piattola”, che dietro il suo atteggiamento goffo e impacciato, nasconde un passato che l’ha segnata per sempre.
Il libro è molto interessante. Molto lungo (535 pagine), si legge abbastanza velocemente, alternando capitoli incentrati sul presente, sempre piuttosto corti, a capitoli che raccontano di Verzeni e i suoi omicidi compiuti alla fine dell’800. Sono rimasta affascinata da questo alternarsi di passato e presente che in realtà si fondono tra loro, in una storia avvincente che ti spinge a continuare la lettura.
Alla fine ci si affeziona anche ai due protagonisti, due “investigatori” quasi per caso. Besana è un uomo che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro, sacrificando anche la sua vita privata. Per quanto riguarda Ilaria, l’unica cosa che vi posso consigliare è scoprirla leggendo il libro.
Quindi che dire se non buona lettura? :)
“Chissà perché gli occhi di una persona sono l’unica parte del corpo che non cambia mai. Te li porti dietro dall’infanzia alla vecchiaia, e mentre tu cerchi di reinventarti, cancellarti e rinascere, loro rimangono sempre uguali. Sono il tuo passato e il tuo futuro, e quell’espressione è l’unica costante su cui puoi contare, il resto si perde o si trova”.
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La fine di un amore può essere l'inzio di una vita
Premessa: non ho mai letto nulla di Susanna Casciani prima di questo libro; l’autrice è conosciuta al popolo di Facebook per la sua pagina “Meglio soffrire che mettere in un ripostiglio il cuore”.
Se non avessi per caso letto una pagina del romanzo perché condivisa da un amico sul famoso social network probabilmente non mi sarei mai né interessata né avvicinata a questo romanzo.
L’amore della nostra vita ci ha appena fatto capire che non ci ama più. Non lo dice ad alta voce ma è sufficiente un movimento del capo, un tremore delle mani, le lacrime che iniziano a riempire gli occhi a farci capire che è finita. Quello che sembrava un amore senza fine si conclude cosi, una mattina di primavera, e il mondo sembra crollare sotto i piedi di Anna.
Anna è la protagonista di questo breve romanzo (178 pagine scritte a caratteri piuttosto grandi): seguiamo le ore, i giorni, le settimane a seguito della fine della relazione di questa giovane donna, che si sfoga, si confida a un diario, che in realtà è come se fosse Tommaso, il suo ex, a cui continua a parlare, a confidarsi.
Nel corso del romanzo vediamo l’evoluzione di questa donna, con tutti i suoi pensieri, i suoi complessi, le sue preoccupazioni, le sue ansie e i suoi timori (ne ha davvero tanti). Potrebbe sembrare pesante (e un po’ cosi lo è stato per me all’inizio) ma poi mi sono ritrovata a sorridere quando lei era felice, ad arrabbiarmi quando lei si infuriava per qualcosa, a piangere (un paio di lacrime mi sono scese) quando ripensa all’amore che ancora prova per Tommaso.
La scrittura è piacevole, accattivante, veloce: si capisce che l’autrice sia abituata a scrivere sui social network per cogliere immediatamente l’attenzione del lettore. Ho divorato questo romanzo: data la sua brevità lo si riesce a leggere anche in meno di una giornata. Ogni pagina ti spinge a continuare la lettura, a leggere il capitolo successivo, che comunque sarà breve come quello precedente (se non sbaglio il capitolo più lungo si aggira intorno alle cinque, sei pagine).
Chi ha sofferto per una delusione amorosa troverà molta affinità con Anna: chi ne è uscito più forte di prima leggerà la storia ricordandosi i brutti momenti e come ne sia riuscito ad uscire; chi ancora non vede la luce in fondo al tunnel imparerà che è possibile riprendersi, credere di nuovo in sé stessi, iniziare una nuova vita. Perché in effetti è questo che accade quando finiamo una relazione: bisogna iniziare un nuovo percorso, questa volta soli. Ma non è detto che non riusciremo a continuare a camminare, anzi.
Detto questo, che dire se non: buona lettura? :)
“Non giustificarti con nessuno per i tuoi occhi gonfi e per i tuoi capelli spettinati. E’ faticoso amare senza essere amati. E’ logorante ricordare sapendo che a un certo punto la storia s’interrompe. Accetta di buon grado le carezze silenziose e gli abbracci timidi. Rifuggi l’arroganza e la presunzione. Smetti di chiedere scusa per tutto quello che sei e che non sei”.
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quando la neve si tinge di "giallo" (o di "rosso"?
La neve può piacere o meno, ma il bianco che si posa sui tetti e sulle strade non può che suscitare un senso di candore, purezza, calma. Questo però se la neve cade su tetti e strade: se la neve copre totalmente il corpo di una giovane donna, di sicuro non suscita queste emozioni. Anzi.
Il nuovo libro di Arno Saar, aka Alessandro Perissinotto, inizia con il ritrovamento di un cadavere nella zona dei vecchi baraccamenti di Tallinn. Marko Kurismaa, commissario di polizia, è chiamato ad indagare sulla morte della giovane. L’indagine è resa difficile dalla neve che sembra non voglia far trovare alcun indizio o alcuna traccia.
Tallinn descritta da Perissinotto potrebbe essere paragonata quasi a una grande metropoli come New York, con una zona ghetto, luogo del ritrovamento: “Niente nomi, soltanto uno squallido numero. Marko non conosceva troppo bene quella zona e neppure la amava. Lo faceva soffrire lo stato di abbandono in cui erano state lasciate quelle costruzioni che, in fondo, erano un pezzo di storia di Tallinn”. Mi sono chiesta perché un autore italiano dovesse crearsi un alter ego estone per scrivere gialli ambientati in questa terra fredda. Sul retro della copertina l’autore commenta così: “Una parte di me aveva ancora una gran voglia di scrivere gialli, quella parte di chiama Arno Saar”.
Infatti, questo è il secondo romanzo con protagonista il commissario Marko Kurismaa e di ciò me ne sono resa conto durante la lettura del testo quando in una nota a piè di pagina si fa riferimento al libro precedente “Il treno per Tallin”. Sono intenzionata a leggerlo però ammetto che non lo farò in tempi brevi. La lettura di questo romanzo è stata per me piuttosto difficile. Ho letto gialli di autori italiani, scandinavi, americani. Ognuno ha un proprio stile ma nel complesso, a seconda della nazionalità, gli scrittori un po’ si assomigliano. Non a caso molto spesso si dice che i gialli scandinavi sono cupi e i loro protagonisti lo sono altrettanto. In “La neve sotto la neve” ho quasi visto un tentativo di imitazione, piuttosto forzato, di questo stile. Il libro in sé non è per niente male, ma questa sensazione mi ha accompagnato per tutta la lettura.
Proverò di sicuro a leggere altri romanzi di questo autore, romanzi però scritti “con il suo vero nome”, in modo da cercare di capire effettivamente quale sia il suo stile. Detto questo, è un romanzo che comunque suggerisco: l’Estonia ha una storia piuttosto travagliata, che sarebbe interessante approfondire.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Il mare che circondava la penisola di Kopli quel mattino era di metallo; era d’acciaio e di piombo, a seconda di come la poca luce che filtrava dalle nuvole spesse, ne colpiva la superficie liscia, priva di increspature. […] Dietro al cumulo si vedeva il fianco di una delle case di legno semiabbandonate che rendevano quel posto uno dei più tristi di tutta Tallinn”.
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I batteri: un universo tutto da scoprire.
Se vi dicessi “batterio” cosa vi verrebbe in mente?
Normalmente il termine rimanda sempre a qualcosa di negativo: malattia, sporcizia… ho davvero provato a fare questa domanda a molte persone e ho sentito le più diverse opinioni.
Eppure la scienza lo conferma: non tutti i microbi vengono per nuocere.
La frase è il sottotitolo di questo interessante saggio scientifico scritto da Rob Knight, uno dei pionieri del “American Gut Project”, il progetto di mappatura del microbioma intestinale.
Andiamo con ordine: cosa significa mappatura? E soprattutto, cosa significa microbioma?
Il microbioma intestinale è l’insieme dei batteri che troviamo nel nostro intestino, quello che fino a poco tempo fa si conosceva come “flora batterica”. Mappare significa tentare di fare una “ricostruzione” (mi scuso con tutti gli scienziati per questa definizione cosi grossolana). In particolare, la metagenomica è un settore della biologia (della genetica/genomica più precisamente) che prevede l’uso di tecniche genomiche moderne, impiegate per studiare comunità microbiche direttamente nel loro ambiente. Nel caso del microbioma umano, l’ambiente siamo noi.
Recensire un saggio scientifico su un tema così interessante (ammetto che ho iniziato a leggere questo saggio per studi) è complicato. Il mondo dei batteri è cosi vasto e ancora così poco conosciuto che possiamo spaventarci (molto spesso anche inutilmente). In più può portarci a fare molte domande.
Questo saggio risponde a tutte le domande che chi non ha mai avuto una formazione scientifica approfondita può porsi. Inoltre è un piacere da leggere anche per chi invece già conosce l’argomento.
Infatti il saggio appartiene alla collezione pubblicata da Rizzoli riguardo le conferenze TED: marchio di conferenze statunitense che, annualmente, affronta argomenti di cultura differenti offrendo ai grandi cultori di un determinato argomento la possibilità di presentarlo a un vasto pubblico.
E’ un saggio molto breve (sono solo 116 pagine) e include anche diverse immagini: si tratta di una piacevole lettura “differente” che permette ai più di avvicinarsi a un argomento di interesse sempre più attuale (sembra che sono proprio i nostri batteri intestinali che possono essere responsabili di alcuni nostri comportamenti, di alcune malattie ecc). Ma ricordate: non esistono solo i batteri intestinali. Ci sono anche i batteri sulla nostra pelle. Il saggio non si dimentica di loro e con estrema semplicità affronta tutte le comunità batteriche che ospitiamo. Quindi, che dire se non "buona lettura”? :)
“Ma quanti microbi ospitiamo? Considerate che il corpo umano è composto da dieci trilioni (dieci mila miliardi) di cellule: ecco, le cellule microbiche disseminate dentro e su di noi sono almeno dieci volte tante. Il che, in pratica, significa che noi non siamo noi”.
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E'davvero come sembra?
Estate 1993. Irene viene trovata morta dopo giorni di intense ricerche. Una giovane vita spezzata nei peggiori dei modi. Uccisa, e il suo corpo sembra essere stato vittima di crudeli violenze.
Chi avrebbe potuto compiere tali atrocità? Chi avrebbe potuto voler fare del male a una giovane tanto amata e ben voluta? Bella, intelligente, una vita perfetta davanti.
Ma è davvero così?
“La ragazza sbagliata” è un noir italiano con protagonista Dario Corbo, giornalista divenuto famoso negli anni ’90 per i suoi articoli sulla morte di Irene e che anni dopo si ritrova, per necessità di soldi soprattutto, a scrivere un romanzo sulla ragazza accusata dell’omicidio di Irene.
Nora Beckford, il suo caschetto nero alla Uma Thurman in “Pulp Fiction”, il collarino nero e le Dr. Martens.
Nora Beckford che “non era mai passata del tutto inosservata. Aveva intorno una certa aura di privilegio, si capiva che era diversa […] Quando ti degnava di uno sporadico sguardo, sembrava stesse sempre per dire >”
Tutte le vicende, nel passato e nel presente, avvengono in Versilia, descritta dall’autore del romanzo in una intervista come “un microcosmo che ti permette di passare dall’orizzontale, il mare, al verticale, le montagne, in tre chilometri e la visione del mondo si ribalta”. Tutta la storia viene raccontata in prima persona da Dario Corbo, giornalista caduto in disgrazia, che sotto la guida di una donna magistrato, Lavinia Monforti, indaga anni dopo per capire se Nora ha passato 15 anni in carcere per un errore.
Allora, per prima cosa devo ammettere che ho fatto fatica a concludere la lettura del romanzo. Non perché la storia non sia interessante, al contrario. L’indagine dal punto di vista di un giornalista è una scelta molto particolare. Siamo abituati a seguire i casi di detective, poliziotti… In questo caso abbiamo un giornalista che, desideroso di fare carriera, farebbe di tutto per trovare la “notizia”.
Forse è proprio per questo che ho avuto difficoltà a terminare la lettura. Direi proprio a causa di Dario Corbo. Dalle prime pagine, non solo non mi sono affezionata al personaggio, ma ho proprio sentito una vera repulsione. Non mi capitava da molto per il protagonista di un romanzo.
Non ho mai parteggiato per lui, non ho mai provato pietà per le situazioni in cui si è trovato (l’assenza di soldi, la separazione dalla moglie, il rapporto con il figlio…).
Tra i personaggi, forse ho apprezzato maggiormente nella sua presentazione generale Lavinia Monforti, il magistrato, “una rossa dal cuore nero”. Donna forte e sicura di sé, non esita a mettere in difficoltà Dario Corbi con i suoi discorsi e le sue congetture: “Lo chiami horror vacui – continua – O se vuole anche quell’idea fissa, tipicamente maschile, che un buco esista soltanto per infilarci qualcosa. Ecco, quando le risposte certe non ci sono, arriva la smania di trovarne una purché sia. Anche se infilare la tua verità in quel buco è solo un atto di violenza. E’ così che funziona, mi dia retta”.
A parte il mio scarso amore per il protagonista, conclusa la lettura, posso dire che l’ho apprezzata.
E’ un giallo italiano che si legge volentieri. L’autore Giampaolo Simi ha uno stile piacevole, con numerose frasi che mi hanno costretto a interrompere la lettura per pensare.
Ho avuto solo alcune difficoltà all’inizio per capire i continui salti temporali, dai giorni nostri agli anni ’90. Ma già dopo le prime pagine ci si adatta velocemente allo stile del romanzo.
Quindi, che dire se non “Buona lettura”? :)
“Provo tenerezza per gli oggetti concepiti per non diventare mai antichi, ma solo decrepiti, molto presto. Mi chiedo se le storie che chiamiamo, per semplicità, d’amore, non possano avere un destino simile. Prima sono il futuro, ma quando qualcos’altro ce le fa sembrare obsolete, a che servono? Non resta che liberarsene e dimenticarle il prima possibile”
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Più di quindici minuti di celebrità
Labbra rosse, ombretto turchese, capelli giallo canarino: la Marilyn di Andy Warhol non potrebbe essere più appariscente e teatrale. Femminile, sensuale, il neo all’angolo della bocca è il marchio distintivo. Eppure la bocca dell’attrice è quello che il filosofo e critico Roland Barthes ha definito “punctum” cioè “l’aspetto che colpisce (e che tocca anche nel profondo)”. Infatti, come spiegato in questa breve biografia fumettistica di Andy Warhol, “ i suoi denti sono serrati e le labbra ne risultano un po’ rigide: le dicerie di un suo esaurimento gettano ombre sull’illusione che il suo fascino sia disinvolto e spontaneo”.
Questa è solo una delle spiegazioni offerte a una serie di opere di uno dei padri della Pop Art.
In poche pagine (77, di cui molte raffiguranti le opere dell’autore) l’autrice cerca di presentare vita, morte e miracoli di Andy Warhol. L’opera, come è spiegato nella prima pagina, si inserisce in una serie di testi che vuole presentare la storia dell’arte in “chiave visuale”, in modo da renderla più accessibile, interessante, accattivante.
Il testo proprio per la sua brevità e per le numerose illustrazioni si legge molto velocemente: sicuramente un appassionato di storia dell’arte lo divorerà. Gli artisti, le loro vite, i loro pensieri mi hanno sempre affascinata e la lettura delle loro biografie è sempre stato un piacere. Andy Warhol è stato uno dei primi artisti moderni – contemporanei che ho scoperto e apprezzato: non potevo non leggere questo testo.
Nel complesso viene ricostruita attentamente la vita di Warhol: diversi punti anche poco conosciuti della sua vita sono citati. Eppure questa breve biografia mi ha lasciato dell’amaro in bocca: non viene menzionato un importante artista che, a mio parere, nella vita di Warhol dovrebbe sempre essere ricordato. Si tratta di Jean – Michel Basquiat.
A parte questo appunto, il testo l’ho apprezzato molto: nella sua semplicità e brevità affronta la vita di Warhol, anche le ansie, le paure che questo artista ha mostrato in tutta la sua vita, in particolare quella di essere dimenticato. Siamo però tutti concordi nel dire che Warhol ha avuto (e avrà sicuramente in futuro) più di soli “quindici minuti di celebrità”.
Quindi, che dire se non “buona lettura”? :)
“Se vuoi conoscere a fondo Andy Warhol, tutto quello che devi fare è semplicemente osservare la superficie di tutto quello che mi riguarda e mi circonda, le mie opere, i miei film e me steso. Eccomi qua, non c’è nulla di più di quel che si vede”.
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Facile lettura anche per chi si avvicina per la prima volta al mondo della pop art.
Ma che guaio che è, questo amore.
Ah, l’amore. Che cosa è davvero l’amore? Gioia, tormento, sofferenza, felicità: è tutto questo e allo stesso tempo non è niente di tutto ciò. E’ impossibile dire che cosa sia l’amore. Ognuno ha una sua idea e non riuscirà mai effettivamente a esprimerla al meglio. L’amore è una cosa del tutto personale, che ha ispirato pittori, poeti, musicisti. Ed è proprio a casa di un vecchio suonatore di mandolino che inizia la nuova avventura del commissario Ricciardi.
Il commissario Ricciardi, insieme al brigadiere Maione, deve indagare sulla morte di un ricco commerciante, assassinato con un pugno alla tempia, guarda caso proprio la modalità con cui è morto l’ultimo sfidante sul ring del pugile Vinnie Sannino, emigrato anni prima in America e ora ritornato a casa.
La trama si complica quando si scopre che Vinnie da giovane era innamorato della moglie del morto e sembra fosse partito proprio per mettere da parte un po’ di soldi per potersi costruire un futuro migliore con la sua Cettina. Tutte le prove sembrano suggerire che Vinnie sia il colpevole, ma è davvero così?
Il libro è un giallo che si legge velocemente, lo si divora, capitolo dopo capitolo. Non mancano anche alcuni tratti “horror”. Chi ha già letto altre avventure del commissario Ricciardi sa bene quale sia il suo dono (o la sua maledizione): Ricciardi percepisce gli ultimi pensieri, gli ultimi istanti, della vita di uomini e donne vittime di incidenti o omicidi. E’ questo il “Fatto” che tormenta la vita del nostro protagonista. E’ questo il “Fatto” che sembra impedirgli di avere una vita serena, normale. E’ questo il “Fatto” che sembra impedirgli di dichiararsi alla donna che ama.
L’amore ha un ruolo centrale nel nuovo libro di Maurizio de Giovanni. In alcuni passaggi mi è sembrato che l’indagine venga posta quasi in secondo piano, preferendo analizzare maggiormente i sentimenti dei numerosi personaggi coinvolti. Ma questo non è un male, anzi.
Ho amato davvero come l’autore riesca a descrivere ciò che le sue creature (non solo i protagonisti ma anche i personaggi meno importanti) provano, gioie e dolori.
Le sofferenze d’amore avvicinano personaggi tra loro distanti: dolce e struggente è la vicenda del femminiello Bambinella che chiede l’aiuto del brigadiere Maione per salvare il suo amato.
Tristezza e rabbia sono invece le fondamenta delle pene d’amore del nostro commissario Ricciardi, che sembra voglia privarsi di qualsiasi gioia nella sua vita a causa del “Fatto”. In questo romanzo Ricciardi è “conteso”da tre donne, tra loro molto diverse in aspetto e comportamento, ma tutte e tre affascinate dagli occhi verdi del poliziotto.
Leggere un libro di de Giovanni si rivela sempre un piacere. Mi sono avvicinata ai romanzi di questo autore leggendo un’altra sua serie (“I bastardi di Pizzofalcone”); tuttavia è proprio con la lettura delle indagini di Ricciardi che lo stile di Maurizio de Giovanni mi ha stregata. E’ uno stile piacevole, non complicato, ma allo stesso tempo sempre impeccabile. Ogni personaggio ha la sua “parlata” e l’autore passa sapientemente da uno stile all’altro.
Probabilmente anche l’ambientazione ha avuto il suo ruolo nel farmi appassionare tanto: la Napoli degli anni ’30, anche sotto la pioggia di un autunno alle porte, ha un grande fascino. Un fascino che l’autore riesce a presentare senza alcuna difficoltà, sottolineando anche la sua affezione alla città natia.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Un pensiero solo avevo in testa, commissa’. Una sola faccia, una sola persona. Una voce, un sorriso, una pelle, una bocca che mi ossessionavano e mi davano pace insieme; inferno e paradiso, dolore e gioia. Un pensiero di quelli che sta dietro agli altri in ogni istante e a un certo punto ti sembra di non sentirlo più, invece è sempre lì. Un pensiero solo. Cettina è questo per me, commissa’. Il respiro. […] Cettina non è mia, commissa’. Cettina sono io. Cettina è ogni battito del mio cuore, ogni mio respiro. Ogni speranza e ogni ricordo. […] Ho sognato che bussavo e che Cettina veniva ad aprire riconoscendo la bussata mia, quella di quando non ero ancora partito. Ho sognato che mi baciava e piangeva per l’amore e per il tormento, e che io pure piangevo. E ho sognato che rientravo per le strade che conosco bene, perché io sono partito, commissa’, ma non me ne sono mai andato.”
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Quando la pensione è un nuovo inizio.
Questo libro non mi ha lasciato nulla.
Non voglio fare una critica spietata perché il romanzo, nel complesso, non è scritto male; la storia è anche interessante. Tuttavia, conclusa la lettura (che in alcuni punti ho faticato a portare avanti) è come se non avessi letto nulla.
Hieronymus “Harry” Bosch è il protagonista di questo romanzo di Michael Connelly, l'ultimo della serie del detective più esperto dell’Unità Casi Irrisolti della Polizia di Los Angeles.
Nonostante sia un detective che indaga su casi “freddi”, questa volta Bosch deve indagare su un caso “caldo”, caldo come il cadavere del Mariachi che muore per avvelenamento del sangue a causa del proiettile che l'ha colpito dieci anni prima e l'ha paralizzato.
A questa indagine si sovrappone quella che Bosch conduce in segreto con la sua nuova partner Lucia Soto, una giovane di origini messicane soprannominata “Lucky Lucy”, arrivata al dipartimento per merito: i due indagano su un misterioso incendio di un asilo in cui morirono molti bambini.
Nonostante non abbia letto gli altri romanzi della serie, a parte alcuni riferimenti al passato del protagonista, non ho avuto problemi nella lettura.
Ammetto che è il primo romanzo che ho letto di questo autore: spero davvero che gli altri testi non siano così. Avevo già sentito parlare di Connelly e del suo detective, quindi quando mi è stata proposta questa lettura ho accettato più che volentieri.
Mi avevano parlato di un detective tormentato, arrogante, sfacciato, che si impegna totalmente per risolvere i propri casi, rischiando anche la propria pelle. Invece ho trovato un uomo rassegnato, triste, ormai prossimo alla pensione. La carriera del grande detective sta ormai volgendo al termine e non si capisce se per Bosch sia un dispiacere o un sollievo.
La lettura di questo romanzo è stata una leggera delusione. Non per la storia, non per lo stile: è un romanzo che non colpisce, scorre lento in più punti, a volte è anche ripetitivo.
Non esalta, non stupisce, non crea suspence come invece un thriller dovrebbe fare.
Non c'è nemmeno una vera analisi psicologica del protagonista: nei libri gialli e thriller in genere l'autore cerca di presentare al meglio il proprio protagonista.
In questo romanzo invece, probabilmente perché l'ultimo pubblicato di una serie, Bosch sembra quasi una marionetta priva di emozioni: parla, agisce, ma, a parte alcuni casi isolati, non sembra essere davvero consapevole delle sue azioni e delle sue emozioni.
Leggerò sicuramente un altro libro della serie: spero (e voglio) ricredermi su Connelly e la sua creatura. Se qualcuno ha già letto altre avventure di Bosch e sa quali sono le migliori, me lo dica perché vorrei davvero leggere un thriller americano avvincente.
Probabilmente questo romanzo è solo una fase di passaggio (mi sembra che negli Stati Uniti sia già uscito il seguito): è una transizione tra il passato e il futuro del detective. Può darsi che sia un modo per preparare il lettore alle nuove avventure di un Bosch ormai pensionato.
Purtroppo, se è così, si tratta di un esperimento poco riuscito.
Quindi, che dire se non “buona lettura?” :)
"Restarono in silezio per qualche minuto. Bosch ripercorse tutti i punti chiave del caso ancora una volta, e non riuscì a demolirli. Era solo una teoria, ma stava bene in piedi. Anche se non significava che per forza fosse andata davvero così. Ogni caso presentava domande senza risposta e capi sciolti, quando si arrivava ai moventi e alle azioni. Bosch pensava sempre che, partendo dal fatto che l'omicidio fosse un'azione irrazionale, non poteva essere spiegato da un'ipotesi del tutto ragionevole. Era quella comprensione che gli impediva di godersi i film e le serie televisive sui detective. Li trovava poco realistici per il fatto che davano al pubblico ciò che chiedeva: tutte le risposte".
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Quando il tag diventa una condanna.
Nel mezzo del cammin verso casa, mi ritrovai in mezzo a un banco di nebbia...
Non mi voglia male Dante se ho rovinato così l'incipit del suo capolavoro ma mi sembrava il modo più adatto per iniziare la recensione di questo romanzo. Un romanzo che, come si può capire dal titolo, riprende l'Inferno dantesco (legge del contrappasso inclusa).
Francesco è il nostro nuovo sommo poeta; in realtà è un ragazzo come tanti: cellulare sempre in mano, auricolari sempre nelle orecchie, testa sempre tra le nuvole.
Eppure viene scelto per compiere un viaggio di educazione con una guida d'eccezione: Mark Zuckerberg, il creatore del social network per eccellenza, Facebook.
Tutta la storia è narrata dal punto di vista del ragazzo, che osserva tra lo stupito e lo spaventato le pene a cui sono sottoposti i dannati dell'Inferno dei Social Network. In vita hanno peccato: da chi ha usato i propri profili solo per apparire a chi ha usato i propri account solo per criticare.
Lo stile usato dall'autore è semplice, ironico, gradevole: affronta con un tono spensierato (ma non per questo banale) il tema dell'eccessivo uso dei Social Network ai giorni nostri.
Con battute che strappano un sorriso, l'autore costringe il lettore a riflettere sull'uso che facciamo di Internet. Siamo sempre connessi, sentiamo quasi la necessità di informare il mondo su ciò che stiamo facendo o pensando. Sentiamo la necessità di “taggare”, “postare”, “fare selfie”: Internet è entrato con prepotenza nelle nostre vite e le ha sconvolte totalmente. Il libro non vuole criticare i Social Network in quanto tali: il libro critica l'uso che facciamo di questi potenti strumenti di comunicazione. Una lettura piacevole e leggera che, una volta conclusa, ci spinge a chiederci:
“e io, di che girone faccio parte?”.
Per scoprirlo, non posso che dirvi “Buona lettura”! :)
Una nota: il giovane autore Alessandro Locatelli (nato nel 1994) è attivissimo sui Social Network.
Da Facebook a Twitter, passando per Ask, l'autore gestisce alcune tra le pagine più seguite e attive della community. Quindi, chi meglio di lui per descrivere usi, costumi, stranezze del mondo virtuale?
“Mi guardò ancora una volta con quel sorriso stampato in faccia, mi metteva un disagio enorme, mi sentivo in soggezione, e mi faceva sentire un demente. 'Ti porterò in un posto che nessun uomo ha mai visto prima, un luogo dove il dolore si mescola alle grida, dove la luce del sole è solo un tiepido ricordo ancorato alla tua mente, dove l'aria è rarefatta e malsana, e respirare diventa un'impresa degna dei più grandi eroi omerici. Dove nessun uomo vorrebbe mai trovarsi in vita sua e sarebbe disposto a tutto pur di poter evitare di passarci anche solo un istante' 'In un autobus nell'ora di punta?' 'No, in un luogo ben peggiore. L'Inferno dei Social Network'"
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Un pinguino per cambiare vita.
Recentemente è stata diffusa una notizia che agli amanti degli animali (ma anche ai non amanti) ha scaldato il cuore: i giornali e i siti internet hanno pubblicato la foto del pinguino Dimdim che avvicina il becco al volto di un pescatore settantunenne di Rio de Janeiro che anni prima lo aveva salvato, quasi lo volesse baciare. Ogni anno il pinguino sembra viaggiare per kilometri e kilometri per tornare a trovare il suo salvatore.
Quando lessi questa notizia avevo da poco iniziato la lettura del romanzo “Storia del pinguino che tornò a nuotare” e non potei fare altro che sorridere.
Anche in questo caso al centro del racconto vi è la relazione tra un uomo e un pinguino: la storia vera di un'amicizia che ha dell'impossibile.
Negli ultimi anni i libri che raccontano le relazioni tra uomini e animali sono aumentati; sono racconti spesso molto emozionanti, commoventi, ma, in genere, i protagonisti sono sempre cani e/o gatti. E' raro trovare un romanzo come “Storia del pinguino che tornò a nuotare”.
Chi mai penserebbe ad avere come animale – amico un pinguino?
E' quello che si ripete il professore d'inglese Tom quando, dopo averlo salvato da morte certa, si trova un pinguino nella vasca da bagno. Iniziano così le incredibili avventure di Tom e Juan Salvador (Salvado per gli amici).
Come pulire un pinguino? Che cosa mangia? Quanto e dove deve dormire? Tom deve interrogarsi più volte su come comportarsi con Juan e, mentre fa questo, si interroga anche su questioni “più profonde” come l'amicizia e la relazione con gli altri esseri viventi.
“Storia del pinguino che tornò a nuotare” è un romanzo divertente e commovente.
E' un racconto che emoziona: in alcuni passaggi mi ha ricordato alcuni dei testi di Luis Sepúlveda.
E' un racconto che strappa una risata e poi una lacrima.
E' un racconto unico, con un finale tutt'altro che scontato.
Sicuramente consigliato agli amanti degli animali, lo consiglio anche a chi non ha un buon rapporto con i nostri compagni di vita a quattro zampe o con le ali: forse si affezionerà al pinguino Juan Salvador che non solo cambia la vita dei personaggi del romanzo ma anche quella del lettore.
Quindi, che dire se non “Buona lettura?” :)
“A loro non avrei mai aperto il mio cuore come avevo fatto con Juan Salvado, e lo stesso accadeva a tutti coloro che lo incontravano. Come faceva un pinguino a dare tanta consolazione e tranquillità alle persone con cui entrava in contatto? Perché andavano sulla terrazza e mettevano a nudo la loro anima come se lo conoscessero da una vita, trattandolo come un vero amico su cui si può contare nelle avversità? Era forse una caratteristica di quell'epoca di violenza e disperazione? Sarebbe stato diverso in un periodo di pace e prosperità?
Una cosa era certa: le persone accordavano maggior fiducia a Juan Salvado che ai loro simili. Tale, a quanto sembra, è la natura dei rapporti fra esseri umani e pinguini”.
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33 pillole di realtà.
“Passeggeri notturni” è un libro davvero particolare.
Il testo è stato presentato come una raccolta di 33 racconti (ciascuno di sole tre pagine) in cui l'autore affronta temi diversi con stili diversi, utilizzando con sapienza dosi di ironia o di serietà, a seconda delle necessità.
Tuttavia “Passeggeri notturni” mi è sembrato qualcosa di più di una semplice raccolta di racconti.
Data la brevità del testo, i racconti possono essere “divorati” anche solo in un'ora.
La prima lettura potrà essere veloce ma è con la seconda (o con la terza o la quarta...) che si apprezzano davvero i singoli racconti che Carofiglio ci offre.
Consiglierei di leggere un racconto per volta, quasi come se ogni racconto fosse una pillola giornaliera da assumere, magari prima di andare a dormire.
Questi 33 racconti immortalano come fotografie momenti di quotidianità, temi delicati, situazioni particolari o divertenti.
Ci saranno sicuramente racconti che verranno maggiormente apprezzati rispetto ad altri; tuttavia, nonostante conclusa la prima lettura ne ritenessi alcuni addirittura non adatti alla raccolta nella sua “globalità”, con le successive letture, più lente e ragionate, mi sono dovuta ricredere.
Un filo invisibile collega ogni racconto di “Passeggeri notturni” che risulta così essere un ottimo punto di partenza per riflettere su noi stessi, sugli altri, sulla realtà e sulla vita.
Non penso che per presentare un così particolare testo sia necessaria una lunga recensione.
La lettura di questi racconti è un'esperienza estremamente personale: ognuno avrà le proprie reazioni, i propri pensieri, le proprie opinioni. Potranno far sorridere, far arrabbiare e, perché no, anche far piangere.
Quindi, che dire se non: “Buona lettura?” :)
“Un monaco incontrò un giorno un maestro zen e, volendo metterlo in imbarazzo, gli domandò:
- Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cos'è la realtà? - Il maestro gli diede un pugno in faccia”.
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Il "perché" di una vita.
Recensire “Piccoli colpi di fortuna” di Claudia Piñeiro, una delle scrittrici più importanti della letteratura argentina e latino americana contemporanea, è davvero complicato.
E' complicato perché non credo di essere capace, in poche righe, di esprimere tutte le emozioni che un racconto così intenso riesce a suscitare nel lettore.
E' complicato perché questo libro, davvero ben scritto (penso che leggerlo in lingua spagnola debba essere ancora più emozionante), è molto scorrevole (sono circa 200 pagine) ma lascia un segno indelebile nel lettore.
E' complicato perché questo romanzo, una biografia scritta in prima persona? un diario di viaggio? una confessione?, costringe il lettore a pensare, a riflettere su temi delicati, drammatici, con cui noi tutti dobbiamo confrontarci almeno una volta nella nostra vita.
Il dolore.
Questo è, forse, il tema centrale dell'intero racconto.
Il dolore di una bambina, la piccola Marilé, che osserva impotente la propria madre consumarsi in un male oscuro e il padre affogare nel disperato tentativo di mantenere la famiglia a galla.
Il dolore di una donna, la moglie Marilé, costretta in una vita falsa, ipocrita, che, a causa di un terribile evento, si rivela in tutta la sua atrocità.
Il dolore di una madre che, per il bene del figlio, deve prendere la decisione più difficile della sua vita.
Vent'anni è il tempo che Marilé impiega per comprendere le sue colpe e le sue responsabilità ma anche i suoi pregi e le sue virtù. In vent'anni Marilé riesce davvero a crescere come persona, riuscendo ad affrontare con incredibile e fredda lucidità temi come la famiglia, il destino, la maternità: “Perché tante donne considerano la maternità come qualcosa di scontato? Perché crediamo che la maternità arrivi con la naturalezza – e l'irreversibilità – con cui arrivano l'autunno o la primavera? […] Troppe domande in solitudine. La maternità o si prende in modo del tutto naturale e ineluttabile o genera troppe domande”.
Il racconto intrappola il lettore in un crescendo di suspence: chi è il “lui” a cui Marilé si riferisce nelle prime pagine? Che ruolo hanno un treno e un passaggio a livello nella vita di questa donna?
Claudia Piñeiro cattura con il suo stile semplice, commovente, mai banale.
Il lettore vuole capire il perché di un evento, vuole capire il perché di una determinata azione.
Tuttavia alcune domande potranno restare aperte: come spesso capita nella vita vera, molte cose accadono senza alcun perché.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Sono tornata in Argentina. Dopo vent'anni. Tuttavia, tra i miei piedi e la terra c'è ancora una certa distanza, per ora il suolo che tocco è quello dell'aereo. Quand'è che si torna davvero? Quand'è che si può dire di aver nuovamente calpestato il suolo dove si è nati? Cos'è in realtà il ritorno? […] Ma di lì a poco chiedo all'autista di fermarsi sul ciglio della strada. 'Non si sente bene?' mi chiede. 'Sì,' mento. Scendo dall'auto, faccio qualche passo, mi tolgo le scarpe, chiudo di nuovo gli occhi. I piedi scalzi sul prato. Li muovo da ferma, e poi da una parte e dall'altra senza voler andare in nessuna direzione, solo per sentire – non guardare ma sentire – la gramigna che punge sotto le piante dei piedi. Riapro gli occhi, finalmente. Adesso sì. Ecco, sono tornata.”
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La Vita in un fiore.
“Abominevole mistero”.
Così Charles Darwin nel 1879 definì la comparsa delle Angiosperme sulla Terra.
Ancora oggi gli studiosi si interrogano sull'origine di queste piante e in particolare sull'origine dei fiori, organi finalizzati alla riproduzione, spesso di una “bellezza maestosa e vistosa”.
Stephen Buchmann, ecologo e entomologo, ricercatore presso l'Università dell'Arizona, ci accompagna in un lungo viaggio (il saggio è di 368 pagine) alla scoperta dei fiori, dalla loro anatomia al loro utilizzo industriale; infatti il sottotitolo è “Storia, cultura e biologia di una creazione sublime”. Il viaggio, per chi non ha mai studiato biologia vegetale, può anche apparire complicato, ma, una volta arrivati a destinazione, si realizza quanto il viaggio sia stato emozionante e istruttivo.
Buchmann sostiene che i fiori siano parte fondamentale della nostra vita, non solo “fisica” (i fiori ci accompagnano come spezie, profumi, ornamenti) ma anche spirituale: “già prima della storia tramandata, tutte le culture raccoglievano, usavano e ammiravano i fiori non solo per scopi pratici: le loro volatili fragranze e le loro forme effimere, per ironia della sorte, simboleggiavano infatti il ritorno del vigore e persino l'immortalità”.
L'indagine prettamente scientifica è affiancata a una ricerca sociale e culturale sul ruolo dei fiori nella Vita: tutti gli esseri viventi sono legati più o meno direttamente ai fiori.
Il saggio non è caratterizzato da uno stile freddo e scientifico: numerosi sono i richiami alle esperienze vissute in prima persona dallo stesso Buchmann che ha deciso di pubblicare la sua opera inserendo anche diverse sue macrofotografie.
In un susseguirsi di citazioni a ricerche scientifiche, filosofiche, letterarie, Buchmann ci convince della sua tesi e, conclusa la lettura, osserverete i fiori con un altro sguardo, sempre più pieno di meraviglia e amore per questi “abominevoli misteri”.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“Molti si aprono alle prime luci dell'alba o dispiegano le proprie attrattive col procedere del giorno. Altri aprono i petali diafani col buio, come doni preziosi, in attesa dell'arrivo degli amati ospiti sotto una luna splendente. Li chiamiamo fiori. Sono la pubblicità della natura: […] i fiori rappresentano il nostro passato e al contempo la speranza di un futuro radioso. […] State per intraprendere un insolito viaggio nel mondo dei fiori, degli animali e dell'umanità. Vorrei che aveste gli occhi e l'olfatto di un'ape affamata o di un colibrì, ma anche di un selezionatore di piante, di un floricoltore, di un importatore di fiori recisi o di un biologo della flora. […] Nel seguirmi, prendete in considerazione l'idea di tenere accanto a voi un singolo fiore o un bouquet colorato, come una musa botanica da consultare nel corso del nostro comune viaggio di scoperta”.
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Può essere letto anche da chi non ha il "pollice verde" ;)
Quando i profiler arrivano in Italia...
“Questo romanzo è la mia vendetta. La sola che sono stato capace di compiere. L'unica necessaria”.
Vorrei iniziare la recensione di “E' così che si uccide”, romanzo d'esordio di Mirko Zilahy, con le stesse parole dell'autore. Anzi, proverò a fare una recensione basandomi sulle tre pagine a fine romanzo intitolate “Nota dell'autore”. Vorrei fare questo esperimento perché, conclusa la lettura del romanzo, tutta la storia mi è apparsa diversa, con un altro significato, leggendo le note dello scrittore e i ringraziamenti.
Il protagonista di questo thriller è il commissario Enrico Mancini, unico nel suo genere.
Mancini è un profiler: dagli anni degli studi si è sempre interessato alla psicologia criminale e per approfondire tale tematica ha ottenuto una specializzazione a Quantico.
Conosce i pensieri dei criminali seriali.
Conosce cosa realmente un essere umano sia in grado di fare.
Questa consapevolezza è un tormento per il commissario, sempre più deciso ad abbandonare la propria avviata carriera, anche a seguito di un dolore privato che fatica ad accettare.
Non vuole seguire il caso che sta sconvolgendo Roma: un assassino uccide senza pietà e come un'ombra scompare, senza lasciare alcuna traccia.
Mancini è allo stesso tempo un commissario atipico e tradizionale del romanzo giallo italiano: è, come molti altri protagonisti di libri thriller, un uomo solitario, tormentato, che soffre e cerca sempre di mascherare le sue debolezze. Tuttavia, a mio parere, si discosta dal panorama italiano per questa sua “istruzione a Quantico”. Facilmente potrei immaginarmi Enrico Mancini come il protagonista di un romanzo giallo di un autore americano. In effetti, anche lo stile dell'autore si avvicina più a quello dei romanzi americani che a quello di autori italiani.
Ammetto di aver apprezzato Mancini solo a conclusione del romanzo. Nonostante le difficoltà che deve superare, nonostante i problemi della sua vita, ho faticato ad affezionarmici. Ho provato molta più simpatia per i suoi compagni di squadra, dall'ispettore Comello al futuro membro della Scientifica, Caterina De Marchi. Nota positiva del romanzo è che l'autore non si limita a descrivere solo il suo protagonista, come se tutti gli altri personaggi fossero semplici pianeti che orbitano intorno a una stella. Tutti sono descritti in maniera minuziosa, con un'indagine delle emozioni e dei pensieri che poche volte sono riuscita a trovare in un romanzo. Anche oggetti che potrebbero apparire banali (un paio di guanti, una macchina fotografica), sono fondamentali per capire veramente la psicologia dei protagonisti. Non a caso l'autore scrive: “[...] ho compreso cosa mi chiedeva il personaggio solitario e tormentato che nel frattempo era diventato il commissario Mancini nelle pagine di note che avevo steso: di vestire le sue mani, di coprirle con un'altra pelle. Così sono arrivati i suoi guanti”.
Bisogna però citare una grande protagonista della storia. Si tratta di Roma, la Capitale, città che appare tutt'altro che semplice scenario nelle indagini di Mancini.“Ho sempre subito il fascino del profondo contrasto che, in una città strabordante d'arte, storia e cultura come Roma, si coglie quando ci si trova improvvisamente di fronte a uno dei suoi mille mostri d'acciaio. […] E se la bellezza di quei monumenti mi ha sempre provocato una sorta di stupore estatico, i suoi giganteschi scheletri meccanici mi evocano un incanto cupo e irresistibile”.
Leggere questa descrizione nelle note mi ha sorpreso e piacevolmente colpita, anche perché penso sia un sentimento condivisibile da molti. Come specifica lo stesso autore “questi giganteschi ibridi tra edifici – macchine – monumenti” non sono solo romani ma abitano tante città in tutto il mondo, “passando spesso inosservati”.
Essendo un romanzo thriller, la morte è un tema centrale dell'opera.
E alla morte si relaziona il tema delle donne.
L'importanza della figura femminile in questo romanzo potrebbe essere sottovalutata ma è lo stesso autore che ce la suggerisce: “In questo romanzo le donne hanno una parte speciale. Sono catalizzatori di emozioni, come in Poe, e di morte. Tutte portano con sé un destino tragico, ma sono allo stesso tempo vivide, capaci, volitive. Sono il motore dell'amore e dell'odio, del delitto e del castigo”. Le donne sono il motore della storia. Leggendo il romanzo mi è apparso piuttosto evidente che, senza l'intervento di una donna, difficilmente Mancini sarebbe riuscito a risolvere un problema o una difficoltà. Le donne hanno un ruolo centrale nella vita del commissario ma anche dello stesso autore: “Sono cresciuto in una famiglia di donne lettrici. Nei miei personaggi femminili sento riviverle tutte, quelle di ieri e quelle di oggi. E questo è certamente un romanzo di donne e di libri”.
Nel complesso il romanzo si legge volentieri. L'italiano usato è davvero buono e il racconto scorre velocemente, spingendo il lettore a continuare la lettura, nonostante ci siano alcuni passaggi che possono apparire leggermente oscuri (ancora adesso mi chiedo da dove Mancini e i suoi compagni abbiano tratto alcune conclusioni durante l'indagine...).
Questo però non è un problema perché, a pensarci bene, l'indagine passa quasi in secondo piano.
“E' così che si uccide” non dovrebbe essere presentato come il nuovo romanzo thriller rivelazione nel panorama italiano ma come un romanzo che obbliga il lettore ad affrontare temi dolorosi, profondi, intimi, che non sono dolori di un singolo ma collettivi.
Quindi, che dire se non “Buona lettura”? :)
“Sai, Walter, io la sento. La vedo questa cosa. Tutti i giorni. Camminiamo sulla superficie del mondo e sento che il moto orizzontale che imprimiamo alle nostre vite è l'unico possibile. Il movimento dell'azione, dell'affermazione della nostra esistenza, lentamente e inesorabilmente frenato da quello della gravità, che ci spinge verso il basso. […] Il moto orizzontale che ci anima incontra la gravità, declina in una parabola che dura tutta la vita e si spegne con la vittoria della forza verticale che ci condanna... al sottosuolo. […] No, amico mio, è peggio di così. Siamo dei sopravviventi. Ci troviamo in questo perenne stato d'attesa. Attesa del nulla.”
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Finché ci sarà scuola, ci sarà sempre Truancy.
La scuola: luogo di formazione dove i ragazzi dovrebbero non solo “maturare” dal punto di vista intellettuale ma anche come persone.
Sui banchi di scuola si vivono gioie e delusioni.
Sui banchi di scuola non si dovrebbe sicuramente morire.
Student Guerrilla è un romanzo scritto nel 2005 da Isamu Fukui, quando aveva solo 15 anni.
Leggendo il libro, si capisce che è stato scritto da un ragazzo. Tuttavia l’idea alla base è interessante: in un futuro prossimo, in quella che viene chiamata “City” (riferimento a Tokyo? oppure a New York dove l’autore vive?), un regime totalitario guidato dal “Sindaco” controlla ogni aspetto della vita dei cittadini.
In particolare il regime è interessato ad un assoluto controllo dei ragazzi: fin dall’infanzia i cittadini devono essere educati all’obbedienza.
Tack è il protagonista: uno studente costretto a vivere ogni giorno orribili soprusi nella sua scuola, non solo da parte degli insegnanti (che adottano qualsiasi strumento per intimidire i ragazzi) ma anche da parte di altri studenti. Tack cerca in qualsiasi modo di sopravvivere giorno dopo giorno, e intanto cerca anche di difendere sua sorella Suzie che ha appena iniziato le scuole superiori.
Un evento terribile sconvolge la vita di Tack: è un punto di svolta, sia nella vita del protagonista che nella storia generale. Niente potrà essere come prima.
Student Guerrilla è un romanzo distopico che unisce bene elementi tipici di questo genere: dal regime totalitario alle fazioni dei ribelli, senza mai risultare ripetitivo. A parte un inizio un po’ lento, la seconda parte del romanzo prevede un susseguirsi di battaglie e scontri. Il ritmo è sempre molto intenso: non a caso l’autore ha ammesso di essersi ispirato molto ai videogiochi di guerra.
Leggendo la trama mi è venuto subito in mente “Battle Royale”, romanzo in cui una classe di studenti è vittima di un esperimento annuale organizzato dal governo.
Tuttavia, conclusa la lettura, penso che i due romanzi siano simili solo per quanto riguarda il genere e i protagonisti. Student Guerrilla non indaga la psicologia di Tack o degli altri personaggi, è più un romanzo di azione.
Diverse sono le scene che potrei benissimo immaginarmi vedere al cinema in un film d’azione americano. A volte poi risultano anche troppo lunghe: ammetto che ho fatto fatica a leggere la descrizione di alcuni duelli.
Mi è dispiaciuto che molto sia lasciato all’immaginazione del lettore: l’autore non spiega realmente quello che succede nelle scuole della City o quello che accade in generale nella vita dei cittadini.
Solo a conclusione del romanzo ho scoperto che sono stati scritti un prequel e un sequel (non editi in Italia).
Spero che in questi romanzi maggiori informazioni siano offerte al lettore per la comprensione dell’atteggiamento assunto da diversi personaggi, da Zyid, leader della fazione dei ribelli (la Truancy), spietato e disposto a uccidere chiunque si metta sul suo cammino, a Umasi, ragazzo pacifista che nasconde abilità nella lotta degne di Bruce Lee.
Nel complesso il romanzo si legge volentieri: ha sicuramente i suoi difetti ma tra i molti libri distopici usciti negli ultimi anni risulta essere uno dei meglio “strutturati”.
Quindi, che dire se non “buona lettura”? :)
“ ‘Vedo che non sei del tutto d’accordo con la mia valutazione’ osservò Umasi divertito. ‘E’comprensibile. Se andassi ancora a scuola, forse non sarei d’accordo neanch’io. Ma avendo avuto l’opportunità di trascorrere anni a pensarci, sono arrivato alla conclusione che ho ragione’. Umasi si aggiustò gli occhiali da sole. ‘Non preoccuparti Tack, devo ancora trovarne uno che sia d’accordo con me. Ad ogni modo, se sei fortunato, tu non dovrai mai prendere una decisione simile’. ‘Quale decisione?’ chiese Tack che aveva la sensazione di aver perso il filo. ‘Se combattere gli Educator o no’ gli ricordò Umasi. ‘Comunque sia, si sta di nuovo facendo tardi. Per oggi è meglio se concludiamo qui’. Desideroso di stare un po’ da solo a riflettere su quanto aveva udito, Tack non proestò. Raccolse lo zaino, se lo mise in spalla con un movimento fluido e si incamminò verso casa. Non aveva l’animo del combattente, ma Umasi aveva ragione almeno riguardo a una cosa: se era fortuna, non avrebbe mai dovuto preoccuparsi di combattere. No, lui doveva solo preoccuparsi dei compiti, dei test e di rimanere sano di mente. ‘Comunque vada, a rimetterci sono sempre io’ borbottò Tack tra sé. E aveva ragione. Dopotutto, nella City gli studenti ci rimettevano sempre”.
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Rimanere "cuccioli" dentro aiuta
Siamo stati tutti i “cuccioli” di qualcuno: amati, coccolati, di certo non gettati come immondizia accanto a un cassonetto. Eppure è questo il destino che tocca a un cucciolo indifeso, una neonata, abbandonata come se fosse spazzatura. E’ proprio l’abbandono di questo cucciolo il punto di partenza del nuovo romanzo di Maurizio De Giovanni.
“Cuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone” è il quarto libro della serie che ha come protagonista la squadra poliziesca guidata dal commissario Palma.
Due sono le indagini che vengono condotte dalla squadra: quella ufficiale, per capire chi ha abbandonato la bambina, e una parallela, condotta in segreto, per capire chi è la causa della scomparsa dei tanti cuccioli randagi che popolano le vie partenopee.
Tuttavia, le indagini sono quasi lo sfondo, lo scenario, su cui prende vita la vera storia del romanzo: l’autore, con grande sensibilità, approfondisce i sentimenti, i pensieri, dei suoi protagonisti.
Il giallo in sé non tiene con il fiato sospeso il lettore ma non si può interrompere la lettura perché si vogliono seguire le tormentate storie dei Bastardi.
I sette protagonisti sono costretti ad affrontare dolori e problemi sia durante il lavoro (nel tentativo di essere accettati dagli abitanti del quartiere e di dare nuovamente lustro a un commissariato caduto in disgrazia) sia nella vita privata, da chi non riesce a dimenticare la moglie a chi non riesce a confessare il proprio amore.
Non vorrei sbilanciarmi troppo ma il romanzo, più che un giallo, è una vera indagine psicologica.
De Giovanni, con sensibilità, studia e sviluppa i caratteri dei propri personaggi: non solo dei Bastardi ma di tutti quelli che compaiono in scena, dal delinquente al bambino.
Con sensibilità mostra come il mondo non sia “o bianco o nero”: i buoni possono nascondere e trattenere impulsi di cattiveria, possono peccare di arroganza, mentre i cattivi sono anche capaci di esprimere dolcezza.
“Cuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone” è un romanzo corale: il quartiere è quasi un mondo a sé dove tutti sono a conoscenza di quello che succede agli altri, anche prima della stessa polizia.
Napoli, con le sue vie, le sue piazze, i suoi quartieri, è protagonista indiscussa: De Giovanni la descrive con tenerezza, rivelando tutto il suo amore per la città.
Infatti Napoli non solo è protagonista nei libri della serie dei Bastardi ma è anche protagonista di un’altra serie di De Giovanni, quella del commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta.
Nonostante non abbia letto i primi romanzi della serie non ho avuto alcun problema nella lettura del romanzo. Molte pagine sono quasi usate come un riassunto delle storie dei protagonisti, delle vicende che molto probabilmente sono state presentate nei precedenti romanzi.
Forse l’autore ha cercato di dare non solo ai suoi fedeli lettori ma anche ai “neofiti” la possibilità di apprezzare appieno le indagini dei Bastardi.
Per quanto mi riguarda, è riuscito nella sua impresa.
Ho divorato il libro, leggerò i primi romanzi della serie e non mi perderò le prossime indagini dei Bastardi.
Sicuramente è una serie che gli amanti del giallo italiano non possono non leggere, anche solo per lo stile dell’autore, stile che ho amato dalle prime pagine.
Quindi, che dire se non “Buona lettura”? :)
“Pizzofalcone, poi, era tutto una storia, anzi mille storie. La tradizione voleva addirittura che l’intera città venisse da lì, che fosse un luogo fondativo. Una collinetta che era il tumulo di una sirena e che a cerchi concentrici si era espansa verso il vulcano e le alture vicine come una macchia d’olio.
Il quartiere replicava in piccolo tutte le anime della metropoli: il ventre molle e verminoso del dedalo inestricabile dei vicoli, con le sue attività oscure e illecite; il senso antico della famiglia, l’acre sapore della rivalità; la via commerciale dei negozi, sempre meno, e della borghesia impiegatizia messa in ginocchio dalla crisi; la bella piazza finanziaria, dove il denaro regnava incontrastato e i traffici loschi e i delitti venivano perfezionati con una firma in calce a un contratto; il ricco e trionfale lungomare, abitato da un’esangue aristocrazia con tripli cognomi che, al riparo delle finestre chiuse, consumava i propri giorni osservando annoiata lo scorrere di una vita fasulla.
Sì, Pizzofalcone era la metafora perfetta della città, pensava Pisanelli. E lui e i suoi colleghi stavano a valle di questi fiumi di sentimenti e di dolori per raccoglierne i frutti marci”.
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Tuttavia, anche chi non l'avesse lette, può avvicinarsi al romanzo senza alcun problema.
Sei sicuro che quello sia il tuo riflesso?
L’idea di svegliarmi in una stanza in cui non mi ricordo di essere entrata mi fa venire l’ansia.
L’idea di svegliarmi in una stanza in cui non mi ricordo di essere entrata, chiusa con un chiavistello dall’interno e che non si può aprire dall’esterno, mi fa accapponare la pelle.
Se poi scoprissi di essere anche in compagnia del cadavere di una donna nuda che non conosco, penso proprio che potrei avere un infarto.
La reazione del protagonista del nuovo romanzo di Gianluca Morozzi è quindi del tutto comprensibile: “Walter Pioggia si svegliò del tutto. E guardò la stanza viola con gli occhi sbarrati per l’orrore”.
In “Lo specchio nero” l’autore affronta un tema caro ai romanzi gialli/thriller, ovvero l’enigma della camera chiusa. Tuttavia questo è solo il punto di partenza per un romanzo dai contenuti forti, così come può esserlo solo un racconto di Morozzi.
Walter Pioggia, nonostante già dalle primissime pagine si ritrovi in una situazione assurda, terribile, appare come l’uomo “medio”. La sua vita è scandita da una solida routine: il lavoro come editor, l’aperitivo con il collega… l’omicidio non rientra nelle sue attività quotidiane.
Ma come giustificare allora la sua presenza in quella stanza?
Come giustificare il fatto di tenere tra le mani il coltello che molto probabilmente è stato usato per uccidere quella donna?
Pioggia è un personaggio unico, così come lo sono tutti i personaggi di Morozzi.
Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze quando si legge un libro di questo autore: Morozzi è un maestro nel depistare il lettore, tanto che sono rimasta con il dubbio proprio fino alla fine, fino all’ultima pagina del romanzo.
Alle vicende della Bologna di oggi si sovrappongono quelle della Bologna degli anni ’80.
Bologna è la città in cui l’autore è nato, è la città in cui attualmente vive.
Il legame tra l’autore e la città è sicuramente forte: Bologna è una dei protagonisti di questo romanzo. E' misteriosa, a tratti terribile e spaventosa.
Chi ha già letto altri libri di questo autore sa bene che alcuni passaggi possono risultare forti, forse anche eccessivi: ho sempre avvicinato i racconti di Morozzi a quelli di Palahniuk.
Uno stile diretto, forte, che non risparmia alcuna descrizione al lettore.
Leggendo alcune pagine mi è tornato in mente un libro di Palahniuk, “Cavie”, a mio avviso uno dei libri più “disturbanti” e inquietanti di questo autore americano.
Potete quindi immaginare la mia sorpresa quando proprio all’interno di “Lo specchio nero” viene citato tale romanzo (anche se non proprio con parole lusinghiere)!
Anche in questo testo Morozzi, con ironia e un pizzico di ferocia, dipinge la nostra società:
non risparmia nessuno, neanche noi lettrici di romanzi gialli!
Infatti, con un po’ di imbarazzo, ammetto di riconoscermi abbastanza nell’atteggiamento di quelle che Walter Pioggia descrive amorevolmente come “Donne Falco”: “La gag delle Donne Falco era nata con Mizio e il precedente stagista, quello fissato con gli anni Ottanta anziché con le serie televisive. Stavano parlando di una categoria di lettrici commissariodipendenti, quelle che leggevano solo romanzi con un commissario o quantomeno un ispettore come protagonista. E allora lo stagista aveva intonato Der kommissar, del defunto cantante austriaco Falco. ‘Questo è il loro inno’ aveva annunciato tra le risate generali. Da allora, nei loro discorsi privati, quelle lettrici erano diventate le Donne Falco”.
Una cattiveria sottile (ma divertente) pervade il nuovo romanzo di Gianluca Morozzi.
Che dire, allora, se non “Buona lettura”? :)
“[…] Però sarebbe stato bello, perché sai, gli specchi sono proprio il simbolo del romanzo giallo, nella mia testa! […] Nel senso che gli scrittori gialli li usano parecchio, no? Disseminano la trama di specchietti per le allodole per distrarre il lettore dalla vera soluzione. E se ci pensi, poi, gli specchi sono un simbolo anche in altri sensi… ogni lettore si riflette nel romanzo giallo, ci mette un po’ di se stesso, della propria intelligenza, delle proprie letture per indovinare il mistero, e magari si arrabbia con lo scrittore perché ha creato uno specchio troppo grande, o angolato in modo strano, per cui il nostro povero lettore non riesce a rimirarsi con comodità.”
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Consigliato anche a chi legge i libri di Palahniuk.
Anche l’Africa ha il suo Sherlock Holmes
Se dico Sherlock Holmes, cosa vi viene in mente?
1800? Inghilterra? “Elementary, my dear Watson”?
Io, dopo la lettura di questo romanzo, penso solo a Ogbà.
“Il tempo delle iene” è il nuovo libro di Carlo Lucarelli, il secondo ambientato in Eritrea durante il colonialismo italiano: il lettore potrà immergersi ancora una volta nelle indagini del comandante Piero Colaprico e del carabiniere indigeno Ogbà.
Già dalle prime pagine, il narratore onnisciente informa il lettore del caso su cui i due protagonisti dovranno indagare. Il primo giorno, all’alba, un giovane pastore trova appeso a un ramo di un sicomoro (o meglio, del sicomoro, data la sua importanza) il cadavere di un bracciante di una stazione agricola. Il cadavere viene tirato giù dall’albero e si decide che il giorno seguente ci sarebbe stata la benedizione dell’albero profanato dal suicidio.
Tuttavia, una nuova macabra scena si presenta all’alba: “Davanti al clero della vallata che avanzava solenne avvolto nelle cappe ricamate, con in mano croci di legno, di ferro e d’argento, la mattina dopo, di impiccati attaccati allo stesso ramo ce ne erano due”.
E la serie di morti non finisce qui.
La mattina del terzo giorno, appeso al sicomoro, c’è un terzo cadavere. Un solo uomo, che però vale come l’intero villaggio: “Perché a penzolare sotto l’occhio di berberè del grande sicomoro come una lacrima sul controluce dell’alba, questa volta c’era un ferengi, un bianco. Ma non un ferengi qualunque. Un marchese. Il marchese Sperandio”.
“Il tempo delle iene” è un giallo storico, un genere che negli ultimi tempi sembra riscuotere un buon successo. A mio avviso, è però un “ottimo” giallo storico: l’autore, con grande abilità, riesce a unire storia, cultura e suspence in un racconto breve (196 pagine).
L’interesse (e penso anche l’amore) dell’autore per l’Eritrea e le sue tradizioni emergono in ogni frase, in ogni capitolo del romanzo: le parole in tigrigna, i riferimenti agli usi e i costumi…
Sono tutti aspetti che rendono le indagini del comandante Colaprico ancora più reali.
Inoltre, nonostante la distanza geografica tra Corno d’Africa e Italia, i riferimenti all’Emilia Romagna sono sempre presenti, come se ci fosse un filo invisibile, un legame indissolubile a unire le due regioni.
Non voglio raccontare molto della storia per paura di rovinare la lettura a un futuro lettore.
Ammetto che ho “sentito” la mancanza dovuta al fatto di non aver letto il primo romanzo con questi protagonisti. In alcuni passaggi è come se, avendo già presentato Colaprico e Ogbà precedentemente, l’autore evitasse di ripetersi e sottintendesse diversi loro aspetti.
Comunque ci tengo a sottolineare che un aspetto davvero molto importante è la capacità con cui l’autore riesce a creare e a rendere unici i suoi personaggi.
Tutti quelli che compaiono in scena (uomini, donne, bambini), anche solo per una pagina o qualche riga, sono talmente ben descritti che non ho fatto nessuna fatica a immaginarli come veri, come persone realmente esistite e che hanno sofferto, gioito, che hanno vissuto una vita.
Ogbà è probabilmente uno dei personaggi più particolari che abbia mai incontrato nella lettura di un romanzo: è davvero lo Sherlock Holmes abissino, pur senza sapere di esserlo!
Potrei discutere per ore dei personaggi di questo romanzo ma come dice lo stesso Lucarelli: “Ce ne sarebbero altri, ma se continuo così li metto tutti. Li lascio là dentro, allora, nel romanzo. Che vengano fuori da soli”.
Quindi, che dire se non buona lettura? :)
“-Ecco cos’è il cafard… un insetto che ti entra dentro l’anima e te la divora piano piano. La parola l’ha inventata un altro poeta amico di Arthur che si chiama Charles Baudelaire: significa ‘scarafaggio’ e rende bene l’idea.-
Era una cosa importante, ma Colaprico non se ne rese conto perché proprio in quel momento ne successe un’altra che lo sembrava di più. L’ultima delle cinque che accaddero in quei giorni e casualmente tutte di notte”
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Consigliato anche a chi è appassionato di storia, data la grande attenzione dell'autore nella ricostruzione del periodo storico.
Non si è mai troppo anziani per emozionarsi
Lo ammetto: quando ho deciso di leggere questo romanzo non mi sono interessata alla trama.
Mi è bastato leggere il titolo e guardare la copertina per decidere di prenderlo.
Cosa mi aspettavo da un romanzo con un titolo del genere?
Cosa mi aspettavo da un romanzo con una copertina tanto particolare?
La mia speranza era di trovare un libro ironico, magari anche tenero e a tratti commovente.
Purtroppo i miei desideri si sono avverati solo in parte.
“La fantastica storia dell’ottantunenne investito dal camioncino del latte” è il romanzo d’esordio del musicista inglese J.B. Morrison.
Il protagonista della storia è Frank Derrick, un vecchietto che trascorre le giornate in una casa a due piani, in una tipica cittadina inglese, in compagnia del suo gatto Bibì.
Frank ha perso la moglie anni prima e, a parte il gatto, è rimasto solo dato che la figlia si è trasferita negli Stati Uniti ed è da molto tempo che non torna in Inghilterra per trovarlo.
Le giornate trascorrono tutte uguali: Frank guarda molti film, a volte esce per andare a comprare qualche oggetto a un mercatino dell’usato, cerca in tutti i modi di evitare i venditori porta a porta, va a dormire presto e si sveglia ancora più presto per contare gli aerei che decollano dall’aeroporto vicino a dove vive.
Però, nel giorno del suo ottantunesimo compleanno, Frank viene investito da un camioncino del latte (“Nel giorno del suo ottantunesimo compleanno, Frank Derrick fu investito dal furgone del lattaio. Avrebbe preferito un buono per l’acquisto di un libro o un paio di gemelli per la camicia, ma è il pensiero che conta”). Con un braccio rotto e una gamba fratturata, Frank torna a casa dall’ospedale e scopre che la figlia ha deciso di pagargli un’infermiera che lo possa aiutare a casa una volta a settimana.
E’ così che irrompe nella tranquilla vita di Frank la giovane infermiera Kelly Natale.
Dopo la sua conoscenza Frank non sarà più lo stesso.
Frank è un personaggio “bizzarro”: è scorbutico, orgoglioso, testardo. Tuttavia il lettore è portato a provare affetto per il protagonista. L’intera storia ruota intorno a Frank: ci sono pochi personaggi secondari e tutto ciò che fanno (o hanno fatto) ha comunque importanza solo perché in qualche modo influisce su Frank e la sua vita.
Questo vecchietto dai lunghi capelli bianchi ha sempre la battuta pronta e, qualche risata, a volte, riesce anche a strapparla. Divertenti sono i continui riferimenti a film conosciuti ai quali Frank paragona ciò che fa o ciò che gli capita; divertenti sono anche i tentativi di Frank di piacere a Kelly.
Eppure, dietro questa maschera di simpatia, si nasconde un uomo solo.
Infatti, credo che il vero tema centrale dell’opera sia la condizione di solitudine degli anziani ai giorni nostri. Grazie all’ironia, l’autore è riuscito a presentare il tema dell’abbandono degli anziani nella nostra società. Un tema che spesso si tende a dimenticare o a far finta che non sia un problema ma, che in realtà, è una questione triste e dolorosa.
La gioia con cui Frank attende il giorno della settimana in cui Kelly viene a fargli visita è quasi infantile, testimonianza che con la vecchiaia non si perde il desiderio di voler provare forti emozioni.
Nel complesso“La fantastica storia dell’ottantunenne investito dal camioncino del latte” si rivela un bel libro anche se non bisogna aspettarsi una storia “strappalacrime” o troppo emozionante.
A pensarci bene, in alcuni punti la narrazione potrebbe anche apparire piatta, noiosa.
Per di più, penso a causa di alcuni problemi nella traduzione, si può perdere il filo del discorso e, diverse volte, ho dovuto rileggere alcuni passaggi perché non riuscivo bene a capire cosa l’autore volesse veramente esprimere.
Non ci sono colpi di scena: è un libro “normale”, come potrebbe essere normale la vita di un anziano che racconta chi è stato e chi vorrebbe essere.
Quindi, che dire se non “Buona lettura”? :)
“Perché sempre loro? si chiese Frank. Perché i giovani devono detenere il monopolio di qualsiasi stupido atto di teppismo? Perché nessuno di noi può divertirsi a fracassare una cabina del telefono o riempire di graffiti una panchina del parco, almeno di tanto in tanto? Perché la colpa deve essere dei ragazzini? […] Annoiati. Ah. Sul serio. Annoiati. Neanche conoscevano il significato preciso della parola. […] Annoiati di che cosa? Disponevano di scivoli, altalene e videogiochi. Potevano giocare a pallone e ad acchiapparella. Potevano correre, saltare, balzare, lanciarsi in alto, fare capriole e giravolte. Prendersi a pugni. Masticare la gomma. Avevano canali tivù apposta per loro e milioni di programmi radiofonici. Avevano internet, biciclette, cellulari e skateboard. Se erano davvero tanto annoiati, avrebbero dovuto provare a stare seduti in poltrona da soli per centinaia e centinaia di pomeriggi, guardando le repliche della Signora in giallo. Così si sarebbe risolta la questione. Gli anziani sarebbero stati giustificati a spaccare tutto, non i ragazzini”.
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Vivere o sognare? A te la scelta.
Premessa: recensire questa opera sarà complicato, molto complicato.
Infatti “La terra dei sogni” di Vidar Sundstøl non è un “singolo” romanzo: la casa editrice Einaudi ha deciso di pubblicare in un unico volume l’intera trilogia di questo autore norvegese.
Un unico romanzo di 837 pagine.
I 3 libri, nonostante abbiano lo stesso protagonista e affrontino la stessa storia, devono essere considerati uno per volta, in particolare perché sono tra loro molto diversi.
Mi scuso quindi già ora se la recensione sarà troppo lunga!
Prima di considerare ogni romanzo è necessario presentare il protagonista: Lance Hansen.
Essendo il protagonista di un romanzo giallo, Lance non poteva che essere un poliziotto.
Tuttavia non è un detective della omicidi né un agente speciale: è una guardia forestale sulle rive del Lago Superiore che passa le sue giornate a controllare che non vengano compiuti piccoli reati nei boschi.
Questa sua routine viene però sconvolta quando, una mattina come tante altre, trova due uomini: uno nudo, completamente ricoperto di sangue (ma ancora vivo) e il secondo orribilmente massacrato.
L’omicidio stravolge la vita di Lance che decide di dedicare anima e corpo alla ricerca della verità.
Arriva anche a scoprire una misteriosa relazione tra la terra in cui vive (il Minnesota) e la terra dei suoi avi (la Norvegia).
Lance, di origine scandinava, è un cultore della storia della sua contea: conosce vita, morte e miracoli di tutte le persone che hanno vissuto in quell’area.
Questa sua conoscenza lo aiuterà tantissimo nelle indagini ma lo porterà a soffrire molto: è proprio indagando che Lance scopre un possibile coinvolgimento della sua famiglia nell’assassinio (anche se, forse, questo omicidio non è il primo che interessa, più o meno direttamente, i parenti di Lance).
“La terra dei sogni”
Il primo romanzo (360 pagine) affronta il terribile omicidio e le relative indagini.
Lance, nonostante abbia trovato il cadavere del turista, non è coinvolto nelle indagini ufficiali, affidate all’FBI e a un detective norvegese arrivato in aiuto delle autorità locali.
Seguiamo le indagini da diversi punti di vista, sia le indagini ufficiali sia quelle di Lance.
Chi è interessato a una narrazione serrata, avvincente, ricca di colpi di scena, rimarrà leggermente deluso da questo romanzo: in certi passaggi la narrazione si fa piuttosto lenta.
Più che un romanzo giallo, “La terra dei sogni” sembra quasi un romanzo psicologico, una indagine su come il nostro passato e i nostri affetti possano influenzarci.
In più, nonostante l’omicidio sia il filo conduttore dell’intera trilogia, mi è sembrato che il primo volume si concentrasse quasi esclusivamente sulla presentazione di Lance e delle sue emozioni.
Ammetto di non aver apprezzato Lance Hansen: probabilmente era volontà dello stesso autore creare un personaggio che non fosse il tipico eroe. Lance ha innumerevoli difetti (sospetto abbia anche seri problemi nella gestione della rabbia) e, nonostante l’autore cerchi di portare il lettore quasi al compatimento del protagonista, in alcuni passaggi non riuscivo più a sopportarlo.
L’indagine psicologica di Lance è molto interessante e dettagliata, forse addirittura eccessiva: l’autore a volte si dilunga troppo nel presentare queste emozioni che, alla fine, la storia generale ne risente. Naturalmente ci sono anche tanti altri personaggi (all’inizio della lettura ho avuto anche a difficoltà a ricordarmi i nomi) ma, almeno in questo primo romanzo, tutti gli altri personaggi sono quasi uno sfondo, un contorno alla portata principale quale Lance Hansen.
Più che il romanzo giallo in sé, “La terra dei sogni” mi è piaciuto come romanzo “storico”: l’autore usa Lance per presentarci la storia di questa particolare area geografica, sia per quanto riguarda le sue relazioni con il “Vecchio Mondo” (sembra che le rive del Lago Superiore siano state colonizzate in particolare da scandinavi alla fine dell’800) sia per quanto riguarda le sue relazioni con i precedenti abitanti, ovvero gli indiani d’America. A me questa particolare attenzione per la storia locale è piaciuta, tuttavia non sono sicura che a lettori che non conoscono o non sono interessati alla storia americana possa piacere.
Comunque, nonostante la lentezza in alcuni passaggi, il romanzo è scritto con uno stile semplice, anche abbastanza scorrevole. La conclusione lascia intendere che fosse previsto un seguito.
“Da allora non aveva più sognato. Aveva letto che tutti gli uomini sognano, anche senza saperlo, ma a cosa serviva sognare se non se ne era consapevoli? Gli unici sogni che contano sono quelli che uno ricorda, e lui non aveva più sognato negli ultimi sette anni. […] Era una cosa di cui non aveva mai parlato con nessuno, tanto era strana e inverosimile. Lui non era come gli altri. Alcuni sognavano molto, altri rarissimamente, ma Lance Hansen non sognava affatto. Per lui dormire era un nulla che si ripeteva ogni notte, abitato solo dal medesimo sonno profondo senza sogni. E adesso l’onda stava di nuovo per inghiottirlo. I suoi pensieri erano una spiaggia dove era stato scritto qualcosa che le onde avevano ormai cancellato”.
“I morti”
Il secondo volume della trilogia (145 pagine) è ambientato pochi mesi dopo le vicende del primo romanzo. Della trilogia, è il romanzo più breve ma anche il più particolare: questo non è un romanzo per gli amanti dell’azione ma è adatto a chi vuole una storia che crea una profonda suspense.
L’intero racconto avviene in un’unica giornata nei boschi della contea e in scena ci sono solo due personaggi: Lance e il fratello Andy. I due fratelli non sono affiatati, anzi.
Molto probabilmente si odiano e nutrono un forte rancore l’uno verso l’altro per una complicata e delicata questione che ha segnato le loro vite durante il liceo.
Nonostante non si parlino e non si frequentino per quasi tutto l’anno, sono soliti passare una giornata insieme per dedicarsi completamente a una passione della famiglia: la caccia al cervo.
Eppure, leggendo anche solo i primi capitoli, appare evidente come in realtà non siano i cervi a essere le prede. Ben presto la caccia al cervo assume una vena inquietante e sinistra: i cacciatori di cervi ora sembrano cercare altro (o meglio, qualcun altro) da cacciare.
“I morti” è il romanzo della trilogia che mi ha colpito maggiormente: è a tutti gli effetti un thriller psicologico con una buona narrazione e una buona dose di suspense.
Infatti, nonostante siano due i protagonisti di questo romanzo, è possibile individuarne altri due: il primo è un lontano parente deceduto di Lance, la cui storia interrompe in più punti le scene di caccia (si capisce che cambiamo “storia” in quanto questi passaggi sono stati stampati in corsivo).
Il secondo personaggio da considerare è la Natura. E’ nella natura che ogni scena ha luogo ma questa non è solo un semplice sfondo: interagisce attivamente con i protagonisti (per esempio, il freddo sembra quasi avere le caratteristiche di un fantasma che tormenta Lance durante la battuta di caccia).
Rispetto “La terra dei sogni” questo romanzo è davvero molto più inquietante: il fatto che l’intera storia si svolga in tempi brevi, in uno spazio ristretto, crea quasi un senso di claustrofobia.
Anche Lance appare “meno eroe”: non lo era nel primo romanzo ma in questo libro compie delle azioni e ha dei pensieri che non si addicono minimamente ai cosiddetti “buoni”.
Non penso che la ridotta lunghezza del romanzo sia un problema: credo che invece proprio la brevità di questo riesca a rendere ancora più intensa la storia.
Naturalmente per comprendere il racconto è necessario aver letto il primo volume della trilogia: senza questa lettura, “I morti” non può che apparire come un thriller confusionario.
“Suo padre gli aveva insegnato a essere vigile quando non succede niente, a rimanere in ascolto quando c’è silenzio, e adesso Lance stava mettendo in pratica la sua lezione. Si alzò e si incamminò lentamente. Si fermava spesso. Stava immobile e in ascolto, ma non udiva nient’altro se non le gocce di pioggia sugli indumenti e qualche rara automobile che passava lungo la strada un po’ sopra di lui. Sapeva che, per avere qualche chance, non poteva permettersi la minima distrazione”.
“I corvi”
La trilogia si conclude con questo romanzo (326 pagine).
Il lettore può finalmente risolvere tutti i misteri che sono stati presentati nel primo volume.
Ambientato dopo la battuta di caccia del libro precedente, “I corvi” riprende in parte lo stile del primo romanzo, interessandosi particolarmente a ciò che Lance prova man mano che scopre la verità. Molti segreti vengono rivelati e, a conclusione di questa vicenda, la vita di Lance e dei suoi parenti non potrà mai più essere la stessa.
Il romanzo ha un inizio abbastanza lento ma la storia scorre velocemente: i capitoli sono davvero brevi (in genere non più di tre, quattro pagine) e a poco a poco la lettura si fa sempre più interessante. Fino alle ultime pagine non si è veramente sicuri di aver capito davvero chi sia il colpevole e cosa accadrà. Solo negli ultimi due capitoli il lettore può davvero risolvere il mistero.
Nonostante questo sia un bel modo di tenere vivo l’interesse dei lettori, la fine del romanzo mi è apparsa troppo frettolosa. Sembra quasi che l’autore non sapesse bene come concludere la storia e abbia deciso di interrompere la narrazione.
Concludendo la trilogia riusciamo a risolvere i nostri dubbi ma la fine me ne ha creati molti altri! L’autore non offre al lettore notizie su ciò che accade “dopo”. In pratica il caso è risolto e il romanzo (e quindi la trilogia) è così terminato.
Tuttavia, con tutta l’attenzione che è stata dedicata alla psicologia e alla vita dei personaggi (in questo romanzo l’autore non si interessa solo a Lance come nel primo ma approfondisce la psicologia di tanti altri, in particolare della nipote di Lance, Chrissy) immaginavo una conclusione leggermente diversa. Non sono rimasta delusa da come la trilogia sia terminata, speravo solo che l’autore potesse risolvere tante altre questioni lasciate in sospeso.
“-No, - sussurrò lui con voce roca, - Io e te siamo come i corvi che rimangono qui e riescono a sopravvivere all’inverno. Io e te sopravviviamo a tutto -
Debbie gli fece un sorriso che era più vecchio dei suoi anni e in cui lui lesse il naufragio del suo matrimonio, il periodo trascorso in California e il senso di fallimento per essere dovuta tornare nel luogo in cui era cresciuta.
- Noi non siamo corvi, - rispose lei. – Noi siamo le carcasse che loro banchettano per strada-“
Nel complesso, ho apprezzato la “Trilogia del Minnesota”. Molto probabilmente leggerò altro di questo autore norvegese, molto amato nel suo paese, in Europa e negli Stati Uniti ma da noi ancora sconosciuto. Spero davvero che verranno pubblicati altri suoi romanzi e che il fatto che questa trilogia sia stata pubblicata in unico volume non sia stata, alla fine, una “perdita”.
Quindi, che dire se non “buona lettura”? :)
Indicazioni utili
Più che agli appassionati dei noir scandinavi, consiglio la lettura agli amanti dei gialli di autori americani.
Eros e Thanatos: le facce della stessa medaglia.
Come iniziare la recensione di un romanzo con un titolo tanto “provocatorio”?
Lo ammetto: è stato lo stesso titolo a convincermi a leggere il romanzo.
Il titolo completo è: “La vita sessuale dei nostri antenati – spiegata a mia cugina Lauretta che vuol credersi nata per partenogenesi”.
Letto il titolo del romanzo, con un sorriso stampato in volto, mi sono chiesta chi fosse l’autore… Bianca Pitzorno. L’autrice, la conosco per essere un punto di riferimento nella letteratura per ragazzi; eppure, con questo romanzo, riesce a conquistare un pubblico adulto.
“La vita sessuale dei nostri antenati” è un romanzo complesso e anche voluminoso (più di 450 pagine) che ha come protagonista la docente universitaria di letteratura greca Ada Bertrand.
Ada è una donna intelligente, forte, il cui carattere è stato profondamente influenzato dall’ambiente in cui è cresciuta. Insieme alla cugina Lauretta, orfana, è stata educata dalla severa nonna Ada Ferrell, ossessionata dalle sue origini aristocratiche, e dallo zio Tancredi, medico originale e amorevole con le due ragazze.
Questi sono solo alcuni dei tantissimi personaggi che compaiono in questo romanzo.
Ada, dopo un viaggio per lavoro descritto nelle prime pagine, tornata in Italia, ripercorre la storia della propria famiglia, offrendo al lettore la possibilità di immergersi completamente nella vita dei Bertrand-Ferrell.
Riscoprendo foto, gioielli, ritagli di giornale, la donna riporta alla luce verità fino a quel momento dimenticate, nascoste, che permettono di rivelare la storia della famiglia, anche in contrasto con la versione tramandata con tanto orgoglio dalla nonna, generazione dopo generazione.
I personaggi di questo romanzo sono, a mio parere, descritti in modo incredibile. L’attenzione con cui l’autrice si concentra sulla loro psicologia, sui loro stati d’animo, mi ha davvero colpita.
Ada è sicuramente la protagonista indiscussa del romanzo ma anche tutti gli altri personaggi non sono da meno. In particolare le tante, tantissime, donne. E’ la stessa autrice che, sul suo sito, afferma di aver trovato un elemento costante nella sua letteratura: “L’attenzione per i personaggi femminili, unici protagonisti dei miei libri, e per i problemi relativi all’essere donna, ragazza o bambina nella nostra società contemporanea o nel passato più o meno lontano”.
E’ un romanzo sulla condizione femminile, che viene affrontata in maniera diversa dai personaggi:
Ada, Lauretta, l’amica Daria, la nonna… donne tra loro legate ma con idee, pensieri diversi (se non addirittura opposti e contrastanti).
Naturalmente ci sono anche figure maschili (prima fra tutte, lo zio Tancredi, personaggio tanto affascinante quanto misterioso): le donne vivono con loro, si relazionano con loro, li cercano o li allontanano.
Il romanzo è diviso in nove parti: ogni parte ha un titolo che fa riferimento alle storie, alle emozioni, che saranno raccontate nelle pagine.
I capitoli sono davvero brevi (in genere non più di due, tre pagine) ma molto densi: innumerevoli sono le citazioni inserite in riferimento alla letteratura classica, all’arte, alla musica.
Questi riferimenti sono ovunque nella storia; sono ovunque anche nella vita di Ada.
Leggendoli, si nota immediatamente il grande amore che l’autrice prova per ciò che ha studiato, per ciò che ha letto, per ciò che ha visto nella sua vita. In più, inserendoli all’interno del racconto, è riuscita a trasmettermi questo amore al lettore, tanto da spingermi a documentarmi di più, a scoprire di più (non esiterò a leggere/rileggere i libri citati all’interno del romanzo, di cui l’autrice offre un elenco completo alla fine).
Detto questo, effettivamente, quale è il tema centrale di questo romanzo?
Le donne? La famiglia? La storia? L’amore?
Non credo ci sia un solo e unico tema fondamentale. Sono molti, tra loro intrecciati.
Eppure gioca un ruolo fondamentale la morte.
Quando mi sono resa conto della costante presenza di questa tematica non sapevo bene cosa pensare: dalla lettura del titolo ammetto non mi sarei mai immaginata che l’autrice affrontasse un tema così profondo e delicato.
Però, è la stessa Bianca Pitzorno che, in un’intervista, spiega come mai la morte “impregni” ogni pagina del suo libro: […] “in questi ultimi anni sono morti tutti quelli della generazione dei nostri genitori, così che io e i miei fratelli adesso siamo i vecchi della famiglia. Questo porta a guardarsi indietro, a fare una specie di bilancio non solo su di noi, ma anche su coloro che ci hanno preceduto e che hanno influenzato la nostra vita. La morte si può affrontare non come fine, ma come apertura di un’altra porta, anche se non sappiamo bene come.”
Tuttavia, non è solo la morte il tema tanto delicato affrontato in questo romanzo.
Dal titolo del romanzo, si capisce immediatamente che il sesso, l’amore, ricorre all’interno della storia della vita della famiglia Bertrand-Ferrell come una costante.
“Un orgasmo così Ada Bertrand non l’aveva mai provato. O raggiunto? Anche lei al tempo dei collettivi femministi partecipava alle discussioni senza fine sui termini esatti da usare per le cose del sesso e per quelle politiche, che allora erano la stessa cosa. […] Ada Bertrand aveva sempre pensato a se stessa come a una persona razionale. Per questo era tanto più sbalordita (o stupefatta?) dall’intensità di quella sensazione (esplosione? estasi? trasfigurazione? o semplicemente intensissimo piacere?) che mai prima in vita sua aveva sperimentato. Mai”
Questo è l’incipit del romanzo. Eppure non è il sesso l’altro tema delicato e centrale del libro.
Un altro tema centrale (e davvero importante) è quello dell’identità sessuale.
Vorrei affidarmi ancora alle parole della stessa autrice per far capire quanto questo tema sia fondamentale per il romanzo. Bianca Pitzorno descrive il suo romanzo come “una storia di ‘gender’ e ‘transgender’” e afferma: “L’ambiguità sessuale faceva parte del mondo greco. Pensate a Ercole o ad Achille che si vestono da donna per necessità. Il sesso non era legato alla generazione, dopotutto siamo l’unico mammifero senza il periodo di estro: il sesso è un fatto molto più mentale che fisico. Pensate anche a quanti romanzi d’avventure esistono, in cui le eroine si travestono da uomo, per viaggiare o combattere”.
Infine, “La vita sessuale dei nostri antenati” mi è apparso come una forte critica sociale: viaggiando tra le epoche storiche e nella vita di Ada, l’autrice, con uno stile semplice, mai pesante (anche se ammetto di aver trovato alcuni punti un po’ lenti), riesce a dipingere una società caratterizzata da un perbenismo, da un’ipocrisia, che si potrebbero riscontrare in molte città italiane.
Nonostante i due borghi presentati (Donora e Ordalè) non esistano, non ho avuto difficoltà ad immaginarli come reali. Nelle note a inizio romanzo è la stessa autrice che dice: “Donora non esiste, come non esiste Ordalè. Non andate a cercarli sulla carta geografica o su Google Maps. Potrebbero essere e rappresentano una qualsiasi cittadina di provincia e un qualsiasi paese agricolo di una qualsiasi regione italiana affacciata sul Mediterraneo”.
Consiglio questo romanzo a chi ha apprezzato già lo stile narrativo di Bianca Pitzorno, a chi ha letto altri suoi testi (anche perché all’interno del romanzo sembra ci siano riferimenti a suoi personaggi precedenti). Tuttavia, lo consiglio anche a chi, come me, ha amato “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez. L’idea di ripercorrere la vita di una famiglia è comune ai due romanzi e poi, quando le è stato chiesto di consigliare delle letture, Bianca Pitzorno ha consigliato García Márquez, presentandolo come “uno strato delle sue letture”.
Quindi, che dire se non “buona lettura”? :)
“Andò a lavarsi la faccia con l’acqua fredda. Datti una calmata, Ada. Giuliano non ha nessuna colpa di quello che è successo a Cambridge. Semmai tu… Io no, quale colpa? Io sono una donna libera, e lui questo lo ha sempre saputo. Anche lui è un uomo libero, però non ti risulta che vada in cerca di avventure. Per me, che ci vada. Non sono mai stata gelosa. Davvero? Guardati allo specchio. Sei sincera quando dici così? Non sarà che invece sei cambiata? Che non lo ami più, o molto meno di un tempo? Che confronti i vostri ultimi tiepidi abbracci, quanti mesi fa ormai?, con la notte di fuoco ed estasi dell’Old Building? No. No. Non c’entra niente quell’avventura. Un’avventura, appunto, come altre prima. Migliore delle altre, appagante oltre ogni aspettativa. Ma finita, passata, cancellata, dimenticata. Ada Bertrand, lo abbiamo già scritto, era una donna razionale”
Indicazioni utili
Inoltre potrebbe essere apprezzato anche da chi ha amato "Cent'anni di solitudine" di Gabriel García Márquez.
A volte la colpa si può espiare solo con la morte.
La morte è da sempre il soggetto di racconti, poesie, canzoni.
Fonte d'ispirazione ma anche fonte di molte preoccupazioni.
Perché la morte può arrivare all'improvviso e, quando arriva, non rispetta nessuno.
("Erkete o Tanato ti e rrespettei").
"Viene la morte che non rispetta" è un romanzo noir incentrato sulle indagini del colonnello Enrico Anglesio. Il protagonista, come spiega lo stesso autore nei ringraziamenti, è il personaggio principale di un altro romanzo e di un racconto lungo. In effetti, all'interno di "Viene la morte che non rispetta" ci sono diversi riferimenti a fatti e eventi raccontati in altri libri.
Tuttavia, nonostante non abbia letto le altre imprese del colonnello Anglesio, non ho avuto problemi nella lettura del romanzo.
Osservando la copertina e leggendo la trama, il romanzo potrebbe apparire come un classico giallo: un protagonista (non un poliziotto ma un carabiniere in questo caso) deve indagare su un omicidio. Anglesio viene aiutato dai suoi due uomini più fedeli, il maresciallo Medardo Vercesi e il brigadiere Mattia Ferrari. Inoltre, intorno alla figura del colonnello, orbitano molti altri personaggi, dalla giovane Letizia con cui Anglesio ha una complicata relazione, al fidato oste Cicin, la cui focaccia è la migliore di Genova. I personaggi sono davvero ben sviluppati. Gli stati d'animo e i pensieri dei diversi protagonisti sono presentati in maniera precisa e semplice, senza che l'autore si perda in eccessive descrizioni. Infatti Alessandro Defilippi riesce con grande abilità a scrutare nell'animo dei suoi personaggi ("Ma non voleva più avere paura. Né paura di aver paura. Appoggiò la destra sulla tasca, cercando di sentire, nel contatto con la pistola, oltre la vigogna dei calzoni, una rassicurazione. Le pistole non sono cattive, sono oggetti. Buono o cattivo è chi le usa. Il problema è che nessuno è del tutto buono o del tutto cattivo: siamo tutti meticci del male").
Con grande abilità, l'autore riesce anche a presentare Genova, la città in cui le vicende si sviluppano. In alcuni passaggi il capoluogo ligure appare come un personaggio della storia e non come semplice ambientazione del racconto: è quasi viva. ("Novembre a Genova è un mese esagerato, soprattutto di domenica. Magari ti capita un giorno di maccaia, con il mare immobile e il cielo come un coperchio di ghisa. E sudi che ti pare l'Amazzonia. Se piove, invece, non scende acqua dal cielo: diluvia e a un certo punto pensi che sarebbe il caso di telefonare a Noè, per prenotare un posto. Sottocoperta, ché sul ponte ci si bagna troppo").
Nel romanzo ricorrono diverse espressioni dialettali, tutte comunque facilmente comprensibili.
Dato l'uso del dialetto e l'amore con cui l'autore descrive Genova, in un primo momento ho pensato che Defilippi fosse genovese. E' invece lo stesso autore che nei ringraziamenti spiega il perché un torinese abbia deciso di ambientare i propri racconti a Genova. Diverse sono le ragioni ma ne ho in particolare apprezzata una: "Per me Genova e Torino sono le due parti di una città altrimenti monca. Torino, l'entroterra di Genova; Genova, il borgo marinaro di Torino. Una città senza mare o senza fiumi è povera: la mia città immaginaria e reale ha un grande fiume che l'attraversa e il mare che la lambisce".
Se considerassimo solo i personaggi e lo scenario, il romanzo appare come un tradizionale racconto noir. Eppure "Viene la morte che non rispetta" è, a mio parere, in parte anche un romanzo storico.
Le vicende narrate sono ambientate a Genova ma nel 1952 e il dopoguerra italiano è un altro protagonista del romanzo. L'autore ammette che con il suo romanzo non intende realizzare un'opera di "ricostruzione storica" però riesce a dipingere molto bene gli anni successivi alla guerra.
Offre degli "squarci" sulla vita del periodo degni di un romanzo storico.
E' proprio per questo motivo che ho apprezzato il racconto: l'autore è riuscito a trattare molto bene un periodo delicato della storia italiana.
Consiglio il romanzo a chi ama leggere gialli e noir ma anche a chi è interessato alla storia italiana della prima metà del secolo. Nonostante i personaggi e i fatti siano opera di fantasia, ci sono riferimenti continui a eventi veramente accaduti.
Quindi, che dire se non "buona lettura"? :)
"Appoggiò il bisturi sulla mola e aprì il rubinetto dosatore. L'acqua iniziò a gocciolare sulla lama e lui azionò il pedale della ruota. Movimenti ritmici, morbidi, mentre l'acciaio gemeva con un sibilo aguzzo. Affilare un bisturi era un lavoro delicato: il filo doveva essere sottile, sottilissimo, per affondare come quando si sgozza un maiale. Per incidere la pelle con la stessa precisione e delicatezza di quando si sfiletta un pesce. Perché il bisturi è come un pennino. Deve saper scrivere. Sorrise appena, continuando a lavorare. Non era contento. Ma quel che andava fatto aspettava da tanto. Ed era venuto il tempo. Perché c'è un tempo per ogni cosa. Anche il tempo per uccidere."
Indicazioni utili
Dato il contesto in cui si sviluppa la vicenda, consiglio la lettura anche agli appassionati di storia contemporanea.
Un caffè per sciogliere il ghiaccio islandese
Hervor vorrebbe tanto viaggiare, allontanarsi dalla fredda Islanda; invece si ritrova bloccata a Reykjavik in un impiego che non la soddisfa e soprattutto in una relazione dalla quale non sa come uscire.
Mia pensava di aver trovato il vero amore con cui costruirsi un meraviglioso futuro: da un giorno all'altro si ritrova sola in un nuovo appartamento, sommersa dai debiti.
Silja è una donna che sembra avere tutto dalla vita: un marito che la ama, un buon lavoro, una famiglia sempre presente. Eppure questo splendido sogno svanisce quando, rientrando a casa una sera, si rende conto di tutte le bugie su cui si basa il suo matrimonio.
Karen è una ragazza ribelle. Bionda, magra, bellissima. Tuttavia i suoi occhi sono spenti, così come è falso il suo sorriso. Una perdita dolorosa l'ha segnata nel profondo.
Sono quattro donne molto differenti tra loro che, però, hanno una cosa (o meglio un luogo) ad unirle:
il Reykjavik Café. Le loro vite si incroceranno anche se molte volte non se ne renderanno conto.
Spesso siamo così concentrati sul nostro dolore che è difficile notare ciò che ci circonda.
La capitale islandese è l'ambientazione perfetta per la storia di quattro trentenni che, con i loro sorrisi e i loro dolori, rappresentano bene un'intera generazione di donne.
Il freddo islandese è una costante in tutto il libro. L'inverno buio sembra quasi riflettere lo stato d'animo delle quattro protagoniste. La felicità sembra difficile da raggiungere in un ambiente cupo e freddo, quando le ore di sole sono poche.
Eppure, con il passare del tempo e l'avvicinarsi della primavera, lo sciogliersi del ghiaccio e della neve porta una nuova speranza. Le ore di luce che durano sempre più permettono di vedere un nuovo futuro.
Reykjavik Café è una "commedia romantica". Non si può definire un vero e proprio libro romantico, anche se, nelle vite delle protagoniste, l'amore gioca un ruolo fondamentale.
Si tratta di una commedia perché le lettrici potranno facilmente immedesimarsi in Hervor, Mia, Silja e Karen. Potranno ridere, arrabbiarsi, piangere con loro.
L'autrice, con uno stile semplice, anche colloquiale, presenta i sentimenti, le emozioni di quattro donne alle prese con un caos emotivo che sembra quasi impossibile da vincere.
La sottile ironia che caratterizza tutto il romanzo è un'ironia tutta femminile.
Ho apprezzato nel complesso la storia: mi sono piaciute le protagoniste, Reykjavik è presentata molto bene facendo riferimento a tutte le vie, i negozi e i luoghi che circondano la capitale.
Tuttavia sono rimasta leggermente delusa dal finale, troppo veloce e sintetico.
Conclusa la lettura, ammetto che le quattro protagoniste, con i loro problemi e difficoltà, mi mancheranno. L'autrice è in grado, fin dalla prima pagina, di portare il lettore a emozionarsi.
Le quattro protagoniste non vengono descritte subito nei minimi dettagli ma, terminato il romanzo, appaiono quasi come delle amiche di sempre, di cui conosciamo ogni aspetto.
Nonostante i dolori, le sofferenze che si possono provare nella propria vita a causa dell'amore, del lavoro, della famiglia, il libro offre una nota di speranza. Le tristezze, i dolori, la solitudine possono essere vinti. E forse, alcuni problemi possono essere utili, se non necessari, per realizzarsi e diventare veramente chi vogliamo essere.
Quindi, che dire se non "buona lettura"? :)
"Per sei secoli la vita sociale islandese era come una lunga, ininterrotta pellicola di Hrafn Gunnlaugsson. Scialba. Spietata, inclemente. E poi è successo tutto in fretta. Oggi puoi diventare quello che vuoi. E' questo il problema. La scelta non sta più tra diventare casalinga o casalinga. Puoi diventare casalinga o astronauta e tutto quello che ci sta in mezzo."
Indicazioni utili
Scritto in particolare per un pubblico femminile, anche gli uomini potrebbero apprezzarlo.
Un fuoco che arde, impossibile da spegnere
Rossi come le fiamme sono i capelli di Matilde.
Sono ricci indomabili che le ricadono sulle spalle, mossi dal vento quando cavalca con maestria il suo cavallo Fulmine.
Eppure è soprattutto la passione, la fede, che divampa in questa dama-guerriera.
Un fuoco indomabile.
Nessun sopruso, nessuna violenza, nessuna ingiustizia, impedisce a Matilde di continuare ad avere fede. E' un fuoco che brucia in lei senza sosta e la spinge a compiere tutte le grandi azioni per cui, ancora oggi, è conosciuta.
"Matilde (per grazia di Dio, se è qualcosa)" è un romanzo storico che tratta la vita di Matilde di Canossa, dall'anno della sua nascita, nel 1046, all'anno della sua morte, nel 1115.
Matilde è stata una figura significativa del Medioevo italiano, sia per le sue grandi doti come guerriera sia per le sue capacità diplomatiche e intellettuali.
E' stata una figura femminile forte e capace di imporsi in un periodo storico problematico.
Matilde, nonostante fosse una donna, è riuscita ad affermarsi come un punto di riferimento della politica medievale per molti uomini, sia del Papato che feudatari.
Leggere un romanzo storico ben scritto risulta sempre un piacere.
L'autrice si è documentata davvero molto per scrivere questo romanzo: l'attenzione per i particolari della vita di Matilde è evidente in ogni capitolo.
Forse, a volte, questa attenzione risulta anche essere eccessiva e quindi, più che un romanzo storico, il libro può apparire come una biografia o addirittura, un libro di Storia.
Tuttavia lo stile dell'autrice è molto elegante, mai pesante.
I capitoli sono brevi e si leggono velocemente.
Ogni capitolo è introdotto da un luogo e una data: infatti il romanzo ripercorre gli episodi più significativi della vita di Matilde, in particolare gli episodi che l'hanno fatta divenire il personaggio storico che oggi conosciamo.
Trovo interessante che l'autore di questo romanzo sia una donna.
Questo libro è un romanzo su una donna, scritto da una donna, e non credo sarebbe potuto essere diversamente.
L'autrice presenta Matilde con un sentimento che è testimone del grande interesse provato per questa figura. L'autrice porta il lettore ad apprezzare, pagina dopo pagina, Matilde, una delle figure più importanti e interessanti del Medioevo italiano, purtroppo spesso dimenticata.
E' un romanzo storico ben strutturato che, nonostante sia incentrato per lo più sulla figura della contessa di Canossa, dipinge la Lotta per le investiture e la scena politica medievale con grande precisione.
Gli appassionati di Storia potranno sicuramente apprezzare questo romanzo che, nonostante qualche piccola licenza dell'autrice, risulta essere un ottimo libro storico.
Inoltre, consiglio questo romanzo a tutte le donne.
Matilde, considerando sempre il periodo storico e l'ambiente in cui è vissuta, può essere presa come esempio: è stata una donna che, con le sue sole forze, è riuscita a vincere le sue battaglie, sia fisiche che spirituali.
E' la stessa autrice che, a mio parere, dedica questo romanzo a tutte le donne.
In particolare, nei ringraziamenti, cita la madre e la nonna come le donne più importanti della sua vita, sostenendo che l'orgoglio nell'essere donna che le ha caratterizzate le ha ricordato molto l'orgoglio della sua protagonista e si mostra fiera e felice di essere una donna.
Quindi, che dire se non: buona lettura? :)
"Grida spaventose risuonavano nell'aria satura di sudore e sangue, coperte a tratti dallo stridio delle lame quando, nel furore della mischia, un cavaliere emerse tra gli altri. Roteava la lancia e con affondi precisi si gettava sui nemici uccidendone un gran numero, proteggendosi con un pesante scudo. Dinanzi a lui gli avversari cedevano e dopo alcuni minuti di lotta feroce, quando l'eroico soldato raggiunse il portabandiera nemico, con un fendente fulmineo gli mozzò la testa, che cadde rotolando sull'erba insieme al vessillo. Echeggiò un urlo, quasi un ruggito, e, mentre gli ultimi superstiti della parte avversa tentavano invano di fuggire, il cavaliere si portò la mano destra alla fronte e si fece il segno della croce. Subito attorniato dai suoi fedeli esultanti per la vittoria, volse intorno lo sguardo, si tolse l'elmo e una folta chioma di capelli rossi, lunghi e ricciuti ricadde sull'armatura argentea. Era una donna: bella, imperiosa, dallo sguardo impenetrabile".
Indicazioni utili
Può essere apprezzato anche da chi è appassionato di biografie anche se, nel complesso, la vita di Matilde di Canossa risulta essere abbastanza romanzata.
La verità provoca dolore
Manca poco a mezzanotte. Tutto è buio, non si sentono rumori. Siete nel vostro letto, sotto le vostre coperte. La giornata è stata stancante e volete solo riposarvi.
Eppure, l'Incubo è lì che vi attende.
Come ogni notte torna a farvi visita, impedendovi di dormire al meglio.
Questo è quello che succede a Conor, il protagonista del romanzo "Sette minuti dopo la mezzanotte".
Ogni notte soffre per un incubo ricorrente, accompagnato da una sensazione di disagio che impedisce al ragazzino di riposarsi.
L'Incubo è talmente straziante che Conor si sveglia sempre urlando.
Sembra una notte come tutte le altre quando, sette minuti dopo la mezzanotte, Conor sente qualcuno chiamarlo. E' il mostro ed è venuto a prenderlo.
Il mostro che promette di raccontare a Conor tre storie purchè, alla fine, il ragazzino racconti una quarta storia, la "verità", una verità che Conor nasconde a tutti, anche a se stesso.
"Sette minuti dopo la mezzanotte" è un romanzo scritto da Patrick Ness ma, sulla copertina del libro, è presente anche un altro nome: Siobhan Dowd.
Infatti, l'idea originale del romanzo è stata concepita (come spiega Ness nella nota dell'autore) da questa autrice inglese, deceduta a causa di un tumore prima di portare a compimento l'opera (che sarebbe stata il suo quinto romanzo).
A Ness è stato chiesto se se la sentisse di terminare il racconto e, con esitazione, l'autore ha accettato. Con l'aiuto dell'illustratore Jim Kay, Ness si è posto un unico obiettivo: scrivere un romanzo che sarebbe potuto piacere a Siobhan.
Dopo aver terminato la lettura del romanzo, credo che Ness sia riuscito nel suo intento.
Scrivere un riassunto di questo romanzo è complicato perchè si basa sui sentimenti, sui pensieri estremamente personali che il racconto suscita nel lettore.
Tratta di un argomento molto delicato: le sensazioni provate da un bambino di fronte alla malattia di un proprio caro. Infatti la madre di Conor è molto malata e il protagonista deve faticare moltissimo per aiutarla. E' un romanzo che sconvolge perchè, con estrema semplicità, tratta di un argomento così reale, così profondo, da commuovere il lettore.
La particolarità di Ness è che riesce a presentare un dolore così forte con toni delicati, semplici.
Il dolore che viene trasmesso è autentico, un dolore lacerante, presentato senza giri di parole o luoghi comuni. Conor è un ragazzino semplice, come tanti, costretto ad affrontare un grande problema, non solo per un bambino.
E' un protagonista che senti vicino (in alcuni punti avrei tanto voluto avere la possibilità di abbracciarlo!), a cui continui a pensare anche quando hai terminato la lettura.
Conor non si lamenta per la situazione in cui si trova: Conor cerca in tutti i modi di aiutare la madre.
Anzi, addirittura avverte come un'invasione del nucleo famigliare la presenza della nonna, credendo che non sia necessario il suo aiuto.
Conor si mostra indifferente a tutto ciò che gli capita (a scuola, dove è vittima di bullismo, all'allontanamento dei suoi amici, all'assenza del padre) ma in realtà soffre per il segreto che porta dentro e che non riesce a rivelare.
"Sette minuti dopo la mezzanotte" è una favola senza i soliti personaggi e le soliti morali.
Il vero protagonista del romanzo è la verità. Una verità che il mostro richiede a Conor.
Interessante è la figura di questo "mostro".
Un mostro che si presenta come tale a Conor ma, che nel corso degli incontri con il ragazzino, diventerà quasi una figura di riferimento, una figura che aiuta il bambino ad affrontare i suoi problemi.
E' un rapporto complicato quello che si instaura tra Conor e il mostro.
Inizialmente entrambi diffidenti, si renderanno ben presto conto di aver entrambi bisogno l'uno dell'altro.
Il romanzo viene presentato come un romanzo per ragazzi ma è talmente profondo che, a mio parere, è capace di emozionare anche un pubblico adulto.
E' un romanzo sconvolgente che bisogna leggere quando si è davvero pronti ad affrontare un tema tanto delicato. Non è una lettura banale.
Ho passato quasi tutta la lettura del romanzo con le lacrime agli occhi e, credo, che un pianto al termine del libro sia quasi liberatorio.
Quindi, che dire se non "buona lettura"? :)
"Gli umani sono bestie complicate, disse il mostro. Come fa una regina a essere al contempo una strega buona e una cattiva? Come fa un principe a essere un assassino e un liberatore? Come fa un antico semplicista a essere avido ma anche saggio? Come fa un curato a essere irragionevole e anche generoso? Come fanno gli uomini invisibili a diventare ancora più soli rendendosi visibili? [...] La risposta è che non conta quello che pensi, disse il mostro, perchè la tua mente si contraddirà cento volte al giorno. [...] La mente crede a bugie confortanti, mentre conosce le dolorose verità che rendono necessarie quelle bugie. E la tua mente ti punisce per il fatto che credi contemporaneamente a entrambe le cose."
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Quando il colore bianco è sinonimo di morte.
Il Mar Bianco.
Secondo la definizione dell'enciclopedia si tratta di un mare laterale del Mar Glaciale Artico che, essendo quasi totalmente circondato dalla terraferma, è spesso considerato un mare interno. Bianco: un colore che evoca la purezza, la verginità, la spiritualità... ma il bianco in Oriente significa anche sfortuna e viene spesso attribuito alla morte.
Ed è la morte che sembra, come un'aura invisibile, avvolgere le isole Solovki, l'arcipelago nel Mar Bianco, "fatte di roccia e di torba".
Alessandro Capace (e non "Capaci", come tutti sbagliano) è un "brillante fallito" di trentasei anni che, impegnato nel tentativo di affermarsi come reporter, si ritrova catapultato nel freddo russo delle isole Solovki, alla ricerca di tre giovani italiani scomparsi.
In "Mar Bianco" la fantasia si sovrappone alla realtà; il thriller si sovrappone alla Storia.
Numerosi sono i riferimenti alle atrocità che sono state compiute sulle isole Solovki ("Per secoli anche i morti sono stati buttati nella torba. I monaci ortodossi che sono vissuti e morti al monastero, i pescatori che hanno avuto il coraggio di stabilirsi su queste isole, le migliaia di prigionieri che sono stati mandati quassù dagli zar a da Stalin [...] - uno a uno, tutti sono stati seppelliti nella palude di torba che circonda il villaggio. E' come se tutta l'isola poggiasse sopra un'enorme distesa di ossa") ed è proprio la Storia della Russia, di queste sperdute isole del Mar Bianco, che ci guida in un romanzo investigativo ricco di spunti di riflessioni sulle persone e sulla società.
"Mar Bianco" di Claudio Giunta non è un sempice romanzo noir, così come Alessandro non è il tipico detective dei gialli. Alessandro è davvero un "brillante fallito". E' un uomo che in certi passaggi si può arrivare anche a disprezzare ma, che alla fine, rappresenta in maniera perfetta le speranze infrante, le illusioni, i dolori di una generazione.
Le riflessioni di Alessandro sono, a volte, dei veri e propri pugni nello stomaco.
Ammetto che ho apprezzato la sincerità, la durezza, con cui l'autore dipinge usi, costumi e persone, in particolare dell'Italia.
"Ancora i ragazzi. A che età, ricordo di aver pensato, si smette di essere "ragazzi", in Italia? Ma in realtà ciò che mi infastidiva in quell'espressione non era il dato dell'immaturità, la cosa ridicola che era trattare degli ultratrentenni alla stregua di adolescenti. Il fatto è che inconsciamente avevo collegato i "ragazzi" ai "bravi ragazzi" di un vecchio film di Scorsese sulla mafia. Non mi piace questo genere di solidarietà tra maschi, non mi piacciono le comunità chiuse: [...] c'è quacosa di puerile in questo attaccamento. E anche di poco sano".
Alessandro sa di non essere l'eroe giusto che parte per scoprire la verità.
Sa di essere un uomo con numerosi difetti (l'incapacità di sentire un attaccamento verso il figlio, il vedere la scomparsa dei tre amici come un modo per avvicinarsi nuovamente al suo amore universitario...). Tuttavia, è proprio questa sua consapevolezza che me l'ha fatto apprezzare come personaggio principale. E non è l'unico personaggio che ho davvero apprezzato.
L'autore è riuscito a creare dei protagonisti con una psicologia "vera": anche quei personaggi che conosciamo solo per poche pagine, sono dipinti in maniera estremamente realistica.
Inoltre, ho apprezzato la volontà dell'autore di essere davvero fedele alla Storia: dalla lettura del romanzo si nota come ci sia stato un attento lavoro di documentazione.
Niente viene dato per scontato. Ogni aspetto, anche quello che potrebbe apparire insignificante, della vita sulle Isole Solovki, nel passato e nel presente, viene offerto al lettore.
Lo stile non diviene mai pesante. Non è una lezione di storia: il protagonista ci racconta in prima persona quello che vede, quello che sente, quello che prova.
Nonostante le circa 300 pagine, la lettura scorre velocemente: i capitoli sono brevi e, concluso uno, sentivo la necessità di continuare a leggere per capire come continuava la storia.
Lo consiglio sicuramente agli amanti dei gialli ma anche a chi ha una forte passione per la Storia.
Infatti, "Mar Bianco" ci presenta avvenimenti storici che spesso vengono (purtroppo) trattati con superficialità a livello scolastico. Avvenimenti che spesso vengono anche dimenticati, nonostante siano avvenuti in tempi a noi vicini.
Vi lascio con un estratto di "natura storica". Che dire se non: buona lettura? :)
"Per i russi, il nome Solovki ha un suono sinistro: quasi lo stesso di Kolyma o di Auschwitz, salvo che le Solovki hanno anche una storia sacra che complica le cose e le rende, se la cosa è possibile, ancora più tristi. [...] L'intero monastero diventò un gulag. Un edificio nato per il culto venne usato per trent'anni come luogo di detenzione, prima per i criminali comuni, poi per i dissidenti. Detenzione: cioè tortura. Ho detto che è difficile immaginare cosa vuol dire passare l'inverno alle Solovki. Ma passare alle Solovki cinque, dieci, venti inverni senza avere cibo e vestiti sufficienti, lavorando come schiavi tutti i giorni della settimana, tutte le settimane dell'anno, supera la comprensione umana perchè non è umano: semplicemente, uno rinuncia a pensarci. E tuttavia questo, è stato calcolato, fu il destino di circa trecento mila esseri umani tra il 1925 e il 1954. [...] Oggi il monastero è tornato a essere un monastero. Anche se cade a pezzi, e anche se conserva ancora le tracce di decenni di atrocità: le antiche celle dei monaci trasformate in dormitori, le scritte in cirillico sui muri, i sotterranei senza finestre e senza fognature dove venivano rinchiusi per mesi, per anni, i nemici del popolo - lì i "ratti", come li aveva battezzati la propaganda del regime sovietico, venivano davvero trattati come ratti, diventavano ratti".
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Consigliato più a lettori adulti che ai ragazzi, penso che i 18 anni siano una buona età di partenza per la lettura di questo romanzo (più che altro per avere una base di quegli argomenti di Storia che, tradizionalmente, sono studiati a questa età).
E' nata prima la mente o l'idea della mente?
Ho difficoltà a iniziare la recensione di questo romanzo per paura che, qualunque cosa io possa scrivere, ne rovini la lettura. Ciò sarebbe un peccato dato che "Genesis" è un libro con grandi potenzialità.
La protagonista di questo romanzo è Anaximander, meglio conosciuta come Anax.
Lo spazio temporale è di solo 5 ore, la durata dell'esame di ammissione di Anax all'Accademia.
Tuttavia, in solo 5 ore, viene evocata la storia di una civiltà distopica del futuro.
Il racconto appare come una lezione di storia, lezione che in realtà è l'esame di Anax, condotto da tre esaminatori che rappresentano l'Accademia.
L'intero romanzo si basa sul colloquio tra Anax e gli esaminatori, un botta-risposta che in alcuni passaggi crea anche un buon livello di tensione.
Anax è nervosa per l'esame ma, allo stesso tempo, è sicura di se: ha scelto come argomento del proprio esame la vita di Adam Forde, un ragazzo di 19 anni morto anni prima che, con le sue azioni rivoluzionarie, ha dato inizio ad una nuova epoca.
Anax sente una profonda relazione con questo personaggio e, raccontando agli esaminatori la storia della vita di Adam, dipinge anche come la società sia cambiata in 100 anni.
Il romanzo è breve (183 pagine) ma è ricco di spunti di riflessione. Alcuni passaggi li ho dovuti rileggere molte volte per comprenderli davvero. Un esempio è quando l'autore presenta l'esperimento mentale della "Stanza cinese". La lettura di questo romanzo mi ha posto davanti a numerose questioni a proposito dell'intelligenza artificiale, della mente, della coscienza a cui sto ancora cercando delle risposte.
E' un peccato che questo romanzo venga classificato come un libro per adolescenti.
Infatti, se qualcuno mi chiedesse di consigliare un libro distopico per ragazzi, consiglierei tanti libri ma non "Genesis". E' vero, la protagonista è una ragazza ma, a mio avviso, è l'unica connessione che si può trovare con altri romanzi YA. Per la profondità di alcuni argomenti trattati, il romanzo si avvicina più a "1984" di Orwell che ai numerosi romanzi distopici per ragazzi degli ultimi anni.
Potremmo definire "Genesis" un romanzo che richiede al lettore di Pensare (uso volutamente la lettera maiuscola): Pensare a proposito della nostra vita, della nostra esistenza.
E' un romanzo che si può o amare o odiare, ma, in entrambi i casi, vi farà riflettere.
Terminata la lettura sono rimasta ferma con il libro in mano per qualche minuto, chiedendomi cosa "realmente" avessi appena finito di leggere.
Un libro di fantascienza? Un libro di filosofia? Un semplice romanzo? Non ho ancora trovato una risposta ma, qualunque cosa "Genesis" sia, mi ha profondamente colpito.
Come ho detto all'inizio della recensione, trovo enormi difficoltà a recensire questo libro.
Il solo consiglio che vi posso dare è di provare a leggerlo. Tuttavia, se davvero siete interessati a questo romanzo, un altro consiglio che vi posso dare è di non leggere niente che in qualche modo possa rovinarvene la lettura. Trovatene una copia e iniziate a leggerla: l'esperienza che si prova dalla lettura di "Genesis" è ancora migliore se non si sa cosa ci si aspetta.
Quindi, che dire se non: buona lettura? :)
"Tu ti burli di me perchè il mio tempo di vita è breve, ma è proprio questa paura di morire che soffia in me la vita. Io sono il pensatore che pensa il pensiero. Io sono curiosità, io sono ragione e sono odio. Io sono indifferenza. Io sono il figlio di un padre, che a sua volta è il figlio di un padre. Io sono la ragione per cui mia madre ha riso e la ragione per cui mia madre ha pianto. Io sono lo stupore e io sono stupefacente. Sì, il mondo può premere i tuoi pulsanti nel passare attraverso i tuoi circuiti. Ma il mondo non passa attraverso di me. Vi indugia. Io sono in esso ed esso è in me. Io sono il mezzo attraverso il quale l'universo è arrivato a conoscere se stesso. Io sono la cosa che nessuna macchina potrà mai fabbricare. Io sono il significato".
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Classificato (purtroppo) come libro per ragazzi, credo che l'età di partenza per la lettura di questo romanzo siano (come minimo) i 16 anni.
Un viaggio nel piccolo - grande mondo
"Ciò che non giova all'alveare non giova neppure all'ape".
Questa citazione dell'imperatore romano Marco Aurelio spiega molto bene la società in cui Flora 717, la protagonista di questo romanzo, si ritrova a vivere.
Ogni azione che le sue sorelle compiono (anche le azioni più estreme) hanno un unico obiettivo: il benessere dell'alveare. La legge che le api ripetono ossessivamente è una in particolare:
"accettare, obbedire, servire".
Il romanzo si apre con la nascita di Flora e la fuoriuscita dalla sua celletta. E' proprio la sua nascita che sembra sconvolgere il naturale assetto dell'alveare: nella società delle api non c'è posto per la diversità, non c'è spazio per le anomalie. Flora 717 è diversa: nonostante sia destinata ad essere un'ape operaia della casta più umile (quella delle spazzine) non assomiglia alle sue sorelle. E' molto più grossa, più scura e anche più brutta rispetto le altre api. E' diversa perchè rispetto le altre spazzine è in grado di parlare e quindi mostra una spiccata intelligenza.
Il libro propone al lettore un viaggio nel mondo delle api seguendo la vita di Flora che, da semplice spazzina riuscirà ad affermarsi come bottinatrice, esplorando così il mondo "al di fuori" dell'alveare.
Il racconto è stato presentato come l'unione del capolavoro di Orwell "La fattoria degli animali" e del recente successo editoriale "Hunger Games".
In effetti ci sono all'interno del romanzo alcuni aspetti che ricordano le due opere: gli animali che parlano, la quasi totale assenza dell'uomo, la divisione in caste, l'affermarsi di un singolo gruppo sugli altri membri della società. Ci sono tutte le caratteristiche per un perfetto romanzo distopico, ambientato in un mondo che si presta bene a questa tipologia di racconto.
Flora è la protagonista assoluta del romanzo, un simbolo di cambiamento in una società immutabile governata da rituali e miti antichi.
Sono rimasta immediatamente affascinata dalla copertina del romanzo e ancora di più dalla trama quando ho letto la quarta di copertina. Le api mi hanno sempre ispirato simpatia e lo studio del loro comportamento, della loro società mi ha sempre interessato moltissimo.
Proprio per questo motivo ammetto che, nonostante il romanzo mi sia piaciuto, ne sono rimasta leggermente delusa.
Alcuni passaggi potrebbero apparire oscuri a chi conosce poco del mondo degli insetti sociali.
Per esempio sembra che l'autrice dia per scontato che il lettore conosca "la danza delle api", i movimenti in volo che le bottinatrici utilizzano per informare esattamente le altre api della posizione dei fiori, del polline, del nettare e di sorgenti d'acqua. Inoltre ci sono alcuni termini tecnici che possono mettere in difficoltà il lettore.
L'autrice si è documentata molto prima di scrivere questo romanzo e ciò lo apprezzo davvero tanto.
L'alveare viene descritto nei minimi particolari, così come la vita delle api. L'autrice non si lascia sfuggire nessun dettaglio, descrivendo magistralmente il carattere di ogni singolo personaggio: la devozione delle api, la spavalderia dei fuchi, la maliziosità delle vespe...
Dopo aver letto questo romanzo sono ancora più affascinata da questo piccolo/grande mondo.
Quindi, che dire se non "buona lettura"? :)
"La folla si voltò e l'attenzione di tutte quante le sacerdotesse della Salvia si concentrò su di lei mentre si faceva avanti. Le sorelle arretrarono intimorite. Flora aprì le antenne e provò un'ondata di sollievo. Solo la Regina può figliare: era questa la verità e nel riconoscerla si sentì di nuovo unita alle sue sorelle. Per loro avrebbe volentieri dato la vita e nella morte avrebbe riscattato il proprio onore."
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Nonostante sia considerato un libro per ragazzi, lo consiglio anche agli adulti.
Per quanto riguarda i ragazzi, penso che l'età consigliata sia dai 16 anni in su.
La storia di una ragazza, la storia di un'epoca
Anni '60.
Sono gli anni della "British invasion": The Beatles e The Rolling Stones per la musica, Twiggy nella moda, Alfred Hitchcock per il cinema e Sophie Straw per la televisione.
Chi è Sophie Straw?
Sophie, o meglio Barbara, è una ragazza di un paesino del Nord Inghilterra che ha sempre avuto un solo sogno: far ridere la gente. Proprio per questo motivo, incoronata reginetta di bellezza del suo paese, decide di fuggire, scappare da una vita che le sta stretta.
Si trasferisce allora a Londra, la Swinging London: una città frizzante, energica, esuberante come lei, ragazza di provincia sconosciuta che, all'improvviso, diviene una delle star della televisione più amate in tutto il paese.
Il romanzo di Hornby è una lettura piacevole, soprattutto per chi ama i mitici anni '60: numerosi sono i riferimenti alla musica, all'arte, alla società del periodo. In più, tra le pagine, si possono osservare fotografie di luoghi, cartelli pubblicitari e molto altro di questi anni.
E' il primo romanzo di questo autore che leggo, nonostante in molti mi abbiano consigliato di leggere anche altri suoi libri. Ho apprezzato lo humor che caratterizza tutto la storia: uno humor sottile, inglese che non solo vuole far ridere/sorridere ma anche far riflettere.
In particolare, più che la protagonista, ho apprezzato la coppia di sceneggiatori della BBC, senza la quale Sophie non sarebbe diventata nessuno: Tony e Bill.
Sono ironici (soprattutto Bill), intelligenti, sensibili. Tuttavia, credo che questi due personaggi siano i veri protagonisti della storia perchè incarnano perfettamente gli ideali e le contraddizioni della società di quegli anni. I due amici hanno un passato comune ma, prendendo due strade completamente diverse, avranno anche vite differenti,
Nel complesso il romanzo si legge volentieri, anche se ammetto di aver faticato in alcuni passaggi a causa di una mancanza di "feeling" con alcuni personaggi, tra cui anche la protagonista.
Forse mi aspettavo una protagonista diversa, con sogni e pensieri diversi. Invece Sophie è una ragazza come tante: sogna di recitare in televisione, sogna di essere famosa, di essere riconosciuta e di non essere dimenticata.
Però, a pensarci bene, è forse proprio questo suo essere "tanto comune" che la rende un perfetto personaggio principale per questo romanzo, un romanzo che non vuole raccontare la vita di una singola persona ma vuole raccontare un'epoca di cambiamenti, positivi e negativi che siano.
E' un romanzo sullo scorrere del tempo e la nostalgia che possiamo provare quando realizziamo che non siamo più quelli che eravamo.
Vi lascio con un estratto del romanzo... che dire se non: buona lettura? :)
"Quello in cui vivevano adesso era un mondo diverso, si sorprese a pensare Sophie, dopodiché si rimproverò. Chiaro che era un mondo diverso. Che banalità sono, queste? Ovvio, il 1980 era diverso dal 1930, il 1965 era diverso dal 1915 e così via. Sì, ma... santo Dio... agli occhi di un ventiduenne di oggi, il 1965 doveva essere come il 1915 era stato ai suoi agli inizi. Solo che invece non poteva essere la stessa cosa. Lei negli anni Sessanta vedeva fotografie dei Beatles e di Twiggy dappertutto. A quei tempi nessuno voleva pensare al 1915. Poi le venne in mente che c'erano anche poster di Lord Kitchener dappertutto. Che confusione".
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Una tragicommedia (purtroppo) estremamente reale
Quattro personaggi particolari, incredibili, folli.
Due storie surreali, grottesche, che dipingono un paese in grave difficoltà.
Un solo autore, Maurizio Asquini, che è riuscito a colpirmi nel profondo.
Cervelli bruciati è un romanzo diviso in due parti: la prima dedicata alla singolare amicizia tra Nadir, un giovane tossicodipendente, aspirante punkabbestia, segnato da un destino tragicomico e Ettore Borgini, un vecchio ottantenne che pensa di vivere ancora nell'Italia fascista; la seconda che racconta di Angelo Bombelli, universitario cresciuto sotto l'eccessivo controllo materno, che, rimasto orfano, cercherà di sopravvivere come può, compiendo anche una rapina in banca con Zorro, un chitarrista italo-svizzero cieco. (Nonostante la divisione in due parti, le storie risultano legate dato che ci sono dei momenti d'incontro).
Il primo aggettivo che mi è venuto in mentre conclusa la lettura è stato "surreale". L'ironia è presente dalla prima all'ultima pagina tanto che ad una prima lettura potrebbe risultare quasi eccessiva. La stessa riflessione si può fare per il linguaggio utilizzato, diretto, forte e anche volgare. In realtà penso che l'autore abbia voluto consapevolmente esagerare in tutto, cercando di usare anche un gergo "giovanile" che possa ben caratterizzare i personaggi ma in particolare una Italia in piena decadenza. L'autore del romanzo descrive un paese che non è solo un semplice sfondo a delle incredibili vicende ma che è quasi un quinto protagonista tanto risulta grottesca la società italiana dipinta. Penso che Maurizio Asquini si sia interessato molto alle condizioni di vita dei giovani di oggi per comporre questo romanzo e ripensandoci, più che surreale, Cervelli bruciati è reale, di una realtà addirittura sconvolgente. Per il linguaggio e alcuni passi piuttosto forti, lo consiglio prevalentemente ad un pubblico adulto, ma anche i giovani possono leggerlo senza difficoltà.
Allora, che dire se non "buona lettura"? :)
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L'importante è essere bionda dentro, piccola!
Marilyn Monroe e Audrey Hepburn. La diva "femminilissima, sensuale, calda, bionda, solare" e quella "androgina, nevrotica, fredda, scura, inquieta".
Ecco come sono presentate le due grandi dive degli anni '50 in questo romanzo da Marilyn Monroe in persona (o farei meglio a dire dalla sua voce e la sua mano fluttuante?), impegnata in un compito che le sembra impossibile: dare una lezione di femminilità e autostima a Camilla Casteldiani, giornalista milanese di gossip decisamente frustrata.
Camilla, reduce di una storia importante, decide di dedicarsi solamente al proprio lavoro e alla stesura della biografia della sua icona: Audrey Herpburn.
Per questo sarà più che sorpresa quando sente la voce di Marilyn che cerca di darle consigli sulla sua vita privata e pubblica e non quella dell'attrice di "Colazione da Tiffany".
La trama del romanzo è data dal susseguirsi di episodi di vita quotidiana, dei pensieri e degli incontri della protagonista che ho trovato un personaggio piuttosto convincente.
C'è una forte autoironia all'interno del racconto che rende la protagonista divertente ma penso che il personaggio a cui ci si affezioni maggiormente è di sicuro Marilyn.
Essendo sempre stata molto interessata alle grandi dive degli anni '50, quando lessi la trama del romanzo cercai di immaginarmi come avrebbe potuto l'autrice rappresentare un personaggio esplosivo e così complesso come Marilyn Monroe. Mi immaginai una rappresentazione piuttosto superficiale della diva. Invece sono rimasta piuttosto colpita da come l' autrice sia stata capace di caratterizare un personaggio di cui la protagonista all'inizio sente solo la voce o vede solo la mano guantata. Marilyn non è presentata solamente come la "bionda bomba sexy", Marilyn è una donna con sogni e desideri, e, come tutte le donne, ha un lato triste e malinconico che all'interno del romanzo viene presentato.
Consiglio questo romanzo alle donne di tutte l'età perchè come dice la copertina, questa storia è una lezione di femminilità e di amore per se stesse.
Quindi che dire se non buona lettura? ;)
"Le brune si sposano, le rosse fanno sesso. Le bionde fanno tutte e due le cose baby. E' matematica, la matematica delle bionde!". "Vale anche per le finte, quelle che si tingono?". "L'importante è essere bionda dentro, piccola!"
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Con la Luce arrivano sempre le Ombre.
Quando pensiamo alla neve pensiamo ai bambini sugli slittini, i pupazzi di neve con le carote come nasi, agli scii, alla tranquillità... Lupo Bianco no. L'ispettore Marzio Santoni (conosciuto da tutti come Lupo Bianco per il suo infallibile olfatto e per un incredibile avvenimento della sua infanzia) ha un particolare rapporto con la neve, con la natura in generale. Lupo Bianco si definisce "un bio-detective" e proprio per non perdere questo legame con la natura decise di interrompere la sua brillante carriera di ispettore in città per farsi trasferire in una piccola città, il suo paesino di montagna, Valdiluce.
Solo che le ombre sono pronte ad invadere Valdiluce e tutti gli oscuri segreti degli abitanti saranno svelati attraverso le indagini dell'ispettore Santoni, desideroso di scoprire la verità sulla morte di quattro giovani turiste.
Essendo una lettrice di gialli alle prime armi, devo confessare che il romanzo è stato difficile da leggere. L'inizio risulta piuttosto lento (anche se verso la fine la storia diviene sempre più intrigante con un susseguirsi di colpi di scena) e a volte lo stile mi sembrava poco adatto al racconto.
Inoltre non avendo particolarmente apprezzato il protagonista, soprattutto appena iniziato il libro, ho fatto veramente fatica a continuare la lettura.
Comunque il romanzo ha diverse note positive: la trama è veramente ben strutturata e trovo che i diversi personaggi sono stati concepiti talmente bene che sembrano persone reali che potremmo incontrare tutti i giorni.
Lo consiglio soprattutto agli adulti che abbiano già letto altri romanzi del mistero o thriller, mentre consiglio ai più giovani lettori e a chi ha letto pochi romanzi di questo genere di ritardare un poco la lettura di "Il sucidio perfetto" perchè non si riuscirebbe ad apprezzarlo completamente. Proprio per questo sono intenzionata a rileggerlo in futuro, sperando che una ulteriore lettura possa farmi amare il romanzo tanto quanto speravo.
Quindi... buona lettura a tutti! :)
-Ma un giorno all'improvviso, l'orologio su cui regolava l'esistenza perse la bussola. Marzio capì che dentro la città era chiuso in un palmo di cielo, le nubi rintanate dietro i tetti apparivano a tradimento, il sole non sorgeva o calava in un luogo preciso. Fu allora che scattò il richiamo brado.-
(Il suicidio perfetto, pagina 20).
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E tu... di cosa hai paura?
Ossessione. Tutti ne abbiamo una (a volte anche piú di una). Siamo esseri umani del resto. Chi ha paura del buio, chi dei ragni o dei déjà-vu (come uno dei personaggi del romanzo e lo stesso scrittore).
Il protagonista di questo romanzo è Sam Hayes: tredici anni e nessuna ossessione. È questo il suo grande problema, perché a Menteith tutti hanno paura di qualcosa. Sam infatti vive in un mondo dove tutti sono ossessionati e terrorizzati da qualcosa, i ragazzi, le madri, gli anziani. Anche gli oggetti sono travolti dalla paura di non fare abbastanza bene ciò per cui sono stati creati. Per esempio i romanzi cambiano continuamente le parole nel terrore che il lettore possano annoiarsi.
Sam si sente fuori posto nonostante sia il figlio del re e abbia amici che gli vogliono bene. Ogni compleanno spera che la sua ossessione si manifesti. E la speranza è ancora viva ora che deve compierne tredici di anni.
Per questo, quando durante una festa cittadina, il Diavolo in persona gli racconta di un posto dove non è necessario avere una ossessione, Sam decide di partire alla ricerca di questo straordinario luogo. La Terra.
Ho dovuto rileggere questo romanzo una seconda vota per comprendere e cogliere al meglio tutte le particolarità della storia. I personaggi sono presentati in maniera incredibile (anche il Diavolo!), anche perché scoprire le paure degli abitanti della città permette di avvicinarci maggiormente a loro. Inoltre ci sono delle frasi veramente emozionanti.
Lo scrittore Giordano Aterini ha ammesso di aver impiegato sette anni per completare questo romanzo, ma il risultato merita moltissimo.
Vi lascio con una frase del libro, sperando che vi possa piacere come è piaciuto a me.
Quindi che dire se non ''Buona lettura''? :-)
''In fondo, siamo tutti alla caccia di inizi. Li cerchiamo nei nostri ricordi, nelle relazioni con le altre persone, persino nei libri, tanto che a volte ci ritroviamo a rileggere le prime pagine di romanzi anche se per noi non hanno piú sorprese. È strano, ma tornare al momento in cui tutto è nato a volte fa stare bene, forse perché ci piace vedere come si era prima, per confrontarlo meglio con quello che siamo diventati''.
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Guarda le stelle per non dimenticare chi sei.
Le stelle affascineranno sempre l'uomo. Fin dall'antichità le persone ammirano il cielo di notte, per molte e varie ragioni: ritrovare la strada per tornare a casa per esempio.
Amy però sa che ormai la sua casa è lontanissima e che tutti ciò che conosceva ormai l' ha perso. Dovrà ricostruirsi una nuova vita su un nuovo pianeta, senza i suoi amici, senza i suoi zii, senza Jason.
Trecento anni durerà il viaggio che la porterà su questo pianeta sconosciuto dove insieme ai suoi genitori e altre donne e altri uomini darà vita ad una nuova società.
Ma c'è un piccolo problema: qualcuno la risveglia dal suo stato di ibernazione con cinquant'anni d'anticipo. Si ritrova così catapultata tra persone che la guardano con diffidenza perchè diversa. Si ritrova a vivere su una navicella spaziale, che nonostante sia enorme, le sta stretta. Lei che amava correre non può più farlo. Lei che amava guardare il cielo non può più farlo.
Non riesce proprio a capire come adattarsi a questa nuova vita. In suo soccorso però arriva Elder, l'unico che non sembra spaventato dalla nuova arrivata, anzi ne sembra molto attratto.
La trama di questo romanzo è molto interessante perchè, nonostante la copertina potrebbe trarre in inganno, leggendolo si nota come l'aspetto romantico è subordinato al racconto giallo-fantascientifico. Inoltre a mio parere si sviluppa una storia d'amore molto diversa dalle solite: qui si riscopre l'amore per il cielo. L'amore per l'Universo. Per questo aspetto, ammetto di aver molto apprezzato il romanzo. Ma in alcuni punti la narrazione risulta troppo lenta. Comunque lo consiglio, in particolar modo alle ragazze che vorrebbero leggere un romanzo per adolescenti diverso dai soliti.
In attesa dei libri che concluderanno questa trilogia, vi posso solo dire: Buona lettura! ;)
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Scava nel Rumore per trovare il Silenzio.
L'uomo si è sempre domandato cosa pensano gli altri uomini. Tutti abbiamo almeno una volta nella vita sognato di sapere cosa pensano i nostri amici, genitori, colleghi. Tutti abbiamo almeno una volta nella vita sognato di poter leggere nella mente altrui.
Ma cosa accadrebbe se anche gli altri potessero leggere nella nostra mente?
Todd odia il mondo in cui vive (New World); odia la sua città (Prentisstown), abitata da soli uomini perchè le donne sono morte a causa di un virus; odia gli abitanti di Prentisstown (in particolar modo un pazzo di nome Aaron), odia il suo cane (Manchee, che sa parlare), odia la sua età. Sì, perchè per gli altri abitanti di Prentisstown lui è solo un ragazzo.
Ma Todd odia soprattutto il Rumore, l'insieme di tutti i pensieri - suoi e di chi gli sta intorno, anche degli animali!- che travolge tutti gli esseri viventi di Prentisstown. E' una voce che continua a parlare e non dà tregua. Sai tutto di tutti. E tutti sanno tutto di te.
Per questo Todd non sopporta più niente e nessuno. Cerca in tutti i modi di non essere disturbato e di non essere notato, cosa piuttosto difficile essendo l'ultimo ragazzo di Prentisstown.
Infatti manca un mese al compleanno di Todd, il primo compleanno non più da ragazzo ma da uomo. Spera che questo breve lasso di tempo trascorra il più in fretta possibile.
Solo che all'improvviso fa una scoperta sconcertante che lo porterà a chiedersi quanto di quel mondo in cui ha sempre abitato sia reale.
"Il buco nel Rumore" è un romanzo sconvolgente. Mi ha catturato dalla prima pagina e mi ha tenuta con il fiato sospeso fino all'ultima. Nonostante sia di 523 pagine, questo romanzo costringe il lettore a continuare la lettura per cercare di risolvere tutti i misteri di Prentisstown e di New World.
E' classificato come romanzo per ragazzi ma a mio parere può sicuramente piacere anche ad un lettore adulto. Inoltre questo libro mi ha anche molto colpita per lo stile grafico: infatti tutti i pensieri sono scritti con un carattere e una grandezza diversa provocando un senso di disordine e disturbo che fa capire al lettore i sentimenti che prova lo stesso protagonista a causa del Rumore.
Adesso aspetto con ansia che traducano i prossimi due romanzi in modo da completare la trilogia. In molti altri paesi questo romanzo ha avuto un buon successo e spero davvero che anche in Italia possa averne altrettanto.
Vi lascio con la prima frase del romanzo, che a detta del The Guardian, fa capire quanto sia favoloso questo libro. Buona lettura! :)
"La prima cosa che scopri quando il tuo cane impara a parlare è che i cani non hanno tutto 'sto granchè da dire. Su niente.
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Corri! Sopravvivi alla corsa dello Scorpione.
Mare. Gli zoccoli del vostro cavallo lasciano impronte dietro di voi che le onde del mare rapidamente cancellano. Il vostro corpo ha un brivido a causa del freddo vento che vi soffia contro, ma non vi importa. Volete solo cavalcare, senza più pensare ai vostri problemi, senza pensare a niente. Volete solo provare quella strana euforia che si scatena in voi quando il vostro cavallo galoppa.
Questo strano sentimento accomuna i due protagonisti di questo splendido romanzo. Sono Kate, o anche conosciuta sull'isola con il soprannome Puck, e il solitario Sean.
Ma non solo l'amore per i cavalli unisce questi due ragazzi, così diversi e così simili.
Entrambi parteciperanno alla corsa dello Scorpione, una corsa di cavalli "speciali" spietata. Sì, perchè i cavalli che partecipano non sono gli animali che conosciamo, ma cavalli d'acqua, i capaill uisce, animali crudeli assetati di sangue. Ma c'è un piccolo problema: Kate (oltre ad essere la prima donna a gareggiare) ha deciso di partecipare alla gara con la sua normale cavalla.
"La corsa delle onde" è un romanzo davvero intenso che ci permette di leggere la storia dal punto di vista dei due protagonisti. Ho amato particolarmente questo libro, che, nonostante sia abbastanza lungo (450 pagine) e inizialmente può sembrare un po' lento, ho letteralmente divorato. È un romanzo fantasy che a mio avviso presenta elementi che sono invece molto reali: il dolore, l'ambizione, l'amore, non solo verso un'altra persona ma anche verso il proprio animale.
Ci sono parti di questo romanzo che emozionano e fanno riflettere. Lo consiglio a tutti, adulti e bambini, nonostante sia classificato come un romanzo per ragazzi. Leggetelo. Non ve ne pentirete.
Vi lascio con un breve estratto, buona lettura! :-)
"E' come una battaglia. Una guerra di cavalli e uomini e sangue. I più forti e i più veloci di quelli che restano dopo due settimane di preparazione sulla sabbia. E' la spuma del mare sul viso, la letale magia di novembre sulla pelle, i tamburi dello Scorpione che prendono il posto dei battiti del cuore. E' velocità, se hai fortuna. E' vita ed è morte, oppure l'una o l'altra, e non c'è niente che le assomigli. Un tempo questo momento, le ultime luci del tramonto della sera che precede la gara, era il più bello dell'anno per me. Il senso di attesa per la corsa imminente. Ma questo succedeva quando l'unica cosa che avevo da perdere era la mia vita".
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Lo consiglio anche a chi ama molto i cavalli :-)
Sei certo di chi ti puoi realmente fidare?
Facciamo bene a fidarci dei nostri amici? E della nostra famiglia? Queste domande torturano Eli, il protagonista di questo romanzo, che da nove anni è rinchiuso con la sua famiglia nel Rifugio, una costruzione sotto terra realizzata su volontà del padre, il milionario Yanakakis.
Da nove anni la routine di Eli è sempre la stessa: alzarsi, evitare ogni contatto con i genitori e le sorelle, andare a dormire. Infatti, le uniche due persone con cui Eli avrebbe voluto parlare, per un incidente, sono rimaste chiuse fouri dal Rifugio durante un attacco nucleare.
Da nove anni Eli non ha più notizie di Eddy, suo fratello gemello, e di sua nonna.
Inizialmente Eli accetta senza ribellarsi ogni volontà del padre in modo così da non essere disturbato ed evitare qualsiasi relazione con gli altri abitanti del Rifugio.
Ma una serie di verità sconvolgenti porteranno Eli a domandarsi cosa sta realmente succedendo. E sarà disposto a scoprirlo con o senza l'aiuto della sua famiglia.
Nonostante alcuni attimi di perplessità, ho apprezzato questo romanzo soprattutto per la figura di Eli. Infatti non è il tipico ragazzo-protagonista buono, generoso e altruista. Anzi. Sa bene di essere il "gemello cattivo". Sono molto interessanti le riflessioni di Eli che portano lo stesso lettore a riflettere e a domandarsi cosa avrbbe fatto al posto del protagonista, e mi hanno incuriosito molto i riferimenti ad un romanzo distopico degli anni cinquanta (L'ultima spiaggia) che deve aver sicuramente ispirato l'autrice e che ho intenzione di leggere.
Quindi consiglio la lettura di questo romanzo, soprattutto ai ragazzi in quanto risulta un romanzo per adolescenti, ma lo consiglio anche agli adulti amanti dei thriller claustrofobici e delle distopie.
Buona lettura! :-)
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Si affittano corpi di ragazzi! Affrettatevi!
Quando si parla di libri distopici, i protagonisti sono quasi sempre i ragazzi. Chi mai penserebbe che in un mondo distrutto da malattie, guerre e fame, tra i sopravvissuti ci fossero gli anziani? Sembrerebbe assurdo. Eppure in questo romanzo sono solo i ragazzi sotto i vent'anni e gli adulti over 60 a sopravvivere, e ad avere la meglio sono proprio questi ultimi. Sono ricchi, hanno belle auto, grandi case e buon cibo. Ma soprattutto ottimi passatempi, come quello di affittare i corpi di giovani ragazze e ragazzi che non hanno più una famiglia e hanno bisogno di soldi per vivere.
Tra questi c'è Callie che ha bisogno di denaro e acconsente ad affittare il suo corpo per tre volte. I problemi nascono quando nella terza seduta ci sono delle complicanze che porteranno Callie in un gioco molto pericoloso.
Quando ho letto la trama di questo libro sono rimasta veramente colpita. In seguito alla lettura ho trovato la storia molto interessante e originale ma nello stile di narrazione troppo simile ad Hunger Games, soprattutto nello sviluppo dei colpi di scena e anche nella rappresentazione della protagonista e degli altri personaggi, in particolar modo dei due ragazzi e del "nemico".
Forse per questo non sono riuscita ad apprezzarlo totalmente, anche perchè i paragoni con la trilogia di Hunger Games sorgono quasi spontanei. Però lo consiglio lo stesso perchè lo ritengo un romanzo particolare e non esiterò a leggere il prossimo romanzo della serie (che si intitolerà "enders", il nome con il quale ci si riferisce agli anziani nel romanzo).
Allora l'ultima cosa che posso dirvi è: buona lettura! :-)
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Fuggi! Il conte Olaf è il panettiere!
Immaginate: siete dei ragazzi intelligenti, perspicaci, creativi. Amati dai vostri genitori, vi dedicate alle vostre attività preferite, la lettura, l'invenzione di nuovi incredibili oggetti, il rosicchiare mobili...
Ma un giorno tutte le vostre abitudini vengono rovinate da un uomo che vi avvisa della morte dei vostri genitori e vi scorta dal vostro nuovo tutore.
Così inizia "Un infausto inizio", il primo romanzo della serie di libri di Lemony Snicket.
I protagonisti sono i tre fratelli Baudelaire che nel primo romanzo si ritrovano ad abitare da un cinico, sporco, terribile uomo quale Conte Olaf, attore semi-fallito intenzionato a rubare tutta l'eredità dei giovani ragazzi.
La serie di libri è molto diversa da qualsiasi altra serie: lo stesso autore è un personaggio del libro che ha un ruolo fondamentale come tutti i personaggi, anche quelli che a prima lettura potrebbero sembrare meno importanti.
Lo consiglio caldamente anche perchè lo stile di scrittura è davvero stupendo, soprattutto quando l'autore sviluppa una serie di pensieri che fanno riflettere ed emozionano.
Inoltre consiglio di leggere con attenzione la dedica di ciascun libro per una donna di nome Beatrce, una figura misteriosa e cara all'autore...
Quindi, se volete comprendere e risolvere tutti gli engmi di questa serie, non posso fare altro che dirvi:
Buona lettura! :-)
P.s. Sappiate che gli enigmi sono cosi ben strutturati, anche sullo stesso autore, che sono stati scritti altri due libri ancora non tradotti in italiano, tra cui l'autobiografia non ufficiale di Lemony Snicket! (si, avete capito bene l'autobiografia non ufficiale!)
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Consigliato anche a chi ha visto il film per notare le differenze.
Prendere il sole rende intelligenti!
Come reagireste se scopriste che il destino degli uomini è condizionato dai capricci di esseri misteriosi dotati di superpoteri, che si fanno chiamare gli Invisibili?
Purtroppo sono esseri malvagi che si divertono nel veder soffrire gli esseri umani.
Peggy Sue (la protagonista) è sempre stata considerata una ragazza strana, da emarginare.
Lei, è l'unica che può vedere gli Invisibili ed è l'unica che può cercare di bloccare le loro azioni.
"Il giorno del cane blu" è il primo romanzo di questa interessante serie.
La storia si svolge in una piccola cittadina dove la famiglia di Peggy Sue si è appena trasferita. Per la prima volta Peggy Sue sembra ambientarsi al meglio e a scuola conosce molte persone.
Solo che gli Invisibili sono sempre pronti a fare qualcosa di terribile... Un giorno un sole blu compare nel cielo sopra la città: chi vi si espone per lungo tempo diventa intelligentissimo per 24 ore.
Così gli alunni iniziano ad essere più informati dei professori e inizia una sorta di gara nella città per mostrare di essere il più intelligente.
L'unico problema è che gli effetti di questi particolari raggi solari si producono anche sulle cose e gli animali, e in seguito all'incontro di Peggy Sue con un cane blu (si, un cane blu!) la situazione inizia a precipitare...
Si tratta di un romanzo per ragazzi che a mio avviso presenta un'analisi psicologica e anche ecologica che potrebbe essere degna di un romanzo per adulti.
L'autore presenta una fervida immaginazione e uno stile davvero interessante che rende il romanzo un libro che merita di essere letto.
Lo consiglio, anche perchè la serie di Peggy Sue è poco conosciuta in Italia, ma in altri paesi è stata molto apprezzata.
Buona lettura! :-)
15 anni e poi... Puff. Scompari.
Tutti, da ragazzi, si chiedono come sarebbe un mondo senza adulti. Non ci sarebbero più i professori, i vicini di casa, l'edicolante, il panettiere, i nostri genitori. Non ci sarebbero regole da seguire, compiti da svolgere. Solo divertimento. Un mondo gestito dai ragazzi.
D'un tratto le persone sopra i 15 anni scompaiono. Il professore che stava spiegando alla lavagna scompare davanti ai propri alunni.
Ecco cosa succede proprio nella prima pagina di questo romanzo. Nell prime righe della primissima pagina. Sam Temple, un ragazzo annoiato dalla lezione di storia, si ritrova così a fissare la lavagna nel punto dove un momento prima l'insegnante stava spiegando.
A poco a poco si scopre che tutti gli adulti sono spariti e i ragazzi che compiono 15 anni spariscono a loro volta. Così i giovani di questa piccola cittadina del sud della California devono impegnarsi affinchè il caos non prenda il sopravvento.
Gone è un romanzo veramente interessante, che analizza in maniera impeccabile la psicologia umana. Niente è peggiore della paura perchè questa spinge le persone a compiere azioni impensabili.
Sono presenti elementi fantascientifici in quanto si viene a scoprire che alcuni ragazzi hanno dei poteri, e proprio questi poteri saranno alla base di un conflitto che sembra sempre più inevitabile.
Da una parte Sam e i suoi compagni, dall'altra i ragazzi di un'accademia, la Coates Academy, guidati da Caine.
E un altro problema tormenta Sam... Il suo quindicesimo compleanno si avvicina sempre di più.
L'unico problema riguardo questo romanzo è che non è una storia autoconclusiva ma si tratta di una serie di libri (sono 6!) e in Italia è stato tradotto solo il primo.
Comunque, lo consiglio perchè è un romanzo che a mio parere merita e anche Stephen King ha detto di amarlo.
Quindi... Buona lettura! :)
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