Opinione scritta da ElNico
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L'Inferno secondo Dan Brown
Robert Langdon ritorna in azione. In Italia. Con esiti altalenanti.
Il professore di simbologia si ritrova catapultato a Firenze, senza memoria e in una faccenda che può avere delle ripercussioni gravi non solo su di lui ma addirittura sull'intera umanità.
Firenze ovvero la città di Dante: parte la caccia al tesoro attraverso indizi più o meno nascosti che prendono spunto dalla Divina Commedia e in particolar modo, come suggerisce il titolo, dal libro dell’Inferno.
Ho letto il romanzo in pochi giorni, l'ho trovato piacevole e consiglio la lettura perché è interessante e non presenta momenti di stallo o di noia. Sicuramente un punto a favore del libro è la grande attenzione che Dan Brown rivolge alle opere di Firenze e non solo.
La descrizione delle architetture, i cenni storici sono notevoli e fanno sorgere spontaneamente la voglia di visitare quei luoghi. Anche l'argomento trattato risulta interessante e quanto mai attuale. Il tema della sovrappopolazione mostra l'intenzione dello scrittore americano non solo di discostarsi da opere concepite solo da una grande fantasia ma che risultino più vicine al lettore e alla realtà, qualcosa di cui si possa argomentare senza suscitare dibattiti in televisione o scomuniche dal Vaticano.
Tuttavia l'impianto è ormai troppo prevedibile. Langdon che risolve indovinelli apparentemente senza senso e che cerca di aiutare le maggiori organizzazioni mondiali è qualcosa di già letto, oltre che visto. Penso che non basti più una semplice caccia al tesoro per far catapultare le persone in libreria. Ci vorrebbero nuove idee, qualcosa che esuli dal solito intreccio banale e da un finale in parte noto sin dall’inizio.
Il romanzo si lascia comunque leggere facilmente grazie ad uno stile asciutto e veloce e ad una ripartizione dei capitoli azzeccata. Non troverete mai capitoli di decine di pagine ma al massimo di sei o sette.
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un titolo controverso
Premetto che ho letto questo libro pochi mesi dopo la sua uscita quindi almeno 7 anni fa.
Ma vorrei dire comunque la mia su questo libro abbastanza controverso. A livello di stile mi piacque, lo lessi con molta facilità e a libro finito, a parte i molti dubbi sui contenuti di carattere religioso, rimasi abbastanza convinto dalla trama e dall'onnisciente professor Langdon, un tuttologo dei simboli occulti e antichi.
Stasera dopo aver visto il titolo tra i tanti che stavo sfogliando mi sono chiesto cosa mi ricordassi della storia e cosa mi avesse colpito.
Riflettendoci mi sono accorto che mi ricordavo la storia perchè un paio di anni fa avevo visto il film con Tom Hanks e, quello che mi era rimasto impresso dalla lettura del romanzo era una serie infinita di dubbi sulle presunte verità evinte dal dipinto de "L'Ultima Cena" di Leonardo.
Tutto il thriller del romanzo scompare davanti ai grandi interrogativi che nascono davanti alla tela di Leonardo. Alla fine la storia fa solo da contorno per la grande rivelazione di Dan Brown.
Insomma un po' poco: credo che un libro sia degno di nota quando ti lascia qualcosa dentro anche a distanza di tanti anni.
Qualcosa che sia un'emozione che può essere provata rileggendo il libro, o un insegnamento rafforzato con il passare degli anni o semplicemente il ricordo di una storia incredibile che ci ha lasciato col fiato sospeso fino all'ultima pagina e che non abbiamo più ritrovato altrove... non filtra nulla di questo attraverso la mia memoria ma solo dubbi sul contenuto aumentati da alcune considerazioni fatte a mente fredda.
Scrivere una storia del genere, seppure scatenando un gran polverone, è stata un'abile mossa da parte di Dan Brown per farsi un nome e avere un'attenzione notevolmente maggiore da quella conferita dalla pubblicazione di "Angeli e Demoni". Guarda caso proprio quest'ultimo, concepito dall'autore come il primo libro della saga di Langdon, è stato pubblicato in Italia dopo "Il codice Da Vinci" , suo seguito ideale, e da lì tutti gli altri.
QUindi se proprio volete leggere Dan Brown decisamente meglio gli altri romanzi.
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La leggenda del vampiro prende forma
Bram Stoker costruisce attorno alla figura di un austero conte della Transilvania, il mito del vampiro, un essere malvagio e assolutamente privo di umanità dotato di astuzia, intelligenza e di incredibili poteri con cui nessun essere umano può competere.
E così il racconto si dipana tra specchi, crocifissi e cataste di aglio che si fanno sempre più fitti man mano che Dracula si avvicina ai protagonisti di questa strana avventura, i quali informano il lettore delle vicende avvenute attraverso le pagine dei loro diari.
Forse la vera pecca sono proprio i personaggi, privi di spessore ma molto stereotipati, suddivisi in buoni e cattivi: al perfido Dracula, un personaggio totalmente negativo, fanno da contraltare i coniugi Harker, il professor Van Helsing e compagnia, che in molti frangenti sfiorano la santità.
Altro elemento non positivo è il finale. Dopo un'avventura molto estesa sia nel tempo che nello spazio, tutto si risolve velocemente e si perde la magia del momento più importante.
Ma nel complesso è sicuramente un libro interessante che merita di essere letto per lo straordinario impatto che ha avuto in tutto il mondo e non solo nella letteratura: Dracula il vampiro, conosciuto da tutti soprattutto attraverso i numerosi film, merita di essere giustamente noto nel modo in cui la sua leggenda ha avuto inizio.
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Un romanzo in cui l'amore muove tutti i personaggi
Quando ho visto il libro per la prima volta mi sono stupito di come la storia di tre (o quattro) moschettieri potesse essere contenuta e raccontata in un volume di 800 pagine.
Non sapevo davvero cosa aspettarmi. Ma dopo un inizio un po' lento e confuso il filo conduttore del romanzo si delinea in maniera netta: la netta contrapposizione tra forze cardinali e regali è mossa dagli intrecci amorosi, che sono l'anima e il motore del romanzo.
Infatti sono proprio le pulsioni amorose dei personaggi, regali e non, a muovere i personaggi che con le loro azioni determinano non solo il loro destino, ma anche quello di chi gli è apparentemente distante.
Ammetto che questo è il primo romanzo che ho letto con calma (di solito sono un gran divoratore) proprio perchè man mano che leggevo, volevo elaborare la storia e cercare di intravedere il suo finale.
Ma la fine si è rivelata in parte deludente perchè dopo essere andati incontro a quello che si può definire un epilogo scontato, i personaggi sembrano andare ognuno nella propria direzione quasi dimenticandosi quello che li ha uniti fino a quel momento, alimentando l'impressione di una discontinuità che si manifesta quando ormai la trama si è consumata.
Comunque non posso che dare un giudizio molto positivo per questo bellissimo racconto, che mi ha affascinato soprattutto per lo stile semplice ad una prima lettura, ma di assoluta superbia ad una lettura più attenta.
Quello che mi ha sorpreso leggendolo è stata la scelta del titolo, quasi a non dare importanza o a deviare l'attenzione del lettore, che si trova da subito alle prese non con le gesta di tre semplici moschettieri, ma tre gentiluomini in divisa, compari del vero protagonista della storia, nonchè il più astuto e allo stesso tempo ingenuo del quartetto, il mitico Monsieur D'Artagnan.
Curioso è stato anche vedere come l'autore abbia lasciato alcuni errori, discrepanze storiche tra quello che viene narrato e quello che è realmente accaduto, sia in termini di tempo che di luogo.
Consiglio il libro a tutti perchè a dispetto delle 800 pagine si lascia leggere volentieri.
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