Opinione scritta da Aspasia1989
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E se..
Ammettetelo: è capitato anche a voi di stare li a rimurginare infinitamente su un fatto accaduto chiedendovi "e se.." accompagnato da un'altrettanta infinita sequela di combinazioni tutte diverse, che creano orizzonti e scenari diversificati, quell'intramontabile dramma filosofico/depressivo che ha portato generazioni di giovani uomini e giovani donne ad immaginare scenari diversi rispetto ad ipotetiche decisioni diverse.
Il romanzo di Claire Dyer riflette proprio su questo, sviluppandosi come un albero ramificato a partire da un presupposto molto semplice. Fern ed Elliott stanno insieme, condividono un appartamento e frequentano l'università; un giorno litigano e Fern decide di tornare a casa dai genitori. Dopo qualche settimana torna ma trova Elliott a letto con un'altra donna e si mollano. Dopo vent'anni si incontrano per caso e nel corso della giornata decidono di incontrarsi.
L'intero romanzo si snoda su questo fatidico presente che anticipa il loro incontro, un giorno in cui entrambi riflettono su quello che è stato e sulle conseguenze che la rottura ha avuto sulle loro vite, mettendo in discussione tutta la loro esistenza fino a quel momento; è una giornata ricca di "e se..", quelli che io amo chiamare "pipponi".
"Tutto questo parlare d'amore" è un romanzo molto lento dal punto di vista dello sviluppo dell'azione, riflessivo, cadenzato ma con uno stile scorrevole, che facilita il lettore nel mantenere il filo della vicenda, che in ogni caso vede alternarsi la storia descritta dal punto di vista di Elliott e quella scritta dal punto di vista di Fern; i protagonisti sono un uomo e una donna in crisi di mezz'età, ma non sono mai stereotipati.
La chicca in tutto questo?
Il finale.
Il finale è veramente un colpo da genio del male, perché l'autrice descrive diverse prospettive che si snodano a partire dall'incontro serale organizzato dai due, e i lettori non sapranno mai quale di questi si sia avverato.
Frustante ma ganzo, lo devo ammettere, anche se alla fine della fiera il tempo perso dietro gli "e se.." sarebbe meglio impiegarlo per voltare pagina.
Una piccola nota a margine: la copertina fa cagare.
Il titolo più lungo di sempre
Albert Espinosa è passato agli onori della cronaca in seguito al successo di "Braccialetti Rossi", serie televisiva spagnola importata in Italia e basata sull'omonimo romanzo, che ho letto e recensito tempo fa.
Siccome il libro mi è piaciuto,e siccome "squadra che vince non si cambia", ho appena finito di leggere un racconto (definirlo romanzo mi è sembrata un'esagerazione: è di sole 132 pagine) che porta la sua firma e che è entrato nel mio guinness dei primati per il titolo più lungo: "Tutto quello che avremmo potuto essere io e te, se non fossimo stati io e te".
Marcos ha appena perso la mamma e ancora nel vivo del suo lutto (che sfogherà nel corso dell'intera vicenda raccontando aneddoti sulla defunta e spiegando la sua personale filosofia di vita) decide di iniettarsi un siero, molto di moda nella sua Terra alternativa, che gli permetterà di non dormire più e di non avere più incubi.
Mentre sta per compiere questo gesto fatale viene chiamato d'urgenza dal capo della polizia, cui presta di tanto in tanto una collaborazione "tecnica" per svolgere un lavoro del tutto particolare: Marcos infatti ha il dono di poter percepire i sentimenti delle persone con un semplice sguardo.
La sua esperienza ha fatto si che capisse lo schema basilare dei sentimenti umani: essi sono dodici, di cui uno è collocato tra i più atroci e uno tra i più dolci, sentimenti che riesce sempre a distinguere e definire con precisione.
La persona che Marcos dovrà analizzare è stato definito dagli inquirenti uno "straniero" perché è un essere apparentemente umano spuntato fuori da un cratere improvviso e tenuto nascosto per tre mesi; a prima vista sembra un bambino di quattordici anni, ma nasconde un grande segreto, che sconvolgerà la vita del nostro protagonista e vi donerà un finale davvero emozionante.
Lo stile di Albert Espinosa è molto dolce e pacato, tanto da far sembrare i suoi libri dei racconti della buonanotte; le sue storie sono piene di tenerezza, amore per la vita e per gli affetti di ogni essere umano, sentimenti che l'autore amplifica sempre nei suoi testi, forse in risposta ad una vita non del tutto facile: Espinosa infatti è stato vittima di molteplici cancri per quasi dieci anni, subendo amputazioni e diversi cicli di chemioterapia prima della vittoria.
Chi ha già letto "Il piccolo principe" certamente troverà delle somiglianze tra gli stili sognanti dei due autori: leggere un loro libro è come ascoltare la sinfonia del carillon di vostra nonna e sentire il profumo di casa.
Shopping fatale
Siete in giro per la via dello shopping della vostra città: ormai la conoscete a memoria, sapete dove si trovano tutti i vostri negozi preferiti, conoscete tutti i proprietari. Poi un giorno in quel piccolo locale inutilizzato (ce n'è sempre uno che avete prontamente ignorato) viene aperto una nuova attività, che dal nome sembra vendere di tutto un po': "Cose preziose".
E' così che prende inizio l'ultimo romanzo che ho letto firmato Stephen King: nel piccolo paese di Castle Rock, dove si sa tutto di tutti (o quasi) un giorno arriva uno straniero che apre un negozio che, strana fatalità, sembra essere in grado di esaudire qualsiasi richiesta dei suoi avventori: il proprietario è una persona affabile che pur di esaudire i desideri dei suoi clienti vende la propria merce in cambio di un prezzo stracciato e l'innocua promessa di fare in futuro uno scherzo ad un cittadino di Castle Rock loro sconosciuto.
Così a partire dal piccolo Brian Rusk che a soli undici anni desidera immensamente la figurina rarissima di un giocatore di football per ampliare la sua collezione fino ad arrivare a Polly Chalmers che per far passare il dolore alle mani sarebbe disposta a provare veramente di tutto, i cittadini si rivolgono al signor Gaunt per i loro acquisti e per fare la loro scherzosa promessa.
Ma Leland Gaunt sa cose che non tutti i cittadini burloni sanno e ben presto uno scherzo innocuo come macchiare di fango le lenzuola della vicina di casa degenera in una resa dei conti fatale, perché chi subisce il torto crede di sapere benissimo chi è il colpevole e non ci pensa un momento di più a prendersi la meritata vendetta.
Stephen King è uno degli scrittori più sensibili che esistano: conosce la natura umana e l'interpreta nei suoi romanzi con precisione chimica.
"Cose Preziose" è un romanzo che riflette sul potere del rancore covato e dell'illusione: le vittime ben presto saranno preda di una vera e propria ossessione verso i loro acquisti e gli scherzi sono organizzati verso sconosciuti che hanno una questione in sospeso con un'altra persona.
Inutile dirvi che ben presto la situazione degeneri in risvolti devastanti.
Di Stephen King ho letto quattro romanzi e nemmeno uno di questi mi ha annoiata o delusa: la trama è sempre ben costruita, i personaggi caratterizzati alla perfezione, lo stile non ha una sbavatura.
Un autore che promette e mantiene, merita sicuramente l'enorme successo mondiale ottenuto.
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600 pagine di nonsense
Un libro che ha venduto un trilione di copie.
Una storia epica.
No, non è "Il Signore Degli Anelli".
Magari lo fosse.
Lungo quasi quanto "Via Col Vento", con risvolti privi di senso quanto "Beautiful" è il libro di cui vi sto per parlare "Il giardino degli incontri segreti", di Lucinda Riley.
Julia torna a Wharton Park dalla Francia dopo aver perso marito e figlio in un incidente d'auto. Il cottage sito nella tenuta è stata la casa dei nonni, nel suo giardino (quello del titolo e di cui non sentirete spesso parlare) sono state coltivate nel tempo orchidee di tutte le foggie e da bambina Julia ha imparato proprio in quella casa abitata da una famiglia di nobili origini a suonare il pianoforte, che è diventato la sua fonte di sostentamento negli anni.
Ma la famiglia Crawford è in decadenza e il suo ultimo erede, Kit, ha deciso di vendere tutto.
Nel corso della ristrutturazione trova un vecchio diario di proprietà del nonno di Julia risalente agli anni del secondo conflitto mondiale, lo restituisce alla vedova e martire (quanto l'ho odiata nessuno lo immagina) la quale invece di prendere l'ovvia decisione di leggerlo si assume la responsabilità di restituirlo all'ormai ottuagenaria nonna.
Siccome il gene della deficienza nella famiglia di Julia ha saltato una generazione (salvando quindi il padre di lei, il quale prende la saggia decisione di viaggiare intorno al mondo e di non avere molto a che fare con le figlie e i nipoti) la nonna Elsie è altrettanto stupida: invece di tacere sul diario (è pur sempre di proprietà del marito, e tutti, anche i bambini di due anni, sanno che non è carino leggere il diario personale di un'altra persona) inizia a raccontare una storia di cui ancora oggi mi chiedo il senso all'interno del romanzo.
Il fatto è che noi lettori ci troviamo a leggere un metaromanzo in cui è raccontata la vicenda della signora di cui nonna Elsie era la cameriera personale, del marito gay di lei, della guerra e dell'aborto (perché mentre continua a raccontare alla moglie che quel bacio con l'amico non significa nulla la mette incinta); poi la nonna si ferma, va a letto e noi torniamo alla realtà.
La voglia di picchiare la nonnina, legarla e costringerla a finire quello che ha iniziato mi ha fatto formicolare le mani per svariati minuti.
Ovviamente Julia e Kit si innamorano, ma colpo di scena!
Sono cugini!
E altro colpo di scena!
Il marito di lei non è morto, torna dagli inferi e la riprende con sè!
Apro una breve parentesi: per chi non lo sapesse, c'è stato in "Beautiful" un breve periodo di tempo in cui tutti (anche mia nonna) erano convinti che Ridge fosse finalmente e degnamente passato a miglior vita finendo tra le fiamme di un vulcano (ci vorrebbe un intero blog dedicato a questa vicenda); ma nel momento in cui la mogliettina dell'epoca inizia a rifarsi una vita lui torna. Chiusa parentesi.
Non vi racconto come va a finire, non voglio rovinare la sorpresa a quelle poche persone che lo leggeranno, ma aspettatevi davvero di tutto.
Ad ogni modo "Il giardino degli incontri segreti" è una storia lunga 600 pagine. Ora, scrivere un romanzo di 200 pagine che abbia un senso logico dalla prima all'ultima pagina è già di per sé un lavoraccio, mettersi a scriverne uno lungo 600 porta con sé una serie di rischi non indifferenti: confusione cronologica, confusione logica, banalità e soprattutto il rischio elevato di noia da parte del lettore.
Se poi non sei l'autore né de "Il Signore degli Anelli" né di "Harry Potter" l'elemento magico è del tutto privo di senso.
Qualsiasi docente di scrittura creativa (ma chiunque lavori in questo campo) si raccomanda sempre di scrivere storie di poche pagine ma che abbiano un senso e che preservino la dignità del proprio autore.
Cara Lucinda, non ti sei chiesta il perché?
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Il nettare di noi comuni mortali
La pausa caffè salva la popolazione dai propri doveri da generazioni; si inizia al liceo, quando tra un libro e l'altro ci si ferma per sorseggiarne un po' e darsi un tono tutto bohemiénne di gente vissuta finché col tempo si raggiunge la vera e propria dipendenza (non vi nascondo che sono arrivata a berne 7 nello stesso giorno. Bei tempi).
Fatto sta che questa particolare religione è diventata argomento di un libro letto recentemente: "Il primo caffé del mattino" di Diego Galdino.
Protagonista il trentasettenne Massimo, un romano doc che gestisce il bar di famiglia a Trastevere.
Ora, immaginate di vivere tutta la vita nello stesso quartiere, perdipiù gestendo un'attività di per sé molto frequentata come lo è un bar: Massimo conosce tutta la gente della zona, i loro vizi e i loro problemi senza aver praticamente mai messo il naso fuori dal suo bar.
Ogni mattina si sveglia alle 4, mette in moto la vecchia macchinetta del caffè che con gli anni è diventata una vecchia scorbutica, getta via il primo caffè prodotto, prende il secondo per sé e dà il terzo al solito cliente delle cinque,che nonostante sappia che il bar apre alle cinque e mezza riesce sempre a convincere Massimo a servirlo.
Il nostro protagonista vive coccolato e sonnacchioso nella sua routine finché una delle sue clienti preferite muore, lasciando la propria casa in eredità ad una francesina indispettita che non è neanche imparentata con lei.
E che per di più beve solo té.
Il romanzo di Galdino descrive con molta ironia la roma del popolo, quella abitata da gente che lavora, che ha lasciato gli studi ma che non ha perso il sorriso; come Camilleri riporta interi stralci di conversazione in siciliano stretto, così l'autore spesso utilizza termini in romanaccio trasformando quella che inizialmente sembra una banale storia in un vero compendio del romano trasteverino.
A tutto questo aggiungete un pizzico di "che parentela possono avere una donna anziana, senza marito e figli con una francese che per lavoro crea cruciverba?" e avrete un romanzo piacevole e delicato.
Prima di chiudere un piccolo appunto a tutti i maschietti: leggete il romanzo perché al suo interno è spiegata una tecnica di rimorchio che farà cadere l'amata ai vostri piedi: personalmente resterei davvero affascinata da un uomo che al primo appuntamento mi proponesse il viaggio delle fontanelle.
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Sotto questo sole meglio...leggere!
Guardate questa copertina: sembra essere perfetta per un thriller all'italiana, e invece..
Se nella narrativa quello che viene raccontato dopo il primo bacio viene definito pornografia, come si chiama quello che viene scritto prima del suddetto?
"Mancarsi" di Diego De Silva ci parla proprio di questo.
Il suo romanzo breve (lo si legge in mezza giornata) racconta due vite, quella di Nicola e Irene e si conclude proprio con il primo sguardo tra i due.
Nicola è vedovo da poco e sta affrontando il suo lutto ripercorrendo varie fasi della sua vita coniugale: il giorno del matrimonio, il momento in cui si è dichiarato finalmente pronto ad avere un figlio e si è scontrato con il netto rifiuto di sua moglie, le serate trascorse al bistrot dove i camerieri riservavano loro lo stesso tavolo da anni e il cuoco sapeva esattamente quali pietanze avrebbero ordinato fino ad arrivare al tragico giorno in cui una telefonata sul cellulare gli annunciava la morte della sua consorte.
Irene ha divorziato, frequenta lo stesso bistrot di Nicola e a loro insaputa condividono lo stesso tavolo: gli uomini continuano a provarci con lei senza risultato; Irene non crede più nelle relazioni, l'aver tradito il marito l'ha sconvolta e non si reputa pronta per gettarsi a capofitto in un'altra storia d'amore.
Con uno stile molto simile a quello del documentario De Silva analizza minuziosamente i motivi alla base delle scelte dei due protagonisti, li accusa e in un certo senso li giudica come un estraneo farebbe nella vita normale, dando per la prima volta testimonianza di come un autore può non considerare propri pargoli i suoi protagonisti, difendendoli da tutto e da tutti.
Gli scrittori italiani (o quelli che si reputano tali) hanno un elemento in comune: nei loro romanzi ci sono sempre digressioni antropologiche che li spingono a scrivere pagine e pagine su cose come far fronte ad una tragedia improvvisa, comunicare agli amici la fine di una storia d'amore e così via.
La differenza tra farlo in "stile Baci Perugina" e farlo con criterio sta nel modo: Diego De Silva non si esime dal porsi sul pulpito, ma la maturità che traspare dalle sue parole ci da l'impressione che ciò di cui parla è qualcosa di realmente vissuto.
Altri autori di best sellers che hanno la nostra cittadinanza si rendono solo ridicoli.
E si, sto parlando di te, Fabio Volo.
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"Uno dei libri più belli che ho letto nel 2009"
Tra tutte le strane abitudini che mi caratterizzano c'è quella di scrivere su un quaderno le impressioni che ogni libro che leggo mi lascia: quello di cui vi sto per parlare l'ho definito "un libro bellissimo" e ho scritto una pagina piena zeppa di considerazioni.
Nel 2008 veniva pubblicato per la prima volta in Italia "L'ombra del vento", romanzo "d'esordio" di Carlos Ruiz Zafòn (è un esordio tra virgolette perché non è cronologicamente il primo scritto dall'autore).
La storia ha inizio una mattina del 1945 in cui il padre del nostro protagonista conduce l'undicenne Daniel nel Cimitero dei Libri Dimenticati, sito nel cuore della zona storica di Barcellona. Sono conservati all'interno di quest'enorme biblioteca tutti i libri che per un motivo o per un altro sono fuori produzione e quindi sconosciuti ai più: vien da sé constatare che il compito di questo luogo è quello di riportare alla luce i testi vittima dell'oblio.
Daniel qui ha l'opportunità di salvare un libro: la scelta ricade su "L'ombra del Vento" di Julian Carax, romanzo che legge tutto d'un fiato e che ama a tal punto da iniziare una ricerca di altre opere dello stesso scrittore. Scopre ben presto che il suo autore preferito in realtà è uno psicopatico che va alla ricerca dei propri romanzi per bruciarli, che si fa chiamare Laìn Coubert e che nei suoi stessi libri rappresenta il Diavolo in persona. Daniel inizia a indagare sul mistero che lo lega riportando alla luce storie di famiglie difficili, infanzie travagliate che hanno avuto ripercussioni spesso fatali, storie di incondizionata amicizia, lealtà e follia omicida.
La ricerca di Daniel dura un decennio e lo accompagna per tutta l'adolescenza fino al raggiungimento dell'età adulta. Ma non è finita qui, perché la ricerca mette in evidenza tutta una serie di eventi e circostanze che coinvolgono il giovane Daniel ma che sono simili a quelli della vita di Carax.
Il romanzo di Zafòn è avvincente e sebbene la trama metta in correlazioni diversi periodi storici si dirama con molta chiarezza e fluidità rivelando la straordinaria capacità dell'autore di districarsi nella fitta trama; a fare da contorno alla storia c'è poi una Barcellona sfiancata dalla guerra civile ma con le sue ambientazioni suggestive che aiutano non poco a creare un clima misterioso che vi accompagnerà dalla prima all'ultima pagina.
Quella che credo sia la capacità più rilevante dell'autore riguarda la caratterizzazione dei suoi personaggi: sebbene i romanzi successivi non siano così avvincenti quanto il primo, i personaggi restano una costante notevole. Ogni singola persona incontrata da Daniel nel corso della propria vita ha una storia più o meno felice che ci viene raccontata, e questo senz'altro aiuta a comprendere il perché di determinate azioni e sebbene spesso queste siano talmente riprovevoli da non poter essere giustificate quanto meno hanno un fondamento. E non è cosa da poco.
La trama, la location e i suoi protagonisti sono poi avvolti in una serie di constatazioni e massime sulla vita che vi faranno riflettere non poco e che vi spingeranno (come hanno spinto me d'altronde) a leggere tutti gli altri libri di questo autore.
Zafon ci dimostra come la passione per un libro e la curiosità verso il proprio autore siano un'arma a doppio taglio: non tutti gli scrittori sono onesti, non tutti originali e non tutti nella vita sono degli eroi.
Sono esseri umani, che vi aspettavate?
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Sheldon Cooper cerca moglie!
Uno dei protagonisti della famosa sitcom americana The Big Bang Theory risponde al nome di Sheldon Cooper e si distingue dai suoi tre amici perché oltre al fatto di essere un nerd ha anche seri problemi a rapportarsi con l'essere umano in generale.
Ovviamente tra tutti è il mio preferito, la sua non comprensione delle convenzioni sociali (anche le più banali) lo rendono un adorabile imbranato con un quoziente intellettivo elevatissimo.
Per questo ho adorato "L'amore è un difetto meraviglioso" di Graeme Simsion.
Sorvolando sul titolo smieloso (un difetto dell'editoria made in Italy è proprio quello di storpiare i titoli nelle traduzioni), vi posso assicurare che il libro è davvero divertente e non descrive una, che sia una, scena romantica (cosa che lo rende adatto anche ai maschietti).
Il protagonista è Don, un professore di genetica che insegna presso l'Università di Melbourne e che, dopo aver scoperto e dimostrato scientificamente che gli uomini sposati sono mediamente più felici di quelli single, e che peraltro vivono più a lungo, ha deciso di trovare la sua dolce metà facendo partecipare tutte le donne single che incontra al Progetto Moglie.
È semplice: basta rispondere ad un questionario di sole sedici pagine per escludere tutte le candidate sbagliate e trovare, finalmente, la donna perfetta per lui, una che risponda a criteri rigorosi: deve avere un perfetto indice di massa corporea, non deve fumare né bere, deve saper cucinare e non deve mai arrivare in ritardo o in anticipo.
Il destino porta sulla sua strada Rosie, una donna che ha tutti i difetti che Don non potrebbe sopportare nella sua consorte.
E altri ancora.
Ma anche lei un progetto, e solo Don può aiutarla a portarlo a compimento.
Grazie al Progetto Moglie, ma soprattutto grazie a Rosie, Don scoprirà che la lunghezza dei lobi delle orecchie non è un indicatore affidabile dell’attrazione sessuale, che c’è una ragione per cui non ha avuto mai un secondo appuntamento con una donna e soprattutto che una giacca sportiva giallo catarifrangente, benché si chiami «giacca», non è indicata per entrare in un ristorante elegante.
Lo stile è semplice e si adatta bene al suo protagonista seguendo tutti i ragionamenti contorti e accentuando le reazioni dei poveri sventurati che entrano in contatto con lui.
"L'amore è un difetto meraviglioso" è veramente un romanzo divertente: Don è fobico, nevrotico, disadattato, ma anche ingenuo ed essenzialmente buono. E' la trasposizione letteraria di Sheldon in tutto e per tutto e se amate il personaggio della sitcom non potrete non amare lui.
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QUELLO CHE LE COPERTINE NON DICONO
Immaginate di essere a capo di una grande azienda. Ogni giorno vi alzate dal letto con la consapevolezza di possedere quanto più denaro poteste immaginare da piccoli e state progettando l’ennesima vacanza assieme alla vostra dolce metà. Vi fate una doccia, fate una colazione dal prezzo esorbitante e, dopo aver indossato i vostri capi da lavoro migliore, prendete l’ascensore che dal vostro superattico al centro città vi condurrà in strada, poi un taxi, poi una nuova giornata in cui mettere a frutto anni di studio.
Siete ad un incrocio, è un giorno in cui la pioggia sembra cadere più fitta e vi impedisce di guardare oltre il vostro naso: uno stridìo, il tempo di voltarsi e il buio.
Vi risvegliate dopo settimane di coma e vostra madre vi dice che siete diventati tetraplegici, siete paralizzati dal collo in giù e sarete costretti a vivere il resto della vostra esistenza su una sedia a rotelle. Vi rendete conto che da quel momento in poi sarete per sempre bloccati nel vostro letto, incapaci di mangiare, vestirvi, comunicare con il mondo esterno senza che qualcuno vi aiuti, non potrete fare più l’amore con la persona che amate, dovrete affrontare la prospettiva di essere afflitti da piaghe o di dover ricorrere ad un respiratore.
Ecco di cosa parla “Io prima di te”, romanzo d’esordio di Jojo Moyes.
La protagonista, Louisa, ha perso il lavoro e dopo svariati tentativi riesce a trovare un posto come assistente disabile presso la famiglia più facoltosa del quartiere. Si dovrà occupare di Will, un trentaseienne profondamente depresso, consapevole di non aver più alcuna ragione di vivere una vita che non è più come l’aveva programmata. Will ha perso tutto e da due anni non mette il naso fuori dalla dépendance in cui l’hanno sistemato i genitori; grazie all’aiuto di Nathan riesce a cavarsela nelle incombenze più intime, ma il ruolo di Lou è quello di restituirgli la voglia di vivere: Will infatti ha dato ai genitori sei mesi di tempo prima che si rivolga ad una clinica svizzera che porrà fine alla sua vita.
Jojo Moyes ha scritto un romanzo profondamente vivo e che affronta tematiche molto delicate con gli occhi di un normodotato, facendo modo così che i problemi che ogni giorno devono affrontare i disabili restino impressi alla maggior parte di noi.
Già dalle prime pagine sono descritti i due modi tipici in cui reagisce la gente di fronte ad un paraplegico: da una parte i genitori che scoraggiano i loro figli disabili trattandoli come bambini ancora in fasce, ingigantendo la loro condizione di disagio e, forse incapaci di far fronte ad un dolore così forte, non li aiutano a condurre una vita il più normale possibile, lasciando che siano dei perfetti sconosciuti ad occuparsi di loro; dall’altra parte ci sono i genitori di Lou, esempio lampante di coloro che non rispettano la condizione altrui e fanno battute come “Beh, almeno non devi preoccuparti delle molestie sessuali” o “Ma ti parla come Stephen Hawking?”.
Nel corso della lettura vi renderete conto di quanto possa diventare complicato fare qualsiasi cosa, anche la più sciocca: marciapiedi inadeguati, automobilisti sconsiderati che parcheggiano nei pressi dei passi carrai non lasciando lo spazio adeguato al passaggio di una carrozzina. Lou cercherà di portare Will fuori dalla dépendance e grazie ad un forum di discussione online dedicato proprio ai disabili si renderà conto in realtà di quante esperienze non siano loro più precluse e che esistono località turistiche dedicate esclusivamente ai paraplegici o ai tetraplegici in cui si possono fare tutte le attività tipiche dei normodotati.
Ed infine, l’eutanasia: il tema è affrontato con una delicatezza estrema, l’autrice non si pone né a favore né contraria e ci dà modo di riflettere a fondo sulla questione.
È giusto per un essere umano continuare a condurre una vita con la consapevolezza che la sua condizione non potrà fare altro che peggiorare?
Ho terminato la lettura di “Io prima di te” domenica pomeriggio, e ad oggi ancora rifletto sul significato del romanzo, sulla sua storia, sulla storia di tutti coloro che per un tragico gioco del destino devono dipendere da qualcun altro per vivere, sulla storia di tutti i normodotati che abbassano lo sguardo con imbarazzo di fronte una carrozzina.
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VITA, MORTE E MIRACOLI DI NESSUNO
A scuola tutti almeno una volta hanno sentito parlare della guerra di Troia e delle sue conseguenze: Ulisse, grazie al cui ingegno gli Achei riuscirono a penetrare le mura della città, era presentato come colui che inizialmente non volle partecipare al conflitto e dopo esser stato in un certo senso “costretto” a prendervi parte riuscì a portare i suoi compagni alla vittoria. Nel farlo scatenò le ire di alcune divinità che resero il suo viaggio di ritorno ad Itaca un vero e proprio inferno.
Ma com’era Ulisse negli anni della sua formazione? Quali sono stati i suoi pensieri e le motivazioni alla base delle proprie scelte?
Ci ha pensato Valerio Massimo Manfredi a parlarcene nel suo ultimo romanzo, primo di una raccolta dedicata al famoso re di Itaca. Per Manfredi si tratta di un esperimento già svolto con la trilogia dedicata ad Alessandro Magno, in cui ha raccontato la sua storia dalla nascita alla morte, ma la componente innovativa di “Il mio nome è nessuno. Il giuramento” è che finalmente è stato scritto un romanzo che possa avvicinare in qualche modo il popolo dei giovani ai miti e alle leggende dell’antica Grecia.
Ma andiamo per ordine. “Il mio nome è nessuno” racconta in prima persona la vita di Ulisse dai sei anni fino allo scoppio della guerra di Troia: la sua formazione, i suoi viaggi col Padre, l’incontro con la quattordicenne Elena e la storia d’amore con sua moglie Penelope presentandoci un personaggio considerato prima un uomo, poi un eroe: Ulisse è da sempre stato un ragazzino sveglio, scaltro e di una spiccata intelligenza che ha reso orgogliosi il padre Laerte e il nonno, il temuto re Lupo che si è preso l’onore di dare al proprio nipote un nome.
Al di là dello stile molto ricercato (spesso sono riportati termini greci del linguaggio colloquiale), la trama inizialmente molto semplice e che man mano si interseca fino a raggiungere il suo climax (momento di massima tensione), c’è da dire che l’unica pecca di Manfredi è questa sua volontà di presentarci i suoi personaggi come degli eroi positivi; prendiamo ad esempio un personaggio come Achille, di cui Manfredi racconta l’amore passionale che lo legava a Briseide o le sue buone azioni dettate solo ed esclusivamente da un animo nobile: nell’Iliade Omero descrive Achille come un eroe strafottente, presuntuoso, forte della sua apparente invincibilità e capace di provare sentimenti d’affetto esclusivamente verso il suo migliore amico Patroclo (la sua ira, scatenata alla scomparsa di Briseide, è dettata esclusivamente dalla perdita di una proprietà, non dalla perdita della donna amata).
Ovviamente Manfredi non regge il confronto con Omero, ma un po’ di sacrosanta verità intellettuale non guasta mai: i libri di storia hanno parlato diffusamente delle tremende razzie o della crudeltà degli eserciti greci, che Manfredi si limita solo ad accennare.
Questa piccola critica non esclude il fatto che l’ultimo romanzo di Valerio Massimo Manfredi non sia un testo in cui i particolari storici sono resi maliziosamente, a testimonianza del fatto che l’autore non abbia effettuato delle ricerche esclusivamente sulla vita del protagonista ma si è documentato anche su tutti i personaggi che hanno fatto parte della vita dell’eroe o sui personaggi di cui Ulisse ascolta le storie da terzi (sono raccontate ad esempio le fatiche di Heracles, la pazzia di Medea e le avventure di Giasone e degli Argonauti, di cui il padre di Ulisse ha fatto parte) ed è questo che a mio avviso distingue un romanzo di qualità da uno qualsiasi; se poi la sua lettura riesce a dar vita ad un dibattito, tanto di guadagnato.
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MERITIAMO TUTTI UNA SECONDA OCCASIONE
La settimana scorsa ero su un treno diretta a casa: ero stanca, avevo caldo, sonno e provavo quella sensazione di vuoto allo stomaco tipica di quando hai appena passato due ore su un esame universitario e non sai quanto dovrai aspettare per conoscerne i risultati. Per passare il tempo stavo ovviamente leggendo quando ecco accadere il dramma: uno sconosciuto seduto di fronte a me tira fuori un romanzo, alza lo sguardo e incontrando i miei occhi mi chiede cosa stessi leggendo. Dopo aver sentito la mia risposta alza con orgoglio la copertina del suo che riconosco subito come uno dei tanti romanzetti firmati Fabio Volo.
Ora, al di la del fatto che ho volontariamente ignorato il mio compagno di viaggio in seguito a questa scoperta, ho avuto una sorta di triste epifania: ho sempre denigrato il buon Fabio e i suoi romanzi basandomi sull’aver sfogliato un suo libro e aver letto qualche passaggio qua e la ma non gli ho mai dato modo di spiegarsi, di dire la sua insomma. Così dopo aver consultato le mie fonti segrete ho deciso, nonostante la ferma opposizione dei miei neuroni e del mio buon senso, di leggere “Il tempo che vorrei”.
Il protagonista, Lorenzo, è un ragazzo profondamente in sintonia con le proprie emozioni (non potete neanche lontanamente immaginare la frequenza con cui leggerete “ho pianto” ), un po’ come una giovane donna. È nato in una famiglia povera (anche questo non smetterà mai di ripeterlo), ha abbandonato gli studi per portare un po’ di soldi a casa, per una serie di fortuite coincidenze ha fatto carriera e si è trasferito a Milano. Qui ha incontrato la sua “lei” con cui ha convissuto per poi essere abbandonato perché “impossibilitato ad amare qualcuno”: il romanzo è incentrato su una lunga introspezione che analizza minuziosamente il rapporto di Lorenzo con il padre e di Lorenzo con la sua ex, infarcito di luoghi comuni, frasi fatte, immagini stereotipate e emozioni latenti che hanno confermato la mia teoria secondo cui l’80% dei libri del piccolo Fabio sono composti da frasi tratte dai Baci Perugina e il restante 20% da punteggiatura.
Leggere il quinto romanzo di Fabio Volo è stato stilisticamente parlando un po’ come frequentare un corso preparto,: i paragrafi sono composti da brevi frasi. Immaginate lo strazio di dover spezzare il ritmo di lettura appena ingranato. È lo stesso che chiedono di fare alle partorienti con la loro respirazione per far nascere il proprio pargolo. È lo stesso meccanismo che sto usando in questo momento. Non sentite un formicolio alle mani?
“Il tempo che vorrei” è un libro che mi ha fatto pensare al passato: ricordo con nostalgia quando ero un’adolescente complessata che trascorreva i pomeriggi a riflettere con il mio migliore amico ai tempi del liceo su cose come il senso della vita, le relazioni tra gli esseri umani, l’amicizia e l’amore.
Allora ho capito.
Fabio Volo questo periodo di profonda riflessione critica, saccente e un po’ bohèmienne non l’ha ancora superato: va ancora in giro portandosi a braccetto la versione brufolosa di se stesso e come tutti gli adolescenti di oggi sente la necessità quasi fosse una missione umanitaria (non richiesta, tra l’altro) di dover condividere le sue turbe con noi attraverso i suoi libri.
Fabio Volo è il Federico Moccia degli adulti: viene acquistato da una generazione di post-adolescenti che credono di essere “cresciuti” per il semplice fatto che sono trascorsi più di trent’anni dalla loro nascita ma che in realtà sono ancora affossati nella triste palude della loro tenera età cerebrale e non sono in grado di superare le difficoltà che spesso devono affrontare.
La quantità materiale di libri venduti da un autore del genere è un triste sintomo di come la nuova generazione di adulti si rapporta al mondo; allora cari giovani sbarbatelli, vi svelo un segreto: ogni singolo essere umano sulla faccia della Terra ha passato, sta passando o passerà dei brutti momenti. È la vita, un roller coaster la cui velocità la stabiliscono i fatti: a voi non resta che godervi il giro.
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Addio Harry, mamma cambia aria!
Il nuovo, ultimo romanzo di J.K.Rowling è ambientato in una cittadina inglese, Pagford, dove i cittadini benpensanti si conoscono un po’ tutti e le notizie, dalle più sciocche alle più importanti, volano di sussurro in sussurro alla velocità della luce, come succede in tutti i paesi con un numero ristretto di abitanti. La calma del paesino viene sconvolta dalla morte di Barry Fairbrother a causa di un aneurisma celebrale; ogni pagfordiano reagisce in modo diverso e l’intera cittadinanza diventa la vera protagonista della vicenda, con i suoi vizi, le sue virtù e soprattutto con le sue opinioni sul decesso, calate nel contesto delle loro vite.
Barry Fairbrother infatti non era un cittadino comune, presiedeva il Consiglio cittadino promuovendo il recupero della zona più degradata, i Fields, scambiata come una patata bollente tra Pagford e la vicina Yarvil; la sua morte lascia quindi in sospeso molte questioni, come reagiranno i pagfordiani al seggio lasciato vuoto?
La Rowling è stata definita più volte uno degli autori più importanti del secolo scorso: milioni di adolescenti sono stati introdotti alla lettura grazie alle vicende del piccolo maghetto inglese, innamorati delle atmosfere magiche, tutte nuove, che l’autrice è riuscita a costruire col solo aiuto di parole e immaginazione: ma cosa è cambiato dalla saga di Harry Potter a “Il seggio vacante”?
Innanzitutto il protagonista, che in quest’ultimo romanzo non è unico: la Rowling infatti riporta stralci di vita di alcuni tra i cittadini più in vista, a partire dai giovani studenti fino ad arrivare al sindaco, calando i lettori nella loro psiche con poche pagine.
Seguono poi tematiche tutte nuove: la magia, la lotta tra il bene e il male hanno lasciato spazio a temi ben più concreti ed attuali quali la lotta per il potere, l’importanza del bene comune sul proprio, l’eterna lotta tra genitori e figli, tra benestanti e poco abbienti, l’unione della comunità per far fronte ad un problema comune.
È rimasta fortunatamente invariata la rara capacità che ha l’autrice di raccontare le vite dei suoi personaggi al punto da farci provare empatia, facendoci sommergere dagli ambienti da lei descritti tanto da domandarci se questi siano effettivamente veri o frutto della sua sfrenata fantasia.
J.K.Rowling ha quindi definitivamente voltato pagina, invitando tutti noi lettori a fare lo stesso.
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Una faticaccia
Dio mio.
Partiamo dal presupposto che tutti prima o poi perdiamo qualcuno di importante e mettiamoci anche il fatto che personalmente non amo stare a sentire i lamenti del prossimo; finire questo libro è stata una faticaccia, avere a che fare con una protagonista che non reagisce al dolore mi ha fatto ribollire la rabbia, aumentata dal fatto che nessun altro personaggio le abbia mai fatto una piazzata come si deve. Al contrario, compatita da tutto e tutti Clara riesce a stancare con la sua presenza ed essendo lei la protagonista il rapporto con il lettore è inevitabile.
Mai più nell'universo.
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Gli occhi del diavolo
Premetto di aver letto della Kleypas solamente i due libri della trilogia di Friday Harbor.
Con questo libro l'autrice ha cercato di insegnare alle sue lettrici due cose: 1) il diavolo ha gli occhi di tutti i colori e compare nelle persone quando meno te lo aspetti e 2)solamente chi ha provato il dolore con la D maiuscola è in grado di raggiungere la felicità insita nelle piccole cose.
E' un libro per cui l'autrice ha lavorato molto, facendo ricerche e informandosi su argomenti come l'abuso sulle donne o il narcisismo patologico (riportando spesso termini prettamente medici) ed è una cosa che personalmente apprezzo molto e che secondo me distingue un romanzo di qualità da uno qualsiasi.
Tutti i personaggi (nessuno escluso) ha un vissuto o un presente burrascoso, la trama è avvincente perché per una volta i problemi non vengono risolti nel giro di poche pagine ma solamente alla fine del libro stesso, lasciandoci quindi col fiato in sospeso. Ammetto anche di essermi commossa, essendo raccontato in prima persona dalla protagonista si prova subito empatia per il soggetto, mossa azzeccata per questo genere di storie.
Bello, interessante e davvero consigliato a tutte le donne.
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Perché??!
Caro Giorgio,
perchè??!!? Questo viaggio all'Einaudi quando sappiamo tutti che il meglio di te lo dai quando scrivi libri per la Castoli Dalai?!?!
Ma che ti è preso?!!?!?
Giorgio Faletti non è "Tre atti e due tempi": leggendolo ho avuto l'impressione che sia stato incatenato intellettualmente, come se si stesse trattenendo perché all'Einaudi non si possono dire parolacce o non si può parlare di cose brutte e cattive.
Non lo fare mai più! TORNA INDIETRO!
Firmato
"una che ti ha sempre letto"
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Non è malaccio su..
Come da titolo: non è poi tanto male su!
Ok, è molto molto breve. Ok, essendo breve la lettura è moooolto rapida. Ok, essendo la lettura rapida riuscirete a finirlo in due giorni (anche uno se siete dei velocisti) e lo chiuderete presi da un attacco di fiatone intellettuale.
Maddai, è innegabile che qualche sorriso lo strappa (non mi sbilancio a dire che strappa qualche risata perché il senso dell'umorismo è un privilegio raro) e riesce anche ad emozionare, se siete delle/dei sentimentalone/i come me..
La pecca è appunto il problema della lunghezza: spesso ti ritrovi a leggere parti in cui non puoi fare a meno di domandarti come diavolo si è arrivati direttamente ad Halloween se una pagina fa si era a metà settembre, oppure ti domandi per quale oscura ragione la Kleypas non abbia speso mezza paginetta in più per spiegarsi meglio...ma tant'è -.-
Ad ogni modo questo è il primo libro che leggo dell'autrice e credo proprio che le darò una seconda possibilità ;)
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Finalmente qualcosa di avvicente.
L'ho appena finito, e la prima cosa che ho pensato è stata "Finalmente qualcosa di avvincente".
Certo, non può competere con i thriller in quanto a suspence, ma non è proprio da buttar via, ci sono parti in cui senza neanche rendertene conto inizi a leggere più velocemente perché DEVI sapere come va a finire, oppure resti col fiato in sospeso mentre quella povera sfigata (perché una col vissuto simile a quello di Katniss non può essere nominata diversamente) sta rischiando di venire ammazzata definitivamente.
Per quanto riguarda le tematiche..beh, ne hanno già parlato in molti (il primo che mi è venuto in mente è stato "The Truman Show"), ma essendo un romanzo per ragazzi (o almeno è così che è stato presentato) almeno posso sperare che qualche adolescente abbia abbandonato la playstation e si sia messo a leggere di regimi autoritari e di quello che possono fare per tenere sotto controllo la popolazione. In generale mi ha colpito tutto il lavoro di interviste, sfilate e quant'altro legato a quello che poi è una carneficina autorizzata. Di minori perlopiù.
La protagonista ci sa fare (almeno non è una deficiente -.-), anche se nelle questioni amorose avrebbe bisogno di un insegnante di sostegno. Il protagonista maschile, Peeta, mi ha fatto tenerezza dal primo all'ultimo istante per il semplice fatto di essersi innamorato di lei in mezzo a tante -.-
Lo stile è fluido e facilmente comprensibile, piacevole.
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