Opinione scritta da Riccardo Cimedi
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Quando le galline volano, e gli esseri umani no
Paola Mastrocola insegna lettere in un liceo scientifico di Torino, e con le sue opere ha vinto diversi premi. Premi meritati, perché è evidente che l’autrice sa scrivere, e pure bene. Il suo modo di raccontare è moderno, ironico: in “La gallina volante” descrive in modo estremamente efficace i tic della protagonista, “io narrante” che condivide con l’autrice il ruolo di docente di lettere. La lettura è piacevole, e le semiserie avventure della Professoressa Carla nel tentativo di far volare una delle sue galline, coltivando allo stesso tempo l’amicizia con Tanni, una delle sue allieve, appassionano e fanno leggere il libro d’un fiato.
Come spesso accade nei romanzi moderni che in qualche misura vogliono darsi uno spessore intimista, le vicende sono intercalate da riflessioni che l’autrice ha il pregio di porgere con estrema nonchalance spesso sotto forma di frasi ed effetto: queste sicuramente arricchiscono il testo e si prestano a approfondimenti personali da parte del lettore.
Tutto molto bene, dunque? Come lettura divertente e prodotto editoriale ben riuscito, sicuramente sì.
I problemi sorgono semmai se ci si lascia prendere la mano dall’autrice, e se si dà un seguito alle sue riflessioni. Perché il quadro che ne scaturisce è piuttosto desolante. La professoressa non ne può più di insegnare, ha due figli ridotti a vuote figure ectoplasmatiche, un marito che intona un controcanto a ogni suo tentativo di comunicare, colleghi alienati e alienanti, una classe amorfa e una alunna problematica. Dietro al racconto brillante viene messa in scena, dunque, la solita storia della moderna umanità alienata: se le galline hanno le ali ma non volano, gli uomini hanno cervello e sensibilità ma non sono felici perché comunque a loro manca qualcosa. L’autrice suggerisce che cosa possa mancare all’uomo moderno, ma il suo suggerimento non è esaustivo, e infatti anche la vita della protagonista si ripiega su se stessa, senza soluzione di continuità. Povera professoressa. Poveri studenti. Di fronte a loro, la gallina giganteggia.
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Non solo strategia
Ottimo libro, non solo per gli appassionati di storia.
Luttwak si dimostra un profondo conoscitore di storia bizantina, e ottimo divulgatore: con rigore quasi accademico mette il lettore in contatto con le fonti militari dell’epoca, ma il risultato non è affatto noioso. Le pagine dedicate a come si costruisce e usa un “arco composto”, ad esempio, possono sembrare eccessivamente numerose, ma chi volesse affrontarle scoprirà poi di averle divorate quasi senza accorgersene. Ho trovato estremamente interessante la ricostruzione di alcuni momenti fondamentali nell’evoluzione dell’Impero Bizantino che raramente vengono analizzati con tanta precisione: perché delle due metà dell’Impero una si dimostrò più vitale dell’altra? Come mai la riconquista dell’Impero Romano d’Occidente fallì? Come riuscirono i Bizantini ad annientare l’Impero Sassanide? Cosa permise all’Impero Romano d’Oriente di divenire uno degli stati più longevi (se non il più longevo) della storia?
Le informazioni sono combinate in modo tale da offrirci un saggio di strategia politica e militare estremamente piacevole, e di grande attualità. L’autore infatti non si affanna ad essere “politically correct”: fa trasparire le sue opinioni, e non rinuncia a fare paragoni diretti fra i fatti storici e il mondo contemporaneo. Ritengo che questo modo di fare sia estremamente apprezzabile, perché evidenziare le proprie convinzioni allontana il rischio di essere manipolatori nei confronti del lettore. Va notato che anche quando Luttwak è evidentemente “schierato” a favore di una parte, tratta l’altra con rispetto: cosa alla quale ormai non siamo più abituati.
Gli insegnamenti di strategia e di tattica sono infine preziosi, molto più vicini alla nostra cultura e utili di quanto si può trarre dalla lettura di "L'Arte della Guerra" di Sun Tzu. Quest’ultima opera, però, ha indubbi vantaggi agli occhi della maggior parte dei lettori: è estremamente più breve, e una conoscenza superficiale della cultura cinese è sicuramente più di moda di un approfondimento di quella bizantina. Peccato solo che di quei bizantini noi siamo i discendenti.
“La grande strategia dell’Impero Bizantino” è quindi una lettura estremamente consigliabile.
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