Opinione scritta da Gruesty

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Gruesty Opinione inserita da Gruesty    13 Aprile, 2013
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Vediamo cosa bolle in pentola

Questo libro mi è capitato tra le mani per caso, e così, visto la numerosa pubblicità ottenuta grazie alla serie televisiva, ho deciso di leggerlo. Piuttosto che ad un romanzo assomiglia maggiormente ad un grosso pentolone in cui vengono mischiati vari ingredienti e da cui ne esce fuori soltanto una schifezza. Non che sia così orribile da non riuscire a leggerlo, ma sfogliando quelle pagine si incontrano personaggi troppo diversi l'uno dall'altro. Sono dell'opinione che i vampiri e le streghe siano due figure portanti nella letteratura di tutto il mondo, ma che non riesco a vedere bene inseriti insieme in uno stesso racconto. Per quanto riguarda il contenuto si trovano, sparsi qua e in la, stralci di diario che non sono stati scritti dal vampiro Stefan, come l'ingannevole titolo fa pensare, bensì dalla protagonista e ciò non mi è piaciuto affatto. Il testo di per sé è scorrevole, adatto a chiunque e di facile comprensione. Inoltre ho apprezzato la terminologia cupa, che riflette l'ambiente in cui ci si immerge, le descrizioni macabre degli avvenimenti che scuotono la città di Fell's Church e il costante sospetto che attanaglia la giovane, poiché aggiungono quel pizzico di granello in più di inquietudine e di paura che solitamente dovrebbero provare coloro che si accingono a leggere storie di questo calibro. Rispetto ai personaggi riesco a trovare soltanto dei difetti. Elena è la classica ragazza americana: occhi azzurri, capelli biondi, popolare a scuola, circondata da una “setta” di amiche e fidanzata con il giocatore di football della scuola. Dal carattere forte e sempre con la risposta giusta si fa rispettare da chiunque, tanto che le ragazze stanno alla larga da lei mentre i ragazzi le sbavano dietro. Ovviamente, come da copione, non manca neanche l'amica-nemica, che farà di tutto per attirare l'attenzione del povero Stefan e accendere così in Elena la fiamma della rivalità. Descritta in questo modo assomiglia ad un'oca senza cervello, ma in realtà si scoprirà che anche lei ha un cuore, che tutto il suo mondo non si basa sull'aspetto esteriore e che un cervello lo possiede, eccome! Purtroppo da piccola ha perso i suoi genitori e, quindi, è normale pensare che il suo comportamento sia dovuto a ciò. È come se Elena indossi una maschera di felicità, di spensieratezza che tende a nascondere il suo vero io, sopraffatto dal dolore della perdita. Invece, passando al secondo protagonista, Stefan sembra, anzi è la fotocopia inequivocabile di un altro vampiro che tutti conosciamo perfettamente: Edward Cullen. Chiuso nel suo mondo in piena solitudine, si ciba soltanto di animali, è bello e irrestitibile, ricco, è in grado di leggere nella mente e restio a lasciarsi andare con i sentimenti. L'unica differenza – per fortuna – è che non brilla al sole, anche se per girovagare liberamente per la città di giorno è costretto ad indossare un anello che lo protegge. Dal passato difficile, si legge che le sue origini sono italiane, figlio di un nobile fiorentino e fratello di Damon, il quale vive nella sua stessa condizione. Nonostante ciò sorge spontaneo domandarmi il motivo per cui nei romanzi odierni la figura del vampiro viene sempre associata, o fatta risalire, all'Italia. Che fine ha fatto la vecchia Transilvania di Stoker? Naturalmente fra i due sboccia una storia d'amore ed Elena diventa così, dal punto di vista caratteriale, più simile allla “Giulietta” di cui si innamora il vampiro della Meyer: disposta a tutto pur di stare con lui e tranquilla nell'accettare la sua natura. Insomma, non molto tranquilla, poichè la scena in cui viene a sapere la verità è composta da sani sentimenti di paura che ogni essere vivente proverebbe in tale situazione. Ringraziando qualche essere superiore alla scrittrice è venuto in mente un particolare che rende la storia un po' più intrigante, ovvero il fatto che la giovane Elena assomiglia alla figlia di un barone di cui, guarda caso, si era innamorato Stefan e non solo. In conclusione, questo primo libro della saga possiede aspetti che mi permettono di paragonarlo a Twilight, anche se le figure del corvo e delle streghe, i luoghi lugubri e qualche colpo di scena lo differenziano un po'. Tuttavia dopo aver scoperto che l'edizione originale del romanzo risale al 1991 è lecito chiedersi se non sia stata la Meyer a trarre spunti per dare vita alla sua saga. Pertanto, in questa confusione che mi assale, posso affermare di aver letto un buon libro, interessante per chi ama il genere e da approfondire soltanto per coloro che, spinti dalla curiosità come la sottoscritta, si sentono pronti a leggere altri quindici libri che completano, ma non finiscono, la saga.

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A coloro che apprezzano il genere e il stile "Twilight"
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Gruesty Opinione inserita da Gruesty    11 Novembre, 2012
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L'amore di un cane non ha limiti

Premetto di amare alla follia i cani e di aver comprato questo libro per caso, anzi è stato lui a scegliere me. Ero alla Feltrinelli per i libri dell’università quando sullo scaffale dei nuovi arrivi c’era questo libro, la cui copertina mi attirò. Vi è raffigurato il volto di un cane, che mi ha fatto tornare in mente la mia Briciola, grazie alla sua stretta somiglianza. Così, dopo aver letto la breve trama e un po’ di indecisione, l’ho preso e non me ne sono pentita. Questo romanzo narra le vicende di Mack e Justine, il fedele compagno di una donna che ha scelto di vivere come una nomade, lontano dai suoi dolori. Sua madre morì quando ella aveva all'incirca dieci anni e qualche mese più tardi il padre decise di risposarsi con la vicina di casa, Adele, la quale gli faceva una corte spietata. Da quel momento in poi la vita di Justine iniziò a peggiorare: a lei veniva preferito il suo fratellastro, Paul, e di conseguenza era messa in disparte, mentre la sua nuova madre divenne la classica matrigna che non fece altro che trattarla in malo modo. Proprio difronte all'atteggiamento del padre, che intimorito dalla donna non riusciva mai a difendere la figlia, Justine a soli 17 anni se ne andò via di casa e qualche anno più tardi ebbe un figlio, Tony. Quest'ultimo diventato adolescente si comportò come sua madre, assumendo un atteggiamento ribelle e scegliendo di rimanere a vivere con il padre. Il motivo di questa decisione è dato dalla vita della donna, che si vedeva costretta a trasferirsi e a cambiare città ogniqualvolta che le si presentava una buona opportunità di lavoro. Nonostante ciò questo è il passato di Justine, un passato tormentato e pieno di sofferenze che viene raccontato durante tutto il romanzo, una scelta, quella dell'autrice, ottima, in quanto raccontare queste vicende tramite dei flashback rende la storia migliore, anche se un po' complicata. Infatti ammetto di aver trovato difficoltà nel ricordare ogni frammento del racconto, poiché in un capitolo, seppur corto, vengono narrati molti fatti, creando un intreccio un po' difficile da districare. Dal passato passiamo ora al presente, da dove ha inizio la nostra storia: Justine sta tornando nella sua casa natale, richiamata al dovere di "figlia" a causa della morte del padre che si sta avvicinando, e assieme a lei vi è Mack, il suo cane ballerino che le fa compagnia. Purtroppo i guai iniziano nel momento in cui Artie, l'autista del tir con cui la donna sta viaggiando, abbandona Justine per il suo ritardo portandosi con sè il cane. Come lascia intendere il titolo del libro, ciò è soltanto un avvenimento positivo che permetterà a Justine, e non solo, di ricucire i pezzi della sua vita e di cancellare rabbia e rancori. Mentre la donna riuscirà a perdonare il padre, anche se ciò avverrà soltanto dopo la sua morte, Mack riuscirà inconsciamente a riavvicinare due persone ormai distanti. Si tratta di Alice e Edward, due coniugi distrutti dalla morte della figlia, che trovando Mack difronte al vecchio cimitero decidono di tenerlo con sè, dopo svariati tentativi di comunicare la sua scomparsa con annunci e volantini. Ebbene grazie a lui, entrambi riescono a convivere con il dolore e, scusate la ripetizione, a riavvicinarsi ritrovando così l'amore perduto. Stacy e la sua scomparsa, che nella storia non viene mai raccontata in modo brusco e cruento, ma dolce e delicato, viene finalmente accettata permettendo ad Alice di non accusare più Edward della sua morde, e a quest'ultimo di fare pace con i suoi fantasmi. E' stato bello ed emozionante vedere come i due si siano innamorati nuovamente quasi fossero due adolescenti alle prese con la prima cotta, tanto che questo percorso viene descritto dalla scrittrice in modo dolce e raffinato. Per quanto riguarda la trama del romanzo posso dire che ho amato questo libro fin dal principio, la voglia di raccontare ogni sua pagina è talmente tanto forte che soltanto l'idea che qualcuno potrebbe non gradire il fatto di trovarsi la storia già raccontata frena il mio impulso. Le emozioni che esso mi ha dato sono state molte, dalla tristezza per le brutte vicende che mi hanno rievocato vecchi dolori, alla tenerezza nei confronti di quel povero cane che si ritrova in piena solitudine. Apprezzo, infatti, la scelta dell'autrice di scrivere alla fine di ogni capitolo anche il punto di vista di Mack, di mettere in risalto il suo modo di pensare molto diverso da quello di un essere umano e più sensibile nei rapporti con le persone a cui è legato. Risaltano così i suoi sentimenti, le sue emozioni, e si nota la differenza nel modo in cui i suoi atteggiamenti vengono interpretati da Alice e Edward: la voglia di uscire a fare una passeggiata, il suo desiderio di fermarsi al cimitero, la volontà di danzare vengono fraintesi dai coniugi, in quanto Mack ha voglia di "fare-un-giro" solo per andare incontro a Justine, vuole fermarsi al cimitero perchè era sicuro che lì Justine lo avrebbe trovato, sarebbe venuto a prenderlo e desidera danzare perchè era la passione di lui e Justine, il manifestarsi del loro legame. Ho scritto più volte il nome di Justine proprio per sottolineare il fatto che per Mack ogni cosa ha a che fare con lei, perchè vi è un'intesa molto forte ed è consapevole che ella verrà a cercarlo. Difatti non c'è scena più commovente di quando la donna ritrova il suo adorato Mack proprio al cimitero, nel punto in cui egli sentiva che lo avrebbe trovato. E' proprio lì che mi è uscita qualche lacrima, perchè il bello di questo libro è che ogni cosa, tutto ciò che fa Mack è legato alla sua Justine. Un esempio è dato dal video postato su Youtube in cui egli balla assieme ad Alice su "Help" dei Beatles, stessa canzone con cui ballava assieme alla sua vecchia padrona e che le ha permesso di scovarlo. Ecco che qui mi torna in mente l'unica pecca di questo romanzo, ovvero la traduzione dall'inglese all'italiano del titolo. La storia definisce Mack come un cane che oltre ad essere intelligente e sensibile è "ballerino" e a confermare questo titolo errato basta leggere quello in lingua originale "The dog who danced". Potrei andare avanti all'infinito, commentando ogni singolo evento, ma so che sarebbe soltanto inutile, perciò consiglio a tutti di leggerlo e voglio concludere dicendo che non appena ho finito di leggerlo ho provato un senso di nostalgia, di tristezza per una storia che si era conclusa. Credetemi se vi dico che la voglia di ricominciarlo da capo era tanta, se vi dico che se avete un cane lì assieme a voi che vi sta osservando, vi verrà la voglia di prenderlo tra le braccia e coccolarlo. E' successo anche a me, con la mia Briciola e giuro che se non fosse esistita, avrei subito deciso di prendere un cane, e non di comprarlo, perchè i cani non sono oggetti, bensì persone a cui manca soltanto la parola.

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A coloro che amano i cani, che ne possiedono uno, che senza di lui non potrebbero vivere! :)
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Gruesty Opinione inserita da Gruesty    27 Settembre, 2012
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L'Africa non è mai stata così vicina

L’Alchimista è stato il primo libro che ho letto dello scrittore brasiliano, in prima media, ed è stato il primo che mi ha permesso di scoprire un uomo dai mille talenti. Attore, giornalista e musicista, ogni qualvolta io leggo un libro di Paulo Coelho, esso lascia in me un alone di mistero e nostalgia, cosa che è successa anche per L’Alchimista. Leggendo questo libro il lettore viene direttamente catapultato nell’ambiente che circonda il protagonista, sembra veramente di trovarsi in Africa e di sentire quella brezza calda tipica del vento Sahariano soffiare e scivolare sulla propria pelle. Essendo ambientato principalmente nel Nord-Africa, la regione dell’Andalusia viene disegnata soltanto all’inizio del racconto, e ciò mi ha portato a ricordare in modo più dettagliato il continente nero. Forse dipende dal fatto che i personaggi e i luoghi che Santiago incontra nel suo cammino sono descritti in modo così minuzioso da far sì, come detto in precedenza, di essere immersa in quel mondo. La mia sensazione dopo aver letto i primi capitoli è stata proprio quella di immedesimarmi completamente nel protagonista, come se io fossi Santiago, l’ingenuo pastorello che pur di inseguire il suo sogno abbandona il suo gregge di pecore. Parte così per Tarifa, città in cui incontrerà una vecchia zingara; poi sarà la volta di Melchisedec, una figura che resterà per tutta la durata del romanzo avvolta nel mistero; lavorerà per un mercante di Cristalli, essendo stato derubato; e infine proseguirà il suo cammino alla ricerca del tesoro, prediletto nel suo sogno, e dell’Alchimista che lo aiuterà a compiere la sua Leggenda Personale. Ogni luogo, ogni persona, ogni tappa del giovane pastore rappresentano delle prove che egli deve superare in modo tale da poter crescere, maturare e imparare qualcosa da ogni esperienza. Dunque, in questo romanzo moderno, da considerare un vero e proprio capolavoro (il migliore dello scrittore) due sono le tematiche che ritroviamo preannunciate ne “Il cammino di Santiago” e che hanno contribuito al suo successo: il viaggio e il sogno. Per quanto riguarda il primo tema, esso ha da sempre affascinato l’uomo. Qualsiasi libro che narra una vicenda in cui il protagonista compie un lungo e difficile viaggio porterà sempre il lettore ad essere estasiato e a “viaggiare” – perdonatemi la ripetizione – con la propria mente. E come non unire, assieme alla prima tematica, quella del sogno? Un qualcosa di misterioso, che spinge l’individuo a fare cose che un essere normale non avrebbe mai compiuto (come abbandonare il proprio gregge per trovare un tesoro magari inesistente) risulta la scelta migliore. Pertanto viaggio e sogno sono, senza alcun dubbio, il connubio migliore che Coelho potesse scegliere per realizzare un romanzo come questo. Denso di leggende ( vedi Narciso), sogni, aforismi da dieci e lode, personaggi misteriosi, simboli (vedi Urim e Tumim), prove e sfide che portano Santiago a maturare, paesaggi che rimandano a un qualcosa di antico e di pacifico, L’Alchimista è un’opera che è degna di essere letta almeno una volta nella vita da ognuno di noi. Infine ci tengo a dire che il finale di questo percorso interiore, di questa Leggenda, inizialmente può deludere il lettore, come è successo a me, ma fa riflettere su cosa consiste il cammino che ognuno di noi decide di intraprendere per raggiungere i propri sogni, i propri obiettivi, ed è assolutamente l’epilogo migliore che Coelho potesse scrivere, dove l’amore per Fatima diventerà un ulteriore sfida che il ragazzo si appresterà ad eseguire.

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A chi ha voglia di viaggiare in luoghi esotici e di sognare e vivere la propria Leggenda Personale
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Gruesty Opinione inserita da Gruesty    26 Settembre, 2012
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La maschera come crisi interiore dell'io

Nella letteratura italiana il poeta che più di tutti ha trattato in modo approfondito e critico il tema della maschera è stato è stato in assoluto Pirandello. Questo tema, che avevo deciso di portare come tesi alla maturità di questo anno assieme ad altri autori del Novecento, si trova proprio all'interno di questo libro. La visione pirandelliana del mondo è strettamente legata ad una concezione vitalistica della realtà, la quale è un flusso continuo, un divenire di stati in perenne trasformazione. Tuttavia l'uomo è soltanto una parte di questo flusso e tende a cristallizzarsi in una forma ben distinta, convinto di essere "uno". In realtà la personalità a cui il soggetto dà vita è soltanto un'illusione che scaturisce dal sentimento oggettivo che l'individuo ha del mondo, tanto che perfino gli altri gli assegnano "centomila" forme, al di sotto delle quali non vi è "nessuno". Mattia Pascal, come accade anche al protagonista di "Uno, nessuno, centomila", risente di questa influenza, di questa visione che porta Pirandello a creare una storia degna di essere definita capolavoro. Grazie alla fortuna del caso, Pascal ha la possibilità di lasciarsi alle spalle una vita che non gli apparteneva e non lo appagava, e sempre il caso gli permette di crearsene una nuova. Chi non ha mai ammesso di aver sognato di togliersi di dosso la propria vecchia vita come se fosse un vecchio abito malridotto? Ognuno di noi, compreso lo stesso Mattia, il quale diventa Adriano Meis, l'uomo che aveva voluto sempre essere, felice e lontano da guai della famiglia, che lo scrittore definisce come una "trappola". Essa obbliga l'uomo a indossare delle maschere, le quali non gli concedono di esprimere il proprio essere, provocando, di conseguenza, un senso di smarrimento nei personaggi pirandelliani. Pertanto il pessimismo dell’autore diventa totale, in cui l'unica via di salvezza consiste nella fuga dalla realtà attraverso l'immaginazione e la follia. È ciò che cerca di fare il protagonista, di scappare dalla propria vita immaginandosi in una nuova personalità. Adriano, allegro nella sua nuova identità, presto si accorge però di quanto quella nuova maschera gli stia molto stretta: egli non è in grado di staccarsi totalmente dalla vita sociale, risente dell'impossibilità di comunicare in modo intimo con altre persone, perfino di non potersi innamorare nuovamente di una donna, in quanto la nuova condizione in cui si trova lo conduce a vivere estraniato dal resto del mondo, come un "forestiero della vita". Perciò, al povero Meis, non resta nient'altro che rinunciare al suo sogno di essere libero dai legami e dalle forme imposte dalla società e di ritornare alla sua vecchia vita. Adriano, anzi Mattia, si sente perso e spaventato difronte a qualcosa di instabile, necessita di tranquillità e capisce che l'unico modo per sopravvivere e non venire sopraffatto dalle incertezze consiste nell'indossare, per l'appunto, una maschera dietro alla quale si può nascondere. Nel complesso è sicuramente un libro che deve essere letto, nonostante il linguaggio un po' complesso, in quanto porta il lettore a riflettere, a mettere in moto la sua coscienza interrogandosi sulla sua vita, porta l'io ad una vera e propria crisi interiore.

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Fantasy
 
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Gruesty Opinione inserita da Gruesty    26 Settembre, 2012
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Il classico amore adolescenziale

Inizialmente ci tengo a precisare di non vedere prima i film che rappresentano la saga, ma di leggervi i libri. Come accade per qualsiasi storia che viene riprodotta al cinema, essa perde la sua vera essenza e finisce per diventare un racconto di due ore in cui vengono tagliate, censurate ed eliminate parti del racconto soltanto per rispettare i diversi criteri che vi sono nel mondo del cinema. Difatti stessa cosa è successa per Twilight, in quanto le emozioni, che soltanto un libro riesce a dare, grazie al film sono scomparse, se non ridotte al minimo. Detto ciò, per quanto riguarda lo stile, la Meyer ha utilizzato un linguaggio poco complesso, descrivendo i fatti in modo chiaro e dettagliato e con una semplicità che mi ha colpito fin dall’inizio. Non si tratta di un libro pesante, dove il lettore deve sforzarsi per comprendere gli avvenimenti ed immaginare il filo logico della storia. In questo caso l’autrice ha dato vita ad un’opera che lascia correre l’immaginazione, che permette di vedere con la propria mente i personaggi, come se fossero lì davanti a ognuno di noi. Tuttavia due sono gli “errori”, se così si possono chiamare, che vorrei sottolineare. Innanzitutto si tratta della classica storiella, in cui una ragazza carina, semplice, all’antica e timida finisce per innamorarsi del ragazzo bello e irraggiungibile, che a sua volta, come da copione, si innamora della giovine escludendo le altre pretendenti. Inoltre la trama risente chiaramente dell’influenza di Shakespeare da parte della scrittrice, autore che verrà poi citato attraverso una delle sue opere più importanti nel libro successivo della saga. Vi è un po’ di Romeo e Giulietta in Edward e Bella che ha contribuito a dare successo mondiale alla storia, ma che, personalmente, l’ha un po’ banalizzata, rendendola una fotocopia, un racconto reinterpretato in chiave moderna. Come secondo errore vi è la scomparsa del mito del vampiro, quello di Bram Stoker. Leggendo la storia, che cosa è rimasto del vecchio e caro Dracula? Soltanto un paio di zanne affilate al posto dei canini. Edward è completamente diverso dal suo avo: può decidere di quale sangue nutrirsi, non dorme mai durante la giornata in una bara, ma si rinchiude nella sua residenza, nella sua villa per non farsi vedere dagli altri brillare come tanti diamanti messi assieme. Risulta chiaro come le caratteristiche dei vampiri, vere e proprie capisaldi nella letteratura, siano state smontate, modificate per renderle meno macabre e non spaventare le migliaia di adolescenti e ragazzine sparse in tutto il mondo, le quali hanno contribuito a dare successo e fama alla saga. Pertanto ritengo che siano soltanto queste due “piccole sviste” a rovinare una storia che, nel complesso, mi ha contagiato e coinvolto fin dal principio in una lettura selvaggia, in cui un ulteriore pregio può essere rappresentato dalla protagonista che raramente si comporta come una ragazzina ingenua e lascia trasparire, in alcune parti del racconto, una profondità di pensiero che la rendono matura, consapevole delle sue scelte e delle relative conseguenze.

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A coloro che vogliono leggere l'amore che sboccia nell'adolescenza.
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