Opinione scritta da Sam93
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Una storia di libertà
Questo libro mi ha scelta in una maniera strana: tramite il catalogo spagnolo della mia biblioteca. Era molto che volevo leggerlo, ma non avevo mai avuto occasione di farlo: quando l'ho visto lì ho guardato la copertina e ho pensato che fosse il suo momento. E così mi sono immersa nella storia di Inès Suarez, l'unica donna tra i fondatori del Cile. Credo che molti prima di leggerlo abbiano pensato che questa sarebbe stata una storia d'amore qualunque, sebbene ambientata nel 1500, ma non è assolutamente così: questo è un romanzo storico a tutti gli effetti, una biografia non ufficiale di una donna forte, coraggiosa e moderna. Per questo, probabilmente, molti sono rimasti delusi dal romanzo. Certo, l'amore non manca: ci sono tre uomini nella vita di Inès, Juan, Pedro e Rodrigo, ognuno dei quali rappresenta un diverso momento della sua vita ed è fondamentale per renderla la persona che è diventata. Tuttavia, nulla in tutto il romanzo sarebbe successo se non grazie alla sua caparbietà e all'unico desiderio che la spinge ad agire per tutto l'arco narrativo: la libertà.
Tutto il romanzo è una grande avventura: la sua infanzia, il primo amore, l'imbarco su una nave verso il sud America, naufragi, stupri, uccisioni, amori, passioni intense, accuse insensate, guerre, battaglie… Tutto contribuisce a rendere questa una storia meravigliosa, compreso un tocco di magia, come nella migliore tradizione sudamericana.
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Profumo di lillà e uva spina
Lo ammetto: non conoscevo questo romanzo, nonostante mi piacciano molto i fantasy. Poi, un giorno, è comparso dal nulla: i miei amici nerd hanno iniziato a consigliarmelo, ovunque si vedeva la pubblicità dei videogiochi tratti dalla saga. Con così tante opinioni positive non potevo non leggerlo! In effetti, il romanzo è quasi perfetto.
I personaggi hanno tratti umani che li rendono vicini al lettore e lo fanno sentire un compagno d'avventure di Geralt e Ranuncolo. Geralt è uno strigo, un cacciatore di mostri, necessario alla società ma da essa temuto ed odiato: la sua vita è difficile e sente continuamente come questa sia in cambiamento costante, insieme alla società in cui vive. I mostri che dovrebbe cacciare, infatti, si sono ormai integrati tra la popolazione ed il lavoro per lui e tutti quelli come lui sta diminuendo: insomma, i mostri non sono più mostri.
Ranuncolo è invece il musicante, il personaggio divertente, un po' ingenuo, di quelli che di musica e poesia vivono, al punto che ogni esperienza li porta a scrivere o a pensare ad una ballata. è un personaggio che ci fa sentire la nostalgia per un posto mai visto ed in cui, fino a quel momento, non abbiamo mai desiderato di essere.
Abbiamo poi la saggia Nenneke, sacerdotessa di una dea che sa di tempi andati, lo stesso sentimento che proviamo leggendo tutto il romanzo.
Ed infine, c'è Yennefer, che già dalle prime allusioni promette di essere una presenza che dimenticheremo difficilmente: è una maga potente, al cui fascino non saprà resistere nemmeno il freddo Geralt, che pure, in quanto strigo dovrebbe essere immune all'amore e ad ogni sentimento. Qualsiasi cosa ci sia tra loro, è improvvisa, spaventosa ed inedita.
Le ambientazioni medievali sono perfettamente rappresentate ed evocate, grazie ad uno stile poetico ed elegante, che non manca mai di sorprendere. Un esempio? il profumo di lillà e uva spina l'ha sentito chiunque abbia letto il libro, insieme a Geralt. Tutto questo primo capitolo è un'introduzione alla trama vera e propria: ci vengono presentati i personaggi e conosciamo i luoghi in cui i protagonisti si troveranno ad agire: per questo motivo, tutto il romanzo è strutturato in episodi, che hanno il compito di darci le coordinate di questo mondo, per noi nuovo.
Ma prima ho detto che il romanzo è quasi perfetto: l'unica grande pecca, a mio avviso, è proprio la struttura del romanzo: nonostante abbia apprezzato ogni racconto, ammetto che la presenza di una trama lineare mi avrebbe aiutata ad immedesimarmi e ad apprezzare ancora di più la storia. Non è tuttavia un ostacolo troppo grosso, sebbene si impieghi un po' a capire cosa stia succedendo.
In definitiva, è un romanzo che consiglio veramente a tutti.
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Meglio la copertina del contenuto
Sono sempre stata attratta dai romanzi storici, quando poi parlano di rinascimento e della famiglia Medici, ancora di più. Tuttavia, ho impiegato moltissimo tempo a leggere questo libro.
Il romanzo è diviso in due parti: una che narra le vicende storiche della congiura dei Pazzi, l'altra vede per protagonista una giovane borsista che sta studiando proprio quel momento storico.
Ora, la parte storica è nient'altro che una ricostruzione degli eventi, necessaria per permettere a tutti coloro che avevano sentito parlare della congiura dei Pazzi solo in maniera vaga e generale di farsi un'idea più precisa di cosa sia successo. Tuttavia, è ben strutturata ed in fondo comunica molto bene l'atmosfera di quella Firenze così lontana; non mi ha nemmeno infastidita l'essere stata buttata a capofitto nel mistero che guida il romanzo, anzi, mi ha spinta a portare avanti la lettura. Se mi fossi basata solo su questi capitoli la mia valutazione sarebbe decisamente salita.
Al contrario, la parte di storia ambientata ai nostri giorni è molto diversa: sarà la scelta di raccontare gli eventi in prima persona, ma tutta la storia è eccessivamente lunga e si perde in tantissime divagazioni. All'inizio non danno fastidio, perchè consentono di approfondire il contesto, ma più il mistero si infittisce, più queste divagazioni, spesso dal tono aulico, diventano pesanti, in quanto rompono il ritmo che il romanzo dovrebbe avere.
Per quanto riguarda la trama non c'è molto da dire, se non che è poco coerente e molto scontata: poco coerente perchè non c'è nulla nel corso di tutto il romanzo che lasci supporre la presenza di un complotto di tali dimensioni; si legge per un intero romanzo di quaderni, pittori e congiure quattrocentesche e il finale arriva a parlare di complotti di dimensioni mondiali senza tuttavia preparare il lettore a nulla di tutto ciò: mi veniva da ridere mentre lo leggevo. Il finale è quindi poco credibile, ma anche eccessivamente scontato, specie per quanto riguarda la storia d'amore tra la protagonista ed uno dei personaggi principali: è una relazione forzata, che non prende e non interessa, ma soprattutto che è diventata l'aspetto fondamentale della seconda metà del romanzo, contribuendo ad allungare inutilmente la parte contemporanea del libro.
Sfortunatamente, sono rimasta delusa da questo romanzo, nonostante sulla carta avesse tutti gli elementi per essere davvero interessante: la trama mi attraeva, i personaggi storici chiamati in causa erano ricchi di carisma... senza dimenticare una copertina accattivante, un font che mi ispirava moltissimo e delle frasi in copertina davvero ben costruite.
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Ambizioso, ma senza riuscirci
Il vangelo di Maria Maddalena è un romanzo che vorrebbe mostrare una visione alternativa delle vite di Gesù e Maria Maddalena. Primo di una trilogia, non posso dire che questo sia un brutto libro: la trama tutto sommato coinvolge ed il lettore si trova catapultato in una Scozia piuttosto folkloristica che non mi è dispiaciuta.
La storia alternativa di Maria Maddalena, invece, non ci racconta niente di diverso rispetto a quanto già riferiscono numerose teorie complottiste ed esoteriche, che girano in rete da ormai diversi anni e su cui si discute da tempo. In ogni caso, nulla di quanto riportato mi ha sconvolta così profondamente, anche perchè non ci sarebbe nulla di strano in un eventuale rapporto tra Gesù e la Maddalena. I due, infatti, vivevano in un'epoca in cui era assolutamente normale sposarsi e sarebbe, al contrario, un evento singolare che nessuno dei due lo fosse stato. Quanto al fatto che la Maddalena potesse non essere una prostituta, c'è poco da dire: alcuni sostengono che lo fosse ed altri no, ma non sapremo mai la verità, qualunque essa sia. Pertanto, basare un'intera trilogia su queste teorie e dichiarare che corrispondano a verità fuori dalla finzione del romanzo è qualcosa che trovo poco sensato (ovviamente, a livello di marketing la scelta paga).
Il romanzo è poi scritto in modo piatto, senza guizzi letterari, nè abilità stilistiche particolari, ma soprattutto senza riuscire a trasmettere emozioni in molte occasioni, il che impedisce al lettore di immedesimarsi completamente nei personaggi. Questo accade soprattutto in quelle occasioni in cui le emozioni coinvolte dovrebbero essere molto forti: per esempio, se il tal personaggio viene rapito, questo deve necessariamente provare delle emozioni, che siano paura, agitazione, panico... nel romanzo le emozioni vengono dichiarate, ma non mostrate.
Questo influisce anche sulla caratterizzazione dei personaggi, che quindi risultano piatti, proprio perchè l'autrice non riesce a mostrare le emozioni che provano i personaggi, facendoli somigliare ad automi che compiono determinate azioni per esigenze di trama. In effetti, nessun personaggio del libro mi è rimasto impresso in modo particolare, anzi, ho ricordato dell'esistenza di alcuni di loro solo dopo aver ripreso in mano il libro. Nemmeno gli antagonisti mi hanno colpita particolarmente, in quanto non sembrano avere motivazioni valide per quanto fanno.
In definitiva, è un romanzo d'evasione godibile, ma con numerosi difetti. L'ispirazione è ai romanzi di Dan Brown, che, tuttavia, sono fatti molto meglio, in quanto si desidera veramente arrivare alla soluzione degli enigmi, che hanno anche una risoluzione convincente.
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what if...?
Questo romanzo storico prende le mosse da uno dei tanti "se" della storia: cosa sarebbe successo se Michelangelo fosse stato chiamato ad Istanbul dal sultano Bayazid? Prima di lui, anche Leonardo da Vinci era stato chiamato a progettare un ponte che unisse le due rive della città di Costantinopoli, ma il suo progetto era stato accantonato perchè troppo difficile da realizzare.
A dare un tocco di realismo alla storia ci pensa l'autore, che ci informa del ritrovamento di alcuni documenti appartenuti allo scultore, dai quali si può ragionevolmente supporre che fosse stato chiamato alla corte del sultano.
Il romanzo in sè non mi ha colpita particolarmente: i personaggi si muovono in una Costantinopoli viva, che a tratti sono riuscita ad immaginare; caotica, ricca, cosmopolita, una vera metropoli moderna. Ogni ambientazione viene ritratta quasi come fosse un quadro.
Tuttavia, al di là delle ambientazioni, poco altro mi ha coinvolta: la trama, che trae spunto da dei documenti reali, è stata inventata in modo da risultare abbastanza realistica, ma consiste in una serie di momenti raffigurati con delle parole. Ogni capitolo è come un quadro, un momento rubato alla vita dell'artista, elemento che non sono riuscita ad apprezzare a pieno, probabilmente per via del fatto che ho trovato la narrazione eccessivamente spezzata.
I personaggi sono fin troppo piatti: un accenno di caratterizzazione viene dato a Michelangelo, mentre gli altri sembrano trovarsi sulla scena quasi per caso, svolgendo il compito che è stato affidato loro, ovvero ostacolare l'artista nella realizzazione del suo progetto, ma senza che le motivazioni vengano indagate più di tanto (scelta peraltro coerente con le intenzioni dell'autore, che voleva mantenersi fedele ai documenti ritrovati, ma che ai fini della narrazione a mio avviso non è molto funzionale).
In definitiva, ho trovato il libro sicuramente ben scritto, ma carente di tutta quella parte romanzesca che coinvolge, tanto è vero che in alcuni passaggi mi è sembrato un testo saggistico mascherato da romanzo.
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Magico
Devo essere onesta: alla prima lettura, questo capitolo non mi aveva fatta impazzire. Non perchè fosse scritto male, o perchè la trama ed i personaggi non mi piacessero, quanto per il fatto che il target della Rowling ne "la pietra filosofale" sono i bambini intorno ai 9/10/11 anni, cioè circa l'età di Harry quando comincia la saga. Ora, io avevo 16 anni quando ho letto il libro la prima volta, peraltro solo per accontentare un'amica che aveva una vera e propria fissazione per Harry Potter. Ero in prima liceo e leggevo i classici greci e latini: passare da Esiodo e i lirici alla Rowling è stato davvero difficile per me. Però, già all'epoca avevo visto molte cose buone in questa saga: ogni elemento era al posto giusto, nulla sembrava forzato, nemmeno il fatto che Harry accettasse di essere un mago senza quasi nessun problema, motivo per cui ho letto tutti i sette libri.
Rileggendo il libro adesso, con occhio da maestra, quale sto diventando, non posso che confermare questa impressione iniziale: mettendomi nei panni di un bambino, capisco perfettamente perchè questa storia possa piacere. In effetti, la trama è avvincente, vediamo un buon compromesso tra la parte di storia più misteriosa, con il ritorno di questo Voldemort, di cui si sa troppo poco, e la vita quotidiana di Harry, tra lezioni, incantesimi, amicizie e partite a quidditch. Questi due aspetti insieme ci fanno sentire Harry vicino: speciale, certo, ma un bambino comune. Ci fa pensare che queste avventure sarebbero potute capitare ad ognuno di noi; in fin dei conti, al di là del fatto che è un mago, Harry non ha nessuna caratteristica particolare, nessuna dote che lo renda diverso dagli altri bambini: vive con gli zii ed il cugino in una casa qualunque in Inghilterra, va a scuola... tutte cose ordinarie.
Credo che un punto di forza della saga stia proprio nel fatto che tutti i personaggi sono umani: non ci sono l'eroe senza macchia e senza paura, il principe, il cavaliere che uccide il drago o la principessa in pericolo. Tutti i personaggi che incontriamo in Harry Potter e la pietra filosofale sono ragazzini comuni, che vanno a scuola, che hanno una loro personalità, spesso sfaccettata e che si adatta alle situazioni. Hermione, ad esempio, viene introdotta come una bambina saccente, che tiene a fare bella figura ed ha una paura folle dei brutti voti (e dell'espulsione). Tuttavia, nel corso del romanzo, la vediamo piangere per le prese in giro di Ron, urlare di terrore di fronte al troll ed aiutare i suoi amici in ogni momento di pericolo con determinazione. Tutto questo non è da dare per scontato: ho trovato molto spesso libri per ragazzi scritti male perchè "tanto sono per ragazzi, quindi posso permettermi di scrivere personaggi piatti e storie senza senso".
Un ulteriore punto a favore sono le ambientazioni e le atmosfere che si respirano: mi hanno catturata il castello, i fantasmi, il soffitto della sala grande che mostra il cielo, le quattro case, il cappello parlante, ma anche lo specchio delle brame, la casa di Hagrid e il campo da quidditch. Con tutti questi elementi, la Rowling ha creato delle atmosfere uniche, di cui si respira tutta la magia, fino a far sembrare il castello ed i suoi spazi nient'altro che un sogno.
Proprio grazie a queste atmosfere mi sono innamorata della saga: la Rowling è riuscita a farmi sognare, tanto che ancora adesso, a distanza di anni, riesco a sentire il profumo di casa (immaginaria, certo, ma non per questo meno vera) quando ripenso ad Hogwarts.
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Esplorare il mondo!
Quando ho visto questo libro in bibliografia per uno degli esami del mio corso di laurea sono rimasta molto perplessa: non ne avevo mai sentito parlare prima, ma già dalla copertina sembrava un testo strano, con delle figure, pochissimo testo scritto, zero teoria... ben lontano da un testo universitario, insomma. Quando poi l'ho aperto, ci ho trovato un universo di cose particolari, originali.
il libro raccoglie una serie di esperienze da svolgere nell'ordine che si preferisce e solo quando se ne ha voglia: alcuni esempi sono assegnare poteri magici ad oggetti quotidiani, cercare delle facce nella disposizione degli oggetti (delle viti che formano una faccia sorridente su un muro, ad esempio), o disegnare tutte le crepe di un marciapiede. Ovviamente, ci sono decine di esplorazioni diverse, ognuna delle quali ha un focus differente su cui concentrarsi.
L'intero testo ha come obiettivo quello di far vedere il mondo con occhi diversi, esplorando ciò che fa parte della nostra quotidianità e scoprendo che ogni cosa, anche ciò che ci sembra banale, anche la strada che facciamo ogni giorno, porta con sé delle particolarità che la rendono unica.
Il testo è adatto a tutti, in quanto l'autrice usa un linguaggio semplice, che rende il testo perfetto per i bambini come per gli adulti; inoltre, le indicazioni date in ciascuna esplorazione sono generiche: non si chiederà mai di svolgere le diverse attività in una maniera specifica, per permettere a ciascuno di pensare, progettare un'esplorazione usando la propria creatività e le proprie capacità.
in definitiva, è un libro che consiglio a tutti coloro che siano curiosi e che desiderino avere uno sguardo diverso sul mondo che ci circonda.
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In cerca di un'avventura!
Quando ho cominciato questo libro non ero in cerca di un'avventura e avevo molti pregiudizi su Tolkien: questo è il suo primo romanzo che ho letto e sono rimasta sorpresa fin da subito. Mi aspettavo un mattone gigantesco, difficile da leggere, complesso sia a livello di trama che di personaggi. Mi sono ricreduta presto. Fin dall'inizio, il romanzo si è rivelato essere qualcosa di completamente diverso: i toni fiabeschi con cui viene descritto il buco hobbit risultano sin da subito divertenti e affascinano il lettore, che si ritrova catapultato in un mondo che fa sognare. Fin dalle prime pagine ci si immerge totalmente e si entra, nemmeno troppo di soppiatto, nella vita di uno hobbit molto speciale: Bilbo Baggins, una piccola creatura che vive una vita tranquilla, in una valle tranquilla, in una zona tranquilla del mondo. Insieme a lui, permettiamo al nostro lato Tuc (non sapete cos'è il lato Tuc? Beh, scopritelo!) di uscire allo scoperto e di vivere giornate indimenticabili in compagnia di nani, stregoni, aquile, elfi e ogni altro genere di creatura conosciuta nella Terra di Mezzo.
L'avventura in sè si svolge come una fiaba: vediamo e viviamo le tante tappe di un grande viaggio alla ricerca di un tesoro, durante il quale tutti i personaggi hanno una crescita. Questo si nota soprattutto in Bilbo, che da hobbit piccolo ed impaurito diventa la pietra che regge tutta la compagnia dei nani, senza cui la spedizione non sarebbe mai arrivata al termine. E come si può non amare il drago Smog? Ha poco spazio nel corso del romanzo, eppure la sua vena ironica, la furbizia e la sua intelligenza rimangono impresse nella mente del lettore (peccato solo per la sua sorte!). Ogni tappa è essa stessa un'avventura: divertente, tragica, drammatica o esilarante, non si perde mai la voglia di continuare a leggere per scoprire come va a finire.
Il romanzo risulta semplice, nulla a che vedere con la complessità del Signore degli Anelli (almeno per quel poco che ho letto finora), ma non per questo si perde qualcosa: la facilità di comprensione qui va a favore della trama, dei personaggi e dei loro rapporti.
In conclusione, romanzo divertente e godibile, consigliatissimo a tutti!
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Mi aspettavo di più
Questo romanzo non mi è mai interessato particolarmente, in quanto è sembrato sin da subito il solito young adult senza spessore. Devo dire, però, che l'ho trovato piacevole: la trama è ben imbastita, per quanto piena di elementi già visti, che richiamano saghe come Harry Potter e Twilight, ma anche serie tv, Supernatural e The vampire diaries su tutte. I riferimenti sono moltissimi: abbiamo la protagonista esclusa dal suo mondo come in HP, la storia d'amore che ricorda Bella ed Edward, ma anche i protagonisti di TVD ed un mondo alla Supernatural, in cui i cacciatori si amalgamano con il mondo esterno e cacciano ogni genere di creatura sovrannaturale per mantenere l'ordine sulla terra. Nessuno di questi riferimenti ha pesato particolarmente nella lettura, in quanto la trama prende una direzione sua, che si discosta dalle serie già citate.
I problemi giungono quando si arriva a parlare dei personaggi, soprattutto per quanto riguarda i protagonisti: sembrano robot. Il punto di vista è quello della protagonista, Clary (solo in una scena passa ad essere quello di Jace, il protagonista maschile, cambio di cui peraltro non si sentiva proprio la necessità), per cui noi entriamo nel mondo degli shadowhunters grazie alle sue azioni e ai suoi pensieri. Il fatto è che Clary è un personaggio che non si fa domande, non è un minimo curiosa di nulla, tutto sembra scivolarle addosso senza lasciare traccia dentro di lei. Esempio: è appena stata attaccata da un demone che ha rischiato di ucciderla, ma è come se non fosse successo mai nulla, in pochissimi pensieri è tutto passato e dimenticato; in un'altra situazione si trova attaccata da dei vampiri: nulla, come se tutto quello che ha passato non fosse mai successo. Di esempi ce ne sarebbero a bizzeffe.
Inoltre, Clary non si chiede mai cosa sta facendo e perchè, se è giusto o sbagliato compiere una certa azione e anche quando se lo chiede, viene tutto risolto con una battuta di Jace o una laconica frase che dice più o meno "bisogna farlo perchè si". Tutto questo succede perchè nessuno dei personaggi più importanti ha una vera personalità, al di là di un carattere abbozzato e di qualche abilità speciale che torna utile per esigenze di trama (vedasi la passione per il disegno di Clary, che si nomina a inizio romanzo, per poi venire abbandonato fino a quando la storia lo richiede per poter avanzare e infine torna nel dimenticatoio).
Altro aspetto che mi ha lasciata perplessa sono le relazioni tra i protagonisti (e qui c'è qualche spoiler): se l'amore di Simon (personaggio secondario che mi è piaciuto per caratterizzazione, a differenza dei protagonisti) per Clary è molto chiaro, non ho capito i sentimenti tra Jace e Clary. Ad un certo punto si baciano, questo è chiaro, come è chiaro che Clary provi qualcosa per lui, ma questa consapevolezza è più dovuta al fatto che il lettore lo sa, che alla creazione di una storia d'amore nel libro. Infatti, non viene descritto nemmeno un episodio da cui si possa dedurre che i sentimenti di Clary per Jace siano cambiati: semplicemente, prima parlano come persone civili e ad un certo punto si baciano e si amano. In tutto questo, il povero Simon viene trattato come uno zerbino da Clary, che non solo non capisce cosa lui provi, ma gli chiede un sacco di favori anche dopo averlo saputo.
Ugualmente fumosa rimane la deduzione di Clary riguardo l'omosessualità di uno dei personaggi secondari: prima della fatidica deduzione si erano parlati appena un paio di volte e lanciati qualche frecciatina, ma il comportamento di lui non aveva fatto capire nulla a me, lettrice.
Stesso problema con il rapporto tra Clary e Isabelle: dovrebbero odiarsi, ma si prestano i vestiti e non avviene mai nulla di realmente cattivo tra loro... e allora perchè far odiare le due?
Infine il libro è lento, anche le scene d'azione non sembrano nulla di importante filtrate attraverso i pensieri di Clary. I morti, i feriti sembrano solo un elenco, nulla che valga la pena di registrare.
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L'ira funesta...
Questo libro mi ha fatta particolarmente incazzare. Fondamentalmente, Perboni critica tutto e tutti, a partire dal ministero dell'istruzione, a quello del lavoro, per poi passare a uffici scolastici regionali, colleghi, dirigenti scolastici, personale scolastico in generale, studenti e genitori. Un prendi 8, paghi uno, insomma. In tutto questo miscuglio (senza dubbio degno di nota), a chi manca la critica? A se stesso. Ma poco male: posso passare sopra la critica ai colleghi e alla scuola in cui lavora, perchè è un caso specifico; la riforma Gelmini è ormai tristemente nota a tutti, una critica in più ormai non fa differenza.
Quello che mi ha dato veramente fastidio sono alcune uscite davvero poco felici: la prima, che è forse la più importante, in quanto riguarda il metodo di lavoro del nostro professore, è sulla didattica. Ora, cos'è questa magica cosa chiamata didattica? Si potrebbe riassumere dicendo che è la strada che si sceglie di usare per trasmettere metodi e contenuti ai propri studenti. La si applica dalla scuola dell'infanzia all'università ed esistono migliaia di modi possibili per insegnare, direi almeno uno per insegnante. Non è una scienza perfetta, ovviamente, in quanto varia a seconda di tanti fattori. E che cosa dice a riguardo il nostro eroe? Sostiene che serva a redigere un sacco di documenti, scartoffie che nessuno leggerà mai, in una lingua tanto strana che nemmeno gli autori stessi ne capiscono e che è utile solo a togliere tempo all'insegnamento. Non metto in dubbio che lui lo creda davvero (e tanti altri con lui), ma la didattica serve: aiuta a pensare cosa fare con i propri studenti, non solo a livello di contenuti, ma anche di metodo, cosi come i documenti di programmazione servono a farsi un'idea di come muoversi. Ma ovviamente, vent'anni di esperienza non bastano a capirlo.
Altro punto che ho trovato terribile è quello che riguarda l'umiliazione dei propri studenti: il nostro prof racconta un episodio in cui ha chiesto ad una ragazzina quindicenne o giù di li, il motivo per cui abbia portato un certificato medico in cui si dichiara che lei deve poter andare al bagno quando ne ha bisogno. Al di là del fatto che è patetico vietare di andare in bagno in una scuola superiore, perchè mai si dovrebbe chiedere ad una ragazza, a voce alta di fronte a tutta la classe che sghignazza, se rischia di farsela addosso in ogni momento? Se qualcuno lo sa, me lo spieghi, perchè per me è davvero umiliante. Senza contare che se questo è l'unico modo che ha trovato per farsi rispettare, vuol dire che non è poi così bravo come crede (questo tipo di episodi si ripete ed è proprio lui a dare come ricetta funzionante per gestire la classe l'umiliare gli studenti, manca un minimo di autocritica).
Inoltre, sarà che ho 20 anni e che sto studiando per diventare insegnante, sarà che mi riempiono di belle parole in università, ma non mi è per niente chiaro perchè ce l'ha con gli insegnanti "idealisti". Francamente, sono persone che amano il loro mestiere, che percepiscono l'insegnamento come un processo importante nella vita di una persona e che vogliono dare il meglio per i propri studenti: che c'è di male in questo? Ma d'altronde scopriamo anche perchè il nostro eroe insegna:ci dice che nessun altro mestiere è adatto a lui, in quanto non saprebbe vendere nulla (il che mi fa venire in mente una frase che recita più o meno "Chi sa fa, chi non sa fare insegna": ho sempre pensato che fosse falsa, ma non ne sono più tanto sicura).
Infine, condivido una perla, che mi ha fatto rizzare i capelli in testa per un quarto d'ora buono: "La scuola NON deve insegnare cosa si fa nel mondo del lavoro, men che meno seguendo direttive impartite da quest'ultimo; a scuola si insegnano le materie scolastiche e, se lo si fa bene, l'applicazione pratica degli insegnamenti verrà di conseguenza.
Punto."
Complimenti, Giovanni Gentile sarebbe fiero.
Se vi è piaciuto, vi prego, spiegatemi perchè: io riesco a trovarci del buono solo se lo penso come guida per capire come NON insegnare.
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Un pugno nello stomaco
Disclaimer: questa opinione è ad alto contenuto di spoiler. Se non avete letto il libro sappiate che merita davvero la pena di essere letto, almeno una volta nella vita, perchè regala spunti preziosi, a livello storico, politico, sociologico, emozionale, interiore... Questo libro parla di una vita senza speranza, in cui ogni aspetto della persona è coinvolto, motivo per cui troverete sicuramente tutto ciò che cercate. Ora, andate avanti solo se avete letto il libro, o se non avete intenzione di leggerlo.
Penso che su questo romanzo ormai sia già stato detto tutto il dicibile, per cui l'unica cosa che posso fare è parlare di cosa ho provato, come sono stata nel leggere il romanzo.
Mi sono avvicinata per caso a questo libro: si trovava tra i file nel mio e-reader e così, un giorno in cui non sapevo cosa leggere, ho aperto il file e mi sono buttata nella lettura. Ovviamente conoscevo a grandi linee la trama del romanzo. anzi: sapevo del Grande Fratello, avevo sentito parlare di questo mondo post-apocalittico guidato da un partito, che ricorda molto quello comunista e niente più, dato che non ho mai provato grande interesse per Orwell.
Fin dall'inizio del romanzo, ho notato che è molto scorrevole, nonostante la grande quantità di ripetizioni concettuali: ripete decine di volte, se non centinaia, le stesse idee, gli stessi concetti. Nell'arco del romanzo, ritroviamo alcuni dettami, certe consapevolezze e delle domande che il protagonista si pone con cadenza quasi costante. "Ci saranno teleschermi?", "Magari sono presenti dei microfoni!", "Molto probabilmente ci sono delle videocamere nascoste qui nei dintorni" sono frasi onnipresenti, ma che non pesano mai nella narrazione: fanno entrare nella storia, permettono al lettore di entrare meglio nei pensieri e nelle paure di Winston.
Altro fattore costante è la consapevolezza della morte: fin dalle prime pagine al lettore viene detto che ciò che aspetta Winston è la morte. Ho sperato per tutta la prima metà del libro che la morte non giungesse mai per il nostro protagonista, che la speranza rimanesse a fine lettura nell'animo del lettore, nonostante avessi letto quel "noi siamo i morti", che O'Brien e Winston ripetono fino alla nausea. E anche quando la morte è diventata un fattore certo, quando la psicopolizia arresta i due amanti, non ho potuto fare a meno di pensare che forse li avrebbero rilasciati, che forse si sarebbero salvati con qualche fuga rocambolesca, o che magari sarebbero stati giustiziati subito, senza preamboli. Invece no, il partito si è inventato un metodo di morte che è il peggiore, il più crudo e angosciante che potesse esserci: li hanno torturati, hanno fatto loro il lavaggio del cervello, non si sono limitati alla punizione, sono andati oltre, hanno cercato la correzione del ribelle, fino ad arrivarci. Ma il peggio giunge alla fine del libro, quando Winston, al termine del suo percorso di lavaggio del cervello, viene rilasciato: ricomincia una vita più o meno normale, per quanto vuota, impregnata dei soli valori del Socing, crede a tutto ciò che gli viene fatto credere, quando fino a poco tempo prima metteva in discussione tutto ciò che lo circondava, a partire proprio da se stesso. Ora è un'estensione del partito e, se già prima poteva dire di essere morto (ma aveva anima e intelletto cui appigliarsi), ora è un morto che cammina. E se pensavo che peggio non potesse andare, è arrivato Orwell a mettere subito le cose in chiaro: Winston impara ad amare il partito, il Grande Fratello diventa una sorta di divinità anche per lui, è il membro perfetto del partito. E cosa succede? Esattamente come era stato preannunciato, ed esattamente come avevo sperato che non accadesse, ritorna al Ministero dell'Amore, questa volta per essere ucciso. Ancora di più mi ha colpito come l'autore non abbia dato la minima speranza: il romanzo si conclude con la morte di Winston, non c'è riscatto, non c'è possibilità di un futuro migliore, tutto andrà avanti esattamente come in quel momento.
E poi, c'è la speranza: come si vive senza? Secondo me, non si può. In effetti, sembra proprio che fino a che Winston e Julia conservano la speranza di vivere ancora a lungo, sono davvero vivi. Nel momento in cui si trova braccato dalla psicopolizia, Winston capisce di essere morto. Da quel momento, per quanto provi a lottare per rimanere in se stesso, per non diventare un'altra persona, ci rendiamo conto che inevitabilmente soccomberà e la speranza verrà persa. Tuttavia, essa sopravvive fino al momento in cui WInston pronuncia una frase semplice quanto pregna di significato: "Ma non ho tradito Julia". Quando poi viene rilasciato non esiste nulla nella sua mente, è una persona morta, non prova nulla, al punto che viene da pensare che, forse, la morte, quando si conduce un'esistenza simile può essere una liberazione.
Ci sarebbero moltissimi altri aspetti che mi hanno scossa e di cui vorrei parlare, ma questa opinione diventerebbe davvero troppo lunga. Aggiungo solo che a distanza di tre giorni dalla fine del libro, sento ancora la necessità di parlarne con chiunque mi capiti intorno per esorcizzare il sentimento fortissimo che mi ha lasciato questo libro.
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Il desiderio di insegnare storia
Quando ho cominciato a leggere questo saggio ero un po' impaurita, in quanto l'argomento centrale sembrava essere una cosa tostissima: a cosa serve la storia? Mi sono ricreduta appena ho letto l'introduzione.
Lo stile è scorrevole, non fa mai pesare il fatto di essere un saggio, ma anzi, le argomentazioni sono sempre chiare: su esse si può anche non essere d'accordo, ma ha il pregio di essere un testo che motiva ogni affermazione che l'autore fa.
Il testo si apre con una descrizione della società occidentale contemporanea, dei motivi per cui apparentemente non c'è più spazio per la storia nella nostra cultura e quasi anche nella nostra scuola.
Quando si arriva al primo capitolo si inizia a parlare di storia: ci sono alcune dissertazioni storiche che hanno solo funzione di esempio, mentre il centro dell'argomentazione è occupato dalla possibilità di mostrare la storia come uno strumento attivo attraverso cui capire la realtà di oggi. A questo punto, molti si diranno: "ma è la solita frase fatta, come dire che il latino apre la mente!". In realtà, Bevilacqua mostra, tramite una spiegazione puntuale e alcuni esempi, come si possa fare: l'ambiente da cui parte è la scuola, proprio il luogo per eccellenza dove la storia è considerata inutile.
Dalla scuola si deve ripartire per arrivare alla storia - problema, ovvero quella storia che si pone interrogativi (che interessino gli studenti) a partire dall'oggi e cerca risposte nel passato. Questi interrogativi, dice l'autore, possono essere di qualunque tipo: perchè si fa sciopero? perchè in quel punto della città c'è un parco? perchè li, in mezzo a quei palazzi, si trova un unico ma grandissimo albero? Ognuna di queste domande porta ad una ricerca, storica, ma anche geografica, scientifica o attinente a qualunque altra disciplina.
La storia, dice Bevilacqua, serve a sviluppare una coscienza critica, un'opinione riguardo ai fatti quotidiani, più o meno banali, a farsi domande e a cercare risposte: tutti processi, questi, che ad oggi sono sempre più difficili da imparare e la storia è uno degli strumenti che abbiamo tutti a disposizione.
Due cose ho notato leggendo il saggio: il grande amore che Bevilacqua nutre nei confronti dell'ambiente (ricorrono spesso esempi di come la storia sia collegata all'ambiente naturale) e la passione sfrenata per la storia: è una passione che risulta più evidente ad ogni pagina e che mi ha coinvolta al punto di farmi pensare di affrontare un corso di laurea in storia se mai ne avrò l'occasione in futuro.
Tirando le somme: è un saggio ben scritto e comprensibile, molto coinvolgente ed appassionato. Ogni concetto è approfondito al punto giusto e i contenuti non cadono mai nel banale.
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Commovente
"Finchè le stelle saranno in cielo" è una promessa ed una garanzia.
Una promessa tra i personaggi: è la promessa di un amore infinito ed eterno, di quelli che fanno sognare ad occhi aperti.
Una garanzia per il lettore, invece, che, anche se per poco magari, si lascia convincere che l'amore sia eterno ed invincibile. In questo libro, l'amore la fa da padrone: la protagonista Hope, che scopriamo da subito essere divorziata, cerca di fuggire dall'amore, perchè ne ha paura, esattamente come aveva fatto la madre prima di lei. La nonna di Hope, invece, è proprio l'amore che cerca di ritrovare: quello della famiglia perduta e quello di un uomo per lei speciale. Si sviluppa da qui un lungo percorso tra Parigi, New York, la Spagna e la piccola cittadina americana di Cape Cod, che porterà la nostra protagonista a diretto contatto con un mondo, quello della seconda guerra mondiale, fatto di desolazione, ma anche di aiuto reciproco, di amore, di libertà, perchè nei momenti più grigi sono proprio questi valori a spingerci a muoverci.
Questo libro mi ha lasciata senza fiato in più punti: scoprire i retroscena della vita di Rose è stato qualcosa di molto potente, che non mi aspettavo da un libro del genere. Quando l'ho cominciato, mi son detta "ma si, sarà il solito libretto che racconta cose improbabili!" Mi sono scoperta sorpresa nel constatare come mi sia sbagliata: è emozionante ed assolutamente verosimile. Non ci sono personaggi che fanno quello che vogliono ed arrivano al lieto fine perchè è un libro, ma persone che fanno la cosa giusta, a costo di stare lontani una vita.
Ho trovato il finale straziante, ma con una sua giustizia: in fondo, non poteva finire altrimenti.
Da questo libro ho imparato due cose, che per me ora sono fondamentali:
- primo, mai sottovalutare il potere dell'amore. Tutto è possibile se ci si crede e se si persevera, anche dopo anni di sofferenza e lontananza;
- secondo, tutto si può risolvere. I problemi, anche i più gravi, possono sistemarsi e si può dare una svolta alla propria vita in ogni momento, l'importante è desiderarlo e sapere di poterlo fare.
Ma soprattutto, tutto il libro è incentrato su un'unica frase, che è il più grande insegnamento che questo libro mi può trasmettere ed è riportata in copertina: "anche nei tempi più bui si nasconde una luce inattesa".
L'unica nota negativa dal mio punto di vista è la scelta di narrare al presente, che non sopporto perchè mi fa sembrare il tutto una cronaca e non mi fa immedesimare fin da subito nella protagonista e nella trama.
Per il resto, gran romanzo: da ottimi spunti di riflessione, racconta una storia straziante, triste, ma bella, in cui nulla è scontato. è un romanzo tutto da scoprire: consigliatissimo!
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Geniale!
Questo è uno di quei libri che chiunque dovrebbe leggere!
Scritto con una prosa briosa ed accattivante, è un libro divertente che affronta in maniera leggera, ma non superficiale, tematiche molto attuali per la nostra società moderna. La lettura è solo un obbligo che gli insegnanti impongono ai propri studenti o può diventare un piacere? E chi è sempre molto impegnato cosa può fare per avere il tempo di leggere?
Non molto tempo fa, ascoltai una persona dire "non sopporto quelli che mi dicono "mi piace leggere, ma non ho tempo!" Hai il tempo di stalkerare il tuo ex su facebook? Allora hai anche il tempo per leggere". Certo, Pennac l'ha detto in modo meno diretto, più letterario, ma il concetto è lo stesso: se si ha il tempo per essere impegnatissimi a fare qualunque cosa, allora il tempo per leggere c'è, solo che non lo si vuole usare.
Per quanto riguarda la prima domanda, invece, è bello vedere come Pennac, mettendosi nei panni di un figlio, di uno studente, di un genitore, di un educatore riesca a rispondere in maniera esaustiva alla questione, raccontando proprio come se il suo fosse un romanzo. La lettura deve essere un piacere, è uno dei maggiori passatempi di sempre, perchè deve essere relegata al ruolo di obbligo scolastico? E anzi, la lettura è un piacere talmente grande e personale che ogni lettore può affrontare un libro, che sia un romanzo, un saggio o una raccolta di poesie, come più lo aggrada: nessuno può imporre al lettore di finire il libro o di leggere ogni singola parola, se non il lettore stesso!
E così, Pennac conclude la sua opera con un decalogo, che voglio riportare qui sotto (non è spoiler, lo si può leggere sul retro di copertina):
"1 Il diritto di non leggere
2 Il diritto di saltare le pagine
3 Il diritto di non finire il libro
4 Il diritto di rileggere
5 Il diritto di leggere qualsiasi cosa
6 Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)
7 Il diritto di leggere ovunque
8 Il diritto di spizzicare
9 Il diritto di leggere ad alta voce
10 Il diritto di tacere"
Concludendo: è un libro molto interessante, mi ha regalato spunti di riflessione non indifferenti. Consigliatissimo!
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Materiale usato male
Questo terzo capitolo della saga di Fallen partiva da un buon presupposto: i viaggi nel tempo di Luce alla scoperta del suo passato, della nascita del suo grande amore per Daniel. Certo, non è l'idea più originale del mondo (l'abbiamo già vista e rivista in centinaia di altri film, libri e quant'altro), ma ci stava, era la mossa più logica da fare, entrare negli Annunziatori e andare alla ricerca delle risposte che nessuno sembrava disposto a fornirle. Perciò si, avevo tante aspettative, tutte deluse, prima o poi.
il fatto è che questa storia del viaggio nel tempo non viene sfruttata bene: dopo aver visto la prima vita che viene raccontata non vale la pena continuare a leggere le vite che Luce scopre successivamente. La trama si svolge cosi: Luce entra in un Annunziatore, esce da qualche parte in qualche tempo, ci sono le avventure, rientra nell'Annunziatore e ne riesce da qualche parte e cosi via. Il problema è che tutte queste avventure sono esattamente uguali le une alle altre. Ogni volta lo schema è uguale, ma non solo: ogni avventura che vive Luce termina nel passato con la sua morte e nel presente con il suo dolore per aver visto il Daniel del passato e non poterci interagire, con il dolore per la disperazione di Daniel dopo la morte della Luce del passato, eccetera. Ora, tutto ciò si ripete per ogni vita che vede Luce. Ovvio quindi, che l'effetto che si ottiene è di già visto.
Di conseguenza, il libro è noioso. Si salva solo per il capitolo finale, che mette un minimo di curiosità su come la trama proseguirà.
Inoltre, ho notato una passione maniacale per la ricerca del vestito giusto in ogni vita. Ora, per passare inosservata dei vestiti dell'epoca servono, questo è vero, però scrivere pagine e pagine ogni volta sul vestito da indossare mi pare eccessivo.
Devo essere onesta, mi ha dato l'impressione di essere un libro che deve allungare il brodo e portare soldi all'autrice e alla casa editrice. è un gran peccato che si sia sviluppato cosi, perchè sarebbe stato molto meglio se le diverse storie fossero un minimo diversificate. Insomma, noioso, nulla di chè.
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Gran finale!
Siamo giunti al finale della saga di Fallen. Ammetto che degli altri tre salvo decisamente poco: ogni libro della Kate ha degli elementi di originalità a livello di ambientazioni, trama o situazioni dei personaggi, che vengono tendenzialmente mal sviluppati.
Qui sono rimasta sorpresa: gli elementi di diversità vengono sfruttati per arrivare ad un epilogo che francamente non mi aspettavo. L'ho cominciato giusto perchè avevo letto gli altri tre e non volevo lasciare la saga incompleta, ma andando avanti con la trama mi sono goduta il libro.
Lo stile è semplice, non ci sono problemi stilistici, anzi: la lettura procede scorrevole per tutta la durata del libro. Non ci sono salti particolari, nè di tempo, di spazio o di punti di vista. La narrazione è lineare e questo contribuisce a rendere il romanzo godibile. L'unica pecca è che questo stile così semplice lascia trasparire troppe poche emozioni: anche l'immenso amore che Luce prova nei confronti di Daniel è reso tramite pensieri troppe volte simili tra loro. Nel senso: se la Kate fa ripetere 10 volte nell'arco di due capitoli alla sua protagonista ama volare abbracciata a Daniel, io all'inizio dico "ok", ma quando lo leggo per la decima volta mi viene a noia. Le descrizioni dei voli da una meta all'altra sono quasi più lunghi della permanenza stessa e diventa noioso alla lunga.
Per quanto riguarda i personaggi, beh, sono quelli che abbiamo già incontrato nei capitoli precedenti: troviamo ancora una volta Luce e Daniel che cercano di vivere il loro amore, Lucifero e poi Cam, Roland, Gabbe, Arianne e persino miss Sophia e gli esclusi. Il problema grosso che ho riscontrato, è stato con Luce e Daniel: sono tanto bellini insieme, mettono quasi tenerezza nel loro disperato tentativo di vivere il loro amore, ma sono troppo concentrati su questo aspetto. Voglio dire, hanno nove giorni per impedire a Lucifero di cadere nuovamente e cancellare gli ultimi 7000 anni di storia. Bene, per impedirlo devono trovare tre reliquie a Venezia, Vienna e Avignone. Benissimo: qual è il problema? Che per ogni pensiero sul salvataggio del mondo, ce ne sono altri 100 su Daniel, le ali di Daniel, gli occhi di Daniel, gli abbracci di Daniel, i baci di Daniel... Ok, ok, capisco il grande amore, davvero, ma la concentrazione di Luce sulla missione che le si pone davanti (di cui peraltro lei è la chiave) è davvero nulla per tutta la prima metà del libro. La parte finale, invece, è completamente concentrata sull'amore tra Luce e Daniel: è ovvio, quindi, che tutti i pensieri su Daniel e se stessa le siano immensamente utili.
Ho trovato stupendo il personaggio di Dee, ben sviluppato, psicologicamente e fisicamente, per quanto, per gli stessi problemi di stile di cui sopra, non sono riuscita ad affezionarmici del tutto ed è un peccato, soprattutto visto lo sviluppo che vive il personaggio.
Per quanto riguarda la trama, è una quest alla ricerca delle tre reliquie che permetteranno di impedire a Lucifero di cancellare la storia. A parte qualche problema, non ho nulla da dire e, anche se non mi ha emozionata particolarmente, trovo che sia ben fatta. Ciò che mi ha sorpresa davvero è stato il finale, con lo sviluppo della storia di Lucifero, i ricordi di Luce e la conclusione della vicenda. Per quanto mi riguarda, vale la pena di leggere questo libro anche solo per questi capitoli finali, che instillano nel lettore quella scintilla di curiosità che era mancata nel resto della saga.
Insomma, un bel libro e una bella conclusione: pur senza stare su grandi livelli, è un libro godibile, che sa intrattenere. Dati i precedenti non me l'aspettavo. Sorprendente!
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Una maestra di vita
Premessa: il libro è scritto bene, fa riflessioni profonde, basate sulla sua esperienza personale (quale miglior approfondimento di questo?) e ciò di cui narra è estremamente interessante... Soprattutto perchè è vero. Sarà che ho vent'anni e vivo nelle mie illusioni, ma questo libro per me è stato una folgorazione: mi ha mostrato come si può continuare ad avere sempre vent'anni a livello di pensiero ed ideologia.
Detto questo:
Questa donna era (anzi, è) una forza della natura.
La sua potenza mentre descrive il potere o la rivoluzione è qualcosa di indescrivibile: sono passi che andrebbero fatti leggere a chiunque creda che il potere è tutto ciò che conta nella vita e a chi pensa che la rivoluzione è sempre bella, sempre necessariamente buona, solo perchè è rivoluzione, è un cambiamento ed il cambiamento è sempre positivo. Questa è una delle strane idee che ci siamo fatti fin dall'ottocento, con il positivismo: il cambiamento, la novità, la rivoluzione non sono sempre positivi solo perchè si chiamano cosi. Il passo in cui si parla di quanto sia ridicolo il potere o quello in cui la Fallaci parla dei rivoluzionari che inevitabilmente diventano dittatori, di come questi non siano particolarmente intelligenti, brillanti, geniali o furbi: queste sono chicche che nessuno dovrebbe perdere. Questi passaggi hanno una potenza, una forza, un carisma (quel carisma che tanto manca ai rivoluzionari, quel carisma che costruiscono una volta diventati dittatori) che inevitabilmente incolla il lettore alle pagine.
La Fallaci, poi, descrive con una lucidità impressionante anche gli eventi che più l'hanno colpita: impossibile dimenticarsi dell'episodio in cui si toglie il chador con disprezzo e rabbia di fronte a Khomeini. Non l'ho vissuto, ma ora lo ricordo come se fossi stata lì in quel momento.
Inoltre, è lucida, forte, potente in ogni momento: mai una volta si lascia andare, difende sempre le sue idee: di quelle è portatrice, della sua cultura, del mondo in cui è nata e vissuta.
Forse, l'unica pecca che le posso trovare è l'altra faccia della medaglia di cui ho appena parlato: ovvero, è così tanto portatrice della sua cultura che tende a giudicare con canoni occidentali anche il mondo arabo, o quello dell'estremo oriente, che si muovono su criteri completamente diversi dai nostri. Ma non sento di condannarla per questo, perchè la Fallaci è portatrice della cultura occidentale, sì, ma prima ancora delle ideologie che la spingono.
Proprio queste ideologie che la spingono a fare interviste ai grandi del mondo sono il motivo per cui credo che tutti dovrebbero leggere "interviste con il potere": la Fallaci, infatti, mostra come si può essere forti delle proprie convinzioni senza mai cedere di un passo, nemmeno nelle situazioni più difficili. In questo credo che stia diventando per me una maestra di vita.
è un libro che andrebbe portato nelle scuole e nelle università, fatto leggere ai ragazzi, giovani, come me, ma anche un po' più giovani di me. Lo si potrebbe fare ad un livello più pratico per mostrare l'esperienza di qualcuno che la storia l'ha vissuta e se si volesse puntare un po' più in alto anche per mostrare COME questa donna, questa persona, la storia l'ha vissuta.
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Insomma!
E anche la saga dell'eredità è finita. Devo ammettere di essere rimasta parecchio delusa.
I personaggi non si sviluppano in alcun modo, restano gli stessi dalla fine del secondo libro (Eldest). Per quanto riguarda la trama, è l'epilogo della serie: mi aspettavo qualcosa di diverso. Tanto per cominciare, mi aspettavo una battaglia epica: diamine, ci sono ben tre cavalieri dei draghi, con tanto di enormi creature alate al seguito! Paolini poteva usarle meglio: poteva far combattere Galbatorix con Eragon, Galbatorix con Murtagh o Eragon e Murtagh; questi combattimenti potevano diventare qualcosa di veramente indimenticabile, mai visto prima. Invece, manca un vero e proprio combattimento, una battaglia mozzafiato che tenga incollato alle pagine. E poi, accidenti, erano anni che aspettavo questo scontro, è la prima volta che vediamo il cattivone! E muore in quel modo stupido alla Naruto? Davvero? Non ci voglio credere. Me lo immagino Paolini che si scervella su come far morire il cattivo mentre guarda Naruto; all'improvviso gli si accende la lampadina e comincia a canticchiare tutto esaltato "so come ucciderlo! so come ucciderlo!".
C'è un altro grande problema: manca quel qualcosa in più che tenga incollato il lettore alle pagine. Dopo aver letto Brisingr (che dal mio punto di vista è solo un modo per fare più soldi, con scene buttate lì per allungare la storia e aggiungere pagine), speravo che il finale fosse qualcosa di diverso, non fatto perchè è la fine e bisogna farlo. Insomma, speravo fosse qualcosa di bello. Invece, questo libro è esattamente come Brisingr: è pieno di scene che, sì, sono carine, ma che non hanno niente a che fare con la trama. La bambina che viene curata da Eragon è una scena buttata lì a caso, palesemente per allungare il brodo.
Inoltre, sono arrivata alla fine della battaglia finale, che mancavano ancora parecchie pagine: allora mi son detta "ok, adesso ci saranno tutte le spiegazioni del caso!". Indovinate? Non è stato così. Ne cito solo una di spiegazione, che mi era dovuta, accidenti! Angela. Non sappiamo chi sia, cosa abbia fatto prima, ma la troviamo ovunque... Era estremamente affascinante: cosa ci è stato svelato? Assolutamente niente.
Senza contare che manca completamente di originalità: dagli eldunarì, alla morte di Galbatorix, alla scena conclusiva del libro, è tutto completamente una copia da altri romanzi e film! Capisco che nel fantasy molti aspetti siano simili da un fantasy all'altro, ma un minimo di originalità è necessaria, non si può copiare cosi spudoratamente!
In definitiva: libro di cui si potevano tranquillamente tagliare 200/300 pagine per accorparlo a Brisingr. Una grandissima delusione, soprattutto per me che ero fan di Eragon sin da quando uscì il primo volume.
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Nulla da fare, non mi piace!
Ho letto la prima volta questo libro quando avevo 12 anni, completamente a digiuno di fantasy e, ammetto, mi era piaciuto. Mi sono ritrovata in mano la prima opera della Troisi poco tempo fa e me lo sono riletto. Terribile, assolutamente terribile. Ora, per punti, spiegherò il motivo di questa mia affermazione (capitemi, sono le 23.23, un discorso articolato non mi riesce più di tanto!):
- Storia banale: mi dispiace per le amanti della saga, ma basta aver letto un qualunque fantasy per vedere che la storia non è il massimo dell'originalità. Già sento le voci che mi urlano "ma le storie fantasy si somigliano tutte!" Verissimo. Ma in ogni trama che si rispetti, c'è almeno un elemento che mi porta a dire "wow, questa cosa non l'ho mai letta da nessun'altra parte!". Ad esempio, ne "il guardiano degli innocenti" la trama si dipana a episodi, come fosse una serie tv; in "il nome del vento" è il protagonista a parlare e a narrare le sue vicende. Qui non ho visto nulla di tutto questo, ho solo notato moltissime somiglianze con Harry Potter, il Signore degli Anelli, Eragon e altre mille saghe fantasy
- Personaggi stereotipati: Nihal è una mezzelfo, ultima della sua specie, fortissima, determinata, bellissima: Sennar è il mago potentissimo e il futuro grande amore della nostra bella; Ido è il maestro di vita e il padre e cosi via... Nulla di nuovo, nessun elemento particolare che distingua i personaggi di Nihal da quelli di altre saghe (Gimli è la fotocopia sputata di Ido, ad esempio)
- Nihal: è la protagonista, ma è una ragazzina che si lascia trascinare completamente dagli altri. Le cose capitano intorno a lei e lei piange. In effetti, questa è la caratteristica che più mi è rimasta impressa di questa eroina: piange ogni cinque pagine. Che siano lacrimucce, pianti liberatori, lacrime appena trattenuti... Questa ragazza piange sempre. Santo cielo, sei in mezzo a una guerra, tira fuori le tue doti di combattente, o di donna, fai qualcosa, diventa una persona! Invece no, piange, si taglia i capelli in piena notte, al buio, con una spada affilatissima e pensa ai suoi occhi troppo grandi: ok.
- Le tempistiche della guerra: la guerra per la liberazione/conquista del mondo emerso va avanti da 40 anni, quando si è arrivati a una situazione di stallo, da cui il tiranno non è più riuscito a strappare ai suoi avversari un solo fazzoletto di terra. Quello che mi fa strano è che in pochissimo tempo (non ricordo che la troisi sia stata più precisa) il tiranno abbia conquistato praticamente metà delle terre emerse, ma forse è solo una questione personale
- Lo stile: la Troisi non sa scrivere. Non so se è perchè sia proprio negata o perchè semplicemente non ha esperienza in materia, fatto sta che sbaglia quasi tutto. Ad esempio, descrive troppo poco, al punto che non mi permette di immedesimarmi nel personaggio di Nihal, o in qualunque altro. Inoltre, durante le battaglie, sarebbe bello vedere COME Nihal uccide, COME combatte, cosa fa come si muove, quali tecniche usa con la spada o l'arco o qualunque altra arma lei usi. Inutile dire che le battaglie sono "Nihal uccise tizio, difendendosi allo stesso tempo da Caio". Se fosse stato fatto una volta sola, mi sarebbe andato bene, ma fatto ogni volta, beh, il lettore si annoia. Il suo stile per il resto è semplice: non è un male, anzi, va benissimo, ma serve che il lettore venga coinvolto di più.
In definitiva, non mi è piaciuto per niente. Tuttavia, ad una prima lettura l'avevo apprezzato moltissimo: perciò lo consiglio alle ragazze e ai ragazzi molto giovani, che si vogliono avvicinare al mondo del fantasy in maniera tranquilla, semza impegno. Ad un lettore più adulto e più critico, dubito che possa piacere, ma mai dire mai.
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- sì
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Ok. No.
Come da titolo: ok. No.
Intendiamoci, l'intento di Gombrich è nobile, spiegare la storia ai bambini in modo che questi la capiscano e ci si appassionino. E forse ci riuscirebbe pure, il fatto di raccontare la storia, senza essere troppo manualistico, senza eccessive descrizioni o senza un lungo elenco di fatti spiegati uno dopo l'altro senza emozioni è da elogiare.
Il problema è che l'autore alterna descrizioni evidentemente per bambini a termini tecnici, scientifici e specifici del settore di cui si parla al momento. Tutto questo senza spiegazione da parte di Gombrich. Ovvio che un bambino di otto anni (terza elementare, più o meno l'età per cui questo libro è scritto) che si avvicini a questa lettura senza avere una cultura di base o un adulto a fianco che gli spieghi i termini che non capisce, non affronterà mai serenamente il Gombrich. Anzi, nella mia esperienza, tutti le persone che l'hanno letto da bambini o i bambini che conosco che l'hanno letto mi hanno detto di non averlo apprezzato.
I motivi che mi immagino io sono che è a tratti troppo complesso e a volte troppo infantile nello stile: ammettiamolo, a nessuno piace essere trattato come uno piccolo, nemmeno a un bambino.
Inoltre, è lungo. Se lo dovessi far leggere a dei bambini sceglierei al massimo qualche brano particolarmente evocativo da leggere con il supporto di un adulto, ma non butterei mai un bambino nel mare della storia da solo.
Detto questo, l'argomento, la storia del mondo, è stupendo, cosi come l'approfondimento che Gombrich gli ha dedicato. Tuttavia, le questioni stilistiche sopra citate mi hanno impedito di apprezzarlo a pieno. Sarà che sono adulta, forse, ma come ho già detto, non credo che il problema sia questo.
Credo che sia un buon libro per gli insegnanti, perchè si formino (come sto facendo io) su come spiegare la storia ai bambini. Per quanto non mi piaccia molto, questo libro mi ha comunque dato interessanti spunti su cui ragionare.
Quindi, non lo consiglio se il fruitore è un bambino, a meno che non sia adeguatamente accompagnato, ma lo consiglio per la formazione di adulti.
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La mia infanzia
Quando ho letto questo libro, non avrò avuto più di 10 anni. L'ho amato. è stato uno dei primi libri veri e propri che io abbia letto, coinvolgendomi dalla prima all'ultima pagina.
Sicuramente in parte perchè ero piccola, adesso quello stile cosi semplice non mi piacerebbe più, lo troverei poco adatto a una lettura, di qualunque genere. Ma erano cose a cui non facevo caso allora e proprio per questo lo stile ha 4 stelline: se un libro scritto cosi mi ha coinvolta, significa che è riuscito nel suo intento, nonostante non sia uno stile perfetto.
Inoltre, il contenuto è originale e a tratti divertente (nonostante la storia sia molto cupa, strappa dei sorrisi), soprattutto per quanto riguarda l'idea del viaggio in terre e luoghi lontani. Tutto avviene grazie all'alchimia, che è l'unico elemento di magia nel libro e che ho sempre apprezzato particolarmente. L'altra "magia" presente (se cosi la vogliamo definire) è quella dell'amicizia. Un'amicizia che li unirà e che sarà capace di condurre i quattro ragazzini molto lontano. Credo che siano grandi insegnamenti da dare ad un bambino: inoltre, sono temi affrontati in maniera non banale.
La trama è semplice, fila molto bene, rendendo la lettura piacevole e distensiva, mai noiosa. I pochi colpi di scena sono sempre ben articolati.
Una nota anche sull'edizione della Giunti: da piccola pensavo fosse una meraviglia, con quei disegni che facevano sempre vedere i personaggi, erano fatti cosi bene! Non so quanto tempo ho passato a cercare di riprodurli, ma non mi sono mai riusciti. Ancora oggi penso che quell'edizione sia fatta benissimo: i disegni rendono tutto più leggero, un intermezzo nei momenti di paura che un bambino può provare, senza contare che sono proprio belli da vedere! Cosi come il segnalibro staccabile è stupendo, dovrei ancora averli qui da qualche parte... Anzi, già che ci sono, vado e lo cerco!
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Rifacciamo la copertina!
Questo libro è capitato per caso in mano a mia madre, che ha scelto di leggerlo come romanzetto estivo al mare. Ovviamente, l'ho letto anche io.
I romanzi rosa non sono mai stati il mio genere, ne ho letti credo tre in tutta la mia vita, quindi l'ho cominciato con un sacco di pregiudizi. Mi sono dovuta ricredere per un sacco di motivi.
Primo: la copertina inganna e il titolo pure. Tiffany e il suo diamante sono nominati solo in pochi passi del romanzo ed in fondo non sono nemmeno cosi fondamentali ai fini della trama. Inoltre, la copertina inganna, facendo pensare al lettore (in questo caso, alla lettrice) che si tratti di un mero romanzetto rosa. In realtà è un romanzo che va ben oltre il triangolo amoroso e le difficili scelte della protagonista sull'uomo che preferisce.
Secondo: è un romanzo di formazione. No, è sbagliato definirlo di formazione, visto che la nostra protagonista è grande e vaccinata. Sicuramente, però, la protagonista compie un percorso, che la porterà in giro per il mondo. La storia sembra banale: lei sposata e in apparenza felice scopre il tradimento del marito. Dopo averlo lasciato, lei inizia a girare a casa delle sue amiche, qualche mese per ognuna delle tre amiche. Cosi, da moglie sciattona di un riccone scozzese si ritrova a girare tra New York, Parigi e Londra. In ogni città scoprirà di avere una lista di cose da fare, per farle vivere al meglio questa nuova esperienza e questa nuova vita. Cassie, che non aveva mai visto altro che la tenuta scozzese in cui viveva, scoprirà la vita frenetica di New York, il suo mondo sempre perfetto e brillante, fatto di cosmetici e abiti chic; l'affascinante Parigi, con il suo lato romantico e ricco, il corso di cucina e tutte le avventure che ne seguono; e finalmente, Londra, dove troverà una vita nuova, vera e sua, che possa vivere a pieno. Cassie vive tante vite diverse e, solo alla fine, scoprirà qual è la sua, quella che vuole vivere.
Lo stile è un po' troppo specifico quando si parla di cosmetici e moda in generale, ma per il resto è scritto abbastanza bene.
Lo consiglio perchè c'è di più della storiella d'amore, questo romanzo è tutto da scoprire e la cosa mi ha resa contenta di questo.
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Bello!
Siamo nel 1100, in Calabria. La storia di due famiglie rivali si incrocia ancora una volta, dopo che avevano stabilito una tregua e provato ad ignorare i vecchi dissapori. Questa volta, la promessa sposa del protagonista viene stuprata e uccisa. Ne seguirà una caccia all'uomo, che lascia davvero poco spazio a ogni altro pensiero. Questo libro prende fin dalle prime pagine, coinvolge e appassiona, tanto alla storia d'amore, quanto al mistero.
L'autrice è molto brava a mantenere sempre alta l'attenzione del lettore, introducendo moltissimi elementi nuovi, grazie ad una trama che non ha punti deboli, ma anzi, è molto solida e ben costruita. Ogni elemento è inserito nella trama al punto giusto ed è approfondito quel tanto che basta per permettere di comprenderlo.
Altro punto a favore di questo libro sono i personaggi, molto ben costruiti e il cui punto di vista viene alternato durante la narrazione. Vengono approfonditi i loro caratteri lasciando spazio ai loro pensieri, consci o inconsci che siano. Avendo solo 283 pagine, la Albanese ha fatto un ottimo lavoro sui tutti i suoi personaggi, i protagonisti e anche i secondari, che vengono approfonditi quasi quanto i primi. L'autrice riesce a rendere molto bene i caratteri di ognuno, da Silia, donna forte, indipendente e coraggiosa, che è riuscita a farsi spazio in un mondo di uomini grazie all'astuzia e alla sua bellezza, fino a Manlius, uomo coraggioso, valoroso, che non rinuncia alla ricerca della verità, neanche quando potrebbe fare finta di non avere nessun tipo di dubbio. Persino il cattivo (che non rivelerò) è reso benissimo, con i suoi dilemmi e i suoi desideri, che non verranno svelati fino alla fine.
é un romanzo piacevole, l'ambientazione è resa molto bene e non si capisce dove finisce la realtà e dove comincia la fantasia dell'autrice. Si divora in poche ore, coinvolge come pochi altri libri. Consigliatissimo!
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Boh!
Premessa: l'ho letto sotto maturità, cercando qualcosa di leggero. Non mi aspettavo un grande romanzo, ma ne avevo sentito parlare molto bene, quindi mi sono buttata in questa lettura. Non mi è piaciuto, se non in alcune sue parti, che sono il motivo per cui non mi sento di bocciare del tutto questo libro.
Prima di tutto, devo dire una cosa che mi preme molto: questo è uno young adult, con del romance e del paranormal al suo interno, NON è un fantasy e non ha niente a che vedere con elfi, folletti, draghi o cose simili. Al massimo potrebbe essere un urban fantasy, ma di sicuro non rientra nei canoni del fantasy classico (non c'è niente di male in questo, è solo per precisare).
Detto questo, ho trovato originale l'idea del collegio/riformatorio per casi disperati, cosi come mi è piaciuta la trovata degli angeli caduti e dei demoni. Quando l'ho cominciato mi dicevo "dai, carino!": a rovinare la mia predisposizione positiva nei confronti di questo romanzo era lo stile dell'autrice, che ha reso abbastanza bene le ambientazioni, ma il resto in modo davvero troppo semplicistico, per come è descritto, a partire dai personaggi.
I personaggi sono molto molto molto stereotipati: lei è la bella, ma non troppo, quella che a nessuno interessa (ma per qualche motivo gli angeli e i demoni trovano in lei un fascino irresistibile), Daniel è il bello e impossibile, che non se la fila di striscio. Oltre a loro, si aggiunge l'altrettanto bellissimo Cam, che si innamora di Luce (la protagonista), ma che a lei non interessa. è un classico triangolo amoroso. Si scopre, poi (e siamo al terzo elemento di originalità), che Daniel e Luce sono destinati, ma non possono stare insieme, per motivi vari, che si leggono nel prologo. Partiranno qui varie paranoie di Luce, per capire chi ama davvero (per inciso, cambia idea almeno una decina di volte). Anche i personaggi secondari sono stereotipati, bellissimi e con una caratteristica tipica che li contraddistinguerà per il resto del romanzo.
Dopo aver conosciuto i personaggi, la trama inizia a decadere, non tanto per mancanza d'idee, perchè quelle tre che ho nominato prima bastavano a rendere la storia avvincente, ma per come viene scritta: il romanzo diventa lento e noioso, sempre uguale, sempre concentrato sull'amore di Luce per Daniel (e per Cam). Va bene, cara Lauren Kate, sono innamorati, ma hai degli angeli caduti e dei demoni! Fagli fare qualcosa di più che morire dietro a una dicissettenne!
Oltretutto, Cam e Daniel non sono gli unici caduti nel romanzo, anzi, ce ne sono anche molti altri: questi sembrano vivere con l'unico scopo di riuscire a far vivere a Luce e Daniel la loro storia d'amore. Perchè? Non viene spiegato: per qualche motivo, lei è importante ed è fondamentale che i due possano vivere il loro amore, ma non ci sono spiegazioni al riguardo (non ricordo questo tipo di spiegazione neanche nei libri successivi).
Interessanti, invece, i capitoli finali, con morti, feriti, battaglia, combattimenti e diversi momenti interessanti e di intrattenimento, che mostrano anche che l'autrice non è cosi piatta come scrittrice quando ci si mette.
Lo consiglio si e no: solo se davvero convinti e se appassionati di Twilight e storie sullo stesso filone.
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Interessanti spunti
Un profeta, interpellato su argomenti centrali per l'uomo, spiega come comportarsi di fronte all'amore, all'amicizia e ad altri temi fondamentali. Impariamo cosi a conoscere il suo pensiero, inevitabilmente confrontandolo con il proprio punto di vista personale.
Questo libro regala importanti spunti di riflessione, che possono diventare un punto fermo o un punto di partenza per ciascuno di noi. Se non ci fosse la bibbia a dare un regolamento al comportamento umano, è probabile che lo farebbe questo libro, in cui gli insegnamenti sono molti e (dal mio punto di vista) condivisibili. D'altra parte, è vero che "il profeta" contiene moltissimi riferimenti all'ideale religioso, che qui si declina in giustizia, fratellanza, amore verso il prossimo e chi più ne ha, più ne metta. Affronta, oltretutto, tematiche complesse in maniera semplice, tutti lo possono capire, complice anche uno stile a tratti dogmatico e altre volte più dolce, come quello di un padre amorevole che parla ai suoi figli, da cui è facile rimanere affascinati.
Questo libro mi è piaciuto molto: non cade nel banale, ma fornisce esempi di vita e di condotta che secondo lui andrebbero seguiti, dando l'impressione di aprirsi al dialogo col lettore, anche se in maniera indiretta.
Lo consiglio a chi ha voglia di ragionare sui propri ideali e pensieri su tematiche complesse, tenendo conto, però, che questo libro è stato scritto un centinaio di anni fa (anche se alcune cose che dice sono universali e senza tempo).
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Cavalleria e giostre a non finire
Ivanhoe è il primo vero romanzo storico. Proprio in virtù di questo fatto, nonostante sia un classico, non può essere un'opera matura e brillante. Lo stile di scrittura è effettivamente pesante e ampolloso, Scott non rinuncia alla sua decina di pagine di descrizione (all'inizio è stato difficile leggerle, infatti poi le ho saltate) ed è un romanzo lento, pieno di quei dialoghi tutti imperniati sulla cortesia. Probabilmente, questo fatto, insieme alla trama banale, contribuisce a rendere questo romanzo non facilmente fruibile.
Ivanhoe è un romanzo cappa e spada, pieno di battaglie, giostre, duelli per difendere l'onore proprio e del proprio signore, i propri ideali e le belle fanciulle. La trama è come molte altre, ovvero il cavaliere Ivanhoe torna dalla terra santa ed entra in una spirale fatta di combattimenti e cortesia. In effetti, questo è l'unico elemento del carattere dei personaggi maschili nobili: cortesia e duelli, sembra che non vivano d'altro. O meglio, ogni personaggio è guidato da un aspetto specifico: Ivanhoe, come la maggior parte dei nobili dal desiderio di combattere e dalla cortesia, Giovanni senza Terra è infido e pauroso sempre, Isaac è tirchio in ogni momento, Rebecca è una donna che mette l'orgoglio sempre davanti a tutto, anche alla sua convenienza, Rowena è la classica donna bellissima, biondissima, fragilissima e diafana. Non abbiamo un ulteriore approfondimento dei personaggi e questo, purtroppo, rende il romanzo abbastanza piatto.
Tuttavia, le atmosfere sono molto evocative, gli stessi dialoghi inseriscono il lettore in un ambiente pieno di cavalleria e romanticismo, proprio quello che mi sarei aspettata da una storia di questo tipo. Al tempo stesso, la trama è ben congegnata, ricca di colpi di scena, che non la rendono mai noiosa o ripetitiva, pur con i difetti che ho elencato sopra.
Per concludere: consiglio il romanzo a chi si sente di cimentarsi in questa lettura, che può risultare persante, quindi si deve essere disposti a sopportare, almeno all'inizio, la lentezza della scrittura.
P.S.: quando dico che la trama è banale, intendo dire rispetto alla trama generale, non ai singoli colpi di scena, che ho apprezzato moltissimo, e rispetto ad oggi, che di queste cose ne abbiamo viste e lette in quantità: all'epoca di Walter Scott, probabilmente questo romanzo era una grande novità.
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Un viaggio
Quando ho iniziato a leggerlo, pensavo fosse una qualunque favoletta, soprattutto perchè era scritta come una qualunque favoletta. Comincia parlando di un principe, di una principessa, di un matrimonio e della vita dei sogni. Ma la parte bella arriva dopo: tutto questo mondo ideale, ma apparentemente reale, si spezza, lasciando la bella principessa sola, nella più cupa disperazione.
Inizia a questo punto un viaggio sempre più irreale, che porta sempre più all'interno della protagonista, ma anche ognuno di noi, al termine del quale la principessa scoprirà che la vita è bella anche se non perfetta, ma soprattutto che non le serve nessun altro per essere felice, se non se stessa.
Credo che questo sia un concetto che tutti dobbiamo apprendere, prima o poi (meglio prima che poi), su cui c'è ben poco da dire.
Non so che altro dire su questo libro: è scorrevole e non cade mai nel banale, a tratti è divertente, senza però dimenticare di far riflettere il lettore. Questo libro è una di quelle perle sconosciute, ma che meriterebbe un posto tra le storie (perchè non è un romanzo, è un viaggio, una storia, una vita) più edificanti per l'uomo, nonchè nella libreria di ognuno di noi.
Decisamente consigliato a chi abbia voglia di pensare e riflettere sulla propria vita.
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Interessante!
Questo saggio è uno dei più interessanti tra quelli che ho letto finora.
Mi sono accostata a questa lettura pensando che fosse l'ennesimo testo in cui si sparava a zero su chiunque si opponesse a Ipazia e la celebrasse come la più grande scienziata che la storia abbia conosciuto. Mi sono bagliata e ne sono molto felice.
Lo scritto è estremamente curato, sia dal punto di vista dello stile, che è chiaro, semplice e ha il pregio di non annoiare durante la lettura, sia dal punto di vista dell'approfondimento: ogni parola di questo testo è confermato da fonti sempre rigorosamente citate e mai parafrasate o rilette. Credo che quest'ultimo sia il punto forte del libro: tutto ciò che leggiamo è esattamente quello che i contemporanei di Ipazia videro in lei. Troviamo, infatti, il suo discepolo Sinesio di Cirene che la venerava, al punto che il loro carteggio continuava a distanza di anni, e autori cristiani (per lo più fondamentalisti), che la consideravano un'eretica.
Da questo punto, l'autrice deduce delle caratteristiche rispetto al carattere di Ipazia, al suo pensiero o alla sua vita. Ne otteniamo un dipinto abbastanza chiaro, seppur non completo: era una donna forte, indipendente, che coltivava un fortissimo amore per le scienze, fatto che le causò non pochi guai in un'epoca cosi fragile dal punto di vista politico e religioso.
Indipendentemente da ciò che si può pensare di lei, credo che Ipazia sia stato un personaggio molto rilevante per la nostra società, sarebbe bello poterne sapere di più, per poterla prendere ad esempio.
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Lo scudo di Talos
A "Lo scudo di Talos" darei complessivamente quattro stelle su cinque. Ecco perchè:
-Stile: 3. Il tre è dovuto ad alcuni fattori: innanzitutto, Manfredi è uno storico, non un romanziere, ed è penalizzato, perchè purtroppo non trasmette emozioni. Questo rende il testo abbastanza freddo e distaccato, perfetto se fosse una ricostruzione storica, ma questo è un romanzo: deve incollare il lettore alle sue pagine anche attraverso le emozioni. Ad esempio, le descrizioni sono perfette, precise e concise, non noiose. Ma manca la parte emozionale del personaggio. Le battaglie a cui i personaggi assistono vengono descritte come rievocazione storica, non come una scena che il protagonista vede e alla cui vista prova dei sentimenti.
Contenuto: 5. Qui il cinque è inevitabile, perchè mi piace moltissimo il periodo storico in cui è stato ambientato. Gli eventi che rievoca sono quelli che preferisco della storia greca, per non parlare del fatto che Sparta ha sempre esercitato un grande fascino su di me. Oltre a questi fatti personalissimi, mi è piaciuta molto la trama, che è riuscita ad unire le infernali e rigidisime leggi della città con una storia non banale, ricca di colpi di scena, di perdite e ritrovamenti.
Vediamo in questo romanzo come la grande Storia si fonde ed influisce sulle piccole storie personali di ognuno. Talos, il protagonista, ne è l'emblema: è il pastore, il condottiero, il principe e il povero, il grande capo e l'eroe. Tutto questo a causa di eventi che non ha mai potuto controllare, ma che pure lo hanno coinvolto.
Piacevolezza: 4. é una media, perchè ai difetti stilistici si contrappongono una ricostruzione storica molto approfondita e una trama ben congegnata. Non è uno dei libri migliori che abbia letto, ma merita di essere scoperto fino in fondo.
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Strano! (Qualche spoiler c'è)
Mr Gwyn è uno scrittore che non riesce più a scrivere. Quindi si reinventa, decide di dipingere: solo che è uno scrittore, non un pittore: perciò, la sua pittura si realizzerà con le parole.
A questo punto una riflessione mi sorge spontanea: in che cosa si distinguono un libro e un ritratto scritto? Dal mio punto di vista non si distinguono, perchè sono la stessa cosa. Un ritratto scritto non è forse un libro? E un libro cos'è se non una serie di dipinti, uniti a formare una storia?
Credo sia questo che non capisco di Mr Gwyn: dice di non riuscire a scrivere, ma nel momento in cui cambia nome alla sua professione e cambia genere, subito scrive. Affascinante modo per dire che il blocco dello scrittore è un fatto psicologico. Però, mi manca qualcosa, c'è un aspetto che non riesco a cogliere e che mi lascia un po' perplessa. Ma questo è un problema mio, probabilmente.
Ho trovato molto affascinante tutta la preparazione al nuovo lavoro. La ricerca di quel tipo specifico di lampadine, la ricerca del luogo di lavoro perfetto, e via dicendo. Senza contare la richiesta di alcuni dettagli particolari: un bel modo, anche se crudo, di voler cogliere l'essenza stessa delle persone, che Mr Gwyn riesce a cogliere anche senza aver mai conosciuto prima queste persone.
Lo consiglio? Alla fine si, anche se mi ha lasciata un po' perplessa e stranita. In alcuni momenti, ho avuto l'impressione che lo stile di scrittura, cosi affascinante, nascondesse una notevole assenza di contenuto dietro a riflessioni in apparenza molto profonde. Ma, ripeto, probabilmente è solo una mia impressione.
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Il mondo in un romanzo
Credo che questo sia un romanzo monumentale. Magari non è all'altezza di Tolstoj o altri grandi del suo secolo, questo non lo so, non sono un'esperta. Però in questo romanzo ho trovato una completezza che nessun altro romanzo mi ha trasmesso finora.
Qui c'è davvero tutto: emozioni in quantità e ogni genere di sentimento umano. Quella che spicca su tutte è la vendetta. Vediamo la meticolosità con cui Edmond costruisce la sua vendetta: la sua trama viene ordita cosi perfettamente che tutte le sue vittime (ma sarebbe meglio dire i suoi aguzzini) ci cascano senza rendersi conto di nulla di ciò che sta accadendo intorno a loro. Cadono nella tela del ragno uno dopo l'altro, senza nemmeno rendersene conto, innalzando a livelli celesti il genio di Edmond, che costruisce tutto questo.
Ma vediamo anche l'altra faccia della medaglia: ovvero ciò che anche la vendetta più perfetta non porta. Certo, vendicarsi di chi ti rovina la vita può essere soddisfacente, ma non porterà mai la felicità. Questo è il centro tematico che impregna ogni pagina di questo libro, a volte indirettamente, a volte tramite le riflessioni di diversi personaggi, fino ad arrivare al finale, in cui questo tema viene snocciolato apertamente, mostrando nei fatti cosa accade ai personaggi, Edmond in primis.
E poi ci sono tutte le altre emozioni e gli altri stati umani: ci sono l'amore, il desiderio, il potere, l'eterno conflitto tra ricchezza e povertà, la magnanimità, l'odio e via dicendo... tutte tematiche affrontate più o meno approfonditamente e potentemente da Dumas.
Meravigliose le ambientazioni del romanzo: dalla villa francese, al villaggio di inizio romanzo, fino al colosseo romano e alla fortezza della prigionia, Dumas riesce a rendere questi luoghi estremamente vividi nella mente del lettore, che li immagina e, soprattutto, li vede. Le ricchezze nell'isola di Montecristo non sono solo evocate o descritte, ma mostrate cosi vividamente che il lettore se le ritrova davanti agli occhi, dimenticando di star leggendo un libro.
Credo che sia un libro da non perdere, quando si entra nel tunnel del conte di Montecristo non se ne esce più, garantito!
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Fate i bravi!
Jhon Niven è un autore irriverente, o, quantomeno, lo è in questo libro.
Ammetto che nella prima metà non capivo dove volesse andare a parare: era un libro volgare, di quella volgarità esagerata che dovrebbe far ridere, ma che mi ha strappato solo qualche sorrisino e a tratti mi ha infastidita. Non per la comunanza dell'argomento trattato (dio e il paradiso) e la volgarità, ma per il fatto che spesso era estremizzata gratuitamente. Proprio per questo motivo, i primi capitoli non mi sono risultati troppo scorrevoli.
Tuttavia, devo ammettere che le scene in paradiso hanno parecchi elementi che mi hanno divertita: vedere dio che va in vacanza, o Gesù che suona con i migliori chitarristi della storia sono scene che non hanno prezzo.
Insomma, Gesù torna sulla terra. Succede tutto ciò che successe già 2000 anni fa, in chiave moderna: ammetto che, a differenza della prima parte del romanzo, che sembrava vuota, questa mi ha lasciato dentro qualcosa, una riflessione che credo abbia fatto chiunque ha letto questo romanzo: cosa succederebbe se Gesù tornasse di nuovo tra noi? Sarebbe tutto uguale alla prima volta o accoglieremmo il suo messaggio "fate i bravi"? Non sono cosi sicura che noi esseri umani lo faremmo.
Bel libro, regala interessanti spunti, vale proprio la pena di leggerlo!
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Perchè?
Che dire? Questo libro è brutto.
Ho trovato che l'idea di base fosse geniale, omicidi ispirati all'inferno di Dante, che nessuno conosceva nella Boston della metà del 1800 e quindi risultavano solo strani omicidi. "Bello!" mi sono detta. Peccato che poi tutto si è disperso: la trama è stata inframmezzata da una serie di altri episodi di dubbia utilità ai fini della trama centrale, che allungano il libro, aumentano le pagine, ma fondamentalmente non servono.
Inoltre, lo stile dell'autore è ampolloso, si autocelebra nella sua bravura a scrivere, è inutilmente complesso, visto che parliamo di un thriller. I dialoghi, poi, sono imbarazzanti: non perchè brutti, ma perchè irrealistici. Credo che l'intento fosse quello di rendere i dialoghi simili al parlato del 1800. Secondo me, però, nemmeno all'epoca parlavano cosi.
Per finire: allunga troppo il brodo, la trama misteriosa è sviluppata male. Peccato, perchè l'idea di fondo era buona.
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Noia
Questo libro è troppo lungo. Ci sono pagine e pagine di descrizioni per ogni cosa succeda o luogo in cui ci si trovi. Inoltre, mi duole dirlo, ma qui lo stile di Paolini non migliora: se potevo ritenere lo stile dei primi due libri acerbo, perchè l'autore era nuovo alla scrittura di un romanzo e perchè ancora molto giovane, ora non posso più farlo. Con due libri alle spalle e una saga in via di scrittura, non posso ritenere Paolini ancora giustificabile per il fatto di non aver migliorato neanche un po' il modo in cui scrive. è ampolloso, ripetitivo, troppo descrittivo e a volte talmente pesante da risultare noioso.
Per quanto riguarda la storia, non fa altro che aggiungere questioni e problemi, che ci si chiede come potranno essere risolti in modo accettabile in un solo libro (fino all'ultimo non ho voluto credere nei deus ex machina). C'è poi un particolare della storia che mi ha ricordato Harry Potter in modo fortissimo: non dico che sia sbagliato prendere spunto, ma qui stiamo esagerando! Quello che succede qui è trasporre una magia particolare di Harry Potter in un mondo con dei draghi. Questo lo definirei quasi plagio.
Questo libro non mi è piaciuto granchè, la saga si è rovinata a mio parere. Metà del libro si poteva condensare in poche pagine: Paolini l'avrebbe reso più dinamico e avvincente, combattendo cosi la noia, che in alcuni passi diventa davvero un ostacolo. Non posso dire che sia marketing puro, perchè la trama prosegue, seppure a rilento, ma di certo ha voluto ricavare dalla vendita di un quarto libro, che poteva tranquillamente essere un terzo e ultimo.
Un consiglio: leggetelo solo se volete veramente sapere come la saga va avanti.
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Epico
Premetto che ho già letto la saga per intero. Posso finalmente dire che, esattamente come mi aspettavo, questo è il meglio riuscito dei quattro. Perchè?
Innanzitutto,Eragon, da bambino cresciuto che era nel primo, ora inizia un percorso di formazione vero e proprio, non più solo finalizzato alla sua sopravvivenza. Conosciamo i personaggi di Oromis e Glaedr, detentori di conoscenze uniche e poteri altrettanto temibili e radicati in loro.
Bella l'epopea di Roran, che ha dato quell'azione che altrimenti al libro sarebbe mancata. Leggersi 500 pagine di Eragon che parla con Oromis o osserva le formiche mi sarebbe sembrato davvero eccessivo! Senza contare che quello che Roran è riuscito a fare è qualcosa di epico, che è come definirei questo libro. Il personaggio di Roran è quello di un ragazzo innamorato, senza pretese particolari, che riesce a crescere al punto di diventare un capo e un eroe impavido per la sua gente. Crescita che ho trovato molto più forte di quella del cugino, forse perchè più necessaria, o forse perchè io sono una romanticona e mi sono lasciata prendere dalla ragione e dal sentimento che guidano Roran nella sua avventura.
Parlando di crescita, mi è piaciuto anche come viene approfondito il rapporto tra i personaggi, soprattutto Eragon e Saphira ed Eragon con Arya. Per quanto nessuno dei due rapporti sia nulla di nuovo od originale, sono stati sviluppati abbastanza bene.
Inoltre, viene introdotto il mondo elfico che, seppure molto classico (leggasi: molto uguale al signore degli anelli), ha un suo fascino. é un mondo che comunica grazia, sensualità, forza, unione con la natura. Viene descritto in maniera estremamente minuziosa, a tratti eccessivo, ma sono riuscita ad immaginare la foresta piuttosto bene.
Infine, stupenda la battaglia finale, con il colpo di scena che introdurrà i capitoli successivi della saga. Si nota facilmente che tutto il libro è stato costruito per arrivare a quest'ultima battaglia, che diventa il punto focale del libro, con mille ricongiungimenti e chiarimenti di alcune questioni in sospeso.
Quello che purtroppo non ho visto è stato un miglioramento nello stile di Paolini. Mi è sembrato troppo simile al capitolo precedente: non ha sfrondato le descrizioni, nè migliorato i dialoghi. Questa, a mio avviso, è la maggiore pecca del libro
Consiglio comunque la lettura, vale la pena leggerlo se si è provata curiosità per il finale di Eragon.
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Acerbo
Eragon è un libro acerbo. Questo può essere imputato a diversi fattori:
in primo luogo è il primo romanzo di una saga, la saga dell'eredità. Questo è un romanzo di rodaggio, in cui vengono presentati i personaggi, ha inizio la storia, i primi misteri vengono introdotti, cosi come i primi amori e i primi rapporti tra gli stessi personaggi.
Eragon stesso è acerbo. Mi spiego meglio: è un ragazzino di 15 anni, un contadino, che nella sua vita ha conosciuto solo il suo villaggio e le montagne intorno a Carvahall (il villaggio, appunto). Si ritrova all'improvviso un uovo blu da cui spunta un drago, una serie di creature che deve rendere sue alleate (nani, elfi e varie ed eventuali) e un nemico fortissimo da sconfiggere, che regna su Alagaesia da un secolo. Ovviamente, non ha la minima idea di come si faccia e l'unico vero alleato che ha è Brom il cantastorie, che gli fa da maestro, visto che la dragonessa è nata da poco e deve ancora crescere.
Paolini è acerbo: ha 15 anni ed è il primo libro che scrive, quindi lo stile, molto descrittivo, si deve affinare.
Paolini, poi, ha delle idee buone. Sono ispirate a Star Wars? Si. Sono ispirate al Signore degli Anelli? Anche. Ma francamente, non mi sento di giudicarlo per questo: tutti si ispirano, più o meno apertamente e più o meno sostanziosamente, a qualcosa o qualcuno, a maggior ragione un 15enne.
La storia è buona, mi ha intrattenuta e coinvolta abbastanza da voler leggere il seguito. Ci sono molte avventure, sotto forma di episodi, che si collegano l'un l'altro, fino ad arrivare al finale, ovviamente apertissimo, che lascia domande cui si vorrebbe dare risposta.
La cosa migliore di questo libro, secondo me, è il personaggio di Angela, intrigante ed affascinante... Mi è piaciuta perfino per come è stata resa nel film!
Mi aspetto un seguito migliore, uno stile meno acerbo, ma in evoluzione e una storia che prosegua con forza.
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Non ci siamo...
Questo libro parla di Farinata degli Uberti e della guerra tra Guelfi e Ghibellini. è scritto in maniera discreta, senza eccellere. Il problema è che la Russo, proprio come il più noto Manfredi, ha uno stile da saggista, quindi quando vediamo i personaggi agire sono freddi, i loro sentimenti sembrano trasparire attraverso una cortina di nebbia, che non mi permette di immedesimarmi.
La mia impressione è che sia un saggio raccontato, più che un romanzo, quindi le valutazioni non possono essere molto alte.
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Finalmente un saggio!
Finalmente un saggio! Al contrario che nei romanzi, il suo stile puntuale ma freddo ed oggettivo è adatto e perfetto per questo tipo di lavoro.
Inevitabile però dire che Manfredi parla di cose che, o si conoscono (almeno in parte), o non si capiscono. Ovviamente, leggendolo a 15 anni la prima volta, avevo capito ben poco. Rileggendolo adesso, con qualche nozione di storia in più, l'ho capito meglio, anche se non a pieno, e posso dire che l'argomento è interessante e mi ha incuriosita, pur rimanendo una lettura impegnativa: se avete intenzione di leggerlo in spiaggia, forse è meglio che evitiate!
è un libro complesso, ma se l'argomento piace e incuriosisce, lo si può senza dubbio leggere, magari con qualche cartina e manuale davanti.
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Che fatica!
Questo libro è stato una grossa fatica. Intendiamoci, non è male e ho trovato l'idea di partenza estremamente originale, cosi come quella degli altri suoi romanzi.
Il problema qui non è tanto nella storia, che trova una buona risoluzione (mi è piaciuto molto anche il finale, che pure lascia un po' l'amaro in bocca) e viene svolta senza problemi particolari. Ottimo anche il fatto di aver scritto la storia dal punto di vista di Abira, che da un'idea diversa dell'anabasi raccontata da Senofonte: lascia intravvedere una guerra diversa, in cui sono coinvolti persone che con la guerra hanno ben poco a che fare (le donne, le prostitute, i servi...) e a cui non interessa altro che tornare a casa.
Tuttavia, c'è un problema: Manfredi stesso. Lui è uno storico, ha uno stile che è quello proprio dello storico. Non è uno stile sbagliato, ovviamente, è solo diverso. Di certo non è adatto a un romanzo. Le descrizioni sono il problema principale: sono precise, puntuali, come quelle di uno scrittore, ma sono fredde. Non traspare nulla da quelle descrizioni: cosa provano i protagonisti nel vedere un certo paesaggio? O il villaggio? Inoltre, hanno un altro brutto difetto, ovvero che queste descrizioni cosi fredde mi impediscono di immaginare, che è quello che voglio fare quando leggo un libro: voglio immergermi in un mondo diverso, che mi permetta di vivere un'altra vita insieme ad altre persone, che mi trasmetta sentimenti e che mi faccia vivere di quelli. Qui, purtroppo, non succede e questo mi ha rovinato gran parte del libro.
Lo consiglio solo se si è molto sicuri di volerlo leggere: se già avete dubbi, lasciate perdere, o al limite prendetelo in biblioteca.
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Barcellona!
L'ho trovato un libro meraviglioso. La recensione potrebbe anche concludersi qui.
Quella che Falcones narra, è la storia di una vita, quella di Arnau, che si legherà in tutto e per tutto a quella grande e bellissima città che è Barcellona. Se devo essere del tutto onesta, più che la storia del protagonista, mi sembra la storia della nascita della chiesa della madonna del mar, un pezzo della storia di Barcellona e, inevitabilmente, la storia del popolo della città.
Quello che vediamo è l'epopea della costruzione di una cattedrale che coinvolge generazioni intere, di cui Arnau è solo uno dei tanti personaggi coinvolti. In effetti, per quanto potesse essere in guerra, lontano da Barcellona, o fosse coinvolto in altre faccende, Arnau posava sempre il suo sguardo su quella chiesa, le sue speranze erano sempre riposte in quella cattedrale.
Oltre a questo, Falcones affronta mille altri temi, la schiavitù, l'ingiustizia, la povertà, la guerra e quello che mi è piaciuto di più, ovvero il destino. Le strade dei personaggi si incrociano, si avvicinano e si allontanano. Personaggi che si pensava sarebbero spariti tornano, magari qualche centiaio di pagine e qualche decina di anni più avanti, creando un intreccio di vite che difficilmente si può dimenticare e un filo rosso che li collega tutti, inevitabilmente, alla cattedrale del mare.
Come ho già detto, ne sono rimasta affascinata, ho trovato meraviglioso quello che questi uomini hanno fatto per qualcosa in cui credevano, la cattedrale.
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Grazie, Rothfuss
Ho appena scoperto con grandissimo orrore di non aver ancora parlato di questo libro, nonostante l'abbia consigliato a chiunque conosca e ne abbia parlato per mesi.
Prima di qualunque cosa, vorrei ringraziare il tizio che lo stava leggendo (ancora un anno fa) nella sala d'aspetto dell'avis e che me l'ha consigliato. Mi è rimasto nel cuore, attualmente è il mio libro preferito, scalando la mia top10 già al secondo capitolo.
L'idea di fondo è diversa da quella del solito fantasy: il cronista intervista il locandiere Kote, che racconta le avventure di un se stesso più giovane e pieno di belle speranze. Il libro racconta la sua vita in prima persona, senza risparmiarsi dettagli.
Le emozioni sono il punto forte di questo libro: Rothfuss riesce a trasmetterne a iosa, tutte fortissime, che ti fanno tifare per questo fantastico personaggio. La storia è accattivante, coinvolgente e, come ho già detto, emozionante.
"Ho sottratto principesse a re dormienti nei tumuli.
Ho ridotto in cenere la città di Trebon.
Ho passato la notte con Felurian e me ne sono andato sia con la vita, sia con la sanità mentale.
Sono stato espulso dall’Accademia a un’età inferiore a quella in cui la maggior parte della gente viene ammessa.
Ho percorso alla luce della luna sentieri di cui altri temono di parlare durante il giorno.
Ho parlato a dèi, amato donne e scritto canzoni che fanno commuovere i menestrelli.
Potresti aver sentito parlare di me."
Solo da questo si può capire quanto è bello, scritto bene e dalle premesse magiche questo libro... Dai, quanto è scritto bene? Sembra che ogni parola sia stata pensata e soppesata per arrivare al perfetto equilibrio letterario e stilistico. Non importa se è fantasy: quest'uomo sa scrivere e io sono veramente felice di aver letto questo capolavoro.
Inoltre, un grande merito va anche al traduttore, che ha fatto un lavoro egregio con questo libro (dopo averlo letto in inglese, posso dire che già di per sè era scritto molto bene, ma la versione italiana è qualcosa di meraviglioso!).
Posso dire solo un'altra cosa: questo è quello che vorrei leggere sempre! Dunque, un enorme grazie a Patrick Rothfuss per aver donato al mondo questo capolavoro!
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Un libro come pochi altri
Non so di preciso cosa dire di questo libro: ne sono rimasta folgorata e me ne sono innamorata sempre di più, mano a mano che mi immergevo nei personaggi, nell'ambientazione, nella storia.
è inutile negarlo, ci sono scene crude, c'è del sesso descritto in maniera estremamente minuziosa (d'altronde, se si leggono libri che hanno per protagonista una prostituta e il suo amante, come ci possiamo lamentare che ci sia del sesso nel libro?), che però non risultano pesanti o disturbanti, o per lo meno, a me non hanno dato fastidio. Anzi, probabilmente l'intento dell'autore è stato quello di mostrare la vita, per come è davvero: nel farlo descrive la società intera, partendo dai bassifondi per arrivare all'alta borghesia e alla nobiltà. Descrive tutto in maniera cruda e realistica, senza soffermarsi su chi è buono e chi è cattivo. Sugar, ad esempio, è guidata da grande opportunismo, che sembra trasformarsi in sentimenti sinceri, cosi come William è giudato da una forte infatuazione per Sugar, che col tempo si trasformerà in quello che apparentemente è totale indifferenza. Tuttavia, quello che l'autore ci da, è uno sguardo sui gesti e sulle azioni, più che sui pensieri dei suoi personaggi, che quindi restano sempre nell'ombra. Non sapremo mai davvero se i sentimenti di Sugar o William sono cambiati effettivamente, o se sono solo cambiate le circostanze e il mondo attorno a loro. Discorso che, ovviamente, vale per ogni personaggio.
Lo stile di Faber, poi, è uno stile che mostra: il romanzo si apre con una chiacchierata dell'autore con il lettore, che incanta e spinge ad immaginare (ma più ancora, ad osservare) ciò che succede agli attori, quasi come fossimo a teatro. Solo che, a teatro la storia è inventata per intrattenere, ha dei buoni, dei cattivi, un inizio e anche un finale. Qui no, perchè quello che vediamo sono vite di persone, non avventure. E cosi, abbiamo anche il finale-non finale, che ci lascia con tante domande e con l'amaro in bocca.
Insomma, questo libro mi è piaciuto tanto, ma per leggerlo bisogna predisporsi a tutto, perchè non manca veramente niente: ci sono sesso, religione, amore, opportunismo, pregiudizi, desideri e sogni, che formano un amalgama di sensazioni, che difficilmente si dimenticheranno.
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Bello, ma... (Spoiler)
Questo terzo capitolo di Black Friars è strano. Mi spiego meglio: mi è piaciuto molto, ma ha qualcosa che non mi convince del tutto.
Il punto principale del libro sono i nuovi personaggi e le nuove avventure. La protagonista, qui, passa da Eloise a Sophia, da Axel a Gabriel, che nel primo volume sono stati quasi delle comparse. Abbiamo un sacco di nuovi personaggi, come Fay e Alexandria, madrina Lala e madrina Marta; veniamo a conoscenza di nuovi, interessanti retroscena che riguardano la rivolta e ci immergiamo nel mondo di Altieres, cosi superstizioso e legato ai vecchi culti religiosi (ma non per questo meno reali).
L'autrice sceglie di narrare il mondo di Black Friars, non i suoi protagonisti. Proprio in virtù di questo fatto, può cambiare i protagonisti di ogni libro, per raccontare meglio gli avvenimenti che li legano indissolubilmente ai fatti avvenuti quasi 20 anni prima. Tuttavia, mi ero affezionata moltissimo ad Eloise e ad Axel, ho fatto fatica ad accettare questo cambio di piano, per quanto ne comprenda le ragioni.
Per il resto, stile ottimo, ancora migliorato rispetto ai due capitoli precedenti e contenuto notevole, con una storia nuova, a dispetto del fatto che è il terzo capitolo di una saga (e ci si aspetterebbe un peggioramento, che non c'è). Troviamo, infatti, una Sophia alle prese con la sua nuova identità, che cerca di ambientarsi in un regno che non è il suo, che ha abitudini che non le sono mai appartenute. Tutto questo con la sua storia d'amore sullo sfondo... e anche parecchie scene divertenti. Insomma, secondo me, se la cava brillantemente!
Eccezionale, poi, Bryce nei panni del tutore della principessa, che fa ridere e a volte anche pensare.
Ovviamente, è una lettura estremamente piacevole, per cui però serve concentrarsi per non perdersi nulla. Non sono 5 stelle, ma lo saranno con il quarto volume, ne sono certa!
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Affascinante (pochi spoiler)
Per prima cosa, è il prequel dell'ordine della spada, il capitolo precendente. Di conseguenza, non ha legami fortissimi con il primo libro, di cui mantiene appena i personaggi e le ambientazioni.
Lo stile migliora nettamente, viene semplificato moltissimo e, laddove il primo volume era pesante e ripetitivo, questo rimane estremamente descrittivo, ma permette di immaginare molto di più, grazie alle descrizioni molto più chiare, precise e semplici.
I personaggi sono sempre loro, Axel ed Eloise, gli amici di Axel, che nel primo volume hanno avuto un peso minore e altri nuovi, Belladore de Lanchale su tutti. Scompaiono invece i vampiri Blackmore.
Rispetto al primo, l'amore lascia spazio alla passione, all'ossessione e alle paure di Axel. Si arriva a metà libro senza capire dove stia la realtà e dove cominci il sogno. Vediamo Eloise comparire all'improvviso, magari poi vediamo Axel che vuole prenderla in un vicolo sperduto e ci chiediamo se quella sia davvero la ragazza che lui ama. Il tutto con il fantasma di Belladore che lo perseguita, che si trova ovunque sia lui e con una serie di omicidi da risolvere (ho trovato estremamente originale l'idea di ricostruire gli omicidi secondo lo schema delle fiabe per bambini).
Vorrei ragionare un attimo sul personaggio di Axel: protagonista incontrastato del romanzo, cerca di essere perfetto e proprio questo lo spingerà nei guai in cui si è trovato. Certamente è stato tratto in inganno e certamente è stato stupido a cascarci. Tuttavia, una volta capito di essere stato preso in giro, quello che mi domando è cosa gli costasse essere onesto con Eloise: è la sua fidanzata da una vita, raccontarle tutto era decisamente il minimo che potesse fare. Invece sta zitto, provocando a se stesso e a lei un quantità enorme di incomprensioni, non ultimo il fatto che lei crede che lui l'abbia tradita... cosa vera, ma per motivi comprensibili.
Infine, Belladore, la più cattiva dei cattivi: stronza fino alla fine, crudele, macchinatrice, si è presa gioco di Axel per mesi, se non anni, senza che lui se ne accorgesse, fino al momento in cui lei è sul punto di morte. E cosa fa? La cosa più cattiva che le venga in mente: Eloise non potrà sapere la verità su Axel se non da lei stessa, altrimenti Eloise morirà. Lascia il suo fantasma aleggiare tra loro e di fatto impedisce che i due si ricongiungano per lungo tempo. Questi si che sono cattivi!
Per concludere, dal terzo capitolo mi aspetto grandi cose!
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Ottimo finale! (Spoiler)
Premessa: l'ultimo capitolo finale di saga che ho letto è stato Inheritance (saga dell'eredità di Christopher Paolini), il cui finale mi ha fatto perdere fiducia nel mondo e nell'umanità. Qui l'ho riconquistata.
Quello che si nota prima di tutto è lo stile dell'autrice: si è notevolmente semplificato tra il primo e il secondo libro, per poi vedere un miglioramento nel terzo capitolo. Tuttavia, questo stile, già cosi descrittivo, è andato migliorando ancora di più in questo ultimo libro, diventando anche immaginativo. Le scene descritte, che siano combattimenti, scene d'amore, o scene in cui semplicemente si parla dei sentimenti del tal personaggio, diventano immagini che restano impresse nella mente del lettore. Quindi, tanti complimenti a Virginia de Winter!
La seconda cosa che ho notato leggendolo, è che lo spazio dato alla storia d'amore tra le varie coppie è sempre meno nell'arco della saga, ma ancora meno in questo capitolo finale. Le scene con i fidanzatini Eloise e Axel sono sempre meno, laddove sempre di più compaiono insieme per collaborare o aiutarsi a vicenda. La storia tra Sophia e Gabriel viene approfondita quel tanto che serve perchè la storia possa proseguire (e i combattimenti pure!).
Sempre per quanto riguarda i personaggi, mi è piaciuto moltissimo un altro aspetto, ovvero che personaggi secondari (Julian, Jordan, Jerome, Alexandria e via cosi) diventano fondamentali: senza di loro la storia si concluderebbe in ben altro modo. Devo ammettere che questo è uno dei motivi per cui mi dispiace di più che la saga sia finita, ognuno di questi personaggi avrebbe un sacco di cose da raccontare e da dire.
Inoltre, non posso non restare affascinata da Clarisse Granville, donna forte, intelligente, che compie degli errori che paga con la vita, sua e della sua famiglia. Devo ammettere che di fronte alla forza di questo personaggio, che è solo un fantasma che aleggia continuamente presente durante tutto l'arco narrativo, sono rimasta in dubbio: pesano di più gli errori che ha commesso o il fatto che abbia pagato con la vita?
Menzione d'onore va però a Cain ed Adrian e al loro amore: con la loro vicendevole passione mi hanno conquistata!
Per quanto riguarda la storia in se stessa, è prevedibile e scontata per alcuni versi, ma la de Winter riesce a non farla mai risultare banale. Ad esempio, era scontato che ci sarebbe stato un matrimonio tra Eloise e Axel prima o poi (io me l'aspettavo come scena finale dell'epilogo), ma le circostanze fanno si che il matrimonio si celebri in tutta fretta in un modo che nessuno si aspetterebbe. Era ovvio anche che de Plessy sarebbe morto, ma il modo in cui è successo (da perfetto idiota distratto) è tutto tranne che banale, anzi: l'ho trovato parecchio realistico. La comparsa della Rosa di Blackmore, poi, è una delle scene più evocative e meglio riuscite del libro.
Come sempre, alle storie tra i personaggi si accompagna il mistero di ciò che successe davvero durante la rivolta, che viene finalmente svelato nella sua interezza. A questo si legano dei piccoli crimini (l'omicidio avvenuto per errore di una matricola), da cui poi discenderà in parte la rivolta. In questo ultimo capitolo, poi, si aggiunge la politica delle nazioni e la storia della nascita delle stesse, in un insieme molto ben amalgamato, in cui ritroviamo tutti i personaggi che sono intervenuti fino ad ora e ad ognuno di questi è dato un ruolo fondamentale.
Le 5 stelle sono meritatissime, per quanto mi riguarda, ora posso chiuderla qui, con tanti complimenti a Virginia de Winter!
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Indecisione
Questo è un libro che, o lo si ama, o lo si odia. Io sono ancora adesso estremamente indecisa. perchè ha l'enorme pregio di catturare il lettore, ma d'altra parte ha dei difetti. In effetti, ogni aspetto di questo libro ha pregi e difetti, perciò eccoli (secondo il mio punto di vista, ovviamente):
- lo stile dell'autrice: lo adoro, è un piacere quasi fisico vedere uno stile di scrittura cosi bello, fine, lo si poteva assaporare con gli occhi. L'autrice sa trasmettere le emozioni giuste nel momento giusto, sa far appassionare il lettore, fargli rodere il fegato, ridere, odiare e amare insieme. Axel è l'emblema di questo: le prime 30 pagine è odio assoluto, che poi diventa amore, che poi a tratti è odio, ma è anche compassione e comprensione. D'altra parte, è vero anche che uno stile cosi pomposo e minuzioso, all'inizio fa entrare nel mondo di black friars, mondo vittoriano e gotico insieme, ma dalla metà del libro in poi, ogni metafora, similitudine e paragone sono di troppo. Un esempio: la scena in cui il comandante della guardia del cardinale tenta di uccidere Eloise e Axel doveva essere una scena importante, tuttavia, leggendo quelle pagine ci si perde nella descrizione della mano inanellata di de Plessy, poi in quella della pallottola che quasi colpisce la protagonista. Sono tutte descrizioni bellissime, ma che non danno l'idea complessiva di ciò che succede, che in un combattimento è fondamentale.
- I personaggi: anche qui, o li odi, o li ami.
Parlando di Eloise, posso dire che è un esemplare di umano discretamente stupido. L'uomo che ami e con cui sei cresciuta ti maltratta per mesi interi, facendoti chiaramente capire che ti odia e tu che fai? Non solo continui ad amarlo (che per carità, ci sta), ma dopo che per cinque anni non lo consideri minimamente, appena la tua vita mostra un cenno di cambiamento, in un mese e mezzo torni tra le sue braccia. Forse sono esagerata io, ma uno che in cinque anni non si pone nemmeno il problema di farsi perdonare, fa l'arrogante e mi rinchiude in una cella, non si merita nemmeno un minimo di considerazione. O quanto meno si merita di soffrire le pene peggiori per riavermi al suo fianco. Un esempio memorabile: i due stanno più o meno insieme, ma lui comunque la fa rinchiudere in cella per evitare che veda un vampiro, che potenzialmente la potrebbe mettere in pericolo (anche se è abbastanza chiaro che se la caverebbero). Ora, se mi dicessero: "lui è andato con il vampiro al tuo posto", risponderei all'incirca "spero che si faccia molto male, cosi impara a rinchiudermi qui". Eloise, però, che fa? Evade per andare da lui a salvarlo. Boh! Masochismo puro, questo.
Axel... Beh, è il classico bello e tenebroso, che cerca di starle lontano, poi cerca di riavvicinarsi, cerca di conquistarla (anche rinchiudendola in una cella, per poi mandarle delle rose (?) ). La chiama "la mia fidanzata" da metà libro, quando quasi non si parlano ancora.
Ashton: è un vampiro, è bello, affascinante e non c'è nessun triangolo d'amore con lui, il che è ottimo. Inoltre, è fortissimo e governa le ombre (figata!!). A differenza di Axel, che trovo troppo incostante, Ashton mi è piaciuto molto, per il background, il suo stile pungente e i suoi superpoteri.
Una nota di merito per il padre di Eloise, che compare in due scene, ma che già amo. "o mia figlia, o il regno": cosi si fa, fratello!
- La storia d'amore: è estremamente coinvolgente ed è buono, ma è anche molto breve. Passano 300 pagine di seghe mentali, poi si mettono insieme (anche se con vari intermezzi di dubbi e litigate). Quello che mi fa strano è che dopo 5 anni di nulla assoluto, comincino a parlare perchè axel fa il ficcanaso negli affari di Eloise e tornino insieme in un mese e mezzo. Per altro, il motivo per cui Axel ha maltrattato Eloise tutto quel tempo non è svelato, anzi, lui le chiede fiducia, perchè l'ha tradita, ingannata e allontanata per un buon motivo che non le può raccontare: lei si fida... ok.
- Il mistero: era una buona idea, alla fine la trama si dipana in maniera perfetta, il problema è che nelle prime 300 pagine, questo mistero che coinvolge tutti i protagonisti, in maniera più o meno diretta, sembra un intermezzo tra una fantasia mentale e l'altra di Eloise. Cosi finisce che accadono episodi e si incontrano personaggi cui non si da la minima importanza e che quindi si dimenticano, ma che diventano poi fondamentali sul finale.
Infine, è un libro lento. Bisogna superare l'ostacolo delle prime 300 pagine, che coinvolgono tantissimo, ma in cui non succede fondamentalmente niente. Superate quelle, però, si arriva in fondo in un battibaleno. Vale la pena di essere letto anche solo per le ultime 100 pagine, che trovo magistrali.
Sono indecisa sul valore effettivo di questo libro, ma leggerò fiduciosa il prossimo capitolo della saga.
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Rothfuss...
Beh, non so che dire, le recensioni prima di me hanno già detto tutto, non ho nulla da aggiungere. Se non che, seguendo Rothfuss su facebook e su youtube quando fa le live, lo trovo una persona straordinaria, oltre ad essere uno scrittore magnifico... Ammetto che mi piace quest'uomo almeno quanto il suo protagonista, Kvothe.
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Bah..
é difficile capire come mi sento dopo quest'ultimo capitolo della saga, è deludente, con un finale scontato (per quanto mi sia piaciuto) e con un'idea della guerra tutta sua. Katniss, dopo essere sopravvissuta all'arena due volte, è diventata una gallina il cui unico obiettivo è girare video (?!?!). Peeta sembra essere impazzito e si riprende grazie al bacio di vero amore della sua bella, Gale è un cinico che finalmente capisce quello che tutti si sono detti all'inizio di Hunger games (il primo libro): "Dovevo entrare nell'arena al posto di Peeta e potreggerla la prima volta". Hallelujah!! E tu la ami? (perdonate il sentimentalismo xD). Che altro, lo stile è troppo frettoloso nella seconda parte, ma troppo lento nella prima, con un risultato finale, che altro non è che NOIA.
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Strano
Questa volta il discorso è strano e diverso. Se il primo era originale, il secondo non lo è più. Ritroviamo Katniss ancora una volta nell'arena, cosa che mi ha portato a una sensazione di già visto e già fatto. Se nel primo libro gli Hunger Games sono qualcosa di affascinante, nel secondo servono solo a tirare 300 pagine. La prima metà del libro serve a convincere il presidente che i due piccioncini innamorati siano davvero innamorati, per eliminare il pericolo di una rivolta. Fallito questo tentativo, peraltro per colpa sua, il presidente decide, in modo poco democratico, di ributtarla nell'arena. Peccato che non riesca ad eliminare le sacche di resistenza che nel frattempo l'hanno resa un'immagine dei ribelli. Tutto passa troppo in fretta, è un libro di transizione di cui ricordo ben poco... Peccato.
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Che i settantaquattresimi Hunger Games abbiano ini
Ho letto questo libro dopo aver visto il film ed averlo adorato. Paradossalmente, sono rimasta molto più perplessa dal libro che dal film. Chiarisco il perchè dei voti:
- stile: 3. Beh, per come la vedo io sono già stata generosa. Il punto di vista è quello di Katniss, che narra al in prima persona e al PRESENTE. Non che questo sia un problema in sè, il punto è che al presente narro una cronaca, mi immagino il giornalista che racconta un attentato più che una 16enne che entra in una lotta all'ultimo sangue che ha come unico premio la sopravvivenza. Oltre a questo, è uno stile semplice, a volte anche eccessivamente. Inoltre, la Collins crea dei personaggi estremamente interessanti (come Rue, ma anche Peeta, che nel suo ruolo di eterno innamorato sta bene e svolge il suo lavoro, almeno), associati ad altri che non sono caratterizzati per niente o molto poco.
- Contenuto: 4. Qui il discorso è complesso: la trama mi ha affascinata, la ragazza indomita ed indipendente che si offre per salvare la sorellina pur di non condannarla a morte certa, gli Hunger Games, così perversi ma affascinanti, al punto che diventano un reality show con un business allucinante alle sue spalle... Spunti interessanti, senza dubbio, che mi lasciano anche in sospeso una domanda: "se succedesse qui e ora? come reagirebbe l'umanità?". Ci sono tutti gli spunti per una riflessione. Eppure, manca qualcosa, quella scintilla che non mi ha portata al 5.
- Piacevolezza: 3. Qui il discorso si ricollega allo stile dell'autrice. Nonostante gli spunti, la trama e le vicende, è un libro noioso, che è peggio che brutto. Ora, se io penso agli hunger games, penso a dei ragazzi che si devono massacrare solo per divertire un pubblico: è macabro, ma come posso annoiarmi in questo? Eppure, arrivati a un certo punto, mentre la nostra eroina sta curando Peeta, è impossibile non annoiarsi, perchè tutto quello che succede arriva ovattato, non coinvolge se non in alcuni momenti, cosi come tutta la preparazione ai giochi è bella, ma io aspetto i giochi e quando arrivano rimango delusa. Comunque sia, quando non è noioso, ha degli sprazzi in cui è un libro scritto bene, coinvolgente, appassionante.
Quindi si, lo consiglio, anche se con riserve.
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