Opinione scritta da Artemisia*
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"Come può succedere questa pioggia improvvisa di lacrime all'astuto e forte Ulisse, al mentitore sublime, all'abile tessitore di inganni?".
Non più eroi, ma uomini. Uomini con le loro paure, con le loro debolezze, con i loro affanni, e con i loro acciacchi d'età. Non una storia di miti e leggende favolose ma semplicemente il viaggio di ritorno a casa di Ulisse. Il ritorno di un uomo solo, senza dèi, senza spada, senza difese. Inerme dinanzi alla vita; un ritorno che ci viene narrato dallo sguardo attonito e sperduto di Ulisse, e da quello triste e malinconico di Penelope.
"Il cielo è muto e gli dèi sono lontani. Ma no, il cielo è lontano e gli dèi sono muti".
Gli dei. Quell'intrecciata folla di personaggi, mezzi uomini e mezze donne, mezzi capri e mezzi alberi, dove sono dinanzi agli smarrimenti di Ulisse? Dove sono quando Penelope li invocava chiedendo il ritorno dell'amato marito? Muti. Muti dinanzi alle sofferenze degli uomini. Muti dinanzi ai dubbi, alle incertezze di una donna e di un giovane uomo (Penelope e Telemaco) che riconoscono in un mucchio di vecchi e luridi stracci colui che anni addietro hanno amato, rispettato e atteso per due lunghi decenni.
"Riuscirò mai a sapere la verità, ammesso che esista una sola verità sotto il cielo?"
"Senza il riconoscimento di Penelope ero ancora il mendicante che avevo simulato, prigioniero ormai della mia finzione. In quale stato di nullità ero dunque precipitato? Ero veramente Nessuno come avevo fatto credere a Polifemo?"
La realtà di Ulisse è la nostra, è quella di Pirandello, quella di Uno, di Nessuno, di Centomila. Quella dell'uomo moderno che ritorna a casa dalla guerra e trova un altro mondo, un mondo diverso, poco accogliente, poco ospitale nei confronti di chi è diverso, nei confronti del mendicante che in realtà è un re.
Quella stessa realtà che ha condotto tanti alla follia, all'inettitudine nei confronti di una vita dalla difficile interpretazione, a rivolgersi con insistenza una domanda : " IO chi sono?"
"Troia era così lontana dalla nostra mente e dalla nostra isola felice, e la guerra così estranea ai nostri interessi, che Ulisse più volentieri sarebbe rimasto in patria con la famiglia e i sudditi che lo adoravano".
Quella di Ulisse è la realtà dei nostri nonni che ritornavano dalla guerra smarriti, atterriti dagli orrori che la loro vista aveva dovuto sopportare. Morte. Distruzione.
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Il Cigno Nero
"Ognuno di noi ha dentro di sè il sole e la luna" Oscar Wilde
Ognuno di noi è bene e male, è dolce e salato, è amore e odio, è apollineo e dionisiaco.
Ognuno di noi può scegliere se dare sfogo a l'una o all'altra tendenza, se indossare questa o quella maschera del proprio animo.
Ognuno può scegliere di essere Jekyll o Hyde e soffrire della propria scelta, perchè, si sa, non è possibile stordirsi nella voluttà del male quando il bene ci richiama alla tranquillità.
Ognuno ha percepito, almeno una volta nella vita, il desiderio di attaccare, di uccidere, di liberarsi dell'ingombrante peso di chi ci è insopportabile...eppure freniamo i nostri cattivi istinti, le nostre malattie, i nostri incubi, li seppelliamo e non ci lasciamo trasportare da essi perchè è così che si agisce nella vita civile; e se invece cedessimo alle nostre tentazioni più oscure, cosa potrebbe accadere?
Se invece di scegliere il volto rassicurante del dottor Jekyll ci addentrassimo nei meandri della follia di Hyde?
Cosa accadrebbe se Hyde prendesse il sopravvento a tal punto da soffocare i nobili sentimenti di Jekyll?
Se il dionisiaco pervadesse il nostro animo e ci trasformassimo in una Menade danzante, folle e leggera, priva di pietà e comprensione, mossa soltanto dal furore cieco che ispira il dio Bacco?
Cosa ne sarebbe dell'onesto cittadino che abita in ognuno di noi se questi un giorno iniziasse a tagliuzzare con un'ascia il vicino di casa troppo ficcanaso?
Se una vocina nella nostra testa ci spingesse a comportarci in modo diverso rispetto alle nostre abituali attitudini?
Se il cigno nero fosse troppo più forte del cigno bianco?
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Vivere così senza pietà, senza chiedersi perchè
Il sesso, il male, il bene, il lavoro, le erezioni, l'amore, la tristezza, il cane, l'impotenza, il padre , la madre, le rane, gli amici, la giovinezza, la musica, il dolore.
Tutto questo è nel romanzo di Bianconi. Un romanzo che si muove spavaldo tra gli altalenanti casi della vita umana e ne descrive le gioie (piccole) e le delusioni (grandi) con disincanto e sarcasmo, spesso con quel tocco di sensualità che è proprio di Francesco, un dandy sopravvissuto al cambiamento della moda (vedere Bianconi dal vivo è un pò come ritornare ai tempi di Serge Gainsbourg che canta "Je t'aime moi non plus") e ci pone continuamente dinanzi all'interrogativo cruciale, quello che dà inizio alla canzone "Baudelaire", un'omaggio da parte del gruppo dei Baustelle (Bianconi ne è il cantante) alla poesia, quella vera : " secondo te a che cosa serve vivere? "
Qual è il senso della vita? E' nel lavoro, nel successo, nei soldi, come la società di oggi ci vuol far credere? E' nell'amore, nel sesso? E' nella morte, in quell'ultimo spasimo di un padre, di un cane, di una rana? O, semplicemente, è nello scrivere?
Bianconi non trova la risposta a questa domanda e la cerca attraverso esperienze, luoghi, persone. Ripercorrendo l'itineriario umano e morale del fu Luciano Bianciardi, l'autore di "La vita agra" che lo ha ispirato, Francesco Bianconi ci rende ancora una volta partecipi di un mondo squallido e sporco, quel mondo che ci circonda ma che spesso non vogliamo vedere, sentire, non vogliamo parlarne perchè è più facile così, è più semplice girare la testa dall'altra parte, chiudere gli occhi e comportarsi come "gli Spietati" dell'omonima canzone dei Baustelle, corazzandoci dinanzi alle emozioni vere, "salendo sul treno per non tornare mai più".
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Vivesti solo un giorno, come le rose
[SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER. Spero che ora siate più soddisfatti :D]
Ho combattuto con me stessa nell'indecisione di recensire questo romanzo che per un mese e più non mi ha dato pace, mi è pesato sulle spalle come un macigno che soltanto poche ore fa sono riuscita a scrollarmi di dosso. Eppure ancora adesso quella sensazione opprimente, deprimente e tetra mi circonda e mi abbatte, quasi come se sentissi mio il dolore di Anna, lo vivessi e lo comprendessi molto più di quanto in realtà possa fare.
Forse più del dolore di Anna compatisco quello di Vronski al termine della sua triste vicenda d'amore e mi pongo una domanda fondamentale, una domanda che mi ha torturato nelle ultime 200 pagine di questo dispersivo capolavoro : perchè Anna si suicida? E' davvero la società a condannarla? E' davvero diminuito l'amore di Vronski nei suoi confronti? E' davvero addolorata per l'allontanamento dal suo amato Seriogia? Risulta davvero decisivo quello sguardo compassionevole da parte di Kitty e Dolly durante l'ultima allucinata giornata della donna?
La smania di questa eroina negli ultimi giorni della sua vita ce la fa apparire tanto più folle quanto più insoddisfatta dell'esistenza che ella stessa ha scelto per sè con consapevolezza; e forse in quegli ultimi attimi di vita la penna dello scrittore risulta ancor più giudice incontestabile e punitrice verso colei che ha tradito le leggi morali ed è andata incontro alla perdizione.
La stessa penna giudica un altro fragile e al tempo stesso indimenticabile personaggio : Costantino Levin. Un paranoico, scontroso idealista, solitario sognatore di un mondo diverso, alla ricerca di una pace interiore che l'alter ego (Tolstòj stesso) gli fa ritrovare attraverso la Fede e la morale cristiana.
Avrei bisogno di tempo, di mesi, di anni per riordinare le mie opinioni a proposito di quest'opera ma preferisco scrivere queste prime idee "a caldo", nelle quali sento di aver espresso come meglio ho potuto i tormenti che l'animo di Anna mi ha morbosamente trasmesso. Avrei molto altro da dire a proposito di Kitty, di Stefano Oblonsky e di tutto il piccolo mondo antico che Tolstòj ha meravigliosamente creato : ma preferisco tacere per lasciare ai lettori il desiderio di addentrarsi con grazia ed eleganza in questo quadretto lontano.
Immagino che i miei pensieri risultino inconcludenti, tuttavia non posso negare che continuo ad avere l'impressione dolorosa che Anna abbia lasciato una traccia indelebile e irrequieta sulla mia pelle, sul mio viso, come l'ultimo sguardo di chi chiede una grazia ma non la riceve.
Pensando a lei non posso fare a meno di accostarla alla meravigliosa Marinella di Fabrizio de Andrè :
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra una stella
Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta
Bianco come la luna il suo cappello
come l'amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue un aquilone
E c'era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose le sue mani suoi tuoi fianchi
Furono baci e furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle
Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta
Questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose
E come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose.
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L'eterno femminino
Una pittrice, una madre, una moglie, un'amante. Ma soprattutto una donna.
Senza timore, senza inibizioni, sempre con quella voglia di vivere e di mettersi in discussione, di amare come solo una donna può fare, una donna che vede ergersi intorno a sè le barriere del disprezzo, del conformismo e del moralismo più acceso, Artemisia Gentileschi lascia un ritratto di sè che ancora fa discutere, ancora fa riflettere, ancora insegna.
Insegna a tutte noi che qualunque donna può e deve divenire un'icona, deve ricercare la propria libertà e la propria strada attraverso la passione, quella vera, che possiamo trovare soltanto nel nostro cuore.
E l'idea di Susan Vreeland di intitolare ogni capitolo a nome di tutte le donne in cui la nostra eroina di volta in volta ha infuso se stessa, il proprio coraggio e la propria grinta, le proprie debolezze e le proprie paure, i desideri più reconditi e a volte più raccapriccianti, tratteggiandone con quelle dita sottili i lineamenti nobili e seicenteschi, dà l'idea di trovarsi non dinanzi alla singola anima di una debole creatura, bensì di fronte ad un grazioso corteo di figure femminili che tutte insieme creano l'eterno femminino, e fanno di Artemisia la guida di ogni donna che vuol ritrovare se stessa e la propria libertà.
"Fare della propria vita un'opera d'arte"...Artemisia Gentileschi ci è riuscita.
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Ma credo che la letteratura "femminile" possa essere un ottimo spunto per avvicinarsi a quest'opera...tra i personaggi che più si possono avvicinare a quest'eroina ricordo Oriana Fallaci, Dacia Maraini e non possono mancare a livello storico le figure di Gaspara Stampa, Vittoria Colonna e Ipazia di Alessandria.
Se un pomeriggio d'estate una lettrice...
Difficile scriverne.Molto difficile.
Come iniziare? Come descrivere il sentimento che mi lega a Jane Austen?
Jane Austen, con il suo "Orgoglio e Pregiudizio", è stata il mio incipit. E' stata il mio "cicerone", la mia guida, il mio primo "amore". Senza di lei non sarei qui a scrivere parole apparentemente incomprensibili e probabilmente non avrei fatto alcune scelte che hanno condizionato il mio futuro. Non desidero addentrarmi nei particolari della trama, dell'umanità che la caratterizza, nè tanto meno della storia dell'intramontabile "Lady" perchè credo che un pò tutti abbiano spiegato in modo più dettagliato di quanto saprei fare cos'è Orgoglio e Pregiudizio e chi era Jane Austen e in quale periodo è vissuta.
Ma quei pomeriggi d'agosto di 11 anni fa, trascorsi a leggere quest'opera, come dimenticarli? E io con il corpicino afflosciato sul divano di casa con quel nuovo mondo tra le mani e la mente che volava...
Come spiegarvi la mia smania febbrile di scoprire, di leggere per la prima volta degli amori, degli intrecci di un mondo così lontano nel tempo e nello spazio? E io che mentre leggevo capivo che nasceva qualcosa dentro di me, qualcosa di cui non avrei più potuto fare a meno, che sarebbe stata una droga per tutta la vita.
Come descrivervi quella sensazione nuova, quella di immaginare il vestito di Elizabeth o il tono altero della Duchessa, o ancora lo sguardo dapprima altezzoso e poi innamorato di Mr. Darcy? E io che finalmente capivo che cos'era quel desiderio che tutt'ora rinasce ad ogni nuova prima pagina di una misteriosa avventura di carta : è l'amore per la letteratura, è quella passione che coltivo da quando quella prima volta ho raccolto Orgoglio e Pregiudizio tra i libri di mia sorella e ho pensato di essere diventata grande, ho pensato che in Elizabeth e in Darcy avrei trovato dei veri amici, ho creduto che quell'odore di carta stampata mi avrebbe accompagnata nel corso degli anni molto più di un'amica.
Da quel pomeriggio in cui ho voltato la prima pagina di questa eterna favola d'amore ho sentito di dover ringraziare Jane Austen perchè mi aveva fatto vivere la prima di tante e tante altre storie che non sono la mia, ma sono quelle dei vari Giulietta e Romeo, dei Dottor Faust, dei giovani Werther e delle coraggiose Anna Karenina.
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Un dipinto di Rossetti
L'oro, una scultura, petali rossi quasi sfioriti, gli amori e le passioni travolgenti, l'estrema sensualità, un'angosciante senso di oppressione, l'horror vacui. Questo è il barocco, è il troppo che non storpia, l'eccesso che è male di vivere, è nostalgia dell'Olimpo, è uno sguardo rivolto a qualcosa di più nobile e più grande della nostra vita. Andrea Sperelli è alla continua ricerca di questo qualcosa, una ricerca febbrile che lo conduce nei meandri dell'arte, del sesso, della passione sfrenata per una donna, per un oggetto, a volte semplicemente per un'idea, magari l'dea di una rinascita spirituale che si incarna in un'altra donna, Maria.Tuttavia è Elena il soggetto dei continui turbamenti e dei desideri, anche quelli rivolti a Maria, di Andrea, un eroe passivo ed eccentrico, un amante voluttuoso ed egocentrico, un esteta di fine secolo a contatto con una società nascente, una società in cui non v'è più posto per i 'nobili', per i finissimi ricercatori del gusto estetico, ma soltanto per i sordidi locali in cui i rigattieri acquistano l'aristocratica mobilia a poco prezzo.
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Va apprezzato per ciò che è, il romanzo-documento di un'epoca classista e fortemente "decadente" (sotto tanti punti di vista) ma non credo che ammirare quest'opera sia un insulto ad autori considerabili più "attuali" della nostra letteratura.
A mio modesto parere d'Annunzio ha una forte capacità di evocazione, sembra di vivere e di percorrere le strade e gli scenari che ci vengono descritti...
La rivolta di Lady Chatterley
Ma è davvero il sesso il punto focale di quest'opera? Io credo che esso sia soltanto un simbolo, il simbolo di una rivolta, di un cambiamento che è nell'aria. Un viaggio per raggiungere la piena consapevolezza di se stessi e dei propri desideri, per comprendere fino in fondo il proprio Io. Mellors e Connie al termine del romanzo sono un unicum, un nuovo essere che si appresta a iniziare una nuova vita, all'insegna di nuovi valori, valori che l'autore non nasconde essere degli elementi migliori su cui basare una nuova vita.
Una ribellione contro la banalità di una vita prestabilita, contro la stupidità degli ideali di una classe dirigente vecchia e conservatrice (e decisamente classista).
A volte ho avuto l'impressione che l'autore fosse indeciso su come continuare, su come far comprendere ai lettori lo stati d'animo di questo o quel personaggio, e perciò credo che i ritratti di Connie e a volte di Oliver Mellors, ne risentano leggermente.
Ci si può avvicinare all'opera non soltanto per gli ideali di libertà, eguaglianza e rinnovamento sociale che vi sono propugnati ma anche per l'avvicente descrizione dei luoghi in cui si svolge l'amore tra Connie e Oliver (in cui ammetto di aver trovato svariate somiglianze con quello tra me e il mio moroso)e che completano il perfetto connubio tra i due amanti.
Sarà che ho sempre amato i personaggi ribelli e fuori dagli schemi, da Ipazia a Gaspara Stampa, ma Lady Chatterley mi ha decisamente conquistato.
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Anna Karenina di Tolstoj
One flew over the cuckoo's nest
Il titolo originale americano è "One flew over the cuckoo's nest" ed il termine "cuckoo" può essere tradotto sia come cuculo, sia come "pazzo", modificando l'intero titolo del libro in "qualcuno diventò pazzo". Ed è di una follia che narra questo romanzo. Della follia crudele di Miss Ratched, la "Grande Infermiera" di un reparto di un ospedale psichiatrico nell'Oregon, un ospedale in cui convivono malati inguaribili e malati in via di guarigione, personaggi sottomessi dal mondo, dai genitori (l'esempio più calzante è il più giovane dei "malati", Billy Bibit, continuamente minacciato dalla pressione della Grande Infermiera di svelare ogni sua possibile ribellione alla madre) e soprattutto, da Miss Ratched, la quale instaura un regime di terrore che soltanto l'arrivo di un iracondo irlandese, Randle Patrick McMurphy, potrà incrinare. Mcmurphy dovrà fare i conti con il forzato ambiente bigotto e ostentatamente conformista che l'infermiera è riuscita a creare, plagiando le già deboli menti dei suoi "pazienti" che altro non sono se non "diversi" che non hanno retto allo scontro con il sistema. Un sistema che Mcmurphy tenta di mettere duramente alla prova con la sua umanità, uscendone sconfitto, ma aiutando a riscattare uno dei "pazienti", Capo Bromden, un colosso indiano di colore, che finge di essere ciò che non è per paura della società fuori dalle mura dell'ospedale. La presa di coscienza di Bromden e di altri "pazienti" è la grande prova del fallimento del tentativo di omologazione della Grande Infermiera.
Pubblicato nel 1962, è un romanzo che smuove gli animi, che affronta le tematiche più disparate, dal trattamento discutibile dei ricoverati negli ospedali psichiatrici alla lotta al conformismo imperante, di ieri come di oggi.
Da non perdere è anche la trasposizione cinematografica del regista ceco Miloš Forman, che vede protagonista nei panni di Randle Patrick McMurphy un indimenticabile Jack Nicholson.
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Primavere già sfiorite
Ci sono storie che quando le racconti si consumano. Altre storie invece, consumano te. Chuck Palahniuk, Cavie
E questa storia mi ha consumata come un cancro, come il fuoco a contatto con la carta; l'ho sentita mia dalla prima pagina e ho capito dalla seconda che avrebbe cambiato il mio modo di osservare il mondo intorno a me, il mio modo di amare e di considerare il sesso, la vecchiaia, il dolore, la morte. E questo professore, che un pò ci ricorda l'antico Humbert Humbert (in versione più "legale"), indipendente eppure forse innamorato, al calar del sole della sua vita ma ancora passionale, di una passione struggente e conturbante, cruda, spietata e vera, come reale è la vita che vive ognuno di noi tutti i giorni: ecco, questo professore un pò l'ho amato; ne ho amato l'intelligenza, la cultura, il coraggio e la viltà, ma soprattutto quella sottile vena malinconica che traspare da ogni suo pensiero, quell'intimo senso di insoddisfazione che lo attanaglia. Roth scruta nella vita della gente e ne racconta gli aspetti che più lo colpiscono, spesso i più bizzarri, a volte i più tristi, tuttavia li rende sempre esattamente come sono : vivi e vitali. Palpitanti come il sesso tra un uomo che lotta contro la vecchiaia e una ragazza giovane e bella che lotta contro la morte.
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Amor ch'a nullo amato amar perdona
Là dove l'amore diventa un gioco, là dove l'amore è un perdersi e un ritrovarsi, là è questo romanzo di Vargas Llosa; là è quel sorriso sbarazzino, un pò maligno, della nina mala che si lascia conquistare ma non troppo dal nostro eroe, il nino bueno, un eroe senza spada ma sicuramente anche senza macchia, che attraversa l'arco temporale della sua vita per ricercare l'amore, un amore sfuggevole, ma quanto mai intenso. Le avventure della ragazza cattiva sono in realtà le avventure della vita di tutti giorni, di una vita fin troppo tranquilla e banale del nino bueno che, forse per quella famosa legge dell'attrazione tra gli opposti, s'innamora perdutamente della nina mala. Ed è un amore come un cancro, come lo strascico di un abito da sposa, lungo e a volte costellato di ingombranti verità. Ma in fondo, un amore tenero e romantico come può essere il primo e l'ultimo di un uomo.
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Tre metri di spazzatura
Credo fermamente che sia un abominio definire "libri" i raccontini di Federico Moccia. Ammetto di aver letto Tre metri sopra il cielo a 11 anni e quindi di averlo apprezzato data la giovane età; ma rileggendolo adesso, a 19 anni (e immagino a 30 cosa ne penserò!), posso soltanto pensare che se è questo quello che i ragazzi vogliono leggere non mi meraviglio che nessuno a 15 anni conosca Dostoevskij, Kafka e Joyce (per citare solo i più conosciuti). E non mi meraviglia che l'uso di alcuni vocaboli della lingua italiana sia ormai un'abitudine obsoleta perchè i "libri" del genere di Moccia distruggono la nostra lingua. Distruggono ciò che centinaia di anni fa ha creato il genio di Dante Alighieri e due secoli fa un altro immenso genio della letteratura italiana, Giacomo Leopardi, assieme a tantissimi altri che nella letteratura hanno visto una ragione di vita, un modo per riscattarsi, un mezzo per esprimere le proprie idee, o lo strumento per creare un'opera d'arte. Scrivere un libro non è un modo per diventare famosi e fare soldi. Non sono una scrittrice ma ho la presunzione di aver letto alcuni (sempre troppo pochi!) dei grandi capolavori della letteratura : e forse anche Moccia dovrebbe farlo per rendersi conto di ciò che (non) ha creato. Forse sono stata troppo severa ma spero che chi ha letto il libro in "età della ragione" concordi almeno in parte con me.
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Rimane forse suo malgrado l'epopea della mediocrit
[Contiene Spoiler]
Il 1857 è un anno cruciale per la letteratura ottocentesca francese : è l'anno del processo per immoralità alle 2 opere più discusse e ambigue del secolo: Madame Bovary di Gustave Flaubert e I fiori del Male di Charles Baudelaire. Entrambe segnano un passaggio ad un nuovo tipo di scrittura, la tendenza a nuovi temi e soprattutto il beffardo parodiare dei miti e dei sogni che avevano reso tanto popolare il movimento Romantico : là dove questo guardava con occhio positivo, Emma Bovary e Charles Baudelaire gettavano ombre e perversioni.
Flaubert stesso scriveva di lei : "è una di quelle nature un pò perverse, una donna di poesia fasulla e di sentimenti fasulli". Emma è una caricatura di eroina romantica, una donna in bilico tra la banalità del quotidiano e la sublime tensione all'assoluto.
"Prima di sposarsi Emma aveva creduto di essere innamorata ma la felicità che sarebbe dovuta nascere da questo amore non esisteva ed ella pensava ormai di essersi sbagliata.Cercava ora di capire cosa volessero dire realmente le parole felicità passione ebbrezza che le erano sembrate così belle nei libri."
La storia di Emma è un dramma borghese : da fanciulla appassionata di letteratura in convento, diviene ben presto donna sposando Charles Bovary, un medico di mediocri aspirazioni ("La conversazione di Charles era piatta come un marciapiede e le idee più comuni vi sfilavano nel loro abito di tutti i giorni") ; perciò Emma, nonostante la nascita della piccola Berthe ("E' strano, pensava Emma, come sia brutta questa bambina") inizierà a cercare in altri uomini ciò che il marito non può ( pur desiderando intensamente la felicità della moglie) darle, a causa della sua incapacità di comprendere al di là del proprio naso, della sua rozzezza e forse anche della sua vigliaccheria.
Un elemento che aveva scatenato ulteriormente l'insoddisfazione della donna è l'invito al ballo del marchese di Andervillies : è lì che Emma crede di aver trovati finalmente il proprio posto nella società, tra le gran dame e le "duchesse dove tutti erano pallidi e si alzavano alle quattro del pomeriggio e gli uomini sfiancavano i loro cavalli in gite di piacere. Essi conducevano un'esistenza che librava al di sopra di tutto tra cielo e terra in mezzo alle tempeste, qualcosa di veramente sublime.Tutto ciò che le era prossimo in maniera immediata, la campagna noiosa, i piccoli borghesi imbecilli, la banalità della vita le sembrava un eccezione, un caso anormale in cui lei si trovava presa mentre al di là di ciò si stendeva a perdita d'occhio lo sterminato paese della felicità e delle passioni. Ella confondeva l'eleganza delle abitudini con le delicatezze del sentimento."
Ancor più triste e sconsolato, dopo il ballo, sarà il ritorno a casa, in seguito al quale Emma "diventa capricciosa e difficile. [...] L'avvenire si presentava come un corridoio nero in fondo al quale v'era una porta sprangata." La donna, a poco a poco diviene sempre più sofferente, finchè Charles decide di trasferirsi dalla campagnola Tostes alla cittadina Yonville, dove incontrerà i due uomini che saranno poi i suoi amanti : Leon e Rodolphe.
Leon è accomunato ad Emma dalle medesime false passioni e falsi ideali : ""Per me non esiste niente di più bello del sole al tramonto, soprattutto in riva al mare", disse Emma. "Oh,io adoro il mare!", esclamò Leon. "E poi", continuò la signora Bovary, "non trova che lo spirito spazia più liberamente su quella distesa senza limiti, la cui contemplazione eleva l'anima e suggerisce riflessione sull'infinito, sugli ideali?",""Detesto i personaggi comuni e i sentimenti moderati, come quelli che si incontrano nella realtà", osservò Emma."Quelle opere che non suscitano emozioni si allontanano dai veri scopi dell'arte", convenne Leon.
Ma Leon, che è soltanto un ragazzo, decide ben presto di lasciare Yonville per completare i propri studi, per recarsi nel cuore della Francia, in quel calderone palpitante di vita che è Parigi.
Parigi, al pari di Emma, è una protagonista importante del romanzo, sebbene assente : una città piena di mistero, di decadenza e frenesia, di miseria e sporcizia, diviene agli occhi illusi di Emma e Leon un Eden in cui rifuggiare le loro esistenze ; "Com'era Parigi? Che nome pieno di smisurate promesse!","Emma desiderava al contempo morire e andare ad abitare a Parigi."
Questa città dai contorni sfocati appare come un sogno, l'Eldorado dei Romantici, sebbene essa non venga descritta direttamente da Flaubert nel corso dell'opera. La capitale viene citata poche volte, ma assume per Emma i contorni della città dei balocchi, del luogo dei sogni in cui rifugiarsi, in cui vivere apertamente tutti i propri vizi e le proprie bassezze; non è un caso che Emma, pur vivendo in una piccola cittadina come Yonville, continui a vestire in maniera elegante, come una gran dama parigina, e sfoggi dei comportamenti spregiudicati che di certo non si confanno ad una buona borghese rispettabile : "Non nascondeva più il suo disprezzo per cose e persone, a volte manifestava opinioni bizzarre, biasimava ciò che otteneva l'approvazione di tutti e giudicava benevolmente perversità e immoralità da tutti riprovate."
In seguito alla partenza di Leon, Emma si lascia sedurre da un nobile scapestrato del luogo, Rodolphe Boulanger de la Huchette. ""Basterebbero tre frasi galanti per farsi adorare da lei, ne sono certo", pensò Rodolphe."Sarebbe qualcosa di dolce...già ma poi come sbarazzersene in seguito?""
Il pensiero di Rodolphe ovviamente, da uomo navigato nei piaceri dell'amore ed esperto di donne, non è quello di rendere felice Emma e di amarla follemente; il suo unico pensiero è quello di conquistarla; la sua caratterizzazione è quella tipica di dongiovanni, del seduttore incallito di cui parla Kierkegaard che avviluppa la preda stritolandola per poi abbandonarla miseramente. Rodolphe infatti abbandonerà Emma adducendo banali pretesti proprio mentre i due progettavano la fuga insieme.
Nel tentativo di dissuaderla l'uomo aveva tentato di farla ragionare, di farla riflettere sulle sue incombenze : ""Ma...e tua figlia?", soggiunse Rodolphe. Emma riflettè un momento, poi rispose : "Tanto peggio verrà con noi!""
In seguito all'abbandono del suo amante, Emma cade in uno stato di profonda prostrazione al quale soltanto il ritorno ad una vita sregolata e suo modo "bohemien" potrà rimediare.
Una sera, recatasi con il marito a Rouen per uno spettacolo teatrale, riicontra il suo primo (seppur platonico) amore infedele : Leon.
I due intraprendono ben presto una relazione, un rapporto che per Emma non è altro che un motivo di evasione dalla realtà e che la condurrà agli eccessi più strampalati del piacere e della spregiudicatezza; ben diverso dall'amore che provava per Rodolphe, il sentimento per Leon è patinato da un leggero velo di ambiguità, di meschinità e di miseria. La Emma passionale e romantica che si era a suo tempo innamorata di Charles, dei cavalieri di cui aveva letto le avventure nei romanzi di Scott, e dello stesso Rodolphe, non esiste più.
Al suo posto una donna spregiudicata, che si sente costretta nella sua condizione borghese, svampita ma non felice.Una donna non molto differente dalla femme fatale che sarà Mata Hari, con un fascino simile a quello di Anna Karenina e una debolezza che caratterizza la Fosca di Ugo Tarchetti e la Signora delle Camelie di Dumas.In casa Emma"nasconde dietro l'abito dalle pieghe diritte un cuore sconvolto e le labbra pudiche tacciono le tempeste."
Ma Leon la considera "l'amante celebrata in tutti i romanzi, l'eroina di tutti i drammi, e osservandola era prigioniero degli innumerevoli fili di un sogno."
E Il dramma illusorio e borghese di Emma sta per volgere al termine : oberata di debiti, dopo aver firmato varie cambiali e aver tentato di convincere sia Leon, sia l'antico amante Rodolphe a farle un prestito, e in seguito al pignoramento di tutti i mobili della casa, titanicamente sola dinanzi al suo dramma borghese, la donna, impazzita, si volge all'unica scelta possibile per un'eroina romantica : il suicidio.
"Esisteva un vuoto nella sua vita, una putrescenza istantanea delle cose che le stavano più a cuore."
Emma nel suo ultimo slancio romantico, ingoia una manciata di arsenico decretando per se stessa una morte sofferta e dolorosa. Lo stesso Charles le sopravvive di poco tempo, dopo aver scoperto tutti i tradimenti della moglie e ciononostante, continuando ad amarla. "Aveva la testa arrovesciata contro il muro, gli occhi chiusi, la bocca aperta, e teneva fra le mani una lunga ciocca di capelli neri."
Una vicenda scandolosa per l'epoca (ricordiamo che siamo nel 1857), eppure,considerando il romanzo per il suo essere un "classico", apparentemente privo di un riferimento alla nostra realtà, privo di quello "slancio vitale" che fa di un romanzo un caposaldo della letteratura mondiale.
E' Emma che, a suo modo, dona "freschezza" al romanzo, lo rende "vivo e vitale". Durante il processo Gustave Flaubert con un pizzico di ironia e di provocazione, affermò "Madame Bovary sono Io" : Madame Bovary non è soltanto Gustave Flaubert, non è soltanto il lettore ottocentesco. Emma Bovary è tutti noi; Emma Bovary è la società moderna con i suoi sogni falsi e banali,"che cadono nel fango come rondini ferite"; Emma Bovary è il finto slancio che ogni mattina ci fa svegliare con la speranza che sia un nuovo giorno, che accadrà qualcosa di nuovo, che il futuro ci riserba sorprese e felicità.
Emma è quel sottile senso di insoddisfazione che ci attanaglia quando possediamo tutto ciò che desideriamo e ciononostante continuiamo a chiedere qualcosa di più. Ognuno di noi, ognuno di voi cade nuovamente nell'orrore del quotidiano e dell'abitudine, una volta ottenuto ciò che anelava.Ognuno di noi, ognuno di voi, come Emma, è continuamente smanioso,desideroso d'amore e di alti sentimenti, è sognatore e insoddisfatto e perciò infelice.
"La letteratura, per le passioni che suscitava, insorgeva dinanzi ai misteri della fede, e ancora di più si irritava contro la disciplina.Quando suo padre tolse Emma dal colleggio, ella ne fu felice. Tornata a casa, si divertì dapprima a comandare la servitù, ma ben presto la campagna le venne a noia e rimpianse il convento."
L'eroina di Flaubert è un'eroina sconfitta, ma a differenza di molti altri sconfitti della storia della letteratura, ella è sconfitta da se stessa, dalla sua follia egocentrica e manierista, dal suo spirito lacerato dal continuo "Streben" ("Tensione") verso qualcosa che probabilmente è esistito ma non esiste più.
Gli ideali Romantici vengono aspramente criticati da Flaubert in quest'opera, e proprio Emma, che ha un atteggiamento così romantico, ne è l'esempio più palese : ella costituisce il simbolo delle nostre aspirazioni inquiete e nel suo suicidio da operetta, Flaubert decreta la morte delle istanze Romantiche, la morte di un'epoca mossa da violente passioni ma anche da profonde contraddizioni.
Madame Bovary è sostanzialmente una figura vuota, la cui personalità è priva di originalità e che agisce in base alle tendenze (ormai sul far della sera) romanticheggianti di un'epoca terminata.
Il suo disagio esistenziale è frutto della fine di un'era e dell'inizio di un'altra; da un punto di vista puramente letterario abbiamo parlato del passaggio dal Romanticismo al Realismo e al Simbolismo. Emma è quello spirito romantico che si aggrappa con tutte le sue forze ad un barlume di speranza, che continua ad aspirare all'Assoluto anche se gli altri sono ritornati nel mondo reale, anche se Verga scrive dei contadini che insorgono e Hugo de i Miserabili.
"Non esiste borghese che, nell'entusiasmo della gioventù, sia pure soltanto per un giorno, per un minuto, non si sia creduto capace di passioni sublimi e di alte imprese." Madame Bovary, Gustave Flaubert
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Un eroe solitario nella torrida Sicilia verghiana
Un personaggio lirico, un solitario lottatore che vive per la sua "roba" e per la sua famiglia. Gesualdo è il simbolo dell'ideale dell'ostrica che si tuffa e viene risucchiata dalla marea, tuttavia è un'ostrica ben diversa dalla Lia dei "Malavoglia", è un'ostrica che si ostina a nuotare nella tempesta che sembra volerla risucchiare nel gorgo. E la sua denominazione "Mastro-Don" è il primo ostacolo che questo robusto figlio della terra deve affrontare : non è più un contadino, nè un borghese, ha spiccato il volo verso la nobiltà infrangendosi contro il muro delle critiche bigotte della società siciliana ottocentesca. Un uomo nato figlio di muratori non può morire aristocratico. Lo testimonia la sua morte snaturata da quell'ambiente a cui Gesualdo è così affezionato, lontana dal paesaggio della Canziria a cui il protagonista è così intimamente legato (la Canziria è la prima terra che Gesualdo ha acquistato, sulla base della quale ha poi costruito la sua fortuna). Il decesso di Gesualdo avviene tra la quasi totale indifferenza della figlia,alla quale si accosta soltanto attraverso un intimo ed unico colloquio pochi giorni prima della morta, e il cinismo crudele dei servitori che si rifiutano di servire chi è "nato come loro" : è la fine di una vita vissuta per l'accumulo della roba, roba destinata a quella figlia che non è nata dal suo seme. La nobile Bianca Trao con la quale Gesualdo contrae il proprio matrimonio si rivela essere uno dei pochi "affari sbagliati" che il fiuto del Mastro-Don non è riuscito ad individuare, un affare che si conclude, così com'è iniziato, nella solitudine e nella tristezza della morte di Bianca.
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Quel che si definisce "la noia"...
Non mi soffermo sulla trama e sulle tematiche interessantissime (e anche un pò fuori dall'ordinario) di questo romanzo che imprime un'impronta sociale e politica molto importante sulla scena del romanzo del primissimo '900. Il mio "disappunto" si rivolge principalmente alla "scorrevolezza" dell'opera, che nonostante la tematica "umanistica" così forte non riesce, a mio parere, a interessare il lettore a "travolgerlo" come invece vi riesce il film "Apocalypse Now", liberamente tratto dall'opera di Conrad.
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L'orrore dentro di noi
Un viaggio negli abissi più reconditi di una mente disturbata, un lugubre folle ma pieno di quel fascino che è proprio dei personaggi poco raccomandabili (lo stesso fascino di Baudelaire).
E non si può che apprezzare la sapiente costruzione di manie e ossessioni in cui quest'uomo/autore sembra esser vissuto con dimestichezza e sinistro orgoglio, quasi a fare della sua propria vita la tremenda mascherata che ritroviamo in ogni suo racconto. E che dire del talento visionario, della paura e a volte del sentimento di inquietudine misto a terrore che proviamo nel guardare negli occhi un gatto nero che tanto sembra avere in comune con quello descritto da Poe?
Una volta letti i racconti di Poe, l'orrore, in un modo o nell'altro, è in noi . Le immagini che quest'autore ci trasmette si celano nel nostro animo e ci "perseguitano" come un ricordo della nostra infanzia che vogliamo dimenticare. Come un delitto che abbiamo commesso ma che vogliamo nascondere al mondo.
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E' ancora possibile il romanzo?
Impossibile seguire questo testo senza prima aver liberato la mente da tutto ciò che può ingombrarla. E' come se Calvino ci inviti alla lettura delle storie di personaggi comuni e straordinari al tempo stesso, e questi personaggi sono di volta in volta uguali e diversi tra loro. Un romanzo sull'impossibilità del romanzo, una contraddizione in termini forse, ma chi ha letto il Calvino de "Il castello dei destini incrociati" o della trilogia, sa che non c'è nulla da stupirsi. Calvino è un autore ben oltre la realtà e oltre la fantasia. E' un surrealista, un dadaista, un prestigiatore che fa apparire e riapparire i suoi personaggi in questo scritto che sa di una ricerca, la ricerca infinita di una risposta e di un senso al quale forse è impossibile accostarsi.
E si può leggere questo "romanzo" in qualsiasi posizione si voglia (chi ha letto il libro mi capirà...chi non lo ha letto spero che lo faccia presto perchè ne vale la pena), la problematica non si risolverà mai : è possibile ancora nel mondo moderno il romanzo?
A giudicare da quest'opera sublime di Italo Calvino potremmo forse credere che non è possibile. Eppure se andiamo ancora in libreria, se ancora apriamo un volume con la speranza che quell'odore di carta stampata colpisca le nostre narici, ecco forse noi ci crediamo che il romanzo sia ancora possibile.
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L'epopea di una donna
L'epopea di una donna travolta dagli eventi, un'eroina figlia dell'onesta povertà che si ritrova catapultata nel mondo della subdola ricchezza. Un fiore innocente calpestato da un destino crudele, dagli dei malvagi che si prendono gioco della candida Tess, facendole credere che la sua vita può cambiare in meglio e rigettandola poi nel fango che la ricoprirà fino alla presa di coscienza finale di un destino ormai segnato.
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UN UOMO E LA SUA NINFA
Quest'opera somma mi ha insegnato che la passione non è sempre sinonimo di amore travolgente tra due adulti. Quest'opera mi ha insegnato che la passione, l'amore, il profondo legame che si può creare tra due persone, va ben al di là delle regole della società, della moralità, di quella che noi chiamiamo "normalità" (che poi per citare Pirandello...qual è la differenza tra normalità e anormalità?).
Lolita è una storia conturbante che a ragione riceve disapprovazioni più o meno ferree a causa della tematica scabrosa che affronta, tuttavia rileggendo tra le righe il racconto che Nabokov crea nei panni dell'imputato H.H. non si può che affezionarsi a quest'orribile uomo, a questo seducente e decadente stupratore che veste gli abiti di padre nei confronti di questa bambina/donna.
Soltanto se la si guarda attraverso gli occhi di Humbert si può continuare a leggere la storia di Lolita.Soltanto attraverso la fuorviante deviazione di Humbert si può provare pietà per quell'abominio e per quell'amore calpestato. Soltanto se seguiamo la narrazione addentrandoci nei ricordi del professor Humbert comprendiamo che Lolita non è che uno specchio di quel primo grande amore che si è franto nel cuore del protagonista. Uno specchio distorto, come quelli dei Luna park, perchè Humbert non è più il ragazzo sedicenne innamorato della fanciulla. E' un uomo cinquantenne che s'innamora appassionatamente come un sedicenne. E forse chissà l'ultimo rifiuto di Lolita è quello che uccide davvero quel ragazzo innamorato di un tempo.
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