Opinione scritta da Solaria 51
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Quando all'autore gli suda il cervello!
Succede, ad ognuno di noi, di riflettere sulla propria esistenza e porsi delle domande sul significato della vita. L’autore sostiene, nel suo saggio, che non è facile per l’umanità darsi delle risposte in quanto l’ essere è vittima di una realtà falsata; l’uomo vive di superbia, egocentrismo e non si accorge di essere un morto vivente. Acquistando coscienza, con l’esperienza della vita, intraprende un cammino avventuroso che lo condurrà su posizioni estreme; solo raggiungendo questi estremi avviene l’illuminazione della vera essenza della vita. I due estremi sono contrapposti: Felicità da una parte, disperazione dall’altra. Attraverso un percorso narrativo autobiografico, l’autore, ci spiega la sua scoperta di un nuovo mondo, fatto di sensazioni e meditazioni che lo portano a raggiungere la quiete dello spirito. Dopo questa dissertazione, la seconda parte del saggio, verte sullo spirito prendendo in oggetto lo studio dell’infinito in una ricerca con le varie implicazioni fisiche, filosofiche e religiose. L’autore afferma di avere raggiunto “La terza persona” attraverso la scienza. Confesso di essermi imbattuto in un saggio che per leggerlo occorre una forza di volontà non indifferente e se non ho smesso la lettura è stato solo per rispetto alla redazione di QLibri in quanto si tratta di uno dei tre volumi che avevo scelto. Ho tutto il rispetto per l’autore, per il sacrificio e l’impegno che ogni opera letteraria comporta, ma non condivido la scelta di utilizzare la scienza per raggiungere Dio; religione e fisica sono due cose diverse; la religione è interpretazione mentre la fisica è scienza. Lo stile dell’autore è confusionario, anche nel suo sforzo di renderlo chiaro con qualche esempio. Credo che all’autore gli sia sudato il cervello per scrivere questo saggio.
Siracusa 23-12-2012
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L'amicizia è come la luna, ti presenta un solo lat
Diciotto lettere e un epilogo compongono questo bellissimo romanzo. Mi verrebbe da considerarlo un romanzo-saggio sui valori dell’amicizia, della vita e della morte,veri protagonisti della storia; quest’ affermazione scaturisce dal contenuto delle lettere fino all’epilogo, dove il concetto di amicizia, vita e morte toccano la loro massima carica emotiva.
Andrea, la voce narrante del romanzo, racconta la sua vita attraverso uno scambio epistolare, per posta elettronica: i rapporti con la famiglia, con i suoi amici e come si confronta con le persone del luogo in cui vive. Il complesso delle circostanze in cui nascono e si sviluppano i fatti è un piccolo paese della Sicilia. Andrea, sin da piccolo è costretto a vivere con la zia, poiché il padre, colto da una forma di paranoia, non lo ritiene suo figlio; gli viene concesso, con la riluttanza del padre, di pranzare con i suoi familiari solo la domenica: questo è l’ accordo stabilito. La condizione familiare, lo costringe a vivere e sentire una diversità rispetto ai suoi coetanei. In ogni lettera ripercorre le varie fasi della sua vita: l’amore adolescenziale con Lucilla, sua compagna di scuola, che scaturirà in un rapporto difficile e problematico. In questo rapporto, il significato di amicizia, appare ad Andrea, in tutta la sua ambiguità. Le figure del nonno e della zia che lo hanno aiutato a crescere; quella del prete, don Ilario, che si diverte a proporgli la risoluzione di paradossi e infine, l’amicizia con Norino che rispetto agli altri amici rimane più confidenziale. Le giornate vengono trascorse al circolo dove si parla di politica, al bar, invece, si discute di donne e, in biblioteca, luogo in cui i frequentatori vengono chiamati habitatores, si argomenta di cultura. Con il passare degli anni, Andrea, si rende consapevole che il rapporto con Lucilla non avrà soluzione, tutto rimane nel limbo dell’incertezza e il desiderio di crearsi una famiglia lo tormenta, quella famiglia, alla quale, per motivi a lui sconosciuti e incomprensibili non si è sentito mai di appartenere. L’epilogo del romanzo, lo lascio a chi ha voglia o l’occasione di leggerlo: in appena cinque pagine è racchiuso l’essenza del racconto. Lo stile è raffinato, il lessico ricercato; l’autore riesce a far passare messaggi profondi con semplicità, trascinando il lettore nel vivo del pensiero dei personaggi; crea delle ancore, affinché chi legge riesce a riflettere sul senso della vita; i dialoghi riescono a far sentire la voce della parola scritta esprimendo sensazioni, opinioni e stati d’animo.
Siracusa 1-12-2012
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La fine del comunismo interiore di una generazione
L’illusione del bene di Cristina Comencini
Mario ha vissuto l’illusione del comunismo, si interroga sul suo fallimento ed è ossessionato dall’idea che nessuno desideri condividere il bisogno di discuterne. L’amore per i suoi tre figli, dei quali due acquisiti, sono l’unico rapporto che gli rimane, avendo posto fine al legame coniugale con sua moglie Patrizia. Il nuovo governo di destra lo epura dalla televisione trasferendolo alla radio in quanto comunista. In occasione di una ripresa radiofonica, nell’albergo in cui alloggia, conosce Sonja, una giovane pianista, proveniente dall’ ex Unione Sovietica, che trattiene gli ospiti dell’albergo suonando brani musicali. C’è qualcosa di misterioso nella vita familiare di Sonja che porterà Mario a volere ripercorrere il suo passato, attraverso la storia di Irina, la madre di Sonja; un passato che per certi aspetti gli appartiene, e che per lui sarà motivo per dare le risposte a quelle domande di cui si sente ossessionato. L’ autrice, con il suo romanzo, ci trasmette un messaggio chiaro ed onesto: a volte, rimanere ancorati all’ idea del concetto del “bene”, ci conduce in un labirinto, dove sarà difficile uscirne. È quello che accade al protagonista del romanzo; Mario ha creduto nell’ideale comunista come un bene per l’umanità, fino a quando, con la caduta del muro di Berlino, si rende conto che il “bene” intrinseco del comunismo è pieno di ombre con cui diventa difficile e scomodo confrontarsi; desidera fortemente qualcosa di nuovo, di vero, ma il suo modo di fare politica la sua incapacità di “amare” lo frenano, lo inibiscono. Il viaggio, in un paese dell’est, alla ricerca di Irina gli dà la consapevolezza che l’esperienza è l’unica cosa che ci rende adulti; e qui voglio citare un’ aforisma di Oscar Wilde: “L’ esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l’esame, poi ti spiega la lezione”. Cristina Comencini, con questo suo romanzo, affronta una tematica difficile e complessa ma riesce con uno stile senza forzature ideologiche, a trasmettere la fine del comunismo interiore di una generazione.
Siracusa 4-11-2012
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La prostituzione intellettuale si trasforma in ani
Delusa dal paradiso di Sara Notaristefano
Ruth, una donna bellissima che ha raggiunto la notorietà, decide di raccontare la sua storia avvalendosi di un giornalista. È la biografia di una persona spietata, che utilizza il suo fascino nonché il suo corpo per sedurre uomini facoltosi con un solo scopo: dare la scalata al successo. Consapevole delle armi che la natura le ha donato e volendosi ribellare al mondo maschilista, di cui si sente circondata, decide di abbandonare la famiglia e gli studi universitari per iniziare l’ascesa nella società che conta, quella che detiene il potere, la ricchezza e la fama. Le strade del successo però, possono essere lastricate di ghiaccio, e l’incontro con Jake, cantante di un gruppo rock al vertice del successo, metterà in crisi il suo temperamento, che porterà a sviluppi imprevedibili. Avere o essere sono due filosofie di pensiero che scaturiscono nel romanzo; in un rapporto umano possono mantenere la loro autonomia ma, se subentra l’amore, salta l’equilibrio del rapporto che rischia di naufragare. Tutto questo viene esposto dall’ autrice con una scrittura asciutta e densa di dialoghi in cui le parole non lasciano equivoci: danno il carattere di chi le pronuncia e quell’avere o essere a cui si sentono di appartenere. Un romanzo originale nella sua stesura in quanto, la storia viene concepita all’interno di una biografia. Sono rimasto scosso dal crudele cinismo che viene rappresentato in questo romanzo; sale una rabbia repressa di volere e non potere partecipare ai dialoghi e alle schermaglie tra i personaggi, si rimane sconcertati e disarmati. Ci sono persone disposte a camminare sul cadavere della propria madre pur di raggiungere il loro scopo. Ruth, la protagonista del romanzo, riesce a rendersi odiosa sin dalle prime pagine, la sua cattiveria trascende ogni etica morale, mette in gioco la sua intelligenza diabolica e la sua bellezza fisica con una naturalezza disarmante; come un ragno, tesse la tela per intrappolare le facoltose vittime di turno. Ma, quasi sempre,la prostituzione intellettuale si trasforma in anima persa.
Questo romanzo è uno dei tre libri scelti, di quelli proposti dalla redazione QLibri, e devo dire che è stata una buona scelta.
Siracusa 13-10-2012
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Parole e pensieri non si lasciano decapitare
Il medico di corte di Per Olov Enquist
Ci sono romanzi che ti fanno riconciliare con il piacere della lettura, questo succede grazie alla bravura dell’autore. Tutto avvenne realmente. Siamo nella seconda metà del Settecento; in Danimarca regnava il giovane Cristiano VII, un re incapace di governare, a causa dei suoi disturbi mentali, da essere considerato deficiente e visionario: “la vera realtà è quella che si svolge sul palcoscenico di un teatro”. Per evitare danni, gli viene affiancato, come precettore un medico di idee illuministe: Friedrich Struensee. Questi riesce a guadagnarsi la fiducia del re ottenendo la delega a promuovere le riforme illuministe, che furono considerate una minaccia per la nobiltà. Friedrich divenne l’amante della regina Caroline Mathilde, la persona più autorevole del regno. Grazie alle sue nuove riforme, Friedrich riuscì a compiere in Danimarca una delle rivoluzioni più incredibili che la Storia possa ricordare. Per Olov Enquist utilizza una scrittura chiara, mai banale, riuscendo a dare linearità alla narrativa senza alcuna forzatura; riesce a collocarci nella storia che racconta senza che il lettore si renda conto, e diventa un vero piacere farsi trasportare da questa voce saggia che riempie ogni parola. Ogni frase viene scelta col bilancino di un farmacista: “La prima regola è la prudenza – disse Struensee. E la seconda? – chiese Caroline Mathilde. L’audacia – rispose lui”. Il romanzo diventa una superba lezione sull’illuminismo e devo confessare che sconoscevo la rivoluzione danese. L’autore riesce a raccontarci senza forzature la realtà di un paese stravolto dagli ideali di libertà contro una nobiltà ipocrita, arrogante e oscurantista. Riproduce una vicenda umana con saggezza e sapienza artigianale.
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L'apocalisse di una generazione
“Fine” è il titolo del romanzo con cui esordisce David Monteagudo. Parla di un gruppo di amici, che si ritrovano dopo 25 anni per mantenere una promessa fatta in gioventù: ritornare al rifugio di montagna per rivivere l’esperienza entusiasmante di ammirare il cielo ammantato di stelle. Sono persone mature, che hanno raggiunto la mezza età, ma sembra che non abbiano più nulla in comune che li possa legare, tranne un torbido episodio della loro gioventù. Delusioni, fallimenti, matrimoni sbagliati li portano a fare i conti con la propria coscienza. Tornare ad incontrarsi dopo tanti anni anziché rievocare la bella gioventù fa sorgere litigi, vecchi rancori che ognuno interpreterà secondo le proprie fissazioni. Un episodio sconvolgente, avvenuto durante la notte, in attesa che il cielo si liberasse dalle nuvole, per apparire nel suo splendente luccichio, sovverte la trama del romanzo. Sarà l’inizio di episodi misteriosi. La “Natura” sembra ribellarsi ed una minaccia incombente perseguita e avvolge il gruppo degli amici i quali si sentono angosciati dall’assenza di tracce umane. Quale definizione dare al romanzo: filosofico,surrealista, fantascientifico, credo ci sia un po’ di tutto questo. Solamente nei dialoghi lo stile lascia a desiderare, a volte sono più lunghi del necessario e troppi puntini di sospensione. La debolezza nei dialoghi può causare l’abbandono della lettura, ma c’è qualcosa che ti spinge a continuare a leggere, e qui occorre darne atto all’autore; egli riesce piano piano, a fare emergere gli intrigati rapporti che aveva unito i protagonisti del romanzo in gioventù. Suscita la nostra curiosità a seguire gli sviluppi della minaccia che incombe su di loro, e a sapere come andrà a finire. Nei miei acquisti di libri inserisco ogni tanto il romanzo di un esordiente, lo trovo sempre interessante e oltretutto mi piace pensare che se l’autore avrà successo, scrivendo altre opere apprezzate dalla critica, posso compiacermi di averlo scoperto senza alcuna influenza da parte dei media. Credo, che David Monteagudo, potrebbe diventare un bravo e apprezzato scrittore.
Siracusa 25-9-2012
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Colei che finisce
Una storia emotivamente cruda, in cui leggi non scritte, rimangono ancora radicate in una cultura legata ad antiche tradizioni. Due figure su tutte emergono nel romanzo, quella di Maria Listru e di Bonaria Urrai. Maria, all’età di sei anni acquisisce la condizione di “Fillus de anima”; la madre, vedova, non essendo in grado di sfamare le quattro figlie, accetta senza traumi la richiesta dell’anziana Bonaria di avere Maria in figlia. La vecchia donna, in paese è guardata con rispetto e malcelato turbamento per quello che sanno di lei ma che rimane, almeno all’inizio, oscuro per Maria la quale crede che facesse la sarta. “Se si ha bisogno di aiuto per nascere, lo si ha anche per morire”, questa la filosofia di vita di Bonaria Urrai. Il legame tra le due donne, fa nascere a Maria la consapevolezza del lutto e del dolore ma, allo stesso tempo, vive il rapporto ponendosi interrogativi sulle uscite notturne della madre adottiva, interrogativi che porteranno a scoperte drammatiche. La bravura della scrittrice risalta sin da subito per la sua scrittura ricercata, permeata dalla lingua sarda, rendendo storia e personaggi impregnati dalla cultura isolana che danno fascino al romanzo. È un libro che per il suo linguaggio ti adesca non solo perché si fa leggere ma perché ti fa entrare e partecipare celatamente alle scene e lo stupore che ne deriva non ti permette di lasciare quelle scene fino alla fine. Stupendi alcuni passaggi in cui è protagonista Bonaria Urrai; la saggezza dell’anziana donna serve a farci riflettere su temi importanti come l’appartenenza, l’istruzione, il senso della vita e il significato del lutto. Michela Murgia ci richiama al significato di “Accabadora”, che da il titolo al romanzo: una presenza interiore tracciata di interrogativi senza risposte se non quella di prendere coscienza della sofferenza e della pietà. Credo, onestamente, che il premio Campiello se lo sia meritato.
Siracusa 10-9-2012
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Risalire "sull'onda della vita"
Il romanzo procede su due storie all’apparenza diverse: una fluttua tra sogno e realtà, in cui è protagonista Giacomo, un adolescente problematico in fuga dalla realtà, tra incubi e minacce della notte, mentre l’altra, quella di Roberto, agente dei carabinieri, tra rievocazioni di un passato terribile e rischioso, verso la riconquista della propria identità. La sofferenza di Roberto si accomuna a quella di Emma ex attrice afflitta da un rimorso che rende difficile il rapporto con il figlio Giacomo. Emma e Roberto, frequentando lo stesso psichiatra fanno amicizia e per lui sarà l’occasione per risalire “sull’onda della vita” e riscattare il suo passato. La storia gira attorno a personaggi che lottano per non essere risucchiati nel baratro della depressione per avere vissuto la loro vita nascosti dietro un’identità a cui non appartengono ma costretti o risucchiati da un mondo di storture, eccessi e illusioni. L’autore penetra nel mondo interiore dei personaggi per poi farli incrociare nel loro vissuto. Ho trovato interessante e curiosa l’alternanza fra i racconti di (e su) Roberto, protagonista raccontato in terza persona e contemporaneamente narratore della sua storia e quelli espressi dalla viva voce di Giacomo; le differenze stilistiche non influiscono sul ritmo del romanzo che si mantiene sobrio e misurato. Ho apprezzato il romanzo perché l’autore non fa voli pindarici per spiegare la psiche umana, ma espone in modo, direi garbato, i problemi che ognuno di noi può incontrare durante il percorso della propria vita e questo senza nessuna esclusione (basti leggere il capitolo 21 del romanzo). Avete presente in inverno gli stormi che solcano il cielo? Sono milioni, che volteggiano, virano in perfetta sincronia creando varie forme da sembrare onde nel cielo; li osserviamo ammirando la semplicità e la purezza di quelle “forme-onde” eppure in quella semplicità si cela qualcosa di meraviglioso, ecco! questo ho trovato leggendo “il silenzio dell’onda”.
Siracusa 3-9-2012
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Nel dedalo del surreale e grottesco
Il narratore è uno scrittore che ha deciso di smettere di scrivere e addirittura di non parlare più. Nell’attesa di questo suo proposito ci racconta di un bizzarro personaggio somigliante a Bob Dylan: Vilnius Lancastre figlio di Juan Lancastre famoso e apprezzato scrittore. Lo scrittore viene invitato in Svizzera per partecipare ad un congresso il cui tema centrale era su “fallimento e letteratura”. Allo stesso convegno partecipa Vilnius per sostituire il padre deceduto da alcuni giorni. A Vilnius non interessa la letteratura, lui è un cineasta che non ha avuto successo anzi si può dire che tutto ciò che fa è proiettato verso l’insuccesso ed il fallimento, inoltre non avendo esperienza nella vita letteraria decide di presentarsi al congresso con una relazione scritta dal titolo ambiguo: Teatro della realtà. L’unica ragione di vita di Vilnius è quella di girare un film sul fallimento e pertanto aveva creato un Archivio Generale del Fallimento. Tra le altre stranezze, insieme alla sua ragazza Debora (ex amante di suo padre), voleva fondare una Lega di emuli di Oblomov. Inoltre, soggiogato dalla frase: “Quando fa buio abbiamo sempre bisogno di qualcuno”, che aveva ascoltato guardando un vecchio film e che, in un primo momento, l’aveva attribuito a Francis Scott Fitzgerald in quanto partecipe alla sceneggiatura insieme ad un altro scrittore. Dopo avere scoperto, che oltre a questi due, altri avevano partecipato alla sceneggiatura decise di fare una ricerca per conoscere il vero autore della frase. Il modo di vita di Vilnius è confuso, se a questo si aggiunge che a causa di una caduta, ha nella sua mente delle intrusione dello spirito paterno che sembra infilare i suoi ricordi nella memoria di Vilnius, ci rendiamo conto di essere in presenza di un personaggio surreale. Lo scrittore, che non ha voluto comunicare a nessuno la sua decisione di smettere di scrivere, incuriosito dalla figura di Vilnius decide di soprassedere accettando la proposta di scrivere le memorie apocrife di Juan Lancastre ma, anche questo proposito fallisce. Enrique Vila-Matas ci conduce in un susseguirsi di avvicendamenti surreali e grotteschi, in alcuni dialoghi, tra i protagonisti, assistiamo ad un ritmo incalzante, siamo inondati di citazioni, innesta il racconto degli autori frustati dal sistema hollywoodiano con quello delle avanguardie europee, la tragedia di Amleto con le indagini di Marlowe. Una chicca del romanzo è il “Circolo di Interrompitori Lancastre” dove i soci, lettori accaniti, si riuniscono nella libreria “Bernat” per fare omaggio a Juan Lancastre e dove Vilnius avrebbe presentato il suo “Teatro trappola per topi”; la caratteristica del circolo è che i soci possono interrompere il relatore in qualsiasi momento. Ormai mi sono rassegnato, ogni volta che decido di leggere un libro di Vila-Matas so di entrare in un dedalo e quest’ultimo romanzo mi ha dato l’ennesima conferma di un autore dalla sofisticata maestria.
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La conapevolezza del dono della vita
Olive Kitteridge di Elizabeth Strout
Leggere il romanzo della Strout è stato come sfogliare la partitura di un’opera musicale. Le parole sono un complesso linguaggio di suoni che esprimono sentimenti ed emozioni. L’autrice, attraverso il personaggio centrale del romanzo, Olive Kitteridge, ci rivela le storie dei suoi concittadini di un piccolo paese nordamericano; storie che ci si appiccicano addosso, che possono riguardare ognuno di noi, che penetrano nell’animo e ci costringono a riflettere sul senso della vita. La schiettezza quasi brutale di Olive, il suo sarcasmo, nasconde la paura che non ci rende liberi: “Non abbiate paura della vostra fame. Se ne avrete paura, sarete soltanto degli schiocchi qualsiasi”, è la frase che rivolge ai suoi alunni, e credo serva ad esorcizzare la sua paura, indossando la maschera della severità e della durezza. Illuminanti sono i capitoli dove Olive è protagonista; nelle pieghe della sua esistenza convenzionale (la scuola, la pensione, il figlio Cristopher e il rapporto col marito Henry), l’autrice fa una riflessione sulla vita di ognuno di noi che, tranne in casi eccezionali, non è fatta di grandi avvenimenti ma di piccoli accomodamenti e di splenditi illuminazioni: dai momenti persi, alle cose non dette, all’amore inespresso quando ancora si poteva amare. Come quando Olive va a trovare il figlio a New York e lui le dice gelido: Sei capace di far stare malissimo gli altri. Hai fatto stare malissimo il papà”, o quando il marito Henry le dice: “Lo sai Ollie, in tutti gli anni in cui siamo stati sposati, non credo che tu abbia mai chiesto scusa una volta. Per nulla”. Un romanzo malinconico e di profonda intensità psicologica che ci parla della solitudine e della tristezza che accompagnano il trascorrere degli anni, ma Elizabeth Strout, in un capitolo del romanzo, “Concerto d’inverno” ci dice che la vita è un dono e che uno dei pregi dell’invecchiare è la consapevolezza che molti momenti della vita non sono soltanto momenti, ma doni.
Ma come si fa, dico, a non leggere questo stupendo romanzo!
Siracusa 26-8-2012
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Il torto di avere obbedito
Il torto del soldato di Erri De Luca
Il romanzo inizia con un preambolo dell’autore. Essendo un appassionato cultore della lingua yiddish, viene contattato da un editore il quale gli propone la traduzione delle più interessanti opere in yiddish di Israel Yehoshua Singer, fratello maggiore del più famoso Isaac Bashevis Singer, premio Nobel per la letteratura. Di quest’ultimo, l’autore sta traducendo l’ultimo capitolo del romanzo “La famiglia Moshkat”, capitolo che, per volere di Isaac B. Singer, nella traduzione inglese decide di non inserirlo, pertanto, si hanno due finali opposti del romanzo: quello completo in yiddish ha un finale di speranza, mentre nella sua traduzione il finale è drammatico. Lo scrittore accetta la proposta dell’editore a tradurre le opere più significative di Israel Y. Singer e, una volta ricevuto le fotocopie degli scritti, decide di recarsi in montagna per iniziare la traduzione. Chiusa questa premessa inizia il romanzo raccontato in prima persona dalla protagonista. Il padre, un criminale nazista, era sfuggito alla cattura e quindi ad eludere il processo per crimini di guerra. Dopo avere vissuto per alcuni anni all’estero, rientra a Vienna. Alla figlia, fino all’età di vent’anni, tiene nascosta la sua paternità, facendole credere di essere il nonno; questa menzogna dura fino a quando la madre, stanca di vivere con un uomo tormentato dalla paura di essere scoperto e di vivere nella precauzione e nell’isolamento, racconta tutto alla figlia prima di abbandonarli. L’ossessione di essere braccato conduce il padre a studiare la Kabbalà ebraica, convinto di scoprire la causa del fallimento nazista sugli ebrei. Lo studio della Kabbalà lo porta alla convinzione di una profezia che da lì a poco si sarebbe compiuta.
Erri De Luca ci fa dono di un suggestivo romanzo diviso in due parti: nella prima descrive la sua passione per la scrittura in yiddish, il viaggio intrapreso a Varsavia, dove percorre i luoghi in cui si sono consumati atroci delitti e dopo il trasferimento nelle Dolomiti, luogo scelto per iniziare la traduzione delle opere di Israel Y. Singer. Una sera, nella locanda in cui è solito cenare, incrocia il suo sguardo con quello di una ragazza seduta al tavolo accanto che gli sorride. Qui inizia a svolgersi la seconda parte del romanzo. Una ragazza che ripercorre la sua infanzia, lo stupore dopo essere venuta a conoscenza che suo nonno è in realtà suo padre ed il rapporto di silenziosa estraneità che condividono. Una storia dal sapore amaro dove alla fine la libertà per entrambi passa per un incidente imprevisto. Una scrittura che si avvicina alla poesia. Un contenuto che riempie l'anima.
Siracusa 21-8-2012
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Siamo tutti traditori?
Giancarlo De Cataldo, con il suo romanzo “I traditori”, ripercorre la storia del Risorgimento Italiano; troviamo personaggi affascinanti, moralisti, poveri, generosi, indulgenti, faccendieri, conservatori, progressisti e non per ultimo criminalità organizzata. E’ la rivolta di una generazione oppressa e soffocata, che combatte l’oscurantismo di una classe vecchia e conservatrice. Una storia di trame, connivenze dei poteri forti con la criminalità organizzata: mafia ndrangheta e camorra che sanno anticipare chi saranno i vincitori volta per volta. Troviamo eroi che si rivelano traditori e i traditori eroici. Il filo rosso del romanzo, che attraversa tutto il periodo risorgimentale, è lo squilibrio tra nord e sud che ancora oggi è rimasto irrisolto. Un romanzo affascinante, ardente, toccante e disperato, che mostra la mancanza di consapevolezza dell’italiano di sentirsi un popolo. Ho capito di più la storia del nostro Risorgimento in questo romanzo che nei testi di scuola.
Ettore Spataro
Siracusa 20-8-2012
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L'amore che trionfa
L’altra metà del sole di Corban Addisson
Ahalya e Sita, due sorelle sopravvissute allo tsunami che ha distrutto il loro villaggio, nel sud dell’India, ma che non ha risparmiato la loro famiglia, decidono di raggiungere il collegio di Tirivallur, dove studiano, ma durante il tragitto vengono sequestrate da trafficanti di minorenni e finiscono prigioniere in un bordello di Mumbai. La sorella maggiore, Ahalya, ha soltanto diciassette anni quando viene obbligata a prostituirsi, mentre, Sita, più piccola di due anni, viene risparmiata in attesa di essere venduta. Dall’altra parte del mondo, in America, il giovane avvocato Thomas Clarke, sta attraversando un momento delicato della sua vita: la moglie, dopo la morte tragica della loro figlioletta Mohini, lo lascia e ritorna dai suoi genitori in India; i responsabili di un prestigioso studio legale, di cui fa parte Thomas, lo utilizzano come capro espiatorio di una causa, che rischia di far pagare al loro principale cliente una cifra iperbolica e pertanto, viene sospeso ingiustamente dallo studio per la durata di un anno. Il giovane Thomas Clarke, dopo il consiglio di un amico, decide di trasferirsi in India ed unirsi a un team internazionale di avvocati che fanno parte di un’associazione non profit che ha come scopo la difesa dei diritti umani. La decisione di Thomas è suffragata dalla desiderio di potere incontrare la moglie per ricucire il loro rapporto matrimoniale. Thomas inizia a collaborare con gli avvocati dell’associazione con grande impegno che lo porta ad affrontare casi disumani trai quali la vicenda di Ahalya e di sua sorella Sita riuscendo a liberare le due sorelle da un calvario che sembrava impossibile uscirne.
Corban Addisson, all’esordio con questo romanzo, riesce a coinvolgere il lettore, grazie allo stile sobrio e conciso, con una storia densa di emozioni, riportandoci in una realtà disumana da sembrare impossibile anche se ogni tanto ascoltiamo dai media fatti di cronaca sulla mercificazione di persone per fini sessuali. Il racconto, ti trasporta, ti senti partecipe a fianco dei protagonisti. Nel romanzo non è da meno la crisi matrimoniale che stanno attraversando Thomas e sua moglie Priya, alla disgrazia vissuta per la morte della figlia si aggiungono continui malintesi dovuti alla differente cultura di appartenenza, lui americano e lei indiana. Non so se inconsciamente o è dovuto alla capacità dell’autore ma dopo avere sedimentato la lettura, ritengo che c’è un unico protagonista: la “Donna”. Se andiamo a vedere tutte le figure di donna, anche quelle che appaiono brevemente, hanno in comune la forza, l’energia, la fierezza che si racchiudono in un unico sentimento:”AMORE”.
Siracusa 10-8-2012
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Razionalità della follia
Follia di Patrick McGrath
Già dalle prime pagine si entra in un atmosfera drammatica, si è avvolti da un impalpabile tragicità. La storia si svolge all’interno di un ospedale psichiatrico, dove risiedono, in una casa distaccata dall’ospedale, i coniugi Max e Stella Raphael insieme al loro figlio Charlie. I due coniugi vivono un rapporto pieno di difficoltà e di frustrazioni. Al carattere debole di Max si contrappone quello ossessivo di sua moglie. Stella si sente una donna trascurata e inoltre vivere in quel posto lontano da Londra la rende depressa. In ospedale è ricoverato Edgar Stark, scultore uxoricida che grazie alla semilibertà all’interno dell’ospedale, si propone di ristrutturare la serra della casa dei Raphael. Qui avviene la conoscenza tra Edgar e Stella dove nasce l’infatuazione sessuale e amorosa e per Stella, che viveva da una lunga negazione nel rapporto matrimoniale, è stato facile cadere in una storia passionale il cui sviluppo porterà alla distruzione di quattro persone. Quando Edgar riesce ad evadere dall’ospedale, Stella decide di abbandonare la famiglia per unirsi a lui dove il susseguirsi di avvenimenti sconcertanti la convincono, in un barlume di coscienza, a lasciarlo per tornare a casa, stanca ed esausta. Stella era stata messa in guardia, dalla personalità violenta di Edgar, ma lei era riuscita ad avvolgere in una nebbia questo aspetto perché desiderava l’altro Edgar: forte, passionale, uno spirito libero. Il ritorno a casa, non fu assolutamente positivo; il marito venne licenziato dall’ospedale e tutti i presupposti di diventare direttore caddero e la sua carriera prese una discesa fallimentare; accettò, come semplice psichiatra un posto in un ospedale nel nord del Galles. Qui si consumò la tragedia, con la morte del figlio Charlie, morte che venne imputata alla madre che subì le conseguenze successive con il ricovero nello stesso ospedale, dove era nata la tragedia, sotto le cure del dott Cleave Peter. L’ultimo atto di questo dramma, con la complicità involontaria del dott Cleave, avvenuta durante un colloquio terapeutico, ebbe termine dopo la sera del ballo che annualmente si teneva in ospedale; Stella si era preparata da diversi giorni a porre fine alla sua vita ingerendo dei forti barbiturici.
Patrick McGrath, in questo suo romanzo, è riuscito a penetrare nelle zone più nascoste della psiche umana; mi ha sconvolto e appassionato.
Ho trovato fantastico lo stile, non mi era capitato di leggere un romanzo in cui lo scrittore utilizza contemporaneamente sia la prima che la terza persona.
Soldi spesi bene per questo libro!!!
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Tragedia e farsa
SOLAR di Ian McEwan
Un romanzo, che riesce ad appassionare il lettore, per la presenza di personaggi quantomeno discutibili dei quali spicca uno scienziato, premio Nobel per la Fisica. Un uomo che ha fatto della procrastinazione e dei sette vizi capitali la scienza della propria vita privata. Ian McEwan ha scritto un romanzo con uno stile leggero ma piacevole. Lo scrittore riesce ad intrecciare un complesso di fatti e situazioni creando una trama dove tragedia e farsa interagiscono e si consumano in una coscienza collettiva ipocrita e indifferente.
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