Opinione scritta da marty96
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |
TROPPO TROPPO BELLO!!!
troppo troppo bello!!!! non in particolare questo libro, ma tutta la trilogia, non ho voluto inserire una recensione ai singoli libri, ma sentivo il bisogno di esternare il mio pensiero dopo il terzo!!!! mi piange il cuore pensando che il mio autore preferito in questo genere è morto e non potrà regalarci altri capolavori come questo!!! rispetto ai due libri che lo precedono questo è forse più pesante e lento, penso che risulti tale perché Stieg Larsson nel suo ultimo romanzo abbia tirato le somme sui personaggi, sulla loro crescita e maturazione, Lisbeth finalmente si è riscattata dal suo passato e nonostante la personalità eccentrica e un po' scorbutica (alla quale non puoi fare a meno di affezionarti) riuscirà a dare più fiducia alle persone che le sono vicino. Mikael diventa più maturo e grande arriva a pensare all'Amore, con la A maiuscola! è stato un epilogo epico!!!! l degna conclusione per qualcosa di per sé già perfetto!!!
Indicazioni utili
ALL'INIZIO BOOOO.... POI AHHHH!!!!
“Il deserto dei Tartari” è il romanzo più famoso di Dino Buzzati, esce nel 1940 e viene subito definito come una delle opere più originali della letteratura italiana e straniera, con al suo in-terno, la biografia e la memoria di uomini grandi e meschini e la storia di fatti e di illusioni di ieri e oggi.
Il giovane tenente Giovanni Drogo, attraverso un fatico viaggio attraverso il bosco, durato circa un giorno, giunge, insieme al capitano Ortiz, alla Fortezza Bastiani, uno sperduto presidio al limite del deserto settentrionale. La prima impressione di Drogo, nei confronti della frontiera, è terribile, tanto che vorrebbe andare via subito. Purtroppo ciò non è possibile, gli viene però consigliato dal maggiore Matti, di permanere alla Fortezza per circa quattro mesi, di farsi visitare dal medico e di lamentare dolori al cuore. All’inizio ritrovarsi in quel luogo, contornato dalla desolazione più assoluta, per Drogo risulta sconcertante e soprattutto deprimente. Nonostante questi primi giudizi il tenente finisce per trovare un suo equilibri all’interno di quella realtà militare tanto da rifiutarsi di ritornare in città passati i quattro mesi. Inizia, in questo modo, per Giovanni, una vita scandita da giorni tutti uguali, da una routine ferrea, in questo ambiente il giovane tenente conosce i personaggi principali del romanzo fra cui il maggiore Tronk, il maresciallo Prosdocimo, e i suoi unici “amici”: Piero Angustina e Carlo Morel. Intanto Giovanni capisce che all’interno della fortezza tutte le persone aspirano e attendono un avvenimento: la calata dei Tartari dal nord del deserto. Questo episodio è bramato da tutti perché rappresenta la gloria, il coronamento di una vita e la conferma che l’esistenza passata entro quelle mura non è stata vana. Dopo esattamente due anni, arriva, dal deserto, un cavallo nero. In un primo momento, l’animale rappresenta la certezza della presenza di una popolazione ostile al di là dal deserto. Purtroppo le speranze di tutti i soldati e ufficiali vengono disilluse da una vaga somiglianza del cavallo a quello di un nuovo militare: Lazzari. Quest’ultimo si precipita per riappropriarsi del suo animale ma, perdendo la concezione del tempo, rimane al di fuori della Fortezza oltre il tempo consentito. Intanto Tronk, un soldato di vedetta, intravede un movimento da basso e capendo che proviene da Lazzari decide di sparare comunque e uccide il soldato dopo aver dato per tre volte di seguito il “chi va là”. Nonostante questo spiacevole episodio la vita all’interno della frontiera rimane invariata. Poco dopo essendo stato avvistato un contingente di ignota appartenenza avvicinarsi alla Fortezza, viene eseguita una spedizione a cui partecipa Angustina, che in quelle circostanze perde la vita. Dopo questo avvenimento la vita alla frontiera torna alla normalità e in quel clima passano altri due anni. In seguito Drogo, convinto da Ortiz, prende una licenza e va a trovare la madre e i vecchi amici, sentendosi inadeguato e a disagio a causa del tempo passato, cerca di fare ritorno alla sua quotidianità. Nonostante questa aspirazione si reca alle autorità per ottenere un trasferimento, purtroppo viene avvertito della diminuzione del personale militare, essendo uno degli ultimi a domandare uno spostamento, la sua richiesta viene assolutamente bocciata e viene rispedito nel deserto. Tornato dalla licenza, vede partire uno dei suoi vecchi compagni, in questo modo non gli rimane che l’amicizia di Ortiz, divenuto ormai maggiore. In quel periodo ap-profondisce la conoscenza del tenente Simeoni che, come lui, anela ad una battaglia imminen-te. Per i due nuovi ”amici” al cosa più interessante è scrutare l’orizzonte attraverso il binocolo. Un giorno percepiscono degli avvistamenti, a cui però nessuno crede, in seguito all’insistenza dei due compagni viene vietata l’osservazione del territorio. Mentre Simeoni obbedirà agli ordini, Drogo continuerà, in segreto, ad guardare il deserto. Finalmente in luglio avvista dei lumi all’orizzonte: i nemici stanno lavorando in quella landa desolata stanno, infatti, costruendo una strada. Quindici anni dopo sono conclusi i lavori, ma non arriva alcun attacco. Nel frattempo Drogo diventa capitano, non ha più legami con la sua famiglia e persino Ortiz va in pensione lasciando il comando della Fortezza a Simeoni. Passano gli anni e Giovanni, con il grado di maggiore, è il comandante in seconda della Fortezza: ha cinquantaquattro anni e il fisico colpito da una malattia molto grave. Proprio ora, quando sembra che la vita non abbia più niente da offrirgli, il nemico è alle porte e si prepara per uno scontro imminente. Nonostante Drogo voglia restare nella fortezza, il comandante lo obbliga ad andarsene. Così Giovanni si ferma in una locanda e lì in una piccola stanza in affitto, completamente solo, affronta la sua vera unica battaglia: la morte.
La vicenda del romanzo è ambientata in un paese non identificato. Per quanto riguarda gli spazi aperti fa da grande protagonista il deserto. Non vi sono descrizioni particolarmente dettagliate di questo ambiente, viene tramandato come luogo brullo, impervio e soprattutto desolato, in questo modo, l’autore vuole, forse, dare maggiore libertà alla fantasia del lettore. Prendendo in considerazione gli spazi chiusi, l’elemento più importante è sicuramente la For-tezza Bastiani. Questa, invece, viene descritta come un’ architettura non imponente, né bella e pittoresca, con mura basse e assolutamente spoglia e sobria.
Il periodo storico in cui si svolge la narrazione non è citato. Presumibilmente rientra fra l’inizio e la fine del secolo scorso. La storia si prolunga, tuttavia, per un tempo di circa trent’anni, prende, infatti, in esame la vita di Drogo da quando arriva alla Fortezza al giorno della sua morte.
Giovanni Drogo è il protagonista della nostra storia. Un personaggio particolare e difficile da analizzare per la scarsità di personalità e carattere. Una persona mediocre, giudizio questo, dovuto alla sua mancanza di difetti e di virtù. Nello stesso tempo l’autore non cerca di farcelo apparire più piacevole dal punto di vista fisico, in quanto non vi sono descrizioni dettagliate. La presentazione della sua persona più bella nella quale lo scrittore sottolinea la relazione che c’è fra il suo aspetto e la sua importanza all’interno della fortezza è:”nessuno fece molta attenzione, a un ufficiale magro, dal volto smunto e giallastro, che scendeva lentamente le scale..” . in questo personaggio Buzzati vuole marcare anche la volontà di non cambiare che può essere giustificata dal suo cercare una sicurezza e una conferma del proprio essere. I suoi tristi sentimenti, il rimpianto dell’infanzia, l’insoddisfazione della sua vita si traducono in una desolata solitudine, della quale Drogo è sempre più consapevole.
Il capitano Ortiz ha un ruolo particolare nella vicenda, infatti, affianca Drogo nel momento dell’incontro con la Fortezza, funge da intermediario, solo con li Giovanni instaurerà un rap-porto di amicizia che si protrarrà inalterato negli anni nonostante la differenza di grado.
Simeoni può forse essere considerato l’antagonista. È, infatti, lui che infrange per ben due volte il sogno di Drogo: quello di vedere e di combattere i nemici; rappresenta molto bene coloro che no si pongono domande sul senso della loro vita, che ignorano l’assurdità dell’esistere.
La madre di Drogo è sicuramente una presenza marginale, di fatto non si conosce neppure il suo nome, eppure è il personaggio grazie al quale si evidenzia sempre più il distacco fra Drogo e il mondo esterno, il paese e il passato.
Angustina è uno dei primissimi compagni di Giovanni. È il soldato che muore durante la spe-dizione, in seguito all’avvistamento di un contingente difficilmente identificabile. Questo per-sonaggio è caratterizzato da un carattere particolare snob e quasi aristocratico, molto orgo-glioso.
Tronk raffigura l’incarnazione della massima fede al regolamento e al mondo militare, questo sua visione così schematica del mondo che lo circonda provocherà la morte del soldato Lazzari.
L’attesa… questa è la vera protagonista di tutto il romanzo. Impercettibile ma presente in ma-niera e dose costante nel testo. L’illusione che qualcosa di grande, di importante stia per accadere, qualcosa che possa riscattare la permanenza in una frontiera isolata e angusta come quella descritta nel libro. L’attesa può essere paragonata in un certo senso ad una forma di speranza che ricade negli avvenimenti senza però mutarli in maniera passiva, indifferente, distaccata: esterna.
I temi di questo libro sono vari e molteplici, ma tutti riconducibili al profondo disagio morale che prova l’uomo nei confronti dell’esistenza.
“Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su si sé una minima parte; ce se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine nella vita.”
La solitudine e l’incomunicabilità. La sofferenza scaturita da una placida accettazione dell’ “e-marginazione” a cui l’uomo è sottoposto, dal momento in cui viene stregato e ammaliato dalla propria Fortezza Bastiani, metafora e simbolo della chiusura di carattere, dell’isolamento voluto e cercato, creato attraverso una routine ferrea fatta di abitudine e piccole certezze su cui ogni personaggio fonda la sua esistenza nell’attesa di un riscatto. Emarginazione che crea lui stesso per difendersi da un mondo esterno incontrollabile e spietato con chi non si sa adattare alle sue regole. La soluzione per Giovanni drogo è quindi la “fuga” dalla realtà circoscrivendosi in un mondo fatto di ore di ronda e piccole partite a carte, scricchiolii delle porte e tonfi delle fogne, un mondo incentrato tutto su quel deserto infinito che si protrae davanti ai suoi occhi. In questo clima Giovanni Drogo spende la sua vita/non vita, è proprio lì che trascorrerà i suoi anni migliori e che si lascerà alle spella i sogni puerili per abbracciare l’illusione di poter diventare un giorno un eroe. Intanto però il tempo scorre imperterrito e così senza nemmeno avere avuto il tempo di pensarci è già tardi per cambiare vita, è tardi per tornare indietro, resta solo una malinconia accettata e consapevole e una ferrea speranza che qualcosa di straordinario possa ancora accadere!
“Il tempo intanto correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro. ‘Ferma, ferma!’ si vorrebbe gridare, ma si capisce che è inutile. Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.”
È in questa Fortezza, nella “Fortezza” di ogni individuo che si perde, maggiormente, la conce-zione del tempo, si resta sospesi tra l’egoismo, tra le speranze e le illusioni che riempiono l’animo fino a farlo scoppiare, tanto pieno da non aver posto per nient’altro. In questa sospensione la vita la si sfiora, la si vive in maniera passiva, distaccata e fredda, si perdono e si buttano all’aria occasioni d’oro sperando di intravedere fra le tenebre uno spiraglio di luce tale da poter illuminare, anche solo per un tempo brevissimo, il sentiero da seguire.
Il libro quindi termina, come termina la vita di ognuno, con l’ultima tappa, l’ultima stazione, la vera e propria battaglia la morte, a cui Drogo va incontro sorridendo, perché vede finalmente, a viso scoperto, quel nemico che sperava scendesse dal deserto.
In questo libro si ritrovano le tematiche e gli interrogativi di ogni uomo: la differenza fra vivere ed esistere, lo scorrere inesorabile del tempo, la vita intesa come attesa di un avvenimento, la solitudine e l’illogica emarginazione dell’uomo, la sospensione dell’esistenza nel dubbio e in un incertezza fatta di tantissime piccole certezze dettate dall’abitudine e dai fattori protettivi dell’individuo in questione ma soprattutto il limite sottilissimo che c’è fra ciò che è reale e ciò che, invece, è solo speranza, illusione, aspirazione, desiderio. Questi ultimi fattori se coltivati vanno, infatti, a creare nell’animo dell’uomo un involucro protettivo attraverso il quale la persona si distanzia dal mondo esterno, creandosi una sua dimensione.
Dal punto di vista stilistico il libro è diviso in capitoli, per l’esattezza trenta. Un particolare che mi è saltato subito all’occhio, è che anche attraverso la stesura dei capitoli e la distribuzione del testo in questi, si può scorgere l’azione del tempo che passa e non si ferma. Infatti, ventuno dei trenta capitoli, raccontano solo quattro anni della vita di Drogo, mentre i quattro successivi spiegano i dieci anni seguenti e così andando avanti fino a che da un capitolo e l’altro passano addirittura quindici anni: man mani che il romanzo, e la vita di Drogo, precipitano verso la conclusione, il tempo passa sempre più velocemente. in questo modo si appanna l’incantesimo della Fortezza e se ne svela l’inganno.
In alcuni capitoli sono presenti dei flashback, che hanno la funzione di approfondire elementi passati o di anticiparne altri.
Mi ha colpito molto la scelta della voce narrante; questa conosce, e lo lascia intuire, il futuro di ogni singolo personaggio, ci fa sapere ciò che questi pensano, provano, dandoci in questo modo una visione dei fatti onnisciente.
Per concludere l’analisi, il romanzo mi è sembrato scritto in lingua semplice, vicina all’uso quotidiano, sono, naturalmente, presenti linguaggi settoriali propri dell’ambiente militare in cui è ambientata la maggior parte della vicenda. Nei momenti di riflessione, contrariamente a quelli descrittivi, il linguaggio appare più ricercato e più colto. Sono presenti varie forme retoriche fra le quali spicca la metafora. La storia viene esposta in maniera chiara e lineare.
C’è chi, questo libro, lo abbandona alle prime pagine esasperato dalla lentezza della narrazio-ne e chi, seppur con fatica, arriva in fondo, convinto che sarebbe stato più semplice attraver-sare il deserto a piedi. Eppure non posso dire di aver letto un testo né insignificante, nono-stante la trama veramente inconsistente, né scialbo nei contenuti, anzi nella povertà del rac-conto sono subentrate le fantasie, le riflessioni, incalzate dall’autore, le illusioni e i giudizi ri-volti ai personaggi. Tutto questo miscelato attraverso una dose di leggera suspense che fa capolino fra una frase e l’altra. Da chiarire, non si tratta di quella tensione di un libro thriller o giallo, ma di una velata trepidazione per Giovanni che accompagniamo nel suo difficile viaggio. Una lettura faticosa ma intrigante e affascinante, nello stesso tempo molto pesante e complessa soprattutto per la quantità e l’ampiezza dei temi trattati, che portano a delle riflessioni profonde e non sempre semplici. Ed è proprio in questo palcoscenico rarefatto, la cui percezione dello spazio e del tempo si dissolvono, che si muove Drogo, il protagonista, da tutti giudicato e criticato per aver speso una vita, la sua vita, nell’attesa della gloria che purtroppo non arriva. La difficoltà di leggere questo testo la si supera soprattutto quando si inizia a conoscere meglio quest’ultimo personaggio, infatti, esaminando quel mondo immaginario, con il suo occhio critico, facendosi carico dei suoi sogni e delle sue speranze, si può cogliere l’essenza di questo libro che, ovviamente, si spinge al di là della mera descrizione di questo deserto.
Sotto la corazza caratterizzata dalla scarsità di tutto ( personaggi, ambientazione, trama) si ritrova la metafora della vita di ognuno… perché, sinceramente, chi è quell’uomo che non aspetta, magari non in modo così ossessivo, quel qualcosa che dia un senso, che porti a compimento tutto il suo vissuto? Questo fattore secondo me rappresenta la continua fuga dalla quotidianità che, se da un parte ci rassicura e ci da protezione, dall’altra ci fa paura perché ci soffoca e ci fa morire prima del tempo. Quel qualcosa che possa rimanere nella storia come segno indelebile del nostro passaggio per di “qua”.
Un libro che, nonostante sia un capolavoro, lascia l’amaro in bocca… ci siamo, infatti, ormai tutti affezionati a Giovanni, che non possiamo criticare perché, infondo, non ispira antipatia, ma che nemmeno possiamo lodare per la sua pigrizia e la sua arrendevolezza, è proprio que-sto personaggio che non riuscendo a cambiare il suo destino funge da monito per tutte le persone rinchiuse nella loro “Fortezza”, nel loro rifugio nell’attesa che qualcuno possa buttare giù le pietre e finalmente liberarle da loro stesse. Un personaggio che va preso come esempio da non seguire per non ritrovarsi soli e per non arrivare un giorno a dire:”…se avessi fatto… se avessi detto…”
Indicazioni utili
STUPENDOOOO :)
Il libro tratta la storia di due ragazzi Assaf e Tamar entrambi sedicenni nella Gerusalemme dei giorni nostri. Assaf, che durante l’estate lavora all’ufficio comunale degli animali smarriti, si trova a dover intraprendere una corsa con Dinka un labrador sperduto che lo condurrà nelle tappe giornaliere che percorreva la sua vecchia padrona Tamar: prima dal pizzaiolo fino ad arrivare in una torre in cui trova una suora: Teodora. Questa preoccupata per la prolungata assenza di Tamar racconta ad Assaf la sua storia intrecciata a quella della ragazza. Assaf che ama le storie decide di fare la parte dell’eroe e si precipita con la sua nuova compagna alla ricerca di questa misteriosa e affascinante sedicenne. Durante la corsa viene arrestato in quanto si pensa sia uno spacciatore, questo perché Tamar un po’ di tempo prima in compagnia di Dinka aveva comprato delle dosi di droga, cosa centra con tutto questo Assaf? Beh il poliziotto ha riconosciuto il cane, ma il ragazzo riuscirà a cavarsela attraverso la multa che avrebbe dovuto presentare al padrone di Dinka. Assaf chiede consiglio a Karnaf l’ex fidanzato di sua sorella con cui ha mantenuto buoni rapporti, lui non approva del tutto la decisione del ragazzo ma finisce con il cedere alle sue ragioni. Dopo il pranzo con l’amico, Assaf continua a seguire Dinka che lo porta in un quartiere sconosciuto in cui incontra Matzliah un ragazzo che conosce Tamar, lui gli racconta alcuni particolari e gli parla delle stelle e del cielo, la sua grande passione. Il giorno successivo il cane conduce il ragazzo in un villaggio abbandonato in cui trova due ragazzi, Sergej parla ad Assaf di una Tamar impetuosa e coraggiosa, gli dice che era alla ricerca di un ragazzo, forse il suo ragazzo, Sergej riportando le informazioni introduce nel racconto la parola mafia al che Assaf si preoccupa e si precipita al telefono nel quale lo attende Karnaf. I due si fermano in uno spiazzo al centro c’è una piscina, si tuffano, Assaf si addormenta ma viene svegliato da ragazzi che poi lo pesteranno. Dinka lo porta alla stazione degli autobus, al deposito bagagli dove recupera una valigia appartenente a Tamar, dentro trova abiti, cinque diari, che sfoglia e legge per avere altre notizie …
Tamar la coprotagonista si rade i capelli, e inizia a vagare per le piazze e i quartieri di Gerusalemme improvvisando la sua più grande passione: cantare. Dopo giorni due anziani signori gli fanno la tanto sospirata domanda: “ Ce l’hai un posto dove stare la notte carina?” e così la accompagnano alla casa degli artisti di Pessah un organizzazione mafiosa camuffata sotto un nome improprio per l’attività. In questa casa Tamar conosce Shelly, la ragazza con cui divide la stanza, Shelly gli presenta un po’ la vita nella casa: orrenda, ignobile, inutile, umiliante … Tamar ben presto impara la lezione e fa per tutta Gerusalemme e dintorni spettacoli in piazza racimolando una somma considerevole. Dopo un po’ di tempo dall’ingresso alla casa Tamar, ritrova Shay il fratello entrato nell’organizzazione da tempo, un tossicodipendente che con la chitarra fa miracoli, Tamar progetta di scappare con il fratello, questo infatti era sempre stato il fine della sua pericolosa esperienza. I due scappano durante un’ esibizione a due fregando gli scagnozzi di Pessah e vanno prima da un’amica intima di Tamar: Leah, e poi si rifugiano in una caverna dove la ragazza curerà il fratello e tenterà di disintossicarlo.
Assaf continua il suo percorso con la compagna che lo porterà in una piazza, nella quale si esibiva una ragazza alle prese con il violoncello, la musicista riconosce Dinka, chiede ad Assaf di salutare Tamar e gli suggerisce di scappare, ad un tratto Assaf si sente in piena sintonia con Dinka che correre per sfuggire alla presa degli inseguitori, il cane porta il ragazzo di nuova da Teodora, Assaf è sconvolto in quanto la torre è stata messa sottosopra dagli scagnozzi di Pessah… Dinka seguendo l’odore della padroncina arriva nel ristorante di Leah. Questa persuasa dalla forza di volontà di Assaf gli svela il nascondiglio: la caverna, a quel punto Assaf conoscerà finalmente Tamar e l’aiuterà con Shay. Dopo pochi giorni Pessah e i suoi vengono a sapere del nascondiglio e tentano di sedurre Shay con la droga, intimorendo non poco Tamar e Assaf. Proprio dopo aver pronunciato frasi e minacce disdicevoli, spuntano da alcuni cespugli dei poliziotti che arrestano Pessah e i suoi, tutto questo è stata opera dell’inimitabile Karnaf artefice del salvataggio dei tre. In quella medesima notte Shay torna a casa dai genitori mentre Tamar e Assaf tornano nella caverna per pensare, riflettere, tacere …(“ Quasi non parlarono. Tamar pensò che non aveva mai incontrato nessuno con cui si sentiva tanto bene tacendo”).
La storia come già detto è ambientata a Gerusalemme, una città particolare, insolita per questo genere di racconti, siamo più abituati ,infatti, a leggerla, e vederla o in sfondi religiosi o come ricordo di numerose guerre e tragici eventi, una scelta inconsueta e singolare anche se straordinaria. La cosa che mi ha colpito è il punto di vista di Grossman che sta nel farci osservare la sua città con gli occhi di due adolescenti che ci mostrano non tanto il mosaico di popoli, culture e tradizioni che rappresenta Gerusalemme e Israele stesso, ma una varietà di caratteri, una vivacità e agilità che non avrei mai pensato si potesse attribuire alla capitale.
Assaf è un ragazzo di sedici anni che lavora temporaneamente per il comune come accalappia cani. È un ragazzo curioso, orgoglioso, altruista, caparbio, ostinato e forte, tenace e risoluto nelle sue scelte, un ragazzo che matura durante la storia, diventando responsabile, crescendo attraverso le molteplici esperienze con cui dovrà combattere, soffrire e alla fine trionfare. Usando il silenzio, la riservatezza, la discrezione, la timidezza, ma soprattutto la forza che si cela in lui riuscirà a dimostrare a tutti ciò che si nasconde nel suo cuore, mostrerà agli altri la sua forza di volontà e il suo valore nelle svariate vicissitudini del racconto.
Tamar è la coprotagonista, una ragazza sedicenne che appare attraverso le descrizioni dell’autore matura, leale, responsabile, volenterosa, discreta, forte e pronta a fare tutto per le persone che le stanno accanto. È una ragazza che si trova vicino ad “amici” che non le appartengono, che recitano la parte, fatta eccezione per Teodora, Leah ed Halina ( la sua insegnate di canto). È una ragazza astuta e sveglia poiché di fronte alle difficoltà che le si presentano davanti, raggiunge sempre il suo obiettivo a qualunque costo.
Dinka è una bellissima labrador, affettuosa e docile, buona e coraggiosa, in perfetta sintonia con in due protagonisti. La si può chiamare “filo conduttore” delle due storie in quanto attraverso di lei, Assaf riesca a scoprire Tamar. È un cane gentile nei confronti dei protagonisti, ma pronto ad essere aggressivo con i personaggi negativi che per Assaf sono rappresentati nei ragazzi che lo pestano e negli scagnozzi di Pessah e che per Tamar prendono la loro forma nello stesso Pessah e nei suoi alleati.
Teodora è una suora di clausura, fin da ragazza (diciotto anni) era stata inviata in una torre con annesso un ostello per gli eventuali pellegrini. La donna è ingenua, aperta e curiosa di quello che succede al di fuori del monastero. Il suo corpo appare naturalmente invecchiato dopo cinquant’anni all’interno dell’edificio, il suo spirito e la sua mente, però, rimango quelli di una ragazza, la sua caratteristica peculiare è appunto il vedere il mondo attraverso gli occhi di Tamar, che funge da filtro con l’esterno.
La seconda grande amica di Tamar è Leah, un’ ex-tossicodipendente che aiuta in ogni frangente la ragazza anche se sa che dentro di sé potrebbe ricadere nel vortice della droga, affronta ogni momento, con disponibilità, tutte le difficoltà che gli trasmette la sua migliore amica, che è anche la migliore intrattenitrice di Noiku: sua figlia.
Shay è il fratello maggiore di Tamar, quasi ventenne, intrappolato nelle grinfie di Pessah, che gli offre protezione e droga, soprattutto droga. Quest’ultima, in particolare eroina, lo rende un musicista fantastico, un mito con la sua chitarra elettrica, nera. È un ragazzo dal carattere fragile e debole, per questo più soggetto alla dipendenza che gli stupefacenti danno. Shay è un vinto, sottomesso a un gruppo di persone apparentemente più forti di lui, vinto soprattutto nel morale, in quanto non reagisce alla sua situazione ma la aggrava con la passività con cui l’affronta.
In ultimo Pessah il personaggio negativo del racconto, è il coordinatore di un’organizzazione malavitosa, camuffata sotto il nome di “casa degli artisti”. In effetti il personaggio ha come proprietà una vecchia casa, in cui da vitto e alloggio agli artisti di strada di Gerusalemme. Sotto tutta questa storia c’è un traffico di droga parecchio vasto e redditizio, che procura la gran parte del guadagno di Pessah.
La citazione più bella che ho trovato nel libro è detta per bocca di Assaf:
“Come diceva Teo? Non cercare di capire cose che non puoi.” Una delle cose più importanti del mondo è a mio avviso avere tanta curiosità, per poi produrre e alimentare la passione che ogni persona ha, una curiosità che nutre la sapienza, una curiosità che però spesso esalta e fa veder cose che non ci sono, che ti porta a diffidare di ogni più piccolo dettaglio, che ti rende superbo, mentre per apprendere ed essere veramente sapienti bisogna essere umili di fronte alle cose più grandi, bisogna a mio avviso accettare il dubbio che si cela nella quotidianità dell’uomo, perché qualsiasi scienziato o saggio potrà confermare che la certezza non esiste in quanto rende vana la stessa verità.
Per concludere l’analisi, parliamo dello stile dello scrittore e di come ha lavorato sulla lingua. Il libro è scritto in modo scorrevole, con un lessico appropriato e dettagliato, molto ricercato nelle descrizioni e nelle riflessioni, per comunicare in modo più chiaro possibile il messaggio. L’autore gestisce in modo particolare il tempo della narrazione alternando le storie dei due protagonisti ed evidenziando lo spazio temporale tra l’avventura di Tamar e quella di Assaf, portata a termine in due giorni e iniziata quattro settimane dopo quella della ragazza. I dialoghi non costituiscono le parti principali della comunicazione, secondo me la riflessione e i pensieri sono il fulcro della narrazione del libro, reputo questa un’ottima scelta perché da spazio al lettore di ragionare e pensare alle responsabilità, alle conseguenze, a come ognuno di noi avrebbe affrontato una situazione del genere. Le descrizioni non sono molto fitte nel racconto anche se dettagliate ed essenziali per comprendere in pieno il contenuto di un paragrafo o di addirittura un capitolo.
Infine la storia la reputo una “fiaba moderna” con tutti i suoi elementi: Assaf e Tamar fanno la parte degli eroi che salvano: il primo la ragazza e la seconda Shay, attraverso l’ausilio di personaggi magici, d’aiuto ai protagonisti (Dinka e le persone che incontra durante la loro esperienza), l’immancabile antagonista che si personifica in Pessah, ma che è realmente l’incoscienza di tanti giovani, che cercano la felicità in posti o in cose sbagliate.
I temi principali del libro sono palesemente la droga e la tossicodipendenza, che vengono affrontate dai protagonisti con serietà e con responsabilità, un tema ricorrente nei romanzi adolescenziali in quanto un problema tutt’ora irrisolto e in grado di mietere vittime a migliaia. Un romanzo questo che, attraverso questo problema e la responsabilità dei ragazzi che tentano di superarlo, può essere definito di formazione, in quanto fa pensare il lettore e fa scattare meccanismi mentali che in me, hanno portato a riflettere non solo alla droga ma anche all’amore fraterno di Tamar, perché credo, che questo, sia uno dei legami più forti e indissolubili che abbiamo nella vita, ma che può essere frantumato da una realtà così demolitiva come quella della droga, che tesse, nella mente umana una sottilissima membrana, in grado di offuscare ogni cosa, anche i sentimenti più profondi, trasformando l’amore in odio, il desiderio d’aiuto in impotenza e la luce in ombra, l’ombra in macchia, sì! Una macchia che imbratta tutto ciò che tocca e che annebbia, distorce, distrugge tutto ciò che c’è di buono, facendo dimenticare all’uomo la cosa più importante: la vita è il dono più grande per ogni essere umano e la libertà, il fregio più importante!
Indicazioni utili
da leggere assolutamente!!! (spt ragazzi)
Il libro è incentrato sulla storia di due ragazze, Lou e No. Lou, tredicenne, ha un quoziente intellettivo sopra la norma: per questo ha saltato due classi, dopo aver passato un certo periodo in collegio. Lou non è una ragazza felice, infatti a casa ha una situazione familiare complessa: la madre è depressa a causa di una tragedia della quale nessuno parla mai (morte improvvisa della sorella neonata di Lou, Thais) e per questo è scollegata alla vita reale, non dimostra più affetto né per la figlia né per il padre, inoltre per quello che secondo lei è il bene di Lou, si nasconde dietro una maschera felice . I compagni di classe ignorano la ragazza per il suo carattere un po’ chiuso e l sua intelligenza mostruosa, ritenendola anormale . proprio tutti la ignorano? No, tutti tranne uno, Lucas, il re del liceo, diciassettenne, pluribocciato, che rappresenta un po’ l'antitesi di Lou (che piano piano nel libro si scopre innamorata), ma che proprio per questa ragione vuole comprenderla, Lucas sarà il solo che nel momento del bisogno si dimostrerà disponibile ad aiutare Lou. Il passatempo preferito di Lou, oltre quello di fare esperimenti bizzari, è quello di scrutare i volti delle persone per vedere impresso in essi la gioia, l'emozione, il dolore, lo smarrimento proprio per questo motivo passa la metà del suo tempo alla stazione per osservare la gente che si lascia o che si ritrova. Qui incontra Nolween, detta No, diciottenne senzatetto, la sua vita e i suoi principi appaiono traviati dalla difficile e feroce vita di strada. Le due ragazze si incontrano per caso, Lou deve fare una relazione orale come compito di scienze economiche e sociali, ( materia istruita dal temibile professor Marin) colta alla sprovvista Lou decide di fare il lavoro sulle donne senzatetto… in questo chi meglio di No può aiutarla? Con la scusa delle interviste, Lou, instaura una relazione con la ragazza, per essere precisi costruisce uno strano rapporto, fatto di odio, amicizia e voglia di vivere. Quando No si trova in difficoltà, subito, la nostra protagonista cerca di smuovere il cuore dei genitori per convincerli a dare un tetto a questa giovane donna, dalla vita molto travagliata. No nonostante tutto viene cacciata, a causa delle sue dipendenze, ma trova asilo da Lucas, che vive in una situazione familiare difficile, abita in un appartamento praticamente da solo. Ma Lou anche se pensa che la situazione sia sistemata in realtà tutto si rovescerà di nuovo infatti No è obbligata ad andarsene, per l'ennesima volta perchè il padre di Lou ha scoperto che ha trovato un posto da Lucas e che Lucas vive senza i genitori. Questa volta Lou decide di rimanere con no e di partire con lei, purtroppo o per fortuna, dopo aver passato due giorni fuori casa, No abbandona la ragazza e scomparendo, lasciandola sola e infelice anche se più matura e forte.
La storia è ambientata in Francia precisamente a Parigi, una città particolare, dato che sempre esaltata per la sua grande storia e per i suoi importante siti artistici, tuttavia questi elementi vengono messi in secondo piano dall’autrice che ci permette di guardare a questa città, attraverso gli occhi di Lou, con sorprendente concretezza evidenziando sia i lati positivi che gli innumerevoli problemi presenti in una realtà così vasta e varia. Anche se l’ambientazione e lo spazio temporale nel racconto non sono elementi principali, dato che fanno da sfondo alla vicenda, è sbalorditiva la ricercatezza di dettagli che creano un quadro completo di luoghi particolari della “ville” francese per eccellenza ( gare d’Austerliz per esempio).
Lou è una ragazza tredicenne con un quoziente intellettivo sopra la norma. È una persona discreta. Chiusa in se stessa, molto riservata, si accontenta e compiace di vedere negli sguardi altrui sentimenti ed emozioni che non s’immagina di poter provare. È una ragazza fragile, appare debole e poco tenace prima dell’incontro con No. Durante la vicenda matura, cresce non intellettualmente ma prende coscienza di alcuni “optional che possiede la sua automobile”. È inoltre avvolta nel trauma familiare che condiziona la sua vita, il suo modo di pensare e di vedere, ma soprattutto che la rende quasi indifferente nei confronti dei genitori, soprattutto della madre che dopo la morte della sorella, è caduta in depressione, lasciandosi avvolgere da un alone di felicità apparente che contribuisce a creare in Lou una dimensione e un pensiero totalmente negativo sulla madre. Il padre gli è più caro anche se per quanto cerchi di non dare a vedere la sua sofferenza e il suo dolore, provando a reagire, subisce passivamente l’onda “depressiva” trasmessagli dalla moglie.
No è una diciottenne, una homeless: senzatetto. Una ragazza con un passato difficile, infatti è il frutto di una tremenda violenza alla madre, che mai si curerà di lei affidandola prima alle cura dei nonni e poi in balia di se stessa, attraverso assistenti sociali, case di prima accoglienza e infine la strada, immensa, piena e vuota, fredda e calda, ospitale e feroce, chiara e ambigua allo stesso tempo … No è una ragazza cresciuta precocemente, particolarmente fragile e debole, non è tenace affidabile … una persona che sicuramente non si può lasciare in balia di se stessa, la si deve sempre confortare con una presenza costante e un dialogo continuo, se si sente abbandonata è la fine! La vicenda di No anche dal punto di vista letterario è la più realistica, mette in evidenza la mutevolezza e precarietà della vita.
Lucas è il leader del liceo, completamente disinteressato nei confronti della scuola, un ragazzo, strafottente e arrogante nei confronti dei professori. Non vive sicuramente la scuola come momento importante, mentre cerca di capire le idee e i pensieri di Lou, le sue preoccupazioni per No, per la scuola e per tutti quei suoi complessi, un po’ troppo “da grande” che magari lui non capisce fino in fondo, nonostante questo cerca di starle vicino. È uno di quei ragazzi la cui personalità straripa, incontrollabile e prorompente.
La madre e il padre di Lou sono assorbiti in una realtà completamente distaccata da quella vissuta dalla figlia. Sono rimasti a quella mattina tragica in cui la madre scuoteva il corpo inerme di Thais. La madre piombata in depressione, non riesce a reagire neanche pensando alla figlia, recita come da copione e non si interessa di Lou e di suo marito. La vita infatti non è un gioco di ruolo ma un momento di affetto forte e costruttivo. Il padre è molto più forte e tenace anche se immerso anche lui nella nebbia del ricordo e del dolore per questo non riesce ad aiutare e a sostenere né la figlia e né la moglie. Il padre e soprattutto la madre si riprenderanno dal trauma solo quando la stanza occupata dalla seconda figlia sarà abitata da No e il vuoto creatosi all’interno della famiglia sarà finalmente colmato.
“Le cose sono quello che sono” questo secondo me è il messaggio di tutto il libro. A questa affermazione Lou risponde con tutta la forza, l’entusiasmo, l’incoscienza e la fede dei suoi tredici anni. Lou cerca in questa storia di cambiare le cose storte, proprio come fanno un po’ gli utopici e i sognatori. Anche se la ragazza non si limita a immaginare, cerca in tutti i modi di salvare No al suo destino, lotta in tutti i modi e contro tutti per questo. Questo libro secondo me non è un sogno di un adolescente sottoposto alle prove della vita reale è invece uno sguardo del mondo attraverso gli occhi di una ragazzina strappata all’infanzia, cresciuta troppo in fretta, abbandonata a se stessa, in piena solitudine, una riflessione a quanto sia facile perdersi, delle volte. È uno sguardo a ciò che cerchiamo e a ciò che manca, a volte per sempre.
Per quanto il libro è carente di descrizioni, per quanto è intriso di riflessioni, dalle più ovvie ad alcune veramente interessanti e stimolanti. Come l’interrogativo che le pone la madre:” Cosa c’è che non va?” una domanda qualunque a cui tutti pensano di poter rispondere, e proprio quando si pensa di essere riusciti a comprendere la soluzione ecco che un dubbio, un’incertezza o semplicemente un lieve capovolgimento delle cose e la risposta non è più attendibile. A volte più che la precedente domanda bisognerebbe chiedersi “Cosa c’è che invece funziona?” in mezzo a mille problemi e a mille complicazioni che fanno parte della vita in sé, ci sono momenti di debolezza e fragilità in cui degli interrogativi come questi sono normali e anzi incoraggiati penso dalla coscienza di ognuno, davanti all’impotenza dell’individuo che si pone queste domande si crea e costruisce un muro tanto tanto alto per isolarsi e nascondere la propria inadeguatezza.
La storia dal punto di vista narrativo e stilistico è secondo me molto complessa. Il libro è scritto sotto forma di monologo interiore, per questo a volte segue percorsi tortuosi e complessi in linea con i pensieri della protagonista, sono ogni tanto omessi i soggetti. In alcuni tratti la storia presenta feedback, alcune sue riflessioni sono lasciate in sospeso proprio come quando si pensa e si conclude il ragionamento non avendo trovato la risposta giusta. Dal punto di vista stilistico penso che siano molto carine e soprattutto chiarificatrici le metafore usate dall’autrice (v. l’automobile), il lessico mi pare abbastanza ricercato nonostante la tecnica utilizzata. Ho notato un largo uso di aggettivi per qualificare meglio le idee, le impressioni e le esperienze complesse della protagonista. I dialoghi sono scarsi, anche se vengono a volte riportati i passaggi più importanti di un colloquio. Le descrizioni sono rade e poco dettagliate e minuziose usate giusto per dare al lettore una vista più ampia, che non si sofferma solo sul carattere dei personaggi e sui pensieri di Lou, ma che caratterizza anche l’ambiente intorno.
I temi principali del libro sono palesemente i senzatetto, che non sono intesi come persone randagie e vagabonde che girano per strada elemosinando, ma come individui colpiti dalla “sorte” o da problemi legati per esempio alla crisi economica attuale. Persone battute dall’imprevedibilità della vita che un giorno ti fa avere un lavoro anche ben retribuito e il giorno dopo ti fa trovare in mezzo di una strada, senza neanche spiegarti il perché e il come questo è accaduto, questa problematica viene affrontata dai protagonisti con serietà e responsabilità anche se a volte caratterizzata dall’incoscienza della giovane età.
Questo racconto mi ha portato a riflettere, inoltre, sulla difficoltà di vivere in una famiglia così fortemente segnata da un trauma. Il mio pensiero è rivolto al dolore indicibile che sicuramente provano i genitori e allo stesso tempo allo stato di abbandono in cui è immersa Lou. Lou non è una ragazza povera, anzi ha una condizione economica agiata, ma la sua vera povertà sta nel non aver mai provato affetto, felicità, non aver mai passato un Natale in famiglia, uno di quei Natali veri non intrisi di menzogna, come lei stessa dice, il grande dramma di Lou è quello di essersi sentita strappare all’età di otto o nove anni periodo forse più bello e spensierato della sua vita. Mi metto nei panni di questa bambina obbligata a crescere prematuramente, a pensare alle conseguenze di ogni sua azione come potrebbe fare solo una persona molto più grande, senza poter contare sull’appoggio della madre, perché il suo stato mentale è in condizioni tali da non poter più neanche lavorare, e del padre fuori per lavoro, è questa la cosa triste la violenza che subisce questa bambina da parte dei genitori incoscienti di infliggergliela, nel silenzio e nella nebbia di una famiglia apparentemente felice e senza problemi, una violenza che secondo me ha un retrogusto di ipocrisia condito da tanta solitudine.
Dovendo esprimere un mio giudizio sul libro letto posso dare un riscontro totalmente positivo. Ho apprezzato il libro per la sua chiarezza e limpidezza, per le riflessioni che scaturiscono da dialoghi e situazioni importanti, un libro che considero formativo, che fa aprire gli occhi a una realtà diversa che non è propriamente quella dei senzatetto, ma quella di ogni persona che non valutando e conoscendo la propria personalità, i propri obiettivi e i principi cardini della sua esistenza si sente un senzatetto, non perché non ha casa, ma perché è incosciente di quello che è veramente. Un libro che parla comunque della ricerca a volte frenetica di una individualità, ricerca che caratterizza il periodo dell’adolescenza vissuto dalla protagonista e dai suoi coetanei. Mi è piaciuta particolarmente la scelta dell’autrice nel utilizzare come registro linguistico il monologo interiore che può essere visto restrittivo in quanto propone un solo punto di vista ma che in questo caso secondo me risulta molto efficace. È bello l’entusiasmo di Lou ,che trapela tra le righe della vicenda. Ho letto questo libro in pochi giorni, mi è parso molto scorrevole e se interpretato correttamente, e non come un semplice e banale resoconto delle avventure di una tredicenne , può essere d’aiuto per rispondere a tante domande che penso i ragazzi della mia età si formulano … come si possono cambiare le cose? Che ruolo dobbiamo assumere noi all’intero di una società? Come dobbiamo vivere i problemi passivamente o con la voglia di lottare che trasmette la protagonista? Non penso di sapere la risposta esatta a questi interrogativi, sicuramente però il libro mi ha incitato ha non arrendermi e a lottare per le cose in cui credo.
Indicazioni utili
CATTIVO .... MA REALE
“Alice Della Rocca odiava la scuola di sci.” Inizia così il romanzo d’esordio di Giordano che alcuni di noi hanno letto in questo mese.
Il libro racconta la storia di Alice e Mattia, la prima ha sette anni e frequenta una scuola di sci, pur non mostrando alcuna attitudine allo sport non ha il coraggio di affrontare il padre che ripone in lei grandissime aspettative, una mattina, però, Alice si stacca dal gruppo, esce di pista finendo giù per un dirupo, la bambina in seguito all’incidente rimarrà zoppa. Il secondo, Mattia, è un bambino intelligentissimo al contrario la sorella gemella Michela è ritardata, la presenza costante della bambina isola Mattia dai coetanei che lo ritengono molto strano…
Un giorno inaspettatamente Mattia riceve un invito alla festa di compleanno di un bambino, il nostro protagonista vorrebbe andare da solo ma obbligato dalla madre a prendere con sé Michela, decide di lasciare la sorella nel parco con la promessa di tornare a prenderla, purtroppo però la bambina sparisce e non viene più trovata dai genitori. In seguito a questi traumi infantili si innescano nelle menti dei bambini particolari reazioni. Alice soffre di anoressia e viene continuamente presa in giro dai compagni per il fatto che zoppica, un giorno però viene accolta sotto la protezione di Viola, la compagna più bella della classe, e aiutata da lei cerca di fare colpo su Mattia, che nel frattempo si è chiuso ancora più in se stesso e spesso ha pericolose tendenze autolesioniste.
Nonostante le problematiche di questi ragazzi i due riescono a legare molto bene, prima diventano buoni amici e poi scoprono qualcosa di più profondo nel loro rapporto, purtroppo nessuno dei due avrà mai la tenacia e il coraggio per combattere e riconoscere il loro reciproco “amore”. Quella di Alice e Mattia è una relazione molto particolare ognuno si limita a vivere nella propria autonomia e individualità ma nello stesso tempo entrambi si cercano disperatamente. Questo accade anche dopo il liceo quando Mattia decide di iscriversi alla facoltà di matematica e Alice, che in un primo momento, sotto l’influenza del padre, decide di proseguire gli studi, diventa fotografa.
Nello stesso periodo Fernanda la madre di Alice si ammala di cancro e viene ricoverata in ospedale, qui Alice incontra Fabio un dottore molto giovane con cui lega abbastanza velocemente. Dopo la laurea viene offerto a Mattia un lavoro in un università del Nord Europa, il ragazzo non sa se accettare e in questo contesto che Mattia racconta ad Alice di Michela. Dopo una discussione fra i due protagonisti Mattia decide di accettare l’offerta di lavoro e si trasferisce. Dopo qualche anno Alice si sposa con Fabio, un matrimonio il loro che declina lentamente, Fabio infatti desidera un figlio che però purtroppo non arriva, per questo motivo si vanno a formare delle tensioni nella coppia che vanno a sfociare in una inevitabile separazione. Alice nel disperato tentativo di riassemblare i pezzi di una vita coniugale dilaniata corre in ospedale da Fabio, ma invece di trovare il marito intravede una ragazza che somiglia tantissimo a Mattia, così le riviene alla mente Michela e sull’onda di una soddisfazione personale per aver ritrovato la gemella del protagonista invita Mattia a tornare in Italia. Anche se il ragazzo non sa il motivo dell’avviso si reca da Alice, ma questa non avendo il coraggio di raccontare la scoperta a Mattia si limita a passare un piacevole pomeriggio con lui. Nel frattempo il protagonista consegue grandi successi nel mondo del lavoro e una sera conosce una ragazza Nadia con cui avrà un piccola storia. Il libro termina con la separazione dei due ragazzi che però sono pronti l’una ad affrontare la separazione dal marito e l’altro a iniziare una nuova vita.
La storia è ambientata in Italia precisamente a Torino anche se l’autore non fa rifermino al capoluogo di regione piemontese lo si può intendere attraverso i monumenti e/o gli edifici citati come la chiesa della Gran Madre dove si è sposata Viola, la basilica di Superga oppure l’ospedale di Maria Ausiliatrice dove è ricoverata Fernanda.
Mattia Balossino è un ragazzo intelligentissimo e molto particolare, infatti, racchiude in sé tantissime problematiche. Segnato da un trauma infantile è caratterizzato da una personalità estremamente riservata, chiusa in se stessa, sfugge al mondo reale per nascondersi in un mondo di numeri, è un ragazzo molto insicuro, fragile ma determinato questo si vede dalla tenacia con cui ha risolto il problema da inserire nella tesi sfidando la poca fiducia che riponeva in lui il professore, lo si può definire un ragazzo vuoto non perché insensibile ma perché non ha affetti derivanti dal mondo esterno. Questa situazione in parte se l’è creata da solo scavando un fossato intorno a lui e impedendo agli altri di oltrepassarlo. Alice e la matematica sono forse le poche ragioni che lo tengono invita. È un ragazzo morso dai sensi di colpa cerca di esternare i suoi sentimenti e le sue sofferenze in occhiate fugaci o attraverso atti di autolesionismo.
Alice la incontriamo per la prima volta all’età di sette anni, purtroppo non ha il coraggio di ribellarsi al padre che la vorrebbe precoce campionessa di sci e che tutte le mattine, invece di consentirle di godersi le vacanze in montagna, la trascina in un campetto, affidandola ad un maestro di sci insieme ad altri bambini della sua età. Si sente particolarmente inadeguata e goffa e vive la situazione come una terribile costrizione, in seguito riterrà responsabile del suo incidente il padre. È una ragazza compatibile con Mattia, forse fin troppo compatibile. È sola, ma non fa niente per integrarsi, non si accetta e non si vuole bene, combatte contro il cibo per raggiungere lo stereotipo di Viola, ma nello stesso tempo comprende da sola di non essere adeguata a quel ruolo, è impacciata nelle nuove relazioni, ha un rapporto difficilissimo con il padre e anche con la madre a cui non attribuisce nessuna colpa se non quella di aver sempre taciuto accondisceso le scelte educative del marito senza mai esprimersi, forse Alice è così insicura e fragile anche per non avere avuto due figure importanti nella fase sia infantile che adolescenziale, infatti, viene presa in considerazione dal padre solo quando si parla, da bambina di sci e da grande di università, i genitori non ascoltano la figlia e non tentano di capirla anche se si preoccupano per il suo continuo rifiuto nei confronti del cibo. Alice incarna tutti i problemi degli adolescenti ( disturbi alimentari, disturbi della personalità, conflitti tra genitori, inadeguatezza nei confronti del gruppo amici) senza però avere la tenacia e il coraggio necessari per affrontarli.
Michela è la sorella di Mattia non la si può analizzare psicologicamente in quanto ritardata mentale, ma si può prendere in considerazione il suo ruolo nella vicenda. Come già detto è la gemella del protagonista, la ragione per cui Mattia si torturerà tutta una vita, il rimorso più grande, quello di averla lasciata al parco, di lei si ricorderà solamente lo sguardo di pietà che le rivolge quando imbocca la strada per la casa di Riccardo. Michela personifica la non accettazione della diversità. La diversità che fa male e che ti porta a pensare che la normalità è l’ordinarietà, ovvero una sorta di standarlizzazione dei sentimenti. Un mondo in cui tutti devono essere uguali a tutti. Un mondo dove un papavero rosso in un campo di grano non rappresenta la decorazione ma un fiore da estirpare per non rovinare la monocromia, unico modello stilistico di riferimento accettato dalla società. Mattia abbandonerà la sorella al suo destino in un parco. È proprio in nome di quell’ordine che poi Mattia si chiuderà in se stesso rifiutando il mondo esterno e rifiutando, per certi versi, se stesso.
Viola è la ragazza più gettonata nella classe di Alice, che vede in lei l’idolo da seguire. Per un certo periodo di tempo Viola vede nella protagonista un’amica da aiutare, per questa la invita alla festa di compleanno e la incoraggia a parlare con Mattia. Per la ragazza, Alice si farà addirittura un tatuaggio che chiederà a Mattia di cancellare senza però che lui acconsenta. Viola abbandona Alice perché la vede soddisfatta mano nella mano con Mattia, felice di qualcosa che a lei era stato negato precedentemente, è una ragazza gelosa, invidiosa e un po’ egocentrica.
Denis è il migliore amico di Mattia. È segretamente innamorato di lui, anche lui a causa dell’omosessualità fa molta fatica a legare con gli altri. Nonostante il carattere scontroso di Mattia sarà uno dei pochi ad essere capace di stargli vicino. Dopo il liceo l’università le loro vite si separano uno va a lavorare nel nord Europa e l’altro va ad abitare in Spagna.
Infine Fabio è il dottore dell’ospedale in cui è ricoverata Fernanda, lì conosce e si interessa di Alice che alla fine sposerà. La ragazza non ama il marito ma lo sposa convinta da lui che l’amore di Fabio basti per tutti e due. Il rapporto fra i due inizialmente è di grande complicità e armonia mentre verso la fine appare conflittuale e si chiude con una separazione.
Le citazioni che secondo me possono riassumere il libro sono essenzialmente due:
“Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.”
“Aveva imparato a rispettare il baratro che lui aveva scavato tutto intorno a se... anni prima aveva provato a saltarlo quel baratro e ci era cascato dentro... ora si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto!”
Il libro ha una narrazione non proprio lineare in quanto fra un capitolo e quello successivo solitamente intercorrono anche più anni fatta eccezione per i primi due fra cui c’è solo un anno, per il resto il romanzo è gestito bene senza feedback o altri particolari escamotage del genere da parte dell’autore. La narrazione tutto sommato è chiara, concisa, sintetica anche se nello stesso tempo può sembrare ambigua e oscura, lì sta al lettore scavare dietro le righe e cercare il vero significato, il vero messaggio che l’autore vuole trasmettere, traspare un lessico non troppo ricercato. È un libro molto scorrevole, si legge molto velocemente anche grazie ad un crescendo che si va ad intensificare sempre più capitolo dopo capitolo sfociando in un finale inaspettato ma che comunque rispecchia le personalità dei ragazzi. Vi sono alcuni dialoghi toccanti e alcuni passaggi veramente commoventi, vi sono alcune descrizioni anche se non troppo curate l’autore, infatti, non si prefigge, secondo me, di illustrare al lettore le sembianze o le esteriorità delle persone o dei luoghi presi in considerazione ma la parte più intrinseca di essi, quella più remota e inaccessibile.
I temi principali sono molteplici e svariati, quelli che si presentano più frequentemente e palesemente sono l’anoressia e l’autolesionismo che in questo caso scaturiscono nei protagonisti a causa di situazioni familiari conflittuali e principalmente per il fatto che Mattia e Alice non si vogliono bene, sono indifferenti a loro stessi, queste problematiche possono essere inserite nei disturbi della personalità che nel nostro caso derivano dalla grandissima solitudine che circonda i protagonisti, solitudine che per altro si sono creati loro stessi con le loro scelte e con le loro azioni.
Un altro grande ostacolo nella vita di Mattia e Alice è il rapporto con i genitori che non li rassicurano e non li incoraggiano ad affrontare le situazioni e le problematiche di cui la vita è intrisa al contrario i genitori di Alice non la considerano più di tanto, sì sono preoccupati e dispiaciuti perché non riescono a svolgere il loro compito: educare la figlia ad affrontare la vita, i genitori di Mattia invece sono quasi impauriti per la stranezza del figlio che oltre a non avere legami con il mondo esterno si chiude sempre più in se stesso esternizzando ed esorcizzando il male che ha fatto a sua sorella sulla sua pelle. Questi rapporti conflittuali li abbiamo visti anche negli altri libri letti in classe tra cui vediamo Cristopher protagonista de “ lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” con il padre che viene visto un po’ come l’antagonista del racconto e allo stesso modo si vede questo rapporto particolare tra padre e figlio nel romanzo “io non ho paura”.
La vera protagonista di questo romanzo rimane però la solitudine. La solitudine che avvolge tutte le cose, la solitudine che esiste e sussiste anche se siamo insieme a tantissima gente, una solitudine interiore, non sentirsi parte del mondo che ci circonda, sentirsi diversi e per questo emarginati. sia chiaro questo tipo di solitudine solitamente non te la crea attorno la società ma sei tu con i tuoi pensieri e con le tue ossessioni che te la formi intorno e finché non prendi coscienza della tua situazione sicuramente quella sensazione di inadeguatezza verso il mondo esterno non ti lascerà.
Molti pensano che sia un brutto libro, non l’ho trovato brutto forse cattivo, un libro cattivo perché esprime in modo chiaro e un po’ crudo le svariate situazioni che si possono presentare nel corso della vita. mi è sembrato un romanzo estremamente verosimile, questa mia opinione è nata soprattutto dalla grande delusione del finale ma che riflettendo meglio e a mente fredda si addice perfettamente all’idea che vuole dare l’autore dell’esistenza dei protagonisti, infatti, volendo rispecchiare la loro vita di certo non si può pensare che dopo quasi trent’ anni / duecentocinquanta pagine di tentennamenti e solitudine Alice e Mattia si svegliassero non è, infatti, possibile che avvenga un cambiamento così profondo e radicale nell’animo di due persone fermamente circondate dal vuoto, non è possibile che Alice un mattina si svegli e pensi oggi finalmente dico a Mattia che lo amo e che starò con lui per sempre! Sarebbe una clamorosa contraddizione alle duecentocinquanta pagine precedenti! Detto questo che il libro mi è servito tanto per analizzare una nuova sfaccettatura della psiche umana quella che prende in considerazione le molteplice debolezze, insicurezze, fragilità derivate da traumi profondi e radicati nell’uomo, ho apprezzato moltissimo tutte quelle definizioni della parola solitudine che l’autore lancia dietro ad ogni riga, ad ogni dialogo, ad ogni descrizione contribuendo a farmi conoscere nuovi modi di vedere questa senza però essere invadente o ripetitivo. Ho trovato molto originale e intrigante l’introduzione, di solito l’incipit è la parte , a mio pare, più complessa nella stesura di un romanzo in quanto bisogna presentare i personaggi, i luoghi, le problematiche e spesso può risultare un passaggio noioso, al contrario ne ”La solitudine dei numeri primi” ho riscontrato un’ introduzione particolarmente interessante che sicuramente mi ha incoraggiato a proseguire nella lettura. È un libro da valorizzare anche per le tematiche che tratta, certo lo stile dell’autore è a mio avviso ancora un po’ da formare ma rimane comunque una buonissima prova sia di talento sia di coraggio in quanto non trovo semplice cimentarsi su problematiche di questo livello al primo romanzo. Ma la prima cosa che mi ha colpito nel libro è stato il titolo, così intrigante, pieno di intelligenza e originalità, l’ho trovato molto arguto, è stata un po’ una delusione sapere che è stato il titolo originale dato da Giordano è “Dentro e fuori dall’acqua” e che la Mondadori lo ha cambiato in favore di quello che tutti noi conosciamo.
Forse ci sono troppe cose in questo romanzo. Troppi tormenti, troppe tensioni, troppe sfumature. Forse troppi temi. Ma mi chiedo: non è la vita stessa che ha dentro di se tutte queste cose? Questo libro è un libro che si legge in apnea e che in apnea ti lascia quando lo hai finito. Sarà anche questo un indicatore che ci dice che è un buon romanzo destinato forse a rimanere nel tempo!
Indicazioni utili
romanzi di formazione
un po' SEMPLICE ma di grande EFFETTO
CONTIENE SPOILER
“Ogni cosa è un colore. Ogni emozione è un colore. Il silenzio è bianco. Il bianco infatti è un colore che non sopporto: non ha confini” questo è l’incipit del libro rivelazione di Alessandro D’Avenia, un romanzo che parla di Leo, un sedicenne che frequenta la prima liceo e che si annota le sue riflessioni su questo quaderno. È la storia di un adolescente che inciampa nei problemi che caratterizzano quell’età e sfugge a questi grazie a un motorino o al suo ipod, un ragazzo che i sente solo terribilmente solo, per questo ha bisogno di uscire e farsi guardare, perché se qualcuno lo nota finalmente non sarà più invisibile: Bianco. E poi c’è il rosso, il colore delle emozioni, il colore dei capelli di Beatrice, questo è il vero sogno di Leo anche se lei non lo sa. Leo ha anche una persona su cui poter contare sempre e in ogni momento è Silvia la sua migliore amica, quella che lo aiuta in ogni situazione. Quando però Leo scopre che Beatrice ha la leucemia e che questa malattia ha qualcosa a che fare con il bianco, dovrà svuotarsi delle sue vecchie condizioni e riemergere da questo grande colpo con una consapevolezza e maturità nuova pronto ad affrontare la vita nella sua pienezza che comprende la gioia e serenità e la sofferenza. E così nel libro si affronta una graduale evoluzione di pensiero e di comportamento da parte di Leo che incarna le crisi esistenziali, le difficoltà, le domande tumultuose che si nascondono nell’animo di ogni ragazzo/a.
Il testo è scritto in maniera scorrevole e fluida anche se inaspettatamente dietro ogni riga, dietro ogni parola vi è una riflessione particolare e sempre diversa che viene collegata con quella prima e quella dopo, ho trovato il libro in stretta connessione dalle prime pagine fino alle ultime in cui si denota una relazione tra la prima visione di Leo sulla vita che cambia gradualmente fino ad arrivare alle ultime pagine in cui si comprende appieno il profondo cambiamento avvenuto nell’animo del ragazzo. Ci sono pochi dialoghi, le frasi sono corte e martellanti, incisive e sintetiche. Le riflessioni sono invece la caratteristica più preponderante nel libro, presenti ora in modo sottile solo per chi le sa cogliere ora in modo molto più chiaro e diretto. Il linguaggio non è difficile perché cerca di adeguarsi alla parlata dei giovani di adesso cancellando per esempio alcuni congiuntivi.
I veri protagonisti in questo romanzo sono i colori:
Il bianco ovvero l’assenza, l’invisibilità, il non essere. Quel niente che opprime e soffoca Leo che viene paragonato alla solitudine in cui si trova e alla disperata voglia di attenzioni che cerca in ogni momento per poter esistere, il bianco è l’antitesi delle emozioni è l’impassibilità e indifferenza di fronte a tutto e a tutti, quel vuoto che alberga dentro a Leo, quel vuoto che incarna la mancanza di sogni, di desideri di sproni per vivere la vita non con felicità ma con serenità, con quella grinta e quella carica che ti spinge avanti quella sfrontatezza di fronte ad ogni difficoltà.
Il rosso è l’amore, il calore, la passione, è l’opposto del bianco è il tutto, rappresenta le ambizioni i sogni e la voglia di vivere, rappresenta le emozioni vissute nella loro totalità, le sensazioni e gli stati d’animo che uno prova, attenzione il rosso non è la serenità ma la volontà di afferrarla in tutti i costi, è la forza che uno ha nell’affrontare le difficoltà lungo un percorso non è detto che poi si riesca a raggiungere ciò per cui si combatte ma è quel voler dire io non mi arrendo di fronte hai problemi della vita e alle sofferenze io lotto con tenacia e caparbietà per difendere i miei progetti o i miei ideali. Il bianco è scansare le complicazioni mentre il rosso è difendere i propri principi e le proprie aspettative.
Facendo una ricerca ho scoperto che bianco in greco si dice Leukos mentre rosso Ai-ma, dall’unione di queste parole si crea Leucemia il primo vero ostacolo in cui Leo si imbatte e che decide di combattere con coraggio arrivando a fare donazioni di sangue per Beatrice, arrivando ad amare la scuola per Beatrice fino a fargli delle presentazioni in PowerPoint per illustrargli i suoi posti preferiti con la promessa di portarla dopo la guarigione. Anche se l’epilogo è tragico, segnato dalla morte della ragazza, ora Leo riesce a superare questo non con l’indifferenza o con l’impassibilità che aveva prima per ogni cosa ma con le lacrime e attraverso queste nota la nascita di una nuova persona forgiata dal più grande maestro nella vita: il dolore.
Attraverso questo e grazie all’aiuto del Sognatore ( un supplente che ha spiegato ai ragazzi il significato dei sogni paragonandoli a delle spinte per andare avanti nella vita) Leo uscirà da questa fase della vita fortificato ma non inattaccabile, la testimo-nianza del suo cambiamento sta anche nel linguaggio che all’inizio risultava a volte poco espressivo e inconcludente mentre alla fine risulta maturo e consapevole. La cosa più bella di questo racconto è proprio il genere: romanzo di formazione, grazie a questo ti stupisce dell’evoluzione lenta e continua che Leo ha sotto i tuoi occhi, cresce e si sviluppa soprattutto nella concezione delle cose e in alcuni tratti peculiari del suo pensiero infatti alla fine capisce che il bianco non è tutto che si può contrastarlo, che il primo passo per non sentirsi soli è cercare di capire gli altri e togliersi quelle smanie fanciullesche come il voler avere l’attenzione a tutti i costi, come essere coscienti che il vero significato della solitudine non è non essere notato ma non avere persone al fianco che ti capiscano e che ti stiano vicine per quello che sei non per quello che fai o per quello che indossi. Leo inizia il suo percorso con questa frase:” Mi sento un errore, un errore di ortografia. Una doppia dove non ci va, un "fà" con l'accento. Un colpo di bianchetto e io sparisco, come tutti gli errori. Il foglio resta bianco, pulito, e nessuno vede il dolore nascosto dietro quello strato bianco.” E arriva alla fine totalmente diverso una diversità che si può percepire appieno solo attraverso le sue stesse parole: “Il mio sorriso dice senza parole che quando cominci a vivere davvero, quando la vita nuota dentro il nostro amore rosso, ogni giorno è il primo, ogni giorno è l'inizio di una vita nuova. Anche se quel giorno è il primo giorno di scuola” certo è un libro un po’ sdolcinato e mieloso, colmo di sentimentalismi eppure dopo questa corazza si percepiscono i complessi di un sedicenne chiuso in se stesso che cerca disperatamente aiuto, che urla aiuto ma che non viene udito se non da il Sognatore, quell’aiuto carico di domande, di perché, di insicurezze viene accolto subito dal professore che cerca in tutti i modi di aiutarlo, interrogandolo con severità e nello stesso tempo facendogli veder il alto comprensivo di lui, quella parte del prof. che lo vuole tirare su, che lo vuole sorreggere che lo vuole soddisfare nella sua curiosità.
La parte dei commenti che mi piace di più oltre al giudizio personale in cui mi posso sbizzarrire in critiche e approvazioni è quello in cui mi viene chiesto di analizzare una citazione, in questo libro mi trovo in seria difficoltà, questo perché ci sono talmente tanti spunti di riflessione che non so decidermi alla fine ne ho trovata una che più delle altre mi ha colpito: “I sogni sono come le stelle: le vedi brillare tutte quando le luci artificiali si spengono, eppure stavano lì anche prima. Eri tu a non vederle, per il troppo chiasso delle altre luci." questa secondo me è la chiave di lettura del libro. I sogni come sprone per andare avanti nel tortuoso viaggio che è la vita… attraverso questo Leo riesce a farsi forza a crescere e a maturare cercando di combattere e lottare strenuamente per arrivare alla meta: il proprio desiderio, il proprio sogno, la storia di Leo è quella di un ragazzo normale che dal niente dal bianco riesce a rinascere in un mare di rosso, di amore, sensazioni, emozioni, di calore, di passione, di partecipazione, il primo passo per rialzarsi è appunto trovare un sogno e prendere coscienza del mondo che lo circonda, da questa evoluzione di pensiero scaturisce questa frase, perché il sogno di Leo è Beatrice e dentro lui è sempre stato così solo doveva rendersene conto.
Indicazioni utili
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |