Opinione scritta da MrsRiso13
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La ruga del perplesso
La scrittura puntuale, precisa e stilisticamente corretta salva questo romanzo talvolta ironico, ma annacquato all’inverosimile, con personaggi e storie tra loro scollegate e poco interessanti.
Alla fine dell’Ottocento in bilico tra Bellano e Torino, da una parte si trova la nascita della moderna psichiatria, con i suoi successi e i suoi inciampi, a fare da sfondo a una storia noir e dall’altra il rettorato del santuario di Lezzeno è l’habitat di screzi tra poveri di tasca e di spirito.
Avere la pretesa di cercare un legame tra le vicende narrate potrebbe risultare ostico, si possono tuttavia considerare sostanziali contatti tra i mondi: due muliebri trait d’union e il loro rapporto.
La Birce, giovane contadina di “sedici anni e il destino stampato in faccia: una voglia blu sulla guancia sinistra che sembrava il lago di Como. Solo che ogni tanto diventava rossa” e la sua benefattrice Giuditta Carvasana, “intenzionata a fare del bene”. Grazie, si fa per dire, a questi personaggi, la scienza e la ricerca di Cesare Lombroso, i suoi denigratori e i suoi accoliti si accostano alle miserie e alle invidie quotidiane dei poveracci del tempo. L’acerbo studio delle malattie mentali si mischia alle pettegole e ai furti da pollaio senza riuscire a convincere.
Non di meglio è la trama noir dove i delitti esaltati dal messaggio matematico che fuoriesce “dalle tasche delle sventurate” cedono di fronte a una vaga indagine e a un’inesistente ricerca dell’assassino, alimentando numerosi dubbi sul perché quella che sembra un’equazione differenziale del modello preda-predatore di Lotka-Volterra, sia stata scomodata con così poco profitto.
Da leggere in mancanza di altro!
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Apparire e non essere
Storia di donne, di promesse tra donne, di imposizioni tra donne, di cattiverie tra donne. In una Pechino settecentesca, tra giardini rigogliosi e palazzi sfarzosi, tra nobili famiglie e ricchi decaduti, la storia di una ragazza catapultata da un piccolo paese alla dura realtà della corte, dove conoscerà l’amore e l’impossibilità di viverlo. Trame di palazzo e di matrimoni combinati in cui le donne sembrano far da sfondo, relegate nelle loro prigioni dorate.
I vestiti di sete fluenti svolazzano tra le stanze, in luoghi aperti a pochi, desiderati da molti, in apparenza lontani dalla vita politica ed economica, ma, in realtà, vero fulcro delle vicende. Luoghi da cui, le donne, dettano il loro punto di vista attraverso figli e mariti, e, salvo rari momenti, ostacolandosi l’una con l’altra senza solidarietà o conforto reciproco.
Ci si perde tra mogli e concubine, tra serve e fantesche, tra figli legittimi e legittimati cercando di capire il perché di certi comportamenti, il perché di certi usi immutabili che non accontentano nessuno, destinati a far soffrire tutti.
Un’esistenza dorata che non brilla, costellata di manovre nell’ombra, di rigida burocrazia e di codici d’onore a cui sottostare fino alla fine, sacrificando la vita e l’amore. Un mondo lontano, ignoto e pericoloso spesso privo di nobili sentimenti.
Un romanzo dal sapore mistico e dal grande scenario, tratto da un noto scritto cinese e semplificato, ma non impoverito, dall’autrice, nel linguaggio, nelle scene e nei personaggi, che, anche nella “versione occidentalizzata” , non perdono spessore. Uomini e, sopratutto, donne molto vividi e non stereotipati nella classificazione buono/cattivo. Attori tratteggiati a tutto tondo, non privi di coscienza, capaci di riflessioni sulla propria vita e sulle proprie scelte, in grado di guardarsi dentro e di rileggersi, nonostante gli obblighi imposti dalla posizione e dallo stato sociale.
Un’esperienza orientale tra tè, profumi e sete per tentare di capire qualcosa di molto più complesso.
Da leggere!
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L'anima nera dell'investigazione
Rocco è romano, vicequestore e corrotto. Politicamente scorretto, sessualmente ingordo, “clarks-omane” e recluso, per punizione, tra i monti valdostani, capaci di peggiorare il suo carattere.
Ha un pregio però, Rocco è capace, è la faccia oscura della Luna, ma è pur sempre la Luna, in grado di far innamorare, di attrarre, di emozionare.
Nel suo primo capitolo, lo troviamo impelagato con un omicidio in alta montagna (scala 10 delle rotture), proprio in quota, tra piste, chalet e gatti delle nevi. Al commissario, pardon vicequestore, si mescolano poliziotti, maschi e femmine, di variegata fattura, a rappresentare la sfaccettata umanità in divisa. Stereotipi, non banali del giovane promettente, della ragazza capace e avvenente, del sempliciotto bonaccione, tutti visti attraverso gli occhi del loro capo. Sono le sue spalle quelli che gli permettono di tirare avanti la trama, leggermente ritrita, e dipanare l'intreccio.
Ciò che affascina, insieme ai personaggi, è l'ambiente scenico, non solo la montagna, con le sue cime innevate, i suoi alberi, le sue abitazioni di legno, ma sopratutto personaggi che raccontano un mondo. Emerge la storia dei piccoli paesi, ricca di pettegoli e impiccioni, stracolma di imparentati, luogo fecondo di segreti noti a tutti.
Il linguaggio, secco, come il clima montano, e puntuale, come un sciatore di gigante, ci traghetta tra i profumi del vin brulé, i negozi di attrezzatura sciistica, i ristoranti caratteristici, dove si suppone, si collega e si deduce in attesa di tornare a Roma (forse!).
Da leggere.
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Quando il fuoco non è solo fuori
Guy Montag è un pompiere che accende i fuochi, brucia libri nel rispetto della legge, salvaguardando la società del futuro dai colpi di testa dei pensatori. I libri sono banditi, odiati e temuti, considerati un pericolosissimo strumento per forgiare il libero pensiero visto che “rivelano i pori sulla faccia della vita.” È ferma convinzione del regime offrire al popolo una vita tranquilla lontano dalle preoccupazioni, una vita di “gare che si possono vincere ricordando le parole di canzoni molto popolari, o il nome di capitali dei vari Stati dell’Unione o la quantità di grano che lo Iowa ha prodotto l’anno passato.” Tra televisioni grandi quanto pareti e auricolari che diffondono le informazioni del regime viene diffusa la sensazione della “vera informazione” , della partecipazione attiva alla società e alle sue politiche. Si garantisce “la certezza di pensare, la sensazione di movimento” a discapito della realtà, statica e estranea alle decisioni prese dall'alto.
In questo contesto il nostro pompiere incendiario è messo di fronte ad alcune prove, l'incontro con una strana ragazza e un omicidio, che lo destabilizzano nelle certezze e lo incamminano nello sviluppo di una propria coscienza, un modo di pensare autonomo fonte di un nuova rinascita, una nuova e personale discrezionalità dei fatti e delle opinioni. Niente più felicità auto-imposta, niente più emozioni stereotipate messe addosso dal regime e dai suoi strumenti.
Queste decisioni condannano Montag alla solitudine e all'esilio per salvarsi la pelle, dando, però nuova speranza nel futuro, evidenziando “che non si scoraggia mai, l'uomo, o non si disgusta mai fino al punto di rinunciare a rifar tutto da capo, perché sa, l'uomo, quanto tutto ciò sia importante e quanto valga la pena di essere fatto”.
Poche pagine di per descrivere una distopia, possibile quanto pericolosa che punta il dito sui libri e sulla lettura, capaci di far sviluppare un pensiero autonomo, una morale dando al lettore una propria libertà di azione basata su idee personali. La felicità e la tristezza, l'approvazione e la disapprovazione non sono che facce di una stessa medaglia, senza le quali l'essere umano non è che un fantoccio in attesa del proprio marionettista.
Denuncia semplice e diretta, descritta da uno stile freddo e scarno che, talvolta, indispone suscitando pensieri di abbandono. Le descrizioni dei luoghi e degli ambienti sono ridotte a mere indicazioni per sorreggere la trama, senza arricchimenti o spazialità.
Se da un parte, questa caratteristica impoverisce il risultato finale, dall'altra aiuta a ricreare quell'ambiente statico e freddo che descrivono le vicende e superato lo scoramento iniziale, non si può non notare, l'armonia creata con i fatti narrati. La prima parte grigia e oscura si riscalda come l'animo di Guy diventando, a seguito della presa di coscienza, più ricca e colorata. Le scene, per contralto, frenetiche e veloci rallentano, come a voler dimostrare che l'analisi interiore segue la necessità di guardarsi intorno, di capire, di assimilare profondamente e non solo di vedere superficialmente.
Se ben congegnato é il filone principale del racconto, esso mai sia arricchisce di spunti o narrazioni parallele, prontamente abbandonati allo scorrere delle vicende senza ulteriori indicazioni. Questa strada dritta lascia la sensazione finale che qualcosa che doveva accadere non sia accaduta o che non si sia compreso a pieno qualche frase del romanzo.
Concludo, ovviamente, promuovendo quello che, per me, più che un grande romanzo è uno specchio nel quale riflettere la propria coscienza per scoprire se si è un pompiere incendiario o se si è ancora in tempo a salvare qualche libro.
Suggerisco uno tra tanti, questo!
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Per t'lian lettori
Ci sono giorni in cui esci compri un libro lo leggi e ti fai un idea dell'autore, così torni in libreria decidi di prenderne un altro e la sensazione precedente viene accantonata e sostituita da una nuova visione che per anni ti tiene lontano da quell'autore.
Viene il giorno in cui il caso ti mette di fronte un nuovo libro dell'autore dimenticato e decidi, visti i commenti, di dargli un'ulteriore possibilità. Grazie all'occasione scopri una testo interessante, capace di riprodurre atmosfere, climi e situazioni dei primi del Novecento nell'ex colonia dell'Eritrea. La molteplicità delle scene, la ricercatezza del linguaggio, la dualità della lingua, la storia delle abitudini portano in una terra lontana, riuscendo a ricreare attraverso il racconto ambienti e luoghi lontani, mostrando le similitudini e le diversità (“..come da tradizione, Ogbà è il padrone di casa e dovrebbe stappare un pezzo di ingera con cui avvolgere qualche cubetto di carne da intingere nella senape o nella ricotta e imboccare l'ospite, non ci pensa neanche, sicuro che il capitano non capirebbe...”). Si formano attraverso queste peculiarità, le scene e le atmosfere, comprese quelle tipiche del giallo classico, narrazioni capaci di rendere la suspance e la difficoltà delle indagini del passato, fatte più di logica e deduzione che di scienza. I lunghi attraversamenti del deserto, le difficoltà nel reperire i reperti e i testimoni dei crimini, il telegrafo con le sue parole battute al vento colpiscono e affascinano. Immersi in questo contesto, tanti personaggi, negri e bianchi, coloni e colonizzatori, donne e uomini plasmati con dovizia di particolari per far trapelare i molteplici sentimenti della colonia, ovvio, su tutti spiccano i protagonisti.
Il capitano dei regi carabinieri Colaprico, d'istanza alla caserma di Asmara e il suo fedele aiutante, il vice, lo zaptiè Ogbagabriel Ogbà indagano sulla morte del marchese Sperandio, un sognatore Carlo Maria, coltivatore di viti per produrre chianti africano, e di tre abeshà, tutti impiccati ad “ainí berberè”, il sincomoro a pochi passi dai tucul di Afelba.
Quale relazione esiste tra le morti? Cosa unisce i tre indigeni con il “ferengi” (bianco)?
Due menti a confronto diverse, ma oneste e rette. Così il t'lian Colaprico e l'abeshà Ogba si completano a vicenda e se dei ferengi, compresi i t'lian, non c'è da fidarsi (“T'lian fetiunnì ilkà aitiaguès, non sentirti felice se l'italiano ti ha detto che ti ama. Non sentirti triste se ti ha detto che ti odia. Mai prenderli sul serio, gli italiani. Fanno sempre cose inutili.” ), Ogba, pur rispettando le gerarchie militari, non tiene allo scuro il suo capitano, illustrandogli le sue deduzioni. Passando tra le dita, la fiamma rossa dell'arma osserva e deduce, finendo per somigliare all'inquilino del 221 di Baker Street, spesso accomunato a lui anche da Colaprico, appassionato dell'investigatore appena inventato dalla penna di Doyle.
L'ombra del suicidio aleggia sulla vicende, sembrerebbe naturale quasi ovvio e le tessere del mosaico potrebbero comporre uno scenario simile. Attenzione però, Sherlock docet! “There is nothing so unnatural as the commonplace”, Ogba preferisce “Kem fulut neghèr zeybahriawí yelèn”, visto che snobba gli appellativi del capitano e non vuole fare la fine di Isaias, soprannominato Dante, un semplice “amarí t'lian”.
Così la “cosa del mosaico” porta via tempo, si scompone e si ricompone più volte, sempre più “hadeghegnà”, pericolosa, è tanta la pazienza da usare per disegnare la giusta scena, ma i due ci riescono, facendo trapelare un mondo di avventurieri, faccendieri, trafficanti di armi e di uomini, mogli legittime e illegittime che reclamano eredità, in breve una colonia già colma di loschi affari e specchio di una madrepatria altrettanto “trafficona”.
Semplice, classico da leggere.
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Questione di brache calate
Un nuovo guaio sulle rive del lago di Como, il paese di Bellano di nuovo teatro di un evento increscioso riuscito ad adombrare i festeggiamenti della proclamazione dell'Impero d'Italia, con l'annessione al Regno della colonia etiope. L'anno 14 dell'era fascista doveva essere ricordato per la conquista dei territori africani è invece, a Bellano, famoso per una vicenda di biancheria intima rubata. Per i paesani assume il furto più importanza dell'impero da celebrare e del concerto di campane messo in piedi a tale scopo, così i campanili religiosi e secolari del comune, gioiosi al suono di “maccondirondirodello” passano in secondo piano.
Esplode un caso da “Moulin Rouge”, l'intimità della ricca borghesia di paese viene ridicolizzata e messo in evidenzia che il più pericoloso calo di brache è quello metaforico e non quello reale. Se il secondo produce effetti su chi lo compie o al massimo sul cornificato consorte, il primo è capace di spiattellare sulla pubblica piazza i vizi privati per generazioni, trascinando nel fango più di una famiglia. Nel caso specifico tutta la “Bellano bene”.
I tradimenti e i pruriti di signore più o meno attempate sono il centro delle scena, narrati con sincerità, malizia, leggerezza e frivolezza, senza volgarità. Lo stile è fresco, semplice e di facile fruizione, le parole capaci di rendere l'aria di complotto e di sospetto narrata dalle vicende e nel contempo abili nel far trasparire quel sorriso sornione tipico delle facce dei pettegoli e delle comari, le cui frasi hanno spesso inizio con “io te lo dico, ma non farne parola con nessuno”.
Di nuovo, ne “Le belle Cece” rimestiamo tra la polvere dei tappeti, apriamo gli armadi, spiamo da dietro le tende, sussurriamo mezze frasi sotto il casco della parrucchiera mostrando le ammaccature nelle apparenze delle vite costruite delle, cosi dette, “persone perbene” facendo emergere, tra un sospetto e un sospettato, i personaggi tipici dei piccoli paesi. La pettegola, l'arricchito, lo scroccone diventano protagonisti e attori di scene di vita vissuta dell'Italietta degli anni trenta, palesando modi e maniere di un tempo. Caratteristiche di un passato che per certi versi ci appartengono ancora, ma che fanno sorridere, come la moglie che può fare ciò che vuole purché prepari la cena al marito, obbligato ad arrivare puntuale al desco e il vecchio diritto di famiglia, dove si recitava che con il matrimonio “La moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito” , fornendo alla sposa, tra gli altri privilegi, la possibilità di cifrare le mutande con più lettere che da nubile!
Durante la lettura spesso si ride e il quadro che si compone è credibile, solo in alcuni passaggi si ha l'impressione che la corda venga tirata più del dovuto, come a voler allungare le pagine senza sortire alcun effetto benefico, producendo solo stanchezza nel lettore.
Verace e simpatico!
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Longevo
E' quasi inutile aggiungere una nuova recensione a questo colosso che tiene la classifica da circa duecento anni. Se i nostri avi, hanno avuto la facoltà di leggerlo a puntate, a noi è permesso leggerlo tutto di un fiato, in tomo di ragguardevole entità. Chi non l'ha letto, almeno l'ha sentito nominare e se molti si lasciano scoraggiare dalle numerose pagine, altrettanti si avventurano nella lettura anche solo per il gusto del sentito dire, attratti dall'aura che lo circonda.
Il malcapitato si accorge subito delle innumerevoli ripetizioni di scene, delle parole riempitive, in breve del “brodo allungato” al fine di aumentare il profitto. Si narra che non furono le muse a ispirare Dumas durante “Il Conte di Montecristo”, ma il desiderio di trarne il maggior guadagno imponendo alla scrittura più pagine possibile.
Nasce cosi, uno scritto prolisso e ripetitivo, capace però di affascinare per generazioni. Intrighi, vendette, feste di palazzo, veleni, carrozze, castelli, ripetuti e descritti più volte, attanagliano e producono un romanzo sfavillante, chimerico e mistificatorio.
Il trucco? Sicuramente l'aver centrato il romanzo su un angelo vendicatore.
Edmond Dantes non è che un poveraccio ingiustamente colpito, che non soccombe sotto le scudisciate del potere ingiusto e pilotato, si rialza, risorge e si vendica.
Marsiglia, Parigi, Roma passando per la verdeggiante Montecristo fanno da sfondo alle vicende di un bravo marinaio destinato a una vita semplice, al massimo comandante di vascello, ottimo figlio, bravo fidanzato, devoto futuro marito colpito dalla giustizia fasulla, dal potere subdolo che lo trasforma nel Conte di Montecristo, uomo di potere, schifosamente ricco, plasmatore di vita e di società a proprio piacimento. Dantes e Montecristo, due facce di una stessa medaglia: ecco il protagonista, l'unico, il solo, il trascinatore delle scene. Personaggio in crescendo, sempre capace con i suoi comportamenti di stupire, da grezzo uomo di mare a sofisticato signore, mago del “bon ton” e dell'eleganza, da sempliciotto a freddo calcolatore. Messo di Dio, fautore delle trame della divina Provvidenza fino all'ultima atroce vendetta nei confronti di chi ha dato inizio alla sua sfortunata vicenda.
Metamorfosi dall'acqua, dal mare davanti al Castello d'If alle corti parigine per colpire i cattivi e allo stesso tempo scoprire di non essere più se stesso, di non poter trovare soddisfazione per il tempo passato inadeguatamente. Sconcertato, subisce, grazie all'amore, una nuova trasformazione tornando ad essere Edmond Dantes, sicuramente più vecchio, ma al contempo libero dal rimorso, perdonato da Dio, semplice, ma franco .
Enorme la vastità psicologica dell'essere umano raccontata attraverso questo attore da un Dumas psicologo, il cui operato crea anche altri attori ragguardevoli, sicuramente di contorno rispetto al protagonista, ma di ottima fattura come il vile Villefort, il subdolo Danglars, la debole Mercedes e altri ciascuno esaltato dalla propria caratterizzazione, sfaccettati nel proprio profilo.
In due parole un romanzo complesso, scritto male che non invecchia e costantemente ammalia i suoi lettori!
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Un futuro di mediocrità?
Poche righe per tracciare l'apocalisse della letteratura, un libricino, che già dalla corpertina, verdognola e priva di eccessi, mostra un mondo letterario orfano di vivacità e di libertà di espressione, un mondo in cui i libri sono fatti in serie e devono rispettare le esigenze di mercato.
Dopo due anni di fatica, il pluripremiato Giorgio Volpe, scrittore di successo tradotto in svariate lingue, ha terminato la sua ultima fatica, ma quando sta per mandare tutto in stampa e godersi l'ennesimo successo, la sua casa editrice sparice, inglobata in una fantomatica Sigma, votata al soddisfacimento dei piaceri dei consumatori, al fine di trarre il maggiore profitto. I libri devono rispettare precise regole: “Avventura sì, malattie no. Matrimonio sì. Corna sì, solo se poi pace. Corna e divorzio no. Sesso tanto”. La narrativa italiana si trasforma in letteratura indigena e i classici sono riscritti per meglio adattarsi alle necessità dei giovani. Va da sé che Guerra e Pace diviene solo Pace e che i Promessi sposi sono rieditati in “slang” traformando “questo matrimonio non s'ha da fare...” nel più orecchiabile “Prova a fa' 'sto matrimonio e ti rompiamo il culo, bello.” Poche, ma chiare sono le regole delle Sigma, niente metafore, niente poesia, niente situazioni spiacevoli.
Due le chiavi di lettera a mio avviso. Quante sono le Sigma in circolazione, così potenti da dettare legge a 360 gradi nel campo dell'editoria? La seconda. Forse più nascosta e subdola, quanti gli scrittori capaci di uniformarsi ai dettami della Sigma pur di guadagnare lo stesso, pur di solliticare il proprio ego, in quanti il fuoco sacro dell'arte è stato spento dal vento delle mazzette di banconote?
Pagine sagaci e taglienti, feroci in alcuni punti che portano alla mente la claustrofobia orwelliana, imponendo al lettore un immediato controllo del proprio classico preferito nella speranza che nessuna parola sia stata rieditata. Cattivo e sarcastico, talvolta crudele come un leggero “Fahrenheit 451”, dove a bruciare i libri sono gli stessi che li creano.
In definitiva, piccolo, ma denso, che sancisse la morte della libertà di scrittura, della pluralità di espressione, dell'editoria indipendente mostrando un futuro (un po' presente?) piatto di scritti mediocri. Possibile contrastare tutto questo? Ai lettori l'ultima parola.
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Eleganti banalità
Due amiche da tutta una vita insieme, complici nell'affrontare la crescita, passando attraverso la condivisione dei problemi scolastici, dei primi amori, dei primi segreti. Semplicimente due bambine che diventano donne, vissute come sorelle per libera scelta e non per nascita.
Darcy dominatrice della scena con la sua eccentricità “cool”, vincente e bellissima si contrappone a Rachel descritta come la classica brava ragazza capace, ma sgobbona e non conscia delle proprie qualità.
La festa dei trent'anni di Darcy mette in moto le vicende che ruotano intorno al matrimonio, alle aspettative future delle giovani donne e alla menzogna.
Trecento pagine di introspezione spicciola per decidere tra amicizia e amore, per scandagliare l'eterno dilemma dell'essersi innamorate del lui della propria amica, intercalata a flashback scolastici di anni ormai passati e di complessi o di sfortune che a trent'anni devo essere risolti da un decennio. Parole selezionate per personaggi senza spessore, semplici, leggeri come piume, attori più che giovani infantili, trascinati dalla vicende con comportamenti stereotipati e prevedibili.
Ovvietà in sequenza, annacquate attentamente per velare soluzioni ovvie
Vita di tutti i giorni raccontata con eleganza, modernità e capacità, ma incapace di attrarre e appassionare sopra la purbetà.
Per intrattenere negli afosi pomeriggi estivi sotto il meriggio di un pino marittimo.
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Se telefonando io volessi recensirti
# Pronto?
& Ciao, Come stai?
# Io bene, tu? Tornata dal viaggio?
& Si, una breve gita d'evasione dalla monotonia, qualche giorno di pausa più che un vero viaggio.
# Dove?
& A Pineta. Sai quel paesino sulla costa, dov'è ci abitano quei simpatici vecchietti, che bivaccano al bar del nipote.
# Ah si! Adesso ricordo, quei pettegoli del BarLume?
& Si, proprio loro, quei quattro ottantenni o quasi, sempre pronti a dir male di questo e di quello. Stavolta l'avevano con i proprietari dell'agriturismo vicino al Danubio. Quei due venuti dall'Umbria, che dicono siano divorziati, ma che vivono insieme. Per fartela breve Vanessa, la moglie, un giorno sparisce. Subito al bar s'invoca l'omicidio.
# Tanto per cambiare?
& Figurati, Aldo, Ampelio,il del Tacca e il Rimediotti non aspettano altro, ma stavolta erano supportati anche da quell'altro. Quel mago del canale regionale, come si chiama, il Luminoso, anche lui inneggiava all'omicidio, con le sue frasi in rima.
# E Massimo?
& Massimo cosa? Vedrai cosa deve fare un po' tira indietro e un po' gli da spago. Ma sai cos'ha fatto? Ha aperto un ristorantino con Aldo, vicino al bar, gomito a gomito. Prendi un aperitivo al BarLume e fai cena da Aldo. Sul cibo veramente non c'è nulla da dire, tutto buono. Inoltre, secondo me, tra la nuova “capa” della polizia e Massimo c'è del tenero. I vecchietti stanno cercando di realizzare l'inciucio. Io ho questo sospetto,comunque quando vai mi dirai.
# Sai che io quando vado, rimango delusa.
& Perché? Per la lingua. Si certo il dialetto è un po' faticoso, ma infondo il toscano lo capiscono tutti, dopo “quello che sciacquò i panni in Arno” è diventata una lingua familiare. Devo dire che stavolta mi è sembrato più predominante, secondo me non si sforzavano più di parlare l'italiano, in mia presenza. Sarà che sono diventa di famiglia.
# L'omicidio c'è stato o no?
& Si, si c'è stato, ovviamente. Comincio a credere che quei quattro portino un po' sfiga, comunque per telefono non ti racconto nulla, meglio che ti dica di persona. Fammi solo aggiungere che stavolta il caso è strano, tanto aleatorio, simpatico per carità, ma un po' tirato per le orecchie. Loro dicono che ci sta, che queste cose succedono, ma se vuoi sapere la mia, non mi hanno convinto completamente. Ho un po' storto il naso alla fine.
# Ma se non ti convincono, cosa ci vai a fare?
& Sai la gente, il paese, i vecchietti, sai quel mondo così familiare da farti sentire a casa. Ti circondano e ti sembra di essere sempre stata li con loro, di non essere mai andata via. Quando ti immergi nella loro vita e come se tu prendessi una sedia per sederti al bar tra amici, in infradito e costume con il telo sottobraccio. Sono un po' come i miei nonni, li conosco, capisco le loro battute, vedo Massimo e le sue arrabbiature, osservo Tiziana e le sue paure, siamo tutt'uno per un po'. Mi portano in vacanza.
# Questo è vero, facciamo così la prossima volta vengo anche io.
& Ok! La prossima volta ti chiamo prima di partire... a leggere!
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Cenerentola senza scarpetta
Due donne, una storia, la tredicesima per giunta, che le fa incontrare e le mette una contro l'altra, una accanto all'altra. Una narrazione acerba, un'ambientazione dark, dai toni gotici riporta il resoconto di vite vissute ai margini, in sordina, in ritirata per dimenticare e nascondere. Poco importa la fama e la notorietà se strumentalizzate al fine di celare la verità. Vida incontra Margaret a due passi dalla morte e la sfrutta per raccontare la vita.
Ambientazioni note, facili, quasi scontate: la brughiera, l'antiquaria libreria polverosa richiamano alla mente titoli già famosi. Da Zafon a Brönte, dalla logora carta, poco importa la nazionalità, ai paesaggi brulli, il passo è breve, ma quando quell'ombra di vento si fa raffica gelida la storia decolla, il linguaggio fluidifica e l'amore, fraterno e filiale stavolta, torna protagonista indiscusso e pur facendo ancora rima con passione, ossessione e vendetta, attrae e incanta. Così le sempiterne emozioni, atomiche protagoniste di intrighi, misteri e colpi di scena, si rigenerano, sorprendendo con una nuova ricetta. L'insieme filoso resiste e genera un tessuto variegato, ricco e dal sapore fresco della novità. Personaggi come marionette ben orchestrate, alternate nelle scene con maestria tale da risollevare punti morti e capitoli ristagnanti. Apparizioni proverbiali convincono il lettore scettico e conducono alla fine lieta.
Lento ma innovativo, prolisso ma ben congegnato, un romanzo delle contraddizioni capace di mostrare una volta in più che tra l'idea e la sua realizzazione c'è un mare di difficoltà da superare.
Da leggere.
P.S. Due passi mi hanno colpito in particolare, li riporto.
Il primo, omaggio ai libri, come incarnazione dell'immortalità dell'uomo.
“Una volta morte, le persone scompaiono. La voce, le risate, il calore del loro respiro. La carne. E alla fine le ossa. Il ricordo perde ogni elemento vitale. É una cosa tremenda e naturale. Qualcuno però fa eccezione a questo annullamento. Perché continua a esistere nei libri che ha scritto. […], ciò che secondo le leggi di natura dovrebbe svanire viene, grazie al miracolo dell'inchiostro sulla carta, conservato. É una specie di magia.”
Il secondo, ironia semplice e diretta per quelle signorine che sognano il principe azzurro e un'esitenza da favola perdendosi nei libri,o attualizzando, nelle soap, nei social etc... dimenticandosi di vivere.
“Allungai la mano verso la ricetta. Con tratto vigoroso, aveva scritto: “Sir Arthur Conan Doyle, I taccuini di Shelock Holmes. Dieci pagine due volte al giorno fino a esaurimento.”
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L'ultima sarà prima
Una storia variegata, racconto di un Giappone antico che sta per essere distrutto, sopratutto nelle tradizioni. Uno scontro di ideali nuovi e di vecchie consuetudini conservate per millenni, dove le prime stanno per spazzare via le seconde. Formalmente la guerra appare rea del cambiamento, ma sostanzialmente la voglia di evoluzione è fervente in un popolo, oberato e surclassato da obblighi ingiusti, pronto di aprirsi verso l'Occidente. Quell'ovest bizzarro, caratterizzato da uomini grossi dai capelli sbiaditi, troppo simili a demoni e con modi così cortesi e affabili verso le donne da farli somigliare a dei servi.
In mezzo a questi cambiamenti storici, la crescita di una bambina educata per essere concubina e costretta a prendere coscienza e impadronirsi della propria vita, decidendo per se stessa. In luce un percorso di crescita difficile dalla montagna, risollevandosi da un piccolo villaggio contadino fino alla corte dell'ultimo shogun, dove la cultura e l'astuzia, apprese durante l'educazione, sono uno strumento di sopravvivenza per analizzare le dinamiche di corte e affrontare le angherie della vita al palazzo, tra dame di alto rango
La lealtà e l'onore, l'amore e il dovere visti attraverso gli occhi di una donna obbligata a vivere un cambiamento che spazza via tutti i punti di riferimento, narrati da dentro cercando di cogliere tutte le sfumature. Alla complessità della trama, intercalata alla vicende storiche si contrappone una semplicità, non povertà, di dialoghi e descrizioni, che esalta e permette di vivere a pieno la storia.
Dagli occhi di una straniera un mondo in divenire attaccato alle proprie radici che sta per lanciarsi in una nuova avventura. Un viaggio nel tempo, nell'Oriente che è leggenda e che affascina con i suoi samurai, le sue concubine, le sue donne guerriere.
Una perla per gli amanti del genere.
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Da consumarsi entro...
Oscure volontà testamentarie coinvolgono Alice Allevi in un caso di interdizione che diviene un caso di omicidio quando il vecchio e burbero scrittore Azais muore in circostanze anomale.
La dottoressa Allevi brillante e pasticciona è di nuovo protagonista di questo libro sapientemente dosato, i toni cupi del thriller sono stemperati con l'ironia e con le stranezze della protagonista, le pagine intrise di nero e di rosa, dove la suspense del poliziesco è esaltata attraverso l'amore e l'humor della protagonista.
Alice è catalizzatore indiscusso della scena e la storia ruota intorno a lei, la trama si plasma con i suoi comportamenti, con i suoi umori, con i suoi amori. In un Roma simpatica e snella, sfondo mite delle vicende l'azione è frenetica, un tacchettare intrepido alla ricerca della verità non apparente, quella provata, quella che non può venire smentita, quella che non lascia spazio al dubbio.
Semplice, brioso e travolgente racchiude il lettore in una bolla distogliendolo dalla vita propria, coinvolgendolo nelle vicende. Il linguaggio pulito e scorrevole è infarcito di riferimenti a marche e pubblicità facilmente comprensibili e capaci di spiegare senza parole concetti talvolta elaborati. Questa caratteristica determina una forte contestualizzazione del romanzo, intrappolandolo in un preciso momento e rendendo ostica una rilettura estemporanea. La moda, la pubblicità e i modi di dire riportati obbligano conoscenze della società attuale approfondite, facili nell'immediato, ma sempre più ardue con il passare degli anni vista la fugacità e la labilità dei costumi sociali, dei “tormentoni” e dei cliché. Quando verranno meno queste chiavi di lettura, la sagacia e l'effervescenza verranno ostacolate dalle stesse parole che avevano fornito loro lo sprint e il dernier cri lascerà il passo al démodé.
Carino, ma da leggere prima che scada!
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Il rosa più forte del giallo
Il titolo invoglia alla lettura, è il motivo trainante, colpisce e attira come gli occhi gialli dei coccodrilli, dai quali non si può distogliere lo sguardo. Un libro una famiglia. Entri leggendo e diventi parte attiva, apparecchi, sparecchi, vai dal parrucchiere, paghi le bollette ti senti subito a casa, confortato da sensazioni comuni, piacevoli, note.
Madri, figlie e nipoti: tre generazioni a confronto, con le loro diversità e le loro uguaglianze scandagliate dallo sguardo inquisitore di un'altra donna, la scrittrice, capace di disegnare personaggi e intrecci credibili portando sulla carta la vita quotidiana con i suoi amori, i suoi tradimenti, le sue dolcezze e le sue acidità. Ci sono cenerentole che diventano principesse, arpie insaziabili costrette al digiuno, regine scalzate dal trono. In breve la vita, quella dei giorni nostri, dove la bacchetta magica è a 4G con mela morsicata, le scarpette di cristallo sono firmate Armani e le pozioni d'amore vengono trangugiate a sorsi di champagne.
Una visione faziosa, un universo di donne raccontato da una donna, con uomini sullo sfondo, potenti o meno, ma sempre secondi.
Trama nella trama: il libro nel libro. La nascita di un best-seller, la visione delle scrittore, le angosce e l'esaltazione per dar vita ai personaggi, per sviluppare l'intreccio, accanto alla promozione; il marketing con i suoi stratagemmi, le sue invenzioni perché il mondo narrato non rimanga sugli scaffali, ma esca e conquisti i lettori.
Non un capolavoro, non una storia fragorosa, non un tomo inestimabile, semplicemente la vita quotidiana nero su bianco di una famiglia alle porte di Parigi, scritta con linearità, senza intoppi e con un pizzico di polvere di fiaba che rende tutto, se ce ne fosse bisogno, un po' più rosa.
Si legge con facilità e porta il buon umore.
"Che prenda una direzione, ma quale? Solo l'uomo che ha ritrovato se stesso, l'uomo che coincide con se stesso, con la propria vita interiore, è un uomo libero"
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Le sviste
La giostra è un gioco divertente, salirci è un'avventura, s'inizia a girare e ben presto gli sguardi si confondono, le rapide occhiate a ciò che è fuori ingarbugliano le idee. Correre in tondo modifica la percezione, abbaglia e con facilità più non si distingue un insetto con l'altro, due litiganti avvinghiati nella lotta, un testimone da un ladro, uno scherzo di cattivo gusto da un rapimento. Il senso di stordimento assale, l'atmosfera giocosa s'incupisce e la voglia di scendere dalla giostra si fortifica.
La discesa è transitorio, è stordimento nello stordimento, è inganno nella truffa, ogni scelta, ogni movimento è pantanoso, limaccioso, ma quando l'azione finisce gli occhi vedono chiaro e il pensiero si fa trasparente, finalmente si riesce a capire, i pezzi si compongono e il caso si risolve.
La giostra è la vita di Montalbano, sempre più vecchio, sempre più stanco, sofferente in questa nuova corsa contro il “male” e sempre più scoraggiato malgrado raggiunga la corretta soluzione.
Non ci dobbiamo stupire più di questa evoluzione, Montalbano è una persona, non un personaggio e la sua vecchiaia inarrestabile, ma il suo declino non è ancora arrivato, è acuto e furbo come sempre. Gli anni gli appannano l'anima, non la perspicacia e la coscienza, permettendo alla giustizia, riletta da sempre in maniera personale senza ottusità, di trionfare.
Se ci si aspettano i fuochi di artificio si rimarrà delusi, la certezza è quella di trovare un vecchio amico, i luoghi di sempre i fedeli compagni di ogni avventura ben caratterizzati e credibilmente strutturati, ma nulla più.
Infondo, questo basta, giusto?
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A spasso nel tempo
Indifendibile dall'accusa di essere pieno di cliché, mostra fin dalle prime pagine i capi d'accusa: la famiglia americana felice ben presto distrutta, i fratelli “magici” a loro insaputa, i nani, gli orchi,i giganti, i maghi, le streghe, i libri fatati, i passaggi segreti e molti altri personaggi e luoghi fantastici che popolano a vario titolo le favole e la mitologia nordica. Se privi di originalità sono i protagonisti, imprevedibile e vincente è il contenuto. Un amalgama credibile e interessante, capace di attirare e di invogliare alla lettura. Poco importa se il target centrato è adolescenziale, nulla impedisce ai meno teenager di affrontarne le pagine, con un unico avviso: trattandosi di fantasy tutto (o quasi) è ammesso!
Fissato l'arrivo a Cambridge Falls come l'istante di tempo iniziale, le vicende dei fratellini rimasti orfani sono un continuo scorrazzare lungo l'asse del tempo percorrendolo in avanti e indietro, facendo chiarezza su molte vicende passate e sulla loro vita.
Scrittura a due tempi, caratterizzata da inizio lento e prosieguo ritmato. L'introduzione placida e tranquilla permette di prendere confidenza con le vicende e i suoi protagonisti, di conoscere i loro caratteri, delineando un profilo saliente di ciascuno prima di tuffarsi con loro nell'avventura.
Da non lasciare indietro!
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Nomen omen
In "nomen omen” è l'essenza di questo piccolo, ma colossale, classico, che in poche righe e ancor meno personaggi inscena una commedia brillante e ironica per ridicolizzare i costumi perbenisti dell'epoca vittoriana narrata. Un bonbon prezioso, scritto da un critico Wilde, spesso in dissenso con il periodo vissuto, per mostrare quanto sia importante l'apparenza a discapito della vera essenza. Poche frasi dei protagonisti per ironizzare e criticare l'ipocrisia dell'alta società inglese, per dare corpo alla voglia dell'autore di rispondere agli attacchi personali, per contestare quella frivolezza e quella superficialità caratterizzanti la società inglese del tardo ottocento, sempre pronta a mostrare un morigeratezza, con i suoi rituali del tè e le sue passeggiate in campagna, non propria.
Poco importa che di “earnest” gli uomini in ballo abbiano solo il nome e in fondo neppure quello, rimangono, pur sempre, il prezioso trofeo che intendono accaparrarsi due signorine di buona famiglia, realizzando l'intreccio centrale di questa piéce teatrale.
Più i dialoghi si fanno paradossali e ricchi di non-sense, più stringente e feroce diviene la critica, analizzando vari aspetti: dalla politica alla vita sociale, dall'arte alla cultura, fino ad arrivare a puntare il dito contro il sistema di istruzione inglese, mettendo in bocca a una sfrontata Lady Bracknell, parole forti dense di significato allusivo: “L’ignoranza è come un delicato frutto esotico: come lo si tocca il suo fascino è perduto. Le teorie educative del giorno d’oggi sono fondamentalmente assurde. In Inghilterra comunque, grazie a Dio, l’educazione non produce il minimo effetto. Non fosse così ne deriverebbero gravi inconvenienti per le classi superiori”.
Spassosa senza essere volgare, sottile e sofisticata come lo stile dandy riportato in voga dall'autore, questo librettino fedele al suo titolo, si rivela frivolo sono apparentemente, nascondendo in realtà una sagace critica
Immancabile!
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Vale davvero la pena?
Che qualcosa sta per succedere lo si intuisce fin dalle prime pagine, l'atmosfera di vacanza vela sensazioni oscure, percezioni ermetiche obbligando l'immersione in un modo tipicamente giapponese di vedere la vita, dettata al sacrificio per il raggiungimento del successo.
Con questa premessa, il romanzo si dipana in una successione di eventi semplici da seguire e risulta da subito chiaro, reale e credibile.
Un scrittura lineare, senza fronzoli e descrizioni particolareggiate, narra un ritiro, quasi ascetico, per la preparazione di giovani rampolli di quattro diverse famiglie all'esame di ammissione a un prestigiosa scuola, che permetterà loro, dopo i sacrifici, un vita di successo e agiatezza. La morte di una donna e le successive ricerche del colpevole porteranno alla luce uno scenario sconvolgente di machiavelliche macchinazioni in nome di questa agognata affermazione,
Se il finale lascia dubbiosi, è palese la critica alla società giapponese, una condanna alla smodata ricerca dell'eccellenza scolastica quale “garanzia di futuri di successi”, in nome della quale tutto può essere permesso. Sguardo agghiacciante su un Sol Levante, freddo e senza scrupoli che genera macchine perfette, più che uomini.
Attratta!
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Lettera aperta a un autore indolente
Caro Arturo D. Bandini,
dopo la lettura mi sento in dovere di scriverti con la stessa passione con cui tu, Arturo Dominic Bandini alias John Fante, narri le vicende della tua vita.
A essere sinceri, non mi sei immediatamente piaciuto, il nostro non è stato amore a prima vista e spesso, nel corso di questi mesi passati insieme ti ho tradito con commissari di ogni foggia e fama e con signorine dagli occhi a mandorla relegando il nostro rapporto in angoli bui. Solo ultimamente quella polvere che tu descrivi mi è entrata nella ossa e mi ha fatto desiderare di capire dove il tuo racconto andava a parare.
Alla fine anche io ho chiesto alla polvere, a quel pulviscolo che s'insinua in ogni dove, portando con se quelle briciole dell'esistenza, quei granelli dei ricordi, quelle particelle delle occasioni afferrate e irrimediabilmente perdute.
Capisco la difficoltà del momento, di codesto '39 del XX secolo, che scuote l'America nel profondo gettandola in una guerra assurda, la difficoltà che tu, figlio di contadini immigrati dall'Italia, hai affrontato per ambientarti in una città dalle molteplici facce come il deserto che la circonda. Quegli spazi rubati all'aridità che promettono sfarzi e ricchezze, ma che offrono, appena scendi dall'autobus proveniente dal paesello, alberghetti di second'ordine, strade polverose contornate di case cadenti e pasti rubati alla spazzatura. Immagino il fuoco dell'arte che brucia in ogni giovane scrittore, che porta a sopravvalutare le proprie capacità che infiamma e infonde speranza, ma che si spegne con altrettanta facilità lasciandosi dietro un oceano di paure. L'arroganza del successo che si trasforma in cattiveria per l'insuccesso, la sfacciataggine diviene codardia, il narcisismo muta in autolesionismo lasciando spenti ora dopo ora, percorritori idiosincratici di strade illuminate solo dalla luna, tra facce omologhe alla ricerca di una nuova musa senza un soldo in tasca.
Concordo che tutto questo può rendere instabili, può far diventare crudeli, può indurire, ma ti ho odiato per quel veleno che sprizza da ogni riga per la tua incapacità di riconoscere l'amore, per il desiderio di sesso e l'inadeguatezza di farlo, per tutte le gioe e i tormenti vissuti da quando Camilla Lopez, con le sue huarachas consunte, ti ha ghermito trascinandoti in un balletto schizzofrenico di desiderio e di rifiuto fino all'autodistruzione.
Pagina dopo pagina, quel lessico raffinato mi ha annoiato e ammaliato, quel narrare senza filtri le emozioni, quell'esprimere ogni sentimento senza pudore mi ha attirato e respinto generando sensazioni non dissimili da quelle che tu racconti. Stucchevoli illusioni, dolore autentico, conflitti dilanianti si susseguono in me e nel tuo romanzo lasciandomi perplessa, non lo nego, felice ma diffidente sul proseguire fino alla fine.
A oggi, caro Arturo, affermo di aver fatto bene a leggerti fino alla fine, ma francamente, non so se ci rincontreremo, per il momento mi sento di doverti abbandonare qui e di non volere null'altro sapere di te, tuttavia “se la donna mobile qual piuma al vento” (Rigoletto) potrebbe arrivare il giorno che tornerò te.
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Crogiolarsi nel dubbio
Se i sogni son desideri chiusi in fondo al cuore, quali pruriti animano il subconscio del commissario Montalbano imprigionato in questo sogno tragi-comico di morte, resurrezione e abbandono da parte di Livia con cui “l'età del dubbio” ci introduce in una nuova vicenda della brigata di Vigata.
La paura della grande falciatrice e i timori sulla relazione con l'eterna fidanzata vengono prontamente esposti, creando il filo conduttore che lega gli ultimi romanzi di questa serie.
Di nuovo l'introspezione dell'uomo Salvo, con le sue sconfitte, e i successi del poliziotto Montalbano sono l'impianto narrativo. Due aspetti di un personaggio co-protagonisti delle scene, senza che l'uno oscuri l'altro, compagni nell'evoluzione della narrazione, rappresentanti di un diverso lato della caratterizzazione del protagonista, capaci di segnare una netta virata con i primi romanzi della serie.
Montalbano, l'uomo, è stanco, disilluso, amareggiato dalla cattiverie della società, pessimista e non più convinto delle sue scelte di vita incontra il commissario, fiero del suo senso di giustizia, impegnato a sviscerare gli indizi e portare alla luce il colpevole, tra morti sfigurati che giungono dal mare in canotto, yacht di lusso e belle donne.
Gli ingredienti di sempre ci sono, il siciliano “italianizzato” diretto e colorito, il mare, sfondo onnipresente delle vicende, latore inconsapevole del canotto disgraziato, i compagni fedeli: Fazio, Augello, Catarella e gli altri del commissariato, l'eterna fidanzata brontolona e ogni altro particolare caratterizzante, ma il dubbio che l'età afflosci troppo il protagonista, spegnendolo rimane. E si sa quando manca la luce principale anche i contorni sono meno chiari, l'oscurità costringe a rallentare e, può succedere, di barcollare durante il cammino, sopratutto se il percorso vuole portare lontano, verso confini internazionali.
Bello con qualche dubbio, meglio, un tipo...da leggere senza dubbio!
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Non solo libri in biblioteca
L'attrazione verso i libri e le biblioteche mi ha portato a leggere questo romanzo giallo dal titolo accattivante “ C'è un cadavere in biblioteca” e dalla lunghezza assai modesta. Inizio calzante, con il ritrovamento della vittima nelle prime pagine in una casa signorile dove nessuno la conosce. Le incertezze della polizia nel decifrare gli indizi, impongono un aiuto: entra in scena Miss Marple. Con la sua civetteria e la sua curiosità, chiamata in causa dalla proprietaria, sua amica. “Tu sei così pratica di cadaveri” la incita Dolly Bantry dandogli campo libero. La naturale ritrosia dell'astuta zitella (“Oh, non davvero. I miei piccoli successi sono sempre stati per lo più teorici” ) è solo cortesia, in realtà, appena scesa dall'auto che l'ha portata a casa Bantry, l'indagine casalinga prende il via e trova le due donne complici nel cercare il colpevole. Molti i dialoghi, composti da parole accuratamente scelte, per portare avanti la trama, conversazioni per identificare la posizione degli indiziati e per mostrare ciò che i più non riescono a vedere. Descrizioni di luoghi e indizi a cui prestare attenzione, perché come al solito, Agatha, non nasconde nulla, tutto è palese ed evidente, descritto, semplice e lineare, in modo che ogni romanzo sia una sfida con il lettore.
Nulla di nuovo quindi, solo il solito perfetto giallo classico da leggere!
“I gentiluomini” disse, con l’abitudine delle vecchie zitelle di considerare quelli del sesso opposto come una specie di animali selvatici “non sono sempre equilibrati come sembrano a prima vista”.
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Riflessioni
Un oggetto e il suo riflesso, quale dei due è reale? Su quali basi si può decidere chi è l'uno e chi l'altro? Se realtà e finzione si mescolano, se in uno strano gioco delle parti l'una si riflette nell'altra per distorcere, per ingannare, per fregare chi tenta di leggere la verità, come riuscire a capire? Ecco l'indagine di Montalbano, attorniato da “specchi nemici” per riuscire ad abbagliare la sua percezione investigativa, per rifrangere il lume della giustizia e impedire che la verità venga a galla.
Un romanzo di rimandi, di apparenze, di situazioni ambigue dove il reale e la finzione sono una coppia di amanti a braccetto per disorientare e riuscire a moltiplicare le soluzioni plausibili. Bombe apparentemente sprecate in magazzini vuoti, amori misteriosi, cadaveri trucidati mettono a dura prova Salvo, sballottato e ammaliato, solo alla fine, facendo leva sul suo intelletto, ricostruirà, tassello dopo tassello il giusto puzzle. Ogni pezzo si incastrerà con il vicino riuscendo a mostrare il disegno sotto l'intricata vicenda.
Più noir che giallo, mostra ambientazioni cupe e crimini atroci tra cui si aggira un Montalbano in difficoltà, in salita per la verità, sempre più in balia degli altri che stenta a trovare il filo conduttore, afflosciato su se stesso con un'unica rivalsa: le schermaglie verbali con il dottor Pasquano.
Storia sempre più introspettiva, incentrata sul protagonista e la sua maturazione, la psicologia del Commissario diventa trama, narrazione, il suo giudizio diviene racconto, la sua morale è la morale del romanzo e del romanziere che con lui si identifica e che attraverso questo personaggio condanna o assolve l'umana società con i suoi vizi e le su virtù.
Romanzo piacevole tappa obbligata nella saga di questo “dottori” vigatese.
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ein Mann und seine Frau
Cominciando dal fondo, subito a sinistra nel pianerottolo, lo zio Nanetto.[...] Poi il nonno Fedrigo sul quale non osavamo scherzare [...] vestito nell’uniforme blu degli ussari. […] La bisnonna, […] lo guardava con aria materna, le mani nel grembo, i capelli tirati su, come una contadina buona.
Fedrigo e Leopoldina, due statue sulla scala della villa di famiglia, la casa di Sacco, che prendono vita grazie alla pronipote autrice.
Lettere dal fronte tradotte e integrate creano un romanzo, spaccato di storia italiana vista da fuori. La terza guerra di indipendenza sta per cominciare quando Fedrigo, tirolese fedele all'impero asburgico, e Leopoldina, nobile boema, s'innamorano e si sposano. La guerra li dividerà fisicamente, ma spiritualmente resteranno anime gemelle che si rafforzano e s'incoraggiano vicendevolmente.
Lettori, guardoni con consenso, curiosi spioni, scrutatori del diario personale dove una famiglia si racconta, uguale ma diversa dalle tante raccontate durante la scuola perchè fedele all'oppressore. Speranze e timori di un uomo e di una donna dell'altra parte della barricata, dei nemici austriaci attentatori all'unità di quell'Italia ancora incompleta.
Fedrigo incuriosito, a tratti impaurito, da quei cenciosi garibaldini, esposti bersagli in camicia rossa, spesso superiori numericamente ma incapaci logisticamente, guidati da un brigante venuto dal sudamerica e spalleggiati da un furfante francese. Sentimenti contrastanti di un uomo in guerra per la sua patria, Austria Felix, in declino che lo considera un suddito di serie B. Cittadino di un territorio dimenticato, Tirolo scosceso troppo a sud per interessare Vienna e i suoi reali. Suddito dalla parlata del nemico, troppo sinuosa e delicata, quell'italiano dialettale che “sporca” con la sue armonie la voce anche quando ci si sforza di esprimersi nella lingua ufficiale. Soldato combattuto tra l'essere in prima linea desideroso di combattere e diletto dei generali, messo in disparte perché bravo giocatore di whist e padre di famiglia da salvaguardare. Uomo incoraggiato dalla sua donna, incitato “Amore mio, uccidi subito questo Garibaldi! Lo trovi gli spari e torni da me un eroe per tutti e non solo per gli occhi di una donna innamorata”. Uomo protetto dalla sua donna aristocratica, che rinuncia agli agi di nascita e vive modestamente secondo le possibilità della famiglia del marito, ma non si accontenta diventa parte attiva delle necessità di risparmio e di parsimonia. Uomo ammaliato dalla sua donna vitale che gli esibisce nelle lettere la sua sensualità , moderna nell'approccio amoroso, disinibita nel dimostrare il desiderio che ha per il marito in questi mesi di lontananza.
Un uomo e una donna attraverso parole, sensazioni e convenzioni di fine ottocento.
Elegante.
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Debolezze d'agosto
Livia e il Commissario sono di nuovo in guerra, le vacanze cancellate diventano motivo di scontro telefonico, fino a quando Montalbano cede e accetta di prenotare un villino per passare le vacanze con Livia e la sua migliore amica con famiglia al seguito.
Mentre la canicola avvampa, Agosto, in certi anni, sa essere infernale, sudaticcio ma salvo di nome e di fatto, la buona sorte arride al Commissario, che riuscendo a trovare la casa sul mare, pensa di potersi godere felici momenti con Livia.
Mai pensiero fu più errato.
Al villino Pizzo, proverbiale fu il nome, i guai “accomenzarono già dalla matina del terzo jorno” come un novello Egitto, viene assalito dalle bibliche piaghe: scarafaggi, topi e ragni si palesano per infastidire i vacanzieri e quando tutto sembra risolto ecco il colpo di grazia, Bruno, il figlio dell'amica di Livia sparisce. Alla ricerca del bimbo, Montalbano scopre, in una porzione interrata dalla villetta, un baule con all'interno un cadavere.
Questo sepolcro ipogeo, riportato alla luce, turba il suo scopritore, evidenziando intrecci pericolosi tra edilizia, mafia e politica, senza tralasciare banche, usura e incidenti sul lavoro. Un garbuglio di legami criminali avvolge questa costruzione e destabilizza il commissario e l'uomo, rendendoli deboli e vittime delle proprie paure: prima fra tutte la vecchiaia.
Protagonista stanco e accaldato, perde colpi lasciandosi depistare, cade sopraffatto dall'infinita cattiveria della società e dalla probabilità di non riuscire a punire i colpevoli. Trascinato in falsi selciati dalla delusione e dalla passione amorosa, ammaliato da una giovane donna, abbatte l'ultimo tabù: la fedeltà assoluta all'eterna fidanzata. E se il pentimento è dietro l'angolo (“natava e chiangiava. Per la raggia, per l'umiliazione, per la vrigogna...), l'onta della dignità è indelebile.
Un romanzo lento, introspettivo, dal giallo spento tinto di rosa amaro, più resoconto di un connubio complesso e arzigogolato tra il personaggio uomo e quello commissario, tra l'indagine poliziesca e la crisi di mezz'età, dove la voglia di reagire all'avanzare del tempo intacca la lucidità di seguire gli indizi e affievolisce le capacità deduttive.
Comunque interessante.
“E lui, vecchio, allucinato dalla billizza e perso darrè a quella giovintù che l'imbriacava, c'era caduto, a cinquantacinco anni sonati, come un picciliddro.”
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Ego
Una storia privata, il racconto di una vita narrato in prima persona dalla protagonista quando ormai la canizie si è fatta avanti e quando la tranquillità dettata dalla distanza permettono di analizzare i fatti con il giusto distacco. Figlia di una nobile casata piemontese spesso stonata rispetto alle armonie della domus natale, si ritrova giovane e infelice sposa di un uomo, aristocratico, impostole dal padre. Soffocata dalle convenzioni sociali fugge tra i colli del Chianti, per ritrovare se stessa. Lo scintillio dei salotti piemontesi si fa polvere di vigneto, i pettegolezzi di corte si trasformano in nozioni di agronomia sul campo, l'oro di famiglia genera rosso vermiglio, da cui trarrà la forza di continuare, di andare per questa nuova strada.
In un'alternanza di flashback narrativi, il passato e il presente si mescolano narrando le scelte di una donna, il suo coraggio, la sua voglia di libertà, la sua determinazione. L'evoluzione di una giovane intraprendente e autonoma, talvolta al limite dell'incoscienza, per distaccarsi da un mondo fatto di convenzioni e apparenza. Il conformismo e l'anticonformismo, la ricchezza e la libertà, l'artefatto e il naturale dualismi vitali sprigionati dall'esistenza e dalle scelte intraprese.
Romanzo come incontro di mondi, di modi di essere, di esigenze raccontati negli anni dei grandi cambiamenti tra i primi del Novecento e il secondo dopoguerra, fino a quell'elezione tra Monarchia e Repubblica che per la prima volta vede le donne protagoniste della storia e dirette responsabili delle proprie scelte e, purtroppo o per fortuna, dei propri errori.
Storia intrisa di ricordi, rimorsi e rimpianti alternati a prese di coscienza e scoperte, mille emozioni scandagliate, scrutate, analizzate in tutti gli aspetti quelli più personali, più profondi, più fastidiosi fino al colpo di scena finale.
Piacevolmente sorpresa!
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Mutatis mutandi
Ci sono momenti nella vita in cui essere viaggiatori in prima persona è impossibile, per cui il mio animo vagabondo compensa l'inattività fisica imponendomi la lettura di libri come questo capolavoro di Jules Verne.
Stile Britannico, rigore e puntualità esasperata caratterizzano il protagonista Phileas Fogg, trascinatore indiscusso delle vicende e motore di questo giro del mondo incredibile in un epoca in cui l'unica cosa umana a volare era la fantasia. Gli altri personaggi, Passpartout, Adua, Fix i principali, co-protagonisti per creare un romanzo divertente e scorrevole e dare smalto ed evidenza al grande punto di forza della storia. La contrapposizione tra il suo protagonista, impassibile e maniacalmente abitudinario, e il viaggio stesso, avventura ricca di imprevisti e cambiamenti. Si crea un dualismo affascinante, che fa sorridere, talvolta irritare catalizzatore dell'attenzione che, senza dubbio, spinge a proseguire la lettura.
Trucchi, escamotage e fortuna per portare a termine un compito al prezzo di 20.000 sterline, permettendo al lettore di passare dall'Inghilterra all'India, dall'India alla Cina, dalla Cina all'America senza staccare il sedere dalla sedia di casa, perdendosi nella descrizioni dei luoghi come in un cartolina inviata da amici in vacanza in paesi esotici.
Linguaggio semplice, essenziale che non trascura un po' di puntualizzazioni scientifiche e qualche termine marinaresco per accompagnare un tragitto per lo più fatto in acqua,
Sempre piacevole e, per l'epoca di pubblicazione, innovativo è un classico da non sottovalutare!
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Fino a un certo punto!
Un'aura di mistero si sprigiona da questo romanzo dall'avvio incalzante con il furto di un prezioso sigillo capace di liberare forze oscure di grande potenza. Inizialmente abbindolati dal prezioso alone di quasi sacralità, come falene attratte dalla luce, si sprofonda in una mondo fatto di magia nera e di magia bianca, di apparizioni e di riti attraente quanto arcano, suadente quanto enigmatico.
Ma le ali si bruciano presto e il volo si conclude facendoci atterrare in una realtà nebulosa, appiccicaticcia e logora.
Una ricostruzione storica veritiera e plausibile sorregge le vicende del romanzo e dona consistenza al sigillo tanto far credere nella sua esistenza, ma questo non basta. Il romanzo si affossa, dopo le prime pagine, seppellito proprio dai suoi stessi punti di forza. Le trovate esoteriche, le apparizioni demoniache si fanno estremamente fantasiose, forzate poco credibili a tal punto che neppure la sospensione dell'incredulità può far apprezzare la trama e seguire la narrazione.
Il romanzo rallenta paurosamente sempre più affievolito, mentre la lettura si fa faticosa, la noia sostituisce l'attenzione e il desiderio di finire più in fretta possibile sostituisce l'interesse per le vicende.
Quei buoni personaggi iniziali diventano caricature senza più speranza di crescita, appiattendosi in uno o due caratteri predominanti privi di evoluzione durante la narrazione, quei templari e quelle reliquie in una prima fase ben amalgamate esplodono prendendo il sopravvento, facendo virare la trama in qualcosa di trito e ritrito privo dell'appeal iniziale.
Lo stile pulito non serve a fare di questa lettura una buona lettura.
Illusa dalle premesse, delusa dal risultato.
Indicazioni utili
- sì
- no
Repubblicano o Democratico? Mah, Lord
E' un libro per ragazzi, ma leggerlo da adulti nessuno lo vieta.
Con l'animo incline alla bontà e alla voglia di favola ci si immerge in un'America giovane, forse, povera economicamente, ma ricca di voglia di fare e desiderosa di far fruttare la propria indipendenza. Uomini e donne rivoluzionari spesso poco inclini a mescolarsi con quei patriarchi anglosassoni ormai rinnegati, troppo devoti alle tradizioni aristocratiche e al rigoroso rispetto delle posizioni sociali. In un clima così innovativo, vive per pochi anni un bambino desiderato e amato, nato dall'unione tra un padre inglese e una madre americana. Buono di natura e giocoso di animo, intento tra un biscotto e una mela a scegliere quale sarà il suo posto tra repubblicani e democratici, si scopre un bel giorno destinato, per nascita, alla camera dei Lord. Suo nonno, vecchiaccio burbero e rinsecchito dall'odio, gli fa l'onore di cercalo e per dovere di successione lo ammette alla sua presenza.
Con parole semplici e descrizioni essenziali si racconta una storia che contrappone due mondi enormemente distanti: un vecchio aristocratico inglese e un giovane bambino americano. Due antipodi per educazione e modo di vivere, confronto di differenze e diversità che sfocia nell'amore, nella comprensione e nell'arricchimento reciproco. Un ricerca per necessità che sfocia nel rispetto e nella tenerezza tra un nonno e il suo nipotino. Un blasonato Golia cade sotto i colpi di un sincero e tenero Davide dal viso angelico.
Cupidigia, arroganza,superbia e pregiudizio cancellate da sincerità, cuore puro, fiducia nel prossimo e stupore fanciullesco. La ricchezza d'animo e la ricchezza monetaria a confronto, per far vedere che entrambe possono uscirne vincitrici.
Una novella del cuore che fa sentire tutti un po' più buoni, con il giusto lieto fine in cui vissero tutti felici e contenti.
E chi non gli è piaciuto?
Gli faccia male i denti!!!!!
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Menu' in giallo
Al primo sguardo il piatto si presenta ricco e ricercato, delizie variegate rappresentate da 10 brevi racconti che si alternano ad altrettante narrazioni di ricette fulcro della storia che le precede. Piccoli bonbon di epoche e terre diverse dal 1596 al 2006, considerato futuro, prossimo è vero, ma pur sempre futuro quando uscì il romanzo.
L'idea di base è attraente e originale. Ogni assaggio è piacevole, avvolgente; pungenti sensazioni proposte con pochi ingredienti ben amalgamati a ogni portata. Prodotti semplici, facilmente reperibili, mescolati in maniera innovativa per un gusto pieno e pastoso; un armonia di sapori gradevole e credibile, talvolta impreziosita da tocchi “esotici”. E' facile, a ogni "boccone", individuare i caratteri essenziali di un giallo: il cadavere, l'assassino i colpevoli o presunti tali e coloro che sono chiamati a scoprire la verità, elementi base su cui vengono costruite le trame variegate e originali.
La noia è lontana e ogni racconto è un mondo completo e fruibile in maniera indipendente, ma capace al contempo di aprire la strada alla narrazione successiva. Come in un buon menù a più portate, ognuna gratifica chi la mangia e lo invoglia a proseguire. Naturalmente, preferenze personali possono a taluni far preferire un racconto piuttosto che un altro, ma tutti saranno soddisfatti dalla molteplicità delle situazioni.
In breve poche pagine per una lettura diversa.
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Salto per la libertà
Attraversare un secolo da protagonisti, incontrando i maggiori leader della storia del Novecento, prendendo con loro le decisioni più importanti, dalla creazione della bomba atomica al disarmo nucleare, impone una fine degna di tal vissuto che mal si confà alla morte in un letto di una banale residenza per anziani. Così Allan Karlsson , il giorno del suo centesimo compleanno, decide di saltare dalla finestra della sua camera nella casa di riposo per scappare verso nuove avventure.
Inizia con un balzo verso una nuova vita questo romanzo, che mette al centro della scena un arzillo vecchietto mal avvezzo agli acciacchi dell'età e che si fa vanto dei suoi numerosi lustri. Il suo presente e il suo passato vengono raccontati in capitoli alterni, analizzando gli avvenimenti delle settimane successive alla data del compleanno e i precedenti 99 anni e 364 giorni.
Come in un bignami di storia del Novecento, si narrano i maggiori avvenimenti successi in questo secolo a partire dalla rivoluzione russa fino al disarmo nucleare tra USA e Russia. Con frasi semplici, brevi e dirette si mescola la realtà alla fantasia e il nostro protagonista diviene indiscusso fautore dei destini mondiali. Come uno scandinavo Forrest Gump o un novello Mr Magoo, userà ingenuità e un pizzico di scelleratezza, per influenzare, senza neppure rendersene conto, la storia.
Mentre a colpi di idee innovative, nitroglicerina e acquavite Allan dirigerà le decisioni dei potenti della Terra, il romanzo trascinerà il lettore in un'ironica disquisizione sulla vecchiaia, sdrammatizzando i problemi dell'età e la paura della morte, dimostrando che se si ha voglia di vivere le occasioni non mancheranno mai, neppure quando gli anni diventano a tre cifre.
Attorno al vecchietto altri personaggi altrettanto folli, catalizzatori di caratteristiche dell'umano vivere, come l'eterno studente o il truffatore “moralista”, per formare una gang sgangherata e allegra.
Insomma un gran calderone con un po' di questo e un po' di quello, misuratamente dosato da risultare piuttosto buono, da cui emerge che se sia ha voglia di vivere e siamo pronti a cogliere l'attimo, il destino offre milioni di occasioni dando a tutti la possibilità, giovani o vecchi, di vivere avventure piene di incontri strani, preziosi e magici.
Per una spruzzata di ottimismo nei momenti no.
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Noir color Schiaparelli
Eleganti e affettate, come solo la nobiltà sa esserlo, Giulia e Camilla sono le vecchiette protagoniste indiscusse della storia. Costrette a uscire di casa alla ricerca di un nuovo pusher, dopo la morte di Piero, il loro fornitore di fiducia, si ritrovano in una Firenze nota, ma diversa da quella che erano abituate a frequentare prima della loro auto-reclusione casalinga. Così varcata la soglia, a lustri di distanza dall'ultima volta, l'avventura comincia e le due “principesse fuori dal tempo” si ritrovano catapultate in un susseguirsi di vicende rocambolesche, tra ladri, spacciatori, truffatori e cadaveri da far sparire per riuscire a trovare il nuovo dispensatore di “pozione magica”.
Un romanzo surreale e ironico, con personaggi presi dal passato, come le protagoniste, e altri attinti direttamente dal presente, come il rosticciere e i giovani dimostranti. Un strano insieme di contrapposizioni tra reale e fantastico, tra passato e presente, come una lotta tra opposti in cui l'uno si prende gioco dell'altro, affascinando e creando momenti di vero godimento.
Una commedia beffarda dalle tinte noir screziate dal rosa shocking delle Mary Poppins fiorentine, una narrazione fuori dal coro, a tratti assurda e sconclusionata, come i loro pensieri, ma tra un detto popolare e una frase fatta nasconde critiche più o meno velate alla città di Firenze e ai suoi abitanti, più in generale un giudizio sull'umanità e sulla sua stupidità.
Non comune e non annoverabile in una classificazione precostituita questo strano romanzo è una lettura simpatica, leggera a tratti geniale, che può non piacere, ma che non lascia indifferenti.
Personalmente l'ho adorata!
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Ricordi
Ricordi leggeri, fruscianti come seta.
Ricordi pesanti, grevi come macigni.
Ricordi spaventati di una bimba dagli occhi di acqua provata dalla vita, venduta abbandonata.
Ricordi trepidanti di una giovane donna che sboccia, dell'uomo che le ha ridato speranza nel futuro, dell'amica che l'ha accolta come una sorella, della vita che rinasce.
Ricordi strani, talvolta incomprensibili, per mostrare l'Oriente all'Occidente, per narrare tradizioni importanti, costumi particolari di un popolo fiero, di un impero orgoglioso e furente segnato dall'astro nascente.
Ricordi rigidi come pareti di carta di riso per dividere, per spartire, per mostrare l'importanza delle regole, per imporre condizioni e puntualizzare ruoli fissati, per farci capire il rigore del vivere giapponese.
Ricordi flessuosi, svolazzanti come kimono lussuosi, come obi eleganti. Vesti regali per raccontare un mondo segreto di donne istruite, rispettate e ammesse alla vita di uomini importanti, presenti durante le decisioni fondamentali, in un epoca in cui il sesso femminile era relegato a una vita di second'ordine.
Ricordi suadenti, carezzevoli, melliflui illustratori delle sessualità e dell'erotismo di un popolo. Fatto di mosse sinuose, di parole ammiccanti, di trasparenze allusive mangiando, bevendo, conversando, camminando...
Ricordi freddi di una guerra mondiale che sconvolge gli equilibri, ferisce, uccide e tenta, forse invano, di cancellare le abitudini.
Ricordi di una donna narrati attraverso le parole di un uomo. Persone distanti di culture diverse.
Ricordi particolari di un mondo diverso, chiuso e segreto, spiegato esaurientemente da un narratore che non ne fa parte, ma capace di riprodurre le sue sensazioni e le sue peculiarità.
Ricordi reali adornati di sfumature rosee per abbellire ambienti e personaggi senza farli risultare fasulli, per ammorbidire i momenti difficili e per illustrare, senza annoiare, la strada verso la nascita di una geisha.
Ricordi banali, arruffati, mal descritti per un finale frettoloso, scontato, noioso, per una pecca passabile in un romanzo interessante.
Ricordi, memorie da leggere.
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Ondeggiando
Seduti in riva al mare con il vento che sferza tra i capelli e trafigge con i granelli di sabbia sollevati tutto ciò che incontra nel suo cammino, con gli occhi puntanti all'infinito, si diventa un pittore di quadri con acqua di mare, una giovane piena di paure, una signora dall'appetito sessuale inesauribile, un padre confessore povero di rivelazioni, un professore alla ricerca della perfezione là dove non è. Il lento dondolio delle onde ci accompagna nei nostri ragionamenti, nelle nostre ricerche, nei nostri movimenti interiori assistendo silenzioso ogni passaggio, ogni movimento, ogni miglioramento. Parola dopo parola le paure dei nostri alter ego sono le nostre paure, le loro gioie sono le nostre gioie e lui è sempre li, il mare, calmo e silenzioso, agitato e furente, testimone inconsapevole delle dichiarazioni più intime, risposta ai dubbi dell'animo, nemico da affrontare nella sua immensità insuperabile, in breve metafora del desiderio e del timore di cambiamento, di rinnovamento e di rinascita.
“Oceano mare” con uno stile ricco, astratto a tratti pomposo è una storia complessa di uomini e di donne persi lungo il cammino della vita e in cerca di una strada nuova. Ognuno affronta il viaggio secondo la coscienza e la moralità sviluppate durante il tragitto già affrontato e trasmette a chi incontra verità e emozioni, giuste o meno, spesso non siamo in grado di dirlo, ma, cosa più importante, sempre frutto del proprio pensiero e del personale modo di affrontare l'esistenza. Una guerra contro e per se stessi in modo da prendere coscienza di sè, per accettare ciò che ci rende diversi, per accoglierci senza snaturarsi, per amarci e farci amare senza stravolgere completamente il proprio io.
Una fabula strana, surreale e magica che facendo della bizzarria e della stravaganza il suo punto di forza, analizza la debole, ma sfaccettata, natura umana.
Da leggere il giorno giusto!
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Bentornata Primavera
E' lo “sciauro” della giovinezza quello che si respira tra le pagine di questo romanzo in otto passi di Camilleri. Il Montalbano protagonista è giovane e libero dalle insicurezze, dalle indecisioni, dalla melanconia della vecchiaia che lo assale nei romanzi precedenti della serie. Il “circo questri”, inteso non solo come la scientifica, c'è tutto, il tendone è issato: Vigata con il suo mare, il suo sale e il suo sole fa da sfondo alla varietà di passioni che animano i singoli racconti ed esalta le nuove comparse e i soliti noti. Già sulla pista, siamo intorno agli anni '80, si trovano: Fazio, serio e solerte, Augello, svogliato e “femminaro”, Catarella, protagonista indiscusso dei primi “sbattimenti a bomba di porta da ufficio” e Livia più innamorata e combattiva non ancora afflosciata dal logorio dell'eterno fidanzamento. Non mancano neppure il primo “signori e guestori”, quello simpatico al commissario e il mangiatore di cannoli per corruzione, il dottor Pasquano. Tutti a loro modo protagonisti degli otto racconti capaci di narrare le perversioni e le nobiltà dell'animo umano. C'è la gelosia, la crudeltà, il cinismo e la corruzione, ma anche l'onestà e il rispetto proprio come nella realtà della vita. Otto storie con il fiato corto, talvolta forse troppo, veloci e guizzanti, dove le parole centrano il punto della questione senza inutili componimenti ad allungare il brodo per far salire il numero delle pagine.
Anche se questa uscita ha il sapore della trovata pubblicitaria per innalzare l'attenzione su qualcosa che forse non aveva più la presa di un tempo, questi otto bei racconti ripagano della spesa fatta e permettono di ritrovare il Montalbano del tempo che fu.
Per i nostalgici del commissario di Vigata, da leggere tutto d'un fiato.
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Vacanza con il morto
Il delitto in un luogo chiuso con un numero definito di persone tra cui individuare il colpevole è uno dei cliché preferiti della Christie. Al lettore viene subito dimostrata la capacità di costruire una trama avvincente e cosa più importante, convincente, là dove tutto è apparentemente banale, scontato in una parola: ovvio.
Assassino sul Nilo è un giallo classico, ben costruito con personaggi tratteggiati chiaramente fin dalle prime pagine. Ogni attore viene esposto senza trucchi e si arrichisce passo dopo passo di dettagli riguardanti il suo passato o, talvolta, il futuro che ben si armonizzano con la descrizione iniziale senza stravolgimenti o cambiamenti. Tra tutti svetta l'insuperabile investigatore belga, Hercule Poirot, che stavolta ha portato in vacanza le sue celluline grigie e le sfrutta per risolvere il caso. Le persone sono più importanti dei luoghi, le descrizioni delle prime superano di gran lunga quelle dei secondi. La rappresentazione delle ambientazioni è limitata a mere indicazioni ai fini polizieschi. Rare sono le delineazioni delle scene al fine di arricchire la trama o fornire un quadro descrittivo dell'ambiente circostante per ampliare la visione del lettore. Ciò che non è rilevante per l'omicidio e per la scoperta del colpevole viene omesso. Se da una parte questo modo di scrivere impoverisce un po' il romanzo dall'altro agevola la narrazione permettendo al giallo di dipanarsi senza difficoltà e di rimanere il fulcro del libro privo di storie parallele. L'attenzione sull'omicidio e sulla corsa alla scoperta dell'assassino, principalmente intesa come investigazione attraverso le idee di Poirot, sono il romanzo. Niente divagazioni. Niente fronzoli.
Si ritrovano all'interno del libro citazioni e richiami a "Assassinio sull'Orient Express", parole espresse attraverso la bocca di Hercule, che cita analogie tra i due casi. Simpatiche ed eleganti somigliano a una sorta di primordiale pubblicità occulta, un specie di promozione del proprio lavoro ma anche un sottile fil rouge tra le due opere.
Un classico adatto a tutte le stagioni!
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Sessanta
Una Firenze degli anni '60 con le sue atmosfere, le sue contraddizioni e i suoi cambiamenti è protagonista come e quanto gli investigatori di questo romanzo con due vittime e due indagini parallele. La prima quella fiorentina di Bordelli dove la vittima è un usurario e la seconda quella sarda di Piras, convalescente, dove il morto è un anziano proprietario parente del vicino di casa.
La guerra è finita vent'anni or sono, nessuno ha più intenzione di ricordare e di ripensare, tutti sono animati dalla voglia di cambiamento e dal desiderio di andare avanti. I ricordi sono vecchi, come coloro che li hanno, i bisogni odierni rincorrono il nuovo senza più attingere dal passato, una corsa al futuro in cui nessuno vuole rimanere indietro. La comunicazione cambia, la musica si rinnova si fa portatrice di messaggi di ribellione, arrivano i Rolling Stones ad animare le case dei giovani fiorentini e non solo, nascono nuove mode: le gonne delle signorine si accorciano e i capelli dei loro spasimanti si allungano. L'eterno conflitto tra giovani e vecchi, l'insoddisfazione dei primi e l'incapacità di ambientarsi dei secondi segnano questo romanzo e creano l'ambientazione e le scene su cui viene sviluppato il giallo. Come sempre la narrazione poliziesca è semplicistica, lacunosa a tratti forzata, durante lo sviluppo della trama o nella ricerca della soluzione sono molti i punti in cui si resta interdetti, perplessi si rimugina sulla piega che hanno preso le indagini. I doppi casi sono frettolosi, raccontati senza approfondimenti con modi e metodi d'indagine che rasentano la magia e l'occultismo, le soluzioni arrivano come conigli dal cilindro di un prestigiatore.
Non è il giallo il motivo per cui va letto il romanzo, ma per le vicende di Bordelli per le sue relazioni umane con Rosa, il Botta, Diotivede e gli altri che come lui si sentono un po' dei dinosauri in questa nuova Firenze che si va delineando, di cui non riconoscono più neppure le vie e le piazze, rinominate dopo la creazione della Repubblica italiana. Molto più interessanti del giallo sono i racconti di vita che interrompono spesso le indagini riportando i colori e i sapori di una guerra che ha lasciato segni profondi nell'animo di chi l'ha vissuta.
Un'analisi dell'uomo in un'epoca di cambiamento, un'indagine sulle contrapposizioni, enormemente marcate, tra i giovani degli anni '60 nati dopo a guerra e coloro che la guerra l'avevano fatta e “non riuscivano più a lavarsi via l'odore”.
Per questi motivi va letto il romanzo, non per il giallo.
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Io Guido Guerrieri
Un vecchio amico civilista, una ragazza scomparsa e la sua famiglia afflitta trascinano le vicende dell'avv. Guerrieri, più investigatore privato che penalista in questo “Le perfezioni provvisorie”.
Un romanzo incentrato sull'uomo e sull'io, mettendo in luce le stranezze che si nascondono dentro le pieghe della quotidianità. Un'analisi, non troppo approfondita, ma gradevole, sulle maschere che ciascuno indossa quando si presenta in società che si sgretolano con una conoscenza più approfondita. La vita di un avvocato apparentemente ordinata e strutturata in contrasto con quella di un uomo alla ricerca di se stesso con un sacco da boxe come confessore e una puttana redenta come amica intrecciano le storie di una brava ragazza di buona famiglia rivelatasi, ben presto, tutt'altro. Al di là delle apparenze, la verità, almeno quella che Carofiglio vuole mettere in luce in un Bari un po' troppo New York style.
Parole e linguaggio fluidi e accattivanti trascinano un romanzo della trama prevedibile e dal finale scontato individuabile fin dalle prima pagine. Un lavoro ricco di flashback e pensieri a confessare ciò che non si può o non si vuole dire a voce alta, tante digressioni a caratterizzare il racconto più della trama stessa. Divagazioni simpatiche e brillanti che riescono a prendere il sopravvento sulle vicende principali, relegadole a sfondo. Ovviamente, l'alternanza tra trama e analessi è infarcita dalle immancabili citazioni letterarie e musicali come pubblicità in un film, talvolta talmente zeppa da indurre ad andare al bar per il pop-corn, in attesa che il film continui.
In mezzo a questo caotico susseguirsi di fatti si innestano alcune perle come la descrizione dei genitori della ragazza scomparsa caratterizzati elegantemente attraverso il loro dolore e la loro speranza o la descrizione di un animale colpito dalla cattiveria umana.
Inutile dire che c'è di meglio, anche tra i romanzi di Carofiglio stesso, ma sicuramente quelli peggio sono la maggioranza, quindi vista la dimensione e l'impegno che richiede può essere annoverato tra le letture piacevoli da fare per riempire un periodo di svago o di relax.
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Il fango si può lavare
La vecchiaia, la stanchezza e il grigiore sono il velo che si stende su tutta la vicenda di questa nuova puntata del commissario di Vigata. Palesandosi ora sotto forma di pioggia dal cielo che intristisce la campagna siciliana, ora come umore nero e malinconico di Montalbano, ora come rassegnazione dell'assassino intrappolato in un banale trabocchetto o ancora sotto forma di lentezza che permea lo svolgimento delle scene.
Tra appalti truccati e cantieri edili si aggira, stavolta, un triste Montalbano vecchietto sentimentale, preoccupato per la sorte della sua amata Livia più che per il caso che deve risolvere. Con le scarpe sporche di fango scoprirà l'assassino e un losco giro di affari illegali in cui, ancora un volta, la politica e la malavita sono legate. Non mancano neppure i fidi collaboratori di sempre, l'arguto Fazio, aiutante fidato, l'amico di sempre Augello e l'incomparabile Catarella, unico tratto colorato all'interno di un romanzo dai toni un po' spenti e cinerei.
Con queste premesse non devono però venire meno le certezze sulla qualità del romanzo, che rimane un ottimo amico delle serate di lettura. Non vi è dubbio alcuno che sia da leggere, ma se potessimo paragonarlo a un animale come cucciolo di cane, saremo sicuri che adesso è arrivata l'età adulta, non corre più dietro alle palline, non tenta di mordersi la coda e non ci accoglie più saltandoci addosso e leccandoci la faccia, ma non per questo non possiamo continuare a contare su di lui, alla fin fine è ancora qui con noi accoccolato sulle nostra ginocchia, proprio come Montalbano.
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il più giallo dei gialli
Un omicidio su un treno bloccato dalla neve, pochi indiziati tra cui reperire il colpevole e nessuna possibilità di fuga dal luogo del delitto. In queste due righe la sinossi non di un romanzo, ma di un capolavoro del genere giallo. Assassinio sull'Orient Express è un emblema nel campo della letteratura di genere, uno dei più famosi romanzi della scrittrice inglese, con protagonista l'altezzoso investigatore belga Hercule Poirot.
Semplicemente complesso, ha nella scrittura e nella capacità descrittiva dei particolari il suo punto di forza, con maestria viene attirata l'attenzione del lettore su peculiarità indiscutibili (es. le impronte mancanti sulla neve), proponendogli conclusioni evidenti al limite dell'ovvietà, almeno fino al paragrafo successivo, dove le certezze precedenti vengono rimesse in gioco. L'analisi sotto altri punti di vista genera nuove sicurezze dalla breve durata e di questo passo si viene condotti fino alla fine del libro dove la verità palesata mette tutti d'accordo e fa quadrare tutti i punti. In questo susseguirsi di convincimenti e di dissuasioni si scopre un progetto criminale altezzoso e imponente, tuttavia logico e perfetto nella sua realizzazione.
Con poche pagine, il romanzo non supera le 250 pagine, vengono descritti una miriade di fatti e vengono caratterizzati una ventina di personaggi provenienti da paesi diversi, messi a stretto contatto dallo spazio angusto delle cabine e dei vagoni del treno su cui viaggiano. L'attenzione si pone sui loro modi di fare e di dire, sulle loro emozioni e su come il tutto trapeli dalle loro parole durante le domande di Poirot, messo a capo dell'investigazione in maniera un po' arbitraria e impropria. Pagine di conversazione che tracciano i protagonisti e i luoghi, dialoghi illustratori delle scene e pochissime narrazioni esterne a delineare il contesto.
Se la soluzione finale lascia a bocca aperta o forse fa storcere il naso ai meno amanti del genere di sicuro chiede a tutti un'analisi e un pensiero sul tema proposto e su quanto ci sia di esatto, accettabile e perpetrabile nello spunto di riflessione presente nel romanzo, che potremo riassumere nella frase di machiavelliana memoria “il fine giustifica i mezzi”?
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L'affaire du Sacre Coeur
Ci sono tre carabinieri: uno sardo, uno siciliano e uno bergamasco. Non è l'inizio di una barzelletta ma il via della storia che ci svelerà chi sia la signorina Tecla Manzi e quali siano i suoi “affaire” con la regia caserma di Bellano intorno agli anni trenta in un'Italia in pieno fascismo.
La signorina Tecla ,“secca da far paura e non più alta di un metro e cinquanta, [...] aveva un leggero tremito del capo e il vezzo di contrarre a intervalli regolari le ali del naso, dopodiché emetteva uno sbuffo, rumoroso e singolare”. Si presenta in caserma per denunciare la scomparsa di un cuore, non uno a caso quello sacro, quello di nostro Signore, lasciando interdetto il brigadiere che raccoglie la denuncia. Da qui, ciò che a primo avviso può sembrare la fissazione di “una zitella per vocazione e per destino” diviene il capro espiatorio di una sequela di crimini che passano attraverso tombe profanate, casi di usura, bancari corrotti, fratelli scomparsi e poi riapparsi coinvolgendo molti abitanti del paesello.
Trama gialla e commedia s'intrecciano sulle rive del lago di Como, attraverso lo stile stringato e ironico di Vitali. Capitoli brevi, frasi secche e veloci descrivono un'Italia provinciale e i personaggi che l'hanno caratterizzata. Il volto di una nazione ormai scomparso, che passava attraverso la compassione e la misericordia senza negare spazio a un pizzico di maldicenza e di credulità. Sentimenti di uomini e donne comuni ma non banali, che pur non dicendo niente hanno molto da raccontare.
Un lettura rapida come scene da fiction, con rapidi cambi d'inquadratura dove i collegamenti sono lasciati al lettore e alla sua fantasia. Un romanzo semplice senza troppi significati nascosti, storie da bar e intrighi da dietro le persiane dove ognuno crede di conoscere la verità, che portano con se un buon sapore di fresco.
Consigliato!
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Rinascere
E' la fine di un anno difficile, un giorno memorabile in cui sette donne si ritrovano sedute intorno ad un tavolo per festeggiare la completa guarigione dal cancro di una di loro: Kate.
Tra “ il profumo denso di enchiladas, pollo arrosto e pomodori grigliati” una nuova sfida, giocosa e sfrenata aspetta Kate. Un regalo inaspettato per affrontare ancora la vita sulla cresta dell'onda. Kate accetta alla condizione che le sue amiche compiano un passo per loro memorabile, devono realizzare il sogno della loro vita, qualcosa che hanno sempre desiderato fare, ma che hanno sempre rimandato.
Una romanzo che si spacca senza perdere compattezza, dopo il primo capitolo, per affrontare singolarmente le vite delle protagoniste, esaltando la sfida affidata a ciascuna. Il lettore affronta le gioie, le paure, le insicurezze di sette donne tenute unite dall'amicizia e dall'aiuto reciproco. Un brulicare di emozioni posate nero su bianco in cui il lettore è chiamato ad intrufolarsi per sapere se usciranno vincenti dalla propria battaglia. Molti i punti di vista, molti i modi di affrontare la competizione e in definitiva la vita che emergono dalla lettura, dettati dalle differenze di età, di condizione sociale e di storia vissuta accordati perfettamente alla varietà di personaggi descritti.
Parole magiche, talvolta sontuose e preziose a descrivere uno spezzone di vita, per assaporare lentamente le vicende di donne segnate da un percorso personale e unite da una profonda amicizia.
Ben raccontato, ma senza eccessi; è un sogno ad occhi aperti per indicare possibili strade verso la felicità.
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Andante moderato
Tra l'aria di Zerlina del Don Giovanni e il “Vorrei spiegarvi, oh Dio” (k.418) si sviluppa il racconto di investigazione sulla morte di Wolfang Amadeus Mozart.
Dalla voce di Maria Anna Mozart, Nannerl per gli amici, si apprendono le vicende inerenti gli ultimi giorni di vita del celeberrimo compositore e i passi, da lei stessa compiuti, per far luce sulla strana fine del fratello. Morte annunciatale da una lettera della cognata e liquidata dalla autorità come causata da un'acuta forma di “febbre militare”.
L'indagine è svolta in punta di piedi da una personaggio rappresentante le donne settecentesche, spesso combattute tra i propri diritti/doveri e quelli assegnati loro dalla famiglia o dalla società.
Una descrizione sempre in bilico tra la madre amorevole, la figlia devota e la donna di successo, capace al pianoforte di tenere testa al fratello e di divertire la corte viennese. Un contrapposizione di ruoli importante finita con l'assunzione dei doveri imposti senza remore, con un unico guizzo di “ego”, la caccia all'assassino del fratello, ammesso che esista. Il risultato è un personaggio complesso più trascinato dagli eventi verso la soluzione del caso che anima dell'investigazione.
Da contraltare a Nannerl, il personaggio storico di Fraulein von Paradies, precorritrice di idee femministe e sostenitrice della libertà di scelta delle donne, talvolta inseguendo la carriera a discapito della famiglia.
Accanto a loro molti altri personaggi reali o immaginari che completano l'opera facendo di questo romanzo non un thriller, ma un romanzo storico.La suspence è inesistente e la trama gialla è smorzata dalle citazioni musicali, che spingono all'ascolto dell'opera di Mozart più che alla lettura, e dalle descrizioni di Vienna, narrata in tutto il suo splendore asburgico.
Un buon libro, non un capolavoro, con molti spunti di riflessione. Lontano dall'essere un thriller trova, a mio parere, un collocazione tra le letture degli amanti, più o meno appassionati, di musica classica e di Vienna.
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Il thriller che non c'è
Un paio di omicidi e qualche indagine riescono a fare di un romanzo un thriller quanto un elegante vestito e un grazioso paio di scarpe fanno di una bella donna una top model.
Le qualità intrinseche possono risultare esaltate, ma difficilmente qualche dettaglio può far apparire ciò che non è. La signora poco avvezza al tacco 12 e allo spacco profondo inciampa risultando poco aggraziata e il thriller ostacolato dalle ricche descrizioni dei personaggi, dei luoghi e dalla quasi assenza di narrazione da “scena del crimine”, procede claudicante rilegato al ruolo di comparsa con due sole uscite: l'inizio e la fine.
In mezzo? Il romanzo. La storia.
Leggendo ci si mette così in cammino in una San Francisco che sfoggia tutte le sue variegate forme di vita, mostrandosi indulgente, tollerante e libertina, ma anche indifferente e qualunquista. Si “gironzola” con una moltitudine umana, uomini d'affari, spacciatori, gay, trasformisti, guaritori, medici e cosi via, finendo per avvicinarsi agli uni o agli altri e talvolta credendo di essersi imbattuti in se stessi. S'incontra Indiana, guaritrice dall'animo puro, dedita agli altri e fermamente convinta della bontà umana attorniata dai suoi uomini: il padre farmacista Blake Jacksson, dedito alla nipote e alla figlia, l'ex-marito Bob Martin, capo della sezione omicidi cinico e libertino, il compagno Alan Keller, ricco rampollo datato e l'amico Ryan Miller, ex- navy seal senza una gamba e con fantasmi nell'armadio. Attorno, tutti i clienti delle clinica olistica, personaggi segnati nel corpo e nell'anima a cui Indiana presta soccorso fisico e morale. Insieme alla madre, la figlia Amanda, teenager brillante e perspicace con difficoltà a socializzare che ha, nel mondo virtuale, la sua rivincita come maestra del gioco di Ripper. Alla guida di una schiera di giovani “emarginati”, un ragazzo paraplegico della Nuova Zelanda, un agorafobico del New Jersey, un'anoressica di Montreal e un orfano afroamericano studente a Reno, si diletta a risolvere i casi ambientati nella Londra di Jack Lo Squartatore.
Quando San Francisco diviene teatro di una serie di delitti, i giocatori decidono di dirottare il gioco ai giorni nostri. Il gioco di Ripper si fa agorà, tavola rotonda, luogo di incontro in cui le differenze, le paure e le menomazioni, fisiche o mentali che siano, spariscono e democraticamente si propone, si deduce, s'indaga. Dietro il velo del nickname ognuno si sente più spontaneo, più libero riuscendo a far brillare la propria intelligenza, la propria forza per esprimere senza remore le idee personali.
Pagina dopo pagina, virtuale e reale sono sempre più in sintonia con il primo che guida il secondo verso la giusta pista e indizio dopo indizio verso la mano omicida.
In definitiva, una commedia umana che scruta l'uomo, lo analizza, lo scandaglia fin nei meandri più oscuri del vissuto, senza commiserazione o compatimento, cercando di mettere in risalto ciò che c'è di buono nei singoli, nelle famiglie, nelle comunità di persone passando per l'analisi dei rapporti tra madre-figlia, tra nonno-nipote, tra ex-coniugi, tra colleghi etc... Uno sguardo ironico alla vita con tutte le sue contraddizioni e le sue debolezze, ma sopratutto con la sua voglia di riscossa, motore per superare le proprie barriere permettendo al vero io di emergere, migliore o peggiore che sia.
Un romanzo, non un thriller, da leggere!
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Qui inferus feris inferus perit
Sempre di corsa il nostro professore di Harvard, Robert Langdon, ancora una volta protagonista di un romanzo veloce e trascinante con caccia al tesoro tra Italia e Turchia, raccontate entrambe attraverso le bellezze artistiche di cui dispongono. Non delude il Signor Brown, come sempre imprigiona il lettore in un inseguimento serrato dietro le elucubrazione mentali del professore di simbologia stavolta convalescente. Fin dall'inizio l'attenzione è alta e il mistero fervente, Langdon senza memoria, ritorna sui suoi passi per capire com'è arrivato all'ospedale fiorentino che sta lasciando in tutta fretta a bordo di uno scooter guidato dal suo medico curante.
Romanzo avvincente e avvinghiante, come un pitone sulla preda, circonda con le sue spire e intrappola con la sua trama densa, incentrata sull'uomo e sulla millenaria diatriba tra il Bene e il Male e se dall'uno può scaturire l'altro e viceversa. Intreccio articolato, intricato e complicato, che pagina dopo pagina, s'ispessisce e si assottiglia passando attraverso la critica dello sfruttamento delle risorse del Pianeta, la discussione tra scienza e religione con la definizione dei limiti della prima in relazione ai principi etici imposti della seconda, la peste, come purificazione dell'umanità, e la rilettura dei canti dell'Inferno dantesco, come chiave per sciogliere gli enigmi. Dai lussuriosi fino ai traditori, ritroviamo citazioni e racconti di tutti i peccatori infernali di Dante, con particolare riguardo all'ignavia, citato nel romanzo (“I luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali “) come il peccato odierno, spesso causa, con i suoi tentennamenti, di danni maggiori di quelli prodotti attraverso le azioni errate o cattive. A contorno della trama, i riferimenti all'arte e alla letteratura, anche quelli, che possono far sorridere gli italiani, tratti dalle conferenze del professore, e le descrizioni delle città citate. Firenze, Venezia e perfino Istanbul escono da questo romanzo esaltate, con scorci da cartolina. Città idilliache dove la storia permea ogni angolo e il profumo dell'arte impregna l'aria da respirare. Boboli, Palazzo Vecchio, Piazza San Marco, Santa Sofia e gli altri monumenti sono descritti attraverso una lente rosata, sono mostrati come in una guida suggestiva e affascinante che invoglia alla visita.
Riassumendo un romanzo meritevole di lettura dal finale incerto, inutile, incompresibile, inconcludente e non in linea con il resto, un'ingnava conclusione degna dell'Antinferno dantesco.
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Amor, ch'a nullo amato amar perdona
La più bella frase mai scritta sull'amore a sinossi di un romanzo prezioso e impalpabile come il tessuto che costituisce il suo titolo.
Hervè Joncour è amato. Amato con modestia, dedizione e altruismo da una donna delicata e fedele sempre accanto nella vita, Helene, una compagna e un'amica nella lotta per l'esistenza, partecipe con lui e più di lui alle vicende quotidiane che, il nostro protagonista attraversa come una comparsa, come un passeggero senza prendevi parte a pieno. Sono gli altri che ne dirigono il destino che lo convincono e lo coinvolgono, a lui il merito di non tirarsi indietro.
Seta è una fiaba dall'anima moderna ambientata nell'Ottocento, dai contorni sfumati, dai tratti sinuosi, dai modi affabili. Come ogni novella, le vicende in alcuni punti si ripetono uguali a se stesse, quasi fossero scritte con il copia-incolla. Parole per enfatizzare l'andirivieni del viaggio di andata e ritorno dal Giappone, parafrasando la corsa verso l'ignoto paese del Sol Levante e il rientro in terra nota con il successo tra le mani. Storia di personaggi immaginari, tagliati grossolanamente, volutamente forzati, immersi nel presente, senza passato o senza futuro a deviare l'attenzione dallo stato d'animo da rappresentare, in netto contrasto con l'attore principale tratteggiato come un prode, che riesce là dove gli altri falliscono, con doti, a tratti strane e incomprensibili, ma poderose. Valorso che incespica, che trova la sua kriptonite, ma che si riprende, cresce e si rafforza imparando dai propri errori.
Una storia del bene, che fa bene, da leggere per il semplice gusto della lettura.
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Paris or not Paris
Donne fatali, fredde e ammalianti che coinvolgono Poirot affidandogli strani incarichi e cercando di gettargli fumo negli occhi. Intrighi complicati e ingarbugliati che traggono inizialmente in inganno anche l'esperto Hercule. Vita di spettacolo e giochi di capricciose star raccontanti dal fido amico Hastings mettendo in risalto sia l'iniziale impasse del belga dalle celluline grigie in fermento sia la geniale intuizione che lo porterà a scoprire la verità.
“Se morisse mio marito” sembra una partita a carte scoperte, non ci si può sbagliare, il giallo è chiaro e l'assassino si palesa fin dalle prime pagine. Sicuri di avere la vittoria in pugno, si continua a leggere sfidando la Christie, che sorniona se la ride. La trama fila e i personaggi, rappresentanti del più tradizionale “english style”, calcano le scene ingarbugliando le vicende. Le carte viste sembrano scomparse e la certezza della conoscenza si affievolisce mentre la partita scorre e la vittoria si allontana vittima del solito sublime bluff di “agathiana” fattura. La regina del giallo fa sempre apparire possibile l'impossibile, intrappolando lo sprovveduto lettore in un gioco di specchi dove nulla è come sembra e tutto può cambiare fino all'ultima riga.
Semplicemente degno classico d'autore!
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Chi va al mulino s'infarina
Sulla copertina di questo romanzo di Miller dovrebbero essere incise le stesse parole apposte sulla porta dell'Inferno nella Divina Commedia di Dante, declinate nella versione più appropriata di “Lasciate ogni moralismo, voi ch'intrate”. In una Parigi fine anni '30, dove l'arte permeava ogni millimetro e dove ogni caffè accoglieva intellettuali e artisti di ogni foggia e fama, si svolgono le vicende di Alf, giornalista americano residente nella Ville Lumière, dedito sopratutto al sesso.
Depravazione, pornografia, perdizione raccontate su commissione, senza una trama specifica, senza pause o interruzioni, fatta salva qualche congiunzione. In breve un susseguirsi di amplessi tra uomini, donne e animali nelle più variegate combinazioni senza leggi morali, senza inibizioni, senza velature. Quasi 200 pagine di istinto puro votato alla pulsione sessuale e al soddisfacimento del più ancestrale dei desideri.
Parlare di caratterizzazione dei personaggi e dei luoghi è praticamente inutile, persino dello stesso protagonista si sa ben poco, fatta eccezione per le dimensioni e le capacità del suo John Thursday, che è, forse, il vero divo.
Leggere questo romanzo è una prova ardua, un lotta contro i propri principi morali, la propria educazione e i propri tabù, un tacitare la propria coscienza per arrivare al termine.
Se si crede di avere un'elevata apertura mentale, non resta che affrontare la lettura per conoscere il verdetto o per finire stritolati dall'opera del mugnaio!
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Indubbie ragioni
Guido sempre più Guido. Come ogni romanzo imperniato sul suo protagonista principale anche in “Ragionevoli dubbi” si assiste all'analisi che Guerrieri fa della sua vita e delle vicende che deve affrontare, accentrando l'attenzione.
L'uomo esce ancora distrutto, annientato nelle sue certezze e nei suoi bisogni, l'amore ritrovato viene perduto.“Quando Margherita disse che doveva parlarmi, pensai che aspettasse un bambino. Era un tardo pomeriggio di settembre. Con tutta la luce drammatica dell'estate che finisce, che preannuncia la penombra e i misteri dell'autunno. Un buon momento per sapere che diventerai padre,(...)
«Ho avuto un'offerta per un nuovo lavoro. Un'offerta molto buona. Ma se l'accetto devo partire e stare fuori parecchi mesi. Forse un anno ».
La guardai con l'espressione di chi non ha sentito bene, o non ha capito le parole. Cosa c'entrava questa offerta di lavoro con il bambino che avremmo avuto fra qualche mese?”
Mesto e triste, accetta o semplicemente sorvola sulle decisioni imposte da altri alla sua vita, non lotta per questa nuova storia fallita, non mette in luce i suoi bisogni. “Pensavo stessi per dirmi che aspettavi un bambino. Pensavo che a quarantadue anni la mia vita insulsa all'improvviso, per magia, avrebbe trovato un senso e una ragione. Per questo bambino, o questa bambina cui avrei fatto in tempo a insegnare delle cose, prima di diventare vecchio.
Non dissi così. Mi tenni tutto dentro, come una cosa che ti vergogni anche solo di avere pensato. Perché ti vergogni della tua debolezza, della tua fragilità.”
Lotta invece l'avvocato, attivo e presente, contattato attraverso un telegramma, non senza tormenti, accetta di difendere una conoscenza giovanile, un certo Fabio Paolicelli, detto Raybàn, ex-picchiatore fascista, trovato con 40 kg di cocaina purissima dai finanzieri al ritorno della ferie in Montenegro.
Decide di credergli e in pochi mesi prepara la difesa in corte d'appello a un anno e mezzo dai fatti, sfruttando l'amicizia con l'ispettore Tancredi e contravvenendo ad una delle regole non scritte del codice secondo cui “ un avvocato non difende un cliente buttando a mare un collega”.
Prima che alla corte, l'ardua sentenza tocca alla coscienza di Guido, alla sua professionalità e alla sua onestà salda, sporcata solo da piccole macchie.
I dubbi e le decisioni da prendere sono i protagonisti di questo romanzo, sciolti attraverso le scelte di Guerrieri, ma ogni lettore ci si può rispecchiare pensando alla personale reazione se posto nelle stesse condizioni.
Difendere o meno chi si crede indegno, chi forse è colpevole dei fatti, chi, come se non bastasse, potrebbe, anche se inconsciamente, farti dono di quella pace familiare agognata? Placare i dubbi che attanagliano la moglie del cliente, Natsu Kawabata, di cui ti sei innamorato e di cui adori la figlia? Semplicemente, rubare la vita degli altri, solo perché non riesci a fartene una propria? Cosi tra le certezze di sempre, il cibo, le citazione musicali, jazz incluso, e letterarie e una deliziosa Bari notturna, ecco, con una scrittura semplice e lineare, i drammi dell'uomo e dell'avvocato e la risposta che Carofiglio dà attraverso Guido Guerrieri.
Da gustare senza sosta!
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Bric-à-brac d'autore
Due voci narranti per questo romanzo diviso tra le confessioni di un portinaia e i pensieri di una bambina dodicenne che vive nello stesso palazzo.
"Mi chiamo Renée. Ho cinquantaquattro anni. Da ventisette sono la portinaia al numero 7 di rue de Grenelle, un bel palazzo privato con cortile e giardino interni, suddiviso in otto appartamenti di gran lusso, tutti abitati, tutti enormi. Sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesionistiche, l'alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante".
Ecco Renée, divisa tra la guardiola e il nascondiglio-studio, votata a incarnare, giorno dopo giorno, lo stereotipo della portinaia incolta, impicciona e mediocre. Autodidatta, colta e raffinata, la nostra “guardaportone” è appassionata di arte e letteratura (il suo gatto Lev è un tributo a Tolstoj) pur non disdegnando la musica e il cinema d'autore con particolare attenzione al Giappone e al regista Ozu.
Qualche piano sopra Paloma, ragazzina dodicenne con idee suicide che danno al personaggio una punta di falsità e non credibilità, che di se afferma: “(...) abito al numero 7 di rue de Grenelle in un appartamento da ricchi. I miei genitori sono ricchi, la mia famiglia è ricca, e di conseguenza mia sorella e io siamo virtualmente ricche. (…) Si dà il caso che io sia molto intelligente. Di un'intelligenza addirittura eccezionale. Già rispetto ai ragazzi della mia età c'è un abisso. Siccome però non mi va di farmi notare, e siccome nelle famiglie dove l'intelligenza è un valore supremo una bambina superdotata non avrebbe mai pace, a scuola cerco di ridurre le mie prestazioni, ma anche facendo così sono sempre la prima della mia classe".
Due anime impegnate a celare la loro vera essenza, per rimanere in linea con i canoni imposti dalla società, fino all'arrivo di un nuovo inquilino, Monsieur Ozu, capace di far trapelare il vero “io” delle due per vivere pienamente.
Geniale la partenza, l'idea e il contrasto tra lo stereotipo e l'alter ego che attraggono mostrando significati profondi delle parole cultura, intelligenza ed educazione. I ricchi abitanti del palazzo, pieni di cultura/intelligenza conquistata dalla ricchezza senza averne compreso l'effettiva potenza, interiormente rozzi e scortesi sono contrapposti agli altri dall'intelligenza/cultura, talvolta auto-conquistata, “illuminati”, detentori di verità nascoste, sensibili e coscienti del potere del sapere.
Renée e Paloma identificate come “portatrici sane di cultura”, cerebralmente affini, sono la voce dell'autrice che arricchisce la trama con dotte citazioni e erudite elucubrazioni a tal punto da trasformare un romanzo in un trattato di filosofia e deteriorare il carattere ironico e sarcastico dei suoi personaggi principali. Il sapere e la conoscenza annacquano la trama e smorzano la boutade rendendo l'anti-stereotipo alla stregua dello stereotipo, facendo sbadigliare il lettore dubbioso.
E' proprio vero che l'intelligenza/ la cultura, quella con la c maiuscola, è appannaggio di colui che è “disadattato”? O semplicemente, e fortunatamente, tutti possono conoscerla? Cortesia e intelligenza risiedono,sempre, nello stesso animo? Mah!
Buono di base, ma caricato oltre misura, il romanzo risulta denso, appiccicoso, a tratti stucchevole e scontato, dove i buoni propositi iniziali si perdono in un mare di nozioni con un finale ottenuto con un più aiuto del necessario e in pieno rispetto della Legge di Murphy.
Una paccottiglia d'autore con diamanti grezzi da far brillare!
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Parola alle donne
Storie di donne, per il “principe (o quasi!) del foro” barese, storie di maltrattamenti e di incesti, storie di possesso e di amore malato, storie che feriscono, che impediscono di vivere, che fanno incattivire, che macchiano per la vita. Storie difficili, che obbligano a delle scelte, che mettono sotto i riflettori i vizietti di “un figlio di papà”. L'avvocato è marcato stretto stavolta, le donne lo trascinano nello loro vicende e lo obbligano a scegliere, a prendere posizione, a schierarsi, pagando, se dovesse fallire, un prezzo altissimo, la sua carriera potrebbe finire nel cestino.
C'è ancora lei, Margherita, la sua nuova compagna è vicina ma non opprimente e ci sono le altre. Quelle che scappano, come la Mantovani, trasferita su richiesta proprio quando era più d'aiuto, quelle che accorrono, come il nuovo pubblico ministero, tanto giovane e inesperto quanto insicuro e,forse, incapace, e quelle oltraggiate. Le vittime che hanno trovato la forza di reagire, che non si sono lasciate sopraffare dallo stalker o dal violentatore, che hanno trovato il coraggio di lottare contro il proprio oppressore, come Martina o come suor Claudia.
E' bravo Carofiglio a muovere il suo Guerrieri, in mezzo a tanta cattiveria. Lo arricchisce di spessore, l'avvocato indugia inizialmente ,il caso è denso, ma è un po' più eroe, Guido, segue il volere della sua coscienza, adesso, non solo il dio denaro e quando è il suo turno non si tira indietro, si destreggia tra i ricatti più o meno velati azzeccando tutti i colpi, forse anche troppi.
Intreccio di vittime di oggi e di ieri, vicende al femminile raccontante con semplicità, puntualità e chiarezza, senza eccessi, senza melodrammi con un uomo al centro: l'avvocato Guerrieri, degno protagonista.
Accattivante con finale al chinino.
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