Opinione scritta da rakovic
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Yan c-bin (dobbiamo andare)
Agosto 1997, avevo questo libro tra le mani mentre mi aggiravo tra le nebbie della calda umidità di Palenque, le torride scalinate del Castillo di Chichen itza, la vertiginosa pendenza della Piramide dell’Indovino ad Uxmal o la vista mozzafiato della giungla vista dalla vetta del Mundo Perdido di Tikal.
L’autore, che è stato uno dei massimi esperti sulle civiltà precolombiane ha preso dapprima in considerazione la la vita quotidiana della gente comune: la lingua, l’organizzazione sociale, lo sviluppo di agricoltura ed artigianato dall’abilità nel costruire panieri, stuoie,ceramiche e corde all’arte del comporre mosaici di piume. Il codice penale si rifaceva alla legge del taglione, ma per alcune cose era unico e meraviglioso, visto che ai ladri veniva tatuata sul volto una “sigla” simbolo del reato commesso. Mi viene da sorridere nel pensare con quali facce si presenterebbero in parlamento i nostri politici…
Quindi vengono passate in rassegna le classi dominanti con l’organizzazione sociale , politica e religiosa delle città stato. La religione permeava e regolava tutto. Il dio della pioggia veniva nutrito con cuori umani: nelle regioni piovose i sacrifici umani avevano luogo con molta meno frequenza.
Infine le opere che i Maya hanno realizzato e che in parte sono giunte fino a noi: architettura, scultura, pittura, letteratura, le vie di comunicazione. Una menzione a parte meritano calendario e astronomia che tanto hanno fatto parlare negli ultimi giorni dell’anno scorso; di calendari maya ce ne sono vari tipi, ma il più usato era di 18 mesi di 20 giorni più 5 giorni “nefasti” in aggiunta. Convinti della ciclicità delle ere facevano iniziare il mondo nel 3111 a.c. (1). Quindi se avevano sbagliato di svariate centinaia di milioni di anni la data dell’inizio del mondo, come pretendiamo che avessero azzeccato quella della fine?
A differenza degli Atzechi, gli spagnoli non hanno nemmeno avuto il piacere di sterminare questo popolo, visto che prima del 1000 il loro mondo era già in rovina. Restavano gli Itzà, una popolazione che viveva ancora secondo i loro usi e costumi, completamente assorbito dai conquistatori alla fine del XVII secolo. Ma ancora oggi, se avrete il piacere di aggirarvi nei villaggi del Chiapas, da San Juan Chamula a Zinacantan, ad entrare nelle case di quella gente, a parlare con loro ed a vedere i loro rituali (come una gallina sgozzata in chiesa) potete rendervi conto che i Maya vivono ancora tra noi..
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diverso e appassionante
Avete mai pensato come potrebbe essere una settimana in India senza soldi vivendo di sola elemosina alla ricerca di un Baba, cioè di un vero santone da intervistare? Folco Terzani l’ha fatto e finalmente nei più reconditi angoli di una remota località dell’india ha scovato un vero Baba Indiano osannato e venerato dalla popolazione: Baba Cesare, Torinese purosangue!
A questo punto Il Guru racconta la propria vita, una vita unica, alternativa, che forse nessuno vorrebbe vivere, ma comunque affascinante. Il mondo della droga, una spirale che lo avvolge e lo inghiotte piano piano nella Torino degli anni ‘60; la disoccupazione, i viaggi dall’Italia in India in Autobus con documenti perennemente falsi; le carceri indiane, la fame, ancora la droga.
Poi Cesare inizia ad imparare a vivere di ciò che trova, a non desiderare il superfluo e vedere che con ciò che gli altri gettano via in una civiltà consumistica si può trovare sostentamento; trova anche un equilibrio con gli stupefacenti pur non abbandonandoli: là l’”erba” cresce spontanea ed il “fumo”fa parte della sua vita, della sua nuova fede, della sua “professione”. Trova molti seguaci, numerose compagne dalle quali ha numerosi figli..
Il racconto scorre veloce, sembra quasi di sentire la voce dei due interlocutori. Terzani ha evidentemente registrato l’intervista e l’ha riscritta usando le stesse parole della lingua parlata, senza cambiare una virgola.
Baba Cesare ritornerà anche in Italia più volte vivendo come un Guru nelle piazze delle città, nei boschi ed ospite di monasteri, farà proseliti ed avrà l’avversione di alcuni, ma ciò che conta è che dopo una vita travagliata si assiste al raggiungimento di un buon equilibrio interiore di quest’uomo ormai settantenne: la terra diviene una madre e lui un tutt’uno con lei; e per sentire il contatto col mondo lo percorre in lungo e in largo a piedi nudi; ne apprezza ogni asperità, il fango, la fredda pioggia, i morbidi prati e il tepore dei raggi sul suolo, ma solo ora il mondo non gli fa più paura: lui e il mondo sono una cosa sola, solo ora che può camminare a piedi nudi sulla terra.
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inutile e incolore
L’eretico è il seguito di “999 l’ultimo custode”, un libro che per lunghi tratti mi era piaciuto molto, pur zoppicando nel finale. Ero quindi ansioso di leggere cosa accadesse dopo e la delusione è stata grande.
L’eretico, un mattone di circa 500 pagine, si svolge nella Firenze di Savonarola descritta (anche bene, devo dire) in contemporanea con la Roma di Alessandro VI. Nella storia piombano come paracadutati due monaci tibetani (!) che narrano quanto accaduto a Gesù nel periodo tra i 12 ed i 30 anni, cioè la parte della vita di Cristo che non viene raccontata nei vangeli. Il Messia sarebbe stato rapito in Palestina a 12 anni, trasportato in oriente dove avrebbe appreso tutti i segreti dei monaci tibetani e quindi sarebbe ritornato in patria accompagnato da un figlio, per nostalgia del passato; qui sarebbe andato incontro alla storia che sappiamo culminata nella crocefissione, ma nel racconto dei monaci Gesù non muore sul Calvario: durante il soggiorno in Tibet avrebbe appreso la capacità di cadere in catalessi e quindi niente resurrezione: se ne va tranquillamente a morire in Oriente dove si trova ancora oggi la sua tomba.
Non proprio blasfemo , ma quantomeno fuori dalle righe anche se questa storia fa comunque parte di alcune credenze popolari orientali.
Tutto è imperniato sul racconto dei monaci; gli intrighi dei Borgia, il personaggio di Savonarola, la carriera repentina di Giovanni de Medici, tutto resta sullo sfondo.
La narrazione non decolla mai , la trama è labile e la noia la fa da padrona: si ha proprio l’impressione che si faccia di tutto per allungare la minestra e così abbondano le parti descrittive a scapito di qualsiasi sussulto, colpo di scena o scena di azione. Da evitare.
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beati toscani di serie b
Come recitava Lello Arena in “Ricomincio da Tre”, esiste O MIRACOLO O MIRACOLOOOOO!!!! e o miracolo. Questo per distinguere i miracoli di serie A da quelli minori.
E così esistono SANTI con l’aureola in oro zecchino, il manto tempestato di pietre preziose ed una serie innumerevole di cattedrali a loro dedicate ed in contrapposizione a loro una serie di santi e beati con aureola di legno, vestito pieno di toppe ed il nome appena collegato a qualche borgo ed a qualche romita cappella di campagna. Ed è di questi che si occupa questo libro spassoso: vita morte e soprattutto miracoli dei beati della toscana.
Il testo (abbastanza corposo) snocciola in rigoroso ordine alfabetico, per non far torto a nessuno, una serie di personaggi curiosi e gli aneddoti spesso frutto della tradizione popolare che hanno costellato la loro vita.
Fantastico è quanto si narra a proposito del paese di Bientina, in provincia di Pisa: nel 1695, essendo uno dei pochissimi paesi della zona privi di un santo patrono, il comune stanziò 150 scudi da inoltrare al granduca Cosimo III affinchè acquistasse una sacra reliquia. Da Roma, dove c’erano cataste di ossa di santi o presunti tali, arrivò quindi all’interno di una teca uno scheletro vestito sontuosamente che venne accolto in paese dal tripudio popolare: san Valentino. Finalmente anche Bientina aveva il santo Patrono. For sale.
Quando un eremita moriva in qualche spelonca isolata partivano subito commandos di cittadini dei paesi vicini disposti a lottare strenuamente per accaparrarsi un braccio di san Zeffirino, un piede del beato Melchiorre o un dito del venerabile Eustorgio…
Tra i vari beati passati in rassegna è emblematica la storia di Bartolomeo Garosi, detto Brandano, “il pazzo di Cristo” vissuto nei primo ‘500. La vera santa fu la moglie, che dovette sopportarne di tutti i colori. Famoso all’epoca per le sue profezie, portava una sfiga incredibile prevedendo tutti i peggiori disastri, come il sacco di Roma. La chiesa iniziò un processo di beatificazione subito dopo la sua morte, ma si arrese per insufficienza di prove…
E poi ancora, san Mamiliano dell’isola del Giglio,san Torpè da Pisa (che ha dato il nome nientemeno che a Sain Tropez), la beata Bonizella da Trequanda e decine di altri personaggi singolari.
Recita una poesia toscana del passato:
Ciavete Santo Sano e v’ammalate,
Ciavete san Vittore e vu’ perdete,
Ciavete San Crescenzio e non crescete,
Ciavete San Savino e matti siete,
O che razza di Santi vu’ ciavete?
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viaggi alla ricerca di se stessi
Paura dell’ignoto, di tutto ciò che è diverso da noi, sicurezza in una vita congelata tra quattro mura; o viceversa attrazione da tutto ciò che ci è sconosciuto e continua ricerca di un angolo da svoltare per vedere cosa nasconde, cosa c’è dietro…. Sono modi di vita diversi, spesso stampati nel dna, ma che in alcune persone possono anche mutare con il passare degli anni.
L’autrice ha passato la vita nei più disparati angoli del pianeta per cominciare dalla propria infanzia trascorsa in Giappone. Durante il periodo bellico, da bambina, ha pure vissuto un’esperienza terribile ed unica venendo internata con i propri familiari in un campo di concentramento giapponese. Ed è in Giappone che viene in contatto con la prima immagine esotica che attira la sua curiosità “gli scalini digradanti di un anfiteatro romano in una città fantasiosa cosparsa di statue in pietra coperte da viluppi di edera e fiori selvatici”. Roma esotica: tutto è relativo.
Quindi descrive il fascino di tutto ciò che è “Altrove”: popoli, città, abitudini, usi e costumi ed il libro è una specie di album fotografico ….. senza fotografie. Capitoli rapidi che si susseguono passando dalle savane africane alle aree urbane affollate, alle migliaia di biciclette cinesi, al fascino decadente delle metropoli dell’America latina. E poi ancora Serbia, Svizzera, Arabia, Etiopia, descrizioni rapide, efficaci si susseguono ad un ritmo accattivante; appunti di viaggi, descrizioni toccanti, flash da ogni dove.
L’aver scoperto che l’esotismo varia al variare dei punti di vista geografici, ha fatto sì che la scrittrice non si sia innamorata con distacco turistico di paesi lontani e sconosciuti, ma il suo viaggiare ha acquisito altri significati, quelli della conoscenza, dell’esperienza dell’altro, senza addolcimenti né forzature.
Per chi è sedotto dall’altrove e vorrebbe conoscerlo non per fare la foto esotica da mostrare agli amici, ma per condividere con altre persone sentimenti ed esperienze.
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Da consumare preferibilmente entro il 1492
Quando parliamo di medio evo ci vengono in mente re, regine, crociati, pulzelle in pericolo e cavalieri templari, ma spesso non abbiamo idea dei fatti inerenti la vita quotidiana. Ad esempio, cosa si mangiava a tavola? Questo piccolo libro, che ha come sottotitolo “Itinerario gastronomico nella storia” ce lo spiega riportando ricette ormai dimenticate, spesso in lingua originale e con aneddoti curiosi.
Tra le tante ricette alcune mi hanno particolarmente colpito, come quella della “Faba alba del sic et faba nigra del non”. In pratica non è che una crema di fave bianche e nere fatte bollire fino a quando non formano una crema uniforme, ma incredibile è l’origine di tali legumi. All’epoca le votazioni venivano fatte in modo segreto mettendo in un recipiente una fava di colore nero per votare no o una bianca per votare sì. Una volta fatto lo “spoglio elettorale” cosa ne facevano gli scrutinatori del seggio di tento ben di Dio? Le dividevano e le cucinavano è ovvio, ed ecco così la ricetta sulle Fave bianche del sì e le fave nere del no!
Singolare anche il “Bianco mangiare” pasto di colore bianco considerato il toccasana per coloro che presentavano disturbi gastroenterici e dal quale deriva la nostra “dieta in bianco” : “Toy quattro libre de mandole e una libra de rixo, due libre d’onto fresco e una libra e mezo de zucharo e mezo quarto de garofalli….. il tutto lessato e fritto in lo onto con pocho focho servito con zucharo e aqua rosata”.
Chi non vomitava guariva….
Non mancano ricette medicamentose, come il “Miscuglio di Venere” indicato per chi aveva problemi di virilità: “toy de pevere (pepe) onza una e una de cinamo e una de zenzevro e mezo quarto de garofali e un quarto de zafferano”. Et voila: il nonno del viagra.
Un testo scorrevole, simpatico, che esplora una pagina sconosciuta di quel periodo storico dipinto a torto come cupo e decadente, ma che è invece per taluni aspetti ancora vivo dopo mille anni.
Bono appetitus!!
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fa riflettere, ma difficile da mettere in pratica
Avere o essere? Introversione o estroversione? Altruismo o egoismo? Gli autori cambiano, ma la dicotomia resta la stessa. Devo dire che con Fromm sono stati però introdotti concetti per me nuovi che mi hanno fatto riflettere.
E’ senza dubbio legato all’essere piuttosto che all’avere un individuo che preferisce fare un viaggio piuttosto che comprarsi un oggetto. Bisogna però vedere qual è il suo spirito durante il viaggio: se passa le giornate a fare foto senza chiedersi il perché delle cose che vede, senza conoscere le usanze dei popoli che incontra, senza riflettere sulle diversità esistenti e sul motivo che le ha generate, quell’individuo è più vicino all’avere che all’essere. Non può portare a casa una montagna: quindi la fotografa. Non può acquistare un contadino che miete il grano sotto il sole cocente, quindi lo fotografa. Si impossessa delle immagini, vuole possederle senza analizzare il perché: è un uomo di “avere”.
Possiamo dire cose simili in relazione al modo in cui gli studenti affrontano una lezione. Apparentemente l’apprendimento è sempre nell’ambito dell’”essere” e non dell’ “avere”, ma non è esatto. L’apprendimento puramente mnemonico, che non implichi una elaborazione personale dei dati acquisiti fa parte esclusivamente dell’”avere”. Queste informazioni sono nella mia testa, le ho acquisite io. Questo è comunque avere.
Il testo scorre con un linguaggio piano, senza asperità: viene fatto largo uso di esempi e questo rende la lettura piacevole pur trattandosi di un argomento tanto spigoloso.
Dopo aver considerato avere ed essere nell’esperienza quotidiana, nella religione e nella politica, Fromm spezza una lancia in favore dei giovani: la società moderna è costruita sull’avere, sulla proprietà privata, sul privare gli altri di ciò che possiamo fare nostro. “I giovani affrontano lunghi viaggi in condizioni disagevoli per ascoltare la musica che amano, per vedere un luogo che desiderano, per incontrarsi con la gente che preferiscono. Sarebbe fuori luogo porsi il problema se le loro mete siano valide quanto essi credono; ma anche se mancano di sufficiente preparazione questi giovani hanno il coraggio di Essere.”
Forse per restare giovani a lungo dobbiamo cercare sempre di “essere” a scapito dell’avere che condiziona la nostra vita. Più facile a dirsi che a farsi…..
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quando l'italia era un puzzle di stati
Sabato, 11 giugno 1289, San Barnaba. Nella piana di Campaldino, tra Arezzo e Firenze si affrontano gli eserciti di queste città, la prima Ghibellina e quindi fedele all’imperatore, Firenze perennemente Guelfa e quindi legata al papa. L’evento è narrato seguendo le vicissitudini di Bigio, un personaggio immaginario, ma comunque prototipo dell’uomo qualunque del XIII secolo che poco addestrato e ancora meno armato, si unisce alla moltitudine di braccianti che con falci e forconi seguono nelle retrovie l’esercito vero e proprio. Il racconto si sviluppa con la cronaca dettagliata della uscita dalla città, il cammino dell’esercito attraverso borghi, fattorie, osterie, gente comune, maniscalchi, contadini, cavalieri e disperati che le due fazioni incontrano; gli aretini marciando verso nord ed i fiorentini diretti verso sud fino all’inevitabile incontro-scontro.
Gli stati d’animo, l’attesa febbrile nei due accampamenti, le direttive dei comandanti; pronti via!
La lotta è all’ultimo sangue, ma si mostra comunque impari: i fiorentini sono meglio equipaggiati ed addestrati, mentre gli avversari sbandano. Muoiono 300 Guelfi contro 1700 ghibellini ed il loro comandante, Buonconte da Montefeltro sarà disperso nella lotta ed il suo corpo non verrà mai ritrovato. La storia è stata raccontata anche da Dante che partecipò in prima persona allo scontro e che incontra Buonconte nel purgatorio: “Qual forza o qual ventura/ ti traviò sì fuor da Campaldino/ che non si seppe mai tua sepoltura?” Buonconte narra di essere morto presso il punto in cui il torrente Archiano affluisce in Arno “..arrivai io forato nella gola/fuggendo a piedi e insanguinando il piano/quivi perdei la vista e la parola/ nel nome di Maria finì e quivi giacqui e rimase la mia carne sola/”. Quel raccomandarsi a Maria in punto di morte lo salvò dall’inferno, quindi le acque del fiume Archiano divennero la sua tomba.
In realtà tutti i morti, circa 2000 in totale, furono sepolti in una fossa comune presso il Convento del Certomondo
Narrazione viva e quasi contemporanea, descrizioni che fanno rivivere “a colori” eventi sepolti dalla polvere. Un bel romanzo storico che ci riporta a quando l’Italia era un puzzle di stati in perenne lotta tra loro. Altro che comunità europea….
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delirante
Nietzche che dice boh!! Diceva una celebre canzone di Zucchero. In effetti i testi del filosofo tedesco sono abbastanza ermetici e non si prestano ad una lettura superficiale.
Dissacratoria opera autobiografica, uscita nel 1888 fu molto apprezzata dal prof Freud, ma in seguito considerata dai più opera di un folle.
Non si tratta di una autobiografia classica: Nietzsche gioca con la propria vita psichica, la disseziona, la analizza per cercare di comprendere “come si diventa ciò che si è”.
Il fine ultimo si gioca tutto sulla contrapposizione di Dioniso con Cristo. Deve essere superata la visione della vita come una colpa da espiare anzi, la vita deve essere vissuta nella pienezza del suo divenire e chi meglio di Dioniso esprime il continuo mutare degli impulsi e degli eventi in una estasi che conduce alla liberazione dei sensi dai vincoli e dalle regole?
Riuscendo in questa impresa Nietzsche diviene ai propri occhi “il primo uomo come si deve”: Ecce Homo, ecco l’uomo Nietzsche, il prototipo di come si dovrebbe essere (secondo lui).
Il testo è per lo meno farneticante: un delirio continuo di pensieri che si accavallano, si mescolano in un serpeggiare spesso inestricabile con un lessico che agevola l’incomprensione e lo smarrimento. Pensieri, esempi contorti, spiragli di luce. E poi ancora parole a mitraglia collegate tra loro con la saliva ed esempi che confondono ulteriormente le idee. Alla fine però, nonostante tutto, l’uomo Nietsche ci compare di fronte in tutta la sia personalità: non abbiamo capito quasi niente, ma lui è lì davanti a noi che ammira se stesso in tutta la sua sfavillante schizofrenia.. Allucinante.
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filosofia senza sbadigli
La filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto resta tale e quale. Questa è la definizione che noi, studenti del liceo, affibbiavamo alla materia degli “amici del pensiero” come si evince dalla sua etimologia Greca. Ed i filosofi greci sono lo zoccolo duro della filosofia che si studia alla scuola superiore nonostante le ore trascorse sui testi di Platone, Socrate, Aristotele, gli Stoici o gli Epicurei siano state infarcite di sbadigli e difficoltà di comprensione.
Fortunatamente nel testo di de Crescenzo la materia appare incredibilmente piacevole ed altrettanto incredibilmente si riesce a capire qualcosa.
Ad esempio, quando parla della diatriba tra Stoici, per i quali la felicità è nella virtù, ed Epicurei che riconoscono la felicità nel piacere fa questo esempio illuminante: “Il signor Pirelli per diventare Pirelli era uno stoico. Se fosse stato Epicureo avrebbe fatto il gommista”. Chiaro come il sole.
Mirabile è anche la spiegazione dei concetti di Platone, il “Non essere” ed il mito della caverna. Il “non essere” non è, e qui siamo tutti d’accordo, il guaio però è che si vede! Sì, perché il non essere è ciò che una cosa sembra e che la nostra percezione avverte, ma che in realtà è l’ombra, il simulacro, della realtà.
Accanto ai mostri sacri già citati, De Crescenzo esprime i concetti filosofici di Tonino Conte, Peppino Russo, Gennaro Bellavista, Sciciò e tanti altri esempi di napolanità spicciola.
Mirabile è la teoria di amore e libertà, pilastri sui quali si fonda l’archè, il mattone primogenito sul quale poggia il mondo nelle teorie del professor Bellavista. Tutto dipende da amore e libertà e dai loro opposti, odio e potere. Dalle loro combinazioni nascono i quattro tipi caratteriali fondamentali: il saggio (libertà e amore), il papa ( amore e potere), il tiranno (odio e potere) ed il ribelle (odio e libertà). Durante la propria vita l’individuo fluttua nei vari tipi caratteriali a secondfa delle vicissitudini che attraversa.
La rassegna è completa ed i due volumi (“i presocratici” e “da Socrate in poi”) si leggono con una piacevolezza inattesa per un argomento tanto macchinoso.
Sì, nonostante tanti discorsi, tutto resta tale e quale, ma almeno in questo libro non si sbadiglia e si riesce a sorridere imparando qualcosa. Piacevole.
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per piccoli e grandi
Un libro piccolo, da assaporare senza fretta, composto da venti racconti scanditi dall’alternarsi delle stagioni: si inizia con la primavera compiendo cinque “giri” completi. Al centro una famiglia umile e numerosa che vive in cattività in una metropoli qualsiasi, presumibilmente del nord, che a tratti ricorda Milano ed a tratti Torino, così vicina all’autore. Nonostante il grigiore, lo smog, il traffico, le fabbriche, l’inquinamento, nei sogni del capofamiglia esiste un mondo ecologico puro ed immacolato da ricercare negli anfratti dell’area urbana.
Siamo nel 1963 e forse ancora le città erano a misura d’uomo, ma in pieno boom economico la civiltà dell’industria e della tecnologia iniziava a macinare le famiglie e gli individui. Marcovaldo è l’antesignano del ragionier Fantozzi, stesse situazioni paradossali stesso eroe- antieroe che pur nella sfortuna totale riesce a cadere sempre in piedi ed a vivere la sua piccola vita cercando un mondo che non esiste nella sua realtà. Calvino dà un ulteriore sfoggio della sua capacità davvero unica: scatenare pensieri profondi negli adulti partendo da storielle che sembrerebbero scritte per i bambini o per adolescenti. Invece tra le righe si ritrovano delle vere e proprie lezioni di vita condite con ironia, sorrisi ed anche un velo di tristezza. Poetico.
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balene in campagna
Questo libro parla di un aspetto particolare della mia terra, ma può essere comunque esteso a molte zone d’Italia. La colpa di tutto ciò è del continente africano (no, non sono razzista) che si sposta verso nord con andamento “basculante”, come un immenso pendolo. Così facendo accade che ciclicamente, ogni tot milioni di anni, Lo stretto di Gibilterra diviene un istmo ed il Mediteraneo un immenso lago salato. Non più collegato con l’Atlantico il Mare Nostrum si prosciuga, anche se non completamente, in quanto l’apporto idrico dei fiumi che vi si gettano, è insufficiente a mantenere il livello odierno; si formano così accumuli di sale che daranno origine ai depositi di salgemma. Quando poi Gibilterra si riapre le acque rientrano nel Mediteraneo in modo particolarmente violento e sommergono gran parte delle terre emerse, risparmiando solo le catene montuose.
Facendo un piccolo salto indietro nel tempo, circa 4-5 milioni di anni fa, quando i primi Australopitechi percorrevano le savane, gran parte della Toscana era sott’acqua e così è molto frequente ritrovare fossili del pleistocene nelle colline tra cipressi, ulivi e frumento. Fossili piccoli, come conchiglie di gasteropodi , bivalvi o brachiopodi, denti di squalo, coralli, si ritrovano un po’ ovunque, anche in superficie, ma talvolta accade che per fare le fondamenta ad una casa, per piantare una vigna o per arare un campo, vengano ritrovati cetacei interi, come a Montalcino, Pienza, Chianciano, Pisa o sirenidi (come l’odierno lamantino) vicino a Grosseto. Tali ritrovamenti sono sempre eventi che coinvolgono poi equipe specializzate dalla fase di estrazione al restauro, alla esposizione in strutture apposite.
La lettura è molto piacevole ed è ben lungi dall’essere un complicato trattato paleontologico. Piuttosto fa riflettere di come la terra sulla quale camminiamo muti continuamente e ciò che ci appare come immutabile è invece soggetto ad un ciclico cambiamento. Interessante
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bello e difficile
Dapprima a braccetto con il sig Freud, Jung se ne va per i fatti suoi dopo il 1913: la pietra della discordia fu il concetto e l’importanza della “libido” nella psicologia di una persona. Non ho capito niente a proposito delle differenze tra Freud e il collega svizzero a proposito della libido, ma è giusto che ognuno si faccia la “libido” propria…
Jung suddivide la personalità delle persone in due tipi principali: l’introverso e l’estroverso. Il primo è attratto da ciò che ha dentro, dalla psiche, dal soggetto, mentre l’estroverso è attratto da ciò che è all’esterno di sé, quindi in particolare dagli oggetti del mondo. Praticamente i concetti che Fromm riprenderà nel suo “avere o essere?”.
Introverso ed estroverso sono a loro volta suddivisi in quattro sottotipi: pensiero(prevale l’intelletto), sentimento (prevale la sfera affettiva), sensazione (si affida alla percezione sensoriale)e intuizione (obbedisce a direttive inconsce). Combinando i sottotipi con introverso/estroverso si ottengono in tutto otto tipi psicologici diversi.
Jung però non intende fare una fredda classificazione dei tipi psicologici, ma valutare l’orientamento delle varie coscienze; ognuno di noi ha mescolati tutti i vari aspetti, anche se in alcuni individui prevalgono certi aspetti piuttosto che altri. Nei soggetti che avranno la netta prevalenza o addirittura l’esclusiva presenza di un solo tipo psicologico si sfocia nella patologia.
Vengono fatti molti esempi di appartenenti a questo o a quel tipo: nella dicotomia tanto cara a Nietzsche tra Apollineo e Dionisiaco, si dimostra facilmente come il mondo onirico del primo sia di stampo introverso mentre il sentimento universale che dà l’ebbrezza dionisiaca sia pura estroversione. La sofferenza origina dalla tensione tra gli opposti: se questi invece si completano e si integrano a vicenda, come lo Yin e lo Yang del taoismo si arriva al perfetto equilibrio.
Un libro abbastanza difficile, ma anche affascinante che percorre un viaggio attraverso ideologie, individui, miti e leggende del passato, ma che soprattutto cerca di farci compiere un itinerario all’interno del nostro subconscio. Scusa, ma tu che tipo psicologico sei?
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altro che ulisse!!!
Prendete una moto, caricateci lo stretto indispensabile, trovatevi uno sponsor e imparate a riparare ogni inconveniente meccanico possa capitarvi. E' il 1973 e Ted Simon, giornalista del Sunday Times l'ha fatto.
Dopo la partenza dall'Inghilterra ha attraversato l'Europa raggiungendo la Sicilia dove si è imbarcato per la Tunisia. Arrivato sul continente africano ha percorso la costa mediterranea fino all'Egitto (in quel periodo in guerra contro Israele) ed ha risalito il corso del Nilo. Ha percorso i sentieri ai limiti della praticabilità di Sudan, Etiopia, Kenia , ma giovandosi sempre dell'aiuto della popolazione locale, fino all'arrivo in Mozambico. Qui si è imbarcato con la fidata moto raggiungendo il Brasile. Purtroppo negli anni '70 in Brasile c'era una dittatura militare e Ted viene accusato di essere una spia e sbattuto in prigione. Dopo un mese di indifferenza e burocrazia cavillosa riesce ad ottenere la libertà e si reca dapprima in Argentina, quindi risale le Ande con compagni di viaggio occasionali che viaggiano a bordo di un furgoncino. L'autostrada panamericana lo porta negli USA e qui, in un ranch, vive una intensa storia d'amore che gli fa rimandare di mesi la partenza alla volta dell'Australia. Giunto nella terra dei canguri viene in contatto con aborigeni, camionisti e inondazioni, ma l'ultima tappa importante è l'India. Percorsa in lungo e in largo e descritta minuziosamente nella sua tradizione, nella sua povertà, nei suoi colori.
Per sua fortuna, a quei tempi, attraversare Afghanistan, Iran e Iraq era cosa da poco (10 anni dopo sarebbe stata molto più dura) e dopo appena quattro anni di viaggio durante i quali percorre 103.000 chilometri in solitaria ed attraversa quarantacinque paesi, ritorna in Inghilterra.
Essendo un giornalista le descrizioni sono fantastiche e non c'è una sola parola da buttare via. Spesso si sofferma a pensare alla diversità dei luoghi del pianeta ed al senso del suo viaggio ed alcuni passaggi sono di vera poesia.
"Quelli che vedevano il mio viaggio come qualcosa di fisico o un atto di coraggio non avevano afferrato il senso. Il coraggio e la resistenza fisica erano parti dell'equipaggiamento come la conoscenza delle lingue o il vaccino contro l'epatite. Lo scopo era la comprensione e l'unico modo per comprendere il mondo era rendermi vulnerabile nei suoi confronti. Il premio era il cambiamento e la possibilità di crescere fino a diventare tanto grande da essere un tutt'uno col mondo intero"
Un libro meraviglioso, che apre mille finestre sul nostro mondo, in tantissimi aspetti a noi sconosciuti. Un libro piacevolissimo e soprattutto vero. Quando si arriva alla fine la prima domanda che viene da fare è: quando si riparte?
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cinquanta sfumature di bob
Siamo nel quartiere fiorentino di Sanfrediano nell’immediato dopoguerra. Questo è il territorio di caccia di Aldo, per gli amici Bob e causa della sua somiglianza con l’attore Robert Taylor. Bob è il classico spaccone innamorato solo di se stesso che grazie alla sua faccia tosta ed alla sua bellezza fa girare la testa a tutte le ragazze del quartiere. Bob racconta di come abbia fatto parte del movimento partigiano, mentre in realtà è diventato partigiano solo a guerra finita…. Intanto gestisce un alveare composto da sei fidanzate dichiarando ad ognuna che lei è l’amore della sua vita. Fidanzate dell’immmediato dopoguerra: sessualmente quasi mai viene superato il muro del petting e solo Gina gli si concede; con le altre qualche bacetto e poco più.
Le ragazze però, nella prima parte del romanzo, appaiono come semplici comprimarie e servono solo a dare lustro a Bob che appare amato e odiato al tempo stesso dallo stesso Pratolini. Prima elenca i suoi difetti, quindi invidia il suo alveare.
Il divertimento del nostro eroe però non durerà in eterno: Tosca, una delle sei ragazze, scopre il suo gioco e fa in modo che Bob si rechi ad un appuntamento al parco delle Cascine dove si presenteranno tutte insieme… Finale degno di una novella del Decamerone!
Il ritmo è vivace, le tinte intense e spesso l’eloquio è vicino alla lingua parlata vernacolare. Non sembra nemmeno scritto dalla stesso mano di “Cronache di poveri amanti”: Lì un altro rione , “Via del Corno”, ma l’atmosfera è cupa, le tinte in bianco e nero e tutto sprizza miseria tristezza e polvere. A Sanfrediano la luce è vivissima e continuamente si sorride in un’atmosfera di commedia all’italiana anni ’50 (ambedue i romanzi sono stati trasformati in film subito dopo la loro uscita). Quindi un’opera scorrevole, breve e frizzante: se vi va leggetelo, ma se ‘un vi ispira fate ‘ome vi pare!!!
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poema epico-religioso
Sono passati circa 70 anni dalla pubblicazione dell’Orlando Furioso quando nel 1581 viene pubblicata la Gerusalemme Liberata (anche qui venti canti composti da ottave), ma nel frattempo sono accaduti eventi significativi: il concilio di Trento e lo spirito della controriforma hanno fatto calare una cappa di rigore su tutto il mondo cattolico e così non è più lecito sorridere. Tutta l’opera del Tasso è impregnata di ortodossia e grigiore ligio ai canoni della santa Romana Chiesa.
“canto l’arme pietose e’l capitano/che’l gran sepolcro liberò di Cristo
Tanto egli oprò col senno e con la mano/tanto soffrì nel glorioso acquisto”.
Il protagonista il “capitano” è Goffredo di Buglione, il comandante della prima (ed unica vittoriosa) crociata, circondato da uno stuolo di personaggi ora reali ora immaginari. Il tutto ovviamente condito con eroi della casa d’Este che anche in questo caso (come per l’Ariosto) è lo sponsor ufficiale della manifestazione. Tra tutti spicca Rinaldo d’este, uno dei protagonisti delle file crociate; personaggio storico, ma fino ad un certo punto, visto che “quello vero” era già morto prima che la crociata cominciasse…
Rinaldo avrà una storia d’amore con la bellissima Armida (l’alter ego della Angelica dell’Orlando Furioso), e farà fuori Terminator-Solimano, mentre il Rambo-Argante (altro campione delle file mussulmane) verrà ucciso dal principe normanno Tancredi d’Altavilla
La musa che il Tasso invoca per avere l’ispirazione è nientemeno che la Madonna e si scusa con la Vergine se ogni tanto “intesse fregi al ver” cioè se arricchisce la trama di particolari non reali.
Lo stile è molto lineare e non si hanno salti temporo spaziali tanto cari all'Ariosto nè storie intrecciate in puzzle inestricabili: la storia è una sola con un inizio e uno svolgimento e una fine e fila come un direttissimo.
Ma qui non ci sono ippogrifi e creature mitologiche: il sovrannaturale è gestito da angeli e demoni che combattono la loro battaglia nei favori dei buoni e dei cattivi. Ma una lettura attenta deve guardare oltre la trama: la Gerusalemme Liberata è un’opera unica in quanto riesce a fondere insieme l’epico ed il religioso, il mito e la storia. Il tutto senza fare torto a nessuno e senza provocare l’ira dell’inquisizione. E non era poco…
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violino sublime, ma...
Avete presente un fantastico meraviglioso violino che diffonde ovunque le sue note celestiali? Questo è il Canzoniere del Petrarca.
“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono/ di quei sospiri ond’io nudriva l’core”
Così inizia l’opera e ci dice subito di cosa si tratti: rime sparse in una raccolta di 366 brani di cui la stragrande maggioranza è costituita da sonetti (più alcune sestine, ballate, canzoni e madrigali) senza apparente filo conduttore, ma in realtà tessere di un mosaico componente una storia d’amore a senso unico dove il poeta decanta bellezza, avvenenza, dolcezza di Laura De Sade che in vita sua non l’ha degnato nemmeno di uno sguardo. Contento lui.
“Era il giorno ch’al sol si scoloraro/ per la pietà del suo fattore i rai”
Era venerdì Santo, il giorno che i raggi del sole si offuscarono per la pietà di Dio nei confronti della passione di Cristo, quando in chiesa il Petrarca vede per la prima volta Laura e viene travolto da una intensa passione. Siamo nel 1338 e Laura morirà giusto dieci anni dopo, durante la peste del 1348, quella del decamerone.
Ogni sonetto parte trattando gli argomenti più disparati:
“Muovesi il vecchiarel canuto e bianco” ci narra di un vecchietto che giunto alla fine della sua esistenza si incammina per andare a Roma e poter vedere la culla della cristianità prima di morire. “Solo e pensoso i più deserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti” è una mirabile descrizione di un ambiente rurale, ma non illudiamoci: nelle ultime terzine il Petrarca tirerà sempre Laura fuori dal cilindro e ne decanterà tutte le qualità. Laura full optionals.
Intendiamoci , ci sono momenti sublimi, come in “chiare e fresche dolci acque/ ove le belle membra pose/ colei che sola a me par donna”, dove il violino petrarchesco decanta la perfetta fusione delle bellezze della natura con la bellezza della sua amata.
Solo in pochi casi si dimentica di Laura e lo fa nella canzone politica più bella che sia mai stata scritta:
“ Italia mia, benché il parlar sia indarno” (cioè nonostante io parli invano)mostra magnificamente l’ideale politico del poeta: non lo straniero forte come L’Enrico VII di Lussemburgo invocato da Dante, ma la presa di coscienza del popolo italiano deve salvare la nostra nazione. Leghista.
Dunque un violino. Un dolce violino che, tranne poche interruzioni aleggia sulle membra aggraziate, i modi signorili, l’eterea bellezza di Laura.
Ma cos’è un violino in confronto ad un’orchestra con arpe, violoncelli, contrabbassi, percussioni che si alternano, si intrecciano si lasciano e si ritrovano… Flauti e clarini che fondono le loro note con clavicembali e pianoforti? L’orchestra è Dante, ma quella è un’altra storia……..
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commedia fantasy del '500
L’opera nasce come continuazione dell’Orlando Innamorato scritto da Matteo Boiardo tra il 1476 e il 1484: ANGELICA, bellissima figlia del re del Catai (l'odierna Cina, ciò mi fa pensare che l’Ariosto non avesse ben chiara la qualità del “Made in China”) compare a Parigi ad un torneo organizzato dal Re Carlo Magno tra tutti i cavalieri cristiani e pagani, e sfida i presenti ad affrontare il fratello Argalia in possesso di armi fatate: il vincitore potrà sposarla, ma i vinti saranno suoi prigionieri. Astolfo, Malagise, Ferraguto, Orlando, Rinaldo e qualche decina di altri guerrieri cerca senza successo di conquistare la fanciulla, ma ad un certo punto il re saraceno Agramante spalleggiato dai Body Guards Ruggiero e Rodomonte (una sorta di Schwarzenegger, ma più grosso e più cattivo) attacca Parigi.
“Un’altra fiata, se mi fia concesso/ racontarovi il tutto per espresso”.
Invece il Boiardo passò a miglior vita e tutto restò in sospeso e nei primi anni del ‘500 il buon Ariosto ripartì da questo punto della storia:
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori/Le cortesie, l’audaci imprese io canto
“che furo al tempo che passaro i Mori/d’Africa il mare e in Francia nocquer tanto..”
La guerra tra i Paladini Cristiani di Carlo Magno contro i Saraceni è solo un pretesto. I numerosissimi personaggi di ambedue le fazioni si incrociano in storie d’amore, incontri con creature fantastiche, anelli fatati, maghi, streghe, incantesimi con un fiorire di storie nella storia. L’Ariosto mirabilmente segue per un po’ alcuni personaggi con la loro storia, poi li lascia passando ad altri, per poi ritornare ai precedenti con intrecci in alcuni casi da perderci la testa….
Quando la situazione diviene inestricabile tira fuori una bella battaglia e così i Paladini si schierano da una parte, i saraceni dall’altra e si ricostituisce un po’ d’ordine..
Le battaglie sono epiche: sembra di sentire i cozzi delle spade, le grida dei feriti, il rumore degli zoccoli dei cavalli, lo stridio di elmi e scudi, le grida degli agonizzanti…
La svolta della trama principale è quando la bellissima Angelica che fino ad allora aveva fatto la difficile con tutti, si concede e si sposa con Medoro, una specie di pesce lesso: come se la Arcuri sposasse Emilio Fede.
Quando Orlando lo viene a sapere si inca… si arrabbia come una bestia e spacca tutto ciò che trova sul suo cammino: una specie di tornado. Per farlo rinsavire il suo amico Astolfo sale su un ippogrifo va sulla luna dove si trova la valle delle cose perdute a cercare l’ampolla che racchiude il senno d’Orlando . Stupendo è l’elenco delle cose perdute:
“Le lacrime e i sospiri degli amanti/ l’inutil tempo che si perde al giuoco/
e l’ozio lungo di uomini ignoranti/ vani disegni che non han mai loco…” ..
e finalmente, in questo casino trova il senno dell’amico impazzito: tornato sulla terra lo fa sniffare ad Orlando e questi ritorna calmo e tranquillo, perfettamente orientato nel tempo e nello spazio.
Siamo agli ultimi colpi di scena: Ruggiero (ex compagno di Schwarzenegger-Rodomonte) si fa cristiano in quanto innamorato di Bradamante, ( la sorella di Rinaldo) ed uccide egli stesso l’ex amico Rodomonte in un derby all’ultimo sangue :
”e due e tre volte nell’orribil fronte/ alzando, più ch’alzar si possa, il braccio/
Il ferro del pugnale a Rodomonte/ tutto nascose e si levò d’impaccio”..
Da Ruggiero e Bradamante originerà la stirpe degli Estensi,sponsor dell’Ariosto: tutti felici e contenti.
Il linguaggio è tutto sommato semplice, ma presuppone una buona conoscenza dell’Italiano di quel periodo, più fluido del volgare di Dante, ma ancora abbastanza primitivo.
Lo stile dell’Ariosto è frizzante, laico e pervaso da un sottile umorismo. Tutto luccica in un mirabile gioco di intrecci che tolgono il respiro, che stuzzicano la curiosità per sapere ciò che accade dopo. Ma anche ciò che è accaduto prima perché oltre che a vagare in tutto il mondo allora conosciuto ci si sposta anche nel tempo e gli intrecci disegnano trame mirabili. Provateci se avete coraggio: non resterete delusi!!
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non e' falcones, ma vale la pena
Siamo in Spagna alla fine del XV secolo. L’intolleranza religiosa ha raggiunto il suo culmine: tutti i non cristiani, i mussulmani e soprattutto gli ebrei devono lasciare il paese o convertirsi al cattolicesimo. Ma convertirsi non è facile anzi, è difficilissimo essere creduti. I “Conversos” vengono spesso imprigionati e torturati. Chi confesserà e si dichiarerà pentito avrà il privilegio di essere strangolato con la garrota prima di essere messo al rogo. Gli altri verranno arsi vivi negli autodafè (alla lettera “atto di fede”) , spettacoli ignobili organizzati dagli inquisitori. Sì, perché l’inquisizione vuole dimostrare al popolo che è la sua protettrice dal demonio e solo i peccatori devono temerla.
Nella penisola iberica messa a ferro e fuoco si svolge l'avventura itinerante dell’ebreo Jonah Toledano, che poco più che adolescente scappa di città in città per non cadere vittima dei carnefici di suo padre e di suo fratello.
In uno scenario descritto magistralmente che ci mostra la vita quotidiana in quel periodo storico, assistiamo alla crescita del ragazzo, ai suoi amori (a rischio della morte visto che era circonciso), alla sua formazione culturale. Infatti diviene aiutante di un anziano medico che gli insegna tutti i segreti della sua arte fino al conseguimento della “laurea” di fronte ad una commissione di dotti, medici e sapienti.
Alla morte del suo maestro il nostro eroe erediterà tutti i suoi beni, governante-amante compresa ed inizierà una carriera brillante entrando in contatto anche con i carnefici dei suoi cari… Vendicarsi o perdonare? E se poi viene scoperto e denunciato?
Si troverà di fronte a dubbi angoscianti, ma le sue scelte non saranno mai avventate.
Un romanzo piacevole e “di spessore” ,anche se poco conosciuto, che non cala mai di ritmo e si legge tutto d'un fiato. Interessante.
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tra osservazioni argute e forzature.....
Oltre alla psicopatologia della vita quotidiana, il viaggio del dott Freud all'interno del nostro subconscio prevede l' interpretazione dei sogni. Da sempre questo argomento è stato oggetto di studio da parte dell'uomo (basta guardare la carriera del biblico Giuseppe iniziata dalla interpretazione di un sogno del faraone), ma solo con Freud si ha un approccio scientifico.
Il linguaggio è molto semplice e comprensibile e l'illustre neurologo si avvale per lo più di esempi pratici tratti dalla propria attività e questo ci aiuta molto a comprendere i suoi concetti.
Due aspetti del sogno sono intanto da considerare: la condensazione temporale (Il sogno. anche se lungo ed articolato si è svolto in pochi secondi nel quale le varie idee sono nate tutte insieme nello stesso istante) e l'influenza degli stimoli esterni. In questo caso la nostra psiche cerca di mascherare stimoli esterni (ad esempio una sveglia che suona) con immagini oniriche in modo che il soggetto non venga svegliato. La sveglia percepita verrà trasformata in un sogno in una campana o un cinguettio di uccelli e il soggetto continuerà tranquillamente a dormire almeno fino a quando qualche familiare non gli urlerà in un orecchio: "Non vedi che ore sono? devi andare a scuola!!!"
La cosa basilare è però l'origine intima del sogno che si avvale di due sorgenti:
1) uno spunto da un episodio accaduto di recente (in genere il giorno immediatamente trascorso), episodio al quale il protagonista non necessariamente ha dato importanza al momento in cui accaduto.
2)un desiderio più o meno recondito del "sognatore" e proprio il soddisfare tale desiderio è lo scopo ultimo del sogno.
IL SOGNO NASCE PER SODDISFARE UN NOSTRO DESIDERIO spesso inconscio.
Tutto questo non è però così elementare poichè è mascherato, deformato. trasformato da simbolismi che sono tanto più manifesti tanto pìù avanzata è l'età del protagonista.
Nel bambino invece è tutto più trasparente. La sera prima un genitore si rifiuta di comprare un gelato al suo bambino e la notte il bambino sogna una abbuffata di gelato. Nell'adulto i simbolismi, legati ad eventi che ha "rimosso" possono far sì che la trama del sogno sia apparentemente il contrario di ciò che viene desiderato.
Nei simbolismi Freud (che non condivido anche se a mio parere ha comunque avuto alcune intuizioni geniali) dimostra tutto il suo "io" di maniaco sessuale. Ma vi sembra possibile che tutto ciò che è allungato, dai fucili, alle spade, alle canne da pesca sia un genitale maschile? Lo stesso dicasi per i contenitori, da una scatola ad una nave (?) o addirittura le vallate vengono considerati simboli di genitali femminili. E come può una semplice scala essere considerata un simbolo di atto sessuale? Percuotere un bambino significa masturbazione.
Dottor Freud, creda a me, lei ha proprio il chiodo fisso e le potrei consigliare un bravo psichiatra.. Intanto ripeta con me: "Morto che parla: 47"......
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no ad un mondo asettico
Dalla preistoria alla fine della seconda guerra mondiale le malattie infettive sono state la causa più frequente di morte per la nostra specie. Successivamente, l’avvento degli antibiotici e delle vaccinazioni ha profondamente mutato questo scenario ed il nostro sistema immunitario, plasmato dal continuo contatto con ogni tipo di germe e parassita si è trovato repentinamente spiazzato.
Con la diminuzione delle malattie infettive abbiamo assistito ad una esplosione di nuove malattie spesso a patogenesi autoimmunitaria: patologie della tiroide, diabete (di tipo 1), celiachia, connettiviti, artrite reumatoide, polimialgia reumatica ed ogni tipo da allergia. Come è potuto succedere? Ce lo spiega la dottoressa Ruebush, immunologa del Montana.
All’inizio il testo si presenta un po’ ostico per chi non è del settore poiché vengono spiegate alcune nozioni basilari del sistema immunitario, ma l’incalzare li linfociti natural killer, Mastcellule, Citochine, anticorpi IgE e IgG, Macrofagi e chi più ne ha più ne metta può far entrare in confusione chi è digiuno dell’argomento e cioè quasi tutti…
Comunque l’importante è il concetto: sistemi di difesa molto efficaci restano improvvisamente disoccupati: compaiono inserzioni sul giornale del tipo “CERCASI GERME DISPERATAMENTE”, ma la mancanza di obiettivi fa impazzire il sistema che spara contro se stesso. Gli anticorpi, ormai cartucce senza bersaglio agiscono contro i nostri organi ed apparati e nascono le malattie immunitarie.
Lo stesso accade per la totale mancanza nei nostri intestini di quegli orrendi vermi che,anche se sembra impossibile, hanno convissuto con le nostre interiora (cavoli loro!) per milioni di anni. Il sistema per difenderci da loro ( Anticorpi IgE, Mastcellule, Istamina) è ormai in cassa integrazione e si scatena contro pollini, polveri ed alimenti vari: è questa la causa delle allergie ai pollini ed agli alimenti.
La colpa di tutto ciò è dell’uso smodato ed improprio degli antibiotici ad dell’uso dei saponi con germicidi. Il sapone è utile, ma deve essere un detergente, non un germicida, altrimenti eliminerà tonnellate di germi “utili” (che combattono quelli birbi) e provocherà l’insorgenza di resistenze dei germi patogeni che rapidamente si adattano e si difendono a loro volta.
Utili invece le vaccinazioni che riducono il rischio di ammalarsi e rinforzano in modo naturale il sistema immunitario.
Il contatto con l’ambiente non deve essere quindi asettico. Viviamo in armonia col mondo che ci circonda ed anche il nostro sistema immunitario ne sarà rinforzato. Lasciamo i nostri bambini giochino con la terra e si mettano poi le mani in bocca: sarà la migliore vaccinazione.
Buon appetito!!
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gioiello del neorealismo
Non c’è una trama e ci sono 100 trame: ritratti di persone semplici, che combattono per condurre una vita il più possibile decorosa nella Firenze degli anni ’20. I caratteri sono ovattati, il bene non è mai bene fino in fondo e così il male: a volte si confondono , sfumano l’uno nell’altro.
Tanti personaggi : Ugo, Mario e Maciste, gli antifascisti si contrappongono a Carlino e Osvaldo, gli uomini del regime; tante ragazze, Bianca, Aurora, Milena, Gesuina con i loro amori talvolta fugaci, talvolta impossibili o torbidamente di convenienza.
Squallidi personaggi come il carbonaio Nesi e la “Signora”, una maitresse ormai ritiratasi dall’attività che è padrona di molte abitazioni di Via del Corno e controlla tutti gli avvenimenti da sotto le persiane…
Nella moltitudine degli intrecci apparentemente non c’è nessun protagonista, ma pian piano si avverte che il vero protagonista è la Via, Via del Corno con le sue tinte in bianco e nero, i muri sporchi di fuliggine, le voci che diffondono per la strada fuoriuscendo dalle finestre aperte e finiscono per mescolarsi le une alle altre formando una colonna sonora che entra nei muri e nelle pietre del selciato.
Un libro di spessore, anche se talvolta difficile ed impegnativo: da non leggere sotto l'ombrellone...
Uno spaccato di storia, ma non la storia dei re e dei cavalieri erranti. La storia della gente normale, anche troppo normale, che con le proprie sofferenze, il proprio sudore ed i propri amori giusti o sbagliati ha fatto la vera storia, quella che conta….
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L'Asia ci racconta Terzani...
Tutta la vita di Terzani gravita intorno a quanto narra in questo libro. Ha voluto l’Asia intensamente, l’ha amata, vissuta, capita, sofferta, ma mai subita. Non è facile per un occidentale.
Negli anni ’70 Asia significa Vietnam. Terzani è uno dei pochissimi giornalisti testimoni della presa di Saigon da Parte dei viet cong il 30 aprile 1975. Li aveva conosciuti i viet cong, non era difficile per un giornalista entrare nei loro villaggi ed intervistarli e per lui rappresentavano il bene contro gli invasori americani.
Altra musica in Cambogia. Qui non si combatte una guerra contro un invasore, la vera guerra è una guerra civile. Eliminati gli occidentali si eliminano tutti i possibili ostacoli per l’instaurazione di un mondo utopico di tutti-uguali. I Kmer di Pol Pot uccidono circa in terzo della popolazione cambogiana. Intellettuali, laureati, medici, ingegneri, insegnanti. Chi ha gli occhiali viene ucciso: chi ha gli occhiali li ha perché sa leggere e nessuno deve saper leggere. I Kmer uccidono numerosi ssimi giornalisti ed anche Terzani si salva per miracolo.
Dopo l’indocina la Cina. Cerca di integrarsi, parla perfettamente il cinese, manda i figli alla scuola pubblica. Per i cinesi è una spia. Anche i bambini amici dei figli debbono riferire al partito cosa si dice in casa sua. Denuncia pubblicamente la mancanza di libertà e viene espulso. Ritornerà fugacemente e clandestinamente nei giorni immediatamente successivi agli eventi di piazza Tienanmen.
Descrizioni del Giappone e soprattutto dei giapponesi fanno sorridere, ma denuncia anche il razzismo di quel popolo che considera tutti gli stranieri una sorta di sottosviluppati tanto da sfiorare le folli teorie sulla inesistente razza ariana create da Hitler. L’imperatore è di natura divina ed i giapponesi .. quasi!
Ed poi ancora affreschi di gente ed abitudini per noi bizzarre, dalle due Coree, alle isole Curili contese da Giappone e URSS, la fine del colonialismo con il ritorno alla madre patria di Macao e Hong Kong, il fascino ed i problemi dell’India. Quasi trenta anni vissuti in Asia cercando di capire di immergersi in mille culture, mille mondi diversi.
Un concentrato di informazioni, aneddoti, realtà curiose, talvolta crudeli, ma sempre uniche, un libro che lascia qualcosa di indelebile nel nostro bagaglio culturale.
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attraverso le rovine dell'impero sovietico
Siamo nell'agosto 1991 e Terzani sta compiendo una crociera fluviale lungo l'Amur, il fiume che fa da confine naturale tra Cina e Unione Sovietica, per descrivere quei popoli a noi lontanissimi. Due regimi comunisti l'uno di fronte all'altro, l'ordine operoso cinese contro il caos ozioso sovietico, a guardarsi in cagnesco con pochissime occasioni di venire in contatto. In queste poche occasioni si tengono incredibili mercatini senza monete dove il baratto la fa da padrone e dove la "moneta" sono le scarpe da ginnastica cinesi: due paia di scarpe per un pollo, un paio per un secchio di grano... altro che bancomat!!!
Poi la notizia squassante, A Mosca c'è stato un golpe che ha destituito Gorbacev. Nessuno dei siberiani si scompone, Mosca è lontanissima, quasi non fa parte del loro mondo.
Per poter dire "io c'ero" (come a Saigon o a Phnom Penh) Terzani inizia quindi un lungo viaggio alla volta della capitale di quello che era l'Impero Sovietico attraverso gli stati dell'Asia centrale scoprendo popoli e realtà a noi lontanissimi non solo geograficamente: Kazakhistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Azerbeigian, Georgia, Armenia.
Nel suo itinerare si rende conto che spesso i Russi si erano comportati come invasori soggiogando i popoli locali (Tagiki, Kirghizi, Uzbeki, ecc) che ora, nella fluidità delle istituzioni scatenano rivendicazioni nazionaliste, spesso filo- Islamiche una volta venuto meno il laicismo comunista. Musica simile in Armenia, ma qui sono i Cristiani a ribellarsi.
Il vecchio regime viene sempre appoggiato in Uzbechistan, ultimo baluardo, ma ovunque si assiste pian piano all'abbattimento di statue di Lenin e Stalin ed alla salita al potere dei singoli di imprendiotori, intellettuali, faccendieri, uomini validi e arrivisti senza scrupoli.
E poi il contatto con la gente, tanta gente, studenti, contadini, operai, insegnanti, con stati d'animo che variano a seconda della propria indole e dei propri progetti: impassibili, entusiasti, preoccupati o fiduciosi in un futuro migliore.
Finalmente il 2 ottobre Terzani arriva a Mosca sulla piazza non più rossa e si reca a visitare quello che era il mausoleo di Lenin. Paragona la mummia del padre della patria ad una bambola incipriata ed abbandonata da tutti. "Possibile che la grande rivoluzione di ottobre sia morta così nel suo letto a 74 anni, semplicemente di vecchiaia?... Non ho dubbi: il comunismo è morto, ucciso dal suo stesso carattere e ancor più dai suoi amministratori-sacerdoti-burocrati che l'hanno avvilito e disumanizzato..."
Ed ora chi resta si appresta a distruggere tutti i semboli dei vecchi dominatori. E' sempre successo quando si è voltato pagina. Pronto a rientrare dal suo viaggio, si volta per l'ultima volta verso la mummia con addosso gli occhi cattivi di quelle che erano state le guardie del KGB e la saluta rispettosamente: "Buonanotte signor Lenin!!"
Devo dire che dei libri di Terzani è forse quello che mi ha appassionato maggiormente forse perchè mi ha mostrato popoli e nazioni che pur occupando dei territori immensi, sfuggono alle nostre conoscenze. L'Asia centrale è invece affascinante: Samarcanda, Bukhara, Alma Ata, sono città che ricordano modi incantati e penso che un viaggio da quelle parti sarebbe molto più istruttivo di quello in qualche spiaggia dei Caraibi o del Mar Rosso.
Grazie Tiziano, grazie a te il mondo mi sembra un po' più piccolo..
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la vita e' un ponte, attraversalo
Bruce Chatwin, viaggiatore con un passato di critico d’arte e di giornalista traccia il proprio testamento spirituale poco prima di morire di aids a 48 anni. Lo fa all’interno di un testo che è contemporaneamente un racconto autobiografico on the road attraverso l’Australia ed un saggio sulle origini dell’uomo e sulla sua reale natura.
Accompagnato dal Arkady, uno studioso di origini russe esperto di culture aborigene ripercorre le invisibili vie tracciate dagli “antenati” nelle quali raccontantano cantando le origini del mondo scaturito dal “tempo del sogno”. Secondo la mitologia degli aborigeni australiani (che poi è difficile generizzare in quanto esistono numerosi gruppi etnici diversi) il mondo è stato creato da un sogno e di questo ne erano a conoscenza gli antenati che hanno narrato gli eventi cantando durante il loro itinerare per il continente australiano. Di queste vie restano tracce indelebili (che solo gli aborigeni sanno decifrare) sulle rocce, sui monti, nei fiumi del territorio che così appare agli occhi degli esperti come uno spartito che contiene il racconto cantato delle origini del mondo.
Nel suo viaggio Chatwin incontra i discendenti di quegli antichi aborigeni: un improbabile sacerdote che ha lasciato il clero, un pittore etnico sfruttato e mal pagato da una imprenditrice senza scrupoli, componenti di un complesso rock, famiglie normali e persone che vivono in baracche in luoghi al di fuori del mondo. Raccontando gli eventi inserisce citazioni raccolte nei suoi “taccuini” ed esperienze passate in altri viaggi o durante la propria infanzia.
Procedendo il testo rivela la propria reale natura: si tratta di un saggio sul nomadismo.Lo spirito dell’uomo è nomade, le case, le città, i lavori stanziali sono prigioni all’interno delle quali la gente è costretta a vivere contro la propria natura. In tal modo, con tante persone che vivono insieme in spazi ristretti nasce il desidero di sopraffazione degli uni sugli altri ed i regimi dittatoriali.
Questa natura nomade è comune in tutti i popoli della terra, questa è la vera essenza dell’uomo. La vita è un ponte, attraversalo. Non devi costruirci una casa (Buddha).
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la grande storia puo' derivare da piccoli episodi
Perchè negli Stati Uniti si parla Inglese? A causa della noce moscata, mi sembra ovvio!!
Se un fondo di investimento vi rende il 50 per cento all'anno, lasciate perdere: un carico di noce moscata, chiodi di garofano o pepe nel '500-'600 aumentava il suo valore di 60000 volte dalla terra di origine ai mercati europei. Il problema era andare a prenderlo e portarcelo!!!
Quando non c'erano i frigoriferi le spezie erano indispensabili per la conservazione e per aromatizzare le carni che altrimenti dopo qualche giorno assumevano odori sgradevoli. Ma le spezie provenivano dalle isole Banda, un minuscolo atollo di 10 isolotti nei pressi dell’Indonesia e là si svolse una vera e propria guerra senza esclusione di colpi tra inglesi e olandesi.
Nella ricerca di rotte alternative alcune navi si lanciarono in improbabili "scorciatoie" con esiti nefasti, come coloro che si persero nei ghiacci a nord della Siberia nella ricerca di un "Passaggio a nord-est": speravano che l'Asia fosse più piccola e non arrivasse così a nord, ma non esistevano carte…
Dopo anni di scaramucce e vere e proprie battaglie inglesi ed olandesi vengono finalmente ai patti: le isole Banda divengono definitivamente proprietà dei Paesi Bassi che in cambio cedono ai britanici i territori del nuovo mondo intorno alla cittadina di Nuova Amsterdam. Gli inglesi ne cambieranno il nome in New York....
Milton si è scrupolosamente attenuto ai diari di bordo delle navi dell'epoca e ne è scaturito un racconto frizzante ed appassionante da leggere tutto d'un fiato. Una storia che non si trova sui libri di scuola e che è poco conosciuta dal grande pubblico, ma che dimostra come il destino di quello che ora è uno degli stati più importanti del pianeta sia derivato da un articolo da drogheria!!!
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grazie tiziano
La vita di Tiziano Terzani, giornalista di Espresso, Repubblica, Corriere della Sera e del tedesco Der Spiegel è quanto di più avventuroso possiamo immaginare. L'Asia è stata la sua casa per decenni quale inviato in Indocina durante la guerra del Vietnam, gli eccidi di Pol Pot in Cambogia, la caduta dell'impero Sovietico, ed ha soggiornato per anni in Cina e Giappone. Uomo intelligentissimo e costruitosi dal niente ha creduto fortemente nel comunismo cinese (pur non dichiarandosi mai comunista) e l'ha sperimentato a sue spese sulla propria pelle. Espulso dalla Cina dove viveva (aveva addirittura iscritto i figli alla scuola pubblica cinese) ha rinnegato il capital-comunismo sposando di fatto il misticismo indiano.
Ormai malato terminale di cancro ripercorre le tappe della propria vita e si accinge ad affrontare il trapasso con una grande serenità ed ironia, figlie di un equilibrio interiore invidiabile
Questo non è un libro di Tiziano Terzani, ma un libro su Terzani scritto dal figlio Folco. Lo stile infatti è tipico: si registrano interviste giorno per giorno che poi vengono trascritte pari pari, senza nemmeno cambiare la punteggiatura: ne risulta un libro più "parlato" che scritto, che scorre fluido nonostante l'importanza dei temi trattati. Da consigliare vivamente: un libro che fa riflettere e lascia qualcosa dentro di noi, in modo sempre piacevole.
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utile ma con elasticita'
Oddio, mi sono dimenticato ancora le chiavi della macchina! Non mi ricordo mai come si chiama quella persona! Ho detto una cosa per un'altra senza volerlo! Senza volerlo? Non è proprio così....
Pur essendo un testo di oltre cento anni fa e forse contestato e considerato obsoleto dagli specialisti del settore è comunque un testo che ci fa vedere ciò che facciamo ogni giorno con occhi diversi e spesso più veritieri.
Sarebbe bene iniziare la lettura dopo aver affrontato "L'interpretazione dei sogni" testo ad essa collegato ed immediatamente precedente, nell'intraprendere il viaggio nell'inconscio: il sogno parte da due spunti fondamentali: un ricordo recente (del giorno appena trascorso) ed un desiderio che abbiamo. Nell'adulto questi fattori però si arricchiscono di simbolismi che possono mascerare la vera origine del nostro mondo onirico.
Il viaggio nell'inconscio passa quindi attraverso lapsus, dimenticanze, falsi ricordi, tormentoni, che inevitabilmente accompagnano la nostra vita. Spesso tali "fattori psicopatologici" sono connessi ad eventi piacevoli o spiacevoli. Se voglio dire "I matti dovrebbero stare in manicomio" e dico "i matti dovrebbero stare in matrimonio" è indubbio il collegamento matrimonio-manicomio che ho nel mio subconscio e quindi ciò riflette una vita matrimoniale non proprio idilliaca....
La dimenticanza è invece spesso legata a qualcosa che non voglio fare o a qualcosa che mi ricorda un evento spiacevole del passato, mentre la deformazione dei nomi è segno di disprezzo per quella persona: "Entri Fantocci!" dice il megadirettore siderale invitando ad entrare il povero Ragionier Fantozzi.....
Questi sono solo pochi esempi, ma il testo pur contenendo alcuni passaggi di difficile comprensione ed alcune forzature, viaggia sul duplice binario degli schemi (mentali) e sugli esempi: Freud si riallaccia continuamente a casi clinici di pazienti (alla faccia della privacy) e ad episodi legati al suo vissuto, analizzando anche il proprio subconscio. Tutto sommato una lettura abbastanza scorrevole ed utile per conoscerci meglio, anche se ogni cosa deve essere valutata cum grano salis .... e poi volevo dire qualche altra cosa, ma me la sono dimenticata!!!
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per appassionati di scienze
1859: quando uscì questo libro ebbe un'effetto sconvolgente sul mondo teologico e scientifico: i primi sostenevano che tutto fosse immutato e immutabile fin dai tempi della creazione e non c'era spazio per l'evoluzione. Peccato che proprio un ecclesiastico, Mendel, avesse per primo individuato le leggi cardini della genetica. La scienza che iniziava il suo cammino sperimentale brancolava nel buio in quanto le teorie di Lamark andavano per la maggiore: la giraffa ha il collo lungo perchè si sforza continuamente di raggiungere i rami più alti e così le sue vertebre cervicali si sviluppano in lunghezza; in seguito trasmetterà questa caratteristica alla discendenza. Non è andata così.
Darwin fu il primo a capire che tutte le giraffe disgraziate che avevano il collo un po' più corto sarebbero morte di fame senza lasciare discendenti e solo quelle favorite da madre natura, incrociandosi tra loro, avrebbero partorito cuccioli sempre più adatti all'ambiente. Quindi la selezione, con le sue leggi (variazione, disuso ed abitudini) come motore principale della vita sulla terra.
Il testo scorre bene ed è comprensibile anche a chi non è del settore, basta avere un po' di senso di osservazione e di curiosità. Si addentra sul perchè di alcuni caratteri selezionati dall'uomo che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, come la mitezza delle specie domestiche: il cucciolo di una specie domestica non si comporterà come il cucciolo nato in cattività di una specie selvatica: il secondo morderà la mano al padrone e scapperà perchè il suo istinto è diverso. L'istinto, ciò che fa compiere un'azione non legata ad un'esperienza.
Non è certo un libro addatto ad un appassionato di romanzi, ma è comunque affascinante e coinvogente, dopo 150 anni ancora molto valido dal punto di vista scientifico. Istruttivo.
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bello, ma per pochi eletti
La terza cantica si distingue notevolmente dalle due precedenti: tanto è immediato e facile descrivere il dolore nella sua forza terrena, quanto è difficile rappresentare la perfezione assoluta che non è di questo mondo. “La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra e risplende/ in una parte più e meno altrove/ nel ciel che più della sua luce prende/ fui io e vidi cose che ridire/ né sa né può chi da là su discende”. Per poter affrontare un argomento tanto arduo Dante chiede aiuto nientemeno che ad Apollo affinché gli infonda tutto il valore artistico possibile. Se fosse vissuto due secoli più tardi l’Inquisizione lo avrebbe arrostito a fuoco lento.
Dopo i cerchi infernali e le cornici del Purgatorio è la volta dei cieli del Paradiso che in gran parte ricalcano le orbite dei pianeti allora conosciuti: nell’ordine Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, le Stelle Fisse, il Primo Mobile ed infine l’Empireo.
E’ bene precisare che gli spiriti si trovano tutti nell’empireo dove godono di gradi diversi di beatitudine: appaiono a Dante nei vari cieli affinchè il poeta possa rendersi conto più agevolmente delle differenze.
Nella Luna si trovano gli spiriti Inadempienti, cioè che avevano preso i voti religiosi ma non sono riusciti a portare in fondo il loro impegno anche se non per propria colpa, mentre nel secondo cielo, quello di Mercurio abbiamo gli spiriti Attivi tra i quali Dante ha un colloquio con l’imperatore Giustiniano che scrisse l’importante codice di leggi.
Nel terzo cielo, quello di Venere, si trovano gli spiriti Amanti. Dante incontra Carlo Martello che aveva conosciuto e stimato personalmente. Figlio di Carlo II d’Angiò fu amante sì, ma delle arti e della letteratura. Forse qualcuno preferirà l’inferno di Paolo e Francesca.
Diciamo la verità, fin’ora abbiamo incontrato dei comprimari, nessun personaggio veramente degno di nota: Dante si rifarà nei prossimi due Cieli.
Il cielo del Sole (“lo ministro maggior de la natura/ che del valor del ciel lo mondo imprenta/ e col suo lume il tempo ne misura”) è senza dubbio il più bello del Paradiso. Vi troviamo gli spiriti Sapienti tra i quali spiccano San Francesco e San Domenico. Poiché all’epoca vi era un certo attrito tra gli ordini religiosi fondati dai due santi, Dante fa narrare le gesta di S. Francesco al domenicano San Tommaso d’Aquino, mentre per l’elogio di San Domenico è il turno del francescano San Bonaventura da Bagnoregio. Splendido Fair play.
Il quinto cielo è quello di Marte con i suoi spiriti Combattenti. Dante trova il personaggio che preferisco in tutta la cantica: il trisavolo Cacciaguida morto alla seconda crociata. “O fronda mia in che io compiacemmi/ pur aspettando, io son la tua radice”. Come già aveva fatto Farinata degli Uberti nel sesto cerchio infernale, predice a Dante il prossimo esilio “tu lascerai ogni cosa diletta/ più caramente; e questo è quello strale/ che l’arco dell’esilio pria saetta./ Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altri scale”. Gufo, ma almeno si capisce il senso.
Nel cielo di Giove si trovano gli spiriti Giusti ed i più importanti sono Carlo Magno, Orlando, Goffredo di Buglione (il vincitore della prima crociata), Davide, Costantino e Traiano che era pagàno ma tanto Dante faceva come gli pareva.
Il cielo di Saturno comprende gli spiriti Contemplanti ed il personaggio principale è San Pier Damiano, una specie di Savonarola ante litteram.
Nel cielo delle Stelle Fisse dapprima assistiamo al trionfo di Cristo e di Maria e quindi compaiono S. Pietro che esamina Dante sulla fede, San Giacomo (“mira mira: ecco il barone/ per cui là giù si visita Galizia”)che lo interroga sulla speranza ed infine San Giovanni che fa domande sulla carità.
Il nono cielo è il Primo Mobile. Prende il movimento dall’Empireo nel quale si trova Dio e che è immobile: infatti il movimento implica un bisogno, una necessità, ma Dio è perfetto così e quindi non si muove. Imprime però il movimento al Primo Mobile e questo, come una serie di ingranaggi e pulegge dà il movimento all’ottavo cielo, questo al settimo e così via. Nel Primo Mobile si trovano le gerarchie angeliche che Dante riprende pari pari dal “De coelesti hierarchia” di Dionigi l’Aeropagita: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli e Angeli (in ordine crescente d’importanza).”Questi ordini di su tutti si ammirano/ e di giù vincon sì che verso Dio/ tutti tirati sono e tutti tirano”. Tiro alla fune.
Finalmente siamo all’Empireo, il top del top. Ha la forma di candida rosa ed all’interno sembra una specie di parlamento perfettamente circolare e diviso in due parti: il vecchio testamento, ormai gremito in ogni ordine di posti, ed il nuovo testamento dove i posti sono occupati solo in parte. Beatrice ha lasciato Dante per mettersi al suo posto ed ora il poeta ha come guida S. Bernardo da Chiaravalle che gli mostra Adamo “il padre per il cui ardito gusto/ la specie umana tanto amaro gusta”, Maria, S. Pietro, San Giovanni, Mosè e tutto il fior fiore della cristianità.
Quindi, nel trentatreesimo canto del paradiso, centesimo ed ultimo della Divina Commedia S. Bernardo recita il celebre inno a Maria “Vergine Madre, figlia del tuo figlio/ umile ed alta più che creatura/ termine fisso d’eterno consiglio/ tu se’ colei che l’umana natura/ nobilitaste sì che ‘l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura”.
Dante è pronto per assistere alla visione diretta di Dio che gli appare sotto forma di tre cerchi concentrici di luce di tre colori raccolti in un’unica circonferenza. Per la sua mente umana è però difficile esprimere ciò che vede: “oh quanto corto è il dire e come fioco/ al mio concetto! E questo a quel ch’i’ vidi/ è tanto che non basta a dicer poco”.
A questo punto la grande immaginazione del poeta ha fine. Non gli resta che concludere la cantica con un verso quasi uguale a quello che l’aveva aperta: da “la gloria di colui che tutto move” all’analogo “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. “All’alta fantasia qui mancò possa/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle/ sì come rota ch’igualmente è mossa/ l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
Il sacro e il profano si mescolano facendo un tutt’uno in una sorta di cristianità panteistica, inoltre si alternano racconti di vite vissute, come nelle altre cantiche, con disquisizioni scientifico-religiose nelle quali la spiegazione però pende nettamente in favore del trascendente: come può il corpo di Dante librarsi per raggiungere i cieli più eterei? Qual’è l’origine delle macchie lunari? La luce dei beati resterà così splendente anche dopo la resurrezione?La spiegazione è sempre teologica e di estema complessità.
Anche il linguaggio di Dante cambia: diviene più ermetico, si va per similitudini, niente viene chiamato col proprio nome e considerando il tema filo-teologico la lettura procede con difficoltà. Sprazzi di luce in un turbinio di versi di difficile interpetazione.
Sì, il Paradiso lo preferisco per il clima, l’Inferno per la compagnia.
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bello quasi come l'inferno
Il Purgatorio di Dante è forse un po’ meno conosciuto dell’inferno, ma non se ne discosta di molto per la forza narrativa, per la precisione descrittiva, le nozioni sugli argomenti più disparati, la raccolta dei ritratti di personaggi antichi e contemporanei di Dante, famosi e gente comune, come il liutaio Belaqua, che troviamo nell’antipurgatorio.
“Per correr miglior acque alza le vele/ omai la navicella del mio ingegno/ che lascia dietro a sé mar sì crudele.” Siamo fuori dall’Inferno, così dante e Virgilio raggiungono la montagna del Purgatorio che ha come custode Catone l’Uticense. Qui il poeta si è preso una sfilza di licenze, ma la divina commedia era la sua e lui faceva come gli pareva: Catone non era certo cristiano e quindi sarebbe dovuto finire al limbo ed inoltre è morto suicida e quindi doveva essere tramutato in pianta e finire nel settimo cerchio dell’inferno. Invece niente di tutto questo: schieratosi con Pompeo contro Cesare, difensore della libertà repubblicana, si uccise ad Utica per non essere catturato e Dante lo premia facendone addirittura il custode del Purgatorio. Qui al posto di Caronte troviamo un “celestial nocchiero” un angelo che porta le anime sulla spiaggia dell’isola sulla quale sorge la montagna del Purgatorio. Questa ha la forma di una torta per matrimoni, con sette piani (le cornici che corrispondono ai sette peccati capitali) ed al vertice, invece della statuina con gli sposini è collocato il paradiso terrestre, dove Dante dovrà purificarsi prima di salire in Paradiso.
Come all’inferno c’è un antiinferno che accoglie gli ignavi, qui c’è un antipurgatorio dove si trovano le anime che si sono pentite tardi, ma comunque in tempo per salvarsi: Manfredi, il già citato Belaqua, Bonconte da Montefeltro, Jacopo del Cassero, la Pia de’ Tolomei per lo più morti di morte violenta. Tra questi spicca Bonconte, comandante delle truppe aretine alla battaglia di Campaldino combattuta tra Arezzo e Firenze nel 1289 ed alla quale Dante aveva partecipato. Il corpo di Bonconte non è mai stato ritrovato e Dante gli chiede “qual forza o qual ventura / ti traviò sì fuor di Campaldino/ che non si seppe mai tua sepultura?”. Lo spirito narra di essere stato ferito a morte alla gola, ma dopo aver trascorso una vita poco religiosa, di essere spirato invocando la Madonna. E qui avviene una scena stupenda: un diavolo ed un angelo si avventano su Bonconte insieme: l’angelo riesce a prendere l’anima ed il diavolo si vendica nascondendo il corpo in fondo all’Arno “l’Angel di Dio mi prese e quel d’inferno / gridava : o tu del cielo perché mi privi?/ Tu te ne porti di costui l’etterno/ per una lagrimetta che’l mi toglie;/ ma io farò de l’altro altro governo”.
Nel sesto canto, il canto politico in ogni cantica, è il turno dell’invettiva all’Italia “Ahi serva italia di dolore ostello..” Dante ha perso ogni speranza di unificare l’Italia perché ha perso ogni fiducia negli italiani: invoca l’arrivo di Arrigo VII di Lussemburgo, che però morirà a Buonconvento, presso Siena nel 1313. Totalmente opposta la visione politica del Petrarca: via gli stranieri dall’Italia che deve essere governata ed unificata dagli italiani. Leghista.
Finalmente si arriva alla porta del Purgatorio che è presidiata da un angelo che fa passare i due poeti. La prima cornice, quella dei superbi accoglie Provenzano Salvani, comandante delle truppe senesi nella vittoriosa battaglia di Montaperti nel 1260 e poi perito per mano dei rivali fiorentini alla rivincita di Colle val d’Elsa nove anni più tardi. La fama è come il colore dell’erba, che varia al variare della luce del sole “la vostra dominanza è color d’erba/ che viene e va e quei la discolora/ per cui ella esce dalla terra acerba” .
Nella seconda cornice, quella degli invidiosi, restiamo nella famiglia di Provenzano: mentre lui combatteva e moriva, quella megera della sua zia Sapìa, invidiosa del successo del nipote si augurava che venisse sconfitto. E qui ritorna la capacità di sintesi del poeta che con poche parole dice tutto “eran li cittadini miei presso a Colle/ in campo giunti co’ loro avversari/ e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle”. L’ultimo verso è lapidario e bellissimo.
Nella terza e quarta cornice si trovano iracondi ed accidiosi, mentre nella quinta si abbiamo i superbi. Tra questi interroga Papa Adriano V: gli spiriti sono sdraiati a terra a pancia sotto e Dante lo spiega da par suo con una lirica tra sacro e profano, tra italiano e latino “ perché i nostri diretri/ rivolga il cielo a sé saprai; ma prima/ scias quod ego fui successor Petri” (ti spiegherò perché abbiamo il sedere rivolto verso il cielo, ma prima sappi che fui un successore di Pietro).
Altra chicca della quinta cornice è nell’incontro con Ugo Capeto, capostipite della dinastia capetingia dalla quale sono originati i re di Francia “chiamato fui di là Ugo Ciappetta/ di me son nati i Filippi e i Luigi/ per cui novellamente è Francia retta”. Sì, perché la maggior parte dei re francesi ha preso il nome di Filippo o Luigi: bellissimo!
Nella sesta cornice si trovano i golosi che sono costretti ad una dieta perenne, tanto che Dante riconosce l’amico fraterno Forese Donati solo dalla voce. Lo sguardo di Forese con gli occhi incavati dalla fame è fotografico “ed ecco DAL PROFONDO DELLA TESTA/ volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso/ poi gridò forte: qual grazia m’è questa?/ Mai non l’avrei riconosciuto al viso/ ma ne la voce sua mi fu palese/ ciò che l’aspetto in sè avea conquiso/…… e ravvisai la faccia di Forese/.
Ultima cornice i lussuriosi. Dante si sofferma a parlare con Guido Guinizzelli, quello del Dolce Stil Nuovo, quello di “Al cor gentil ripara sempre amore”. Evidentemente metteva in pratica quanto scriveva…
Finite le cornici Virgilio lascia Dante perché non può andare oltre: in cima alla montagna del Purgatorio si trova il Paradiso Terrestre ed il poeta mantovano non può accedervi: sarà Beatrice in persona e condurre Dante da qui in poi.
Finalmente Beatrice appare agli occhi di Dante e lo accoglie festosamente come ogni mogliettina che aspetta il marito che ritorna dal bar la notte alle tre :”guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice!/ come degnasti d’accedere al monte?/ non sapei tu che qui è l’uom felice?”. Insomma lo tratta come uno zerbino e gli raccomanda di pentirsi dei propri peccati e di bere l’acqua dei due fiumi che scorrono in quelle terre. Nati dalla stessa sorgente scorrono in direzioni opposte : bevendo l’acqua del Letè (non è pubblicità occulta) viene dimenticato ogni peccato commesso, mentre l’acqua dell’Eunoè rinforza il ricordo di ogni “ben fatto”. Dante esegue tutto scrupolosamente e finalmente ritorna “da la santissima onda/ rifatto sì come piante novelle/ rinnovellate di novella fronda/ puro e disposto a salire a le stelle”.
Come ho anticipato non si discosta molto dall’inferno nella parte che va dall’inizio all’ingresso nel paradiso terrestre. Anche qui si incontrano figure forti, pezzi di storia, descrizioni geografiche minuziose. Alcune parti sono straordinarie in particolare quelle che riguardano Manfredi, Bonconte da Montefeltro, Provenzano Salvani, Ugo Capeto e Forese Donati.
Quando si sale sul Paradiso Terrestre la musica cambia e la fanno da padrone le allegorie. Tutto è simbolico: le donne danzanti sono le virtù teologali, un vecchio dormiente è l’apocalisse, il carro trionfale trainato da un grifone è la chiesa trascinata da Cristo. A questo punto l’inferno è veramente lontano, mentre il Paradiso è ad un passo. Diverso, difficile da affrontare, ma ugualmente affascinante.
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le pagine più alte della nostra letteratura
Premetto che nel fare una recensione dell’inferno di Dante mi sento come un bambino delle elementari che deve giudicare l’operato di un ingegnere nucleare, ma visto che si tratta di un’opera alla quale in passato ho dedicato moltissimo tempo, cercherò di dire la mia in proposito.
L’opera inizia con l’incontro tra il poeta e Virgilio. E’ stata nientemeno che la Madonna che, avendo visto che Dante ha smarrito “la diritta via” manda S. Lucia da Beatrice affinché soccorra il poeta. Questa ritiene che l’unica soluzione sia mostrargli i regni dell’oltretomba e quindi (non potendo scendere all’inferno) sollecita Virgilio che si trova nel limbo affinché guidi Dante (“i’ son Beatriche che ti faccio andare/ vegno dal loco ove tornar desìo/ amor mi mosse che mi fa parlare”).
Virgilio e Dante giungono alla porta dell’inferno. Ma come è strutturato? Ha la forma di un imbuto con la parte grande rivolta in alto e collocata proprio sotto alla città di Gerusalemme. Il crinale è diviso in nove gradoni concentrici per altrettanti “Cerchi”. Alcuni cerchi sono divisi a loro volta in “Gironi”.
Varcata la soglia della porta si trova l’antiinferno dove si trovano gli Ignavi “questo misero modo/ tegnon l’anime triste di coloro/ che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo. Mischiate sono a quel cattivo coro/ de li angeli che non furon ribelli/ né fur fedeli a Dio/ ma per se fuoro”. Tra i peccatori spicca papa Celestino V “colui che fece per viltade il gran rifiuto”, un eremita che, eletto papa, rifiutò il papato tornando alla sua vita di isolamento. Di tutto ciò a Dante non poteva fregare di meno, ma il rifiuto di Celestino spianò la strada all’elezione di Bonifacio VIII, suo acerrimo nemico.
Traghettati da Caronte “un vecchio bianco per ANTICO pelo” ed attraversato il fiume Acheronte si giunge nel primo cerchio che ospita il Limbo (i non battezzati); dal secondo al quinto cerchio si trovano i peccati di incontinenza (lussuria, gola, avari-prodighi, iracondi-accidiosi) ordinati in ordine di gravità del peccato. Quindi il peccato meno grave in assoluto è la lussuria! Paolo (che non apre bocca) e Francesca (che parla sempre) si trovano sballottati nella “bufera infernal che mai non resta”, una pena tutto sommato lieve. Sono stati uccisi e sono all’inferno, ma sono loro i vincitori! Loro, gli amanti, staranno insieme tutta la vita (“questi, che mai da me non fia diviso/ la bocca mi basciò tutto tremante”), mentre al loro assassino andrà sicuramente peggio (“Caina attende chi a vita ci spense”) in quanto verrà scaraventato nel più profondo dell’inferno.
Il canto dei golosi (terzo cerchio) è il sesto canto dell’inferno e tutti i sesti canti delle tre cantiche sono canti politici: si parla di Firenze nel sesto dell’inferno, dell’Italia nel sesto del purgatorio (“Ahi serva Italia di dolore ostello/ nave sanza nocchiero in gran tempesta/ non donna di provincia ma bordello”) e dell’impero nel sesto del paradiso. Impressionante la capacità di sintesi di Dante che spesso con pochissime parole esprime concetti molto estesi e complessi: Ciacco (il goloso di turno) si rivolge a lui dicendo “riconoscimi se sai: / tu fosti prima ch’io disfatto fatto”. E’ incredibile questo verso: tu eri nato prima che io fossi disfatto, cioè mi hai conosciuto in carne ed ossa, quindi dovresti riconoscermi! Questa sintesi perfetta la ritroveremo nei suicidi (cerchio dei violenti) dove Pier delle Vigne che si uccide dopo essere stato accusato ingiustamente dice “ingiusto feci me contra me giusto”. Stupendo.
Il quarto cerchio (avari-prodighi) inizia con la celeberrima frase “pape Satàn, pape Satan aleppe!” sulla quale sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Quel pape Satan potrebbe richiamare alla mente il papato, ma se scriviamo la frase in francese possiamo avere un “pas paix Satan, à l’épées” che significherebbe “non c’è pace Satana, prendiamo le spade!”. Boh!
Dopo l’Acheronte un’altra gita in barca: questa volta condotta dal diavolo Flegiàs che attraversando la palude della Stige (tra gli iracondi troviamo Cecco Angiolieri che insieme a Ciacco ritroveremo nel Decamerone del Boccaccio) porta i nostri alla città di Dite dove all’interno de fosse infuocate si trovano gli eretici. Qui il ghibellino Farinata degli Uberti predice a Dante il prossimo esilio. Da considerare il fatto che Dante ha avuto la fortuna di scrivere la divina commedia all’inizio del 1300, quando la chiesa era abbastanza tollerante; l’avesse fatto due secoli dopo lo avrebbero messo al rogo senza pensarci due volte.
Tornando alla traversata in barca è stupendo il passaggio “lo duca mio discese nella barca/ e poi mi fece entrare appresso lui; e sol quand’io fui dentro parve carca”. La barca non ha sentito il peso di Virgilio perché uno spirito non ha peso, mentre quando è salito Dante, ancora in vita, ha “pescato” più acqua in quanto appesantita!
Il settimo cerchio ospita i violenti ed è diviso in tre gironi: violenti contro il prossimo (immersi nel Flegetonte, un fiume di sangue infuocato), violenti contro se stessi (suicidi, trasformati in piante), violenti contro Dio (sotto una pioggia di fuoco). Questi ultimi sono a loro volta divisi in tre zone: violenti contro Dio nella parola (bestemmiatori), nella natura (sodomiti), nell’arte (usurai: non fanno nessun mestiere!). Tra i sodomiti è commuovente l’incontro con il maestro Brunetto Latini nei confronti del quale Dante esprime tutta la propria stima e lo ringrazia di averlo istruito. In quel “m’insegnavate come l’uom s’etterna” Dante è conscio della eternità della sua opera peccando in superbia: in seguito si ha il sentore che per se Dante preveda un posto tra i superbi nella prima cornice del Purgatorio.
Dopo aver cavalcato il mostro Gerione dalla faccia bellissima e dal corpo di Serpente i due giungono negli ultimi due cerchi che ospitano coloro che hanno commesso il peccato di frode: contro chi non si fida (fraudolenti, ottavo cerchio) e contro chi si fida (traditori, nono cerchio).
L’ottavo cerchio prende il nome di Malebolge ed ha la forma di un bersaglio con dieci zone concentriche separate da mura e collegate da ponti. Ospitano ruffiani, lusingatori (immersi nello sterco!), simoniaci (per lo più papi che predicono anche l’arrivo dell’arcinemico Bonifacio VIII ancora vivo al momento della scrittura della Divina commedia), barattieri (i nostri politici!), ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti (Ulisse!!), seminatori di discordie (Maometto) e falsari (alchimisti, falsari della moneta e bugiardi).
Finalmente siamo arrivati alla Ghiaccia del Cocito, una pianura ghiacciata nella quale sono immersi i traditori e che ha al centro Lucifero in persona. Il Cocito comprende la Caina (traditori dei parenti, tra cui Gianciotto Malatesta marito ed uccisore di Francesca e del fratello Paolo), l’Antenòra (traditori politici: Bocca degli Abati e il Conte Ugolino meriterebbero una recensione da soli!) la Tolomea (traditori dei commensali) e la Giudecca (traditori dei benefattori). Al centro Lucifero che ha tre teste con tre bocche e si sgranocchia Giuda, Bruto e Cassio.
Aggrappandosi ai peli di Lucifero che ha dimensioni colossali, Dante e Virgilio si calano verso l’uscita che si intravede in lontananza “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Credo che Dante nella sua epoca avesse conoscenze letterarie, teologiche, geografiche, storiche, astronomiche inavvicinabili, e restano inavvicinabili anche per gli uomini del 2012. E’ incredibile la quantità di nozioni di ogni argomento che apprendiamo nel viaggio attraverso il mondo di Dante: una vera sinfonia con mille strumenti tra loro collegati in una trama avvincente, episodi di microstoria a lui contemporanea, le grandi battaglie di Montaperti, Colle val d’elsa, Campaldino, i tantissimi ritratti di persone: personaggi importanti e gente normalissima immersa nella vita di tutti i giorni del XIV secolo, nozioni di medicina, descrizioni geografiche minuziose.
Un’opera unica distrutta dalla scuola, ma da conoscere a fondo pur presupponendo delle basi letterarie discrete da parte del lettore. Bravo Signor Alighieri, dieci e lode!!!
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Straordinario, ma non fermatevi alle apparenze....
La cosa meravigliosa di questo romanzo è che può essere letto e gustato da un ragazzo delle scuole medie e dal più letterato degli adulti. Il primo sarà attratto dalla trama con le mirabolanti avventure di un ragazzo che decide di passare tutta la propria vita sugli alberi, mentre l'adulto leggendo tra le righe scopre i significati reconditi dell'opera: la caparbietà del ragazzo, il fatto di non fermarsi di fronte ai pregiudizi, che tutto è possibile quando lo si vuole, anche le cose apparentemente più proibitive. Bello anche il finale che lascia il beneficio del dubbio. Dieci e lode
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bisogna guardare dentro i personaggi....
La trama è semplice, quasi piatta e noiosa, ma solo ad una lettura superficiale. Non bisogna guardare cosa fanno i (pochi) personaggi di questo libro, impegnati in una storia tutto sommato semplice quasi a sfiorare la banalità. La trama è all'interno dei personaggi: ad ogni istante, in ogni situazione, i pensieri, lo stato d'animo, le emozioni di ognuno vengono analizzati al microscopio in modo da spiegare ogni reazione ogni parola detta, ogni atto. Sembra quasi che la trama sia il pretesto per valutare l'Io dei personaggi all'interno dei quali si incunea Svevo con una maestria unica, come unico è il suo stile.
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bello, ma perde i colpi sul finire..
Lo stile di Martigli mi piace molto, preciso, mai superficiale ed al tempo stesso fluido e scorrevole. Anche la storia è ben strutturata con numerosissimi riferimenti storici su papa Innocenzo VIII, Alessandro VI Borgia, Cristoforo Colombo, Franceschetto Cybo, Lorenzo de' medici ed ovviamente il protagonista Pico della Mirandola.
Il genio di Pico lo porta a scrivere due testi che a suo parere sconvolgeranno la storia del nostro pianeta, almeno per come era stata concepita nel XV secolo dalla religione cattolica che la faceva da padrona ed aveva costruito un mondo che gravitava intorno al Dio cristiano ed al papato. Le 999 tesi di Giovanni Pico possono essere riassunte in due argomenti principali: 1) il vero Dio cratore del cielo e della terra non è quello con la barba bianca, ma la Madonna. 2)Tutte le religioni monoteiste sono uguali. Ovvia la reazione dei papi (Innocenzo VIII prima e Alessandro VI poi) che lo vorrebbero incenerito, ma Pico riesce a sfuggire alle loro trappole.
Interessante anche la narrazione di due storie parallele, una ambientata alla fine del XV secolo e l'altra nel 1938 con le SS alla ricerca dei manoscritti di Pico.
Purtroppo la trama ben tessuta perde i colpi sul finire: le ultime 50 pagine, dove i nodi vengono al pettine, sono liquidate in modo troppo frettoloso e resta molto amaro in bocca. Il libro è costituito da capitoli brevi con la data del giorno nel quale si svolgono i fatti. Nella parte finale però gli anni volano in poche pagine come se lo scrittore avesse improvvisamente fretta di scrivere la parola fine. Forse doveva andare in bagno.
Nel complesso comunque più che sufficiente
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senza entusiasmo
La trama narra le disgrazie di una famiglia siciliana alla quale non ne va bene una! Le disgrazie hanno inizio con il naufragio delle imbarcazione "provvidenza" che trasportava un carico di lupini: da lì una concatenazione di eventi avversi porterà tutti allo sfacelo..
I personaggi sono ben delineati, zio crocefisso, la Zuppidda, Piedipapera, sono indimenticabili nei nomi come nelle loro singolari caratteristiche, ma lo stile di Verga è assai sgangherato, mescolando discorso diretto con discorso indiretto e si ha la sensazione di camminare in un campo arato, con difficoltà a procedere in un terreno così sconnesso.
Tutto sommato però, una volta prese le misure si riesce ad andare anvanti anche se di... Malavoglia!!
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- sì
- no
....ma mi faccia il Piacere!!!!
Masochisticamente ho letto questo libro ben due volte: la prima ai tempi del liceo e lo considerai una palla allucinante; la seconda dopo vent'anni per vedere se agli occhi di un adulto l'effetto fosse cambiato: no, è proprio una palla allucinante! Ho provato la sensazione di un mattone vuoto: un libro che non dice niente ambientato in una Roma baroccheggiante e con un personaggio tanto pieno di se quanto nullafacente che instaura insulse storie d'amore con due signore altrettanto insignificanti fino a quando, nel peggiore dei lapsus che possano capitare, chiama una amante col nome dell'altra... Meglio "La pioggia nel Pineto"....
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accattivante e per ogni eta'
Ho letto questo libro quando avevo 16 anni e purtroppo sono passati tantissimi anni, ma ricordo ancora quanto mi coinvolse. Un uomo normale viene scaraventato in un mondo allucinante come era il carcere nell'isola del diavolo e riesce a riemergere con mirabolanti imprese: evaso, ripreso, ancora evaso e finalmente riabilitato al mondo. Il tutto immerso in ambienti ora crudi ora stupendi e con personaggi ritratti mirabilmente dall'autore con minuzia di particolari. Lo stile scorrevole ne fa un testo adatto a lettori di ogni età; peccato che il film non gli renda giustizia: lo vidi dopo aver letto il libro e la delusione fu immensa....
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una vita in attesa
L'ufficiale Giovanni Drogo passa la vita in un avamposto militare scrutando l'orizzonte in attesa di un nemico che non arriva mai. Quando finalmente si vedono in lontananza le truppe degli avversari ormai è vecchio e malato e viene rimosso dall'incarico e portato via dal forte per morire altrove. Il tutto è narrato con una legerezza iniziale ed un pathos crescente man mano che la lettura procede.
Quante vite somigliano a quella di Drogo! cambia solo l'ambientazione ma sono tanti coloro che spendono la propria esistenza in attesa di qualcosa che non succede mai. Lettura piacevole e che fa riflettere.
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levi medico, pittore, scrittore
Il protagonista si ritrova confinato in Basilicata durante il ventennio fascista. Con le strade di allora, la mancanza di una vera lingua comune in Italia, si è ritrovato catapultato in un mondo dimenticato dagli uomini e da Dio; questo infatti è arrivato fino ad Eboli, ultimo baluardo della Campania, ma non ha avuto il coraggio di scendere in Basilicata... Levi, laureato in medicina, anche se in realtà ha esercitato ben poco, dà il suo contributo alla popolazione di quelle terre integrandosi bene con la gente del posto. Una versione drammatica e antesignana del film "benvenuti al Sud".
Là lascerà una parte importante della propria esistenza. Da leggere.
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faticoso
L'opera ricalca l'anabasi di Senofonte e l'avvio è avvincente e misteriorso: tre ragazze assistono alla lapidazione di una donna, ma quando si avvicinano al corpo della sventurata scoprono che è ancora in vita: si chiama Abira ed è reduce da un'avventura incredibile insieme a oltre 10.000 mercenari greci che, al soldo di Ciro il giovane, sono arrivati in marcia fino al cuore della Mesopotamia. Abira si è innamorata di Xeno, lo scrittore (che altri non è che Senofonte in persona) e per questo motivo si è unita alla moltitudine di gente in marcia. L'intento di Ciro è spodestare dal trono il fratello Artaserse (ancora Caino e Abele, Romolo e Remo ecc) e riesce parzialmente nel suo piano: le sue truppe vincono, ma lui muore. Come si dice in chirurgia, l'intervento è riuscito, ma il paziente è morto.
Non resta che il ritorno tra mille difficoltà.
Un caro amico, che purtroppo ora ci ha lasciati, mi parlò euforico del libro e corsi a comprarlo. Purtroppo però sono rimasto deluso: Manfredi è un grande storico, ma non è uno scrittore... Le descrizioni sono accurate anche se spesso ripetitive fino allo stremo, ma lo stile ha il peso specifico del piombo, senza sussulti nè emozioni: si arriva faticosamente alla fine. Ho letto di peggio, ma non mi ha entusuasmato.
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Altro che gattopardo!!!
Bello, bellissimo, esauriente a 360 gradi. Spaccato fotografico di un periodo storico con l'iserimento di tanti personaggi dipinti a regola d'arte.
L'inizio è apparentemente caotico, sconnesso, irritante: l'importante è andare avanti ed ogni tessera troverà da sè il proprio posto, il dipinto prenderà forma e sarà sempre più avvincente.
Alla morte della principessa catanese Teresa Uzeda di Francalanza, discendente di antichi Vicerè spagnoli, si instaura una lotta intestina tra i discendenti alla pubblicazione del testamento. Le vicende della famiglia (numerosissime) con intrecci amorosi, corna, matrimoni combinati, suicidi per amore, preti pii e preti blasfemi, non mostrano all'inizio un vero protagonista, ma è la famiglia stessa la protagonista del romanzo. Successivamente, quando parallelamente alla storia degli Uzeda cresce prepotentemente la narrazione del quadro politico risorgimentale con lo sconvolgimento di una società di tipo feudale si assiste alla crescita di colui che è il vero protagonista del romanzo. Consalvo, un nipote della defunta principessa, destinato al sacerdozio si rivela come l'unica persona con la testa sulle spalle nel bene e nel male.
Abbondonati velocemente i panni del clero e successivamente quelli della nobiltà ormai allo sfacelo, si ricicla abilmente in politica come uomo della ....sinistra (!) e viene trionfalmente eletto alle elezioni del 1882.
Come dire, anche oggi niente è cambiato.....
Lo stile è avvincente, i personaggi dipinti con minuzia dei particolari. Altro che Gattopardo...
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bignami de "I Vicerè"
Prendete un grande libro semisconosciuto di fine '800, "I Vicerè". Fatelo leggere ad uno studente del liceo e fategli fare il riassunto. Prendete tale riassunto ed usatelo come sceneggiatura per un filmone con un cast di grido: ecco servito "Il Gattopardo". Per me una delusione perchè avevo già letto "i Vicerè" e così mi è sembrato sovrastimato: il grande film ha contribuito al suo successo. Leggete il libro di De Roberto e mi darete ragione....
Dopo la conquista della Sicilia da parte dei Mille, le famiglie aristocratiche legate a doppio filo ai Borboni si sentono crollare il mondo addosso. Nel romanzo viene presa come esempio la famiglia del Principe Fabrizio Salina (in realtà Giulio Fabrizio Tommasi da Lampedusa, bisnonno dello scrittore) che assiste schifato alla crescita della borghesia in contrapposizione alla decadenza della aristocrazia. deluso dal nipote Tancredi, schieratosi con gli invasori, finisce comunque con l'appoggiare la fazione politiche che nel plebiscito popolare appoggia l'annessione al Piemonte. Successivamente però rifiuta la carica di senatore nel nuovo regno e muore così come muore il mondo dove era nato e cresciuto.
Ma come dargli torto? In quel periodo storico per un siciliano medio il Piemonte era su Marte, mentre quel modus vivendi nel quale le classi medio-agiate erano inesistenti sembrava incrollabile... Aggiungiamo spesso la inettitudine degli aristocratici che pretendevano di avere determinati privilegi per diritto acquisito e non per meriti ed il gioco è fatto: spariti i Borboni che sostenevano il meccanismo questo è crollato come un castello di carte coinvolgendo nella caduta anche le classi sociali meno agiate. Il fenomeno del brigantaggio sarà figlio di questo sconvolgimento socio culturale..
Paradossalmente sarà la prima guerra mondiale ad unire l'Italia: lì Siciliani e Piemontesi saranno costretti a parlare una lingua comprensibile per tutti e pur nell'inutilità di quello scempio creeranno le basi per una vera unità d'Italia.
Comunque leggete i Vicerè!!!
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crudo e imperdibile
Un angolo di mondo del quale abbiamo sentito parlare ma del quale non sapremmo parlare se non cadendo in luoghi comuni: Cambogia, Vietnam, Thailandia, Pol-Pot, Kmer, Viet Cong, Ho-chi-min, chi erano, cosa fecero, chi li appoggiava, in che cosa differivano. Tutto narrato da chi c'era, da chi ha rischiato la vita per sapere e far sapere.
I khmer rossi occupano Phnom Penh, gli americani sono sconfitti; un'altra Saigon? No, un'altra storia, altra gente. Terzani in Vietnam andava spesso nei villaggi dei Viet Cong, ci parlava, li intervistava. In Cambogia ha rischiato seriamente di farsi uccidere dai Khmer, non gente che difendeva la propria terra da un invasore straniero, ma gente che ucciderà un terzo della popolazione civile del proprio paese.
Una volta al potere Pol Pot mostrerà sorrisi a 32 denti al mondo intero e richiamerà in patria i cambogiani colti che erano esuli all'estero. Medici, ricercatori, ingegneri, professori, rientrano in cambogia finalmente liberi dal giogo americano per costriure insieme il fututo del proprio paese. Verranno tutti uccisi dai khmer, un colpo a di pistola alla nuca e via. Poi quando ci si renderà conto che le munizioni costano verranno uccisi a bastonate. Porti gli occhiali? Vieni ucciso. Se hai gli occhiali sai leggere e la cambogia deve ripartire da zero, nessuno degli adulti deve saper leggere. Impareranno solo i bambini, allevati sotto l'ala del comunismo. Conosci una lingiua straniera? Idem.
Assistiamo ad uno dei più grandi eccidi compiuti da un dittatore contro il proprio popolo, fino a quando entrano in gioco le potenze straniere. Tutto si risolve in un derby comunista: il Vietnam filo-russo attacca la Cambogia filo-cinese, e per fortuna i vietcong hanno la meglio, anche se il popolo cambogiano ne esce distrutto: non dagli invasori stranieri, ma da un cancro interno.
Un libro che con lo stile del grande giornalista informa senza essere mai pesante. Bellissimo.
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il peggior Eco
Una nave ferma nel tempo, ad un passo dalla linea del cambiamento di data. Pagine e pagine a parlare di orologi di tutte le forme con ampollose disquisizioni sul tempo. Alla fine un'unica certezza: l'unico TEMPO perso è il nostro che abbiamo trascorso a leggere questo inutile mattone.... Da evitare accuratamente.
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Fantasy stile Eco
Dopo l'inutile "L'isola del giorno prima" Eco si sbizzarrisce facendo raccontare ad un bugiardo matricolato le più grosse panzane possibili ed immaginabili. Ne scaturisce un libro scorrevole e piacevole un po' inusuale per un autore solito ad addentrarsi nei meandri della storia: qui la fanno da padrone creature fantastiche e situazioni paradossali ottenendo un "fantasy" d'autore che vale la pena di leggere. Sottovalutato.
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impegnativo, ma ne vale la pena
La più difficile e forse la meno piacevole delle opere di Terzani, ma comunque un libro che lascia qualcosa di profondo in chi lo ha letto.
Improvvisamente Terzani scopre di avere il cancro e sembra che la malattia sia molto aggressiva: sarà più utile sottoporsi a cicli di chemioterapia in qualche lussuosa clinica americana o fidarsi di tradizioni millenarie radicate nelle medicine "alternative" o nelle tradizioni mediche orientali?
La ricerca della cura per la sua malattia si riflette in una ricerca di se stesso conoscendo persone e modi di vita lontani dal nostro.
La scelta decisiva è sempre legata al mondo occidentale, ma l'autore mette tutto in gioco, per primo se stesso, alimentato dalle sete di conoscenza (sulla propria pelle) che è stata il motivo trainante della sua esistenza
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avvincente
Siamo nel XIII secolo, il mercante di reliquie Ignazio da Toledo riceve l'incarico di rintracciare un libro unico, l'"Uter ventorum", l'Otre dei Venti, che permetterà al suo possessore di evocare nientemeno che gli Angeli.
Ben presto il protagonista viene a conoscenza del fatto che il libro è stato diviso in quattro parti e queste sono disseminate per Mezza Europa. Il viaggio di Ignazio di snoda così tra Italia, Spagna e Francia, ma non è solo un viaggio alla ricerca del libro misterioso, è anche un viaggio sulle tracce del proprio passato e delle persone a lui più care...
Bello, a tutto tondo, mai banale, mai noioso, scritto magistralmente anche nella forma mai ampollosa ma allo stesso tempo accurata nel descrivere particolari e situazioni. Se l'è cavata egregiamente anche nel finale che non era di facile soluzione dopo aver messo così tanta carne al fuoco...
Da non perdere
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