Opinione scritta da ChiaraC
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(Il mio) discorso e fuori discorso
Mi vedo costretta a citare il libro e parlare anche io di "discorso" e "fuori discorso".
Nel "discorso" Il Colibrì di Sandro Veronesi è il vincitore del Premio Strega, ed è una storia che parla di resilienza verso i contraccolpi della vita, tema quanto mai attuale. Il protagonista, Marco Carrera, impiega uno sforzo indicibile per rimanere fermo, stabile, in un mondo che è un turbine di stramberie e tragedie. Il Colibrì siamo noi impiegati che non arriviamo a fine mese, noi i divorziati che ci scorniamo, noi amanti nascosti, noi famiglie borghesi così infelici. Siamo noi uomini e donne comuni all'apparenza statici e immobili, ma che impieghiamo uno sforzo immenso per restituire quest'immagine, fasulla, di noi stessi.
[Attenzione, contiene spoiler]
Ora arriva il fuori discorso, che non potrò ripetere in pubblico almeno fino a quando non lascerò decantare il successo de Il Colibrì, perché si sa che in Italia i successi letterari e cinematografici restano intoccabili e incriticabili per almeno due anni dalla loro uscita (si veda La grande bellezza, che al solo dire che non era poi tutta sta bellezza si veniva tacciati di ignoranza).
Allora, il Colibrì è la storia di un medico figlio dell'alta borghesia che a quanto pare ama destabilizzarsi: prima il gioco d'azzardo, poi il matrimonio con una narcisista patologica, e infine anche una specie di amore platonico con una donna, vissuto attraverso un carteggio epistolare stile ottocento, di un melenso mortale.
Non solo, Marco vive il tutto con un'implacabile nonchalance che puzza di insulso. La vita lo colpisce, e lui non vacilla di un passo.
E qui si apre la mia parentesi: quando è successo che i protagonisti dei romanzi e dei film italiani siano diventati figure borghesi, insulse, che accettano la vita passivamente senza mai reagire? Dove sono finiti i coloriti personaggi di De Sica, le simpatiche e strambe creazioni di Fellini?
Perché compro un libro che ha vinto un premio nazionale, e trovo un romanzo (scritto male) che mi parla dei dolori melensi di un qualunque Marco Carrera, che nella vita reale altro non è che un medico ricco che c'ha l'amante?
Forse la risposta giace in quelle frasi sottolineate dai lettori. Come sapete, se comprate un ebook su Kindle, l'e-reader vi evidenzierà le frasi più sottolineate: e lasciatemelo dire...sono davvero insulse.
Impegnativo
È certamente un libro difficile da leggere, Solaris. Cercate altro, a meno che non siate interessati a un romanzo introspettivo. Perché Solaris, per me, più che fantascienza è stato un romanzo sull'introspezione, anche se ambientata ad anni luce da noi, nello spazio.
Come dice Lem "l'uomo è andato incontro ad altri mondi senza conoscere le proprie porte nere sbarrate", e sulla stazione spaziale in missione sul pianeta Solaris lo psicologo Kelvin si trova ad affrontare fantasmi e allucinazioni che sono il prodotto del suo stesso inconscio. Infatti, l'organismo vivente che circonda Solaris, chiamato familiarmente "oceano", studia i cervelli dei protagonisti e materializza i loro pensieri di fronte ai loro occhi, sotto forma di persone, amate o odiate. E come rapportarsi, di fronte all'inconscio?Fuggire, o accettarlo? Bella domanda.
Il libro è scritto in modo estremamente difficile, c'è un uso inflazionato di termini come "simmetriade" o "agiloide" e una sintassi davvero pesante. Tradurlo dal polacco deve essere stata un'opera davvero titanica, e lo dice una persona che il polacco lo sa parlare.
Inoltre, Lem, poveraccio, si è trovato a scriverlo nella meravigliosa Zakopane (cittadina di montagna della Polonia, consigliata vivamente), durante il regime sovietico. E durante il regime sovietico dovevi scrivere un libro "camminando sui gusci d'uovo", o ti deportavano. E non solo ha dovuto destreggiarsi tra le insidie sovietiche, ma il povero Lem è stato anche vittima delle paranoie del suo collega Philip K Dick che lo denunciò all'FBI accusandolo di essere un comunista ( ed essere comunista, negli USA degli anni '60, era una accusa moooolto grave).
Insomma, Solaris non è una lettura facile e per passarci la serata, ma è introspettivo e impegnativo, da leggere con la giusta testa.
Nel complesso è un capolavoro.
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L'insostenibile distacco dell'essere
L'insostenibile leggerezza dell'essere è un romanzo culto che segue le vite e le vicende amorose di quattro intellettuali cechi: Tomas, un chirurgo di successo che timorosamente cerca di ribellarsi al regime comunista, esitando, ritrattando, ma alla fine riuscendoci; Tereza, la sua compagna (fotografa per caso e profondamente traumatizzata dall'ideale comunista in cui purtroppo è cresciuta); Sabine (una pittrice intelligente e irrequieta) e Franz, un modesto professore universitario.
Le loro vite si intrecceranno in un quartetto amoroso vissuto con insieme tormento e distacco, e fa da sfondo la rivoluzione comunista in Repubblica ceca.
La trama è molto intrigante, l'introduzione è geniale (leggetela), il libro parte in quarta dipingendo personaggi complessi, quasi veri. Anzi, sono sicura che Kundera si deve essere ispirato a suoi intimi amici per dipingere i protagonisti.
Molto raffinato nello stile, descrive scene erotiche senza cadere nel volgare.
Eppure.
Quel finale.
Quando dissi a un mio conoscente, anche lui scrittore, che ero a metà de L'insostenibile leggerezza dell'essere, lui mi disse "Lo ricordo bene, avevo voglia di saltare molti capitoli verso la fine".
Infatti il finale è prolisso, ci sono molte pagine che possono essere saltate, non contengono nulla se non digressioni filosofiche belle ma pedanti.
Inoltre, non a caso ho scritto che le vite dei personaggi si alterneranno in un "quartetto amoroso vissuto con insieme tormento e distacco". Perchè non si parla di leggerezza qui, ma di un fenomeno psicologico più complesso che è quello del distacco emotivo. Tomas mi sembra estremamente cinico e freddo nel frequentarsi con le sue amanti. Sabine, seppur irrequieta, non esprime mai le sue più interne emozioni, e neanche gli altri: non Tereza, tradita eppure sempre in negazione dal dolore che Tomas le procura, nè Franz, che lascia che sua moglie scivoli via dalla sua vita, osservando in silenzio.
Signori miei, qui non si vivono i tradimenti con leggerezza: qui c'è distacco, cinismo, apatia: è ben diverso.
Quindi, se volete leggervi una digressione su L'insostenibile distacco dell'essere, leggete Kundera.
Ps. Il libro contiene anche citazioni bellissime e rivelatrici. Ve ne lascio una:
"Le missioni di vita sono una stupidaggine, Tereza. Io non ho una missione. Nessuno ce l'ha... E ti senti terribilmente libero quando realizzi di essere libero, libero da ogni missione"
Mi è piaciuta.
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Bella trama, stile deludente
La storia della famiglia armena Arslan, sterminata dai turchi durante il genocidio del 1924.
Mi accodo alle opinioni di molti altri critici che hanno lasciato, su questo sito, la loro recensione: questo libro e' stato per me una delusione.
L'avevo comprato piu' di dieci anni fa, su consiglio del mio professore di storia, ed e' spesso elogiato come racconto vivido e toccante di un massacro spesso dimenticato. Mi sono decisa a leggerlo solo adesso, matita alla mano, sperando di trovare qualche prezioso esempio di stile e metafore (mi piace sottolineare e appuntare i miei libri).
La storia l'ho trovata di per se' interessante e molto toccante, il massacro della famiglia e' descritto in modo vivido e crudo e ti penetra nelle ossa, te lo ricordi quando stai per addormentarti, ed e' traumatizzante il terribile destino a cui sono state sottoposte queste povere persone. Per questo, tuttavia, mi piacciono i libri ispirati alle storie vere, perche' permettono di rendere umani e vicini eventi e massacri che altrimenti rimarrebbero freddi dati da libri di scuola.
Pero' lo stile mi ha deluso parecchio:
-la scrittrice si identifica spesso come "la bambina" e parla di se' in terza persona, raccontando come il "Solo da vecchio Yerwant aprirà con la bambina la teca della nostalgia". Perche'? Ho capito che hai scelto di parlare dei personaggi in terza persona, nonostante siano i tuoi familiari, ma non puoi definirti anche tu come una semplice nipote? Del tipo "Solo da vecchio Yerwant aprira' a sua nipote la teca della nostalgia"
-La scrittrice utilizza passaggi in corsivo e di stile vagamente poetico per farti intuire cosa accadra' ai personaggi in futuro. Perche'? Puo' essere usata una semplice prolessi, sullo stampo di quelle utilizzate da Marquez in "Cent'anni di solitudine"
-Lo stile e' di quelli che "vuole emozionare per forza", spesso cerca di farti venire il magone, di commuoverti, e questo sforzo si intravede e rovina tutto.
Insomma, la trama e' bella, lo stile un po' meno, e mi dispiace davvero tanto dover dare una recensione del genere
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Toccante
Mi sento profondamente amica di Isabel Allende dopo aver letto il suo tributo alla figlia Paula. È una storia struggente eppure mai melensa o tragica. Riesce ad emozionare e a far piangere, ma anche a far sorridere. C"è un'immensa leggerezza nella tragedia e nella sua morte. Paula sembra la ragazza che vorrei come consigliera di vita, sembra la donna che vorrei essere (oppure mi appare tale solo perché filtrata dall'amore di sua madre, e magari Paula è una persona perfettamente normale, magari un po' viziata, o con dei difetti).
Mi rivedo anche in Isabel, sua madre, la scrittrice famosa in tutto il mondo. Come aspirante scrittrice mi sento molto meno sola ora che ho letto questo libro, perché in "Paula" l'Allende ammette di essere stata una scrittrice pessima, che faceva anche grossolani errori di grammatica, aveva tumulti che non riusciva ad esprimere e sentimentalismi che l'hanno spesso cacciata nei guai. Come lei mi sono persa nel romanticismo di una relazione fallimentare, ho cercato di trascrivere su carta le avventure della mia bizzarra famiglia, mi sono sempre sentita "fuori posto". Ora che ho letto Paula mi sento meno fuori posto.
Non posso che dire grazie ad Isabel Allende per questo meraviglioso libro.
Ps. Voto mediocre alla traduzione dell'edizione Feltrinelli. Il linguaggio l'ho trovato a tratti confusionario, e spesso con termini desueti. Unica pecca in un libro meraviglioso. Metto comunque 5 allo stile, avendo letto svariati libri di Isabel Allende in altre edizioni.
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SEMPLICEMENTE PERFETTO
Stile:10
contenuto:10
piacevolezza:10
Ammetto tuttavia di non aver tratto proprio piacere nel leggere Lolita. Come ben tutti sappiamo, il famosissimo libro di Nabokov racconta l'amore perverso tra un pedofilo, Mr. Humbert, e Dolorez Haze, la sua ninfa, il fuoco dei suoi lombi, il suo peccato, la sua anima, nonchè figliastra di dodici anni. Non riesco a provare pena per Humbert che si strugge per l'impossibilità del suo amore, e non provo empatia per le sue sofferenze. Di base lui violenta Lolita, è con lei un orco possessivo che le proibisce di avere contatti con altri bambini e cerca di tagliarla da ogni relazione con la famiglia: la madre di Lolita muore in un incidente mentre la figlia è al camposcuola, e lui le terrà nascosta la verità solo per poi rivelargliela brutalmente, le mentirà dicendo che la casa della madre è stata venduta, non le rivelerà mai il suo luogo di sepoltura. La convincerà ad accettarlo come patrigno e la violenterà ogni notte. E quando Lolita andrà al liceo femminile avrà pessimi voti, in quanto troppo impegnata a soddisfare le voglie del patrigno per studiare.
Ma l'amore che lui ha per lei, come lui la dipinge e la descrive, quello beh...è sublime. Lui la idealizza e la mette su un piedistallo, per lui Lolita è una dea da venerare, è un personaggio di una tragedia e lui è Shakespeare, è la musa che ispira le sue poesie, è una diva del cinema e lui il suo vecchio e umile compagno che la segue nell'ombra.
Il libro è narrato dal suo punto di vista, e se non si presta attenzione si cade nella trappola di comprendere i dolori del povero Humbert.
Lui ama Lolita come farebbe un adulto, ed è quasi impossibile non rispecchiarsi nei suoi sentimenti: Humbert spera di poter passare del tempo da solo con lei durante un picnic, o capita per caso nella sua stanza per vedere se lei è disposta a parlargli per un po'. Le compra regali per farle piacere, cerca di organizzare gite in montagna. Si fa tremila film mentali dove lui e Lolita sono i protagonisti. Ma cosa sono, poi, questi film mentali? Il marcio è sempre lì dietro l'angono, e lo si nota da tanti, piccoli particolari:
Humbert spera che in quel noioso picnic di famiglia lui possa fare una passeggata con Lolita e poterle dare un bacio, che tradotto sarebbe: un uomo di quarantanni spera di rimanere da solo nel bosco con la figliastra dodicenne, così può molestarla.
Oppure, Lolita finalmente entra in camera sua per dargli attenzioni e mostrargli uno dei suoi disegni: Lolita ha 12 anni e mostra al patrigno uno dei suoi disegni, e la cosa peggiore è che agli occhi di Humber questo è un tentativo di seduzione. Tanti gesti quotidiani di Lolita (mangiare una mela, leccare un lecca lecca) sono percepiti come moine sensuali e ammiccanti.
E la cosa più terribile è che anche il lettore gli reinterpreta in questo modo!
Lolita è stato il romanzo più frainteso della storia. Prima si riteneva fosse un racconto erotico, ma una volta diventato famoso, è stata Lolita a passare dalla parte del torto, entrando nell'immaginario collettivo come l'adolescente che provoca il vecchio signore. E invece no! E' tutto nella testa di Humber e Nabokov lo descrive molto bene: persino la famosa scena di Lolita che, con occhiali da sole a forma di cuore, prende il sole in bikini con un lecca lecca è stata fraintesa. Stiamo parlando di un'adolescente che lecca un lecca lecca e ha gli occhialoni a forma di cuore, quante ragazze lo fanno, ogni giorno? Perchè nell'mmaginario collettivo è lei, quella provocante, e non lui il perverso?
Nabokov è riuscito con ampia maestria a descrivere le passioni e i dolori di un pedofilo e far sì che la folla empatizzasse con lui, e che anche la folla potesse dire: è vero, Lolita lo ha provocato.
Ma ok. Tuttavia, il contenuto è favoloso, ricco di colpi di scena, e la personalità problematica di Humbert viene colta dal lettore più attento (quando lo leggerete, notate per favore come si esprime il signor Humbert: usa solo pleonasmi, frasi allegoriche, comparazioni eroiche. Parole assolutistiche, anche. Indice di una personalità non normale).
Un tema così controverso è trattato con maestria ed ironia, e il libro non è mai pesante, ma sempre scorreole, sebbene a tratti sia molto difficile da digerire e ti faccia sentire male con te stesso.
Infine, lo stile: sorprendente. Maestrialmente scritto, ma non solo. Notate la ricchezza del vocabolario. Le figure retoriche, il linguaggio. E cosa più sorprendente: venne scritto in inglese, che non era la lingua madre di Nabokov. Nabokov era russo ed era emigrato negli Stati Uniti solo da pochi anni. E dopo pochi anni già parlava con tanta maestria una lingua non sua! Infatti, so che fu proprio il caso letterario dello "straniero che parla meglio dei nativi". Incredibile.
Lolita è un libro da non perdere.
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Libro politico, slegato dallo stile tipico di Marq
Non è il miglior libro di Marquez. Ripeto, non è il miglior libro di Marquez. Questo detto da una donna che lo venera e che ha letto quasi tutta la sua antologia.
E' un Marquez politico, che descrive la storia di un paesello colombiano isolato dalla pioggia e sotto lo scacco di misteriose "pasquinate", cartelli che compaiono durante la notte e che rivelano i vizi più segreti dei suoi abitanti. Sulle orme dell'autore delle pasquinate vi sono il parroco Angel, l'alcade (il capo della polizia), e il giudice Arcadio, tre principali protagonisti di questo romanzo nato come un racconto lungo, e rappresentanti della colombia violenta e corrotta di quegli anni, divisa tra un "governo di facciata" e la guerriglia.
L'alcade infatti è un brutale uomo sangunario che usa il suo potere per sparare sulla folla e massacrare gente in prigine. Spiccano poi altri personaggi collusi con il partito o vicini alla guerriglia, e ne viene fuori una Colombia ipocrita, la cui noia quotidiana è spezzata dalla violenza.
Gabriel Garsia Marquez ammise di aver scritto questo romanzo quasi su pressione dei suoi colleghi e amici, che lo spronarono a scrivere qualcosa di politico, a narrare l'orrore del suo paese. Lui ci provò, ne nacque "La mala ora". Ma poi ritornò a scrivere libri secondo il suo stile. Infatti La mala ora non sembra un libro di Marquez:il realismo magico che lo contraddistingue è inesistente, la narrazione non è visionaria, ma monotona. E' una narrazione forzata.
Mi sono sorpresa a sperare che questo libro finisse presto, e non, come in altri suoi romanzii, a sperare che "non finisse mai".
Lui ha scritto tantissime opere a stampo politico-giornalistico (vedi il famosissimo "Notizia di un sequestro", dove tratta e denuncia i rapimenti da parte dei Narcos di giovani della Colombia bene) o lo stesso Cent'anni di solitudine dove viene denunciata l'azione della "Compagnia bananiera" verso i suoi lavoratori in scipero.
Insomma, essendo lui un giornalista, ha scritto eccellenti opere di stampo giornalistico, ma essendo anche un meraviglioso romanziere, è riuscito a narrare attraverso il suo realismo magico i fatti più cruenti.
"La mala ora" non ha nè l'uno nè l'altro: rincincia allo stile giornalistico, ma rinuncia anche al realismo magico. Ne risulta un romanzo che non sembra suo, nello stile, almeno.
Insomma, mi ha deluso. Tuttavia, come sempre, consiglio di leggerlo. Gli autori non sono i nostri giullari e spesso devono anche fare il "lavoro sporco" di scrivere un libro che non sia di intrattenimento, se questo serve a nutrire in noi una coscienza politica. La Colombia era uno dei paesi più sanguinari del mondo, ed è meglio conoscere la sua storia anche coi libri, e non limitarsi ai racconti patinati di film e serie tv come, ad esempio, Narcos, che forse arriva a miticizzare un po' troppo la figura di Pablo Escobar e della FARC.
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Per chi ha visto Narcos e vuole saperne di più sulla Colombia di quegli anni.
Piacevole
Le citta´ invisibili e´ un classico della letteratura italiana contemporanea, ad opera di quel genio letterario di Italo Calvino, che personalmente amo molto. Marco Polo racconta a Kublai Khan tutte le citta´ che ha attraversato durante i suoi viaggi, rispondendo a una domanda quasi primordiale: perche´ sono state fondate alcune citta´? Cosa le spinge a non morire e a sopravvivere alla storia?
E cosi´ troviamo la citta´ fondata da uomini in cerca della stessa donna, apparsa loro in sogno, e questa citta´ si annicchila in se stessa, e´ ritorta in mille cunicoli che non portano a nulla.
Oppure c´e´ la citta´ sepolta, dove le persone vivono come talpe, sfasciate nei corpi dall´umidita´ della terra.
Insomma, la lettura e´ piacevole, sembra una favola. Purtroppo pero´ non vi ho trovato una morale, un qualcosa che rimanesse a parte l´incanto e le belle parole.
Ok, c´e´ l´ultimo capitolo, e sopratutto l´ultimo paragrafo. Quello e´ da sottolineare.
Si
Questo e´ il mio primo romanzo di Camilleri. Voto: 8 e mezzo.
Essenzialmente la trama verte sull' omicidio di un prestigioso avvocato intrallazzato con la politica e la mafia, e il commissario Montalbano deve capire chi sono i colpevoli.
E' ben scritto, la trama trasuda cultura siciliana ad ogni frase, Camilleri e'inoltre un sapiente scrittore, rende comprensibile una frase anche se intermezzata da parole dialettali e con pochi tratti sa delinearti una scena
(Ad esempio un ¨mangiarono parlando di mangiare¨).
Tuttavia il titolo ¨La forma dell´acqua¨ parla di mafia: -Che forma ha l´acqua?- si chiedono nel libro, e rispondono che l´acqua non ha una forma, prende la forma che gli vuoi dare. E Camilleri la paragona, senza mezzi termini, alla mafia. Che tuttavia nel libro non compare, o perche'non descritta per bene, o perche'Camilleri e'un genio e la nascosta per bene.
Insomma leggetelo, come tutti i libri, fa compagnia, e' leggero, a tratti spiritoso. Per esempio io l´ho letto dopo ¨Il giorno della civetta di Sciascia¨, di una pesantezza....
Da leggere quando ci si sente soli
La verità è che non ho niente da ridire su "Palomar".
E' un libro scritto in terza persona onniscente in cui si segue la vita di un uomo, con le sue introspezioni e i suoi dubbi. Il signor Palomar indugia su tutto quello che vede e che sente e cerca di smontarlo e analizzarlo, al fine di costruirvi sù le proprie considerazioni sul mondo.
Cerca una risposta, un senso che purtroppo non troverà. Perchè Palomar è un uomo comune.
Non aspettatevi quindi "slanci poetici" o massime illuminanti sulla vita: lui non è un saggio e i suoi pensieri si sviluppano allo zoo o in fila al banco dei formaggi. Non sappiamo nulla di lui, eccetto che nonostante la sua stramberia è sposato, e ha una famiglia.
Tuttavia c'è qualcosa di familiare nella sua indecisione in cui tutti noi ci rispecchiamo: quelle piccole considerazioni quotidiane sul senso della vita, il nonsenso che spesso affrontiamo di fronte alla vastità del mare o del cielo stellato...Tante piccole cose piene di significato inafferrabile, per noi.
Calvino ha quindi voluto descrivere l'irrequietezza dell'uomo comune, e lo stile del libro ci permette di leggerlo senza troppi sforzi in ogni momento della gionata, in fila per il tram o mentre aspettiamo che si liberi il bagno. E' una piacevole compagnia, l'ho letto quando mi sono lasciata con il mio ragazzo e mi ha aiutato a stare meglio. Quindi, se siete in un periodo della vostra vita in cui volete solo chiudervi in voi stessi, leggete Palomar, qualcosa vi resterà.
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Quel maledetto finale
Quel maledetto finale.
Allora, io detesto i critici che spesso e volentieri commentano una mia storia con il classico "Il finale non mi e' piaciuto, potresti sostituirlo?" oppure "Questa parte non mi e' piaciuta, come mai il tuo personaggio fa questo e non quello?"
BENE. Storia mia decido IO come deve finire. Quindi detesto commenti del tipo "non mi piace il finale, non doveva finire in questo modo etc etc".
Mi ritrovo pero' a dover fare la stessa critica per Il signore delle mosche.
Idea geniale, alcuni bambini sono gli unici sopravvissuti di un'incidente e si ritrovano a dover vivere come selvaggi su un'isola deserta. La loro prima scelta e' cooperare, ma poi le cose degenerano...
Eccellente critica della societa' e dell'animo umano, che ne rivela tutti i lati piu' turpi e bestiali. I bambini partono con l'essere cooperativi, pieni di buoni propositi, e si ritrovano a scadere nelle logiche tribali, nella legge del clan, finiscono con il perpetrare strani riti e a venerare teschi di cinghiale...
I personaggi sono un po' semplici e stereotipati, ma funzionanti, infondo si parla di bambini. La storia dipinta con crudezza e con un pathos che ti lascia con il fiato sospeso e ti fa pulsare il cuore a mille fino a quando...non vedi il finale.
Insomma, leggetelo si', sono solo rimasta delusa dalla fine e generalmente e' una critica che ho sentito spesso fare per questo romanzo.
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Ottimo per i ragazzi e giovani adulti
Non voglio essere dissacrante. La mia opinione è quella di una donna delusa.
Lessi "Persepolis" la prima volta a 16 anni. Vidi il film. Me ne innamorai. Persepolis era annoverato come uno dei miei film preferiti.
L'anno scorso girovagando per le librerie ho trovato un'edizione economica di Persepolis, l'ho ricomprata e l'ho riletta. Ed è stata una delusione, ora vi spiego perchè:
Come già elencato in altri commenti, sappiamo che la storia è quella autobiografica della protagonista, nata e cresciuta in Iran a cavallo della rivoluzione. I genitori la spediscono a studiare in Austria per sfuggire la dittatura sanguinaria, e lì entra in depressione, prova la solitudine e l'emarginazione. Il resto non ve lo dico, la storia merita, è molto bella.
Ma lei. Quando lessi per la prima volta Persepolis Marjan mi sembrava un'eroina. Sono passati più di dieci anni da allora, con tutte le vicissitudini della vita adulta. E quando la me adulta ha riletto Persepols non vi ha trovato un'eroina, ma una ragazza dell'Iran benestante spedita a studiare in Europa. Una ragazza viziata, lasciata allo sbaraglio.
Ne ho trovato un libro molto concentrato su di sè e sul suo dolore, quando spesso accenna poco a personaggi secondari che secondo me invece sono bellissimi e profondi, come suo zio, o i suoi genitori.
Insomma, pensavo fosse un'eroina, ma in tutto quel sangue e in quel clamore lei si è rivelata una ragazza un po' "vittima", quando per tutto il tempo è sempre stata lontana dall'orrore.
Insomma, 10 per il libro, 6 per la protagonista.
Non leggerti i riassunti da Wikipedia, compratelo
Ma ne vogliamo parlare? Il mio voto è 10. Una perla: intelligente, parole pesate al punto giusto, metafore raffinate.
Un gattopardo è lo stemma della famiglia Salina, casata fedele ai Borbone che, ahimè, si trova a vivere il brusco passaggio dal Regno delle due Sicilie all'Unità d'Italia. Il punto di vista è quello di Fabrizio, principe di Salina, nobile indolente e conscio che la vita come lui la conosce è ormai destinata a finire.
Ma della figura di Fabrizio ne vogliamo parlare? Uomo che passa le sue giornate in un pendolo che oscilla tra noia e insofferenza verso la realtà che lo circonda. La moglie casta e pura che grida "Gesùmmmaria" durante i rapporti. Le figlie bigotte. Il prete che gironzola nel casato dei Salina. Una realtà borbonica descritta in modo lucido e devastante.
E della figura di Angelica ne vogliamo parlare? Vi siete accorti di che perfetta perfetta metafora sia dell'Italia nascente? Ha studiato al Nord Italia ed è arrivata al Sud seducendo gli uomini con la sua bellezza, la sua novità, con la sua giovinezza. Eppure sotto sotto Angelica è una volgarotta, durante le cene cerca di contenersi per non togliersi il cibo dai denti con le unghie.
Sarà fortunata solo perchè gli uomini le attribuiranno le qualità che simulerà con maestria, e sposerà Tancredi, delfino di casa Salina, che guarda caso si è convertito ed è passato da essere un pro-Borbone a promotore dell'Unità d'Italia.
E Angelica, come si scoprirà nel libro, ha le gambe che "sono sempre state troppo corte rispetto al corpo". Non vi dice nulla questo particolare?
Lo stile è introspettivo, leggero, il libro scorre che è un piacere. Ma Elio Vittorini come ha fatto a lasciarselo scappare?
Ragazzi, questo libro è una perla da leggere in particolar modo se si è meridionali, in modo da capire cosa ha causato e come si è arrivati al disfacimento delle due Sicilie.
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Da leggere solo perche' e' un classico
Premetto che non sono una fan della letteratura inglese Ottocentesca (ok, Conrad e' polacco, ma pubblica in inglese). Ero tuttavia particolarmente attratta da Cuore di Tenebra e dalla sua trama: Marlowe, marinaio, si addentra dentro la tenebra africana, alla ricerca di un fantomatico commerciante d'avorio di nome Kuntz. Piu' si addentrera' nelle tenebre, piu' il mondo intorno a se' si fara' barbaro e selvaggio.
Allora, prima di tutto mi aspettavo una narrazione in terza persona e invece la storia si sviluppa come racconto che Marlowe fa ai suoi compagni di viaggio. Racconto che tutti gia' prefiguravano "come interminabile". E mi sa tanto che avevano ragione. Infatti, come compete a un buon stile ottocentesco inglese, le descrizioni sono infinite e lo stile e' lento. Non mi piace ma non posso criticarlo piu' di tanto, alla fine dell'Ottocento i libri dovevano accompagnare i lettori per il maggior numero di ore possibili, per questo erano cosi' lenti e descrittivi.
La trama: sono rimasta molto sconceratata dalle dichiarazioni della critica secondo cui Cuore di tenebra non sia un libro razzista. Io lo trovo profondamente razzista in alcune sue parti, tipo (non cito fedelmente) "si vide il cadavere di un negro stramazzato al suolo da un proiettile, simbolo che la civilita' era vicina". In tanti mi hanno detto che la dichiarazione fosse ironica, e che appunto Conrad volesse denunciare le atrocita' dell'uomo bianco in Africa.
Tuttavia ritengo che Conrad volesse descrivere la societa' dell'epoca con crudezza: gli africani sono selvaggi che si dirigono a gattoni verso il fiume per bere. Ammazzano senza problemi, impalano teste. Non c'e' da stupirsi che in mezzo a questo disordine l'uomo bianco sia visto come un semi dio, sempre con i vestiti inamidati, sempre a trascrivere documenti e impegnato a costruire ponti.
Insomma, non ritengo Conrad un razzista, ma neanche un anti razzista. Nel suo libro c'e' una storia, atroce, cruda, a tratti bella. Ma non la trovo una denuncia al razzismo.
Direi che nel complesso lo paragonerei ai "Promessi Sposi" di Manzoni: abbastanza noioso, ma e' un classico che va letto.
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Forse
Onestamente non il miglior libro di Saramago.
La trama parte in modo davvero avvincente, per carita': allo scoccare della mezzanotte del 31 Dicembre la morte cessa di esistere. In questo piccolo paese (il Portogallo, probabilmente), non muore piu' nessuno, neanche coloro che si trovano coinvolti in incidenti aerei, neanche le vittime di incendio. Nessuno. Tutti restano al massimo in uno stato di coma permanente.
Le manifestazioni di giubilo cessano tuttavia quando i cittadini si accorgono che l'assenza della Morte e' in realta' una bella gatta da pelare: con il suo classico stile pessimista/inquietante/ angosciante Saramago ci descrive una realtaa' fatta di semi-cadaveri che si ammassano negli ospedali, famiglie esasperate dalla sopravvivenza dei loro cari ormai centenari e tanto, altro ancora.
Poi, un altro bel giorno, come se niente fosse, la morte torna a far visita, e decide di mandare una lettera per avvisare del suo ritorno: la manda a tutti, tagliente, efficace, e se la ricevi sai che in una settimana sai morto. La manda anche a un violinista che, pero', la rimanda indietro. E la morte non ha altre alternative se non fargli visita di persona...
Tutto molto interessante ma, c'e' un ma: verso la fine del libro vi sono circa trenta pagine che secondo me potevano benissimo essere tagliate, in quanto appesantiscono il testo e sembra quasi che Saramago le abbia aggiunte per non far sembrare il libro troppo corto. La morte, inoltre, e' descritta in modo troppo sentimentale e costruito. Il finale, inoltre, un po' banale.
Nel complesso e' un libro piacevole per i novizi, ma non aspettatevi un capolavoro. Se siete lettori esperti e siete indecisi tra questo e altri suoi libri, meglio optare per "Cecita'" o "Il Vangelo secondo Gesu' Cristo".
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Lettura particolare, perche' no
Saramago ci accompagna attraverso la vita di Gesu' di Nazaret, da alcuni considerato il Figlio di Dio, il Messia.
Grazie i suoi occhi siamo presenti il giorno in cui Gesu' viene concepito, lo seguiamo quando, da adulto, passa quattro anni nel deserto in compagnia di un enigmatico Pastore, siamo con lui nel giorno in cui incrocia gli occhi di Maria Maddalena, e se ne innamora.
Chi era Gesù' Cristo? Per Saramago era un Dio ignaro di esserlo, un uomo fatto di ossa, carne e sentimenti, il quale avrebbe volentieri passato la sua vita facendo il falegname se Dio non l'avesse incastrato nel suo piano divino.
Infatti, chi è Dio per Saramago? Ebbene, è un'entità' egoista e affamata di potere, che manda suo figlio sulla croce per fondare una nuova chiesa di cui già' prefigura l'eco dei suoi morti. Non aspettevi poesia da questo Dio, ne' dagli angeli che lo accompagnano: sono creature scorbutiche, arroganti, maleducate.
Non aspettatevi parabole, e dichiarazioni di divina compassione nemmeno da Gesu': purtroppo non sapra' diverle.
Godetevi questo raffinato esempio di letteratura portoghese, e, fidatevi, nonostante l'effetto "muro di parole" tanto amato da Saramago ( non un dialogo a capo, non una singola divisione del paragrafo per circa 400 pagine di libro), ne varra' la pena.
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Il libro di cui hai bisogno
Una sera di Maggio il diavolo decide di far visita alla città di Mosca. Nell’arco di soli tre giorni il re dei demoni porta scompiglio tra la popolazione con dispetti, ed eventi soprannaturali, insinuandosi al Teatro Varietè come promotore di nuovi, eccentrici, giochi di magia nera.
Accompagnato da loschi individui e da Behemot, un inquietante gatto di dimensioni umane, il diavolo intreccia la sua storia con quella di un uomo, chiamato Maestro, e della sua amata, Margherita. Lui è uno scrittore squattrinato intento senza successo a pubblicare un romanzo su Ponzio Pilato, e lei una dolce, giovane donna costretta a un matrimonio senza amore.
Le vicende di questi atipici personaggi si aggrovigliano grottescamente sotto gli occhi irrequieti della Mosca atea degli anni ‘30, toccando non solo i temi della religione e della censura politica, ma anche dell’amore e del rimorso.
Satira intelligente e dalla vita tormentata (lo stesso Bulgakov fu costretto a bruciarne la prima stesura in una stufa, per sfuggire la censura sovietica), Il Maestro e Margherita fu pubblicato solo dopo la morte del suo autore, ed è subito stato "condannato" dalla critica ad essere uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale del nostro tempo.
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Donne: Tutte troie?
Donne: Tutte pazze, tutte troie, tutte isteriche!
E’ questo ciò che Bukowski vuole dirci con il suo libro?
Il romanzo non è altro che una serie di resoconti di tutte le storie “d’amore” del protagonista, viste in chiave apertamente maschilista e pessimista, in cui si susseguono ( e si accavallano) una serie di amanti che si rubano la scena tra loro, ma nessuna di esse è descritta come un personaggio vero e proprio. Infatti, nonostante siano tutte a modo loro delle protagoniste, sono più descritte come donne di passaggio, semplici macchine sessuali nelle quali vengono sottolineate solo le performance sessuali e le loro pazzie.
C’è DeeDee, giovane in carriera che piange la “rottura” col protagonista, e lo implora di non lasciarla “-non lasciarmi, guarda che belle gambe!-“.
Poi c’è Lydia, lo stereotipo di donna isterica per eccellenza, la cui pazzia fa quasi paura, e che Henry affronta sempre più o meno passivamente.
Poi ce ne sono altre nel mezzo, ma sono così poco importanti che lo scrittore non si sforza di rendercele interessanti.
Il libro lo si sfoglia e le pagine pullulano di donne pronte a bere e ad aprire le gambe, a piangere aggrappate all’ uomo che vuole lasciarle, e a perdere tempo in filosofie new age; e tra queste Henry Chinaski (il leggendario alter ego di Bukowski) è l’ impiegato alle poste -aspirante poeta- , che, cinicamente, se le fa tutte.
Proprio tutte.
Anche ricche, giovani, e belle: Nessuna di loro sembra essere immune al suo fascino.
Un fascino che poi stento ancora a capire in cosa consista!
Se lo si analizza bene ,infatti, Chinaski è un perdigiorno ubriacone e insoddisfatto della sua vita, un misogino che niente ha di meglio da offrire a una donna se non del whiskey scadente con cui farla ubriacare.
Eppure riesce sempre a rimediare almeno una sveltina: lui (ossia Bukowski, in quanto credo che il romanzo sia apertamente autobiografico), l’uomo più misogino sulla faccia della terra, attira.
Nonostante le tratti male e le usi come oggetti, attira. Le compra con un po’ di alcool e qualche promessa. Saranno mica sul serio tutte impazzite le donne?
Scusatemi, ma devo confessarvi che Bukowski non mi è mai andato molto a genio. In realtà, questo è uno dei pochi suoi romanzi che ho apprezzato.
Ma solo perché alla fine arriva Sara.
Sara è la brava ragazza per eccellenza, fissata con filosofie e guru new age. Chinaski (Bukowski) la conosce le dedica le ultime pagine del libro. “Sara era una brava ragazza, in fondo” dice. E resta con lei.
Quindi capisci che Chinaski non è uno stronzo, non considera tutte le donne come delle pazze. Certo, di Sara non si innamora, però capisce che esiste quell’unica eccezione tra tutte le donne nel quale valga la pena investire un po’ di serietà.
Il romanzo si chiude lasciando intuire che Chinaski abbia trovato una sua stabilità, e che quell’uomo tanto sregolato abbia messo la testa a posto. Un cliché che ha sempre un suo fascino.
Forse tutte le altre andavano a letto con lui perché desideravano essere l’eccezione, essere Sara. E magari si lasciavano trattare male da qualsiasi uomo (perché anche di Chinaski ce ne sono troppi) nella speranza di farlo innamorare di loro.
Se così fosse, allora le donne sarebbero davvero tutte pazze.
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Per favore, non leggetelo solo per moda
Ecco, è resuscitato il Grande Gatsby.
E’ bello vedere come, Dopo il film con Leonardo di Caprio (che, secondo me, di Gatsby non ha proprio niente), impazzi la mania per gli anni ’20, e che molti (quasi per moda o per gioco) rispolverino vecchie citazioni di Fitzgerald o comprino la nuova edizione de “Il Grande Gatsby” con la locandina del Film in copertina.
E’ bello sapere che un libro, seppur vecchio di quasi 90 anni, possa tornare a far parlare di sé.
Ma, per favore, non leggetelo solo per moda, non siate anche voi semplicemente attratti dal suo fascino, piuttosto che dal suo contenuto.
Jay Gatsby è un giovane squattrinato che non esita a usare qualsiasi mezzo per potersi arricchire fino a diventare uno degli uomini più facoltosi di tutta la New York anni ‘20, e fa tutto questo solo per riconquistare la sua amata: Daisy.
Daisy è una ragazza ricchissima che, nonostante ami Jay con tutto il cuore, non può sposarlo perché troppo povero, ed è costretta a cedere alle avance di un arrogante e facoltoso giocatore di polo, di cui poi diverrà la moglie.
Molti anni dopo, quando ormai Gatsby sarà diventato miliardario, il destino farà rincontrare i due amanti e darà una seconda possibilità al loro amore.
Ma le pretese di Gatsby si riveleranno troppo grandi: egli non vorrà solo riconquistare Daisy, desidererà anche rivivere con lei un amore e una storia che ormai non ci sono più.
Bella storia d’amore vero?
Al centro di tutto vi è l’amore irraggiungibile dei due protagonisti e il passato di Gatsby, così avvolto nel mistero da scatenare voci e dicerie inquietanti e terribili. Ma attenzione: Fitzgerald non intendeva affatto scrivere una storia d’amore ambientata negli anni ’20, ma voleva descrivere la società del suo tempo, così ricca di contraddizioni, di nuovi ricchi bravi solo a mostrare e di belle donne piene di trucco e vuote nell’anima. I protagonisti sono solo degli ottimi pretesti per spiegare tutto questo.
Gatsby è il self made man costruito ad hoc che tutti voglio sfruttare, l’uomo che tutti venerano ma di cui nessuno sentirà la mancanza una volta che sarà andato via.
E’ un libro eccezionale che fa capire come non sia oro tutto quel che luccica e che ogni cosa, anche ciò che ci appare come sfavillante e luminoso, è destinato a spegnersi, e tra feste eccessive, bugie, ricordi e contraddizioni si esaurisce il dramma del Grande Gatsby.
Per favore, non leggetelo solo per moda.
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Sorgere e morire,come mille splendidi soli..
MILLE SPLENDIDI SOLI
Se vuoi che il mondo ascolti ciò che hai da dire,devi colpirlo al cuore.E’ questa la più profonda verità conosciuta da ogni scrittore che si rispetti.
E per colpire il cuore delle persone,devi farle affezionare ai tuoi personaggi.
Inizia a raccontare la loro storia partendo da quando sono poco più che bambini.Falli crescere,falli innamorare ,falli vivere attraverso le tue pagine,in modo che ogni capitolo diventi un capitolo della loro vita.Lascia che il lettore provi lo stesso dolore che prova la piccola Mariam nel rifiuto di suo padre,lascia che si innamori di Tariq proprio come se ne è innamorata Layla.Fai in modo che la vita dei personaggi diventi familiare come quella di un amico,o di un fratello che si conosce molto bene.
Poi falli morire.
Non c’è niente di più sconvolgente del veder morire qualcuno che si è conosciuto così nel profondo.Perchè,almeno parlo per me,i personaggi di mille splendidi soli erano diventati come amici,come fratelli,come vicini di casa con cui condividere il dolore di una guerra che sembra non finire mai. Ti crei insieme a loro delle aspettative e delle speranze sul futuro di un popolo, del TUO popolo.
Inizi a sperare che i tuoi amici tornino a casa da scuola sani e salvi,e quando senti cadere le bombe,rimani in bilico anche tu,insieme a loro,e speri che nessuna di queste uccida un altro dei tuoi fratelli buoni.Perchè,proprio come Layla,hai imparato che la guerra,purtroppo,ammazza sempre i buoni e porta allo sfacelo la vita degli innocenti.
Ed anche se il messaggio finale è un messaggio di speranza,tu muori dentro perché non sai se anche questa volta quella speranza sarà distrutta. E ve lo dice una che per un libro non ha mai pianto.Ma posso assicurarvi che questa volta è stato diverso. E’ stato travolgente,straordinario,tragico: non ho mai pianto tanto come quando ho letto mille splendidi soli.
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Un uomo e il male di vivere
Ricordo di aver letto per la prima volta “La coscienza di Zeno” a diciott’anni,l’ultimo anno di liceo,in cui passare per autori come Italo Svevo è normale prassi.E ricordo ancora come,in quel periodo,passavo le giornate a combattere tra la tristezza delle delusioni amorose e il senso di incapacità davanti agli esami di stato.Mi sentivo un’inetta,un perfetto personaggio sveviano.
Forse è per questo che questo libro mi ha colpito.
Vi era qualcosa di tremendamente familiare nel personaggio di Zeno Cosini,un uomo che nel lungo flashback in cui ripercorre la sua vita si mostra così irrimediabilmente malato di inettitudine,così terribilmente fragile ed insicuro,e così straordinariamente vero.
Accademicamente parlando,potrei parlarvi di lui dicendo che Zeno,nato dalla penna di Italo Svevo,è un anti-eroe per eccellenza,un personaggio in cui lo stesso autore mise molto di se stesso,perché diciamoci la verità:nessuno di noi parlerebbe mai di un inetto a meno che non si sentisse lui stesso un inetto.E se ci si va a leggere la biografia dello stesso Svevo si ritrovano molti parallelismi tra la sua vita e quella dello stesso Zeno.Sono entrambi sfortunati,entrambi insicuri,entrambi sposati(per amore o per forza) a donne che si mostrano più solide di quanto non siano (io personalmente,negli atteggiamenti di augusta non ci vedo proprio niente di salutare).Svevo tenta di giustificare l’inettitudine che lui sentiva appartenente a se stesso creandosi l’alter-ego di Zeno Cosini,cercando di renderlo affascinante e complesso.E ci riesce.
Cogliendolo da un punto di vista più “umano” si potrebbe dire che Zeno è un inetto,ma più che inetto ha paura lui stesso di mostrarsi tale,è un personaggio che vorrebbe essere l’eroe di ogni situazione,forte e spavaldo,ma si ritrova ad essere così insicuro di sé da lasciarsi sopraffare da uno sbruffone-perché sbruffone è e sbruffone rimane-come Guido,che altra via non che suicidarsi nel tentativo di muovere a compassione Ada,per convincerla a salvarlo dai suoi problemi.Alla fine Zeno,un po’ per fortuna e destino,ed un po’ grazie alle sue capacità,si dimostrerà molto più capace degli altri personaggi del libro,rimanendo comunque confinato nella sua dimensione di uomo comune.Non ci sono grandi vittorie nella sua vita,ma umili soddisfazioni.Ma alla fine le sue vicende e le sue delusioni non sono molto diverse da quelle degli altri uomini,che sono inetti proprio come lui,ognuno o modo loro,ma sono solo più abili a nasconderlo. Forse al lettore non potrà piacere,perché lui non è un eroe.Non è neanche un uomo tutto d’un pezzo,ma diciamoci la verità:nessuno di noi è così fortunato da essere tutto intero.
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